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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 757 di venerdì 10 marzo 2017

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE MARINA SERENI

La seduta comincia alle 9.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito la deputata segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

ANNA MARGHERITA MIOTTO, Segretaria, legge il processo verbale della seduta di ieri.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

  (È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Bindi, Bobba, Centemero, Dambruoso, Damiano, Dellai, Epifani, Garofani, Giancarlo Giorgetti, Marcon, Pes, Realacci, Rosato, Sanga, Sani, Sottanelli, Tabacci e Vignali sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.

I deputati in missione sono complessivamente novantaquattro, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Svolgimento di interpellanze urgenti (ore 9,04).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze urgenti.

(Iniziative di competenza in relazione al pieno rispetto della Convenzione europea dei diritti dell’uomo presso i tribunali della Santa Sede, alla luce della giurisprudenza CEDU – n. 2-01685)

PRESIDENTE. Passiamo alla prima interpellanza urgente all’ordine del giorno Brunetta n. 2-01685 (Vedi l'allegato A).

Chiedo al deputato Brunetta se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

RENATO BRUNETTA. Certamente, Presidente.

Signora Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, ho presentato questa interpellanza per sollevare una questione sicuramente non molto nota, ma che, di fatto e di diritto, tocca comunque le vite e i diritti fondamentali di tanti nostri concittadini.

Come si riporta nel testo e come abbiamo appreso da fonti giornalistiche, nel mese di dicembre 2015 - più di un anno fa - con un decreto non pubblicato, ma soltanto affisso alla bacheca della Rota Romana, organo della Santa Sede, l’ex Sacra Rota, il Decano Pinto ha stabilito che “la nomina degli avvocati è riservata al Decano, che può confermare, eventualmente, come patrono d’ufficio, l’avvocato che la parte ebbe nei gradi inferiori”.

Come è noto, il tribunale della Rota Romana, già Sacra Rota, emette sentenze sulle cause di nullità matrimoniale che possono essere delibate in Italia in applicazione del Concordato, delibate ovvero pienamente riconosciute nello Stato italiano con gli effetti civili che questo comporta. Il decreto del Decano, abrogando di fatto il diritto ad avere un avvocato di fiducia, non può quindi non imporre gravi interrogativi sulle conseguenze che ne derivano. Ci risulta che anche avvocati di fiducia già nominati siano stati, senza alcuna giusta causa, rimossi dal Decano contro la volontà delle parti che avevano conferito mandato di fiducia anche da molto tempo, imponendo così loro diverso avvocato d’ufficio.

Ricordo, però, che l’accordo di Villa Madama del 1984, sottoscritto tra la Santa Sede e la Repubblica italiana, pone quale condizione per il riconoscimento da parte della corte d’appello degli effetti civili italiani delle sentenze canoniche “che nel procedimento davanti ai tribunali ecclesiastici è stato assicurato alle parti il diritto di agire e di resistere in giudizio in modo non difforme dai principi fondamentali dell’ordinamento italiano”.

Ricordo, altresì, che la Corte costituzionale, nella sentenza del 22 gennaio 1982, n. 18, ha indicato il diritto alla difesa fra i princìpi supremi dell’ordinamento costituzionale, nel suo nucleo più ristretto ed essenziale. Va, quindi, rilevato il valore assoluto, inviolabile e irrinunciabile del diritto all’assistenza tecnico-fiduciaria quale parte ineludibile del diritto di difesa, tutelato da norme costituzionali ai sensi dell’articolo 24 della nostra Costituzione. Il descritto principio fondamentale del diritto di difesa ha trovato consacrazione anche nell’articolo 6 della Convenzione europea per i diritti dell’uomo in materia di processo equo.

Ebbene, signora Presidente e signor sottosegretario, onorevoli colleghi, rilevando una violazione del diritto di difesa nella deliberazione del Decano della Sacra Rota, con questa interpellanza avevamo chiesto al Governo di prestare attenzione alla vicenda e quali iniziative di competenza il Governo intendeva assumere affinché fosse garantito il rispetto pieno della Convenzione dei diritti dell’uomo presso il tribunale della Santa Sede, soprattutto ai fini della delibazione delle sentenze ecclesiastiche.

Nel frattempo, però, è successo qualcosa: per una volta, all’interpellanza al Governo italiano ha risposto prima un altro Governo, in questo caso quello della Santa Sede, e lo ha fatto in modo, per così dire, improprio, comunicando, tramite l’articolo di un autorevole vaticanista de La Stampa, Andrea Tornielli, come fosse stato posto rimedio alla stortura paurosa del diritto di difesa sopra menzionato.

Ovviamente l’appunto, sia pure autorevole, di un vaticanista non può bastare. Di certo la notizia, non a caso, è stata data alla vigilia di questo nostro incontro o delle interpellanze. Io non sono un vaticanologo, per carità, e neppure un vaticanista: lascio a loro di ricostruire le trame - nel senso buono del termine, ovviamente - che hanno indotto a questa risposta così puntuale.

Come si legge nell’articolo apparso proprio ieri, il Segretario di Stato Pietro Parolin avrebbe fatto pervenire al Decano della Rota una lettera in cui comunicava “che il Santo Padre ha espresso la volontà che sia rispettato il diritto di ogni fedele di scegliere liberamente il proprio avvocato”. Il cardinale, a nome del Pontefice, chiedeva quindi al Decano della Rota di “voler modificare la prassi attuale” e correggere, quindi, l’interpretazione del rescritto papale del dicembre 2015 data da monsignor Pinto, invitando a consentire alle parti che lo desiderano di scegliersi - bontà sua - un patrono di fiducia (bontà sua l’ho aggiunto io).

È davvero strano, però, come la situazione, in piedi da più di un anno e mai segnalata da nessun giornalista vaticanista, ma solo da un giornalista, Renato Farina, con un articolo del 30 dicembre 2016, abbia avuto una svolta proprio in questi giorni e che il decreto - quindi serviamo ancora a qualcosa, signor sottosegretario, signor Presidente, signori colleghi - del supremo tribunale della Segnatura Apostolica, che di fatto annulla il decreto del Decano dello scorso dicembre, sia datato proprio 7 marzo 2017, ovvero tre giorni prima della discussione di oggi di questa interpellanza; un’interpellanza che era stata assegnata alla Presidenza del Consiglio, ma su cui viene a rispondere - non me ne voglia il sottosegretario Migliore, di nome e di fatto - un rappresentante della giustizia, quasi come se questa cosa non riguardasse i rapporti tra Stati. Mi auguro che le autorità vaticane abbiano, per via diplomatica, fornito chiarimenti lineari e documentati e mi auguro che il Governo italiano abbia formalizzato una protesta e che venga immediatamente fatta chiarezza sulla vicenda, essendo la prassi della Rota in contrasto con i Patti Lateranensi. Ad ogni modo, mi auguro che il Governo italiano oggi - ma non ne dubito - sia in grado di offrire una risposta soddisfacente al tema proposto. La ringrazio, signora Presidente, grazie, signor sottosegretario.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la Giustizia, Gennaro Migliore, ha facoltà di rispondere.

GENNARO MIGLIORE, Sottosegretario di Stato per la Giustizia. Grazie, signora Presidente. Ringrazio l’onorevole Brunetta per questa interpellanza, che, come ha già osservato nella sua prolusione e nell’illustrazione della stessa, vedrà da parte mia una risposta in particolare sul merito giurisprudenziale, piuttosto che sulla relazione dei nostri due Stati sovrani, così come stabilito dagli accordi. Questo è anche il senso di una interpretazione, di una risposta che io intendo fornire sulla base dei principi generali che riguardano, nell’ordinamento italiano, le sentenze di nullità, in particolare, in questo caso, del matrimonio concordatario, pronunciate in ultima istanza dalla Rota Romana, in conseguenza di un provvedimento - quello del Decano - che - io apprendo oggi - possa anche essere stato eventualmente revocato, che nei citati procedimenti avrebbe avocato a sé la nomina del difensore delle parti, riservandosi l’eventuale facoltà di confermare quale difensore d’ufficio anche l’avvocato già nominato di fiducia nei gradi inferiori.

Quindi, l’intervenuta eventuale modifica, ovviamente, non farà parte della trattazione di questa risposta, ma, come si vedrà, interverrà soprattutto per definire quali sono gli ambiti nei quali ci possiamo muovere come Governo. Si chiede quali iniziative intenda assumere il Governo, perché possa essere garantito il pieno rispetto della Convenzione dei diritti dell’uomo presso i tribunali della Santa Sede, anche ai fini della delibazione delle sentenze ecclesiastiche. L’onorevole Brunetta, inoltre, chiede se il Governo italiano intenda avviare iniziative per assicurare il pieno rispetto della Convenzione dei diritti dell’uomo presso i tribunali della Santa Sede. È una questione, quindi, generale, al di là del caso specifico, e credo sia utile affrontarla anche in questa sede.

Nell’affrontare la questione proposta, va innanzitutto evidenziato come, nell’affermare il principio di indipendenza e sovranità dello Stato e della Chiesa cattolica, l’articolo 7 della Costituzione statuisce che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. Siffatto principio era stato già affermato nel Trattato lateranense fra la Santa Sede e l’Italia del 1929, laddove è previsto che la sovranità e la giurisdizione esclusiva che l’Italia riconosce alla Santa Sede sulla Città del Vaticano importa che nella medesima non possa esplicarsi alcuna ingerenza da parte del Governo italiano e che non vi sia altra autorità che quella della Santa Sede. E nell’accordo del 1984, all’articolo 1, la Repubblica italiana e la Santa Sede riaffermano che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani, e all’articolo 2 è assicurata alla Chiesa la libertà di organizzare il pubblico esercizio del culto, del magistero e del ministero spirituale nonché della giurisdizione in materia ecclesiastica.

