CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 14 gennaio 2014
156.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Finanze (VI)
COMUNICATO
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UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI

  Martedì 14 gennaio 2014.

  L'ufficio di presidenza si è riunito dalle 10.15 alle 10.35.

SEDE REFERENTE

  Martedì 14 gennaio 2014. — Presidenza del presidente Daniele CAPEZZONE. – Interviene il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze Pier Paolo Baretta.

  La seduta comincia alle 11.

DL 133/13: Disposizioni urgenti concernenti l'IMU, l'alienazione di immobili pubblici e la Banca d'Italia.
C. 1941 Governo, approvato dal Senato.

(Esame e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

  Marco CAUSI (PD), relatore, rileva come la Commissione sia chiamata a esaminare in sede referente il disegno di legge C. 1941, approvato dal Senato, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge n. 133 del 2013, recante disposizioni urgenti concernenti l'IMU, l'alienazione di immobili pubblici e la Banca d'Italia.Pag. 68
  Per quanto riguarda i contenuti del decreto-legge, fa presente come l'articolo 1 abolisca la seconda rata IMU per l'anno 2013 per una serie di immobili indicati dalla disposizione, salvo l'obbligo di versamento di una quota di imposta dovuta per il 2013, nei comuni che hanno deliberato aumenti rispetto all'aliquota di base.
  In particolare, ai sensi del comma 1 la seconda rata IMU non è dovuta per le seguenti tipologie di immobili:
   a) abitazioni principali e assimilati (IACP e cooperative edilizie a proprietà indivisa) (ai sensi dell'articolo 1, comma 1, lettere a) e b), del decreto-legge n. 54 del 2013): da tale previsione sono esclusi i fabbricati di lusso (di particolare pregio e valore, categoria catastale A/1; abitazioni in villa, categoria catastale A/8; castelli e i palazzi di eminente pregio artistico o storico, categoria catastale A/9);
   b) la casa coniugale assegnata al coniuge, a seguito di provvedimento di separazione legale, annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio (ai sensi dell'articolo 4, comma 12-quinquies, del decreto-legge n. 16 del 2012);
   c) l'immobile posseduto, e non concesso in locazione, dal personale in servizio permanente appartenente alle Forze armate e di polizia e dal personale appartenente alla carriera prefettizia, per il quale non sono richieste le condizioni della dimora abituale e della residenza anagrafica (immobili di cui all'articolo 2, comma 5, del decreto-legge n. 102 del 2013);
   d) i terreni agricoli, nonché quelli non coltivati, di cui all'articolo 13, comma 5, del decreto-legge n. 201 del 2011, posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali iscritti nella previdenza agricola;
   e) i fabbricati rurali ad uso strumentale di cui all'articolo 13, comma 8, del decreto-legge n. 201 del 2011.

  Il comma 2 ribadisce che per i terreni agricoli ed i fabbricati rurali diversi, rispettivamente, da quelli individuati dalla citate lettere d) ed e) del comma 1, l'esenzione dal pagamento della seconda rata dell'IMU non si applica. La seconda rata IMU è dunque dovuta sui terreni agricoli posseduti e condotti da soggetti diversi dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali, nonché dai fabbricati rurali non strumentali che non costituiscono abitazione principale del contribuente.
  Ricorda al riguardo che, ai sensi dell'articolo 1, comma 1, del decreto-legge n. 102 del 2013, non era dovuta la prima rata dell'IMU per l'anno 2013 su tutti i terreni agricoli e fabbricati rurali di cui all'articolo 13, commi 4, 5 e 8, del decreto-legge n. 201 del 2011.
  Ai sensi del comma 9, la seconda rata dell'IMU per l'anno 2013 non è dovuta anche con riferimento ai seguenti immobili equiparabili dai comuni all'abitazione principale:
   l'unità immobiliare posseduta a titolo di proprietà o di usufrutto da anziani o disabili che acquisiscono la residenza in istituti di ricovero o sanitari a seguito di ricovero permanente, a condizione che la stessa non risulti locata, nonché l'unità immobiliare posseduta dai cittadini italiani non residenti nel territorio dello Stato a titolo di proprietà o di usufrutto in Italia, a condizione che non risulti locata;
   le unità immobiliari e relative pertinenze non «di lusso» concesse in comodato ai parenti in linea retta entro il primo grado che le utilizzano come abitazione principale.

  Nonostante l'abolizione della seconda rata dell'IMU per l'anno 2013, ai sensi del comma 5, modificato nel corso dell'esame al Senato, il contribuente è tenuto a versare una quota (40 per cento) dell'eventuale differenza tra l'ammontare dell'IMU risultante dall'applicazione dell'aliquota e della detrazione per la «prima casa» deliberate o confermate dal comune per l'anno 2013 e, se inferiore, quello risultante Pag. 69dall'applicazione dell'aliquota e della detrazione di base previste dalle norme statali.
  In altri termini, nei comuni in cui l'aliquota IMU è stata incrementata rispetto al valore base, i contribuenti saranno tenuti a versare, entro il 24 gennaio 2014 (termine così posticipato dal 16 gennaio a seguito delle modifiche apportate al provvedimento dal Senato) il 40 per cento dell'eventuale differenza tra l'aliquota base e quella deliberata dal singolo comune.
  Al riguardo, oltre a rammentare, sul piano tecnico, che tale differimento è già disposto dall'articolo 1, comma 680, della citata legge di stabilità 2014 (legge n. 147 del 2013), entrata in vigore il 1o gennaio 2014, sottolinea, innanzitutto, come la norma del comma 5 sia motivata dal fatto che i rimborsi disposti in favore dei comuni a seguito dell'abolizione della prima rata dell'IMU erano stati calcolati sulla base del gettito dell'imposta nel 2012; tuttavia, nel frattempo, molti comuni hanno incrementando l'aliquota applicabile agli immobili di prima abitazione, aumentando in tal modo il valore del minor gettito derivante dall'abolizione del tributo su tale categoria di unità immobiliari. In tale contesto si è instaurato, pertanto, una sorta di «gioco di mancata fiducia» tra lo Stato e i comuni, dovuto al fatto che le tematiche dell'IMU sono state affrontate nel corso del 2013 in modo confuso e frammentario, alimentando inoltre il sospetto che in taluni casi, soprattutto qualora l'aumento dell'aliquota sulla prima casa sia stato deciso dopo l'abolizione della prima rata, i comuni abbiano assunto tale decisione con la riserva mentale che il predetto aumento non sarebbe ricaduto sui contribuenti ma sarebbe stato riconosciuto agli enti locali dallo Stato in sede di rimborso conseguente all'abolizione delle rate IMU sulla prima casa. In ogni caso, tale insieme di circostanze ha reso difficile rimborsare integralmente i comuni del minor gettito derivante dall'abolizione delle due rate IMU e il Governo ha ritenuto di prevedere il pagamento, a carico dei contribuenti interessati, di una quota della seconda rata IMU, in tutte quelle realtà territoriali nelle quali sia stato disposto un incremento dell'aliquota base sulla prima casa. Sottolinea, quindi, come la misura del comma 5 non abbia alcuna natura punitiva, ma corrisponda ad una effettiva difficoltà nella regolazione dei rapporti finanziari in materia di IMU tra i comuni e lo Stato.
  Il comma 3 reca disposizioni finalizzate ad assicurare ai comuni il ristoro del minor gettito IMU derivante dall'abolizione della seconda rata disposta dal comma 1, stanziando a tal fine risorse pari a 2.164 milioni di euro per l'anno 2013, di cui 2.076 milioni per i comuni delle Regioni a statuto ordinario, della Regione siciliana e della Regione Sardegna e 87 milioni per i comuni delle regioni a statuto speciale Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta e delle province autonome di Trento e di Bolzano.
  Il comma 4 stabilisce che, entro il 20 dicembre 2013, quota parte di tali risorse, pari a 1.729 milioni, è attribuita dal Ministero dell'interno, per i comuni delle Regioni a statuto ordinario, della Sicilia e della Sardegna, nella misura indicata, per ciascun comune, nell'allegato A al decreto- legge, corrispondente alla metà dell'ammontare determinato applicando l'aliquota e la detrazione di base previste dalle norme statali per ciascuna tipologia di immobile.
  Per quanto concerne invece i comuni delle regioni a statuto speciale Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta e delle province autonome di Trento e di Bolzano, ai sensi del comma 8 il minor gettito IMU è invece compensato attraverso un minor accantonamento a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali, ai sensi dell'articolo 13, comma 17, del decreto-legge n. 201 del 2011, per complessivi 86 milioni, nelle misure indicate nell'allegato A.
  Il comma 6 demanda ad un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell'interno, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, da emanare entro il 28 febbraio 2014, la determinazione a conguaglio del Pag. 70contributo compensativo, per l'importo di 348 milioni, quale risultante dalla differenza tra le risorse complessivamente stanziate dal comma 3 (2.164 milioni) e quelle distribuite a ciascun comune con il comma 4 (1.729 milioni) e con il comma 8 (86 milioni).
  L'attribuzione delle suddette risorse – attraverso la diversa procedura dell'assegnazione di trasferimenti da parte del Ministro dell'interno per i comuni delle regioni a statuto ordinario, della Regione siciliana e della Regione Sardegna e attraverso il minor accantonamento a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali per i comuni delle regioni a statuto speciale Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta e delle province autonome di Trento e di Bolzano – è definita sulla base di una metodologia concordata con l'associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI), che prenda come base i dati del gettito IMU 2012 e operi una stima delle manovre effettuate dai comuni nel 2013, tenendo altresì conto di quanto già corrisposto ai comuni come rimborso, con riferimento alle stesse tipologie di immobili, del minor gettito IMU derivante dall'abolizione della prima rata per l'anno 2013, ai sensi dell'articolo 3, comma 1, del decreto-legge n. 102 del 2013.
  Qualora dal decreto ministeriale risulti riconosciuto al comune un ammontare complessivo di importi superiore a quanto ad esso spettante dall'applicazione delle aliquote e della detrazione per ciascuna tipologia di immobile di cui al comma 1, deliberate o confermate per l'anno 2013, il comma 7 prevede che l'eccedenza deve essere destinata dal comune a riduzione delle imposte comunali dovute sui medesimi immobili per l'anno 2014.
  Il comma 10 autorizza il Ministro dell'economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio; qualora i procedimenti per l'assegnazione degli stanziamenti non siano completati entro il 10 dicembre 2013, viene altresì autorizzato il pagamento tramite anticipazione di tesoreria per l'erogazione del trasferimento compensativo ai comuni.
  Il comma 11 autorizza i comuni beneficiari dei trasferimenti compensativi di ristoro ad apportare le necessarie variazioni di bilancio entro il 15 dicembre 2013. Ciò in deroga all'articolo 175 del Testo unico degli enti locali (TUEL) di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, il quale prevede che le variazioni al bilancio possono essere deliberate non oltre il 30 novembre di ciascun anno.
  Il comma 12, in considerazione delle possibili carenze di liquidità che potrebbero insorgere nei comuni a seguito dell'applicazione delle disposizioni appena illustrate, incrementa per l'anno 2014 il limite massimo di ricorso da parte degli enti locali ad anticipazioni di tesoreria, sino alla data del 31 marzo 2014, da tre a cinque dodicesimi.
  I relativi maggiori oneri per interessi a carico dei comuni sono rimborsati dal Ministero dell'interno nel limite massimo di 3,7 milioni di euro. Per le modalità ed i termini del rimborso, la norma fa rinvio ad apposito decreto del Ministero dell'interno, da adottare entro il 31 gennaio 2014.
  Il comma 12-bis, introdotto durante l'esame del provvedimento al Senato, esclude l'applicazione di sanzioni e interessi nel caso di insufficiente versamento della seconda rata dell'IMU 2013, ove la differenza sia versata entro il termine del 24 gennaio 2014
  Al riguardo segnala come una disposizione di analogo tenore sia contenuta nell'articolo 1, comma 728, della legge di stabilità 2014, ai sensi del quale, però, la sanatoria è condizionata al versamento della differenza entro il termine di versamento della prima rata IMU dovuta per l'anno 2014 (16 giugno 2014).
  Con riguardo all'articolo 2, fa presente come tale norma detti disposizioni in materia di acconti di imposta.
  In particolare, il comma 1 aumenta al 128,5 per cento la misura dell'acconto IRES ed IRAP per il periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2013 per gli enti creditizi, finanziari e assicurativi e per la Banca d'Italia.Pag. 71
  Più in dettaglio, la norma inserisce un nuovo comma 20-bis nell'articolo 11 del decreto-legge n. 76 del 2013, con il quale, ferma restando l'applicazione dell'articolo 15, comma 4, del decreto-legge n. 102 del 2013 (il quale ha disposto l'ulteriore incremento, rispetto alle misure previste dalle disposizioni di legge vigenti, dell'acconto dell'IRES di 1,5 punti percentuali per il periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2013 e per quello successivo), per il periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2013 viene aumentata al 128,5 per cento la misura dell'acconto dell'imposta sul reddito delle società (IRES) per:
   gli enti creditizi e finanziari di cui al decreto legislativo n. 87 del 1992;
   la Banca d'Italia;
   le società e gli enti che esercitano attività assicurativa.

