CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 9 ottobre 2013
99.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e Interni (I)
COMUNICATO
Pag. 33

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

  Mercoledì 9 ottobre 2013. — Presidenza del presidente Francesco Paolo SISTO. – Interviene il sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento, Sesa Amici.

  La seduta comincia alle 14.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  Francesco Paolo SISTO, presidente, ricorda che, ai sensi dell'articolo 135-ter, comma 5, del regolamento, la pubblicità delle sedute per lo svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata è assicurata, oltre che attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, anche mediante la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati. Dispone, pertanto, l'attivazione del circuito.

5-01158 Manfredi: Liquidazione del direttore generale del comune di Marigliano per il lavoro svolto come difensore del comune medesimo.

  Massimiliano MANFREDI (PD), nell'illustrare l'interrogazione in titolo, sottolinea come questa riguardi il caso increscioso del direttore generale del comune di Marigliano che ha provveduto a elargirsi da solo la liquidazione per il lavoro svolto come difensore del comune medesimo. Rileva come non risulti copia del relativo mandato di pagamento che a lui risulta essere stato richiesto anche dalla Corte dei conti.
  Osserva, infine, che il direttore generale in questione ha sporto querela contro coloro che hanno portato alla luce la questione, perdendo però la causa.

  Il sottosegretario Sesa AMICI preliminarmente riporta le scuse del Ministro D'Alia che non può essere presente alla seduta odierna in quanto impegnato al Senato per l'esame del disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 101 del 2013
  Risponde all'interrogazione in titolo nei termini riportati in allegato (vedi allegato 1).

  Massimiliano MANFREDI (PD), replicando, si dichiara soddisfatto

5-01159 Cozzolino: Adozione di provvedimenti idonei ad assicurare il disposto dell'articolo 50-bis del Codice dell'amministrazione digitale.

  Emanuele COZZOLINO (M5S), nell'illustrare l'interrogazione in titolo, rileva come l'articolo 97 della Costituzione impone alla pubblica amministrazione di assicurare il buon andamento e l'imparzialità dei servizi. Nel concetto di buon andamento è ricompreso anche l'obbligo di assicurare la continuità del servizio.
  Osserva che a tal proposito ed in considerazione di una sempre maggiore digitalizzazione dell'attività e dei documenti della pubblica amministrazione, la legge impone a quest'ultima di predisporre piani che garantiscano la continuità del servizio a fronte del verificarsi di situazioni di emergenza impreviste.
  Ricorda che il Codice dell'amministrazione digitale prevede che tali piani siano adottati dalle pubbliche amministrazione sulla base di studi di fattibilità sui quali sia stato espresso il parere obbligatorio di Digit PA e che allo scorso settembre, su circa 10.000 soggetti che fanno parte della pubblica amministrazione, solo 7 erano le Pag. 34amministrazioni che avevano sottoposto a DigitPA lo studio di fattibilità per ottenerne il parere.
  Con l'interrogazione in titolo si chiede se il Ministro, a fronte di tale situazione non intenda intervenire con provvedimenti idonei a far rispettare il disposto dell'articolo 50-bis del Codice dell'amministrazione digitale.

  Il sottosegretario Sesa AMICI risponde all'interrogazione in titolo nei termini riportati in allegato (vedi allegato 2).

  Emanuele COZZOLINO (M5S), replicando, si dichiara insoddisfatto.
  Da un lato, infatti, osserva che l'avanzamento dei processo di digitalizzazione dell'attività della pubblica amministrazione e dei suoi documenti è, ovviamente un fattore estremamente positivo che, semmai ha il difetto di procedere ancora troppo a rilento, e di non prevedere un livello ancora accettabile di comunicazione tra gli archivi delle singole amministrazioni.
  D'altra parte, però, la digitalizzazione impone nuove procedure per garantire la conservazione dei dati e soprattutto la continuità del servizio che a seguito della dematerializzazione degli atti potrebbe essere messa a forte rischio in caso di eventi eccezionali o situazioni di grave emergenza.
  Come accade anche in molti altri settori la nostra legislazione già detta una serie di norme, procedure e protocolli necessari per fare fronte ad eventuali emergenze o avarie al fine dell'assicurazione della continuità del servizio. Dunque il problema non riguarda il legislatore, che ha già fatto il suo dovere, ma chi deve garantire l'attuazione della norma e il rispetto delle procedure, che in questo caso è il governo.
  Evidenzia che i dati citati in premessa nell'interrogazione di cui è il primo firmatario sono abbastanza preoccupanti, perché solo il 7,7 per cento dei soggetti che compongono la pubblica amministrazione hanno adempiuto a settembre 2013 all'obbligo previsto dall'articolo 50-bis del decreto legislativo n. 82 del 2005, ovvero sottoporre al parere obbligatorio della DigitPA lo studio di fattibilità sulla base del quale va predisposto il piano per garantire la continuità del servizio.
  La mancata osservanza di norme che pure sono in vigore è a suo avviso un punto critico sul quale si continuano ad incagliare i provvedimenti e le riforme di più ampia portata che riguardano la pubblica amministrazione, e questo vale anche per la spending review, per il miglioramento dei servizi al cittadino e per la digitalizzazione. Temi diversi la cui attuazione rimane quindi bloccata sulla carta.
  Il problema è che la mancata osservanza delle disposizioni esistenti nel caso di specie sollevato con l'interrogazione espone ad un grosso rischio che è quello che una parte dei pubblici uffici, al verificarsi di una situazione eccezionale, non sia in grado di assicurare la continuità del servizio che, come già detto, rientra nell'ambito del disposto costituzionale a norma dell'articolo 97 della Costituzione medesima.
  Ecco perché ritiene indispensabile che il governo ponga in essere ogni provvedimento in suo potere, anche prevedendo sanzioni a carico delle amministrazioni inadempienti, non solo per far rispettare la legge, ma per evitare danni e disservizi per i quali, una volta verificatisi, non c’è riparazione.

  Francesco Paolo SISTO, presidente, dichiara concluso lo svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata all'ordine del giorno.

  La seduta termina alle 14.25.

SEDE REFERENTE

  Mercoledì 9 ottobre 2013. — Presidenza del presidente Francesco Paolo SISTO. – Interviene il ministro degli affari regionali e autonomie Graziano Delrio e il sottosegretario di Stato agli affari regionali e autonomie Walter Ferrazza.

  La seduta comincia alle 14.25.

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Disposizioni sulle Città metropolitane, sulle Province, sulle unioni e fusioni di Comuni.
C. 1542 Governo.

(Esame e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

  Francesco Paolo SISTO, presidente, avverte che è stata avanzata la richiesta che la pubblicità dei lavori sia assicurata anche mediante l'impianto audiovisivo a circuito chiuso. Non essendovi obiezioni, ne dispone l'attivazione.
  Comunica che la Commissione avvia oggi l'esame del disegno di legge C. 1542, recante disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni.
  Ricorda che la Conferenza dei presidenti di gruppo, in data 25 settembre 2013, ha deliberato all'unanimità l'urgenza sul disegno di legge in oggetto.
  L'esame del provvedimento avrà inizio oggi e dovrà pertanto concludersi entro la giornata di venerdì 8 novembre 2013. L'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, definirà quindi l'organizzazione dei lavori in modo da rispettare il predetto termine.