Nel delineato contesto normativo, la separazione degli ordini propri della Repubblica e della Santa Sede non consente al Governo potere di ingerenza alcuno sulle questioni pertinenti alla indipendenza e sovranità della Santa Sede, anche in relazione alle prerogative giurisdizionali. Non può, pertanto, direttamente sindacarsi l’iniziativa del Decano in ordine alla costituzione della difesa nel giudizio di nullità matrimoniale celebrato presso i tribunali ecclesiastici, né evidentemente la conformità dei procedimenti ai principi espressi nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

La questione relativa alla limitazione del diritto di difesa che discenderebbe dal provvedimento del Decano può, invece, assumere rilevanza ai fini della delibazione della sentenza di competenza del giudice nazionale, e questo è un principio generale che vale per qualsiasi reciprocità tra i sistemi giurisdizionali di due Stati sovrani, come in questo caso.

Come è noto, nell’articolo 8, n. 2, dell’Accordo tra la Repubblica italiana e la Santa Sede del 1984, si stabilisce che le sentenze di nullità di matrimonio pronunciate dai tribunali ecclesiastici sono, su domanda delle parti o di una di esse, dichiarate efficaci nella Repubblica italiana con sentenza della corte d'appello competente, quando questa accerti che – e questo è il punto fondamentale - “(…) nel procedimento davanti ai tribunali ecclesiastici è stato assicurato alle parti il diritto di agire e di resistere in giudizio in modo non difforme dai principi fondamentali dell'ordinamento italiano”. Il punto 4, alla lettera b) del Protocollo addizionale precisa poi che “ai fini dell’applicazione degli articoli 796 e 797 del codice italiano di procedura civile, si dovrà tener conto della specificità dell’ordinamento canonico dal quale è regolato il vincolo matrimoniale che in esso ha avuto origine”.

Ai fini della delibazione sarà, pertanto, necessario che il giudice nazionale verifichi, in particolare, se nel procedimento celebrato davanti ai tribunali ecclesiastici sia stato assicurato alle parti il diritto di agire e di resistere in giudizio, in modo non difforme dai principi fondamentali dell’ordinamento italiano - come è evidente e come è stato anche qui sottolineato- e, dunque, se nonostante le limitazioni della facoltà di nomina dell’avvocato di fiducia, introdotte nella giurisdizione canonica, il processo si sia svolto nel pieno rispetto delle garanzie difensive. È questo il dato.

Con riferimento all’interpretazione dell’articolo 8, n. 2. dell’Accordo tra la Repubblica italiana e la Santa Sede del 18 febbraio 1984, la giurisprudenza della Corte di cassazione (Cass. Sez. I civile, n. 10796/2006, e in senso conforme, Cass. Sez. I civile, n. 114167/2014, e da ultimo, Sez. Unite, 17 luglio 2014, n. 16380), quanto alla verifica del rispetto del diritto di difesa nel corso del processo ecclesiastico, ha posto in evidenza come la norma, nel condizionare all’accertamento della sussistenza delle “condizioni richieste dalla legislazione italiana per la dichiarazione di efficacia delle sentenze straniere”, rinvii di fatto all’articolo 797 del codice di procedura civile. Ha, ulteriormente, precisato la Suprema Corte che “poiché il rinvio alla citata norma del codice di rito deve ritenersi di natura materiale e non formale, ne consegue che la dichiarazione di efficacia nel territorio dello Stato di dette sentenze, è subordinata all’accertamento della sussistenza dei requisiti di cui all’articolo 797 del codice di procedura civile, e non a quelli di cui all’articolo 64 della legge n. 218 del 1995 (che lo ha sostituito) per il riconoscimento automatico nell’ordinamento nazionale delle sentenze straniere.”

Il richiamo ai principi dell’articolo 797 del codice di procedura civile - che al punto n. 7 indicava tra le condizioni per la dichiarazione di efficacia nello Stato delle sentenze straniere la verifica che esse “non contengano disposizioni contrarie all’ordine pubblico italiano” - pone in evidenza, quale clausola di chiusura del sistema, proprio il principio della contrarietà all’ordine pubblico. La necessità della verifica da parte della Corte d’appello della conformità della sentenza ecclesiastica a tale principio era stata, peraltro, evidenziata già dalla fondamentale sentenza della Corte costituzionale n. 18 del 1982, che appunto era stata richiamata.

Con specifico riferimento al limite dell’ordine pubblico processuale, la Suprema Corte ha, inoltre, evidenziato (Cass. n. 17519/2015) come, in tema di riconoscimento di sentenze straniere, il giudice deve verificare se siano stati soddisfatti i principi fondamentali dell’ordinamento, anche relativi al procedimento formativo della decisione, con la precisazione che non è ravvisabile una violazione del diritto di difesa in ogni inosservanza di una disposizione della legge processuale straniera a tutela della partecipazione della parte al giudizio, ma soltanto quando essa, per la sua rilevante incidenza, abbia determinato una lesione del diritto di difesa rispetto all’intero processo, ponendosi in contrasto con l’ordine pubblico processuale, riferibile ai principi inviolabili a garanzia del diritto di agire e di resistere in giudizio, e non ove investa le sole modalità con cui tali diritti sono regolamentati o si esplicano nelle singole fattispecie.

Il principio enunciato si pone in linea con la giurisprudenza comunitaria (Corte di giustizia, 2 aprile 2009, causa C-394/2007), secondo la quale il diritto di difesa può subire una moderata limitazione nel caso in cui il provvedimento sia stato emesso nei confronti di un soggetto che abbia avuto, comunque, la possibilità di partecipare attivamente al processo.

L’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo afferma il diritto di ciascun individuo allo svolgimento di un processo giusto, prevedendo una serie di garanzie - quali la pubblicità della procedura, la durata ragionevole, l’accesso ad un tribunale, la indipendenza ed imparzialità dello stesso - che si traducono in obblighi a carico dei poteri pubblici circa la tenuta di un processo equo, che si scandiscono con diversa intensità in riferimento al processo penale ed alla giurisdizione civile (Dombo Beheer B.V. contro Paesi Bassi, n. 32; Levages Prestations Services contro Francia n. 46), declinando il diritto di difesa principalmente sotto il profilo della “parità delle armi”, che qualifica il diritto al contraddittorio anche del processo civile.

Nel quadro così sommariamente delineato, è indubbio che la questione attinente alla rappresentata violazione del diritto di difesa nel giudizio canonico è rimessa alla valutazione del giudice nazionale e, quindi, della corte d’appello che dovrà valutare, caso per caso, investendo della richiesta di exequatur della sentenza dichiarativa della nullità del matrimonio.

Come riferito dalle competenti articolazioni di questo Dicastero, non constano al riguardo ancora provvedimenti della nostra autorità giudiziaria che abbiano affrontato la questione, in considerazione del fatto che il decreto del Decano, richiamato dall’onorevole interpellante, è di recente introduzione ed evidentemente, se ritirato, non troverà nella nostra giurisprudenza probabilmente nessun effetto concreto.

Il Ministero seguirà ovviamente con attenzione, oltre alle informazioni che ci ha fornito anche oggi l’onorevole Brunetta, gli orientamenti giurisprudenziali che si delineeranno al riguardo, nel doveroso rispetto dell’autonomia dell’esercizio delle prerogative giurisdizionali che, come è noto, limitano però il Guardasigilli, il sindacato del Guardasigilli, alle sole ipotesi di violazione di legge e di abnormità.

PRESIDENTE. Il deputato Brunetta ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

RENATO BRUNETTA. Grazie, signora Presidente. Grazie, signor sottosegretario: parzialmente soddisfatto; perché? Non essendo un giurista - nessuno è perfetto, ahimè - mi sembra di aver capito, dalla lunga, articolata e impegnativa risposta del sottosegretario Migliore, che il sottosegretario Migliore mi dà ragione. Dice: sì, è vero, le cose stanno così, però è il giudice, la corte d’appello, a doverlo rilevare nel momento della delibazione, cioè nel momento dell’applicazione - uso termini da povero economista - e della attribuzione di efficacia giuridica alla sentenza ecclesiastica all’ordinamento italiano.

Bene, però le cose non si possono semplificare fino a questo punto, perché? Primo, possibile che l’ambasciatore italiano presso la Santa Sede non abbia rappresentato al nostro Governo, prima, e al Governo della Santa Sede, cioè alla Santa Sede, questo contrasto tra le norme italiane, internazionali, ed europee, rispetto al diritto fondamentale di difesa? Gli ambasciatori servono a questo, a segnalare quello che succede.

Poi, un altro punto, sempre non me ne voglia signora Presidente, onorevoli sottosegretari: attenzione, sono state delibate delle sentenze dal 7 dicembre 2015 ad oggi con questa menomazione del diritto di difesa che porterebbero alla nullità della stessa delibazione; mamma mia, sto diventando anch’io un giurista! Nessuno se n’è accorto, da quando il Decano della Rota ha disposto questo editto che ha impedito la nomina degli avvocati di fiducia e dunque in un regime di diritto di difesa menomato? Una, dieci, cento, di queste delibazioni che fine faranno? Ritengo ovvio che vengano comunque annullate tali sentenze eventualmente delibate, perché in grave pregiudizio delle parti, essendo avvenuto in assoluto denegato diritto di difesa. Lo Stato italiano, infatti, non può recepire delle sentenze, come lei correttamente signor sottosegretario mi ha spiegato, che hanno peraltro effetti significativi, economici, patrimoniali, familiari, anche dal punto di vista economico, sulla vita dei cittadini italiani, in totale contrasto con i principi vigenti del nostro ordinamento.

