CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 30 maggio 2013
29.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Giustizia (II)
COMUNICATO

TESTO AGGIORNATO AL 26 NOVEMBRE 2013

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SEDE REFERENTE

  Giovedì 30 maggio 2013 — Presidenza del presidente Donatella FERRANTI. – Interviene il sottosegretario di Stato alla giustizia Giuseppe Berretta.

  La seduta comincia alle 13.05.

Modifica dell'articolo 416-ter del codice penale, in materia di scambio elettorale politico-mafioso.
C. 251 Vendola e C. 328 Francesco Sanna e C. 923 Micillo.

(Seguito esame e rinvio).

  La Commissione prosegue l'esame dei provvedimenti, rinviato nella seduta del 28 maggio 2013.

  Francesco SANNA (PD), quale primo firmatario della proposta di legge n. 328, auspica che l'encomiabile scelta di procedere ad una rapida istruttoria parlamentare possa essere coronata da un'ampia convergenza sul merito. In particolare, ritiene che le differenti formulazioni delle proposte di legge depositate non debbano costituire un ostacolo alla formazione di un testo ampiamente condiviso, dichiarando la propria disponibilità a sostenere un simile testo.
  In ordine alla proposta di legge n. 328, ritiene che siano opportuni alcuni chiarimenti.
  Il primo luogo con tale proposta di legge non si vuole affatto – come pure taluno ha autorevolmente sostenuto – punire con una pena elevata il clientelismo politico. Il voto di scambio, infatti, è un fenomeno completamente diverso, che Pag. 15coinvolge la capacità della criminalità organizzata di esercitare una forza corruttiva sulla democrazia e di asservire l'amministrazione pubblica agli interessi della criminalità stessa, che vengono estesi ad «ogni utilità», anche non economica.
  La previsione dell'estensione della punibilità a chi «si adopera per far ottenere la promessa di voti», è stata da taluno interpretata come se si volesse anticipare la soglia di punibilità, creando una fattispecie di delitto tentato punita con la stessa pena prevista per il delitto consumato. Precisa quindi come, per quanto la formulazione della norma possa essere oggetto di approfondimento e di miglioramento, non fosse assolutamente questa l'intenzione dei presentatori della proposta di legge. Lo scopo dell'inciso è piuttosto quello di rendere punibile il collaboratore dell'uomo politico che corrompe o si fa corrompere e che percepisce per sé o per altri i vantaggi derivanti dall'intervento dell'organizzazione criminale.
  Precisa quindi come il riferimento alla «disponibilità a soddisfare gli interessi o le esigenze della associazione mafiosa» prenda in considerazione il fatto che, nell'ambito del contratto criminale, mentre la prestazione dell'organizzazione criminale può essere eseguita subito, quella dell'uomo politico può essere eseguita in futuro. Ritiene che anche in questo caso si possa lavorare per rendere la fattispecie più determinata, ma che sia comunque importante sanzionare lo scambio che si perfeziona nel futuro.

  Gaetano PIEPOLI (SCpI) esprime la propria contrarietà all'inserimento di clausole generali nelle norme penali, perché questo contraddice l'esigenza, espressa in Costituzione, di tipicità delle fattispecie penali. Vi è inoltre l'esigenza di inserire la fattispecie penale in un quadro di garanzie che escludono l'attribuzione al giudice di un ambito eccessivo e indeterminato di discrezionalità interpretativa. Esprime quindi perplessità su taluni aspetti della proposta del collega Sanna, sottolineando anche la difficoltà di delineare il concetto di utilità non patrimoniale.

  Davide MATTIELLO (PD), relatore, ringrazia il collega Sanna per l'intervento e dichiara di condividere quanto detto oggi nell'ottica del raggiungimento del miglior risultato in tempi brevi.