  Complessivamente, a seguito dei molteplici incrementi d'acconto cumulatisi, per il periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2013, gli esercenti attività finanziarie, creditizie e assicurative e la Banca d'Italia effettuano il versamento dell'acconto dell'IRES nella misura del 130 per cento, mentre tutti gli altri soggetti IRES lo effettuano nella misura del 102,5 per cento.
  Per il periodo d'imposta 2014, invece, tutti i soggetti IRES, compresi quelli esercenti attività nei settori finanziari, creditizi e assicurativi, calcoleranno l'acconto dell'IRES (e, conseguentemente, dell'IRAP) in misura pari al 101,5 per cento.
  In tale contesto evidenzia come gli incrementi delle percentuali di acconto previsti per le imposte sui redditi abbiano effetto anche ai fini dell'imposta sul reddito delle attività produttive (IRAP). Infatti, ai fini IRAP, per esplicita previsione dell'articolo 30, comma 3, del decreto legislativo n. 446 del 1997, gli acconti devono essere versati con le modalità e nei termini stabiliti per le imposte sui redditi. Ciò comporta che ai sensi del comma 1, per il periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2013, anche la misura dell'acconto IRAP per i soggetti IRES è incrementata al 128,5 per cento.
  Il comma 2 prevede, nei confronti degli stessi soggetti interessati dalla disposizione di cui al comma 1 (enti creditizi, finanziari e assicurativi e la Banca d'Italia), per il periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2013, un'addizionale dell'aliquota IRES di 8,5 punti percentuali. Pertanto, per tali soggetti l'aliquota ordinaria IRES del 27,5 per cento sarà innalzata al 36 per cento.
  La disposizione specifica che l'addizionale non è dovuta sulle variazioni in aumento derivanti dall'applicazione dell'articolo 106, comma 3, del TUIR (ai sensi del quale per gli enti creditizi e finanziari le svalutazioni dei crediti risultanti in bilancio, per l'importo non coperto da garanzia assicurativa, che derivano dalle operazioni di erogazione del credito alla clientela – compresi i crediti finanziari concessi a Stati, banche centrali o enti di Stato esteri destinati al finanziamento delle esportazioni italiane o delle attività ad esse collegate – sono deducibili in quote costanti nell'esercizio in cui sono contabilizzate e nei quattro successivi).
  Il comma 3 detta disposizioni specifiche per i soggetti che hanno esercitato l'opzione per la tassazione di gruppo e per la trasparenza fiscale di cui, rispettivamente, agli articoli 117 e 115 del TUIR (l'opzione per la tassazione di gruppo consente di determinare l'IRES in modo unitario con riferimento al gruppo societario cui appartengono i soggetti interessati, effettuando la somma algebrica dei redditi complessivi netti, opportunamente rettificati, di ciascuno dei soggetti aderenti, mentre l'opzione per il regime di trasparenza fiscale comporta che il reddito della società non è tassato in capo alla società stessa, bensì sono imputati a ciascun socio gli utili o le perdite, in proporzione alla quota di possesso, a prescindere dall'effettiva percezione).
  In tale contesto il comma 3 prevede che:
   i soggetti i quali hanno esercitato l'opzione per la tassazione di gruppo e i soggetti che hanno esercitato, in qualità di Pag. 72partecipati, l'opzione per la trasparenza fiscale assoggettano autonomamente il proprio reddito imponibile all'addizionale e provvedono al relativo versamento;
   i soggetti che hanno esercitato l'opzione per la trasparenza fiscale in qualità di partecipanti assoggettano il proprio reddito imponibile all'addizionale senza tener conto del reddito imputato dalla società partecipata.