Mi chiedo se lo Stato italiano intenda avanzare una richiesta che risponda circostanziatamente circa il trattamento subito da cittadini italiani penalizzati da questa, tra virgolette, “prepotenza tribunalizia ecclesiastica” e come intenda porsi qualora i cittadini coinvolti in questo abuso facciano ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Vede, certo, la corte d’appello, però siamo in regime concordatario, e quindi occorrerebbe un rapporto tra gli Stati, per questo ho citato all’inizio il nostro ambasciatore.

È insopportabile il regime di minorità che caratterizza i rapporti del Governo italiano verso la Santa Sede, perché certamente si tratta di due Stati sovrani, ma c’è un Concordato, ci sono le regole, i principi fondamentali della nostra Costituzione, che vanno rispettati. Posso dire che per fortuna (non certo per il nostro ambasciatore e non certo per i vaticanisti che hanno agitato il turibolo della Curia che, tardivamente, forse, non lo sappiamo ancora in maniera ufficiale, ha risolto la questione) qualcuno ha sollevato il caso. Questo qualcuno oggi è presente in quest’Aula. Qualcuno l’ha sollevata sulla libera stampa. Lo Stato italiano mi ha spiegato come stanno le regole e questo albo lapillo signanda dies, così cito anche un po’ di piccolo latino, di ricordi liceali, questo è un bel giorno. Lei ha riprodotto la mia interpellanza urgente e di questo le sono grato; però, attenzione: questo stato di cose non è un buon segnale nell’attenzione che il nostro Stato deve mettere nella valutazione e nel controllo della reciprocità dei rapporti tra il nostro Stato e la Santa Sede rispetto, ovviamente, ai diritti dei nostri cittadini.

La delibazione è un fatto importante, ha effetti giuridici che comportano modifiche, effetti, sulla vita dei nostri concittadini; occorrerebbe un po’ più di attenzione da parte di tutti, certamente nostra, stiamo svolgendo oggi questo compito, certamente del nostro ambasciatore, certamente delle nostre autorità di Governo, perché queste devianze non si abbiano a ripetere. Se poi la Santa Sede ha già provveduto a far marcia indietro, uso una terminologia comprensibile a tutti, ne siamo felici; bisogna capire cosa succederà nel frattempo di tutte le delibazioni effettuate nel periodo indicato e quali effetti queste avranno e se qualcuno ovviamente solleverà la questione in questa sede, che è la sede dedicata dalla nostra libera democrazia ai rapporti con i nostri concittadini e nei confronti degli altri Stati. Questo è il compito che stiamo svolgendo oggi. Pertanto la ringrazio per questo, signor sottosegretario. Grazie, signora Presidente.

(Chiarimenti in merito alle procedure di recupero messe in atto da Equitalia nei confronti delle imprese che abbiano fittiziamente localizzato all’estero la propria residenza fiscale – n. 2-01675)

PRESIDENTE. Passiamo all’interpellanza urgente Giancarlo Giorgetti ed altri n. 2-01675 (Vedi l'allegato A).

Chiedo al deputato Giancarlo Giorgetti se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

GIANCARLO GIORGETTI. Grazie, Presidente. Signor sottosegretario Morando, l’interpellanza parla di esterovestizione: è un termine che ai più, probabilmente, e non dice nulla, ma sicuramente io e lei sappiamo di cosa si tratta. Si tratta dell’intestazione fittizia a società residenti in Paesi cosiddetti paradisi fiscali, o comunque ad ordinamento fiscale privilegiato rispetto a quello nazionale. Intestazione fittizia perché evidentemente sottende scopi elusivi o di pure evasione. In queste Aule, da parte del Ministro dell’economia e delle finanze, sulla stampa, nei media, la retorica del contrasto all’evasione è una retorica che va di moda, quindi giustamente ci associamo anche noi.

Però, tutti quanti sappiamo che, rispetto a un ordinamento fiscale come quello italiano e ai livelli di tassazione come quelli italiani, in taluni casi si parla di evasione di necessità, nel senso che il piccolo commerciante, il piccolo artigiano, coloro che in qualche modo cercano di arrangiarsi per sopravvivere, faccio l’esempio di tante realtà, che magari omettono di fare dei versamenti diciamo delle ritenute, pur di andare avanti, cercando di trovare dilazioni, e in questo senso anche la nostra legislazione si è mossa negli ultimi anni, per cercare di venire incontro rispetto a questo tipo di fenomeni. Poi, c’è un’evasione che nell’interpellanza definiamo “più sofisticata” che non spetta ai poveri lavoratori e imprenditori che pensano a lavorare 14, 16 o 18 ore al giorno per tirare avanti e, probabilmente, avere un dignitoso reddito per la propria famiglia; si tratta, invece, di un’evasione sofisticata, messa in atto da soggetti che, evidentemente, con consulenti particolarmente abili, capaci di interpretare la normativa, non soltanto nazionale, ma anche internazionale, e che, evidentemente, hanno anche delle disponibilità economiche per potere pagare questi professionisti, mettono in atto operazioni elusive per, in qualche modo, sottrarre quelli che sono redditi prodotti qui o patrimoni esistenti qui e metterli al sicuro sotto ordinamenti che, in qualche modo, proteggono, rendono più difficoltosa la possibilità di accertamento da parte delle agenzie fiscali. Per questo motivo, qui, credo che nessuno - nessuna forza politica, tanto meno noi - abbia dubbi rispetto alla necessità di fotografare, illuminare, dare contezza di questo fenomeno e dare gli strumenti per poter, in qualche modo, contrastarlo.

Come certamente lei sa, nel corso di questi anni la normativa fiscale si è evoluta, ha fornito degli strumenti agli organi accertatori in grado di presumere, ha rafforzato questa potestà di accertamento e, quindi, ha dato la possibilità, sostanzialmente, di arrivare a dei risultati che in passato non si verificavano. Peraltro, rimane comunque - e non è per fare della facile pubblicità - comodo rivolgersi a società fiduciarie, a professionisti che, magari, aprono delle società con amministratori centenari in Paesi che, peraltro, si contraddistinguono anche per caratteristiche climatiche e ambientali particolarmente favorevoli oltre a quelle fiscali e con strutture, nel caso, situate in caselle postali di professionisti localizzati in quei Paesi che tengono “la contabilità” per migliaia di italiani in vacanza fiscale in quei Paesi. Detto questo e fotografato questo fenomeno, così definito esterovestizione, che, quindi, abbiamo inquadrato come fenomeno meritevole di accanimento da parte dell’Agenzia delle entrate, tanto per chiarirci, quello che vogliamo cercare di capire noi è questo: se l’Agenzia delle entrate, nel caso specifico, al termine di un defaticante e meritorio lavoro, invece di andare a controllare lo scontrino a sorpresa fuori dal negozio, dopo un’operazione di accertamento e dopo tre gradi di giudizio nelle Commissioni tributarie, quindi alla fine di uno, spesso, estenuante lavoro per accertare se effettivamente c’è responsabilità e la presunzione immaginata dall’Agenzia delle entrate trova effettivamente concretezza rispetto a questa operazione di evasione e a questa intestazione fittizia, e tutto ciò si concretizza, ci chiediamo se, al termine del processo, lo Stato, attraverso Equitalia Spa, è effettivamente in grado di andare a recuperare questi patrimoni, questi beni, questo ammontare di imposte evase rispetto a questi soggetti. Il problema qual è? Nel caso specifico, siccome questi soggetti sono residenti in questi Paesi, la procedura non è quella normale, scontata, in qualche modo standard praticabile sul territorio nazionale, ma bisogna fare le traduzioni, bisogna inviare i documenti in quei Paesi, bisogna aspettare che ritornino le notifiche; le procedure sono particolarmente, non dico complicate, ma effettivamente più pesanti rispetto a quelle ordinarie.

Il timore è che questa difficoltà nelle operazioni di recupero coattivo in qualche modo consigli, orienti Equitalia verso l’attività più semplice, orienti risorse umane, esperienze verso la più semplice riscossione coattiva in Italia, su soggetti italiani, magari indifesi; certo è molto più facile fare l’operazione del recupero del quinto dello stipendio al povero pensionato o al lavoratore dipendente o andare a perseguitare l’artigiano, che andare - che so io - a fare un’operazione di recupero rispetto a una società intestata fittiziamente in Paesi esotici o neppure tali, perché, purtroppo, anche negli Stati Uniti d’America ci sono degli Stati che consentono residenze fiscali particolarmente agevolate.

Allora, la domanda è questa: Questo fenomeno esiste? A quanto ammonta? Cosa fa Equitalia? È in grado di operare su queste, lo ribadisco, odiose fattispecie di evasione? Oppure, davanti alla difficoltà di lingua, di traduzione, di ordinamenti più complicati, in qualche modo, si accontenta, lo ribadisco, di andare a perseguitare i poveri cristi in Italia? Ecco, noi ci aspettiamo, da parte del Governo, una risposta puntuale; speriamo che Equitalia abbia dato gli elementi con cui dimostrare di saper operare sul tema, e non si difenda rispetto alla complessità delle fattispecie. La complessità certamente esiste, ma proprio perché c’è questa complessità, voluta dagli evasori sofisticati, ancora più sofisticata e meritoria deve essere l’azione di Equitalia per il recupero. Aspettiamo la risposta del Governo e speriamo bene.