  Donatella FERRANTI, presidente, ricorda come nell'ambito dell'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi si sia stabilito di procedere a un ciclo di audizioni in materia e auspica che gli auditi possano fornire un utile contributo anche ai fini di una migliore determinazione della fattispecie. Rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

Modifiche al codice di procedura penale in materia di misure cautelari personali.
C. 631 Ferranti.

(Esame e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

  Carlo SARRO (PdL), relatore, rileva preliminarmente che la custodia cautelare ha oramai finito per assumere una valenza surrogatoria della pena detentiva che dovrebbe per lo più essere conseguenza di una sentenza definitiva di condanna. Osserva a tale proposito che la lunghezza dei processi rende meno certa, e comunque molto ritardata, l'applicazione della sanzione e che in questo contesto la restrizione cautelare finisce per essere percepita, erroneamente, come l'unica vera pena capace di avere un immediato effetto deterrente e preventivo. Si tratta di una stortura che può essere corretta non solo attraverso una rivisitazione della disciplina codicistica della custodia cautelare, ma anche – anzi, specialmente – intervenendo sul processo rendendolo conforme al principio costituzionale della ragionevole durata.
  Osserva che la proposta di legge in esame interviene su una materia estremamente delicata per uno Stato di diritto, in quanto per il legislatore affrontare il tema della riforma della disciplina delle misure Pag. 16cautelari personali significa sostanzialmente verificare fin dove lo Stato possa spingersi per ragioni di sicurezza nel limitare, fino ad azzerarla, la libertà personale di un soggetto in assenza di una sentenza definitiva che abbia accertato la responsabilità in merito ad un determinato reato. Tale materia può trovare una corretta disciplina legislativa solo a condizione che si proceda ad un attento bilanciamento tra il diritto fondamentale della libertà individuale e le esigenze di giustizia a tutela della collettività.
  In questo contesto appare evidente quanto sia necessario assicurare una disciplina dell'istituto che non dia spazio ad incertezze applicative, prevedendo criteri tassativi e specifici ai quali il giudice debba attenersi.
  Tutti condividono l'assunto secondo cui la disciplina legislativa delle misure cautelari deve essere del tutto compatibile con i principi costituzionali ed, in particolare, con il principio di presunzione di innocenza, mentre divergenze possono esservi nella individuazione del punto di equilibrio tra diritti fondamentali dell'individuo, da un lato, ed esigenze connesse all'accertamento giudiziale del reato, dall'altro. Il compito di trovare questo punto di equilibrio spetta in prima battuta al legislatore che deve disciplinare la materia in maniera tale da considerare l'adozione di una misura restrittiva della libertà personale come una extrema ratio. Lo stesso bilanciamento deve poi fare in concreto il giudice.
  In effetti, il codice di procedura penale stabilisce che «nessuno può essere sottoposto a misure cautelari se a suo carico non sussistono gravi indizi di colpevolezza» e, quindi, che devono essere accertate in concreto delle esigenze previste specificamente, quali il pericolo che l'indagato commetta un altro reato, che possa inquinare le prove o che possa darsi alla fuga. Inoltre si prevede che la custodia cautelare in carcere possa essere disposta solamente in merito a reati di una certa gravità, individuati in base alla pena edittale. Si stabilisce espressamente che «La custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto quando ogni altra misura risulti inadeguata».
  A fronte di questa disciplina legislativa che sembrerebbe relegare la custodia cautelare ad una misura residuale ed eccezionale vi sono i dati drammatici dell'applicazione concreta della misura.

