CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 19 febbraio 2014
183.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Affari sociali (XII)
COMUNICATO
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RELAZIONI AL PARLAMENTO

  Mercoledì 19 febbraio 2014. — Presidenza del presidente Pierpaolo VARGIU.

  La seduta comincia alle 14.30.

Relazione sullo stato di attuazione della legge n. 194 del 1978, concernente norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza, contenente i dati preliminari dell'anno 2012 e i dati definitivi dell'anno 2011.
Doc. XXXVII, n. 1.
(Seguito dell'esame, ai sensi dell'articolo 124, comma 2, del regolamento, e rinvio).

  La Commissione prosegue l'esame della relazione in oggetto, rinviato, da ultimo, nella seduta del 14 febbraio 2014.

  Pierpaolo VARGIU, presidente, ricorda che l'esame è iniziato nella seduta dell'11 febbraio, con la relazione introduttiva della relatrice Carnevali, ed è proseguito nelle sedute del 12 e del 14 febbraio, con il dibattito di carattere generale, che proseguirà anche nella seduta odierna.

  Gian Luigi GIGLI (PI) nell'esprimere apprezzamento per la relazione della collega Carnevali, per quanto riguarda in particolare le considerazioni sul tema dei consultori familiari, osserva che i dati presentati nella relazione confermano che continua il positivo trend di riduzione del numero degli aborti. Al riguardo, dubita che ciò sia dovuto a cambiamenti nei comportamenti, temendo piuttosto che vi sia una sottostima di quel dato, legata a forme di aborto precocissimo su base chimica. Anche per quanto riguarda gli aborti clandestini, ritiene che le stime sono necessariamente inaffidabili proprio per la natura del fenomeno.
  Evidenzia quindi i dati relativi all'obiezione di coscienza, che riguarda circa il 70 per cento degli ostetrici-ginecologi; si tratta di un dato stabile da sempre, che non presenta alcun rischio reale per la possibilità di ricorrere all'interruzione volontaria di gravidanza, come dimostrato dal fatto che l'85 per cento degli interventi è effettuato entro 21 giorni dalla certificazione. Invita in proposito a pensare a misure organizzative già adottate in altri ambiti della chirurgia, come l'accorpamento delle strutture per area vasta, anche per garantire maggiore sicurezza e Pag. 71qualità dell'intervento. Ancora troppo alto appare infatti il 5 per cento di complicazioni per un intervento chirurgico per il quale la degenza nel 96 per cento dei casi non supera un giorno. Il numero degli obiettori apparentemente rilevante non va a suo giudizio demonizzato, in quanto fotografa l'istintiva repulsione per la soppressione della vita da parte di chi ha scelto di fare il medico per promuoverla. Ogni attacco all'obiezione deve pertanto essere rigettato: il diritto all'obiezione va garantito non come benevola concessione dello Stato, ma quale fondamento della democrazia (come affermato dal Comitato nazionale di bioetica) e grido di allarme sull'ingiustizia delle leggi. In proposito, richiama altresì la risoluzione dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa n. 1763 del 7 ottobre 2010, nella quale si afferma che: «Nessuna persona o ospedale o istituzione può essere obbligata o ritenuta responsabile o discriminata se rifiuta per qualsiasi motivo di eseguire o assistere un aborto o un altro atto che possa causare la morte di un feto o di un embrione umano». Proprio per questo sono da respingere sul nascere i tentativi di favorire carriere parallele, concorsi riservati, arbitrari spostamenti di personale sanitario, impedimento all'accesso ai ruoli apicali della professione, misure che, anche di recente, sono state invece invocate per contrastare il ricorso all'obiezione di coscienza.