PRESIDENTE. Il Vice Ministro dell’economia e delle finanze Morando ha facoltà di rispondere.

ENRICO MORANDO, Vice Ministro dell'Economia e delle finanze. Signora Presidente, non riassumo i termini della questione perché lo ha appena fatto, benissimo, il deputato Giorgetti. La prima osservazione è questa: dal punto di vista della riscossione coattiva, il concetto di esterovestizione, quale fenomeno elusivo, come è stato appena spiegato, è diverso da quello rilevato dal punto di vista prettamente fiscale. Mentre, infatti, ai fini del recupero di un imponibile rilevante fiscalmente, l’amministrazione finanziaria, sulla base della legislazione vigente, può contestare l’esterovestizione, ponendo in essere un’attività di accertamento sulla base di criteri induttivi, l’attività di riscossione delle somme in tal modo accertate e affidate all’agente della riscossione, in questo caso Equitalia, non può prescindere dall’esistenza di un patrimonio del debitore nel territorio italiano, questo nel normale esercizio dell’attività. Pertanto, devono distinguersi due diverse ipotesi che l’agente della riscossione può trovarsi ad affrontare. Può, infatti, verificarsi il caso in cui l’amministrazione contesti l’esterovestizione e accerti maggiori imposte evase, sulla base della procedura che ha richiamato il deputato Giorgetti, nei confronti di un soggetto che in Italia non ha beni aggredibili, il più frequente è il caso delle cosiddette holding finanziarie. Viceversa, può accadere che l’amministrazione contesti l’esterovestizione e accerti maggiori imposte evase nei confronti, invece, di un soggetto che in Italia ha beni aggredibili. È chiaro che sulla base di questa distinzione nascono due procedure diverse, perché nel primo caso l’agente della riscossione, una volta appurata l’inesistenza sul territorio nazionale di un patrimonio aggredibile appartenente al debitore - stiamo parlando di mobili, immobili, rapporti finanziari presso terzi e così via - non può che ritenere tali somme inesigibili e comunicarlo all’amministrazione finanziaria che, quale unico soggetto legittimato, può e anzi deve, a quel punto, attivare, in caso di sede, residenza posta in uno Stato membro dell’Unione europea, quanto previsto dal decreto legislativo n. 149 del 2012, che recepisce una direttiva comunitaria in materia di reciproca assistenza al recupero dei crediti risultanti da dazi, imposte e altre misure; in caso, invece, di sede o residenza posta fuori dall’Unione europea, le eventuali convenzioni internazionali esistenti, cioè, se esistono degli accordi per l’esercizio di questo tipo di attività, bisogna che l’amministrazione finanziaria li faccia valere.

Nella seconda ipotesi, invece, ossia in presenza di beni aggredibili sul territorio nazionale, l’agente della riscossione può porre in essere, e deve porre in essere, tutte le procedure di recupero coattivo previste dal citato decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973 nei confronti del patrimonio detenuto dal debitore, rispettando, nel caso si rendesse necessario eseguire le notifiche degli atti della procedura esecutiva ad un indirizzo estero, le disposizioni normative vigenti previste dall’articolo 60 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973 e dall’articolo 26 del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973. In particolare l’articolo 60, quarto comma, del citato decreto del Presidente della Repubblica - dettato in materia di atti di accertamento tributari, ad opera dell’articolo 2, comma 1, lettera a), del decreto-legge n. 40 del 2010, e applicabile anche a tutti gli atti di riscossione di Equitalia in virtù del rinvio contenuto negli articoli 26, 49 e 50 del DPR n. 602 - consente di effettuare la notifica all’estero anche in alternativa alle regole generali di cui all’articolo 142 del codice di procedura civile. Il citato articolo 60, quarto comma, del decreto del Presidente della Repubblica dispone che “…in alternativa a quanto stabilito dall’articolo 142 del codice di procedura civile, la notificazione ai contribuenti non residenti è validamente effettuata mediante spedizione di lettera raccomandata con avviso di ricevimento all’indirizzo della residenza estera rilevato dai registri dell’Anagrafe degli italiani residenti all’estero o a quello della sede legale estera risultante dal registro delle imprese di cui all’articolo 2188 del codice civile”. Inoltre, ai sensi del successivo quinto comma dello stesso articolo 60, la notificazione ai soggetti non residenti si intende “validamente effettuata, ai sensi del quarto comma, qualora i medesimi non abbiano comunicato all’Agenzia delle entrate l’indirizzo della loro residenza o sede estera o del domicilio eletto per la notificazione degli atti, e le successive variazioni, con le modalità previste con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate”. Di tale disposizione Equitalia si avvale in tutti i casi in cui si presenti l’esigenza di notificare atti di riscossione a indirizzi esteri senza tradurre l’atto da notificare - lo dico perché nell’interpellanza urgente si insiste su questo aspetto - in quanto il ricorso alla raccomandata internazionale, diversamente da altre modalità di notifica talvolta previste nelle convenzioni internazionali, non richiede la traduzione dello stesso atto. Tenuto conto della normativa richiamata, con riferimento alla richiesta degli interpellanti di conoscere se Equitalia sia dotata di personale in grado di interloquire in inglese con le società cosiddette “esterovestite” si fa presente che non è emersa finora l’esigenza di dare corso ad interlocuzioni in lingua straniera per la ragione che ho appena richiamato.

Tanto premesso l’Agenzia delle entrate rileva che l’azione di accertamento espletata dal 2011 al 2016 ha consentito di incassare con versamenti diretti con F24 un ammontare complessivo pari a circa 422 milioni di euro per effetto di definizione degli avvisi di accertamento a seguito di adesione e rinuncia all’impugnazione. Più dettagliatamente la maggiore imposta definita in adesione risulta pari a circa 114 milioni di euro e le sanzioni correlate pari a circa 37 milioni di euro, mentre la maggiore imposta definita a seguito di rinuncia all’impugnazione risulta pari a circa 184 milioni di euro e le sanzioni correlate pari a circa 38 milioni di euro. Tutte queste cifre sono fornite perché gli interpellanti esplicitamente chiedono di fornire le cifre rispetto alle diverse tipologie in termini di accertamento e in termini di riscossione. Per quanto riguarda lo stato del contenzioso l’Agenzia delle entrate riferisce che, dall’interrogazione effettuata al sistema informativo, risultano ad oggi pendenti 483 controversie. Le sentenze pronunciate evidenziano un andamento prevalentemente favorevole: delle 185 sentenze passate in giudicato ad oggi censite, 102 sono totalmente favorevoli, 22 parzialmente favorevoli e 61 invece sfavorevoli.

In ordine ai contenziosi passati in giudicato con esito favorevole all’Agenzia delle entrate l’importo definito giudizialmente ammonta complessivamente a circa 101 milioni di euro. Con riguardo alle somme affidate agli agenti della riscossione ai fini dell’attività di recupero coattivo faccio riferimento ora ad una scheda, che poi potrò fornire all’interpellante se lo vorrà, che fornisce le risultanze dell’analisi effettuata sui carichi affidati che l’Agenzia delle entrate, alla data del 28 febbraio 2017, l’ultima data disponibile, ha comunicato ad Equitalia come riconducibili ad accertamenti relativi alle società cosiddette “esterovestite” di cui questa mattina stiamo parlando ovvero con fittizia localizzazione all’estero della residenza fiscale. Al riguardo si segnala in particolare che, come si evince dalla tabella, l’ammontare complessivo dei carichi di tale tipologia, segnalati dall’Agenzia delle entrate in data 28 febbraio, era pari all’atto dell’affidamento ad euro 852.441.000. Attualmente l’importo residuo dei predetti carichi, al netto degli sgravi dell’Agenzia delle entrate nonché delle riscossioni effettuate, è pari a 680 milioni. Basta fare la differenza e si vede che, rispetto ai dati che ho già fornito, più o meno questo è il cifra. All’interno di detto ammontare complessivo deve distinguersi l’importo di euro 6.295.000 riferibile a carichi recentemente affidati all’ente di riscossione, cioè a fine dicembre 2016-primo bimestre 2017, per i quali risultano ancora da consultare le banche dati utili, nel caso di mancata estinzione spontanea del debito, all’individuazione dei beni dei soggetti intestatari aggredibili con procedure coattive. L’importo di euro 688.886.000, invece, è relativo ai carichi riferibili a debitori che, sulla base di quanto emerso dagli accessi effettuati in anagrafe tributaria, sono risultati nullatenenti in quanto privi di beni mobili e immobili sul territorio nazionale - mi riferisco sempre alla distinzione che ho fatto originariamente - o di rapporti economici aggredibili per recupero delle somme affidate. Per tali soggetti anche gli accessi all’anagrafe dei rapporti finanziari finora eseguiti ovviamente hanno dato esito negativo. Invece solo per i soggetti intestatari di carichi da riscuotere complessivamente pari ad euro 4.829.000 le verifiche in anagrafe tributaria hanno fatto emergere la presenza di beni o rapporti economici sui quali poter svolgere procedure cautelari. Questo conferma quello che diceva l’onorevole Giorgetti a proposito del fatto che le vere società estero-vestite tendono a non avere di fatto beni aggredibili mobili o immobili sul territorio nazionale. Relativamente a questi ultimi soggetti, una volta esperite le necessarie attività propedeutiche, sono state intraprese le iniziative per l’iscrizione di ipoteca sugli immobili per quelli su cui è possibile farlo. Gli atti relativi a tale procedura sono stati notificati all’indirizzo italiano fornito dall’Agenzia delle entrate ovvero, in mancanza di indirizzo sul territorio nazionale, all’indirizzo estero della società debitrice. Sui beni ipotecati si procederà all’espropriazione immobiliare una volta valutata l’utilità della procedura in funzione di eventuali diritti di garanzia iscritti a favore di altri creditori con un grado di privilegio superiore a quello che caratterizza i crediti nei confronti dell’amministrazione finanziaria.

