CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 14 novembre 2013
122.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Giustizia (II)
COMUNICATO
Pag. 7

INDAGINE CONOSCITIVA

  Giovedì 14 novembre 2013. — Presidenza del presidente Donatella FERRANTI. — Interviene il sottosegretario di Stato alla giustizia Cosimo Maria Ferri.

  La seduta comincia alle 13.45.

Indagine conoscitiva in merito all'esame della proposta di legge C. 1063 Bonafede, recante disposizioni concernenti la determinazione e il risarcimento del danno non patrimoniale.
(Deliberazione).

  Donatella FERRANTI, presidente, sulla base di quanto convenuto dall'ufficio di Pag. 8presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, nella riunione del 30 ottobre scorso, ed essendo stata acquisita l'intesa con il Presidente della Camera ai sensi dell'articolo 144, comma 1, del Regolamento, propone lo svolgimento di un'indagine conoscitiva, ai sensi dell'articolo 79, comma 5, del Regolamento, in relazione alla proposta di legge C. 1063 Bonafede, recante disposizioni concernenti la determinazione e il risarcimento del danno non patrimoniale.
  Nel corso dell'indagine conoscitiva, la Commissione procederà alle audizioni di docenti universitari esperti delle materie oggetto della proposta di legge, di rappresentanti dell'avvocatura e della magistratura.

  La Commissione approva la proposta del presidente.

  La seduta termina alle 13.50

INDAGINE CONOSCITIVA

  Giovedì 14 novembre 2013. — Presidenza del presidente Donatella FERRANTI. — Interviene il sottosegretario di Stato alla giustizia Cosimo Maria Ferri.

  La seduta comincia alle 13.50.

Indagine conoscitiva in merito all'esame della proposta di legge C. 1063 Bonafede, recante disposizioni concernenti la determinazione e il risarcimento del danno non patrimoniale.
Audizione di Damiano Spera, magistrato del Tribunale di Milano, di Leonardo Pucci, magistrato del Tribunale di Potenza e di Emanuela Navarretta, ordinario di diritto privato e diritto privato europeo presso l'Università degli studi di Pisa.
(Svolgimento e rinvio).

   Donatella FERRANTI, presidente, avverte che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata oltre che attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, anche mediante la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la diretta sulla web-tv della camera dei deputati. Introduce, quindi, l'audizione.

  Svolgono una relazione sui temi oggetto dell'audizione Damiano SPERA, magistrato del Tribunale di Milano, Leonardo PUCCI, magistrato del Tribunale di Potenza e Emanuela NAVARRETTA, ordinario di diritto privato e diritto privato europeo presso l'Università degli studi di Pisa.

  Intervengono quindi i deputati Donatella FERRANTI, presidente, Alfonso BONAFEDE (M5S) e Andrea COLLETTI (M5S).

  Rispondono ai quesiti posti Emanuela NAVARRETTA, ordinario di diritto privato e diritto privato europeo presso l'Università degli studi di Pisa, Leonardo PUCCI, magistrato del Tribunale di Potenza, e Damiano SPERA, magistrato del Tribunale di Milano.

  Donatella FERRANTI, presidente, ringrazia gli auditi e dichiara conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.05.

  N.B.: Il resoconto stenografico della seduta è pubblicato in un fascicolo a parte.

SEDE REFERENTE

  Giovedì 14 novembre 2013. — Presidenza del presidente Donatella FERRANTI. — Interviene il sottosegretario di Stato alla giustizia Cosimo Maria Ferri.

  La seduta comincia alle 15.05.

Disposizioni in materia di responsabilità civile dei magistrati.
C. 1735 Leva.

(Esame e rinvio).