  Sottolinea quindi che un dato allarmante riguarda il numero delle donne straniere che ricorrono all'interruzione volontaria di gravidanza, che raggiunge il 34,3 per cento del totale, con un tasso di abortività altissimo se rapportato all'incidenza complessiva della popolazione straniera. Questo dato evidenzia il problema socio-economico che sta dietro a una quota significativa di aborti e richiama l'importanza, sottolineata anche dalla relatrice, del ruolo dei consultori. Andrebbe infatti valorizzato l'apporto che i consultori potrebbero dare alla prevenzione dell'aborto, se adeguatamente utilizzati, proprio nello spirito della legge n. 194, che non stabilisce un diritto, ma decide una depenalizzazione per un fenomeno che resta un dramma sociale da prevenire.
  A tale riguardo, ricorda che il 28 maggio 2013, presso la XII Commissione, in risposta ad un'interrogazione da lui presentata, il sottosegretario Fadda ha affermato che: «nell'impianto generale della legge un ruolo fondamentale, come è noto, deve essere riconosciuto alla rete dei consultori familiari, che costituiscono i servizi più vicini all'attivazione di reti di sostegno per la maternità, in collaborazione con i servizi sociali dei comuni e con il privato sociale. Nel merito del quesito posto e in particolare al dettaglio dei dati richiesti, come la cifra spesa per i consultori o il numero delle collaborazioni con il mondo del volontariato o ancora il numero degli interventi personalizzati per evitare l'aborto, da inserire nella prossima relazione al Parlamento, fin da subito comunico tali dati non sono in possesso del Ministero della salute per diversi ordini di motivi». In quella occasione, il rappresentante del Governo ha inoltre annunciato «l'impegno del Ministero della salute ad avviare presso le regioni una adeguata iniziativa, anche con formale lettera, non solo per sensibilizzare le strutture sanitarie con particolare riguardo al mondo del volontariato per promuovere e sostenere importanti canali di collaborazione e supporto tra i consultori e le associazioni di volontariato, ma soprattutto per chiedere se è possibile di acquisire una specifica dei dati con maggiore livello di dettaglio in relazione ai singoli quesiti posti».
  Richiama quindi la necessità, evidenziata anche dalla relatrice, di attivare la parte «positiva» della legge n. 194, al fine di valutare le cause che inducono la donna alla richiesta di interruzione volontaria della gravidanza, applicare gli articoli 2 e 5 della stessa legge, risolvere le cause sociali che portano all'aborto, proporre alternative all'interruzione, educare a una sessualità responsabile per evitare il fenomeno degli aborti ripetuti (il 19 per cento dei quali interessa donne con almeno un aborto alle spalle e l'8 per cento con almeno 2 aborti). Osserva peraltro che il limitato ricorso allo strumento del consultorio Pag. 72segnala anche la sfiducia delle donne verso questo strumento, troppo spesso interessate solo al rilascio della certificazione necessaria per l'autorizzazione.
  Ritiene infine opportuno riconsiderare il ruolo dei non obiettori e del volontariato nei consultori, che possono efficacemente operare per la prevenzione. L'azione dei centri di aiuto alla vita, ad esempio, nel solo 2012 ha permesso di assistere 14.756 gestanti e di far nascere 9.887 bambini altrimenti destinati all'aborto. Si tratta di dati raccolti dal 60 per cento dei centri di aiuto alla vita che, se rapportati al totale, indicano che sono state circa 24.500 le gestanti assistite e 16.500 gli aborti evitati, senza alcun tipo di sostegno pubblico. Anche dai dati dei centri di aiuto alla vita emerge inoltre la rilevanza delle cause sociali dell'aborto, se si considera che le donne straniere costituivano solo il 15 per cento della casistica nel 1990 e sono diventate nel 2012 ben l'80 per cento.