  Il comma 4 proroga il termine di scadenza per versamento della seconda o unica rata di acconto IRES dovuta per il periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2013, prevedendo che essa sia versata entro il 10 dicembre 2013.
  Per i soggetti il cui periodo d'imposta non coincide con l'anno solare, il versamento deve invece essere effettuato entro il decimo giorno del dodicesimo mese dello stesso periodo d'imposta. La rata di acconto viene determinata in misura corrispondente alla differenza fra l'acconto complessivamente dovuto e l'importo dell'eventuale prima rata di acconto
  Anche in tale ipotesi segnala come la proroga dei termini di versamento IRES abbia effetto sul versamento della seconda o unica rata di acconto IRAP, in virtù del richiamo contenuto nell'articolo 30, comma 3, del decreto legislativo n. 446 del 1997, secondo cui ai fini IRAP gli acconti devono essere versati con le modalità e nei termini stabiliti per le imposte sui redditi.
  Al riguardo ricorda che, in base alla disciplina ordinaria, i versamenti a saldo e l'eventuale primo acconto IRES devono essere eseguiti entro il 16 del sesto mese successivo a quello di chiusura del periodo d'imposta, oppure entro il trentesimo giorno successivo, maggiorando le somme dello 0,40 per cento a titolo di interesse corrispettivo; l'acconto è pagato in due rate, salvo che il versamento da eseguire alla scadenza della prima non superi i 103 euro. In questo caso, il 40 per cento dell'acconto dovuto è versato alla scadenza della prima rata e il residuo importo alla scadenza della seconda, cioè entro l'ultimo giorno dell'undicesimo mese successivo a quello di chiusura del periodo d'imposta cui si riferisce la dichiarazione.
  Il comma 5 prevede che i soggetti i quali applicano l'imposta sostitutiva sul regime del risparmio amministrato (si tratta dell'imposta sostitutiva dovuta sulle plusvalenze realizzate, con esclusione di quelle relative a depositi in valuta, nei caso in cui i titoli, quote o certificati siano in custodia o in amministrazione presso banche e società di intermediazione mobiliare e altri soggetti individuati in appositi decreti ministeriali) sono tenuti, entro il 16 dicembre di ciascun anno, al versamento di un importo, a titolo di acconto, pari al 100 per cento dell'ammontare complessivo dei versamenti dovuti nel periodo gennaio-novembre dello stesso anno, ai sensi dell'articolo 6, comma 9, del decreto legislativo n. 461 del 1997. Il versamento effettuato può essere scomputato, a decorrere dal 1o gennaio dell'anno successivo, dai versamenti della stessa imposta sostitutiva.
  Il comma 6 modifica la clausola di salvaguardia contenuta nel comma 4 dell'articolo 15 del decreto-legge n. 102 del 2013 (ai sensi della quale, qualora il gettito atteso dall'IVA e dalla definizione agevolata in appello dei giudizi di responsabilità amministrativo-contabile, previsto dagli articoli 13 e 14 dello stesso decreto-legge n. 102 sia inferiore a quello necessario a garantire la copertura finanziaria del provvedimento, il Ministro dell'economia e delle finanze, entro il mese di novembre 2013, stabilisce con proprio decreto l'aumento della misura degli acconti ai fini dell'IRES e dell'IRAP, e l'aumento delle accise di cui alla Direttiva del Consiglio 2008/118/CE). In tale contesto la modifica recata dal comma 6 prevede che, a seguito del monitoraggio sulle entrate, il Ministro dell'economia e delle finanze, con proprio decreto, da emanare entro il 2 dicembre 2013, stabilisca l'aumento della misura degli acconti IRES e IRAP, dovuti per i periodi d'imposta 2013 e 2014, e l'aumento, a decorrere dal 1o gennaio 2015, delle predette accise, in misura tale da assicurare il conseguimento degli obiettivi anche ai fini della eventuale compensazione Pag. 73delle minori entrate che si dovessero generare per effetto dell'aumento degli acconti.
  L'articolo 3 detta disposizioni in materia di dismissione di immobili pubblici, soprattutto semplificando la procedura relativa alla vendita a trattativa privata anche in blocco.
  In particolare, il comma 1, ai fini della valorizzazione degli immobili pubblici oggetto di dismissione, nonché, a seguito delle integrazioni apportate al Senato, allo scopo di prevenire nuove urbanizzazioni e di ridurre il consumo di suolo, dispone che alle alienazioni di immobili di cui all'articolo 11-quinquies del decreto-legge n. 203 del 2005, si applichino le disposizioni recate dall'articolo 40, comma 6, della legge n. 47 del 1985, che consentono la sanatoria di irregolarità successivamente al trasferimento.
  Al riguardo ricorda che l'articolo 11-quinquies del decreto-legge n. 203 del 2005 ha dettato disposizioni in materia di dismissione di immobili pubblici, la cui alienazione è considerata urgente con prioritario riferimento a quelli il cui prezzo di vendita sia determinato secondo criteri e valori di mercato. In base alla norma il Ministero dell'economia e delle finanze, con decreto dirigenziale, di concerto con le amministrazioni che li hanno in uso, autorizza l'Agenzia del demanio a vendere con le modalità di cui all'articolo 7 del decreto-legge n. 282 del 2002, ovvero a trattativa privata, anche in blocco, i beni immobili ad uso non abitativo appartenenti al patrimonio pubblico.
  Il citato articolo 40, comma 6, della legge n. 47 del 1985 prevede invece che, qualora l'immobile rientri nelle previsioni di sanabilità e sia oggetto di trasferimento derivante da procedure esecutive, può essere presentata domanda di sanatoria. Tale disposizione prevede un termine di centoventi giorni dall'atto di trasferimento dell'immobile per la presentazione della domanda di sanatoria: il predetto termine viene peraltro derogato dal comma 1 dell'articolo 3, che consente di presentare la domanda di sanatoria entro un anno dall'atto di trasferimento dell'immobile.
  Fa presente come la ratio complessiva del comma 1 sia quella di agevolare la dismissione di immobili pubblici caratterizzati dalla carenza di un titolo edilizio «ordinario» e da una conseguente situazione di non conformità edilizia. A tal fine, la disposizione in esame intende consentire all'acquirente dell'immobile di usufruire della possibilità di sanare le irregolarità edilizie – nei limiti delle previsioni di sanabilità – successivamente al trasferimento, con impatto positivo sul valore degli immobili (dato che un immobile irregolare dal punto di vista edilizio e non è sanabile subisce un notevole deprezzamento sul mercato).
  Il comma 2 interviene sulla disciplina della dismissione in blocco di immobili pubblici ai sensi del già citato articolo 11-quinquies del decreto-legge n. 203 del 2005, apportando alcune modifiche al comma 1.
  In particolare, la lettera a) del comma introduce la possibilità per l'Agenzia del demanio, previa autorizzazione del Ministero dell'economia e delle finanze, di vendere a trattativa privata (anche in blocco), anche i beni immobili ad uso prevalentemente non abitativo appartenenti al patrimonio pubblico.
  La precisazione sull'uso prevalentemente non abitativo consentirebbe di superare criticità emerse nei casi in cui l'immobile sia adibito ad uso non abitativo ma comprenda, ad esempio, locali adibiti a custodia o foresteria (quali caserme dimesse presidiate da un addetto alla custodia che vi alloggia).
  La lettera b) estende il meccanismo di dismissione individuato dal citato articolo 11-quinquies agli immobili degli enti territoriali.
  In tale ipotesi viene previsto, pertanto, che gli enti territoriali interessati individuino, con apposita delibera, gli immobili che intendono dismettere; con tale delibera viene conferito mandato al Ministero dell'economia e delle finanze per l'inserimento nel decreto dirigenziale che autorizza alla vendita in blocco.
  Nel corso dell'esame al Senato la norma è stata integrata prevedendo inoltre Pag. 74il divieto di alienazione di immobili attraverso la procedura richiamata alle società la cui struttura non consente l'identificazione di soggetti (persone fisiche o società) che ne detengono la proprietà o il controllo. La norma specifica che l'utilizzo di società anonime, aventi sede all'estero, nelle suddette operazioni immobiliari è vietato e costituisce causa di nullità dell'atto di trasferimento. Prevede inoltre che, fermi restando i controlli già previsti dalla vigente normativa antimafia, sono esclusi dalla trattativa privata i soggetti che siano stati condannati, con sentenza irrevocabile, per reati fiscali o tributari.
  Il comma 2-bis, introdotto nel corso dell'esame al Senato, inserisce un nuovo articolo 33-ter nel decreto-legge n. 98 del 2011, il quale, con riferimento ai fondi di cui all'articolo 33, commi 1, 8-bis, 8-ter e 8-quater, e a quelli di cui all'articolo 33-bis, gestiti in forma separata e autonoma dall'amministrazione della società di cui all'articolo 33, comma 1, prevede che essi operano sul mercato in regime di libera concorrenza.
  In sostanza la novella specifica che i fondi immobiliari gestiti dalla Invimit SGR, finalizzati alla valorizzazione e alla dismissione degli immobili pubblici, operano sul mercato in regime di libera concorrenza.
  Il comma 2-ter, inserito anch'esso dal Senato, aggiunge un nuovo comma 1-bis nell'articolo 66 del decreto-legge n. 1 del 2012, il quale ha previsto una nuova disciplina di alienazione, in via prioritaria ai giovani agricoltori, dei terreni agricoli di proprietà dello Stato e degli enti pubblici nazionali non utilizzabili per altre finalità istituzionali; in alternativa alla vendita si potrà disporre la locazione dei terreni. In tale ambito la novella prevede che il decreto ministeriale con il quale sono individuati i terreni agricoli di proprietà dello Stato e degli enti pubblici nazionali non utilizzabili per altre finalità istituzionali da alienare o locare a cura dell'Agenzia del demanio, per i quali è riconosciuto il diritto di prelazione ai giovani imprenditori agricoli, deve essere adottato, in sede di prima applicazione, entro e non oltre il 30 aprile 2014.
  I commi da 2-quater a 2-septies, inseriti a loro volta durante l'esame al Senato, prevedono che i Ministeri interessati individuano e comunicano all'Agenzia del demanio gli immobili di rilevante interesse culturale, paesaggistico e ambientale in ordine ai quali ritengano prioritario mantenere la proprietà dello Stato, ai fini della sospensione delle eventuali procedure di dismissione o conferimento a SGR dei beni da sottoporre a tutela. Tali norme, tuttavia, in relazione ai processi di dismissione finalizzati ad obiettivi di finanza pubblica, non devono comunque determinare una riduzione dell'introito complessivo connesso ai suddetti processi di dismissione.
  In particolare, il comma 2-quater affida al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo (MIBAC) il compito di individuare, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, nell'ambito dei beni immobili di proprietà dello Stato, anche valutando le segnalazioni provenienti da regioni, enti locali e associazioni portatrici di interessi diffusi, i beni di rilevante interesse culturale o paesaggistico in ordine ai quali ritenga prioritario mantenere la proprietà dello Stato ed avviare procedimenti di tutela e valorizzazione ai sensi delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio.
  Analogamente, il comma 2-quinquies assegna al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, il compito di individuare, nell'ambito dei beni immobili di proprietà dello Stato, anche valutando le segnalazioni provenienti da regioni, enti locali e associazioni portatrici di interessi diffusi, i beni di rilevante interesse ambientale in ordine ai quali ritenga prioritario mantenere la proprietà dello Stato ed avviare procedimenti rivolti all'istituzione di aree naturali protette o all'integrazione territoriale di aree naturali protette già istituite.Pag. 75
  Il comma 2-sexies prevede che i due Ministri competenti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, comunicano all'Agenzia del demanio l'avvio dei procedimenti sopra descritti. Entro e non oltre due mesi dal ricevimento della suddetta comunicazione l'Agenzia del demanio procede conseguentemente alla sospensione di eventuali procedure di dismissione o conferimento a società di gestione dei beni da sottoporre a tutela, già avviate.
  Il comma 2-septies stabilisce che le norme di cui ai commi da 2-quater a 2-sexies non devono comunque determinare una riduzione dell'introito complessivo connesso ai processi di dismissione finalizzati ad obiettivi di finanza pubblica.
  Al riguardo, rammenta che la legge di stabilità 2014 ha previsto la definizione da parte del Governo di un programma straordinario di cessioni di immobili pubblici, compresi quelli detenuti dal Ministero della difesa e non utilizzati per finalità istituzionali. Tale programma, da definire entro 60 giorni dal 1o gennaio 2014 (data di entrata in vigore della legge), dovrà consentire introiti per il periodo 2014-2016 non inferiori a 500 milioni di euro annui.
  Ricorda, inoltre, che nel quadro del decreto-legge n. 120 del 2013, finalizzato a riportare il deficit del bilancio 2013 entro un valore non superiore al 3 per cento del PIL, la Relazione tecnica fa riferimento a un programma di dismissioni immobiliari per complessivi 525 milioni di euro, da adottare con procedure a legislazione vigente, da realizzare entro il 2013. Fa presente come, nel corso della conversione del decreto-legge n. 120, il Governo abbia chiarito che tali dismissioni avverranno secondo la procedura già utilizzata in occasione di precedenti analoghe operazioni, ovvero con vendita a trattativa privata anche in blocco (articolo 11-quinquies del decreto-legge n. 203 del 2005).
  L'articolo 4, modificato durante l'esame del provvedimento al Senato, detta disposizioni concernenti il capitale della Banca d'Italia.
  In particolare, il comma 1 ribadisce che la Banca d'Italia è:
   istituto di diritto pubblico (ai sensi dell'articolo 20 del regio decreto-legge n. 375 del 1936 e dell'articolo 19 della legge n. 262 del 2005);
   banca centrale della Repubblica italiana e parte integrante del Sistema Europeo di Banche Centrali (ai sensi dell'articolo 2 del decreto legislativo n. 43 del 1998 e dell'articolo 19 della legge n. 262 del 2005);
   autorità nazionale competente nel meccanismo di vigilanza unico di cui all'articolo 6 del Regolamento (UE) n. 1024/2013 del Consiglio del 15 ottobre 2013.