  Anna ROSSOMANDO (PD), relatore, osserva preliminarmente osserva che rendere la disciplina legislativa delle misure cautelari più stringente, nel senso di sottolinearne la funzione di misura estrema da utilizzare solo ove sia realmente necessaria per ragioni di sicurezza e processuali, significa di fatto anche introdurre nell'ordinamento delle misure volte a ridurre il drammatico sovraffollamento carcerario, considerato che circa il 40 per cento dei detenuti è in attesa di giudizio. Inoltre sottolinea come un uso distorto delle misure cautelari sia strettamente connesso alla patologia del processo dovuta alla sua irragionevole durata.
  Dopo aver rilevato che nel dibattito sulla custodia cautelare vengono spesso richiamati come coincidenti il principio di non colpevolezza ed il principio di presunzione di innocenza per quanto questi in realtà hanno un diverso significato, sottolinea come la disciplina dell'istituto debba ispirarsi ai principi di adeguatezza e di proporzionalità affinché dell'istituito non se ne faccia un uso distorto.
  Richiama quindi la Relazione dell'amministrazione della giustizia per l'anno 2012 svolta il 25 gennaio 2013 dall'allora Primo Presidente della Corte di cassazione, Ernesto Lupo, dove si legge che «Con riguardo alle misure precautelari e cautelari detentive, nel gennaio 2012, abbiamo qualificato come inaccettabile una percentuale dei detenuti in custodia cautelare pari a circa il 40 per cento, che, per quanto diminuita negli ultimi decenni, e pur tenendo conto del fatto che circa la metà di questa aliquota riguarda imputati condannati in primo grado, rappresenta un sintomo perdurante dei gravi squilibri del sistema processuale penale italiano. (...). Riconducendo il sacrificio della libertà Pag. 17personale alla sua natura di extrema ratio, non solo si diminuirebbe la popolazione carceraria e si ridurrebbe il pericolo di carcerazioni sofferte da persone che potrebbero poi essere riconosciute innocenti, ma si otterrebbe indirettamente di rendere più celeri i giudizi sul merito della responsabilità penale, riversando su di questi corrispondenti mezzi materiali e umani. È questo che ci spinse a richiamare i giudici a un più responsabile ricorso alla misura carceraria, segnalando come già il sistema imponga di considerare realisticamente le esigenze cautelari e di saggiarne prudentemente l'effettiva attualità; di valutare e privilegiare ogni modo alternativo di loro contenimento, adeguando le decisioni ai principî di proporzionalità e di adeguatezza. Sennonché, a dicembre 2012 circa il 60 per cento dei 65.701 detenuti, di cui si è detto, risultano condannati in via definitiva; sicché il numero di detenuti in custodia cautelare è ancora inaccettabilmente elevato. (...) Le ordinanze cautelari e i provvedimenti di riesame continuano a essere caratterizzati da assoluto squilibrio tra la parte dedicata alla gravità indiziaria e la motivazione in punto di necessità cautelare, troppo spesso dedicando poche stereotipate parole alla valutazione d'inadeguatezza di misure attenuate, che di fatto continuano ad essere adottate in misura percentuale significativamente ridotta (in particolare per stranieri e indigenti). Proiettando i dati dei ricorsi per cassazione, emerge infine che ancora nell'anno trascorso le procedure relative alle misure cautelari personali costituiscono circa il 9 per cento del totale di tutte le decisioni assunte nel settore penale (cognizione, esecuzione, sorveglianza, prevenzione), impegnando dunque in termini corrispondenti magistrati e personale amministrativo delle procure e degli uffici giudicanti (in particolare, g.i.p., tribunale “della libertà”, Corte di cassazione), con indiretta significativa incidenza sui tempi di definizione dei procedimenti ordinari.»
  Segnala che La Corte europea dei diritti dell'uomo – nella recente sentenza 8 gennaio 2013 (Torreggiani ed altri, contro Italia) che ha condannato l'Italia per violazione dell'articolo 3 della Convenzione in relazione alle inumane condizioni di detenzione – ha evidenziato come il problema del sovraffollamento carcerario sia legato anche all'eccessivo uso della custodia cautelare in carcere. Le misure cautelari dovrebbero essere, secondo la CEDU, le minime compatibili con gli interessi della giustizia e invece il 42 per cento dei detenuti è recluso in regime di custodia cautelare alla quale nella metà dei casi, non seguirà una condanna definitiva. Secondo la Corte «l'applicazione della custodia cautelare e la sua durata dovrebbero essere ridotte al minimo compatibile con gli interessi della giustizia. Gli Stati membri dovrebbero, al riguardo, assicurarsi