  Eugenia ROCCELLA (NCD) osserva preliminarmente che la modalità con la quale l'Italia ha affrontato il problema dell'interruzione volontaria della gravidanza costituisce una buona pratica, come evidenza anche il continuo decremento del tasso di abortività, tanto che taluni elementi di questa modalità possono a suo avviso rappresentare un'indicazione per l'Europa. I dati positivi che si riscontrano riguardano sia il ricorso all'interruzione volontaria di gravidanza da parte delle minorenni, sia il dato inerente la ripetitività del ricorso all'aborto, almeno se si confrontano tali risultati con quelli che si registrano in altri Stati europei che, per condizioni complessive, possono rappresentare un parametro di raffronto, quali la Francia, la Gran Bretagna, la Spagna o la Svezia.
  Ciò premesso, osserva che si riscontrano ancora delle criticità, come per quanto attiene alle politiche di prevenzione, mai attuate in modo coerente e uniforme, ma piuttosto «a macchia di leopardo» (anche perché a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione ogni regione affronta il problema con modalità differenti) e spesso affidate al volontariato o ai centri di aiuto alla vita; ricorda in proposito la pregevole opera di accoglienza e prevenzione realizzata in singole realtà, come l'unità Mangiagalli.
  Osserva inoltre che in Italia si riscontra anche un'ottima raccolta di dati, ricordando, con riferimento alle considerazioni del deputato Gigli, che il numero degli aborti clandestini viene calcolato con gli stessi algoritmi in tutto l'ambito europeo. Per quanto riguarda l'utilizzo della cosiddetta pillola del giorno dopo, il confronto con altri Paesi europei indica dati migliori per l'Italia.
  Quanto alla questione dell'obiezione di coscienza su cui, come chiesto in occasione della discussione delle mozioni aventi ad oggetto tale tema, il Ministero della salute ha attivato un tavolo di confronto con le regioni, vanno sfatati alcuni luoghi comuni: il dato significativo è che il numero di interventi per ciascun medico non obiettore si è dimezzato, passando da 3,3 interruzioni a settimana, considerando in un anno 44 settimane lavorative, a 1,7 a settimana nel 2011. Pertanto, se vi sono difficoltà nell'accesso, non sono dovute al numero di obiettori, ma alle diverse organizzazioni regionali. In ogni caso la stessa legge n. 194 prevede strumenti e correttivi per far fronte a tali problemi. Quindi concentrarsi sull'obiezione di coscienza rappresenta un falso obiettivo dovuto ad un qualche residuo ideologico: infatti, se si considera che oltre il 60 per cento delle donne non aspetta più di due settimane (compresa quella di riflessione) per un intervento, i tempi di attesa, anche confrontati con altri Paesi, non appaiono eccessivi.
  Per queste ragioni, reputa che la relazione confermi che il problema dell'interruzione volontaria di gravidanza in Italia è affrontato in modo adeguato.
  Osserva poi che le politiche contraccettive non hanno conseguito grandi successi, neanche in Paesi come la Svezia, dove i farmaci contraccettivi e post-concepimento sono di facile accesso, ma il tasso di abortività tra le minorenni è maggiore che in Italia.Pag. 73
  L'Italia sembra quindi disporre di strumenti più adeguati, che andrebbero meglio approfonditi. Anche il fatto che la legge italiana prevede che l'aborto deve avvenire nelle strutture pubbliche si è rivelato, nel tempo, un elemento di saggezza, oltre che di maggiore tutela della salute della donna e di prevenzione; infatti, laddove l'interruzione di gravidanza viene praticata in ambito privato, anche in presenza di legge più restrittive, si riscontra un maggior numero di interventi, che costituiscono pur sempre fonte di guadagno.
  Un profilo di criticità è rappresentato dall'utilizzo della pillola RU486, che costituisce un metodo elettivamente domiciliare, tanto che in Francia dopo alcuni anni di elevata diffusione di tale metodo si è addivenuti ad una modifica normativa che ne consente l'uso a domicilio. Al riguardo, richiama la necessità di una vigilanza affinché questa metodica rimanga una pratica destinata ad una ridotta percentuale di donne, le quali vi ricorrono per motivi di natura essenzialmente medica. In merito, ricorda che vi è un indirizzo molto chiaro da parte delle autorità competenti, che va nel senso di una vigilanza del medico per tutto il percorso richiesto da tale metodica, che si traduce in un ricovero ospedaliero della durata di tre giorni dopo la somministrazione. Vi è tuttavia la possibilità di chiedere le dimissioni volontarie, che tuttavia comportano dei rischi di complicanza, comprovati dai dati statistici.
  Con riferimento al ricorso all'IVG da parte delle donne straniere, sottolinea la necessità di considerare le specificità legate alla comunità nazionale di provenienza: mentre infatti per le donne dell'Est europeo l'aborto rappresenta un metodo anticoncezionale, le donne cinesi ricorrono prevalentemente all'aborto clandestino perché difficilmente propense ad affidarsi al sistema sanitario pubblico.
  Conclusivamente, ribadisce che pur se permangono delle criticità da affrontare, la relazione all'esame della Commissione conferma che esiste un modo italiano di affrontare il tema dell'interruzione volontaria di gravidanza che rappresenta una buona pratica, cui si accompagna una raccolta dei dati diffusa e capillare, di cui dovremmo essere maggiormente consapevoli.