Pag. 9

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

  Danilo LEVA (PD), relatore, osserva come la proposta di legge in esame intervenga sulla materia della responsabilità civile dei magistrati, disciplinata dalla legge n. 117 del 1988 (cd. Legge Vassalli). In particolare, questa legge, approvata successivamente al referendum del novembre 1987 che ha comportato l'abrogazione della previgente disciplina, disciplina l'azione per fare valere la responsabilità civile dello Stato per i danni causati dalla condotta illecita di un magistrato.
  L'esigenza di modificare la disciplina vigente della responsabilità civile dei magistrati nasce da due diverse esigenze, che comunque hanno un medesimo minimo comune denominatore: l'esigenza delle parti che si ritengono danneggiate da provvedimenti di un magistrato adottati nell'esercizio delle sue funzioni di poter far valere le proprie ragioni in un processo di natura giurisdizionale. Naturalmente questa esigenza deve essere calata in un quadro costituzionale dove, ad esempio, l'esercizio di una funzione amministrativa è cosa ben diversa dall'esercizio della funzione giurisdizionale. Prima di passare alle due diverse esigenze alle quali ha fatto prima riferimento è opportuno affrontare, sia pure sinteticamente, questo punto.
  Con «responsabilità civile del magistrato» si intende la responsabilità di chi svolge funzioni giudiziarie nei confronti delle parti processuali o di altri soggetti, a seguito di eventuali errori o inosservanze nell'esercizio delle funzioni.
  La responsabilità civile del magistrato, come quella dei pubblici dipendenti, trova il suo fondamento nell'articolo 28 della Costituzione, secondo cui «I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici».
  La Corte costituzionale ha affermato che, nell'articolo 28 Cost., «trova affermazione «un principio valevole per tutti coloro che, sia pure magistrati, svolgono attività statale: un principio generale che da una parte li rende personalmente responsabili, ma dall'altra non esclude, poiché la norma rinvia alle leggi ordinarie, che codesta responsabilità sia disciplinata variamente per categorie o per situazioni». Scelte plurime, anche se non illimitate, in quanto la peculiarità delle funzioni giudiziarie e la natura dei relativi provvedimenti suggeriscono condizioni e limiti alla responsabilità dei magistrati, specie in considerazione dei disposti costituzionali appositamente dettati per la Magistratura (articoli 101 e 113), a tutela della sua indipendenza e dell'autonomia delle sue funzioni» (sentenza n. 26 del 1987; cfr. anche sentenza n. 2 del 1968 e sentenza n. 468 del 1990). Per tali ragioni la disciplina della responsabilità civile dei magistrati non può essere la medesima che trova applicazione per gli altri funzionari e dipendenti pubblici. Tuttavia, è ben chiaro che peculiarità di disciplina non può significare assenza di responsabilità. L'assunto secondo il quale il magistrato che «sbaglia» deve pagare è sostanzialmente corretto e da tutti condiviso, ma è anche troppo generico, in quanto la questione vera è capire quando si può dire che un magistrato ha sbagliato in maniera tale da essere considerato civilmente responsabile.
  La circostanza che il referendum del novembre 1987 abbia comportato l'abrogazione della previgente disciplina, in quanto fortemente limitativa dei casi di responsabilità civile del giudice non significa che la volontà popolare sia da interpretare nel senso che non vi debba essere una normativa specifica in materia valevole solo per i magistrati e che, quindi, vi debba essere una equiparazione tra i magistrati e gli altri dipendenti pubblici. Il significato di quel referendum è altro, per quanto siano legittime tutte le «letture politiche» che ad esso si vogliono dare: l'abrogazione degli articoli 55, 56 e 74 del codice civile in materia di responsabilità civile dei giudici. La volontà popolare è stata quella di abrogare quella disciplina e non altro. Una volta che queste norme Pag. 10sono state abrogate il legislatore ha dovuto colmare un vuoto normativo che si è venuto a creare sulla base di quelle considerazioni che sono state prima richiamate per sottolineare la peculiarità sotto il profilo costituzionale della responsabilità dei magistrati rispetto agli altri dipendenti pubblici.
  Il vuoto normativo prodotto dal referendum è stato quindi colmato dalla legge 13 aprile 1988, n. 117 (cosiddetta Legge Vassalli). A parte tutte le questioni estremamente delicate relative all'individuazione dei presupposti della responsabilità civile dei magistrati, il punto sul quale si è negli ultimi anni focalizzato il dibattito politico è quello relativo alla cosiddetta clausola di salvaguardia, secondo cui chi ha subito il danno ingiusto non può agire direttamente in giudizio contro il magistrato, ma deve agire contro lo Stato (articolo 2, comma 1). Lo Stato, a determinate condizioni, può esercitare l'azione di rivalsa nei confronti del magistrato (articolo 7). Come viene segnalato nella relazione di accompagnamento alla proposta di legge in esame, nel corso delle audizioni svoltesi nella scorsa legislatura alla Camera dei deputati in occasione della discussione del disegno di legge costituzionale dell'allora Ministro della giustizia Alfano, si è con forza contestato, anche da parte di prestigiosi giuristi e costituzionalisti, che si possa prevedere la responsabilità diretta del magistrato, a titolo di responsabilità civile, con una simbolica equiparazione del magistrato agli altri funzionari dello Stato. La questione è pertanto delineare la linea di confine oltrepassata la quale l'esercizio della funzione giurisdizionale possa comportare una responsabilità per il magistrato.
  Come si è detto, vi sono due esigenze che portano a modificare la Legge Vassalli.
  La prima è dettata dalla constatazione di fatto di una scarsa applicazione della Legge Vassalli, che induce a ritenere che la sua formulazione determini una sorta di limitazione ingiustificata, anche alla luce dei principi costituzionali, del diritto delle parti ad essere risarciti dei danni ingiustamente subiti a causa dell'esercizio della funzione giurisdizionale.