PRESIDENTE. Il deputato Giancarlo Giorgetti ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

GIANCARLO GIORGETTI. Ringrazio il sottosegretario Morando per la prima parte della risposta che fa chiarezza e dà conto dell’impianto normativo relativo alla capacità di accertamento e di riscossione per queste fattispecie e bene evidenzia le diverse ipotesi, distinguendo il caso in cui ci sono beni aggredibili e beni non aggredibili e poi evidentemente se siamo all’interno dell’Unione europea o al di fuori dell’Unione europea, dove le cose cominciano a diventare estremamente complicate perché si fa riferimento alle convenzioni internazionali e quant’altro.

A me sembra di poter dire che l’ammontare complessivo dell’imposta evasa non sia insignificante, stiamo parlando di cifre rilevanti, oltre 800 milioni di euro, che alla fine, al netto di quello che viene incassato ed è stato incassato senza far ricorso alle procedure di esecuzione coattiva. Mi sembra che i 422 milioni facciano riferimento alle rinunce o alle adesioni, cioè a una forma che è successiva all’accertamento ma che è precedente alla riscossione affidata a Equitalia, il che dimostra evidentemente l’assoluta opportunità di intensificare l’azione di accertamento su questi aspetti. Rimane - lo dico a beneficio mio, del sottosegretario Morando e anche del collega Zanetti, che so essere appassionato della materia e che se n’è occupato, che credo sia casualmente qui in Aula, non certamente per questa interpellanza -, nell’interesse generale, da inquadrare meglio quella che è l’attività di Equitalia su queste vicende, secondo me.

Mi sembra aver capito che ci sono circa 290 milioni incassati e 680 milioni teoricamente da incassare, che si distinguono tra quelli per cui c’è un bene e quelli per cui non c’è un bene.

A questo punto, teoricamente, le problematiche relative alla riscossione coattiva dovrebbero essere quelle tipiche della difficoltà di riscossione coattiva in generale che incontra Equitalia per tutti questi casi.

Mi sembra - e su questo ovviamente chiederò e suggerisco anche al rappresentante del Governo un supplemento di indagine - di non vedere, per esperienza, molto efficiente il procedimento di notifica all’estero previsto di fronte alla residenza fiscale, alla domiciliazione fiscale, cioè quella complessa procedura che è stata richiamata all’articolo 60 del DPR n. 600 e l’articolo 26 del DPR n. 600, in riferimento alla possibilità di raccomandate internazionali eccetera.

Sotto questi aspetti credo che forse Equitalia potrebbe immaginare di “professionalizzare”, stabilire od organizzare un’unità speciale dedicata a questo scopo, per rendere più efficiente e spedito questo tipo di processo di recupero, anche perché è evidente che molto spesso queste società nascono nell’imminenza o nell’immediata antecedenza all’accertamento in modo da sottrarre beni e massa imponibile, nel momento in cui nella settimana o nelle settimane successive si va da un commercialista che fa una vendita fittizia a una società in capo al mondo. Quindi, penso che non sia eticamente giustificabile che nel nostro ordinamento e in tutto quello che viene messo in atto per recuperare l’evasione fiscale, vi sia oggettivamente un trattamento diverso tra il “povero Cristo ignorante”, totalmente esposto a ogni tipo di esecuzione coattiva rispetto e il contribuente che dolosamente, in modo sofisticato architetta operazioni per sottrarre base imponibile, che, come è stato ricordato, per 688 milioni sembra che scompaia nel nulla e nessuno oggettivamente va a recuperare. Perché non va a recuperare? Perché la giustificazione del funzionario di Equitalia sarà quella di dire che dobbiamo sì recuperare 100.000 euro, per ipotesi, però per andare a recuperare 100.000 euro bisogna fare la raccomandata internazionale, la procedura è lunga, complicata, poi c’è il discorso dell’unità attiva, quindi il costo della procedura in termini di tempi ed impegno è tale per cui non è conveniente perseguire. No! Qui bisogna risalire a monte, circa il fatto che non è la stessa cosa, non si può fare un ragionamento solamente di tempi e di organizzazione, per andare a “perseguitare” il povero Cristo pensionato, lavoratore dipendente, artigiano, con il quinto dello stipendio, rispetto a colui che ha messo in atto dolose operazioni.

Quindi, a mio giudizio, a nostro giudizio, siccome abbiamo più simpatia per i disgraziati rispetto ai mascalzoni - e questo è l’invito che faccio al Governo con cui chiudo la mia replica -, l’indirizzo che dovrebbe essere dato ad Equitalia Spa è quello di intensificare, di specializzare esattamente le proprie strutture per andare a raggiungere i maggiori risultati possibili nella riscossione coattiva, costi quel che costi, perché non è un problema soltanto di costi-benefici di tipo monetario, finanziario, ma è anche un problema di ammonimento per tutti coloro che in futuro volessero porre in atto azioni del genere. Infatti, se passa l’idea che, facendo i furbi o i mascalzoni, comunque Equitalia non arriverà mai, è evidente che ci troveremo a parlare non di 800 milioni di imposte evasa da riscuotere, ma di questo passo, facendo un po’ di pubblicità, ci troveremo con 8 miliardi da andare a recupere in questo modo, senza però recuperare nulla.

Quindi, sono soddisfatto per avere messo in evidenza questo tipo di problematica, parzialmente soddisfatto, in attesa di soddisfazione, per vedere quello che il Governo intenderà fare in termini di sollecitazione ad Equitalia per quanto riguarda questo tema. Grazie Presidente e grazie al sottosegretario Morando per la sua cortesia.

(Chiarimenti relativi alle statistiche sui contenziosi tributari davanti alla Corte di Cassazione - n. 2-01688)

PRESIDENTE. Passiamo all’interpellanza urgente Zanetti e Francesco Saverio Romano n. 2-01688 (Vedi l'allegato A).

Chiedo al deputato Zanetti se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

ENRICO ZANETTI. Presidente, l’interpellanza ha appunto per oggetto le statistiche del contenzioso tributario davanti la Corte di Cassazione che vedono come controparte del contribuente l’Agenzia delle entrate, che costituiscono dei dati importanti in termini sia di trasparenza nel rapporto tra cittadino e Stato sia anche per le valutazioni che, da un lato i cittadini, dall’altro il Governo stesso, si possono andare a fare: i cittadini, per quanto concerne naturalmente le proprie strategie difensive, perché è evidente che statistiche che individuano elevatissime percentuale di vittoria dell’Agenzia in contenzioso inducono a ritenere che evidentemente la stessa ha spirito non litigioso dilatorio, ma ha un approccio per il quale il contenzioso viene portato a ciò su cui è convinta di vincere, quindi è un messaggio - in quel caso giusto - a non insistere sulla linea difensiva per il contribuente; allo stesso modo le percentuali sul contenzioso sono importanti per lo Stato rispetto a possibili scelte che può fare di politica fiscale.

Non è un caso, ad esempio, che il tema si sia riproposto di recente in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario tributario, quando, da un lato, il rappresentanze presente per il Governo, il Viceministro Casero, ha ventilato l’ipotesi di un provvedimento volto a consentire una definizione agevolata delle liti pendenti - provvedimento che peraltro sarebbe stato ancor più utile adottare contestualmente alla recente rottamazione delle cartelle, ma non è mai troppo tardi -, dall’altro il direttore dell’Agenzia delle entrate, presente anch’esso, che ha colto l’occasione per sottolineare che in Cassazione l’Agenzia dell’entrate vincerebbe il 90 per cento delle volte, dato quest’ultimo che, ad esempio, rispetto a un’ipotesi di definizione di liti agevolata, renderebbe le stesse una misura abbastanza strampalata, perché nell’istante in cui lo Stato vince il 90 per cento delle volte diventa poco opportuno una decisione in tal senso.

Ma è vero che questo dato del 90 per cento rappresenta l’esatta statistica dei rapporti contenziosi tra Agenzia e contribuenti davanti alla Cassazione? Io credo - e con questa interpellanza cerco di offrire anche una sponda al Governo - che sia arrivata l’ora, non soltanto in occasione di convegni o di articoli di giornale, di mettere in una sede formale ed istituzionale quale questa è - la massima! - di mettere alcuni punti certi, perché inizia ad esserci un po’ di sconcerto. Perché? Perché le uniche statistiche ufficiali che esistono, che sono molto ben curate trimestralmente dal Dipartimento delle finanze del Ministero dell’economia, riguardano i primi due gradi di giudizio, i cosiddetti giudizi di merito (primo grado, secondo grado).