  Inoltre la norma ribadisce che la Banca d'Italia è indipendente nell'esercizio dei suoi poteri e nella gestione delle sue finanze, analogamente a quanto previsto per la BCE dall'articolo 282, paragrafo 3, del Trattato UE.
  Il comma 2 autorizza la Banca d'Italia ad aumentare il proprio capitale, mediante utilizzo delle riserve statutarie, all'importo di 7,5 miliardi di euro.
  Ricorda che il previgente valore del capitale della Banca d'Italia, ai sensi dell'articolo 20 del regio decreto-legge n. 375 del 1936 (abrogato dall'articolo 6, comma 2, del decreto-legge) ammontava a trecento milioni di lire, rappresentato da trecentomila quote di mille lire ciascuna interamente versate; ai sensi del previgente articolo 3 dello Statuto della Banca d'Italia il capitale ammontava a 156.000 euro, suddiviso in quote di partecipazione nominative di 0,52 euro ciascuna.
  Secondo la Relazione illustrativa la norma determina «in modo trasparente il valore corrente delle quote sulla base dei diritti riconosciuti ai partecipanti nell'attuale contesto giuridico-istituzionale della Banca d'Italia (...) Questa operazione realizza una definitiva rivalutazione del valore dal capitale a suo tempo conferito dai soggetti partecipanti, secondo le loro legittime aspettative, non diversamente da qualunque altro investitore e non comporta Pag. 76alcun trasferimento di risorse pubbliche dalla Banca agli stessi partecipanti». La stessa Relazione illustrativa ricorda inoltre che il nuovo ammontare del capitale fissato dalla norma è stato considerato congruo da una commissione di esperti indipendenti e qualificati.
  Per effetto delle modifiche apportate al provvedimento al Senato viene specificato che il capitale, a seguito dell'aumento, verrà rappresentato da quote nominative di nuova emissione, di un importo che al Senato è stato innalzato da 20.000 a 25.000 euro ciascuna.
  A tale proposito evidenzia, anche al fine di facilitare l'esame del provvedimento, come l'aumento di capitale della Banca avrà effetti sul patrimonio di vigilanza delle banche partecipanti solo a partire dal 2015: pertanto nel corso del 2014 potranno essere valutati eventuali aggiornamenti alle norme del decreto-legge afferenti a tale aspetto, per apportarvi eventuali correzioni, che potranno dunque aver luogo anche attraverso altri provvedimenti.
  Su un piano generale ricorda quindi come il dibattito sul capitale della Banca d'Italia e, segnatamente, sulla partecipazione allo stesso, risulti particolarmente ampio e risalente, a partire dalle decisioni che furono assunte nel 1936 con l'approvazione di un nuovo Statuto della Banca. A tale proposito si possono richiamare due posizioni teoriche, una delle quali prevede che la Banca centrale sia interamente posseduta da soggetti pubblici, mentre l'altra, seguita dalla citata normativa italiana del 1936, prevede una maggiore distanza dell'assetto proprietario della Banca centrale rispetto ai poteri pubblici secondo uno schema che è stato avvicinato, sia pure impropriamente, a quello della public company. L'assetto scelto nel 1936 costituisce, a suo giudizio, una delle migliori realizzazioni assunte in un regime politico, quello dell'epoca, che non può certo essere rimpianto, ma ha subito, nel corso dei decenni, una torsione conseguente al processo di aggregazione bancaria avviato negli anni 90 del secolo scorso e che ha portato a concentrare oltre il 50 per cento delle quote di partecipazione al capitale della Banca d'Italia in mano a due soli gruppi bancari. Quest'ultima circostanza stona evidentemente con il principio di indipendenza delle banche centrali facenti parte del Sistema europeo delle Banche centrali sancito dai Trattati europei, tant’è che già nel 2005, con la legge n. 262, si era tentato di intervenire su tale aspetto, unitamente ad altre storiche modifiche nell'assetto interno della Banca d'Italia. In particolare, con quell'intervento normativo si stabiliva che il Ministero dell'economia e delle finanze procedesse alla quantificazione del valore delle quote di capitale della Banca d'Italia, ai fini del suo riacquisto, dettando una previsione che, tuttavia, non è stata mai applicata.
  L'aumento del capitale della Banca d'Italia previsto dall'articolo 4 del decreto-legge riporta dunque il dibattito politico intorno ai temi della pubblicizzazione o meno della proprietà della Banca stessa, le cui conclusioni sono evidentemente condizionate dalla fiducia che si abbia relativamente alla maggiore o minore vicinanza dell'Istituto rispetto alla mano pubblica. In tale quadro il decreto-legge consiste, per questo profilo, nella riforma dell'assetto definito nel 1936, in un'ottica di rivisitazione e correzione delle scelte allora compiute, mantenendo comunque una certa distanza tra la proprietà della Banca e l'autorità governativa, valorizzando in tal modo il ruolo dei corpi intermedi, quali appunto la Banca d'Italia che rappresenta un importante luogo di formazione di una classe dirigente competente, selezionata in base al merito.
  Ritiene quindi che il modello proposto dal Governo con il decreto-legge risulti condivisibile e che la quantificazione della rivalutazione del capitale della Banca sia stato realizzato attraverso un metodo articolato, che ha consentito di definire una «forchetta» di valori nell'ambito dei quali l'Esecutivo ha ritenuto di stabilire in 7,5 miliardi l'ammontare dell'aumento di capitale.
  Passando quindi ad aspetti più di dettaglio, rileva come il comma 3 fissi un Pag. 77tetto massimo ai dividendi, corrisposti annualmente, pari al 6 per cento del capitale.
  Al riguardo ritiene opportuno richiamare come il Governatore della Banca d'Italia, nell'Audizione dinanzi alla 6a Commissione Finanze del Senato svoltasi il 13 dicembre 2013, abbia affermato che, portando il capitale della Banca a 7,5 miliardi, l'ammontare massimo dei dividendi distribuibili ai partecipanti è di 450 milioni di euro. Rispetto alla situazione attuale, si passa da un dividendo ridotto, ma crescente indefinitamente negli anni futuri, a uno oggi più elevato ma soggetto a un tetto fisso nel tempo, mantenendo l'equivalenza tra il valore attuale dei due flussi di pagamenti. Inoltre, ricorda che nel corso dell'esame al Senato è stato chiarito come la Banca d'Italia non abbia intenzione di distribuire dividendi nel corso del 2014.
  Il comma 4, modificato durante l'esame al Senato, individua le categorie di investitori che possono acquisire le quote di partecipazione al capitale dell'Istituto.
  Si tratta in particolare di:
   banche aventi sede legale e amministrazione centrale in Italia; nella formulazione originaria del decreto, si consentiva la partecipazione anche alle banche con la sola sede legale italiana, nonché a quelle aventi sede legale e amministrazione centrale in uno Stato membro dell'Unione europea diverso dall'Italia;
   imprese di assicurazione e di riassicurazione aventi sede legale e amministrazione centrale in Italia; nella formulazione originaria del decreto, si consentiva la partecipazione anche alle imprese assicurative con la sola sede legale italiana, ovvero aventi sede legale e amministrazione centrale in uno Stato membro dell'Unione europea diverso dall'Italia;
   fondazioni bancarie di cui all'articolo 27 del decreto legislativo n. 153 del 1999;
   enti ed istituti di previdenza ed assicurazione aventi sede legale in Italia; rispetto alla norma vigente, è introdotta la possibilità di partecipazione da parte dei fondi pensione (istituiti in Italia ai sensi dell'articolo 4, comma 1, del decreto legislativo n. 252 del 2005): rispetto alla formulazione originaria del decreto-legge, le modifiche al Senato hanno invece escluso la possibilità di partecipare al capitale per i fondi pensione istituiti in UE ai sensi dell'articolo 15-ter dello stesso decreto legislativo n. 252 del 2005.