  L'altra esigenza è quella di cercare di recepire le indicazioni provenienti dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea.
  Ricorda, infatti, che il 24 novembre 2011 la Corte di giustizia dell'Unione europea ha deciso su una procedura di infrazione (causa C-379/10) promossa dalla Commissione europea nei confronti dello Stato italiano in merito alla disciplina italiana sulla responsabilità civile del magistrato. In particolare, la Corte ha rilevato che la disciplina italiana sul risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e sulla responsabilità civile dei magistrati, laddove esclude qualsiasi responsabilità dello Stato per violazione del diritto dell'Unione da parte di un organo giurisdizionale di ultimo grado, qualora tale violazione derivi dall'interpretazione di norme di diritto o dalla valutazione di fatti e di prove effettuate dall'organo giurisdizionale medesimo, e laddove limita tale responsabilità ai casi di dolo o di colpa grave, è in contrasto con il principio generale di responsabilità degli Stati membri per la violazione del diritto dell'Unione.
  Nella sentenza 13 giugno 2006, emessa nella causa C-173/03 (Traghetti del Mediterraneo), pronunciandosi in via pregiudiziale, la Corte di giustizia ha affermato che «Il diritto comunitario osta ad una legislazione nazionale che escluda, in maniera generale, la responsabilità dello Stato membro per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto comunitario imputabile a un organo giurisdizionale di ultimo grado per il motivo che la violazione controversa risulta da un'interpretazione delle norme giuridiche o da una valutazione dei fatti e delle prove operate da tale organo giurisdizionale».
  La Corte ha osservato che «Il diritto comunitario osta altresì ad una legislazione nazionale che limiti la sussistenza di tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave del giudice, ove una tale limitazione conducesse ad escludere la sussistenza della responsabilità dello Stato Pag. 11membro interessato in altri casi in cui sia stata commessa una violazione manifesta del diritto vigente, quale precisata ai punti 53-56 della sentenza 30 settembre 2003, causa C-224/01, Köbler».
  Alla luce della sentenza da ultimo indicata, al fine di determinare se questa condizione sia soddisfatta, il giudice nazionale investito di una domanda di risarcimento danni deve tener conto di tutti gli elementi che caratterizzano la situazione sottoposta al suo sindacato, e, in particolare, del grado di chiarezza e di precisione della norma violata, del carattere intenzionale della violazione, della scusabilità o inescusabilità dell'errore di diritto, della posizione adottata eventualmente da un'istituzione comunitaria nonché della mancata osservanza, da parte dell'organo giurisdizionale di cui trattasi, del suo obbligo di rinvio pregiudiziale ai sensi dell'articolo 234, terzo comma, CE, nonché della manifesta ignoranza della giurisprudenza della Corte di giustizia nella materia (sentenza Köbler, cit., punti 53-56).
  Ritiene opportuno chiarire che proprio la giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, nell'evidenziare l'intento di assicurare ai cittadini un rimedio risarcitorio completo per i danni subiti anche dall'esercizio della giurisdizione, definisce come essenziale che sia lo Stato e non il singolo giudice a rispondere in modo diretto per eventuali violazioni del diritto dell'Unione europea commesse nell'esercizio della giurisdizione.
  Sul punto dei rapporti tra l'esigenza di modificare la Legge Vassalli e la giurisprudenza europea si è soffermata la relazione di accompagnamento alla proposta di legge in esame. In questa si evidenzia che «in realtà la connessione risultante dalle sentenze citate con la legge sulla responsabilità civile dei magistrati è puramente occasionale e dipende dal fatto che concretamente, nell'ordinamento italiano, una norma di carattere generale circa la responsabilità dello Stato in relazione all'attività giurisdizionale è contenuta nella stessa legge sulla responsabilità civile del giudice e che le due responsabilità sono messe in collegamento, stante il diritto di rivalsa dello Stato sul magistrato entro un determinato limite quantitativo. È a tutti noto in proposito come la legge n. 117 del 1988 abbia avuto, per varie ragioni, una scarsissima applicazione e come la stessa preveda una responsabilità indiretta del magistrato per l'esercizio delle sue funzioni solo in caso di dolo o di colpa grave oppure per diniego di giustizia, stabilendo altresì che in nessun caso l'attività di interpretazione di norme di diritto o di valutazione del fatto e delle prove possa dare luogo a responsabilità (cosiddetta «clausola di salvaguardia»). (...) La Corte ha ritenuto che, allorché nell'esercizio di tali attività (interpretazione delle norme e valutazione dei fatti e delle prove) venga a realizzarsi una violazione manifesta del diritto vigente dell'Unione europea l'esclusione della responsabilità dello Stato si pone in contrasto con i princìpi della stessa Unione. È ovvio che tali affermazioni si riferiscono alla responsabilità dello Stato e non a quella del magistrato. Le specificazioni fornite dalla stessa Corte allo scopo di identificare cosa debba intendersi per «manifesta violazione» vengono a coincidere in larghissima parte con la nozione di «colpa grave» indicata dalla legge, che forse potrebbe essere meglio allineata alle condotte previste nel nostro ordinamento giudiziario, a titolo di illecito disciplinare. La Corte ha specificato altresì che, allo scopo di valutare il carattere manifesto della violazione, deve farsi riferimento ai criteri della chiarezza e della precisione della norma violata, al carattere intenzionale della violazione del diritto europeo e alla non scusabilità dell'errore di diritto.».