che la loro legislazione e la loro prassi siano conformi alle disposizioni pertinenti della Convenzione europea dei Diritti dell'Uomo ed alla giurisprudenza dei suoi organi di controllo e lasciarsi guidare dai principi enunciati nella Raccomandazione n. R (80) 11 in materia di custodia cautelare per quanto riguarda, in particolare, i motivi che consentono l'applicazione della custodia cautelare». La CEDU ritiene «opportuno fare un uso più ampio possibile delle alternative alla custodia cautelare quali ad esempio l'obbligo, per l'indagato, di risiedere ad un indirizzo specificato, il divieto di lasciare o di raggiungere un luogo senza autorizzazione, la scarcerazione su cauzione, o il controllo e il sostegno di un organismo specificato dall'autorità giudiziaria. A tale proposito è opportuno valutare attentamente la possibilità di controllare tramite sistemi di sorveglianza elettronici l'obbligo di dimorare nel luogo precisato. Per sostenere il ricorso efficace e umano alla custodia cautelare, è necessario impegnare le risorse economiche e umane necessarie e, eventualmente, mettere a punto i mezzi procedurali e tecnici di gestione appropriati».
  Per quanto attiene al contenuto specifico della proposta di legge, questa è composta da 9 articoli.Pag. 18
  Gli articoli 1 e 2 modificano l'articolo 274 c.p.p. relativo alle condizioni di applicabilità delle misure cautelari, precisandone i presupposti.
  Le condizioni attualmente previste dall'articolo 274 sono: il pericolo di inquinamento delle prove (comma 1, lett. a); il pericolo di fuga (comma 2, lett. b); il pericolo di reiterazione dei reati (comma 3, lett. c).
  Gli articoli 1 e 2 della proposta di legge paiono volti a limitare la discrezionalità del giudice che si vuole più stringente sia nella valutazione del pericolo di fuga (articolo 1) che in quello di reiterazione del reato (articolo 2). Le lett. b) e c) del comma 1 dell'articolo 274 sono così modificate con l'aggiunta della previsione, in entrambi i casi, della verifica, oltre che della concretezza, anche dell'attualità del pericolo.
  Lo stesso articolo 274 c.p.p. è integrato nel suo contenuto dall'articolo 3 della proposta di legge con un nuovo comma 1-bis in base a cui: il pericolo di fuga alla base delle esigenze cautelari non può essere desunto solo dalla gravità del reato attribuito (in tal senso, si consideri la citata Cass., Sez. Un., sentenza n. 34537 del 2001); il pericolo di reiterazione del reato non può dedursi esclusivamente dalle modalità del fatto-reato e la personalità dell'indagato (o dell'imputato) non può parimenti dedursi unicamente dalle circostanze del fatto addebitato.
  L'articolo 4 del provvedimento in esame interviene, poi, sull'articolo 275 c.p.p. in materia di scelta delle misure cautelari.
  È, infatti, sostituito il comma 2-bis che attualmente prevede il divieto di applicazione della custodia cautelare quando il giudice ritenga che con la sentenza possa concedersi la sospensione condizionale della pena (ai sensi dell'articolo 163 c.p.).
  Nello stesso caso, il nuovo comma 2-bis aggiunge anche il divieto di applicazione degli arresti domiciliari qualora il giudice ritenga che possa essere concessa la sospensione condizionale.
  La nuova disposizione codifica quanto già affermato dalla giurisprudenza (v. tra le altre: Cass., sentt. nn. 58 e 3607/1997, 6480/1988, 18683/2008). Va inoltre considerato che l'articolo 284, comma 5, c.p.p., prevede espressamente che l'imputato agli arresti domiciliari «si considera in stato di custodia cautelare».
  Anche gli articoli 5 e 6 della proposta di legge novellano l'articolo 275 del codice di procedura penale.
  L'articolo 5 riformula il primo periodo del comma 3 dell'articolo 275 c.p.p. che stabilisce che la custodia cautelare in carcere può essere disposta «soltanto quando ogni altra misura risulti inadeguata»; la custodia cautelare in carcere rappresenta, quindi, l’extrema ratio.
  La nuova disposizione conferma il carattere residuale della custodia cautelare, con la specificazione che essa può essere disposta soltanto quando le altre misure coercitive o interdittive (in luogo di «ogni altra misura»), anche se applicate cumulativamente, risultino inadeguate.
  L'articolo 6 della proposta di legge riguarda l'applicazione della custodia in carcere per alcuni reati più gravi.
