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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 613 di martedì 26 aprile 2016

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PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE MARINA SERENI

  La seduta comincia alle 15,05.

  PRESIDENTE. La seduta è aperta.
  Invito il deputato segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

  RAFFAELLO VIGNALI, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 18 aprile 2016.

  PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
  (È approvato).

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Roberta Agostini, Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Amendola, Amici, Baldelli, Bellanova, Bernardo, Dorina Bianchi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Matteo Bragantini, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Bueno, Caparini, Capelli, Casero, Castiglione, Causin, Antimo Cesaro, Cirielli, Costa, D'Alia, Dambruoso, Damiano, Del Basso De Caro, Dell'Orco, Dellai, Di Gioia, Fedriga, Ferranti, Ferrara, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Franceschini, Garofani, Gelli, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, Lorenzo Guerini, La Russa, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Merlo, Migliore, Orlando, Gianluca Pini, Pisicchio, Portas, Rampelli, Realacci, Rosato, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Scotto, Speranza, Tabacci, Tofalo, Velo, Villecco Calipari, Zampa e Zanetti sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
  I deputati in missione sono complessivamente ottantasette, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna).

Modifica nella composizione della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

  PRESIDENTE. Comunico che la Presidente della Camera ha chiamato a far parte della Commissione parlamentare per le questioni regionali la deputata Gessica Rostellato in sostituzione della deputata Elisa Simoni, dimissionaria.

Discussione del disegno di legge: S. 1738 – Delega al Governo per la riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace (Approvato dal Senato) (A.C. 3672); e delle abbinate proposte di legge: Greco; Carrescia ed altri; Tartaglione ed altri (A.C. 1338-1669-1696) (ore 15,10).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato, n. 3672: Delega al Pag. 2Governo per la riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace; e delle abbinate proposte di legge: Greco; Carrescia ed altri; Tartaglione ed altri nn. 1338-1669-1696.
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 21 aprile 2016.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 3672)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
  Avverto che il presidente del gruppo parlamentare del MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
  Avverto, altresì, che la II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.
  Ha facoltà di intervenire il relatore per la maggioranza, deputato Giuseppe Guerini.