  Andrea CECCONI (M5S) sottolinea che la relazione in esame si discosta poco da quella presentata lo scorso anno e fornisce dati non aggiornati, come quelli relativi agli aborti clandestini, che risalgono addirittura al 2005.
  Si sofferma quindi sulla pillola RU486, che non viene utilizzata in modo uniforme e capillare sul territorio nazionale, in quanto in alcune regioni vi si fa ricorso normalmente, ma nelle Marche, per esempio, mai. In proposito, ricorda che, mentre in altri Paesi tale pillola è somministrata in regime di day hospital, l'Italia è l'unico Paese nel quale è necessario il ricovero ospedaliero, quando per le eventuali complicanze sarebbe adeguato il ricorso alle strutture sanitarie presenti sul territorio. Peraltro, anche in caso di ricovero è abituale l'ipotesi delle dimissioni volontarie.
  Ricordando la sua esperienza professionale di infermiere, che lo ha portato ad assistere a interruzioni volontarie di gravidanza, sottolinea che si tratta di un'esperienza difficile anche dal punto di vista etico, sia per la donna che per chi vi deve assistere; ritiene pertanto una barbarie dover ricorrere all'intervento chirurgico laddove sarebbe possibile l'uso di un farmaco.
  A tale proposito, deve rilevare che le leggi in Italia hanno un'impostazione poco laica e sono invece ispirate a una valutazione etica e spesso cattolica, come avvenuto per la fecondazione assistita e il testamento biologico. A suo giudizio, si dovrebbe invece considerare che tali leggi possono offrire un'opportunità e che il cittadino cattolico è libero di non farvi ricorso.
  Richiama quindi lo «scandalo» dei consultori familiari e della mancata applicazione, per decenni, di una legge che doveva garantire un sostegno alle donne. In proposito, cita il deputato Aiello, che ha osservato che nel suo territorio il lavoro Pag. 74del consultorio è svolto dal prete. In effetti, molti consultori sono gestiti da associazioni, spesso cattoliche, che per ragioni ideologiche inducono a determinati comportamenti.
  In realtà, ritiene che l'interruzione volontaria di gravidanza debba essere considerata una pratica medica cui la donna può scegliere di ricorrere normalmente. Da questo punto di vista, ritiene eccessiva l'importanza che è attribuita ai dati relativi al numero di interruzioni di gravidanza praticate.
  In conclusione, si aspetta che anche il prossimo anno la relazione offrirà un quadro del tutto simile.

  Pierpaolo VARGIU, presidente, senza voler contestare quanto dichiarato dal deputato Cecconi, osserva tuttavia che lo stesso collega ha riconosciuto che l'interruzione di gravidanza è un'esperienza dolorosa sia per la donna sia per chi vi assiste. Ritiene pertanto che debba essere apprezzata positivamente la riduzione del numero di casi praticati.