  Si è voluto riportare fedelmente questo passaggio della relazione in quanto può essere utile per valutare la parte normativa della proposta di legge, la quale si muove proprio su quella linea.
  Prima di passare all'esame delle disposizioni della proposta di legge è opportuno ricordare che anche negli altri Paesi vi è una disciplina specifica per la responsabilità dei magistrati, che prevede Pag. 12una responsabilità diretta dello Stato. Sul punto si sofferma anche la relazione della proposta di legge.
  Per quanto attiene al contenuto della proposta di legge, l'articolo unico che la compone interviene sugli articoli 2, 5 e 7 della legge n. 117 del 1988 in modo da: equiparare, ai fini della responsabilità civile dello Stato, la condotta dei magistrati onorari a quella dei magistrati togati; ridefinire il concetto di colpa grave; limitare l'attuale clausola di salvaguardia, volta a individuare i casi in cui non si dà luogo a responsabilità; eliminare il filtro di ammissibilità della domanda di risarcimento danni, attualmente attribuito alla valutazione del tribunale distrettuale; integrare la disciplina dell'azione di rivalsa dello Stato.
  Analiticamente, la lettera a) modifica l'articolo 2 della legge n. 117 del 1988.
  La disposizione vigente afferma il principio della risarcibilità del danno ingiusto subito per effetto di un comportamento, atto o provvedimento giudiziario posto in essere da un magistrato con «dolo» o «colpa grave» nell'esercizio delle sue funzioni ovvero conseguente «a diniego di giustizia». Non possono dare luogo a responsabilità l'attività di interpretazione di norme di diritto e quella di valutazione del fatto e delle prove, ferme restando le ipotesi di possibile responsabilità disciplinare del magistrato in presenza di un'abnorme o macroscopica violazione di legge ovvero di uso distorto della funzione giudiziaria. Il comma 3 dell'articolo 2 specifica che costituiscono colpa grave: a) la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile; b) l'affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento; c) la negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento; d) l'emissione di provvedimento concernente la libertà della persona fuori dei casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione.
  In primo luogo, l'attuale rubrica dell'articolo 2 – Responsabilità per dolo o colpa grave – è sostituita con la rubrica Responsabilità dello Stato.
  In secondo luogo, modificando il comma 1 dell'articolo 2, la proposta di legge specifica che le disposizioni sulla responsabilità civile dello Stato si applicano non solo ai danni provocati da un atto del giudice togato, ma anche da quello compiuto da un magistrato onorario. Si ricorda, invece, che attualmente, in base all'articolo 7, comma 3, della legge n. 117 del 1988, i giudici di pace e i giudici popolari rispondono soltanto in caso di dolo; la disposizione è stata sul punto novellata.
  La proposta mantiene come presupposto della responsabilità civile dello Stato, oltre al diniego di giustizia, il dolo o la colpa grave del giudice nell'esercizio delle sue funzioni (comma 1). Tuttavia, modificando il comma 2 dell'articolo 2, corregge la c.d. clausola di salvaguardia, che attualmente esclude che l'attività di interpretazione di norme di diritto e l'attività di valutazione del fatto e delle prove possano dare luogo a responsabilità civile.
  La proposta esclude espressamente dalla salvaguardia i casi di dolo, nonché i casi nei quali si ledano i diritti fondamentali della persona attraverso: la manifesta violazione di norme di diritto. L'espressione è analoga all'attuale ipotesi di «grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile», prevista tra i casi di colpa grave dal comma 3, lettera a), che viene contestualmente soppressa; il travisamento del fatto. L'espressione sostituisce le attuali ipotesi – relative alla colpa grave – di «affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento», prevista dal comma 3, lettera b), e di «negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento», prevista dal comma 3, lettera c). Entrambe Pag. 13le lettere del comma 3 sono contestualmente soppresse; il travisamento di una prova.
  Inoltre, modificando il comma 3 dell'articolo 2, la proposta precisa che per colpa grave si intendono le ipotesi descritte al comma 2 (ovvero la manifesta violazione di norme di diritto, il travisamento del fatto e il travisamento di una prova), nonché l'emissione di provvedimenti concernenti la libertà della persona fuori dei casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione. In sostanza, la modifica richiama le ipotesi previste dal comma precedente e sopprime le tre specificazioni sulla grave violazione di legge e sull'esistenza di fatti esclusi o l'inesistenza di fatti acclarati, attualmente previste.
  La lettera b) dell'articolo unico della proposta di legge abroga l'articolo 5 della legge n. 177 del 1988, che attualmente subordina il risarcimento alla delibazione preliminare di ammissibilità della domanda (controllo presupposti, rispetto termini e valutazione di manifesta infondatezza) da parte del tribunale distrettuale.
  La lettera c) modifica l'articolo 7 della legge n. 117 del 1988, relativo all'azione di rivalsa dello Stato nei confronti del magistrato.
  Rispetto alla normativa vigente, la proposta di legge: elimina dal comma 1 ogni riferimento alla dichiarazione di ammissibilità della domanda, coordinando il testo con l'abrogazione dell'articolo 5; specifica che l'azione di rivalsa può essere esercitata dallo Stato nei confronti del magistrato solo se il fatto è commesso con dolo o colpa grave; elimina ogni riferimento ai giudici conciliatori e ai giudici popolari, in considerazione dell'inserimento all'articolo 2 della legge del richiamo alla magistratura onoraria. Mantiene il richiamo ai cittadini estranei alla magistratura, specificando per coordinamento con la novella dell'articolo 2, comma 3, che essi rispondono solo per dolo e nei casi di colpa grave per travisamento del fatto o di una prova.