  Daniela Matilde Maria GASPARINI (PD), relatore, sottolinea l'importanza del provvedimento del quale la Commissione inizia oggi l'esame. Si tratta di un provvedimento che risponde ad una viva esigenza degli amministratori locali, i quali da anni ormai chiedono al legislatore di stabilire con chiarezza la ripartizione delle funzioni tra i diversi livelli di governo, per evitare le incertezze normative e interpretative che oggi rendono confuso il quadro delle competenze e delle responsabilità per le decisioni. Si tratta di un provvedimento che interessa innanzitutto i circa 8 mila comuni italiani, ai quali si danno precise indicazioni per realizzare unioni e fusioni. È un tema di grande attualità ed urgenza, sul quale il Parlamento dovrà lavorare con attenzione, ma anche con rapidità, atteso, da una parte, che l'attuale regime provvisorio per le province non deve auspicabilmente essere prorogato oltre il 31 dicembre di quest'anno e che, d'altra parte, occorre far partire quanto prima le città metropolitane, anche per favorire la produttività e lo sviluppo dei territori.
  Prima di passare alla descrizione dell'articolato, desidera ringraziare gli uffici della Camera per l'aiuto prezioso fornito alle relatrici nella preparazione della relazione introduttiva. Specifica che la sua relazione tratterà delle disposizioni generali del Capo I, di quelle in materia di città metropolitane (Capo II) e di quelle sulla città metropolitana di Roma capitale (Capo IV). Le altre disposizioni saranno invece oggetto della relazione della relatrice Centemero.
  Ricorda quindi che il disegno di legge istituisce le città metropolitane nel 2014, prevede disposizioni specifiche per la città metropolitana di Roma capitale, stabilisce una nuova disciplina delle province, di carattere transitorio, interviene in materia di unioni di comuni e riforma l'istituto della fusione di comuni.
  Occorre premettere che la sentenza della Corte costituzionale n. 220 del 2013 aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale delle disposizioni in materia di province e città metropolitane dettata dai decreti-legge 201 del 2011 e 95 del 2012, in quanto adottate con lo strumento del decreto-legge. Inoltre il Governo ha presentato un disegno di legge costituzionale volto ad abolire le province (C. 1543) e con la Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza pubblica ha collegato alla manovra di bilancio anche il disegno di legge in titolo, che è articolato in sei Capi e 23 articoli.
  Nel Capo I, l'articolo 1, comma 1, individua l'oggetto del disegno di legge nella disciplina delle città metropolitane, province e unioni di comuni, al fine di adeguare, anche in attesa della riforma costituzionale ad essi relativa, il loro ordinamento ai principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza. Il riferimento alla riforma costituzionale riguarda le sole province, la cui soppressione è prevista, come accennato, da altro disegno di legge Pag. 36del Governo. I commi dal 2 al 6 recano disposizioni generali relative ai diversi enti oggetto del provvedimento (città metropolitane, province, ecc.) e pertanto verranno trattati di seguito insieme agli articolo dedicati a ciascuno di questi enti.
  Il Capo II istituisce e disciplina le città metropolitane, costituite ai sensi dell'articolo 3 a decorrere dal 1o gennaio 2014, e configurate come enti necessari. Questa configurazione era già presente nel decreto-legge n. 95 del 2012 che, per la prima volta ha superato l'impostazione del decreto legislativo n. 267 del 2000 (testo unico degli enti locali TUEL), che prevede come facoltativa l'istituzione della città metropolitana all'esito di un articolato procedimento che coinvolge la popolazione, gli enti locali, le regioni e lo Stato.
  È superato anche quanto previsto dalla legge 42 del 2009 sul federalismo fiscale che, pur mantenendo la disciplina ordinaria del TUEL, introduce una procedura transitoria, anch'essa facoltativa e semplificata, per la creazione delle città metropolitane che prevede: iniziativa del comune capoluogo e della provincia, congiuntamente tra loro o separatamente; parere della regione; referendum confermativo. Una disposizione di delega (ormai scaduta) subordinava l'effettiva istituzione di ciascuna città metropolitana all'adozione di altrettanti decreti legislativi.
  Le città metropolitane sono definite «enti territoriali di secondo livello» dall'articolo 1, comma 2, che ne individua le funzioni «istituzionali generali» nella cura dello sviluppo strategico del proprio territorio (prevalentemente attraverso compiti di programmazione e coordinamento) e nella cura dei rapporti con gli altri enti territoriali, italiani e stranieri, ed in particolare con le altre città metropolitane europee.
  L'articolo 2 individua le città metropolitane di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria, ne definisce gli organi, nonché i contenuti e le modalità di adozione dei relativi statuti.
  Per la città metropolitana di Roma è prevista una disciplina differenziata recata dal capo IV, in ragione dello status di capitale riconosciuto dall'articolo 114 della Costituzione.
  Il citato articolo 114 Cost. è richiamato (assieme all'articolo 117, secondo comma, lettera p) Cost.) anche in riferimento alle altre città metropolitane, la cui disciplina ne costituisce attuazione. Come indicato nel comma 2, il territorio della città metropolitana coincide con quello della provincia omonima di cui però non viene esplicitamente prevista la soppressione, come invece era prescritto dal decreto-legge 95 del 2013. I comuni del territorio metropolitano possono scegliere di non aderire alla città metropolitana, con le modalità dell'articolo 3, comma 1, lettera g), così come i comuni delle province limitrofe possono invece entrarne a farne parte, previa attivazione della procedura ex articolo 133, 1o comma, Cost.. Quest'ultima disposizione prevede che il mutamento delle circoscrizioni provinciali o la creazione di nuove province può essere stabilito «con legge della repubblica, su iniziativa dei comuni, sentita la stessa regione».
  Come si vedrà, su tale aspetto si fonda una delle differenze principali del procedimento di costituzione ordinario rispetto a quello speciale previsto per Roma Capitale, la cui città metropolitana è costruita attraverso l'adesione esplicita dei comuni della provincia.
  Il comma 3 individua gli organi della città metropolitana che sono il sindaco, il consiglio metropolitano e la conferenza metropolitana. Non è prevista la costituzione di una giunta, ma è data facoltà dall'articolo 7 al sindaco di nominare un vicesindaco e uno o più consiglieri delegati.
  Il sindaco metropolitano è il rappresentante della città metropolitana e ha il compito di convocare e presiedere il consiglio metropolitano e la conferenza metropolitana. Inoltre, ha poteri di impulso dell'attività dell'ente e di proposta e la funzione di sovrintendere alla «macchina» amministrativa della città.
  Le funzioni del consiglio metropolitano sono ricalcate su quelle del consiglio comunale Pag. 37(articolo 42 TUEL) con almeno due importanti differenze: esso è qualificato come organo di indirizzo dell'ente, ma non anche di controllo. Inoltre, ha il potere di approvare regolamenti, piani, programmi ed altri atti ad esso sottoposti, ad eccezione del bilancio e dello statuto, che propone e che sono sottoposti all'approvazione dalla conferenza metropolitana.
  Quest'ultimo è un organismo nuovo, non contemplato dalla disciplina degli enti locali, ma già previsto dal decreto-legge 95 del 2012, con la significativa differenza che in quel caso si trattava di un organismo transitorio (una specie di assemblea costituente metropolitana) destinata a cessare le sue funzioni una volta approvato lo statuto, mentre nel provvedimento in esame ha un ruolo permanente, seppure «intermittente», in quanto ha il compito non solo di approvare lo statuto, ma anche le eventuali successive modifiche ed altresì approva il bilancio annuale dell'ente.
  Alla conferenza spettano esclusivamente questi due compiti, mentre per quanto riguarda sindaco e consiglio metropolitano, una norma di chiusura demanda allo statuto l'individuazione puntuale dei loro compiti e funzioni.
  Ai sensi dell'articolo 2, comma 5, infatti, lo statuto deve stabilire: le norme fondamentali di organizzazione dell'ente; le attribuzioni degli organi, nell'ambito delle disposizioni generali di cui al comma 4; l'articolazione delle competenze degli organi predetti.
  Inoltre, il comma 6 individua altri contenuti propri dello statuto tra cui la disciplina delle forme di indirizzo e coordinamento dell'azione di governo del territorio metropolitano, la disciplina dei rapporti tra i comuni metropolitani (prevedendo la possibilità di stringere accordi anche con comuni non facenti parte della città metropolitana) e la definizione delle modalità di esercizio delle funzioni metropolitane. Quanto a quest'ultimo aspetto, il disegno di legge suggerisce alcune forme di esercizio che devono necessariamente essere contemplate negli statuti, pur essendone l'effettiva adozione facoltativa: si tratta dell'eventuale conferimento (anche in forma differenziata) da parte della città metropolitana di funzioni proprie ai comuni ricompresi nel proprio territorio e, viceversa, il conferimento di funzioni comunali alla città. In entrambi i casi deve essere previsto il contestuale trasferimento delle risorse necessarie all'esercizio ottimale delle finzioni conferite. È prevista anche la possibilità di demandare specifiche funzioni ad articolazioni interne appositamente costituite.
  L'articolo 3 individua il procedimento per l'istituzione delle città metropolitane e per la prima applicazione delle nuove disposizioni. Si tratta di un procedimento graduale che prevede una fase di «assestamento», prima del definitivo subentro delle nuove città metropolitane alle province. Come si è anticipato, la costituzione delle città metropolitane è obbligatoria e non più facoltativa ed è fissata al 1o gennaio 2014. Il procedimento si articola nelle seguenti fasi.
  La prima fase consiste nella costituzione degli organi metropolitani e nella elaborazione dello statuto. La costituzione della città metropolitana avviene con la costituzione (provvisoria) dei suoi organi alla data appunto del 1o gennaio 2014. Gli organi sono i seguenti: il sindaco della città metropolitana; il consiglio metropolitano provvisorio; il comitato esecutivo e la conferenza metropolitana. Il sindaco della città metropolitana è il sindaco del comune capoluogo (come previsto anche a regime, fatta salva la possibilità da parte dello statuto di prevederne la sua elezione). Il consiglio metropolitano provvisorio (per la sua composizione a regime si veda l'articolo 4 dove è prevista anche la possibilità di elezione) è formato dai seguenti soggetti: il sindaco metropolitano; i sindaci dei comuni appartenenti alla città metropolitana con popolazione superiore a 15.000 abitanti; i presidenti delle unioni di comuni della città metropolitana con popolazione complessivamente pari o superiore a 10.000 abitanti; i presidenti di unioni di comuni di cui all'articolo 1, comma 4, secondo periodo (si tratta delle unioni obbligatorie per l'esercizio associato Pag. 38di funzioni di comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, o 3.000 se appartenenti a comunità montane) (la partecipazione di tali soggetti è limitata ai primi tre anni, fino al 1o gennaio 2017); il presidente della provincia omonima (fino al 1o luglio 2014 ovvero fino alla data di approvazione dello statuto, se successiva); il presidente della regione, ovvero un suo delegato (senza diritto di voto); il comitato esecutivo, organo ristretto che può essere costituito all'interno del consiglio metropolitano se questo supera le 20 unità; e la conferenza metropolitana costituita da tutti i sindaci appartenenti alla città metropolitana.
  In questa fase, agli organi metropolitani spetta esclusivamente il compito di predisporre e approvare lo statuto (rispettivamente da parte del consiglio e della conferenza, ai sensi dell'articolo 2, comma 3) e di adottare le misure necessarie per il passaggio dalla provincia al nuovo ente, rimanendo le altre funzioni ancora in mano agli organi provinciali, fino appunto all'adozione dello statuto.
  Una volta costituiti gli organi metropolitani provvisori, e mentre questi predispongono il nuovo statuto, si apre una seconda fase che prevede una finestra temporale (fino al 28 febbraio 2014) durante la quale i comuni il cui territorio è compreso nella provincia destinata a trasformarsi in città metropolitana possono scegliere di non aderire al nuovo ente. In altre parole l'adesione alla città metropolitana è automatica per tutti i comuni, a meno che almeno un terzo dei comuni stessi, ovvero un numero di comuni anche inferiore che però rappresenti un terzo della popolazione totale deliberi di non entrare a far parte della città metropolitana.
  Il meccanismo è simile a quello delineato dal decreto-legge 95 del 2012, con due significative differenze: in quel caso si prevedeva che i comuni optanti fossero inclusi nel territorio di province limitrofe, mentre il decreto in esame contempla la «reviviscenza» della provincia originaria (disciplinata ai sensi del capo III del disegno di legge).
  La seconda differenza riguarda le procedure di scelta: il disegno di legge in esame prevede una delibera del consiglio comunale adottata a maggioranza assoluta dei componenti; il decreto-legge demandava al procedimento di cui all'articolo 133, 1o comma, Cost. secondo cui il mutamento delle circoscrizioni provinciali o la creazione di nuove province può essere stabilito «con Legge della repubblica, su iniziativa dei comuni, sentita la stessa regione».
  Come si visto sopra (articolo 2, comma 1), il meccanismo ex articolo 133 Cost. è invece richiamato per l'adesione eventuale al nuovo ente di comuni delle province limitrofe, ma occorre far presente che il disegno di legge costituzionale di abolizione delle province (C. 1543) prevede l'abrogazione dell'articolo 133, 1o comma.
  La terza fase riguarda l'eventualità della divisione del territorio della provincia. Nel caso in cui una parte significativa della provincia non aderisca alla città metropolitana, questo fa sì che la provincia rimanga in funzione (anche in via transitoria fino alla riforma costituzionale che prevede l'abolizione di tutte le province). Si apre così un sub-procedimento volto principalmente a ripartire le risorse tra i due enti che prevede: la decadenza dei precedenti organi provinciali (ad elezione diretta) e formazione dei nuovi (ad elezione indiretta) ai sensi dell'articolo 13; l'emanazione di un decreto del Ministro degli affari regionali per disciplinare le modalità di ripartizione delle risorse; la deliberazione del presidente della provincia di riparto delle risorse (di intesa con il sindaco metropolitano e previo parere dei comuni interessati) entro il 30 aprile 2014; e un atto di riparto adottato dal prefetto nei successivi 90 giorni in caso di mancata deliberazione provinciale. Avverso gli atti di riparto delle risorse può essere presentato ricorso alla sezione regionale competente della Corte dei conti da parte della città metropolitana e della provincia.