  La norma chiarisce altresì che tutte le banche possono partecipare al capitale dell'Istituto, mentre in precedenza solo le banche succedute nelle posizioni giuridiche delle aziende creditizie considerate dalla legge n. 375 del 1936 (casse di risparmio, istituti di credito di diritto pubblico, banche di interesse nazionale) risultavano pienamente legittimate al possesso delle quote.
  Il comma 4-bis, introdotto dall'altro ramo del Parlamento, dispone che, ove le banche e le imprese di assicurazione partecipanti al capitale della Banca d'Italia dovessero perdere il requisito di sede legale o di amministrazione centrale in Italia, si procederà alla vendita delle quote a favore di un soggetto in possesso dei requisiti di territorialità richiesti dalle norme, con sospensione del relativo diritto di voto fino alla vendita delle predette.
  Di conseguenza, a seguito delle modifiche apportate al Senato, viene esclusa – rispetto al testo originario del decreto- legge – la possibilità che banche, assicurazioni e fondi pensione di Stati membri dell'Unione europea partecipino al capitale della Banca.
  Esprime alcuni dubbi su tali previsioni, non ritenendo che la partecipazione di soggetti esteri al capitale della Banca debba risultare problematica, pur rilevando come ai rilievi critici espressi in merito da parte della Bundesbank si possa replicare che è comunque libera la possibilità, per tutti gli investitori, indipendentemente dalla loro nazionalità, di investire in azioni dei soggetti partecipanti al capitale della Banca d'Italia.
  Ai sensi del comma 5, anch'esso modificato al Senato, ciascun partecipante non può possedere una quota di capitale superiore al 3 per cento (il testo originario Pag. 78del decreto-legge indica un limite del 5 per cento) né direttamente né indirettamente.
  Durante l'esame al Senato è stato specificato che, ai fini del calcolo delle partecipazioni indirette, si deve far riferimento alle definizioni di controllo dettate dagli ordinamenti di settore dei quotisti.
  Per le quote in eccesso non spetta il diritto di voto e i relativi dividendi sono imputati alle riserve statutarie della Banca d'Italia.
  In merito evidenzia come attualmente possiedano quote di ammontare superiore al 5 per cento del capitale Intesa Sanpaolo S.p.A. (30,3 per cento), UniCredit S.p.A. (22,1 per cento), Assicurazioni Generali S.p.A. (6,3 per cento) e Cassa di Risparmio in Bologna S.p.A. (6,3 per cento), mentre l'INPS possiede quote pari al 5 per cento.
  La Relazione illustrativa segnala peraltro come il limite al diritto di voto sia inferiore a quello in precedenza previsto dallo Statuto, al fine di favorire la distribuzione del capitale fra i partecipanti.
  Ricorda che ai sensi del previgente articolo 9 dello Statuto della Banca d'Italia avevano diritto di intervenire all'assemblea i partecipanti titolari, da almeno tre mesi, di 100 o più quote di partecipazione. I partecipanti aventi diritto di intervenire avevano un voto per ogni 100 quote sino a 500 quote, ed un voto per ogni 500 quote in più delle 500, purché ne fossero titolari da non meno di tre mesi. Ciascun partecipante non aveva diritto in alcun caso a più di 50 voti. A seguito delle modifiche statutarie approvate alla luce delle disposizioni del decreto-legge, il novellato articolo 9 dello Statuto (che è stato modificato in ottemperanza alla previsione del comma 5 dell'articolo 6) ha invece assegnato il diritto di intervenire e votare in assemblea a coloro che sono iscritti nel registro dei partecipanti da almeno tre mesi. I partecipanti che siano titolari di un numero di quote inferiore allo 0,1 per cento del capitale possono intervenire ed esprimere il proprio voto solo facendosi rappresentare da un altro partecipante. Ogni partecipante avente diritto può intervenire per il tramite del proprio rappresentante legale o di altra persona, che non faccia parte del Consiglio superiore della Banca né del Collegio sindacale, munita di procura speciale. Ogni intervenuto non può rappresentare più di quattro partecipanti.
  Il comma 6, modificato al Senato, consente alla Banca d'Italia di acquistare temporaneamente le proprie quote di partecipazione e stipulare contratti aventi ad oggetto le medesime, al fine di favorire il rispetto dei limiti di partecipazione al proprio capitale fissati dal comma 5.
  Per tali quote il diritto di voto viene sospeso e i dividendi sono imputati alle riserve statutarie della Banca d'Italia.
  Tali operazioni sono autorizzate dal Consiglio Superiore, con il parere favorevole del Collegio Sindacale; sono effettuate con i soggetti appartenenti alle categorie di cui al comma 4; sono realizzate con modalità tali da assicurare trasparenza, parità di trattamento e, per effetto delle modifiche apportate al Senato, la salvaguardia del patrimonio della Banca d'Italia, con riferimento al presumibile valore di realizzo.
  Il comma 6-bis, inserito dal Senato, prevede che la Banca d'Italia riferisca annualmente al Parlamento in merito alle operazioni di partecipazione al suo capitale.
  L'articolo 5 detta disposizioni concernenti gli organi della Banca d'Italia. In particolare, il comma 1 stabilisce che l'Assemblea dei partecipanti e il Consiglio superiore della Banca d'Italia non abbiano ingerenza nelle materie relative all'esercizio delle funzioni istituzionali dell'Istituto (si tratta, in sostanza, delle funzioni pubbliche attribuite alla Banca d'Italia o al Governatore per il perseguimento delle finalità istituzionali dal Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea, dallo Statuto del SEBC e della BCE, dalla normativa dell'Unione Europea e dalla legge).
  In merito evidenzia come la norma riprenda, ampliandolo, il principio contenuto al comma 1 dell'articolo 5 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato n. 691 del 1947, secondo il quale il Consiglio superiore della Banca d'Italia (che è organo nominato dai partecipanti al capitale) Pag. 79non ha ingerenza nella materia devoluta dall'articolo 1 al Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (ossia la vigilanza in materia di tutela del risparmio, in materia di esercizio della funzione creditizia e in materia valutaria). Tale disposizione viene peraltro soppressa dall'articolo 6, comma 3, del decreto- legge.
  Il comma 2 prevede che il Consiglio Superiore della Banca d'Italia si compone del Governatore e di 13 consiglieri, nominati nelle assemblee dei partecipanti presso le sedi della Banca, fra i candidati individuati da un comitato costituito all'interno dello stesso Consiglio tra persone che posseggano i requisiti di indipendenza, onorabilità e professionalità previsti dallo Statuto della Banca d'Italia.
  Al riguardo ricorda che lo Statuto della Banca d'Italia, nella formulazione precedente, già prevedeva tale composizione del Consiglio superiore (Governatore e 13 consiglieri nominati nelle assemblee dei partecipanti presso le sedi della Banca): la novità apportata dal comma 2 consiste pertanto nell'istituzione di apposito comitato a cui viene affidato il compito di selezionare una lista di candidati, in possesso dei requisiti di indipendenza, onorabilità e professionalità, da sottoporre per l'elezione alle assemblee presso le sedi della Banca.
  L'articolo 6, modificato durante l'esame al Senato, reca abrogazioni e norme di coordinamento, alla luce delle disposizioni introdotte dal decreto-legge, nonché disposizioni concernenti il nuovo assetto e la governance della Banca d'Italia.
  In particolare, il comma 1 sostituisce l'articolo 114 del regio decreto n. 204 del 1910, che disciplina la partecipazione del governo alle sedute dell'Assemblea e del Consiglio della Banca d'Italia, sopprimendo i poteri di sospensione e di annullamento da parte del delegato governativo e del Ministro dell'economia e delle finanze sulle delibere dell'assemblea e del Consiglio superiore. Rimane invece l'obbligo, da parte della Banca d'Italia, di informare il Ministro dell'Economia e delle finanze riguardo alle convocazioni dell'assemblea generale dei partecipanti e alle adunanze del Consiglio superiore, così come viene mantenuto il potere governativo di inviare un proprio rappresentante (o un funzionario delegato dal Ministro dell'Economia e delle finanze) ad assistere alle assemblee ordinarie dei partecipanti ed alle sedute del Consiglio superiore dell'Istituto.
  Il comma 2 abroga una serie di disposizioni che risultano incompatibili con le modifiche apportate alla disciplina della Banca d'Italia dagli articoli 4 e 5. Tra le norme abrogate segnala in specie l'articolo 115 del regio decreto n. 204 del 1910, concernente il potere del Ministro dell'economia di sospendere ed annullare direttamente una deliberazione dell'Assemblea o del Consiglio ritenuta contraria alle leggi, agli statuti e ai regolamenti.
  I commi 3 e 4 abrogano inoltre:
   il comma 1 dell'articolo 5 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato n. 691 del 1947, ai sensi del quale il Consiglio superiore della Banca d'Italia non aveva ingerenza nella materia devoluta dall'articolo 1 al Comitato Interministeriale per il credito ed il risparmio (ossia in materia di tutela del risparmio, in materia di esercizio della funzione creditizia e in materia valutaria);
   il comma 3 dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 43 del 1998, il quale prevedeva che i poteri di sospensione e di annullamento previsti dagli articoli 114 e 115 del testo unico delle leggi sugli istituti di emissione non si applicassero alle determinazioni del Consiglio superiore della Banca d'Italia adottate nelle materie rientranti nelle competenze del SEBC e, in particolare, a quelle aventi per oggetto le banconote, le norme e le condizioni per le operazioni della Banca e la nomina dei corrispondenti della Banca all'interno e all'estero;
   il comma 10 dell'articolo 19 della legge n. 262 del 2005, il quale prevedeva la ridefinizione con regolamento dell'assetto proprietario della Banca d'Italia e la disciplina del trasferimento delle quote di Pag. 80partecipazione al capitale della Banca d'Italia in possesso di soggetti diversi dallo Stato o da altri enti pubblici.