E in quelle statistiche ufficiali - che, ripeto, sono molto curate in tutti i dettagli e che separatamente evidenziano in modo opportuno le sentenze in cui vince l’Agenzia, le sentenze in cui vincono i contribuenti, le sentenze definite “giudizi intermedi”, cioè dove vincono entrambi, perché un po’ viene data ragione a uno e un po’ all’altro, nonché, infine, le sentenze che non hanno nessuno di questi esiti, perché, ad esempio, la causa si esaurisce per il venir meno della materia del contendere - ebbene, in quelle statistiche si vede con chiarezza come, sia in primo grado sia in secondo grado, le vittorie piene dell’Agenzia, cioè i casi in cui l’Agenzia aveva proprio ragione sacrosanta e il contribuente torto marcio, sono intorno al 44 per cento, quindi, tra l’altro, meno di una volta su due.

Ora, è chiaro che tra un 44 per cento di dato medio, nel primo e secondo grado di giudizio, e un 90 per cento in Cassazione ci si ritrova spiazzati, non fosse altro perché delle due l’una: o le corti di merito di primo e secondo grado sono evidentemente spudoratamente pro contribuente, o la Cassazione è evidentemente spudoratamente pro Stato, o, più auspicabilmente - perché è più auspicabile che ciò accada -, i modi con cui vengono conteggiate le statistiche sono assai diversi e forse, se da un lato quelli chiari e trasparenti pubblicati ogni tre mesi da parte del Ministero dell’economia e sui primi due gradi di giudizio ci dicono chiaramente come stanno le cose, quelli comunicati in modo informale dall’Agenzia delle entrate - in un certo senso autoprodotti dalla stessa sulla Cassazione - meritano quell’approfondimento che andiamo qui a chiedere oggi.

Chiediamo appunto - e ringraziamo il Vice Ministro Morando per essere qui in Aula - di capire qual è l’esatta percentuale di vittorie dell’Agenzia delle entrate in Cassazione, nell’istante in cui si vada a fare una classificazione dei risultati che sia conforme a quella operata dal Ministero dell’economia nelle statistiche ufficiali e trasparenti che ogni tre mesi pubblica con riguardo ai primi due gradi di giudizio, dove, lo ripeto, non si parla di 90 per cento, ma si parla di 44 per cento.

PRESIDENTE. Il Vice Ministro dell’Economia e delle finanze, Enrico Morando, ha facoltà di rispondere.

ENRICO MORANDO, Vice Ministro dell'Economia e delle finanze. Signora Presidente, la Direzione giustizia tributaria del Dipartimento delle finanze, come ha appena detto il deputato Zanetti, redige periodicamente pubblicazioni sullo stato del contenzioso tributario: in particolare, la relazione sul monitoraggio dello stato del contenzioso tributario e sulle attività delle commissioni tributarie di carattere annuale e i rapporti trimestrali sul contenzioso tributario. I documenti sono diffusi sul portale istituzionale della Giustizia tributaria oppure sul portale istituzionale del Dipartimento delle finanze.

La relazione annuale contiene una serie di analisi sul contenzioso tributario nei suoi gradi di giudizio, compreso un paragrafo dedicato al contenzioso pendente presso la Suprema Corte di cassazione.

Attualmente è disponibile la relazione relativa all’anno 2015.

Tutto il documento in argomento è redatto utilizzando le informazioni contenute nel sistema informativo della giustizia tributaria, tranne - questo è il punto - il paragrafo dedicato alle liti avviate di fronte alla Suprema Corte, per il quale la Direzione si avvale, per compilare quella parte della relazione che si riferisce a questi dati, della collaborazione dell’ufficio statistico della Corte stessa, a cui vengono richiesti i dati pubblicati, mentre gli altri sono, diciamo, “elaborati” su base MEF, non consentendo, il Sigit, informazioni integrate con la banca dati della Corte.

In merito, è opportuno precisare che, nel paragrafo della relazione dedicato ai giudizi definiti presso la Corte di cassazione, l’esposizione dei dati avviene secondo flussi e criteri stabiliti dalla Corte stessa, i quali si discostano da quelli seguiti dalla Direzione della giustizia tributaria nello svolgimento delle proprie analisi.

Farò ora riferimento ad una tabella, che naturalmente posso fornire, che illustrerò non analiticamente altrimenti impiego un’ora, che fornirò agli interpellanti, se lo vorranno, relativa ai procedimenti definiti dinnanzi alla Corte di cassazione dell’anno 2015, classificati in base all’autorità di provenienza, al proponente e al relativo esito.

Dall’analisi della predetta tabella si evince che nell’anno di riferimento - questo è un primo elemento, credo, di chiarezza richiesto dagli interpellanti - la percentuale di vittoria delle agenzie fiscali nei giudizi innanzi alla Suprema Corte risulta essere di poco superiore al 70 per cento, quindi questo è il dato di riferimento che noi possiamo ricavare dalla tabella di cui sto parlando.

Nella relazione annuale sul monitoraggio dello stato del contenzioso tributario per il 2015, sono stati riportati i dati forniti dalle agenzie fiscali con riferimento alle pronunce divenute definitive nel 2015 e concernenti l’individuazione del cosiddetto indice di vittoria - è evidente a cosa si riferisce - sulla base di modalità di rilevazione concordate e sancite nelle convenzioni stipulate nel corso degli anni tra il MEF e l’Agenzia delle entrate.

L’indice di vittoria è costruito confrontando le pronunce favorevoli in tutto o in parte all’Agenzia, passate in giudicato nel 2015, con il totale delle pronunce favorevoli o sfavorevoli in tutto o in parte all’Agenzia resesi definitive nell’anno.

La formula utilizzata è la seguente: totale delle pronunce definitive totalmente e parzialmente favorevoli in rapporto al totale delle pronunce definitive moltiplicato per 100.

Tra gli esiti registrati a favore o a sfavore dell’Agenzia sono inclusi tutti quelli che si riflettono sulla validità, anche parziale, o meno dell’atto impugnato. Sono compresi, inoltre, le sentenze di rinvio della causa alla commissione tributaria provinciale o regionale non riassunte dalle parti entro il termine di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza, l’estinzione del giudizio intervenuta a seguito di rinuncia al ricorso da parte del contribuente, gli esiti, infine, delle conciliazioni giudiziali perfezionate con pronuncia giurisdizionale del 2015.

Si precisa che, per la Cassazione, l’analisi tiene conto delle pronunce senza rinvio depositate nell’anno, nonché di quelle di rinvio il cui termine per la riassunzione sia scaduto nel 2015 e che abbiano conseguentemente determinato l’estinzione del processo con consolidamento dell’atto tributario originariamente impugnato. In caso di riassunzione, viene rilevata la pronuncia definitiva emessa in tale fase.

Per quanto concerne gli esiti del contenzioso in Cassazione, nel 2015 l’indice di vittoria complessivo è stato pari al 76,4 per cento, dato dal rapporto che ho già detto. Le pronunce di rinvio alla commissione di merito, consuntivate a parte, sono state 1.313.

Come anzidetto, la rilevazione degli esiti relativa a queste ultime controversie avverrà solo a seguito del passaggio in giudicato della pronuncia emessa nella fase rescissoria oppure alla scadenza invano del termine per la riassunzione.

L’Agenzia delle entrate fa presente che dalle lavorazioni effettuate per il 2016, non ancora confluite nell’attuale relazione sul monitoraggio dello stato del contenzioso tributario e sulle attività delle commissioni tributarie del 2016, che sarà pubblicata nei prossimi mesi, l’indice di vittoria in Cassazione è stato pari al 73,9 per cento, dato dal rapporto tra sentenze favorevoli (comprese quelle di rinvio non riassunte nel 2016), pari a 3.704 - di cui 49 parzialmente favorevoli all’Agenzia - e il totale delle pronunce depositate (ad esclusione di quelle di estinzione e di quelle di rinvio che siano state riassunte o per le quali ancora pendeva il termine per la riassunzione), pari a 5.015. Le pronunce di rinvio alle commissioni di merito, consuntivate a parte, sono state 2.083.

Tutti questi dati, naturalmente, sono riassunti nella tabella cui ho fatto riferimento. Grazie.

PRESIDENTE. Il deputato Zanetti ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

ENRICO ZANETTI. Grazie, Presidente. Sì, sono senz’altro soddisfatto per il livello di accuratezza dei dati, che consentono però anche di mettere in luce da dove nasce questa differenza sostanziale tra degli indici di vittoria al 44 per cento dell’Agenzia in primo e secondo grado e degli indici dichiarati del 76 per cento in Cassazione: 76 per cento, che è già una diminutio rispetto al 90 per cento di cui si era sentito parlare in quella pubblica occasione, evidentemente perché - qui mi rifaccio a quello che, sempre, in modo informale ho avuto modo di leggere sui quotidiani - quel 90 per cento poi era già stato in parte chiarito, si riferisse ai soli casi in cui l’Agenzia delle entrate arrivava in Cassazione avendo già vinto in appello, mentre il dato medio, intanto, scende al 74 per cento, un 74 per cento comunque molto superiore al 44 per cento dei primi due gradi di giudizio.

Ma oggi abbiamo modo di capire definitivamente il perché o, meglio, di renderlo conoscibile in modo formale, avendo sottoscritto e avendo già avuto occasione di prenderne atto leggendo le convenzioni tra MEF e Agenzia delle entrate, e cioè la differenza deriva dal fatto che in quel 76 per cento, o 73 per cento per l’anno ultimo in via di chiusura statistica, si sommano le vittorie piene ai pareggi, che è esattamente un dato in linea, a quel punto, con i primi due gradi di giudizio, dove, anche lì, se si sommano le vittorie piene dell’Agenzia ai pareggi, si arriva intorno a un 65-70 per cento, mentre le altre sono le vittorie piene, totali, quelle del contribuente, cioè i giudizi in cui l’Agenzia aveva torto completamente.