  Il 1o luglio 2014 le città metropolitane subentrano in tutto e per tutto alle province, sia in caso di approvazione dello statuto, sia in mancanza. Si apre in questo Pag. 39secondo caso la quarta fase, in cui la provincia cessa di esistere, ma la città metropolitana non può funzionare a pieno regime nelle more dell'approvazione dello statuto che deve essere approvato entro il 31 dicembre 2014.
  Fino alla data di subentro (1o luglio 2014) sono prorogati gli organi provinciali in carica, comprese le gestioni commissariali.
  Va ricordato che, delle 10 province interessate, 3 sono attualmente commissariate: Roma e Genova, i cui consigli sono andati in scadenza rispettivamente nel 2013 e nel 2012 e che non sono stati rinnovati in virtù del decreto-legge 201 del 2011 (che ha disposto il commissariamento delle province alla scadenza degli organi) e Reggio Calabria, il cui consiglio provinciale è stato sciolto per mafia nel 2012.
  Nelle altre sette province gli organi scadranno nel giugno 2014 (le ultime elezioni si sono svolte il 7 giugno 2009) e pertanto verrebbero prorogati di quasi un mese.
  Si consideri che il procedimento elettorale prevede che le elezioni comunali e provinciali si svolgono in un turno annuale da tenersi in una domenica compresa tra il 15 aprile ed il 15 giugno e che la data deve essere fissata dal Ministro dell'interno non oltre il 55o giorno antecedente quello delle votazioni. Pertanto, la metà di aprile del 2014 è la data limite per l'attivazione del procedimento elettorale ed è la data entro la quale dovrebbe entrare in vigore il provvedimento in esame per evitare il rinnovo degli organi provinciali e il conseguente rinvio della istituzione della città metropolitana. Né dovrebbe su tali scansioni temporali influire l'abolizione della finestra elettorale per le province stabilita dall'articolo 23, comma 2.
  Il procedimento si conclude (quinta fase) con l'approvazione dello statuto che deve avvenire entro il 31 dicembre 2014. Decorso tale termine il prefetto fissa una nuova data, non superiore a 60 giorni. Superato anche questo secondo termine, il compito di approvare lo statuto è affidato (senza definire un ulteriore termine) ad un commissario ad acta (cui non è corrisposto alcun emolumento) nominato dal prefetto. Nella predisposizione dello statuto il commissario è vincolato nella definizione della composizione degli organi, per la quale deve obbligatoriamente fare riferimento alla composizione «automatica» prevista dall'articolo 4, comma 1.
  Gli articoli da 4 a 8 disciplinano gli organi della città metropolitana a regime. Essi sono i seguenti: sindaco metropolitano; vicesindaco metropolitano; consiglio metropolitano; comitato esecutivo; consiglieri delegati e conferenza metropolitana. Il vicesindaco, il comitato esecutivo e i consiglieri delegati sono organi facoltativi.
  L'articolo 4 concerne il sindaco e il consiglio metropolitano, prevedendo tre modalità di formazione la cui scelta è demandata allo statuto.
  La prima modalità consiste in una formazione degli organi completamente di secondo grado, senza elezione né diretta, né indiretta degli stessi, analoga a quella della fase transitoria (articolo 3): il sindaco metropolitano è di diritto e il sindaco del comune capoluogo e il consiglio metropolitano è costituito dagli stessi soggetti del consiglio metropolitano provvisorio meno il presidente della provincia e il presidente della regione (sindaco metropolitano, sindaci dei comuni con più di 15.000 abitanti, presidenti delle unioni di comuni con almeno 10.000 abitanti e, per i primi 3 anni, i presidenti di unioni di cui all'articolo 1, comma 4, secondo periodo). È prevista la possibilità di costituire, se il numero dei consiglieri è superiore a venti unità, un comitato esecutivo all'interno del consiglio.
  In questo caso, gli amministratori locali, che nel corso del mandato metropolitano cessano dalla carica dall'ente di provenienza, sono sostituiti da chi subentra loro nella carica (comma 4, ultimo periodo). In alternativa a questo sistema, la città metropolitana può scegliere tra due opzioni. Una, intermedia, mantiene, come la prima modalità, l'identificazione del sindaco metropolitano con il sindaco del comune capoluogo, mentre il consiglio metropolitano non è a composizione derivata, Pag. 40ma viene eletto, con un sistema di secondo grado, dai sindaci e dai consiglieri comunali dei comuni appartenenti al territorio della città metropolitana. Il sistema elettorale è disciplinato dall'articolo 5. L'altra opzione prevede l'elezione diretta sia del sindaco, sia del consiglio metropolitano, tale opzione è sottoposta ad una serie di condizioni: l'elezione non può avvenire prima del 2017; deve essere approvata una legge elettorale statale; il territorio del comune capoluogo deve essere articolato in più comuni.
  Altre disposizioni in materia di elezione diretta sono contenute nell'articolo 6 cui si rinvia.
  L'articolo 4, inoltre, disciplina in modo dettagliato la procedura di suddivisione del territorio del comune capoluogo in più comuni (condizione per l'elezione diretta degli organi). Il primo passo è la deliberazione del consiglio comunale, adottata secondo la procedura prevista per l'adozione dello statuto dall'articolo 6, comma 4, del testo unico («Gli statuti sono deliberati dai rispettivi consigli con il voto favorevole dei due terzi dei consiglieri assegnati. Qualora tale maggioranza non venga raggiunta, la votazione è ripetuta in successive sedute da tenersi entro trenta giorni e lo statuto è approvato se ottiene per due volte il voto favorevole della maggioranza assoluta dei consiglieri assegnati. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche alle modifiche statutarie»).
  Segue il referendum sulla proposta del consiglio comunale, tra tutti i cittadini della città metropolitana (non solamente quindi i cittadini interessati dalla suddivisione in più comuni), da effettuare sulla base delle rispettive leggi regionali, con la condizione della approvazione da parte dalla maggioranza dei partecipanti al voto.
  C’è poi la istituzione con legge regionale dei nuovi comuni e loro denominazione ai sensi dell'articolo 133 della Costituzione.
  Nel caso di elezione del consiglio metropolitano (sia indiretta, sia a suffragio diretto) il comma 3 ne disciplina la composizione come segue: 24 consiglieri nelle città metropolitane con popolazione residente superiore a 3.000.000 di abitanti; 18 consiglieri nelle città metropolitane con popolazione residente superiore a 800.000 e inferiore o pari a 3.000.000 di abitanti; 14 consiglieri nelle altre città metropolitane. È utile ricordare che il decreto-legge 95 del 2012 prevedeva per le stesse fasce demografiche un numero di consiglieri sensibilmente minore (rispettivamente 16, 12 e 10).
  Ai sensi del comma 4 al sindaco e ai consiglieri metropolitani (compresi il sindaco e i consiglieri provvisori) non viene corrisposto alcun emolumento.
  L'articolo 5 del disegno di legge definisce il sistema elettorale (indiretto) per l'elezione del consiglio metropolitano in parte analogo a quello previsto dal TUEL per i consigli provinciali.
  Come già accennato (articolo 4), lo statuto può prevedere tre tipi di formazione del consiglio: uno automatico, secondo il quale vi fanno parte di diritto una determinata categoria di sindaci e due elettivo, uno indiretto e uno diretto.
  L'articolo 5 individua il sistema elettorale indiretto (mutuato da quello attualmente previsto dal TUEL per le province), mentre l'articolo 4 prevede che la definizione del sistema elettorale diretto a suffragio universale sia demandata alla legge statale.
  Viene così operata una scelta diametralmente opposta da quella del decreto-legge 95 del 2013 dove si prevedeva che l'elezione indiretta avvenisse con lo stesso sistema delle elezioni provinciali, la cui definizione era a sua volta demandata alla legge statale (decreto-legge n. 201 del 2011) e che in caso di scelta dell'elezione diretta si utilizzasse il sistema previsto dal TUEL. Si ricorda che, nella scorsa legislatura, il Governo ha presentato alle Camere il disegno di legge elettorale provinciale (C. 5210) di cui però non si è concluso l'esame.
  Il sistema proposto dal disegno di legge in esame è analogo a quello previsto per l'elezione del consiglio provinciale come disciplinato dal TUEL: cioè, presentazione delle candidature in collegi uninominali ed Pag. 41elezione con sistema proporzionale e soglia di sbarramento, con la significativa differenza che non viene assegnato il premio di maggioranza ed è previsto un turno unico in quanto, a differenza del presidente della provincia, il sindaco metropolitano non viene eletto direttamente.
  Come nel sistema indiretto proposto nella scorsa legislatura, hanno diritto di elettorato attivo e passivo i sindaci e i consiglieri comunali in carica nei comuni della provincia, con la fondamentale differenza che è previsto il voto ponderato in base alla densità demografica dei comuni.
  La ponderazione del voto avviene in due fasi, disciplinate rispettivamente dalle lettera a) e b) del primo comma dell'articolo 5.
  La prima fase è finalizzata alla perequazione del voto dei consiglieri dei comuni più piccoli (e quindi con un numero minore di consiglieri), rispetto ai comuni più grandi (e quindi con un numero maggiore di consiglieri). A tal fine al voto di ciascun consigliere (compreso il sindaco) dei comuni più piccoli (sotto i 3.000 abitanti) è attribuito il valore di 1 al voto; al voto dei consiglieri degli altri comuni è attribuito un valore proporzionalmente inferiore al crescere della soglia demografica, fino al valore di 0,20 (un quinto di 1) per la fascia più alta (più di un milione di abitanti). In questo modo è riequilibrato il rapporto tra il numero di consiglieri (che è circa di uno a cinque tra le due fasce estreme).
  Una volta ovviato alla sperequazione tra i comuni rispetto al numero dei rispettivi consiglieri, con la seconda fase viene invece ponderato il voto in riferimento alla popolazione, determinata sulla base dell'ultimo censimento, e quindi per ogni consigliere il valore prima indicato viene moltiplicato per il quoziente risultante dalla divisione tra il numero della popolazione del proprio comune e il numero della popolazione del comune più piccolo. Il risultato (arrotondato alla seconda cifra decimale) e il voto ponderato.
  Una volta effettuata la ponderazione dei voti in base alla popolazione, si apre il procedimento elettorale vero e proprio, che, come si è detto, ricalca quello in vigore per le province, con alcune differenze, tra queste, ovviamente, la mancata previsione dell'elezione diretta del presidente della provincia.
  Per quanto riguarda la determinazione delle circoscrizioni elettorali, il comma 2 dell'articolo 5 prevede la costituzione di collegi uninominali, come attualmente stabilito dalla legge per le province (articolo 75, comma 1, TUEL). Analogamente, per le definizione del procedimento elettorale preparatorio si fa rinvio alla normativa vigente (legge n. 122 del 1951), richiamata anch'essa dal TUEL; mentre per quanto riguarda il sistema elettorale vero e proprio (ossia il meccanismo di trasformazione dei voti in seggi), vengono introdotte disposizioni nuove, ma sempre mutuate dal citato articolo 75 del TUEL.
  Pertanto, per quanto riguarda la costituzione dei collegi, la costituzione degli uffici elettorali, la presentazione delle candidature (con una deroga per la loro sottoscrizione), la stampa dei manifesti e delle schede elettorali, operazioni di voto e di scrutinio, si applicano le disposizioni della citata legge 122 del 1951 e, per quanto ivi non previsto, le disposizioni stabilite per le elezioni dei consigli comunali (decreto del Presidente della Repubblica 570 del 1960), in virtù del rinvio espresso ad opera dell'articolo 8, comma 2, della stessa legge 122. Fa eccezione il regime di sottoscrizione delle candidature: il comma 3 prevede, infatti, che le dichiarazioni di presentazione delle candidature siano sottoscritte da almeno il 5 per cento degli aventi diritto. Non si applica, dunque, l'articolo 14 della citata legge 122, che prevede un numero di sottoscrizioni variabile a seconda della popolazione della provincia.
  Si rileva che in questo caso non viene operata la ponderazione dei voti e i consiglieri comunali e i sindaci di tutti i comuni concorrano alla sottoscrizione delle liste su un piano di parità.
  I successivi commi 4, 5, 6, 7 e 8, riproducono con poche variazioni il contenuto Pag. 42dei commi 4, 5, 6 10 e 12 dell'articolo 75 del TUEL, prevedendo per la attribuzione dei seggi, quanto segue.
  Viene determinata innanzitutto la cifra elettorale di ogni gruppo (di candidati) sommando i voti validi ottenuti da tutti i candidati del gruppo nei singoli collegi della città metropolitana (comma 4 che riproduce il comma 4 dell'articolo 75 TUEL).
  Vengono poi esclusi i gruppi che abbiano ottenuto meno del 3 per cento dei voti validi (comma 5). Si tratta della stessa soglia di sbarramento di cui al comma 5 dell'articolo 75 TUEL, senza però prevedere la deroga, ivi stabilita, per i gruppi al di sotto della soglia coalizzata con almeno un gruppo sopra-soglia. Vengono successivamente attribuiti a ciascun gruppo di candidati che ne hanno diritto il numero di seggi ad essi spettanti e a tal fine si divide la cifra elettorale di ciascun gruppo di candidati successivamente per 1, 2, 3, 4 ecc. per tante volte quanti sono i consiglieri da eleggere. Poi tra i quozienti così ottenuti si scelgono i più alti, in numero eguale a quello dei consiglieri da eleggere, disponendoli in una graduatoria decrescente e a ciascun gruppo di candidati sono assegnati tanti seggi quanti sono i quozienti ad esso appartenenti compresi nella graduatoria. A parità di quoziente il posto è attribuito al gruppo di candidati che ha ottenuto la maggior cifra elettorale e, a parità di quest'ultima, per sorteggio. Se ad un gruppo spettano più posti di quanti sono i suoi candidati, i posti eccedenti sono distribuiti tra gli altri gruppi, secondo l'ordine dei quozienti (comma 6 che riproduce il comma 6 dell'articolo 75 TUEL, non è invece previsto il premio di maggioranza di cui ai commi 7 e 8 dell'articolo 75 TUEL).