  L'articolo 6 della p.d.l. – novellando il secondo e sopprimendo il terzo periodo del comma 3 dell'articolo 275 c.p.p. – limita la presunzione di idoneità della misura carceraria in relazione alla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine ai soli delitti di associazione sovversiva (articolo 270 c.p.), associazione terroristica, anche internazionale (articolo 270-bis c.p.), associazione mafiosa (articolo 416-bis c.p.) e associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti (articolo 74, decreto del Presidente della Repubblica 309/1990). La modifica proposta ripropone la versione della norma voluta dalla legge n. 332 del 1995, di riforma della custodia cautelare.
  L'articolo 7, infine, modifica l'articolo 299 c.p.p. in materia di controlli successivi da parte del giudice sulla legittimità della misura cautelare applicata (revoca e sostituzione delle misure).
  Il comma 1 è novellato prevedendosi la possibile revoca (su istanza dell'imputato o Pag. 19del PM, ex comma 3) solo «per ragioni sopravvenute». La relazione alla p.d.l. motiva tale modifica in ragione dell'opportunità di escludere «domande fondate su argomenti già interamente valutati in precedenza, le quali sono così da ritenere inammissibili». Complementare alla modifica al comma 1 è la riformulazione del comma 3-ter dell'articolo 299 relativa all'interrogatorio dell'indagato (articolo 7, comma 2, della p.d.l.).
  La norma vigente prevede che il giudice, valutati gli elementi addotti per la revoca o la sostituzione delle misure, prima di decidere può interrogare la persona sottoposta alle indagini.
  L'interrogatorio è, invece, obbligatorio se la domanda di revoca o di sostituzione è basata su elementi nuovi o diversi rispetto a quelli già valutati.
  Il nuovo comma 3-ter sopprime il primo periodo (relativo all'interrogatorio facoltativo) e prevede l'interrogatorio obbligatorio dell'indagato solo se la domanda si basa su «fatti» sopravvenuti e la persona ne faccia richiesta.
  L'articolo 8 del provvedimento interviene sull'articolo 308 c.p.p. che prevede i termini della perdita di efficacia sia delle misure coercitive (diverse dalla custodia cautelare) sia delle misure interdittive.
  Le prime (comma 1) perdono efficacia quando dall'inizio della loro esecuzione è decorso un periodo di tempo pari al doppio dei termini di durata massima della custodia cautelare.
  In base al comma 2, le misure interdittive perdono efficacia decorsi due mesi dall'inizio della loro esecuzione, ferma restando la possibilità di rinnovazione ultra termine in caso siano state disposte per esigenze probatorie (e osservati, in ogni caso i limiti massimi di durata della custodia cautelare.
  L'articolo 8 della pd.l. estende da 2 mesi a 12 mesi il periodo di possibile applicazione delle misure interdittive da parte del giudice. Rimane ferma la possibilità di poterne disporre la rinnovazione (entro i limiti massimi previsti dal comma 1) quando le misure siano disposte per esigenze probatorie.
  Sul punto va ricordato l'analogo intervento della cd. legge anticorruzione (L. 190/2012) che – aggiungendo un comma 2-bis all'articolo 308 c.p.p. – ha esteso da 2 a 6 mesi l'efficacia delle misure interdittive nel caso si proceda per numerosi, specifici delitti contro la pubblica amministrazione. In ogni caso, il comma 2-bis prevede – qualora esse siano state disposte per esigenze probatorie – che il giudice possa disporne la rinnovazione anche oltre sei mesi dall'inizio dell'esecuzione, fermo restando che comunque la loro efficacia viene meno se dall'inizio della loro esecuzione è decorso un periodo di tempo pari al triplo dei termini di durata massima della custodia cautelare, previsti dall'articolo 303 c.p.p.
  L'articolo 9 interviene sul decreto del Presidente della Repubblica 309/1990 (Testo Unico stupefacenti), novellandone l'articolo 73, comma 5: viene così dimezzata da 6 a 3 anni la pena della reclusione (la pena pecuniaria della multa da 3.000 a 26.000 euro resta immutata) quando il reato di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope risulti di lieve entità, in relazione alle modalità o alle circostanze dell'azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze.
  La relazione illustrativa giustifica quest'unica disposizione della p.d.l. che incide sul diritto sostanziale rilevando come, per la frequenza della fattispecie di spaccio e detenzione di modica quantità di stupefacente, l'abbassamento della pena sotto i 4 anni «dovrebbe permettere» nella prassi, «di ridurre significativamente i casi quotidiani di applicazione della custodia cautelare».
  Come accennato, infatti, l'articolo 280, comma 2, c.p.p. stabilisce che la custodia cautelare in carcere può essere disposta solo per delitti, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni.
  Conclude auspicando che la Commissione proceda ad un rapido ed approfondito esame, anche attraverso lo svolgimento delle audizioni, della proposta di legge.