  Donatella FERRANTI, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Misure per favorire l'emersione alla legalità e la tutela dei lavoratori delle aziende sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata.
C. 1138 d'iniziativa popolare.

(Esame e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

  Davide MATTIELLO (PD), relatore, cita preliminarmente l’incipit della proposta di iniziativa popolare oggi all'esame della Commissione, che costituisce parte di un pacchetto di iniziative legislative in materia di legalità formulato da CGIL, le ACLI, l'ARCI, Libera, Avviso pubblico, il Centro studi Pio La Torre, la Legacoop e SOS impresa: «Combattere l'illegalità economica significa prima di tutto aggredire i patrimoni della criminalità organizzata, restituirli alla collettività e porli alla base della costruzione di nuove relazioni economiche sane e legali, che pongano il lavoro e la dignità delle persone al centro di un nuovo percorso di riscatto civile e sociale. La legalità, quindi, è una precondizione per lo sviluppo economico, a maggior ragione per la fase di sofferenza che sta attraversando il nostro Paese. In Italia, infatti, l'economia sommersa, la pervasività della criminalità mafiosa, il malaffare e la corruzione hanno un costo pari a circa il 27 per cento del nostro prodotto interno lordo (PIL) (fonte: «Relazione sull'economia non osservata», 2011, dell'Istituto nazionale di statistica), un prezzo che costituisce una zavorra insostenibile, sempre più spesso scaricato sui lavoratori e sulle lavoratrici, sulle giovani generazioni e sui pensionati».
  Il tema di fondo oggetto del provvedimento è il riuso sociale delle aziende sequestrate e confiscate alla criminalità mafiosa. Come si legge nella relazione, si assiste oggi a un paradosso: attività economiche simbolo del potere mafioso una Pag. 14volta sequestrate dallo Stato non sono in grado di divenire modelli di legalità economica e quindi non sono neanche in grado di assicurare sicurezza sociale ai lavoratori e alle lavoratrici coinvolti. Ciò avviene in quanto beni e aziende confiscate vengono abbandonati subito dopo l'emissione del provvedimento giudiziario. Allo stato attuale a fallire è più del 90 per cento delle attività produttive oggetto di un provvedimento di sequestro prima e di confisca poi. Bisogna necessariamente invertire questa tendenza.
  L'emersione alla legalità dell'azienda mafiosa è pagata, in primis, dai dipendenti che spesso perdono il proprio posto di lavoro. Più in generale, la governance dell'azienda, sia nella fase giudiziaria che in quella sotto il controllo dell'Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati, incontra gravi difficoltà nel proseguire l'attività imprenditoriale. L'applicazione della misura di prevenzione provoca l'allarme dei clienti, che cercano di dirottare altrove le commesse; dei fornitori, che tendono a reclamare immediatamente il saldo dei crediti vantati verso l'impresa; delle banche, che spesso revocano le linee di credito concesse all'azienda, negandone di nuove.
  La proposta di legge in esame – composta da 10 articoli – appresta una serie di misure volte a porre rimedio alle illustrate problematiche che si trova ad affrontare la gestione dell'azienda sottratta al controllo della criminalità organizzata.
  La proposta di legge propone un coinvolgimento dei Ministeri dello sviluppo economico e dell'economia e delle finanze, strumenti di rilancio delle imprese sequestrate e confiscate, reinvestendo parte delle liquidità sequestrate e confiscate per garantire la riconversione industriale dei siti coinvolti in un fondo ad hoc che possa garantire le linee di credito concesse dalle banche fino al giorno prima del provvedimento di prevenzione, sistematicamente interrotte con l'avvento della gestione da parte dell'amministratore per conto dell'autorità giudiziaria.
  Più in particolare, l'articolo 1 – oltre a prevedere più stringenti obblighi informativi in capo all'autorità giudiziaria in relazione agli avvenuti sequestri di aziende mafiose – istituisce una banca dati delle aziende sequestrate e confiscate presso la stessa Agenzia nazionale. La banca dati contiene tutti i dati dell'azienda e ha lo scopo di rafforzarne la posizione di mercato e la continuità produttiva.
  L'articolo 2 istituisce, presso l'Agenzia nazionale, l'Ufficio attività produttive e sindacali. Composto da 5 membri (uno in rappresentanza della stessa Agenzia, tre rappresentanti dei Ministeri delle attività produttive, del Ministero dell'economia e del Ministero del lavoro, più un membro di Unioncamere), l'Ufficio assolve ad una serie di compiti, comunque finalizzati al miglioramento della prassi nella gestione delle aziende sottratte alle organizzazioni criminali.
  L'articolo 3 istituisce presso ogni Prefettura-UTG tavoli permanenti sulle aziende sequestrate e confiscate. I tavoli, coordinati e convocati mensilmente dal prefetto, sono composti da 5 membri: un rappresentante dell'Agenzia nazionale, uno delle associazioni sindacali più rappresentative, un rappresentante delle associazioni datoriali, uno dei centri provinciali per l'impiego e un rappresentante delle direzioni territoriali e provinciali del lavoro. La finalità dei tavoli permanenti è quella di favorire la positiva continuazione dell'attività dell'azienda oggetto del provvedimento di prevenzione.