  Infine, sono proclamati eletti consiglieri metropolitani i candidati di ciascun gruppo secondo l'ordine delle rispettive cifre individuali, determinate moltiplicando il numero dei voti validi ottenuto da ciascun candidato per 100 e dividendo il prodotto per il totale dei voti validi espressi nel collegio per i candidati a consigliere metropolitano. Nel caso di candidature presentate in più di un collegio si assume, ai fini della graduatoria, la maggiore cifra individuale riportata dal candidato (commi 7 e 8 che riproducono i commi 11 e 12 dell'articolo 75 TUEL).
  Una norma di chiusura, dovuta alla natura di secondo grado del sistema elettorale, prevede che, in caso di cessazione dalla carica di sindaco o di consigliere comunale, il consigliere metropolitano decade automaticamente dal consiglio metropolitano ed è sostituito dal primo dei non eletti, ovviamente se ancora in carica (comma 9).
  L'articolo 6 disciplina la procedura per la determinazione dei collegi e per l'adozione delle altre disposizioni attuative per l'elezione del Consiglio metropolitano.
  La norma prevede l'emanazione di uno o più decreti del Presidente del Consiglio, da adottare su proposta del Ministro dell'interno entro 60 giorni dalla data di approvazione dello statuto di ciascuna città metropolitana, con il parere della Conferenza unificata che provvedano a definire i collegi uninominali di cui all'articolo 9 della legge n. 122 del 1951 e le altre disposizioni attuative per l'elezione del consiglio metropolitano.
  Si ricorda che l'articolo 9 della legge 122 del 1951, che ha disciplinato la costituzione dei collegi uninominali per la elezione del consiglio provinciale fino al decreto-legge n. 201 del 2011, dispone che in ciascuna provincia sono costituiti tanti collegi quanti sono i consiglieri da eleggere e che a ciascun comune non possono essere assegnati più della metà dei collegi spettanti alla provincia.
  Come già accennato, ai sensi dell'articolo 7, il sindaco metropolitano può nominare un vicesindaco, scelto tra i consiglieri metropolitani, dandone immediata comunicazione al consiglio. Il disegno di legge indica quale attribuzione fondamentale del vicesindaco l'esercizio delle funzioni del sindaco in caso di impedimento e di cessazione della carica. Inoltre il sindaco può delegare stabilmente altre funzioni al vicesindaco.
  Non è prevista l'istituzione di una giunta metropolitana, ma il sindaco metropolitano Pag. 43può assegnare deleghe a consiglieri metropolitani (consiglieri delegati) secondo le modalità e nei limiti stabiliti dallo statuto.
  La conferenza metropolitana ordinaria, come quella provvisoria, è composta dal sindaco metropolitano, che la convoca e la presiede, e dai sindaci dei comuni appartenenti alla città metropolitana. Il sindaco ha il potere di convocare la conferenza e svolge le funzioni di presidente della stessa (articolo 8, comma 1).
  Il successivo comma 2 stabilisce le modalità di approvazione delle delibere (che si ricorda per quest'organo concernono esclusivamente l'adozione dello statuto, delle modifiche allo stesso e del bilancio) che sono adottate con un particolare sistema di voto ponderato che prende come base il voto del sindaco del comune più piccolo, a cui viene assegnato il valore di uno e il voto degli altri sindaci si calcola dividendo il numero degli abitanti del loro comune e il numero degli abitanti del comune con popolazione minore. Il valore è arrotondato alla seconda cifra decimale.
  Il comma 9 individua come funzioni fondamentali delle città metropolitana le funzioni fondamentali delle province (articolo 15) e le seguenti funzioni fondamentali: adozione annuale del piano strategico del territorio metropolitano (atto di indirizzo per tutte le gli enti del territorio metropolitano; pianificazione territoriale generale comprese le strutture di comunicazione, le reti di servizi e delle infrastrutture; strutturazione di sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici, nonché organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito metropolitano; mobilità e viabilità; promozione e coordinamento dello sviluppo economico e sociale; promozione e coordinamento dei sistemi di informatizzazione e di digitalizzazione.
  Si tratta delle stesse funzioni assegnate alle città metropolitane dall'articolo 18 del decreto-legge n. 95 del 2012, ampliate con l'aggiunta del piano strategico e l'informatizzazione.
  Il comma 2 fa salve le funzioni di programmazione e coordinamento che spettano alle regioni nelle materie a legislazione concorrente Stato-regioni (articolo 117, 3o comma, Cost.) e nelle materie di competenza esclusiva delle regioni (articolo 117, 4o comma, Cost.). Parimenti restano ferme le funzioni amministrative esercitate dalle regione in virtù del principio di sussidiarietà (articolo 118 Cost.).
  L'articolo 10 dispone che ciascuna città metropolitana succede a titolo universale in tutti i rapporti attivi e passivi (comprese le entrate provinciali) della provincia cui subentra e individua le risorse della città metropolitana nel patrimonio, nel personale e le risorse umane e strumentali della provincia medesima.
  Ribadisce, inoltre, che, nel caso in cui la città metropolitana non sostituisca del tutto la provincia originaria, ma subentri solo per una parte del territorio provinciale, ai sensi dell'articolo 3, comma 1, lettera g), si procede alla ripartizione delle risorse tra la città metropolitana e la provincia, come previsto dalla citata lettera g), con delibera del presidente della provincia in carica.
  Infine, ai sensi del comma 2, il personale trasferito dalla provincia alla città metropolitana mantiene la posizione giuridica ed economica in godimento all'atto del trasferimento con riferimento alle voci fisse e continuative, compresa l'anzianità di servizio maturata.
  Il Capo IV disciplina la Città metropolitana di Roma Capitale con gli articoli 16 e 17.
  Roma capitale deve la sua configurazione quale ente territoriale unico, dotato di speciale autonomia, statutaria, amministrativa e finanziaria, i cui confini coincidono con quelli del comune di Roma all'articolo 24 della legge 42 del 2009 di delega sul federalismo fiscale. Tale legge ha attribuito a Roma capitale ulteriori funzioni amministrative – relative alla valorizzazione dei beni storici, artistici e ambientali, allo sviluppo del settore produttivo e del turismo, allo sviluppo urbano, all'edilizia pubblica e privata, ai servizi urbani, con particolare riferimento Pag. 44al trasporto pubblico ed alla mobilità, e alla protezione civile – e ha previsto che siano ad essa assegnate risorse ulteriori, in considerazione del ruolo di capitale della Repubblica e delle nuove funzioni.
  In attuazione della delega sono intervenuti il decreto legislativo n. 156 del 2010, recante l'ordinamento transitorio di Roma capitale, che disciplina gli organi di governo (Assemblea capitolina, Giunta capitolina e Sindaco) e il decreto legislativo n. 61 del 2012, che disciplina il conferimento delle funzioni amministrative già attribuite al nuovo ente dalla legge delega sul federalismo.
  In realtà, nel sistema delineato dalla legge delega sul federalismo, le disposizioni su Roma capitale avrebbero dovuto avere carattere transitorio o, per meglio dire, costituire una «normativa-ponte» fino all'attuazione di una disciplina organica delle città metropolitane, rimessa dalla medesima legge delega (articolo 23) ad un apposito decreto legislativo. In questo quadro la città metropolitana di Roma capitale sarebbe dovuta subentrare all'ente Roma capitale, assumendo sia le funzioni generali delle città metropolitane che le funzioni speciali attribuite a Roma capitale (articolo 24, commi 9 e 10, L: 42 del 2009).
  Tuttavia, la disciplina delle città metropolitane, dopo la scadenza dei termini della relativa delega, è stata dettata da una diversa fonte legislativa, cioè dall'articolo 18 del decreto-legge 95 del 2012, che contestualmente abrogava le disposizioni relative all'applicazione a Roma capitale delle norme sulle città metropolitane contenute nell'articolo 24, commi 9 e 10, della legge 42 del 2009, sopra ricordata. Così, l'articolo 18 dettava una disciplina comune per Roma capitale e per le altre città metropolitane, senza però chiarire i rapporti tra la nuova città metropolitana, che subentrava all'intera provincia, e l'ordinamento speciale di Roma capitale. Ma, come già rilevato, la nuova disciplina delle città metropolitane recata dal citato articolo 18 – la cui applicabilità era stata peraltro sospesa fino al 31 dicembre 2013 dalla legge di stabilità 28 del 2012 – è stata dichiarata incostituzionale dalla sentenza n. 200 del 2013.
  A differenza dell'articolo 18 del decreto-legge n. 95 del 2012, il disegno di legge detta per Roma capitale una disciplina specifica rispetto alle altre città metropolitane e, all'articolo 16, prevede che Roma capitale assuma, dal 1o gennaio 2014, anche la natura giuridica e le funzioni di città metropolitana, con la denominazione di città metropolitana di Roma capitale.
  Questa disciplina è riferita al comune di Roma capitale, ma bisogna notare che Roma capitale è oggetto di uno specifico comma dell'articolo 114 della Costituzione e che l'articolo 23 della legge delega sul federalismo fiscale configura Roma non come un comune ma come uno specifico ente territoriale.
  L'articolo 16 richiama l'articolo 1 del decreto legislativo n. 61 del 2012, che conferisce in via transitoria, fino all'istituzione della città metropolitana di Roma capitale, il conferimento di funzioni amministrative a Roma capitale.
  Entro il 28 febbraio 2014, i comuni della provincia di Roma confinanti con Roma capitale, possono, su proposta dell'Assemblea capitolina, deliberare di aderire alla città metropolitana di Roma capitale; l'adesione avviene con una delibera del consiglio comunale adottata a ‘maggioranza assoluta dei votanti’. Con legge dello Stato adottata ai sensi dell'articolo 133 Cost. è disposto il passaggio nell'ambito della città metropolitana di Roma capitale dei comuni interessati, che mantengono la natura giuridica di comuni autonomi. Vi sono delle differenze in questo procedimento rispetto alla disciplina delle altre città metropolitane, innanzitutto perché il territorio della Città metropolitana di Roma capitale non coincide con quello della provincia, come previsto invece in generale dall'articolo 2, comma 2, ma con quello di Roma capitale.
  In secondo luogo, la Città metropolitana di Roma capitale può al massimo estendersi ai territorio di Roma capitale e ai comuni della provincia confinanti con esso e per tale estensione è richiesto il Pag. 45consenso sia di Roma capitale che del singolo comune (comma 3); per le altre Città metropolitane, invece, il territorio, come già rilevato, coincide con quello della provincia, salva la facoltà di un terzo dei comuni tra loro confinanti o di un numero di comuni che rappresentino un terzo della popolazione di non aderire (articolo 3, comma 1, lettera g).
  Inoltre, per l'istituzione della Città metropolitana di Roma capitale, con ambito territoriale diverso da quello del comune di Roma capitale, è richiesta una legge dello Stato ai sensi dell'articolo 133 Cost. (comma 3), mentre per le altre Città metropolitane tale legge non è prevista, neanche nell'ipotesi in cui il prescritto numero di comuni non aderisca e si dia dunque luogo, oltre all'istituzione della Città metropolitana, al mantenimento della provincia (articolo 3, comma 1, lettera g).
  Ancora, per la Città metropolitana di Roma capitale non è espressamente previsto che i comuni limitrofi possano assumere, ai sensi dell'articolo 133 Cost., l'iniziativa per l'adesione alla Città metropolitana.
  Dopo il 28 febbraio 2014, constatato il numero dei comuni che ha aderito alla città metropolitana, anche nelle more della conclusione del procedimento, alla Città metropolitana di Roma capitale e alla provincia di Roma si applicano la disciplina generale delle città metropolitane relativa ai casi in cui un determinato numero di comuni non aderisca alla città metropolitana e si dia dunque luogo al mantenimento della provincia.
  È dunque previsto un decreto del Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali, di concerto con il Ministro dell'economia – da adottare entro tre mesi – per la determinazione delle modalità di ripartizione del patrimonio, delle risorse finanziarie, umane e strumentali e degli obiettivi del patto di stabilità interno tra provincia e città metropolitana, assicurando l'invarianza finanziaria. Si procede così al riparto del patrimonio e delle risorse con delibera del presidente della provincia in carica, o meglio, considerata la gestione commissariale in atto, del commissario governativo, di intesa con il sindaco metropolitano, sentiti i comuni interessati. Ove la delibera non sia adottata entro il 30 aprile 2014, provvede il prefetto, nei successivi novanta giorni, con proprio atto impugnabile dalla provincia e dalla città metropolitana davanti alla sezione regionale della Corte dei conti.
  Alla città metropolitana di Roma capitale si applicano le norme dell'articolo 3, relative all'istituzione degli organi delle città metropolitane in sede di prima applicazione, con funzioni limitate all'approvazione dello statuto fino alla data di subentro alla provincia. Fino all'eventuale adesione di altri comuni alla città metropolitana, il sindaco di Roma assume le funzioni di sindaco metropolitano e l'Assemblea capitolina assume le funzioni tanto del consiglio quanto della conferenza metropolitana.
  Una differenza con quanto previsto dall'articolo 3 per le altre città metropolitane, che subentrano alla provincia omonima dal 1o luglio 2014, è nel subentro della città metropolitana di Roma capitale alla provincia di Roma dopo la proclamazione dei sindaci e dei consigli comunali nella prima consultazione elettorale successiva all'entrata in vigore della legge. Naturalmente il subentro avviene limitatamente al territorio di Roma capitale ed ai comuni che siano stati assegnati all'ambito territoriale della città metropolitana con legge statale ex articolo 133 della Costituzione. Occorrerà però tenere conto del fatto che le elezioni degli organi di Roma capitale non necessariamente coincidono con le elezioni dei consigli dei comuni che rientreranno nell'ambito della nuova città metropolitana e che la scadenza naturale della consiliatura di Roma capitale è nel 2018, il che comporta che, fino alle nuove elezioni, resti in carica nella provincia di Roma il commissario governativo.
  La provincia di Roma resta quindi in funzione limitatamente al territorio residuo rispetto a quello della città metropolitana Pag. 46di Roma capitale. Ad essa si applicano, ove compatibili, le disposizioni del capo III.
  L'articolo 17 prevede l'applicabilità alla città metropolitana di Roma capitale della disciplina generale sulle città metropolitane, ove compatibile, disciplina dettata dal capo II, in precedenza illustrata.
  Conclude ribadendo l'importanza di un esame veloce del provvedimento, che rappresenta una sfida importante chiamando all'innovazione tutte le amministrazioni locali italiane.