  Benedetto Francesco FUCCI (FI-PdL) reputa importante l'esame della relazione annuale sull'attuazione della legge n. 194 del 1978, sulla tutela sociale della maternità e per l'interruzione volontaria di gravidanza, che presenta i dati preliminari relativi al 2012 e quelli definitivi del 2011. Si tratta di evidenze a suo parere molto significative, tanto più se viste in relazione al dibattito che nel giugno scorso si è svolto alla Camera in occasione dell'esame di alcune mozioni.
  Si sofferma quindi sul fatto che la relazione del Governo indica, analizzando i dati preliminari sul 2012, che il numero totale di interruzioni volontarie di gravidanza effettuate (circa 105 mila) è stato inferiore del 5 per cento rispetto a quello dell'anno precedente e addirittura del 54,7 per cento rispetto a trent'anni fa.
  Per questo, come già affermato in occasione del citato dibattito in Assemblea su mozioni, non condivide l'approccio di chi afferma che la presenza dei medici obiettori impedisca l'esercizio dell'interruzione volontaria di gravidanza. Infatti, in tal modo non si tiene conto del fatto – per l'ennesima volta evidenziato dalla relazione in esame – che i numeri complessivi del personale non obiettore sono del tutto congrui rispetto al numero complessivo degli interventi di interruzione volontaria di gravidanza. Eventuali difficoltà nell'accesso ai percorsi per l'interruzione volontaria di gravidanza, come evidenziato dal Ministero della salute e da molti colleghi, sono semmai dovuti a una distribuzione inadeguata del personale fra le strutture sanitarie all'interno di ciascuna regione; peraltro, la stessa relazione contiene dati non completi in relazione a diverse realtà regionali.
  Desidera poi sottolineare che la legge n. 194 del 1978 ha anzitutto lo scopo, stabilito dall'articolo 1, di garantire il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconoscere il valore sociale della maternità e tutelare la vita umana dal suo inizio. Perché ciò avvenga davvero, oltre a una piena e concreta applicazione della legge medesima in tutte le sue parti, è necessario anche che lo Stato favorisca interventi volti ad invertire il trend di bassa natalità in atto ormai da moltissimo tempo. Si riferisce in particolare, richiamando anche l'intervento della collega Binetti, al tema delle politiche in favore della famiglia, che sono gravemente carenti in Italia, al contrario di quanto avviene in realtà molto vicine, come la Francia. Questo dibattito è a suo parere un'occasione propizia per ribadire tale indirizzo, che risulta ancora più importante nel contesto di una situazione economica e sociale molto difficile.
  Evidenzia infine, proprio alla luce dei dati richiamati e delle considerazioni svolte, la necessità di un dibattito sereno e il più possibile obiettivo sull'interruzione volontaria di gravidanza e sull'obiezione di coscienza. Si riferisce ancora una volta al dato molto importante, ben evidenziato dalla relatrice, del progressivo decremento dei consultori familiari pubblici che si è registrato negli ultimi anni. I consultori avrebbero dovuto, invece, essere l'asse portante degli interventi di prevenzione dell'aborto Pag. 75volontario, nei quali trovare gli operatori più idonei ad attivare la rete di sostegno per le gravidanze difficili nonché gli eventuali mezzi per tentare di rimuovere le cause esterne che talvolta spingono la donna a tale scelta. Questa grave insufficienza è dimostrata anche dal dato del ricorso al consultorio per la certificazione, che interessa appena il 40 per cento delle donne richiedenti l'interruzione volontaria di gravidanza. Si tratta di un terreno molto concreto sul quale è necessario, da parte del Parlamento e del Governo, intervenire con misure incisive.
  Per i motivi esposti, a suo parere è assolutamente necessario, a ormai 36 anni dal varo della legge n. 194 del 1978, che le forze politiche diano luogo a un dibattito esaustivo e sereno sul modo in cui applicare non solo le norme sull'interruzione volontaria di gravidanza, ma anche quelle, tuttora in vigore ma nei fatti sconosciute ai più, sulla tutela sociale della maternità.