  Il comma 5 prevede l'adeguamento dello Statuto della Banca d'Italia alle disposizioni introdotte dal decreto-legge, con le modalità previste dal decreto legislativo n. 43 del 1998 (il quale, all'articolo 10, comma 2, prevede che le modifiche dello statuto della Banca sono deliberate dall'assemblea straordinaria dei partecipanti e sono approvate dal Presidente della Repubblica con proprio decreto, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri), entro sei mesi dalla loro entrata in vigore (ovvero entro il 30 maggio 2014).
  La norma esplicita una serie di principi direttivi da tenere in considerazione per l'adeguamento statutario.
  A tale ultimo riguardo, anche a seguito delle modifiche apportate al Senato, tali principi criteri direttivi prevedono di:
   a) mantenere adeguati presidi patrimoniali alla rischiosità, in coerenza con gli orientamenti del SEBC;
   b) limitare i diritti patrimoniali dei partecipanti a quanto previsto all'articolo 4, commi 2 e 3 del decreto-legge (in materia di partecipazione al capitale e distribuzione di dividendi sugli utili netti);
   c) prevedere un periodo di adeguamento – non superiore a 36 mesi (nel testo originario del decreto-legge il termine era fissato a 24 mesi) – durante il quale, per le quote di partecipazione eccedenti la soglia del 3 per cento del capitale non spetta il diritto di voto, ma sono riconosciuti i relativi dividendi: tale periodo di adeguamento decorre dal completamento dell'aumento di capitale all'importo di euro 7.500.000.000;
   d) abrogazione della clausola di gradimento alla cessione delle quote, che può avvenire solo fra gli investitori autorizzati a detenere appartenenti alle categorie indicate all'articolo 4, comma 4 (banche aventi sede legale e amministrazione centrale in Italia; imprese di assicurazione e riassicurazione aventi sede legale e amministrazione centrale in Italia; fondazioni bancarie, enti ed istituti di previdenza ed assicurazione aventi sede legale in Italia e fondi pensione istituiti italiani).

  In forza di tale previsione il 23 dicembre 2013 l'assemblea straordinaria della Banca d'Italia ha deliberato un nuovo Statuto, che è stato approvato con decreto del Presidente della Repubblica del 27 dicembre 2013 e pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 31 dicembre 2013. Sulle proposte di modifiche statutarie è stata consultata la Banca centrale europea.
  In estrema sintesi, le principali innovazioni apportate dal nuovo Statuto riguardano:
   l'aumento di capitale a 7,5 miliardi di euro mediante utilizzo delle riserve statutarie;
   la limitazione dei diritti economici dei partecipanti alla distribuzione di dividendi annuali, a valere sugli utili netti, per un importo non superiore al 6 per cento del capitale;
   i soggetti legittimati a detenere quote del capitale della Banca;
   l'introduzione di un limite individuale al possesso di quote del capitale e la sterilizzazione dei diritti di governance ed economici per la parte detenuta in eccesso rispetto a tale limite;
   la facoltà per la Banca d'Italia di acquistare quote in via temporanea, al fine di favorire il rispetto del limite partecipativo.