  Francesco Paolo SISTO, presidente, si associa ai ringraziamenti, formulati dalla relatrice, agli Uffici, che si caratterizzano ogni giorno per particolare professionalità, saggezza e puntualità.

  Elena CENTEMERO (PdL), relatore, concorda con le considerazioni svolte dal presidente e rileva preliminarmente come l'intenso dibattito sul tema delle province che si è svolto oggi in Assemblea sull'articolo 12 del decreto-legge n. 93 del 2012 rende ancora più necessario intervenire quanto prima per rispondere adeguatamente alle richieste dei cittadini sulle questioni che attengono alle città metropolitane e, ancora di più, alle province.
  Fa quindi presente che nella sua relazione si soffermerà sui Capi III, V e VI del disegno di legge in esame. Rileva che il Capo III, costituito dagli articoli da 11 a 15, disciplina organi e funzioni delle province in un ottica transitoria, cioè in vista del disegno di legge costituzionale C. 1543, presentato dal Governo il 20 agosto 2013, finalizzato ad escludere il carattere costituzionalmente necessario dell'ente provincia.
  Rileva che le disposizioni di questo Capo presuppongono la declaratoria di illegittimità costituzionale delle disposizioni varate nella scorsa legislatura con i decreti-legge n. 201 del 2011 e n. 95 del 2012 in materia di province e di città metropolitane, contenuta nella sentenza n. 220 del 2013 della Corte costituzionale.
  Fa presente che la sentenza è fondata sulla considerazione che lo strumento del decreto-legge, configurato dall'articolo 77 della Costituzione come «atto destinato a fronteggiare casi straordinari di necessità e urgenza», non è «utilizzabile per realizzare una riforma organica e di sistema». Inoltre, esse traggono la loro legittimazione costituzionale dall'articolo 117 della Costituzione, comma secondo, lettera p), che attribuisce alla competenza esclusiva dello Stato la disciplina di organi e funzioni fondamentali anche delle province.
  Evidenzia che dalla disciplina del Capo III l'articolo 11, comma 3 espressamente esclude le province autonome di Trento e Bolzano (previste dalla Costituzione all'articolo 116, secondo comma), mentre l'articolo 18, comma 6, reca una clausola specifica per l'adeguamento delle regioni a statuto speciale, che, seppure con diverse formulazioni, hanno competenza primaria in materia di enti locali, ai sensi dei propri statuti di autonomia (che hanno rango costituzionale) da esercitare entro il limite dei principi fondamentali dell'ordinamento giuridico della Repubblica.
  Con riferimento a tali regioni, i percorsi seguiti dal 2012 in materia di province, rispettivamente, in Sardegna, a partire dallo svolgimento di referendum regionali, e in Sicilia, con specifici procedimenti legislativi.
  Ricorda altresì che all'esito dell'intervento della Corte costituzionale è stato adottato l'articolo 12 del decreto-legge n. 93 del 2012, in corso di esame proprio questi giorni alla Camera, che ha stabilito: la salvezza, rispettivamente, dei provvedimenti di scioglimento delle province e dei conseguenti atti di nomina dei commissari nonché degli atti da questi posti in essere (commi 1 e 2); l'ulteriore efficacia, rispetto al vigente termine del 31 dicembre 2013, fino al 30 giugno 2014 delle gestioni commissariali già in essere (comma 3) e l'applicazione delle disposizioni in tema di gestioni commissariali dal 1o gennaio 2014 al 30 giugno dello stesso anno per le province che, nello stesso periodo, cesseranno per scadenza naturale o per cessazione anticipata (comma 4). Pag. 47
  Rileva come nel corso della conversione presso la Camera tale articolo sia stato soppresso ed è stato introdotto l'articolo 1-bis nel disegno di legge di conversione che: mantiene fermo quanto previsto dal citato articolo 1, comma 115, della legge di stabilità per il 2013 (n. 228 del 2012); fa salvi i provvedimenti di scioglimento degli organi e di nomina dei commissari straordinari delle amministrazioni provinciali, adottati, in applicazione dell'articolo 23 del decreto-legge n. 201 del 2011; fa salvi i provvedimenti adottati, alla data di entrata in vigore della legge di conversione, dai medesimi commissari straordinari in base all'articolo 141 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali); sospende fino al 30 giugno 2014 l'obbligo di riduzione delle dotazioni organiche del Ministero dell'interno previsto dall'articolo 2, comma 2, del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012.
  Rileva che dagli articoli 11 e 15 risulta un quadro transitorio delle funzioni delle province, definite enti di area vasta, per le funzioni loro attribuite. La transitorietà è connessa all'obiettivo dell'eliminazione del carattere necessario delle province attraverso la riforma costituzionale contenuta nel disegno di legge C. 1543 presentato dal Governo.
  Fa presente che le funzioni indicate dall'articolo 15, comma 1, ineriscono alla cura del territorio (pianificazione territoriale di coordinamento; tutela e valorizzazione dell'ambiente), alla gestione dei trasporti (pianificazione dei servizi di trasporto; autorizzazione e controllo del trasporto privato; costruzione e gestione delle strade; circolazione stradale) ovviamente a livello provinciale e programmazione, allo stesso livello, della rete scolastica. Il comma riproduce quasi integralmente il disposto dell'articolo 17, comma 10, del decreto-legge n. 95 del 2012, senza riprendere la previsione della gestione dell'edilizia scolastica nelle scuole secondarie di secondo grado che era stata inserita nel citato comma 10 nel corso dell’iter parlamentare di conversione.
  Rileva come alcune delle funzioni elencate dal comma 1 dell'articolo 15 non hanno solo un rilievo programmatorio o di pianificazione. Infatti, solo le funzioni di pianificazione territoriale provinciale di coordinamento e pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale presentano questo profilo che non caratterizza invece le seguenti funzioni: tutela e valorizzazione dell'ambiente; autorizzazione e controllo in materia di trasporto privato; costruzione, classificazione e gestione delle strade provinciali; regolazione della circolazione stradale.
  Evidenzia che il quadro normativo vigente già attribuisce alle province funzioni in materia di pianificazione territoriale di coordinamento con l'articolo 20, comma 2, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali-TUEL), infatti, si stabilisce che la provincia, ferme restando le competenze dei comuni ed in attuazione della legislazione e dei programmi regionali, predispone ed adotta il piano territoriale di coordinamento che determina gli indirizzi generali di assetto del territorio.
  Ricorda che in materia di tutela e valorizzazione dell'ambiente, le competenze delle province sono state definite dal decreto legislativo n. 112 del 1998, dal citato decreto legislativo n. 267 del 2000, attribuendo compiti di controllo, programmazione e coordinamento, nonché da alcune norme del decreto legislativo n. 152 del 2006, che recano l'attribuzione di competenze alle province in materia ambientale, cioè funzioni amministrative concernenti la programmazione ed organizzazione del recupero e dello smaltimento dei rifiuti a livello provinciale e funzioni di concorso alla tutela e al risanamento del suolo e del sottosuolo, al risanamento idrogeologico del territorio tramite la prevenzione dei fenomeni di dissesto, alla messa in sicurezza delle situazioni a rischio e alla lotta alla desertificazione. Inoltre, le province partecipano all'esercizio delle funzioni regionali in materia di difesa del suolo nei modi e nelle forme Pag. 48stabilite dalle regioni singolarmente o d'intesa tra loro, nell'ambito delle competenze del sistema delle autonomie locali.
  Rileva che il testo in esame non effettua un coordinamento con la normativa richiamata, né sono coordinate le competenze attribuite alle province in materia di costruzione e classificazione delle strade, con la ripartizione di competenze attualmente contenuta nell'articolo 2 del Codice della Strada, di cui al decreto legislativo n. 285 del 1992. Infatti, secondo tali disposizioni sono le regioni a procedere, sentiti gli enti locali, alla classificazione delle strade sia regionali, che provinciali e comunali, sentendo altresì il Consiglio superiore dei lavori pubblici e il Consiglio di amministrazione dell'Azienda nazionale autonoma per le strade statali (ANAS); inoltre, per la costruzione delle strade, disciplinata dagli articoli da 13 a 34-bis del Codice della strada, la competenza è attualmente attribuita al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentiti il Consiglio superiore dei lavori pubblici ed il Consiglio nazionale delle ricerche.
  In materia scolastica, ricorda la sentenza n. 200 del 2009 della Corte costituzionale, che ha confermato che la materia dell'organizzazione della rete scolastica non può formare oggetto di disciplina regolamentare da parte dello Stato, essendo di esclusiva competenza regionale. Quindi, per effetto dell'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 233 del 1998, le regioni sono chiamate ad approvare il piano regionale di dimensionamento delle istituzioni scolastiche, sulla base dei piani provinciali. Inoltre, l'articolo 3 della legge n. 23 del 1996, tuttora vigente, attribuisce alle province la realizzazione, la fornitura e la manutenzione ordinaria e straordinaria degli edifici da destinare a sede di istituti e scuole di istruzione secondaria superiore, compresi i licei artistici e gli istituti d'arte, i conservatori di musica, le accademie, gli istituti superiori per le industrie artistiche, oltre che i convitti e le istituzioni educative statali. La stessa norma attribuisce invece ai comuni analoghe funzioni in materia di edilizia scolastica, con esclusivo riferimento agli edifici da destinare a sede «di scuole materne, elementari e medie».
  La lettera i), comma 1, dell'articolo 19 del TUEL, inoltre, con riferimento alle province, richiama per esse i compiti connessi all'istruzione secondaria di secondo grado ed artistica ed alla formazione professionale, compresa l'edilizia scolastica, attribuiti dalla legislazione statale e regionale.
  Per tutte le funzioni illustrate, rileva che l'articolo 23, dedicato alle norme finali, non contiene disposizioni di coordinamento con quelle vigenti illustrate.
  L'articolo 11, comma 2 – con formulazione identica a quella già contenuta nell'articolo 17, comma 11 del decreto-legge n. 95 del 2012, caducato dalla declaratoria di illegittimità contenuta nella sentenza n. 220 del 2013 della Corte costituzionale – stabilisce che «restano ferme» le funzioni di programmazione e coordinamento delle regioni nelle materie oggetto competenza legislativa concorrente e residuale ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione e le funzioni esercitate ai sensi dell'articolo 118 della Costituzione».
  Inoltre, l'articolo 15, comma 2, mantiene ferme «le funzioni esercitate ai sensi dell'articolo 118 della Costituzione» e il comma 3 prevede che «Con legge regionale sono trasferite ai comuni e alle unioni di comuni le funzioni rientranti nelle materie di competenza regionale ai sensi dell'articolo 117, commi terzo e quarto, della Costituzione, diverse da quelle di cui al comma 1, salva diversa attribuzione per specifiche e motivate esigenze di sussidiarietà». Viene così posto un obbligo alle regioni di trasferimento a livello comunale di funzioni nelle materie dell'articolo 117 della Costituzione, commi terzo e quarto, che ha natura generalizzata e al quale sono sottratte solo le funzioni indicate nell'articolo 11, comma 2, nonché nel comma 1 dello stesso articolo 15. L'obbligo è temperato dalla clausola di salvezza di «diversa attribuzione per specifiche e motivate esigenza di sussidiarietà».
  L'articolo 15, comma 2 dispone il trasferimento ai comuni ovvero alle unioni di comuni delle funzioni amministrative conferite Pag. 49alle province con legge dello Stato fino alla data di entrata in vigore del testo in esame. Anche questo comma riproduce, in parte, la disposizione contenuta nel citato articolo 17 del decreto-legge n. 95 del 2012, che, al comma 6, ha disposto il trasferimento ai comuni delle funzioni amministrative conferite alle province con legge dello Stato fino alla data di entrata in vigore del decreto-legge stesso e rientranti nelle materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato. Tuttavia, non si specifica nel testo in esame che debba trattarsi di funzioni rientranti nella competenza legislativa esclusiva dello Stato e si prevede l'attribuzione anche alle unioni di comuni, che costituiscono una delle forme di esercizio associato di funzioni, talora obbligatorio.
  Rileva che l'effettiva individuazione delle stesse funzioni trasferite è riservata dall'articolo 15, comma 4, ad un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, da adottare, su proposta del Ministro dell'interno e del Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali, di concerto con i Ministri della pubblica amministrazione e dell'economia e delle finanze, entro il 31 marzo 2014, previa intesa in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali. Questa data, essendo fissa, andrà valutata in relazione ai tempi effettivi dell’iter parlamentare.
  Alla stessa fonte è demandata la determinazione dei criteri generali per l'individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative connessi all'esercizio delle funzioni stesse e al loro conseguente trasferimento dalla provincia ai comuni o alle unioni di comuni.