  Gli articoli da 4 a 10 introducono misure di favore per i lavoratori nonchè misure di sostegno delle aziende sequestrate e confiscate.
  L'articolo 4 prevede che i lavoratori delle aziende oggetto di sequestro e confisca antimafia sottoposte a fallimento o ad altre procedure concorsuali – su richiesta dell'amministratore giudiziario – possano beneficiare delle integrazioni salariali e degli ammortizzatori sociali di cui già beneficiano le imprese sottoposte alle stesse procedure ai sensi della legge n. 223 del 1991. L'articolo 4 precisa poi l'obbligo – in capo all'autorità giudiziaria fino alla confisca di primo grado e, successivamente, in capo all'Agenzia nazionale – di Pag. 15disporre, nei momenti di sospensione dell'attività dell'unità produttiva, l'accesso all'integrazione salariale e agli ammortizzatori sociali. La disposizione dispone, infine, che ai datori di lavoro che assumano a tempo indeterminato lavoratori delle aziende oggetto di sequestro e confisca antimafia si applichi un'aliquota contributiva e assistenziale del 10 per cento (in luogo di quella ordinaria del 33 per cento).
  L'articolo 5 introduce ulteriori misure fiscali e incentivanti a sostegno delle aziende sequestrate e confiscate. Anzitutto si prevede l'applicazione a queste ultime della disciplina sul rating di legalità introdotta dall'articolo 5-ter del DL 1/2012. Fino a che l'azienda sia destinata o venduta con decreto dell'agenzia nazionale, è poi attribuito uno sconto del 5 per cento sull'IVA dovuta per chiunque usufruisce di lavori, servizi e forniture da parte delle aziende sequestrate e confiscate. Inoltre, l'articolo 5 attribuisce ad enti pubblici, società di capitali a partecipazione pubblica la possibilità di stipulare convenzioni per forniture di beni e servizi con le aziende in questione e con le cooperative di lavoratori che tali aziende abbiano rilevato nonché la possibilità di prevedere clausole contrattuali negli appalti di beni e servizi che favoriscano le aziende sequestrate e confiscate.
  L'articolo 6 mira, in particolare, a garantire la continuità delle linee di credito in favore delle aziende sequestrate e confiscate. A tal fine istituisce un Fondo di garanzia presso il Ministero dello sviluppo economico, le cui modalità di accesso saranno disciplinate, entro sei mesi dalla data in vigore del provvedimento in esame, da un decreto del Ministro dello sviluppo economico.
  L'articolo 7 reca alcune disposizioni volte a favorire l'emersione del lavoro irregolare nonché la tutela della sicurezza dei lavoratori delle aziende sequestrate e confiscate.
  In particolare si prevede l'obbligo, per l'amministratore giudiziario delle aziende, di verificare la congruità dei contratti di lavoro in essere in relazione alla produttività o al volume economico dell'attività aziendale ai fini dell'emersione di forme di lavoro irregolare (eventualmente regolarizzandole), nonché l'obbligo di far applicare i relativi Contratti collettivi nazionali di lavoro di settore. Sono poi previsti dall'articolo 7 degli specifici crediti d'imposta per la regolarizzazione, a tempo indeterminato o parziale, di lavoratori precedentemente impiegati in modo irregolare e per garantire la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.
  L'articolo 8 interviene anzitutto sulla disciplina dei diritti dei terzi sui beni confiscati, riformulando l'articolo 57, comma 2, del Codice antimafia. La nuova norma prevede che il termine assegnato dal giudice ai creditori per il deposito delle istanze di accertamento dei crediti avvenga, non come attualmente anche prima della confisca, bensì soltanto dopo l'emissione del decreto di confisca. L'articolo 8 estende, poi, alle aziende sottoposte a sequestro e confisca antimafia la disciplina del concordato per classi di creditori prevista dall'articolo 4-bis della cd. legge Marzano ovvero il decreto-legge n. 347 del 2003 «Misure urgenti per la ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di insolvenza» (conv. dalla legge n. 39 del 2004).
  L'articolo 9 riguarda le cooperative costituite dai lavoratori delle aziende confiscate. La norma riconosce a tali aziende un diritto di prelazione nella fruizione degli incentivi economici previsti dalla legge n. 266 del 1997. Alle coop è poi concessa la facoltà, di impiegare personale dirigenziale (il cui rapporto di lavoro sia cessato) nella fase di avvio dell'attività produttiva, per un periodo non superiore a cinque anni, usufruendo di fiscalità contributiva di favore. Alle cooperative costituite dai lavoratori delle aziende confiscate sono poi estese le agevolazioni e le misure di sostegno previste in favore delle aziende sequestrate e confiscate dagli articoli 5, 6 e 7 della proposta di legge.
  L'articolo 10, infine, prevede la facoltà, per gli organismi coinvolti nella gestione, amministrazione e destinazione delle aziende sottoposte a sequestro o confisca di stipulare apposite convenzioni con Pag. 16l'obiettivo di organizzare programmi formativi rivolti ai lavoratori. È stabilito, altresì, l'obbligo, per le aziende o cooperative che intendano avvalersi dei suddetti programmi, di adeguarsi alle disposizioni vigenti in materia di iscrizione ai fondi interprofessionali per la formazione continua.