Ecco, io credo che l’analisi e la comunicazione dei dati dovrà essere in futuro, anche per quanto riguarda la Cassazione, più attenta e più chiara nel distinguere la percentuale di vittorie piene dalle percentuali dove, invece, il giudizio è parziale, cioè anche le ragioni del contribuente c’erano e ciò nonostante è stato trascinato fino al terzo grado di giudizio. Lo dico perché questo modo di esporre i dati da parte dell’Agenzia delle entrate sembra, come dire, far pensare che nel contenzioso tributario l’Agenzia delle entrate creda di giocare fuori casa e, quindi, il pareggio con il goal vale doppio come nelle Coppe europee. Io credo, invece, che nel contenzioso tributario, se c’è qualcuno che gioca fuori casa, premesso che sarebbe opportuno sentirci tutti nella “casa Italia”, ma, se c’è qualcuno che gioca fuori casa, beh, quello è il contribuente, che, a differenza del funzionario dell’Agenzia delle entrate, fino al terzo grado di giudizio si fa carico a livello personale delle ingenti spese per liti e controversie, che, viceversa, chi giustamente porta avanti la causa per conto di articolazioni pubbliche non sostiene.

È un dato importante, da conoscere, perché a mio avviso conferma, da un lato, che provvedimenti, anche puntuativi, volti a valutare una definizione delle liti pendenti da parte dello Stato, siano tutt’altro che peregrini in un contesto in cui, ancora adesso, l’Agenzia delle entrate, nonostante gli importanti strumenti precontenziosi di cui dispone e nonostante l’importante discrezionalità che le viene affidata nella sua azione - a differenza di quella completamente assente da parte dei funzionari di Equitalia che sono dei semplici esecutori, nonostante proprio su di essi venga scaricata spesso la gran parte delle ire dei contribuenti -, nonostante la grande discrezionalità di cui dispone, giustamente dispone, ancora oggi porta troppe volte in contenzioso, in tutto o in parte, il contribuente, non avendo in realtà ragione per farlo. È importante conoscerlo, appunto, perché un provvedimento di definizione delle liti, a mio avviso, resta qualcosa che auspico senz’altro di vedere nell’agenda prossima ventura del Governo. In questo, sicuramente, confido che quanto prospettato dal Vice Ministro Casero possa trovare attuazione, da parte nostra sicuramente lo sosterremo, e dall’altro è importante per il contribuente perché così ha una fotografia esatta di quelle che sono le sue reali possibilità statistiche di vittoria, ove resista in giudizio.

Diciamo che, messa così, il 74 per cento come dato di vittoria, che nasconde invece all’interno anche i pareggi, fa un po’ assomigliare questa informativa da parte dell’Agenzia a quella di un contribuente che, quando dichiara i propri costi, li gonfia un po’ per dedursi più di quel che dovrebbe. Ecco, credo che, invece, su questi fatti sia fondamentale procedere con la massima trasparenza, quella che c’è nelle statistiche elaborate dal Dipartimento delle finanze per i primi due gradi di giudizio e quella che oggi ribadiamo e prendiamo atto in modo formale esservi soltanto in parte per quanto riguarda le statistiche dell’ultimo grado di giudizio. Ringrazio ancora il Vice Ministro.

(Iniziative a tutela dei comparti agricoli penalizzati dall’Accordo di libero scambio dei prodotti agricoli tra Unione europea e Marocco - n. 2-01697)

PRESIDENTE. Passiamo all’interpellanza urgente Lupo ed altri n. 2-01697 (Vedi l'allegato A).

Chiedo alla deputata Lupo se intenda illustrare la sua interpellanza. Prego, onorevole.

LOREDANA LUPO. Grazie Presidente, sì. Signor sottosegretario, l’accordo UE-Marocco è un accordo commerciale recante misure di liberalizzazione reciproche per i prodotti agricoli e della pesca, che prevede l’aumento di quote di scambio per una serie di prodotti importati a tariffe doganali molto basse o pari allo zero. Quest’Accordo risale a circa cinque anni fa: il Parlamento europeo lo approva il 16 febbraio del 2012.

Era chiaro, sin da allora, che questa tipologia d’accordo tra il Marocco e l’Unione europea avrebbe sicuramente danneggiato alcuni comparti agricoli italiani, soprattutto per quanto riguardava quelli della fascia mediterranea. Perché dico questo? Perché grazie a una scheda statistico-informativa delle problematiche relative al succitato Accordo, fatta dall’ISMEA il 27, è possibile leggere quanto sto per dire: “In Italia i principali mercati all’ingrosso italiani segnalano la presenza di prodotto marocchino sempre nello stesso periodo, a prezzi molto più bassi di quelli riscontrati per il prodotto spagnolo e italiano. Tale aggressività delle politiche commerciali degli esportatori marocchini ha forti ripercussioni, in quanto un’offerta di prodotto estero a bassi livelli di prezzo tira giù anche il prezzo del prodotto made in Italy. Sono particolarmente penalizzati i produttori italiani, oltre che spagnoli, ed in particolare quelli siciliani: infatti, il calendario di commercializzazione del pomodoro da mensa marocchino coincide con quello dei produttori siciliani. Pertanto, l’Accordo commerciale Marocco-UE determinerà, probabilmente, un’ulteriore perdita di competitività del nostro comparto e del prodotto”. Questa è una scheda di riferimento - ribadisco - dell’ISMEA del 27 febbraio 2012, cioè all’atto dell’Accordo.

In questo frattempo, ovviamente, la perturbazione del mercato è stata evidente. Fortunatamente, all’interno di questo Accordo è previsto, all’articolo 7, uno strumento ed un meccanismo istituzionale, al quale si può ricorrere a fronte di queste gravi perturbazioni, che si chiama clausola di salvaguardia. Sono passati quasi quattro anni da questo Accordo, nel 2016, ed il Ministro, notate le evidenti difficoltà dei settori messi in crisi dall’Accordo marocchino, cosa dichiara pubblicamente, a marzo del 2016? È necessaria anche l’attivazione della clausola di salvaguardia prevista dall’accordo UE-Marocco, perché, rende noto il MIPAF, le importazioni di pomodoro da quel Paese sono aumentate del 70 per cento nelle prime settimane dell’anno, con un impatto negativo sul mercato. Dall’Europa ci aspettiamo risposte concrete - conclude Martina -, non si può perdere tempo. Quattro anni per arrivare a questa soluzione, quattro anni di grave crisi per i nostri settori!

A fronte di questo, dichiara ulteriormente alla stampa che questa richiesta della clausola di salvaguardia sarà accompagnata da un dossier dettagliato. Questo dossier, così dettagliato, proviene dalla collaborazione, in teoria, tra il Ministero delle politiche agricole e il Ministero dello sviluppo economico.

Quindi, ci si immagina che sia un documento che possa realmente fornire a questi settori, così martoriati, la tanto desiderata clausola di salvaguardia. Allora oggi cosa ci facciamo qui in Aula? In realtà, dopo un anno, siamo qui a chiedere in quale data il dossier necessario ad evidenziare la grave perturbazione di alcuni comparti agricoli nazionali derivante dall’applicazione dell’accordo di libero scambio tra l’Unione europea ed il Marocco è stato inoltrato alle competenti istituzioni comunitarie, quali argomentazioni sono state evidenziate in termini di danno economico derivante dal calo delle vendite di alcuni prodotti, segnatamente quelli delle filiere agrumicole e del pomodoro, e quale è lo stato dell’arte del negoziato volto ad autorizzare l’attivazione della clausola di salvaguardia, posto che ad oggi, a un anno, non abbiamo nessun aggiornamento di rilievo noto.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per le Politiche agricole alimentari e forestali, Castiglione, ha facoltà di rispondere.

GIUSEPPE CASTIGLIONE, Sottosegretario di Stato per le Politiche agricole alimentari e forestali. Grazie Presidente. Onorevole deputati, premetto che il Ministero attribuisce fondamentale importanza al settore del pomodoro da mensa e monitora costantemente eventuali cali della quotazione di mercato che possano essere di ostacolo persino al recupero del costo di raccolta del prodotto.

Per quanto riguarda l’accordo commerciale tra Unione europea e Regno del Marocco sull’importazione di pomodoro in regime di esenzione dal dazio doganale, che ha determinato un aumento delle importazioni verso l’Unione europea, con conseguente forte eccesso di prodotto nei mercati e discendente crollo delle quotazioni, il Ministero ha provveduto a richiedere alla Commissione, a marzo del 2016, l’attivazione della clausola di salvaguardia prevista dall’accordo stesso con l’avvio di immediata consultazione con il Governo nordafricano. La richiesta, che è stata supportata anche da un dossier tecnico, predisposto in collaborazione con tutta la filiera, e soprattutto con il Ministero dello sviluppo economico, e poi con il referente della regione siciliana, argomentava che rispetto alla precedente campagna di commercializzazione, le importazioni di pomodoro marocchino verso l’Europa, a dicembre 2015 e gennaio 2016, avevano denotato un aumento del 74 per cento, coinciso peraltro con un contestuale crollo dei prezzi del promotore italiano per l’inatteso surplus di prodotto sul mercato nazionale.