  Ricorda che sullo schema di decreto, per quanto attiene al trasferimento di risorse umane, si prescrive che siano consultate le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative e che sia acquisito il parere della Commissione parlamentare per la semplificazione, di cui all'articolo 14, comma 19, della legge 28 novembre 2005, n. 246, e successive modificazioni.
  Il secondo periodo del comma 4 specifica che le entrate continuano a spettare alla provincia e che vengono da essa ripartite tra i comuni cui sono attribuite le predette funzioni; non vi sono disposizioni in merito alle fonti di finanziamento delle funzioni delle province.
  Ricorda che, in base alla riforma effettuata dal decreto legislativo n. 68 del 2011, in attuazione della delega stabilita dalla legge n. 42 del 2009, spettano alle province: la compartecipazione provinciale all'Irpef nella misura dello 0,60; l'imposta sulla assicurazione RC auto; una compartecipazione provinciale – il cui importo non è stato ancora stabilito nonostante sia scaduto il relativo termine – alla tassa automobilistica regionale, a compensazione, dal 2013, della soppressione dei trasferimenti regionali diretti al finanziamento delle spese delle province; l'imposta provinciale di trascrizione (IPT), iscrizione ed annotazione dei veicoli iscritti al pubblico registro automobilistico; i tributi propri derivati, cioè quegli altri tributi ad esse riconosciuti dalla legislazione vigente.
  Gli atti finalizzati alla riscossione continuano ad essere imputati alle province, responsabili anche della ripartizione del relativo gettito ai comuni ai quali sono attribuite le funzioni in base all'articolo 15, comma 2. Il riferimento è alle funzioni menzionate dal comma 2, già conferite da legge statale alle province, che devono essere trasferite ai comuni o alle unioni di comuni.
  Il comma 5 rinvia ad un'ulteriore fonte, una delibera del consiglio provinciale costituito ai sensi dell'articolo 13, l'adozione di disposizioni attuative del suddetto decreto del Presidente del consiglio, senza stabilire un termine temporale. Dall'adozione della delibera provinciale, decorre un termine di sessanta giorni entro il quale le province sono tenute ad effettuare una rideterminazione, in riduzione, della pianta organica del personale e una modifica dei relativi profili professionali in coerenza con le funzioni provinciali e il nuovo assetto degli organi, provvedendo anche agli adeguamenti successivi a seguito delle leggi regionali di cui al comma 3.Pag. 50
  Il comma 6 mantiene fermo per le province, dalla data di entrata in vigore del provvedimento, il divieto di nuove assunzioni, per il quale occorre fare riferimento all'articolo 16, commi 8 e 9 del decreto-legge n. 95 del 2012.
  Quanto agli organi, l'articolo 12, comma 1, assegna alle province tre organi: il presidente, il consiglio provinciale, entrambi configurati dai commi 3 e 4 come organi ad elezione indiretta, necessaria per il primo ed eventuale per il secondo, e l'assemblea dei sindaci, costituita, ai sensi del comma 5, dai sindaci dei comuni della provincia.
  Il presidente della provincia è eletto dai sindaci dei comuni appartenenti alla provincia, in carica alla data dell'elezione, nonché dai commissari ordinari e straordinari nominati ai sensi degli articoli 141 e 143 del TUEL tra i sindaci in carica nei comuni della provincia alla data dell'elezione; a tal fine il sindaco del comune capoluogo convoca l'assemblea dei sindaci.
  Ai fini dell'elezione ogni elettore può esprimere una sola preferenza e risulta eletto il candidato che abbia riportato più voti secondo il sistema di voto ponderato previsto dall'articolo 8, comma 2, per le deliberazioni delle città metropolitane e, a parità di voto è eletto il più anziano.
  Per il consiglio provinciale l'articolo 12, comma 4, prevede la seguente alternativa: esso può essere costituito dai sindaci dei comuni della provincia con più di 15.000 abitanti e dai presidenti delle unioni di comuni della provincia con popolazione complessiva superiore a 10.000 abitanti, nonché, fino al compimento del terzo anno dalla data di costituzione del consiglio medesimo, dai presidenti di unioni di cui all'articolo 1, comma 4,secondo periodo. Oppure esso può essere eletto – sempre secondo il sistema previsto dall'articolo 8, comma 2, con la previsione che, a parità di voti, è eletto il più anziano – dall'assemblea dei sindaci nel suo ambito, con la seguente composizione: sedici componenti nelle province con popolazione superiore a 700.000 abitanti, dodici componenti nelle province con popolazione da 300.000 a 700.000 abitanti, dieci componenti nelle province con popolazione fino a 300.000 abitanti. Risultano eletti quindi componenti più votati secondo il predetto sistema fino a concorrenza del numero dei consiglieri eleggibili.
  La scelta tra i due sistemi è rimessa allo statuto e, quindi all'organo che, in base al testo in esame, è chiamato a deliberarlo, cioè l'assemblea dei sindaci.
  In via transitoria, l'articolo 13, comma 1, per la prima applicazione, prevede che il presidente della provincia o il commissario, in carica alla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, convoca l'assemblea dei sindaci per l'elezione del presidente della provincia, che si svolge entro venti giorni dalla proclamazione dei sindaci eletti a seguito delle prime elezioni amministrative successive alla stessa data di entrata in vigore.
  Si prevede la proroga degli organi provinciali e dei commissari in carica alla data di entrata in vigore del provvedimento, fino alla data di insediamento del nuovo presidente e del nuovo consiglio provinciale.
  Rileva come abbia natura transitoria anche il comma 2 dell'articolo 13, che attribuisce una competenza statutaria al consiglio provinciale temporalmente limitata entro il 31 dicembre 2014 – a regime, come rilevato, spetta all'assemblea dei sindaci – per approvare le sole modifiche statutarie conseguenti al provvedimento in esame.
  In caso di mancata adozione entro la predetta data, il prefetto fissa per la loro adozione un nuovo termine, non superiore a sessanta giorni, decorso il quale nomina un commissario ad acta con il compito di adottarle, salve le eventuali successive modificazioni da parte degli organi della provincia. Al commissario non sono corrisposti gettoni, compensi, rimborsi di spese o altri emolumenti comunque denominati.
  L'articolo 14 prevede che gli incarichi di presidente della provincia, di consigliere provinciale e di componente dell'assemblea dei sindaci sono esercitati a titolo gratuito. Il comma 2 prevede che il presidente della provincia il quale, durante il Pag. 51suo mandato, cessa dalla carica di sindaco, decade e si procede a una nuova elezione mentre i consiglieri che, durante il loro mandato, cessano dalla carica di sindaco, sono sostituiti da chi subentra nella predetta carica.
  Le funzioni del presidente sono riconducibili a: rappresentanza, presidenza di organi collegiali e sovraintendenza di attività. Quelle del consiglio provinciale a: indirizzo, proposta e deliberazione; quelle dell'assemblea dei sindaci, deliberazione, proposta e consulenza.
  Per l'individuazione di ulteriori funzioni l'articolo 12, comma 2, rinvia allo statuto, il cui procedimento di adozione presuppone la proposta del consiglio e la deliberazione dell'assemblea; anche le attività connesse ai bilanci sono articolate in procedimenti che, analogamente, presuppongono la proposta del consiglio e la delibera dell'assemblea.
  Il capo V disciplina le unioni e le fusioni di comuni, ma non tutte le disposizioni in materia sono contenute in questo capo.
  Infatti, le unioni di comuni sono oggetto sia dei commi 4, 5 e 6 dell'articolo 1, sia del capo V del provvedimento in esame, ed in particolare degli articoli 18, 19 e 20 che ne ridisciplinano gli organi, i quali vengono uniformati per tutte le tipologie di unioni.
  Disposizioni in materia di unioni si rinvengono anche nel capo VI (norme finali), ed in particolare all'articolo 23, commi 1 e 3, che abrogano alcune disposizioni relative agli organi delle unioni. L'articolo 21 del medesimo capo V riguarda invece le fusioni di comuni, mentre l'articolo 22 reca misure incentivanti sia per le unioni, sia per le fusioni di comuni.
  L'articolo 1, ai commi 4, 5 e 6, provvede alla ricognizione delle diverse tipologie di unioni di comuni apportando, in alcuni casi, alcune modifiche alla relativa disciplina. Si tratta, prevalentemente, di integrazioni parziali di una materia che è stata interamente ridisciplinata dall'articolo 19 del decreto-legge n. 95 del 2012 di revisione della spesa.
  Il comma 4, primo periodo, riguarda le unioni di comuni per l'esercizio associato facoltativo di specifiche funzioni ed ha uno scopo puramente ricognitivo in quanto riproduce sostanzialmente il primo comma dell'articolo 32 del testo unico degli enti locali, limitandosi a ribadire che le unioni sono enti locali costituiti da due o più comuni per l'esercizio associato di funzioni e a fare rinvio al medesimo articolo 32.
  Le modifiche a questo tipo di unioni riguardano la composizione e formazione degli organi che, come si è anticipato, sono oggetto del capo V.
  I successivi secondo e terzo periodo del comma 4 hanno ad oggetto le unioni per l'esercizio associato obbligatorio delle funzioni fondamentali istituite dal decreto-legge n. 78 del 2010 e successivamente più volte ridisciplinate da ultimo dal decreto-legge n. 95 del 2012 (articolo 19, comma 1).
  Il secondo periodo si limita a riprodurre in gran parte il disposto dell'articolo 14, comma 28, del decreto-legge n. 78 del 2010, ribadendo che i comuni al di sotto di 5.000 abitanti devono obbligatoriamente esercitare in forma associata le funzioni fondamentali (individuate dall'articolo 27 del medesimo decreto-legge n. 78 del 2010) ad eccezione di quelle relative all'anagrafe tramite unione di comuni o convenzione (di cui all'articolo 30 TUEL).
  La portata innovativa della disposizione si rinviene invece nel terzo periodo, dove si introduce un limite temporale di cinque anni entro i quali è possibile stipulare nuove convenzioni; decorso tale periodo, l'esercizio obbligatorio potrà avvenire esclusivamente attraverso il ricorso alle unioni di comuni. Non vi sono specifiche norme relative alle convenzioni in essere alla scadenza dei cinque anni.
  Ricorda, in proposito, che l'articolo 30 del TUEL prevede che le convenzioni devono contenere obbligatoriamente la durata senza però definirne un termine massimo. Un termine minimo (tre anni) è previsto, proprio per le convenzioni tra piccoli comuni, dal citato decreto-legge n. 78 (articolo 14, comma 31-bis).Pag. 52
  La terza tipologia di unione, quella relativa all'esercizio facoltativo di tutte le funzioni e servizi comunali, è oggetto del comma 5 che, anche in questo caso, richiama la normativa fondamentale in materia costituita dall'articolo 16, commi 1-16, del decreto-legge n. 138 del 2011, come modificati dal decreto-legge n. 95.
  Tale disposizione prevede che, in alternativa all'esercizio obbligatorio delle funzioni fondamentali di cui sopra, i piccoli comuni possono scegliere di formare unioni per l'esercizio di tutte le funzioni loro spettanti e non solo quelle fondamentali (fermo restando per quest'ultime l'obbligo di esercizio associato). In tal caso si applica una disciplina speciale derogatoria di quella di cui all'articolo 32 TUEL, recata dallo stesso decreto 138.
  Il comma in esame alza la soglia demografica dei comuni che possono ricorrere a questo tipo di unione portandola da 1.000 (come previsto dalla norma vigente) a 5.000 abitanti.
  Inoltre, viene specificato che, nel caso di opzione, tra le funzioni da esercitare in forma associata sono comprese anche quelle eventualmente «assegnate» ai comuni che ne fanno parte da altri enti territoriali di cui all'articolo 114 della Costituzione (Stato, regioni, province e città metropolitane). Ricorda che il disegno di legge C. 1543 prevede la soppressione del riferimento a province e città metropolitane nell'articolo 114 della Costituzione.
  L'articolo 18 provvede ad uniformare la disciplina relativa agli organi di governo delle unioni di comuni.
  Rileva che attualmente gli organi delle unioni di comuni per l'esercizio associato di specifiche funzioni sono regolate dall'articolo 32 (commi 3 e 4) del TUEL (abrogati dall'articolo 23, comma 1 del presente provvedimento) che prevedono i seguenti organi: il presidente, scelto tra i sindaci dei comuni associati; la giunta, scelta tra i componenti dell'esecutivo dei comuni associati; il consiglio, composto da un numero di consiglieri, eletti dai singoli consigli dei comuni associati tra i propri componenti, non superiore a quello previsto per i comuni con popolazione pari a quella complessiva dell'ente, garantendo la rappresentanza delle minoranze e assicurando, se possibile, la rappresentanza di ogni comune.
  Si tratta dunque di organi formati interamente da amministratori in carica dei comuni associati che non percepiscono emolumenti ulteriori rispetto a quelli loro spettanti in virtù della carica rivestita nel comune di provenienza.
  Per il resto l'unione ha autonomia statutaria e potestà regolamentare e ad essa si applicano, in quanto compatibili, i principi previsti per l'ordinamento dei comuni, con particolare riguardo allo status degli amministratori, all'ordinamento finanziario e contabile, al personale e all'organizzazione.