  GIUSEPPE GUERINI, Relatore per la maggioranza. Signora Presidente, il disegno di legge in esame, trasmesso dal Senato, è un provvedimento atteso da tempo, avendo per oggetto la riforma organica della magistratura onoraria, già prevista dall'articolo 245 del decreto legislativo 9 febbraio 1998, n. 51, con le successive modificazioni e integrazioni, che stabiliva che le disposizioni dell'ordinamento giudiziario che consentono l'utilizzo di giudici onorari di tribunale e di vice procuratori onorari si debbano applicare fino al complessivo riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria che si sarebbe dovuto completare entro il termine quinquennale, decorrente dalla data in cui acquistavano efficacia le disposizioni del predetto decreto legislativo e, quindi, in scadenza originariamente il 2 giugno 2004. Tale scadenza iniziale è stata successivamente prorogata al 31 maggio del 2016 con l'ultima legge di stabilità. L'intervento normativo ha l'obiettivo di attuare una riforma organica della magistratura onoraria attraverso la predisposizione di uno statuto unico applicabile ai giudici di pace, ai giudici onorari di tribunale e ai vice procuratori onorari. Si prevede, quindi, una disciplina omogenea relativamente alle modalità di accesso, alla durata dell'incarico, al tirocinio, alla necessità di conferma periodica, alla responsabilità disciplinare, alla modulazione delle funzioni con l'attribuzione ai magistrati onorari sia di compiti di supporto all'attività dei magistrati professionali, sia di funzioni propriamente giudiziarie, alla formazione e dei criteri di liquidazione dei compensi. Si tratta di una riforma di fondamentale importanza non solo per la magistratura onoraria, ma per la giustizia intesa nel suo complesso, considerato il fondamentale apporto all'intero sistema giustizia che questo settore della magistratura può assicurare. A tale proposito, segnalo che i magistrati onorari in servizio al 26 novembre 2015 ammontano a 5722 unità. La Commissione ha esaminato il provvedimento trasmesso dal Senato con la consapevolezza che la riforma dovrà essere efficace entro il 31 maggio prossimo. A questo proposito, faccio presente che si tratta di una delega che entrerà in vigore quindici giorni dopo la pubblicazione della legge e che, prima dell'emanazione dei decreti legislativi, dovranno essere stati acquisiti i pareri delle Commissioni parlamentari competenti. Voglio inoltre precisare che la Commissione ha respinto tutti gli emendamenti presentati non solo perché non vi sono i tempi per una nuova lettura del Senato, ma anche perché il testo del Senato non contiene disposizioni che necessitano per ragioni tecniche o di opportunità di essere modificate. Eventualmente, in alcuni casi, attraverso lo strumento dell'ordine del giorno, potrebbero essere fornite al Governo indicazioni sulle modalità di interpretazione dei principi e dei criteri direttivi di delega, laddove questi potrebbero essere attuati in concreto in maniera difforme dalla reale volontà del Parlamento. In tal senso vi sono stati alcuni interventi in Commissione in relazione alla competenza in materia di Pag. 3condominio degli edifici o in materia possessoria. In tali casi, la delega potrà essere circoscritta attraverso l'indicazione di una determinata interpretazione del principio, la quale naturalmente non potrà mai essere in contrasto con la lettera della disposizione in questione.
  Passando al contenuto del provvedimento, si sottolinea che la delega mira a semplificare e razionalizzare la disciplina della magistratura onoraria non solo attraverso la predisposizione di uno statuto unico, ma anche – anzi, specialmente – attraverso l'aumento della professionalità dei magistrati onorari, stabilendo una dettagliata ed unitaria disciplina in tema di requisiti all'accesso, di tirocinio, di incompatibilità e disciplinare, valorizzando la figura del magistrato onorario, mediante una definizione delle sue funzioni che tiene conto della nuova possibilità di impiego nell'ufficio per il processo. Per quanto attiene al contenuto specifico del disegno di legge, il principio cardine è dato dalla predisposizione di uno statuto unico della magistratura onoraria, applicabile ai giudici di pace, ai giudici onorari di tribunale e ai vice procuratori onorari, attribuendo ai primi due le medesime competenze collocandoli all'interno del medesimo ufficio, rappresentato dall'attuale articolazione giudiziaria del giudice di pace. Si tratta, cioè, di prevedere una disciplina omogenea relativamente a: modalità di accesso, durata dell'incarico, tirocinio, necessità di conferma periodica, responsabilità disciplinare, modulazione delle funzioni con l'attribuzione ai magistrati onorari sia di compiti di supporto all'attività dei magistrati professionali, sia di funzioni propriamente giudiziarie, formazione e criteri di liquidazione dei compensi. Viene riorganizzato l'ufficio del giudice di pace e ampliata la sua competenza per materia e valore. L'ufficio sarà composto anche dagli attuali giudici onorari di tribunale e sarà coordinato dal presidente del tribunale, ferma restando la sua natura di ufficio distinto rispetto al tribunale stesso. Si dovranno prevedere, in sede di attuazione della delega, momenti di stretto collegamento con il tribunale, costituiti, in particolare, dalla formazione delle tabelle da parte del presidente del tribunale e dalla previsione di periodiche riunioni ex articolo 47-quater dell'ordinamento giudiziario, dirette a favorire lo scambio di esperienze giurisprudenziali e di esperienze innovative. Sono rideterminati il ruolo e le funzioni dei giudici onorari e dei vice procuratori onorari, attribuendo loro la possibilità di svolgere compiti ulteriori rispetto a quelli già previsti dalla legislazione vigente e in particolare attività volte a coadiuvare il magistrato professionale. Tali attività saranno svolte all'interno di strutture organizzative costituite presso il tribunale e la procura della Repubblica presso il tribunale, denominate «ufficio per il processo».