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  Donatella FERRANTI, presidente, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 14.

UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI

  L'ufficio di presidenza si è riunito dalle 14 alle 14.05.

INDAGINE CONOSCITIVA

  Giovedì 30 maggio 2013. — Presidenza del presidente Donatella FERRANTI. – Interviene il sottosegretario di Stato alla giustizia Cosimo Ferri.

  La seduta comincia alle 14.10.

Indagine conoscitiva sull'efficacia del sistema giudiziario.
Audizione del capo dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino, del presidente del tribunale di Milano, Livia Pomodoro, e del presidente aggiunto dell'ufficio GIP del tribunale di Milano, Claudio Castelli.
(Svolgimento e rinvio).

  Donatella FERRANTI, presidente, avverte che la pubblicità dei lavori odierni sarà assicurata anche mediante impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  Introduce, quindi, l'audizione precisando che sarà svolta, in particolare, in relazione all'esame della proposta di legge C. 331 Ferranti, recante la delega al governo in materia di pene detentive non carcerarie e disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili.

  Giovanni TAMBURINO, capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, svolge una relazione sui temi oggetto dell'audizione.

  Intervengono, per porre quesiti e formulare osservazioni, i deputati Donatella FERRANTI, presidente, Sofia AMODDIO (PD), Antonio MAROTTA (PdL) e Franco VAZIO (PD).

  Giovanni TAMBURINO, capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, risponde ai quesiti posti.

  Livia POMODORO, presidente del tribunale di Milano, e Claudio CASTELLI, presidente aggiunto dell'ufficio GIP del tribunale di Milano, svolgono relazioni sui temi oggetto dell'audizione.

  Intervengono, per porre quesiti e formulare osservazioni Franco VAZIO (PD), il Sottosegretario Cosimo FERRI, David ERMINI (PD), Carlo SARRO (PdL) e Donatella FERRANTI, presidente.

  Livia POMODORO, presidente del tribunale di Milano, e Claudio CASTELLI, presidente aggiunto dell'ufficio GIP del tribunale di Milano, rispondono ai quesiti posti.

  Donatella FERRANTI, presidente, ringrazia gli auditi e dichiara conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.30.

  N.B.: Il resoconto stenografico della seduta è pubblicato in un fascicolo a parte.