  Le stesse disposizioni si applicano alle unioni obbligatorie di cui al decreto-legge n. 70 del 2001, in virtù del rinvio operato dall'articolo 28-bis del medesimo decreto.
  Per le unioni di comuni facoltative per l'esercizio associato di tutte le funzioni di cui al decreto-legge 138/2011, vige un regime organizzativo diverso che prevede quali organi istituzionali: il consiglio, di cui fanno parte tutti i sindaci dei comuni membri dell'unione (solamente in prima applicazione vi fanno parte anche due consiglieri comunali per ciascun comune eletti dai rispettivi consigli comunali, con la garanzia che uno dei due appartenga alle opposizioni); i presidente, eletto dal consiglio, che dura in carica due anni e mezzo ed è rinnovabile, ad esso spettano le competenze attribuite al sindaco dall'articolo 50 del TUEL, ferme restando in capo ai sindaci di ciascuno dei comuni che sono membri dell'unione le attribuzioni del sindaco nei servizi di competenza statale (articolo 54 del TUEL); la giunta, composta dal presidente, che la presiede, e dagli assessori, nominati dal presidente fra i sindaci componenti il consiglio in numero non superiore a quello previsto per i comuni aventi corrispondente popolazione. Alla giunta spettano le competenze delle giunte (ai sensi dell'articolo 48 del TUEL).Pag. 53
  Rileva che i nuovi organi delle unioni di comuni, come riformati dall'articolo 18 sono dunque: il presidente dell'unione, eletto dal consiglio dell'unione a maggioranza assoluta dei suoi membri tra i consiglieri che ricoprono la carica di sindaco (se dopo tre scrutini nessuno abbia ottenuto la maggioranza assoluta, si procede al ballottaggio tra due consiglieri più votati). Il presidente rappresenta l'ente, convoca e presiede il comitato dei sindaci e il consiglio e sovrintende al funzionamento dei servizi e degli uffici e all'esecuzione degli atti oltre ad esercitare le eventuali altre funzioni attribuite dallo statuto; il comitato dei sindaci dell'unione, formato da tutti i sindaci dei comuni dell'unione (è prevista la possibilità di prevedere per statuto l'istituzione di comitato esecutivo ristretto e l'articolazione in sottocomitati se il comitato supera i 30 componenti). Il comitato dei sindaci coadiuva il presidente nell'esercizio delle sue funzioni; il consiglio dell'unione, composto da tutti i sindaci dei comuni dell'unione e da due consiglieri per ciascun comune, di cui uno in rappresentanza della minoranza, che esprimono un unico voto con effetto ponderato ai sensi dell'articolo 8, comma 2. È organo di indirizzo con il compito di approvare lo statuto e tutti gli altri atti e provvedimenti ad esso sottoposti dal presidente (quali i regolamenti, i piani, i programmi e i bilanci).
  Come per le città metropolitane non è prevista la costituzione di un organo di governo (giunta), ma il presidente dell'unione può nominare un vicepresidente (scelto tra i membri del comitato) e nominare consiglieri delegati assegnando deleghe di funzioni ai componenti del comitato stesso.
  L'articolo 19 incide sulla potestà statutaria delle unioni dei comuni, anche in questo caso uniformando le disposizioni vigenti per i diversi tipi di unioni.
  Il comma 1, recepisce sostanzialmente quanto disposto dal comma 4 dell'articolo 32 del TUEL (contestualmente abrogato), che si riferisce alle unioni di comuni facoltative e che prevede che l'unione ha potestà statutaria e regolamentare, che è esercitata secondo i princìpi previsti per l'ordinamento dei comuni, con particolare riguardo allo status degli amministratori, all'ordinamento finanziario e contabile, al personale e all'organizzazione, con la precisazione che tali principi si applicano solamente se compatibili con le eventuali disposizioni previste dal presente provvedimento della presente legge e con quelle speciali, valide per ciascuna tipologia di unioni di comuni richiamate al comma 6 dell'articolo 1, del disegno di legge.
  Il comma 2 riproduce, modificandolo, il comma 10 (che viene anch'esso abrogato) dell'articolo 16 del decreto-legge n. 138 del 2011, relativo alle unioni facoltative: viene esteso a tutte le unioni quanto ivi previsto in ordine al contenuto obbligatorio dello statuto che deve individuare le modalità di funzionamento degli organi dell'unione e deve disciplinare i rapporti tra detti organi.
  Non viene invece confermato il quorum per l'approvazione dello statuto (maggioranza assoluta dei componenti il consiglio), né il termine dell'approvazione (entro 20 giorni dalla data di istituzione dell'unione); infatti, il comma 3 si limita a disporre che lo statuto è approvato dal consiglio dell'unione, senza prevedere alcun quorum o tempistica di approvazione.
  Infine, l'articolo 20 dispone in ordine al trattamento economico dei titolari delle cariche negli organi delle unioni di comuni prevedendo la gratuità di esse.
  In materia, ricorda che la disciplina vigente prevede due soluzioni opposte: l'articolo 32, comma 3, del TUEL dispone che gli organi delle unioni facoltative sono formati amministratori locali in carica ai quali non possono essere attribuiti emolumenti ulteriori a quelli recepiti in quanto amministratori dei comuni facenti parte dell'unione. Viceversa, l'articolo 16, comma 11, del decreto-legge n. 138 del 2011, dispone gli amministratori dell'unione cessano dal trattamento economico percepito in quanto amministratori comunali ed ad essi viene attribuita l'indennità spettante ai consiglieri e ai sindaci dei comuni con popolazione pari a quella dell'unione.Pag. 54
  L'articolo 21 reca una misura agevolativa nei confronti dei comuni sorti a seguito della fusione di più comuni, prevedendo che lo statuto del nuovo comune possa prevedere «forme particolari di collegamento» tra l'ente locale sorto dalla fusione e le comunità che appartenevano ai comuni originari.
  Tale misura si va ad aggiungere alla possibilità (contemplata dall'articolo 16 del TUEL) di prevedere l'istituzione di organi di decentramento (municipi) nei territori degli ex comuni.
  L'articolo 22 reca ulteriori misure incentivanti per unioni e fusioni di comuni, in relazione al patto di stabilità (comma 1) e al Primo Programma «6000 campanili» (comma 3); nonché disposizioni transitorie volte a graduare gli effetti della fusione tra comuni (comma 2). In particolare, il comma 1 dispone che le regioni, nell'ambito del patto di stabilità verticale, possono individuare misure atte ad incentivare le unioni e le fusioni di comuni. L'ultimo periodo del comma 1, inoltre, abroga la disposizione recata dal terzo periodo del comma 3 del già citato articolo 16 del decreto-legge 138/2011 che disponeva, a decorrere dal 2014, che le unioni di comuni fossero sottoposte al patto di stabilità. L'assoggettamento avrebbe riguardato anche le unioni di comuni formate dagli enti con popolazione inferiore a 1.000 abitanti, secondo le regole previste per i comuni aventi corrispondente popolazione.
  Il comma 2 reca una disposizione di carattere transitorio, volta a graduare gli effetti della fusione tra comuni. La disposizione prevede che i comuni risultanti da una fusione, qualora istituiscano i municipi, possono mantenere nei territori degli ex comuni – che corrispondono ai nuovi municipi in cui è articolato il nuovo ente – tributi e tariffe differenziate per ciascuno di essi, non oltre all'ultimo esercizio finanziario del primo mandato amministrativo del nuovo comune sorto dalla fusione (in sostanza cinque anni dall'elezione).
  Il comma 3 concerne, infine, il Primo Programma «6000 campanili» di cui all'articolo 18, comma 9, del decreto legge n. 69 del 2013, che ha destinato 100 milioni di euro per il 2014 a contributi statali a favore dei piccoli comuni (con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti), delle unioni composte da comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti e dei comuni risultanti da fusione tra comuni, ciascuno dei quali con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti per la realizzazione di interventi infrastrutturali e di messa in sicurezza del territorio.
  Il comma 3 in esame dispone che i progetti presentati dalle unioni di comuni devono avere accesso prioritario ai finanziamenti.
  Il capo VI, formato dal solo articolo 23, chiude il disegno di legge con una serie di disposizioni finali.
  Il comma 1 abroga i commi 3 e 4 dell'articolo 32 del TUEL concernenti, rispettivamente, gli organi e la potestà statutaria delle unioni di comuni, il cui contenuto è stato sostituito o è confluito negli articoli 18, 19, comma 1, e 20 del provvedimento in esame.
  Il comma 2 elimina l'obbligo di tenere le elezioni per il rinnovo degli organi provinciali esclusivamente nel periodo 15 aprile-15 giugno, come previsto dalla legge n. 182 del 1991; l'obbligo rimane solamente per le elezioni comunali.
  La disposizione, a regime, rende dunque possibile in ogni momento dell'anno lo svolgimento delle elezioni provinciali che, come disposto dall'articolo 12, saranno di secondo grado. Nell'immediato, la norma è presumibilmente finalizzata a poter svolgere le elezioni provinciali nelle province attualmente commissariate ai sensi del decreto-legge n. 201 del 2011 nel primo termine utile dopo l'approvazione del disegno di legge.
  Il comma 3 abroga alcune disposizioni in materia di unioni obbligatorie di comuni recate dall'articolo 16 del decreto-legge n. 138 del 2011 (commi 5, secondo periodo, 6, 7, 8, 9, 10 e 11) e confluite negli articoli 18, 19 e 20 del disegno di legge in esame.
  Il comma 4 abroga il comma 115 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2013 Pag. 55(legge n. 228 del 2012) che provvede a prorogare i termini per il riordino delle province recati dal decreto-legge n. 95 del 2012 e dal decreto-legge n. 201 del 2011. Occorre però considerare che tale comma è espressamente richiamato nell'articolo 1-bis del disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 93 del 2013, introdotto dalle Commissioni I e II nel corso dell'esame in sede referente.
  Il comma 5 prevede l'adeguamento da parte delle regioni (ordinarie) alle disposizioni introdotte dal presente provvedimento, da attuare entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore.
  Per le regioni a statuto speciale, è previsto l'adeguamento (non alle disposizioni, bensì ai principi del provvedimento) in un tempo più breve (6 mesi) di quello di cui al comma 4. Per le sole regioni Trentino Alto-Adige e Valle d'Aosta, l'adeguamento è richiesto solamente ai fini delle disposizioni in materia di unioni e fusioni di comuni. Infatti, il particolare status delle province autonome del Trentino Alto-Adige, previsto dalla Costituzione, non può essere modificato con legge ordinaria e nella regione Valle d'Aosta le funzioni provinciali sono esercitate dalla regione stessa (comma 6).
  Il comma 7 prevede che le città metropolitane e le nuove province – come costituite ai sensi del provvedimento in esame – concorrano al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica nella misura attualmente assegnata alle province di cui alla legislazione previgente ovvero alle quali tali nuovi enti subentrano, secondo le regole vigenti del patto di stabilità interno.
  Ciò fino a che non si pervenga ad una revisione della disciplina del patto di stabilità che tenga conto delle funzioni attribuite a tali nuovi enti.
  Il comma 8 precisa che non sono innovate le disposizioni relative all'organizzazione periferica delle amministrazioni dello Stato in relazione alle disposizioni riguardanti province e città metropolitane.
  Ricorda, in proposito, che l'articolo 10 del decreto-legge n. 95 del 2012 ha previsto una ampia riorganizzazione della presenza dello Stato sul territorio. Già in precedenza il decreto-legge n. 138 del 2011 aveva previsto la razionalizzazione di tutte le strutture periferiche dell'amministrazione dello Stato e la loro tendenziale concentrazione in un ufficio unitario a livello provinciale (articolo 01).
  Il comma 9 reca una norma di chiusura volta, tra l'altro, ad assicurare l'attuazione del disegno di legge. Si demanda, infatti, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie il compito di predisporre, entro 60 giorni, programmi di attività con la finalità di accompagnare e sostenere l'applicazione degli interventi di riforma previsti dal presente provvedimento (prevedendo misure, quali ad esempio la nomina di commissari, per assicurare il rispetto dei tempi previsti per gli adempimenti attuativi).
  Con tali programmi si dovrà assicurare anche l'attuazione della razionalizzazione degli enti regionali, provinciali e comunali che non è oggetto del presente disegno di legge, ma che ha la sua base normativa nell'articolo 9 del decreto-legge n. 95 del 2012, che pone obblighi agli enti territoriali in tema di soppressione, accorpamento e riduzione di oneri finanziari di enti, agenzie o organismi.
  Il comma 10 reca la formula di invarianza finanziaria del disegno di legge, la cui attuazione non deve apportare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
  Come già evidenziato nel corso della relazione, fa presente che nell'articolo 23 non si riscontrato disposizioni di coordinamento con la normativa vigente in tema di funzioni e entrate fiscali delle province, di unioni di comuni. Segnala poi l'opportunità, che riguarda soprattutto il testo unico per gli enti locali di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, di formulare come novella tutte le disposizioni del testo in esame che modifichino disposizioni già vigenti.