  Lo Statuto ribadisce il principio, costantemente seguito nella prassi, che l'Assemblea dei partecipanti e il Consiglio superiore non hanno alcun potere di intervento sull'esercizio delle funzioni istituzionali della Banca, confermando la validità del sistema di governo dell'Istituto, Pag. 81che ne ha assicurato nel corso degli anni l'autonomia e l'indipendenza.
  Per quanto riguarda il Consiglio superiore, viene recepita l'indicazione legislativa di istituire al suo interno un Comitato nomine, con il compito di vagliare il possesso, da parte dei candidati alla nomina o alla rielezione, di specifici requisiti di professionalità, onorabilità e indipendenza. I requisiti, espressamente enunciati nello Statuto, recepiscono le prassi rigorose e altamente selettive fin qui seguite dalla Banca. Particolarmente analitica è la disciplina dell'indipendenza, che definisce una casistica articolata con riferimento al potere politico, agli organi di governo centrale e locale e ai soggetti vigilati, escludendo ogni forma di conflitto di interessi con la Banca.
  Il comma 6, al fine di costituire un mercato per le quote della Banca d'Italia, dispone che i partecipanti al capitale della Banca d'Italia, a partire dall'esercizio in corso al 30 novembre 2013 (data di entrata in vigore del decreto-legge) devono trasferire le relative quote, ove già non incluse, nel comparto delle attività finanziarie detenute per la negoziazione (portafoglio di trading), ai medesimi valori di iscrizione.
  Restano in ogni caso ferme le disposizioni di cui all'articolo 4 del decreto legislativo n. 38 del 2005, che obbliga alcune tipologie societarie (tra cui banche ed assicurazioni) a redigere il bilancio di esercizio in conformità ai princìpi contabili internazionali.
  Segnala al riguardo che l'articolo 1, comma 148, della legge di stabilità 2014 (legge n. 147 del 2013) dispone che al predetto trasferimento delle quote all'interno delle scritture contabili dei partecipanti al capitale della Banca d'Italia si applichino alcune disposizioni del decreto ministeriale 8 giugno 2011 e, in particolare, le disposizioni (di cui all'articolo 4) concernenti la valenza fiscale attribuita agli strumenti finanziari sottoposti a riclassificazione. In dettaglio, il citato articolo 4 del DM 8 giugno 2011 prevede che, ove uno strumento finanziario sia riclassificato in una delle categorie previste dallo IAS 39 (come nell'ipotesi in esame: la quota di partecipazione al capitale della Banca d'Italia è infatti classificata ex lege come attività detenuta per la negoziazione), che comporta il passaggio ad un diverso regime fiscale dello strumento stesso, il valore dello strumento finanziario iscritto nella nuova categoria, quale risultante da atto di data certa e, in ogni caso, dal bilancio d'esercizio approvato successivamente alla data di riclassificazione, assume rilievo fiscale; esso diventa dunque rilevante ai fini della determinazione delle imposte sui redditi e dell'IRAP.
  Il comma 6-bis, introdotto dal Senato, autorizza la Banca d'Italia a procedere alla dematerializzazione delle quote di partecipazione al proprio capitale. Il trasferimento delle quote ha luogo, previa verifica del rispetto dei requisiti di cui al comma 5, lettera d) (rispetto dei limiti di partecipazione al capitale, nonché della ricorrenza dei requisiti di onorabilità in capo agli esponenti e alla compagine sociale dei soggetti acquirenti), mediante scritturazione sui conti aperti dalla Banca d'Italia a nome dei partecipanti. La norma prevede l'applicazione dell'articolo 2355, quinto comma, del codice civile (secondo il quale il trasferimento si opera mediante scritturazione sui conti destinati a registrare i movimenti degli strumenti finanziari; in tal caso, se le azioni sono nominative, si applica il terzo comma e la scritturazione sul conto equivale alla girata) e, in quanto compatibili con le disposizioni del comma e dello Statuto della Banca d'Italia, le disposizioni di cui al titolo II, capo II, della parte III del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria – TUF – di cui al decreto legislativo n. 58 del 1998 (recante la disciplina della gestione accentrata in regime di dematerializzazione).
  Ai sensi del comma 6-ter, anch'esso introdotto dall'altro ramo del Parlamento, viene anticipata l'entrata in vigore del novellato Statuto della Banca d'Italia al 31 dicembre 2013 (in luogo dell'ordinario termine di vacatio legis del 15 gennaio 2014), disponendo contestualmente che il Pag. 82bilancio per l'anno 2013 della Banca sia redatto secondo le relative disposizioni.
  In tale contesto, segnala come la Banca centrale europea abbia espresso, il 27 dicembre 2013, un parere sul testo originario del decreto-legge, per quanto riguarda le norme relative alla Banca d'Italia.
  Nel parere, nel ribadire come il principio dell'indipendenza finanziaria sia uno degli aspetti dell'indipendenza delle banche centrali che fanno parte del Sistema europeo di banche centrali e come tale principio implichi altresì che le banche centrali nazionali siano sempre sufficientemente capitalizzate, la BCE, dopo aver preso atto che l'aumento di capitale della Banca d'Italia autorizzato dal comma 2 dell'articolo 4 è stato determinato in stretta cooperazione con la stessa Banca d'Italia, la quale ha istituito un Comitato di esperti di alto livello per valutare il valore corrente delle proprie quote, ha ritenuto che la valutazione compiuta dal predetto Comitato di esperti di alto livello, basata sul Dividend discount model, in cui sono formulate supposizioni in merito ai futuri dividendi nell'arco di un periodo superiore a 20 anni, implichi l'utilizzo di dati congetturali in ordine alla quantificazione dei parametri chiave, auspicando pertanto ulteriori dettagli sui presupposti quantitativi alla base della valutazione.
  In ogni caso, la BCE raccomanda alla Banca d'Italia di agire prudentemente e in conformità con i principi e gli obiettivi del SEBC all'atto di effettuazione dell'aumento di capitale.
  Con riferimento invece alle norme del comma 6 dell'articolo 4, le quali consentono alla Banca d'Italia di effettuare operazioni di acquisto temporaneo di quote di partecipazione al suo capitale, la BCE ha preso atto che tali operazioni di acquisto possono comportare un trasferimento di risorse finanziarie agli azionisti, raccomandando pertanto che esse, per quanto di carattere temporaneo, siano conformi a tutte le pertinenti normative dell'Unione.
  Per quanto concerne la collocazione delle partecipazioni nel comparto delle attività finanziarie detenute per la negoziazione, prevista dal comma 6 dell'articolo 6, la BCE auspica che la ricapitalizzazione risulti sempre pienamente conforme al quadro prudenziale e al sistema contabile dell'Unione europea, che non siano violate le regole sulla riclassificazione degli strumenti finanziari dettate dagli IAS e dagli IFRS, nonché una coerente applicazione dei principi guida dettati dagli IFRS in materia di stima del fair value degli stessi strumenti.
  L'articolo 7 reca alcune disposizioni di coordinamento in materia di accise, precisando che gli incrementi di accisa su birra, prodotti alcolici intermedi e all'alcole etilico, previsti a copertura di alcune norme di tutela dei beni culturali e del finanziamento del tax credit nel settore cinematografico (disposte dall'articolo 15, comma 2, lettere e-bis) e e-ter) del decreto-legge n. 91 del 2013).
  La norma precisa che gli incrementi di accisa previsti dalle citate lettere e-bis) ed e-ter) si riferiscono alle aliquote di accisa come rideterminate dall'articolo 25 del decreto-legge n. 104 del 2013.
  Conseguentemente l'accisa sui predetti prodotti si applicherà nelle seguenti misure:
   a) dal 1o marzo 2014:
    birra: euro 2,77 per ettolitro e per grado-Plato;
    prodotti alcolici intermedi: euro 80,71 per ettolitro;
    alcole etilico: euro 942,49 per ettolitro anidro;
   b) dal 1o gennaio 2015:
    birra: euro 3,04 per ettolitro e per grado-Plato;
    prodotti alcolici intermedi: euro 88,67 per ettolitro;
    alcole etilico: euro 1.035,52 per ettolitro anidro.

  L'articolo 8 reca la copertura finanziaria degli oneri recati dagli articoli 1 e 2 del decreto-legge, quantificati complessivamente in 2.163,097 milioni di euro per Pag. 83l'anno 2013 e 1.500,653 milioni di euro per l'anno 2014, ai quali si fa fronte a valere sulle maggiori entrate derivanti dallo stesso articolo 2, che detta disposizioni in materia di acconti di imposta.
  L'articolo 9 disciplina l'entrata in vigore del provvedimento (il 30 novembre 2013).
  In conclusione ritiene che, anche in considerazione della prossima scadenza, il 28 gennaio, del termine di conversione in legge del decreto, non sia possibile apportare modifiche alle norme del decreto-legge relative alla disciplina IMU. A tale proposito auspica che sia finalmente possibile concludere il laborioso processo di interventi normativi su tale imposta, aprendo una nuova fase di discussione sul tema, più generale, della finanza locale.
  Sottolinea, quindi, l'esigenza di assicurare la conversione delle norme del decreto-legge concernenti la Banca d'Italia, ribadendo, peraltro, come gli effetti dell'aumento di capitale previsto dall'articolo 4 del decreto-legge dispiegheranno effetti sulla patrimonializzazione delle banche partecipanti solo a partire dal 2015: in tale contesto, qualora dovessero emergere esigenze di correzione di tali previsioni su taluni aspetti tecnici rilevanti, ritiene possibile assumere l'impegno politico ad operare tali correzioni attraverso successivi veicoli normativi, di iniziativa governativa o parlamentare.