La Commissione europea, con lettera del 15 giugno del 2016, riteneva non sussistessero sufficienti presupposti per l’applicazione della clausola di salvaguardia, evidenziando che l’anticipata maturazione delle colture aveva determinato un eccesso di offerta di prodotti e successivamente il calo delle temperature aveva determinato una diminuzione di produzione, con un aumento sensibile dei prezzi. Già nel luglio del 2016, il Ministero delle politiche agricole trasmetteva supplementari e ulteriori informazioni, evidenziando un calo dei prezzi del pomodoro siciliano anche durante i mesi di maggio e giugno e rilevando la rappresentatività del mercato di Vittoria in Sicilia, affinché se ne tenesse conto in sede comunitaria nell’ambito dell’attività di monitoraggio dei mercati. La Commissione, ad agosto del 2016, replicava confermando quanto già detto a giugno ed evidenziando che il calo di prezzo del prodotto italiano, e dunque anche del prodotto siciliano, in maggio e giugno risultasse del tutto fisiologico, in quanto ci si stava dirigendo verso la stagione invernale.

Con mirato riferimento alle importazioni mensili di pomodoro dal Marocco, la Commissione eccepiva poi che le stesse mostravano un trend al ribasso rispetto alla media dei volumi di importazione nelle ultime tre stagioni, ribadendo dunque che le criticità rilevate nel settore in alcuni periodi all’anno non potessero essere attribuite a maggiorati flussi commerciali con il Regno del Marocco, bensì ad avverse condizioni fitopatologiche e climatiche che si erano verificate nell’area.

A fronte di tale posizione, per contrastare comunque le difficoltà di mercato, sulle quali ha influito anche l’embargo russo, l’Italia si è attivata presso la Commissione ed è stato ottenuto un adeguato incremento del livello di supporto per le operazioni di ritiro dal mercato che erano operazioni ferme ormai da diversi anni.

Nell’ambito dell’applicazione dei regolamenti eccezionali che dal mese di agosto 2014 hanno introdotto misure di sostegno per far fronte all’embargo, il Ministero ha poi ottenuto l’inserimento - è stato chiesto e ottenuto - dei pomodori tra i prodotti oggetto di intervento e ha destinata al comparto orticolo una parte dei volumi supplementari a quelli che erano già stati assegnati dalla Commissione.

Al fine di sviluppare la competitività delle imprese italiane nel settore orticolo sul mercato globale, si è inoltre proceduto ad incentivare l’aggregazione attraverso il finanziamento dei programmi operativi delle organizzazioni dei produttori ortofrutticoli, programmi operativi che riguardano le OP italiane. Si deve tuttavia evidenziare che, purtroppo, tale strumento è poco utilizzato in alcune regioni, tra cui la regione siciliana, dove il livello medio di aggregazione non supera il 25 per cento, a fronte di una aggregazione nazionale che supera il 45 per cento. Nel 2018-2020, nella strategia nazionale che stiamo per elaborare, una strategia per il settore ortofrutticolo, saranno individuate, di concerto con le regioni, le opportune azioni e interventi utili a incentivare l’aggregazione, con il conseguente incremento dell’utilizzo dei fondi che sono stati messi a disposizione dall’Unione europea e che potranno essere utilizzati anche al fine di ammodernare le strutture produttive e così ridurre il gap competitivo con gli altri Paesi. In particolare, con riguardo al pomodoro nazionale, occorre rappresentare che siamo al lavoro con l’intera filiera al fine di tutelare il reddito dei nostri agricoltori, valorizzare le produzioni nazionali e dare la massima informazione in termini di tracciabilità e sicurezza ai nostri consumatori.

PRESIDENTE. La deputata Lupo ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

LOREDANA LUPO. Grazie Presidente. Mi ritengo parzialmente soddisfatta, nel senso che è evidente che lo Stato italiano si sia adoperato, anche se in ritardo, nel tentativo di attivare la clausola di salvaguardia. Però, è altrettanto evidente che tutte le eccezioni fatte in ambito europeo sono eccezioni che andavano controbattute in maniera differente, perché andare a dire che c’è stata un’anticipazione della produzione nell’atto in cui le produzioni tra il Marocco e la Sicilia avvengono contemporaneamente, e vi sia una certezza dell’introduzione all’interno del mercato siciliano di più del 70 per cento rispetto agli anni precedenti delle partite marocchine, un pochino stride con quello che dovrebbe essere un dossier dettagliato da parte del Ministero dell’agricoltura e del Ministero dello sviluppo economico. Quindi, sono ben contenta che si è tentato di eccepire quanto possibile, ma personalmente ritengo che si sarebbe dovuto continuare in quella direzione, perché sia il comparto del pomodoro, che quello degli agrumi, sono stati fortemente danneggiati in questi anni da questo accordo.

Comprendo le necessità geopolitiche che ci sono in ballo in queste circostanze, però non può lo Stato italiano farsi ogni volta carico degli errori che vengono fatti in sede europea, dicendo: sistemerò la filiera, aiuterò la filiera, una volta che si prende l’accordo per danneggiarla. Questo è indubbio! Nell’atto in cui noi diciamo pure: è vero, c’è scarsa aggregazione di impresa, siamo al 25 per cento, rispetto al 40 per cento del resto d’Italia, ci adopereremo dal 2018 al 2020, abbiamo creato delle condizioni e individueremo delle azioni di ammodernamento, nel 2018. A me dispiace veramente dover far notare la differenza che c’è tra le tempistiche di danneggiamento e quelle di ripresa del danno, perché tutto questo inizia nel 2012, siamo nel 2017, e arriveremo forse ad aggiustare i problemi nel 2018, forse. E in questo frattempo, le aziende italiane? Le aziende siciliane? Chiudono. I siciliani non possono lavorare.

Non è corretto un modo di adoperarsi nelle istituzioni di questo tipo, perché nell’atto stesso in cui l’ISMEA dichiarava queste cose, nel 2012, ci si doveva impuntare e dire: no, prima creo un sistema d’ammodernamento del mio comparto ortofrutticolo nelle zone più a rischio, poi, faccio tutti gli accordi di questa terra, ma intanto l’altra cosa che faccio, come Stato italiano, è di verificare che alla frontiera quello che mi arriva abbia gli stessi standard italiani, ciò significa che proviene dallo stesso tipo di manodopera e, quindi, non va a costare meno, perché io vado a sfruttare la manodopera locale, e significa che verifico che tipo di pesticidi vengono adoperati. Molto spesso tutto questo non è stato fatto, come anche il fatto che, di prodotti, ne sono arrivati di più sui nostri mercati e ciò, quindi, ha fatto crollare il prezzo dei nostri pomodori e delle nostre arance. Questo ci si aspetta, sia dalle regioni, che si sono dovute sobbarcare il problema, che dallo Stato italiano, che lo doveva andare a discutere in Europa: il rispetto di tutti gli agricoltori, non solo di quelli che hanno più forza economica e più capacità di aggregazione di altri.

PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze urgenti all'ordine del giorno.

Organizzazione dei tempi per l’esame di proposte di legge (ore 10,34).

PRESIDENTE. Avverto che, nell’allegato A al resoconto stenografico della seduta odierna, sarà pubblicato lo schema recante la ripartizione dei tempi per l’esame della proposta di legge recante modifiche alle disposizioni per l’attuazione del codice civile in materia di determinazione e risarcimento del danno non patrimoniale e per la discussione generale del testo unificato delle proposte di legge recante norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento (Vedi l’allegato A).

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

  Lunedì 13 marzo 2017, alle 10:

1.  Discussione sulle linee generali del disegno di legge:

Conversione in legge del decreto-legge 20 febbraio 2017, n. 14, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città (C. 4310-A).

  Relatori: FIANO (per la I Commissione) e MORANI (per la II Commissione), per la maggioranza; INVERNIZZI, di minoranza.

2.  Discussione sulle linee generali della proposta di legge:

  TURCO: Modifiche alle disposizioni per l’attuazione del codice civile in materia di determinazione e risarcimento del danno non patrimoniale (C. 1063-A)

  Relatori: DAMBRUOSO, per la maggioranza; BONAFEDE, di minoranza.

3.  Discussione sulle linee generali del disegno di legge:

S. 2036 - Ratifica ed esecuzione dell’Accordo tra la Repubblica italiana e la Repubblica di Slovenia sulla linea del confine di Stato nel tratto regimentato del torrente Barbucina/Čubnica nel settore V del confine, fatto a Trieste il 4 dicembre 2014 (Approvato dal Senato) (C. 4109)

  Relatore: GIANNI FARINA.

4.  Discussione sulle linee generali del testo unificato delle proposte di legge:

MANTERO ed altri; LOCATELLI ed altri; MURER ed altri; ROCCELLA ed altri; NICCHI ed altri; BINETTI ed altri; CARLONI ed altri; MIOTTO ed altri; NIZZI ed altri; FUCCI ed altri; CALABRO’ e BINETTI; BRIGNONE ed altri; IORI ed altri; MARZANO; MARAZZITI ed altri; SILVIA GIORDANO ed altri: Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento (C. 1142-1298-1432-2229-2264-2996-3391-3561- 3584-3586-3596-3599-3630-3723-3730-3970-A)

  Relatori: LENZI, per la maggioranza; CALABRÒ, di minoranza.

5.  Discussione sulle linee generali della mozione Dell’Aringa ed altri n. 1-01319 concernente iniziative in materia di politiche attive del lavoro, con particolare riferimento al potenziamento dei centri per l’impiego.

6.  Discussione sulle linee generali della mozione Santerini ed altri n. 1-01435 concernente iniziative volte all’identificazione dei migranti deceduti nella traversata del Mediterraneo.

La seduta termina alle 10,35.