  Il ministro Graziano DELRIO, nel ringraziare le relatrici per la completezza e l'efficacia delle loro relazioni introduttive, sottolinea come la riforma oggetto del Pag. 56provvedimento in esame sia attesa da anni. Sottolinea la piena disponibilità del Governo ad approfondire nella sede parlamentare tutte le questioni che saranno poste, nella convinzione che il provvedimento debba essere esaminato in modo celere, per le ragioni che sono state ricordate anche dalle relatrici, ma senza che questo vada a scapito della riflessione e di quel confronto aperto che, su una materia complessa e delicata come quella di cui si tratta, è assolutamente necessario.

  Francesco Paolo SISTO, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro.
Doc. XXII, n. 13 Fioroni.

(Seguito dell'esame e rinvio).

  La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato, da ultimo, nella seduta dell'8 ottobre 2013.

  Francesco Paolo SISTO, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 14.50.

ATTI DELL'UNIONE EUROPEA

  Mercoledì 9 ottobre 2013. — Presidenza del presidente Francesco Paolo SISTO.

  La seduta comincia alle 14.50.

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni – Istituire un programma di formazione europea delle autorità di contrasto.
COM (2013) 172 final.

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce l'Agenzia dell'Unione europea per la cooperazione e la formazione delle autorità di contrasto (Europol) e abroga le decisioni 2009/371/GAI del Consiglio e 2005/681/GAI del Consiglio.
COM (2013) 173 final.

(Seguito dell'esame congiunto, ai sensi dell'articolo 127, comma 1, del Regolamento, e rinvio).

  La Commissione prosegue l'esame congiunto dei provvedimenti, rinviato, da ultimo, nella seduta del 7 agosto 2013.

  Francesco Paolo SISTO, presidente e relatore, comunica che è stata avanzata la richiesta che la pubblicità dei lavori sia assicurata anche mediante l'impianto audiovisivo a circuito chiuso. Non essendovi obiezioni, ne dispone l'attivazione.
  Ricorda che è pervenuto il parere della XIV Commissione sugli atti in titolo. Alla luce del dibattito svolto nelle precedenti sedute presenta una proposta di documento finale (vedi allegato 3), che illustra.
  Rinvia quindi il seguito dell'esame alla seduta già prevista per domani.

  La seduta termina alle 14.55.

RELAZIONI AL PARLAMENTO

  Mercoledì 9 ottobre 2013. — Presidenza del presidente Francesco Paolo SISTO.

  La seduta comincia alle 14.55.

Relazione sullo stato della spesa, sull'efficacia nell'allocazione delle risorse e sul grado di efficienza dell'azione amministrativa svolta dal ministero dell'interno, corredata dal rapporto sull'attività di analisi e revisione delle procedure di spesa e dell'allocazione delle relative risorse in bilancio, di cui all'articolo 9, comma 1-ter, del decreto-legge 29 Pag. 57novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, riferita all'anno 2012.
(Doc. CLXIV, n. 9).

(Seguito dell'esame ai sensi dell'articolo 124, comma 2, del regolamento e rinvio).

  La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato, da ultimo, nella seduta dell'8 agosto 2013.

  Francesco Paolo SISTO, presidente, comunica che è stata avanzata la richiesta che la pubblicità dei lavori sia assicurata anche mediante l'impianto audiovisivo a circuito chiuso. Non essendovi obiezioni, ne dispone l'attivazione.
  Nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 15.

SEDE CONSULTIVA

  Mercoledì 9 ottobre 2013. — Presidenza del presidente Francesco Paolo SISTO.

  La seduta comincia alle 15.

DL 104/2013: Misure urgenti in materia di istruzione, università e ricerca.
C. 1574 Governo.

(Parere alla VII Commissione).
(Seguito dell'esame e rinvio).

  La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato nella seduta dell'8 ottobre 2013.

  Francesco Paolo SISTO, presidente, comunica che è stata avanzata la richiesta che la pubblicità dei lavori sia assicurata anche mediante l'impianto audiovisivo a circuito chiuso. Non essendovi obiezioni, ne dispone l'attivazione.

  Matteo BRAGANTINI (LNA) invita il presidente, nella sua funzione di relatore, a valutare l'opportunità di segnalare alla Commissione di merito, nel parere, la necessità di rivedere quanto previsto dall'articolo 6, che – come ricordato dalla relatrice nella seduta introduttiva – reca disposizioni volte alla riduzione della spesa per l'acquisto di testi e strumenti didattici da parte degli studenti per le scuole statali, in contrasto con la giurisprudenza costituzionale su questa materia.
  Parimenti, ritiene che il parere dovrebbe segnalare alla Commissione di merito la necessità di rivedere la previsione dell'articolo 9, che estende la durata massima del permesso di soggiorno per la frequenza a corsi di studio o per formazione. Si tratta infatti di una disposizione che, a suo avviso, è priva del requisito di necessità e urgenza prescritto dalla Costituzione per le disposizioni dei decreti-legge e quindi incostituzionale.

  Francesco Paolo SISTO, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 15.05.

COMITATO DEI NOVE

  Mercoledì 9 ottobre 2013.

Abolizione del finanziamento pubblico diretto, disposizioni per la trasparenza e la democraticità dei partiti e disciplina della contribuzione volontaria e della contribuzione indiretta in loro favore.
Emendamenti C. 1154-15-186-199-255-664-681-733-961-1161-1325-A.

  Il Comitato dei nove si è riunito dalle 15.20 alle 15.40.

COMITATO PERMANENTE PER I PARERI

  Mercoledì 9 ottobre 2013. — Presidenza del presidente Alessandro NACCARATO.

  La seduta comincia alle 15.40.

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Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica francese per la realizzazione e l'esercizio di una nuova linea ferroviaria Torino-Lione, con Allegati, fatto a Roma il 30 gennaio 2012.
C. 1309 Governo.

(Parere alla III Commissione).
(Seguito dell'esame e rimessione alla Commissione).

  Il Comitato prosegue l'esame del provvedimento, rinviato nella seduta del 10 settembre 2013.

  Daniela Matilde Maria GASPARINI (PD), relatore, fa presente di aver svolto, con l'ausilio degli Uffici, una serie di approfondimenti rispetto ad alcune questioni che le erano state rappresentate, per le vie brevi, sul provvedimento in esame.
  Rileva infatti che l'Accordo in questione, al titolo II, enuclea le disposizioni relative alla governance del progetto e al diritto applicabile. In particolare, l'Accordo prevede di adottare una governance del progetto, affidando ad un Promotore pubblico (articolo 6 dell'Accordo) la responsabilità operativa del progetto stesso, in qualità di ente aggiudicatore ai sensi della direttiva 2004/17/CE sugli appalti nei settori speciali.
  In tale veste il Promotore pubblico – che ha sede legale in Francia, a Chambèry, mentre la direzione operativa è a Torino – è l'unico responsabile della conclusione e del monitoraggio dell'esecuzione dei contratti richiesti dalla progettazione, dalla realizzazione e dall'esercizio della sezione transfrontaliera. Esso inoltre è responsabile nei confronti delle Parti e dell'Unione europea.
  L'articolo 10 precisa che l'esecuzione dei contratti relativi alla realizzazione dell'opera, conclusi dal Promotore pubblico, sono disciplinati dal diritto pubblico francese, «tenuto conto dell'unità fisica e funzionale della sezione transfrontaliera» del progetto.
  Fa presente che, come ricordato dal ministro Lupi, nel corso del dibattito in sede referente presso la III Commissione (seduta del 31 luglio 2013), la ratio della scelta del diritto pubblico francese per l'aggiudicazione e l'esecuzione dei contratti conclusi dal Promotore pubblico ai sensi dell'articolo 10.1, deriva dalla collocazione oltralpe della sede legale del Promotore pubblico: i relativi contenziosi sono pertanto di competenza della giurisdizione amministrativa francese.
  Resta salvo, tuttavia, che l'aggiudicazione e l'esecuzione dei contratti che non hanno un legame diretto con la sezione transfrontaliera dell'opera e che devono essere eseguiti unicamente sul territorio italiano, sono sottoposte al diritto italiano e le relative controversie sono devolute alla giurisdizione italiana.
  Sempre ai sensi dell'articolo 10 dell'Accordo in esame, l'adempimento delle procedure di autorizzazione in materia ambientale e urbanistica necessarie per la realizzazione della sezione transfrontaliera dell'opera, è disciplinato dal diritto francese per la parte dell'opera situata sul territorio francese e dal diritto italiano per la parte dell'opera situata sul territorio italiano.
  Allo stesso modo è prevista l'applicazione del criterio del diritto territoriale per quanto riguarda le condizioni di lavoro e di occupazione del personale addetto alla realizzazione della sezione transfrontaliera dell'opera.
  Inoltre, nel parere sul provvedimento reso dall'XI Commissione il 12 settembre scorso si evidenzia peraltro come la previsione di cui all'articolo 10, paragrafo 2, lettera b) (per cui «l'esecuzione degli appalti aventi per oggetto l'installazione delle attrezzature dell'opera prima della sua messa in servizio è disciplinata dal diritto francese») appaia in linea con il principio generale per cui lavori di «armatura» dei cantieri (ossia di posa in opera delle attrezzature fisiche, successiva a quella di realizzazione dei lavori di scavo e di predisposizione infrastrutturale dell'opera), in caso di lavori transfrontalieri, seguano la legge dello Stato nel quale essi hanno inizio.
  Ritiene dunque che, per quanto di competenza della I Commissione, non vi siano Pag. 59elementi problematici sul provvedimento in esame e formula quindi una proposta di parere favorevole (vedi allegato 4).

  Fabiana DADONE (M5S) prende atto di quanto precisato dalla relatrice, che ringrazia per gli approfondimenti svolti e la disponibilità manifestata. Ribadisce peraltro che l'articolo 6, capoverso 5, e l'articolo 10 comportano una evidente cessione di sovranità da parte dell'Italia. In particolare, il suddetto capoverso 5 prevede che il Promotore pubblico sia tenuto all'osservanza della sola Costituzione francese oltre che dei regolamenti e delle direttive dell'Unione europea.
  Stigmatizza, altresì, il fatto che la scelta del diritto pubblico francese per l'aggiudicazione e l'esecuzione dei contratti conclusi dal Promotore pubblico comporti la mancata applicazione anche della normativa antimafia, vigente nel nostro Paese, con conseguenze negative evidenti.
  Ritiene quindi che, se può apparire condivisibile quanto stabilito dall'articolo 10.1, lettera a), non appare invece fondato quanto stabilito alla lettera d) del medesimo articolo 10.1, che prevede che, fatte salve le stipulazioni dell'articolo 10.2, il diritto applicabile per i danni causati a chiunque, a motivo della costruzione, l'esistenza, la manutenzione, l'esercizio, la sicurezza e la sicurezza ASAT delle opere della sezione transfrontaliera è quello dello Stato francese.
  Al medesimo articolo 10, che disciplina il diritto applicabile, ritiene inoltre contraddittorie tra loro le previsioni delle lettere i) e ii) del paragrafo b) dell'articolo 10.2.
  Ribadisce dunque la sussistenza di elementi di criticità sui diversi punti problematici in questione.

  Daniela Matilde Maria GASPARINI (PD), relatore, fa presente che la Commissione sta esprimendo il parere, per le parti di competenza, su un Accordo che è stato oggetto di un negoziato lungo ed approfondito tra i due Paesi. Ritiene dunque che in questa fase sia difficile, oltre che incongruo, contestare il merito delle singole disposizioni dell'Accordo siglato tra Italia e Francia, essendo piuttosto opportuno soffermarsi sui profili di competenza della I Commissione, riguardo ai quali non vi sono, a suo avviso, elementi problematici.
  Conferma dunque la propria proposta di parere favorevole.

  Federica DIENI (M5S) chiede che sia presente alla seduta il ministro competente per fornire le risposte richieste dal suo gruppo sul provvedimento in esame. Preannuncia, allo stato, il voto contrario.

  Fabiana DADONE (M5S) formula la richiesta che il provvedimento in titolo, vista la sua particolare rilevanza e problematicità, sia rimesso alla I Commissione nella sua composizione plenaria.

  Alessandro NACCARATO, presidente, preso atto delle richieste testé formulate, fa presente che avvertirà il presidente della I Commissione affinché possa essere convocata, nella giornata di domani, una seduta della Commissione in sede consultiva per l'esame del provvedimento, in cui sarà altresì richiesta la presenza di un rappresentante del Governo.

  La seduta termina alle 15.55.

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