  Sebastiano BARBANTI (M5S), esprime innanzitutto le proprie perplessità sulla sussistenza del presupposto della necessità ed urgenza del complesso delle disposizioni contenute nel decreto-legge, con particolare riguardo all'assetto proprietario della Banca d'Italia. In merito, richiama le considerazioni svolte dal Ministro dell'economia Fabrizio Saccomanni e dal Governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco nel corso del ciclo di audizioni svolte al Senato, ricordando come entrambi abbiano sottolineato che l'attuale assetto proprietario della Banca d'Italia non presenta profili di rischio per l'indipendenza e per l'autonomia dell'Istituto stesso. Ricorda, altresì, come entrambi abbiano altresì escluso che la concentrazione del capitale della Banca in mano a pochi azionisti possa essere fonte di ingerenza da parte degli stessi nelle materie relative alle funzioni istituzionali dell'Istituto, evidenziando quindi come detta concentrazione costituisca esclusivamente fonte di erronee seppur persistenti «percezioni» al riguardo. A fronte di tale dichiarazioni si chiede se il Governo abbia ritenuto di adottare norme di tale rilievo sul capitale della Banca d'Italia in base a mere «percezioni».
  Anche in merito alla motivazione di fondo posta dal Governo alla base dell'operazione di aumento del capitale, ricorda come il Ministro Saccomanni abbia dapprima affermato che l'obiettivo del decreto-legge fosse il rafforzamento del patrimonio degli istituti di credito in vista degli stress test ai quali essi saranno sottoposti nel 2014 in base alle nuove norme in tema di Vigilanza unica bancaria, salvo successivamente affermare, nell'audizione svolta in Senato, probabilmente anche a seguito dei rilievi espressi dalla Bundesbank, che l'aumento di capitale non avrà effetto nel 2014 sul livello di patrimonializzazione delle banche partecipanti ai fini degli stress test su di esse.
  Entrando maggiormente nel dettaglio, considera censurabile sia il fatto che il capitale della Banca d'Italia venga aumentato utilizzando le riserve statutarie, e non, come avviene di solito in questi casi, a carico dei soci, garantendo dunque un significativo flusso di denaro pubblico a vantaggio delle banche partecipanti che potrebbe anche essere qualificato come una forma di aiuto di Stato, sia il metodo con cui il Comitato di esperti istituito dalla Banca d'Italia ha proceduto alla quantificazione dell'importo di 7,5 miliardi di euro a cui aumentare il capitale. Rileva infatti che, come rilevato anche dalla BCE nel parere espresso sul decreto-legge il 27 dicembre scorso, tale quantificazione sia stata effettuata sulla base di dati puramente congetturali in ordine ai parametri chiave.
  Con riguardo al tetto massimo ai dividendi distribuibili annualmente ai soci, Pag. 84fissato al 6 per cento del capitale, ricorda che le norme contenute dall'articolo 40 dello Statuto della Banca d'Italia, nella sua precedente formulazione, prevedevano di distribuire una somma, prelevata dai frutti degli investimenti delle riserve, non superiore al 4 per cento delle riserve stesse. Evidenzia inoltre come, sebbene permanga in capo al Consiglio superiore della Banca il potere di determinare discrezionalmente l'importo dei dividendi da distribuire annualmente, e nonostante le assicurazioni fornite in merito dall'Istituto stesso, non possa sussistere a oggi alcuna garanzia circa le decisioni che verranno in concreto assunte al riguardo, risultando pertanto del tutto incerto se i partecipanti accetteranno un basso livello di dividendi.
  In tale contesto ricorda che la maggior parte degli utili della Banca d'Italia derivino dal signoraggio da essa esercitato in qualità di istituto di emissione e che, nell'ultimo bilancio, essi sono ammontati a circa 2,5 miliardi di euro, dei quali solo 70 milioni sono stati distribuiti come dividendo ai soggetti partecipanti al capitale, laddove invece, a seguito dell'aumento del capitale disposto dal decreto-legge, secondo quanto affermato dallo stesso Ministro, gli utili potenzialmente distribuibili ammonteranno a 450 milioni di euro l'anno. Ritiene quindi necessario chiarire meglio il meccanismo di determinazione degli utili, la cui distribuzione ai partecipanti in misura più elevata che in passato ridurrà le entrate per lo Stato e sottrarrà impropriamente fondi all'autofinanziamento della Banca.
  In merito alla modifica, apportata dal Senato, con la quale è stata esclusa, rispetto al testo originario della norma, la possibilità che banche, assicurazioni e fondi pensione di Stati membri dell'Unione europea partecipino al capitale della Banca, sottolinea il caso di istituti quali BNL – BNP Paribas o Assicurazioni Generali, che hanno sede in Italia, ma il cui capitale azionario è in possesso di società non italiane. Evidenzia dunque come, per assicurare il possesso di quote della Banca esclusivamente da parte di società italiane, bisognerebbe effettuare una verifica sul controllo di fatto esercitato da società o gruppi stranieri sui partecipanti al capitale della stessa Banca.
  In merito al limite di partecipazione al capitale, fissato dal comma 5 dell'articolo 4 al 3 per cento e alla correlata sanzione, per le quote in eccesso, della non spettanza del diritto di voto e dell'imputazione dei relativi dividendi alle riserve statutarie della Banca d'Italia, sottolinea come tale previsione sanzionatoria sia in realtà vanificata da quanto previsto all'articolo 6, comma 5, lettera c), in base al quale lo Statuto dovrà prevedere un periodo di adeguamento non superiore a 36 mesi durante il quale ai partecipanti, per le quote eccedenti il 3 per cento del capitale, non spetta il diritto di voto, ma sono riconosciuti i relativi dividendi.

  Daniele CAPEZZONE, presidente, con riferimento al tema da ultimo trattato dal deputato Barbanti, sottolinea come la questione fondamentale da valutare riguardi le modalità attraverso le quali saranno vendute le quote del capitale della Banca d'Italia eccedenti il limite del 3 per cento.

  Sebastiano BARBANTI (M5S), riprendendo il suo intervento, segnala come allo stato, qualora la Banca d'Italia volesse riacquistare, ai sensi dell'articolo 4, comma 6, le quote eccedenti il predetto limite del 3 per cento, dovrebbe effettuare acquisti per oltre il 50 per cento del suo capitale, con un esborso di circa 4 miliardi di euro.
  In tale contesto segnala le possibili distorsioni che potrebbero derivare dalla circostanza che, ai sensi dell'articolo 10 del nuovo Statuto della Banca, l'assemblea ordinaria della Banca potrebbe essere validamente costituita alla presenza di un solo partecipante, atteso che, al momento, Intesa Sanpaolo detiene oltre il 30 per cento delle quote.
  Ritiene quindi che non sussistano i requisiti costituzionali di necessità e urgenza per quanto riguarda le norme del provvedimento relative alla Banca d'Italia, segnalando l'esigenza di valutare molto attentamente tali previsioni, che dovrebbero a suo giudizio essere stralciate dal testo.

Pag. 85

  Daniele CAPEZZONE, presidente, in merito alle ultime considerazioni del deputato Barbanti, evidenzia come non sia possibile procedere allo stralcio di norme contenute in decreti-legge e come lo strumento per incidere sul testo del provvedimento sia costituito dalla presentazione di proposte emendative di modifica o soppressione di parti dello stesso.

  Alessio Mattia VILLAROSA (M5S) sottolinea come sia innanzitutto necessario chiedersi quali siano i requisiti di straordinaria necessità e urgenza attinenti alle previsioni concernenti alla Banca d'Italia che hanno giustificato, ai sensi dell'articolo 77 della Costituzione, l'adozione di un decreto-legge in materia, considerato che la disciplina relativa al capitale della Banca d'Italia è stata fissata dal regio decreto del 1936 di approvazione dello Statuto della Banca.

  Il Sottosegretario Pier Paolo BARETTA, nel riservarsi di intervenire in termini più esaustivi sul provvedimento, invita a tenere conto del fatto che il decreto-legge è stato approfonditamente esaminato dal Senato, il quale vi ha apportato numerose modifiche.

  Daniele CAPEZZONE, presidente, sottolinea, sul piano del merito, come tra qualche anno gli italiani chiederanno al Parlamento e al Governo di dar conto delle decisioni assunte con il decreto-legge in esame, rispetto ai cui contenuti tutte le forze politiche saranno a chiamate a rispondere, in base alle rispettive responsabilità.
  Ricorda quindi che nell'odierna riunione dell'Ufficio di Presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, della Commissione, si è convenuto di chiedere alla Presidenza della Camera di posticipare da lunedì 20 gennaio a martedì 21 l'avvio della discussione dell'Assemblea sul provvedimento. In tale contesto si è altresì convenuto di procedere, nella giornata di giovedì 16, all'audizione del Ministro dell'Economia, il quale ha già dichiarato la sua disponibilità in merito, nonché di fissare il termine per la presentazione degli emendamenti alle ore 18 della stessa giornata di giovedì 16.
  Nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame alla seduta già convocata per la giornata di domani.

  La seduta termina alle 11.45.

AUDIZIONI INFORMALI

  Martedì 14 gennaio 2014.

Audizione del Presidente della CONSOB, nell'ambito dell'esame, in sede consultiva, del disegno di legge C. 1836, recante Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea – Legge di delegazione europea 2013 – secondo semestre e del disegno di legge C. 1864, recante Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea – Legge europea 2013-bis.

  L'audizione informale è stata svolta dalle 11.45 alle 12.35.

ATTI DEL GOVERNO

  Martedì 14 gennaio 2014. — Presidenza del presidente Daniele CAPEZZONE. – Interviene il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze Pier Paolo Baretta.

  La seduta comincia alle 12.35.

Schema di decreto legislativo recante recepimento della direttiva 2011/61/UE sui gestori di fondi di investimento alternativi, che modifica le direttive 2003/41/CE e 2009/65/CE e i regolamenti (CE) n. 1060/2009 e (UE) n. 1095/2010.
Atto n. 55.

(Rinvio del seguito dell'esame).

  Daniele CAPEZZONE, presidente, nel rinviare ad altra seduta il seguito dell'esame del provvedimento, informa che Pag. 86l'Assogestioni e l'ABI hanno inviato due note sullo schema di decreto legislativo, nella quale si formulano alcune considerazioni sul testo. Ritiene quindi utile porre tali documenti a disposizione di tutti i componenti della Commissione, al fine di disporre di maggiori elementi di valutazione ai fini dell'espressione del parere sullo schema di decreto.

  La seduta termina alle 12.40.

AVVERTENZA

  I seguenti punti all'ordine del giorno non sono stati trattati:

ATTI DEL GOVERNO

Schema di decreto legislativo recante recepimento della direttiva 2011/16/UE relativa alla cooperazione amministrativa nel settore fiscale e che abroga la direttiva 77/779/CEE.
Atto n. 43.

Schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2011/89/UE che modifica le direttive 98/78/CE, 2002/87/CE, 2006/48/CE e 2009/138/CE per quanto concerne la vigilanza supplementare sulle imprese finanziarie appartenenti a un conglomerato finanziario.
Atto n. 60.

ERRATA CORRIGE

  Nel Bollettino delle Giunte e delle Commissioni parlamentari n. 152 dell'8 gennaio 2014, a pagina 102, prima colonna, ventunesima riga, sostituire le parole da: «l'Assogestioni» fino a: «in precedenza,» con le seguenti «l'espressione del parere sullo schema di decreto legislativo».