  Donatella FERRANTI, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 15.15

UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI

  L'ufficio di presidenza si è riunito dalle 15.15 alle 15.20.

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

  Giovedì 14 novembre 2013. — Presidenza del presidente Donatella FERRANTI. — Interviene il sottosegretario di Stato alla giustizia Cosimo Maria Ferri.

  La seduta comincia alle 15.20.

  Donatella FERRANTI, presidente, ricorda che, ai sensi dell'articolo 135-ter, comma 5, del regolamento, la pubblicità delle sedute per lo svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata è assicurata anche tramite la trasmissione attraverso l'impianto televisivo a circuito chiuso. Dispone, pertanto, l'attivazione del circuito.

5-01389 Daniele Farina ed altri: Sulla situazione delle assunzioni relative al concorso di educatore penitenziario del 2004.

  Daniele FARINA (SEL) illustra l'interrogazione in titolo, che riguarda la mancata assunzione di 23 educatori penitenziali sui 50 posti messi a concorso nel 2004.

  Il sottosegretario Cosimo Maria FERRI dopo avere premesso come l'interrogazione dell'onorevole Daniele Farina riguardi un tema molto caro al Ministro della giustizia, trattandosi di una figura professionale strettamente correlata alla funzione rieducativa della pena, risponde all'interrogazione in titolo nei termini riportati in allegato (vedi allegato 1).

  Daniele FARINA (SEL) osserva come la risposta del Governo ponga l'attenzione sul delicato tema del blocco delle assunzioni, che sta portando al collasso numerosi settori della pubblica amministrazione. Esprime l'auspicio per il circuito carcerario, che si trova in grave sofferenza, si possa derogare almeno in parte al predetto blocco, con particolare riferimento alla figura professionale in questione, e ringrazia il Sottosegretario Ferri per la risposta.