  Donata LENZI (PD) ringrazia preliminarmente la relatrice per aver introdotto una discussione che opportunamente integra quella già svolta in occasione dell'esame delle mozioni sull'obiezione di coscienza.
  Nel ricordare che l'applicazione della legge n. 194 del 1978 è stata monitorata con continuità, deve rilevare che essa si è rivelata, ancora più di quanto non fosse emerso in passato, una buona legge
  Con riferimento al tema dei consultori ed alla scelta di affidarne la gestione ad associazioni private, osserva che, quando una donna ha la possibilità di operare una scelta, evita di rivolgersi ad una struttura nella quale sa che incontrerà degli ostacoli: si parla infatti di donne che, pur vivendo con sofferenza la scelta dell'interruzione, intendono esercitarla. In proposito, ricorda a titolo di esempio l'esperienza di un consultorio pubblico della propria città, con un bacino di utenza di circa 40 mila abitanti, in cui venivano praticati una cinquantina di aborti all'anno; dopo la decisione del comune di aprire la struttura alle associazioni cattoliche, il numero delle richieste di interruzione di gravidanza è sceso a zero, semplicemente perché le donne non si sono più rivolte a quella struttura. Il comune h dovuto prendere atto della situazione e concludere la sperimentazione.
  Osservato che la legge n. 194 ha conseguito il risultato di ridurre il numero di interruzioni di gravidanza, come sancito dall'articolo 1, sottolinea l'esigenza di compiere ulteriori passi in avanti, anche con riferimento alle tematiche da affrontare al tavolo di confronto con le regioni attivato dal Ministro della salute a seguito delle mozioni sull'obiezione di coscienza. In particolare, è possibile intervenire sulle ragioni di insoddisfazione che ancora permangono e che attengono, a suo avviso, alle modalità di organizzazione del servizio e alla distribuzione sul territorio degli obiettori, che non è tale da garantire il servizio stesso. La legge prevede correttivi quali lo spostamento di personale, ma dovrebbe essere previsto che ogni regione indichi alcune strutture dove il servizio è assicurato. Evidenzia quindi che, pur essendo logico che alla riduzione di servizi di ostetricia e ginecologia si accompagni una riduzione delle strutture per la certificazione e le interruzioni di gravidanza, deve sussistere una programmazione regionale che tenga conto del bacino di utenza e della necessità di garantire il servizio, così come per la somministrazione della pillola RU486.
  Con riferimento ai consultori, ritiene che il Servizio sanitario nazionale, la cui istituzione è successiva alla legge sui consultori, «fatichi» a contenere al proprio interno un servizio che è socio-sanitario e non esclusivamente sanitario, la cui attività è solo per un 10 per cento strettamente sanitaria, mentre si esplica soprattutto con riferimento all'assistenza per le adozioni, il parto, l'allattamento, la menopausa. Considerato il peggioramento della situazione economica e che un certo numero di interruzioni di gravidanza dipende dalle condizioni economiche, osserva come appaia ancora più necessaria la presenza del sociale nel consultorio e Pag. 76come la vera sfida sia rappresentata da come si riuscirà a realizzare una maggiore integrazione tra tali aspetti.
  Auspica infine che si possa al tal fine ricreare il clima di collaborazione che diede vita alla legge n. 194, quando anche esponenti di partiti che poi si attivarono per il referendum abrogativo offrirono il loro contributo per il miglioramento della legge stessa. Da questo punto di vista, la vicenda della legge n. 194 costituisce un insegnamento culturale che può rappresentare un utile esempio.

  Pierpaolo VARGIU, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, ricorda che si era convenuto di concludere l'esame della relazione con apposito atto di indirizzo che, vista l'attuale situazione politica, potrà essere discussa solo dopo la formazione del nuovo Governo. Rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 15.15.

UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI

  L'ufficio di presidenza si è riunito dalle 15.15 alle 15.20.