  Donatella FERRANTI, presidente, dichiara concluso lo svolgimento delle interrogazioni all'ordine del giorno.

  La seduta termina alle 15.25

INTERROGAZIONI

  Giovedì 14 novembre 2013. — Presidenza del presidente Donatella FERRANTI. — Interviene il sottosegretario di Stato alla giustizia Cosimo Maria Ferri.

  La seduta comincia alle 15.25.

5-01220 Cirielli: Sulla situazione delle sedi distaccate di Cava dei Tirreni e Amalfi a seguito della riforma giudiziaria di cui ai decreti legislativi nn. 155 e 156 del 2012.

  Il sottosegretario Cosimo Maria FERRI risponde all'interrogazione in titolo nei termini riportati in allegato (vedi allegato 2).

  Edmondo CIRIELLI (FdI) ringrazia il Sottosegretario Ferri della risposta fornita. Osserva, tuttavia, come la riforma della Pag. 17geografia giudiziaria abbia determinato delle evidenti disparità di trattamento ed una situazione del tutto amena: quella della soppressione del tribunale di Sala Consilina, in provincia di Salerno, che è stato irragionevolmente accorpato al foro lucano di Lagonegro.
  Con specifico riferimento alla vicenda oggetto dell'atto di sindacato ispettivo, ricorda come, tra le sezioni distaccate ritenute «inutili», nell'ottica di una presunta razionalizzazione delle spese del settore giustizia, siano state individuate anche le sedi di Amalfi, Cava De’ Tirreni, Montecorvino Rovella e Mercato San Severino, e come tale decisione abbia comportato l'accorpamento delle sezioni di Cava Dei Tirreni e di Mercato San Severino al tribunale di Nocera Inferiore, senza alcun ampliamento dell'organico di quest'ultimo.
  Un simile provvedimento non tiene conto delle peculiarità del tribunale di Cava Dei Tirreni, seconda città della provincia di Salerno con i suoi oltre 50 mila abitanti, sede storica della pretura fino alla riforma del 1998, in un territorio che già negli anni Ottanta registrava un primato di criminalità e dove negli ultimi anni il numero dei processi, civili e penali, è cresciuto esponenzialmente, anche sotto il profilo qualitativo.
  Paradossale appare, poi, la decisione di mantenere a Cava solo gli uffici del giudice di pace, con l'assurda conseguenza che la circoscrizione cavese farà parte di quest'ultimo tribunale per quanto di competenza del giudice di pace e del tribunale di Nocera Inferiore per quanto di competenza del tribunale monocratico e collegiale. A ciò bisogna aggiungere l'ulteriore circostanza che i nuovi procedimenti verranno trattati presso la sede del tribunale di Nocera Inferiore, mentre le cause in corso sarebbero state trasferite a Salerno, con enormi disagi per la cittadinanza e gli avvocati.
  Inoltre l'imponente ampliamento della popolazione amministrata dal tribunale di Nocera Inferiore ha implicato un incremento dei carichi di lavoro, sia per il settore penale che per quello civile, del 25 per cento, senza però che sia stato assicurato alcun significativo potenziamento di magistrati, né di ausiliari.
  Come riportato da organi di stampa locale e nazionale, lo stesso consiglio direttivo della Camera penale di Nocera Inferiore ha segnalato agli organi istituzionali l'assoluta disparità di trattamento rispetto ad uffici giudiziari che si trovano nella identica situazione del tribunale di Nocera Inferiore, i quali, in conseguenza dell'accorpamento di due sezioni, si sono visti quasi raddoppiata la dotazione organica del tribunale.
  Invita quindi il Governo ad intervenire prontamente per risolvere la situazione di grave emergenza dei suddetti uffici giudiziari e per impedire l'implosione del sistema giustizia nel relativo territorio.

  Donatella FERRANTI, presidente, dichiara concluso lo svolgimento delle interrogazioni all'ordine del giorno.

  La seduta termina alle 15.35.

AVVERTENZA

  I seguenti punti all'ordine del giorno non sono stati trattati:

SEDE REFERENTE

Modifiche al codice di procedura penale in materia di misure cautelari personali.
C. 631 Ferranti, C. 980 Gozi e C. 1707 Cirielli.

Introduzione dell'articolo 372-bis del codice penale, concernente il reato di depistaggio.
C. 559 Bolognesi.

INTERROGAZIONI

5-01041 Magorno: Sulla situazione del tribunale di Rossano a seguito della riforma giudiziaria.

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