  Passando ai principi e criteri direttivi di delega, mi soffermerò su quelli che si possono considerare qualificanti della riforma. Il primo consiste nell'inserimento degli attuali giudici onorari di tribunale nell'ufficio del giudice di pace e nell'ampliamento delle competenze. Viene stabilito il principio che i giudici onorari inseriti nell'ufficio del giudice di pace possano svolgere con pienezza funzioni giurisdizionali nell'ambito del proprio ufficio. L'intervento è diretto ad estendere, nel settore civile, la competenza per materia dell'ufficio del giudice di pace e ad ampliare i casi di decisione secondo equità entro il limite di valore fissato in euro 2500. I giudici onorari potranno altresì essere inseriti tramite applicazione da parte del presidente del tribunale nella struttura organizzativa denominata «ufficio per il processo», al fine di coadiuvare i giudici professionali di tribunale nello svolgimento delle proprie funzioni. Tale attività di supporto potrà consistere, per esempio, nello studio dei casi, nell'attività di ricerca dottrinale e giurisprudenziale e nella predisposizione di minute dei provvedimenti. La riforma inoltre riguarda la figura dei vice procuratori onorari inseriti nella struttura organizzativa analoga all'ufficio per il processo e costituita presso la procura della Repubblica presso il tribunale ordinario. Anche a costoro sarà attribuito in via principale il compito di Pag. 4coadiuvare i magistrati requirenti professionali nelle attività propedeutiche all'esercizio delle funzioni giudiziarie.
  Per quanto attiene all'accesso e alla formazione, la delega demanda al legislatore delegato il compito di disciplinare i requisiti richiesti per l'accesso alla magistratura onoraria, indicando i principali titoli preferenziali. Per consentire una piena semplificazione della procedura di selezione dei magistrati, la competenza ad emettere il bando è attribuita al Consiglio giudiziario, anziché al Consiglio superiore della magistratura, al quale è comunque riservata, ai sensi dell'articolo 105 della Costituzione, la competenza a deliberare sulle graduatorie trasmesse dai Consigli giudiziari. Si prevedono titoli preferenziali per la nomina a magistrato onorario, in particolare a favore di coloro che hanno esercitato funzioni giudiziarie a titolo onorario, svolgono o hanno svolto la professione di avvocato, svolgono o hanno svolto la professione di notaio o che insegnano o hanno insegnato materie giuridiche presso le università. Si prevede altresì che a parità di titolo preferenziale abbia precedenza chi ha la più elevata anzianità professionale e che, in caso di ulteriore parità, abbia la precedenza chi ha minore età anagrafica. Come norma di chiusura si prevede che la nomina a magistrato onorario sia preclusa per i soggetti che, pur essendo in possesso dei requisiti previsti, risultano collocati in quiescenza. Al fine di investire al massimo grado nella formazione della magistratura onoraria, il tirocinio per la nomina a magistrato onorario si svolgerà necessariamente presso un magistrato professionale. Inoltre, la formazione dei magistrati onorari si deve esplicare per l'intera durata dell'incarico su base decentrata e secondo un modulo unificato individuato dalla Scuola superiore della magistratura. I magistrati professionali devono organizzare riunioni periodiche che coinvolgano i magistrati onorari per favorire lo scambio di esperienze giurisprudenziali e di prassi innovative. Si prevede la partecipazione obbligatoria dei magistrati onorari ai predetti percorsi formativi, stabilendo che costituisca una delle condizioni inderogabili ai fini della conferma nell'incarico. È previsto un regime di incompatibilità omogeneo per tutti i magistrati onorari, tale da assicurare al massimo grado l'attuazione del principio della terzietà del giudice, facendo applicazione di criteri non meno rigorosi rispetto a quelli già previsti dalla legislazione vigente e che comunque consentano l'esercizio di altre attività.
  In particolare, non possono esercitare le funzioni di magistrato onorario: i membri del Parlamento nazionale, i membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia, i membri del Governo e quelli delle giunte degli enti territoriali nonché i consiglieri regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, gli ecclesiastici, i ministri di qualunque confessione religiosa, coloro che ricoprono e che hanno ricoperto, nei tre anni precedenti alla domanda, incarichi direttivi o esecutivi nei partiti politici o nelle associazioni sindacali maggiormente rappresentative, coloro che ricoprono la carica di difensore civico, coloro che svolgono abitualmente attività professionale per conto di imprese di assicurazione o bancarie ovvero per istituti o società di intermediazione finanziaria oppure hanno il coniuge, i conviventi e i parenti fino al secondo grado o gli affini entro il primo grado che svolgono abitualmente tale attività nel circondario in cui il magistrato esercita le funzioni giudiziarie.
  Per quanto attiene alla professione forense, la delega prevede che gli avvocati non possono esercitare le funzioni di magistrato onorario nel circondario del tribunale nel quale esercitano la professione forense ovvero nel quale esercitano la professione forense i loro associati di studio, i membri dell'associazione professionale, i soci della società tra professionisti, il coniuge, i conviventi, i parenti fino al secondo grado o gli affini entro il primo grado.
  Si prevede altresì che gli avvocati che esercitano la propria attività professionale nell'ambito di società o associazioni tra professionisti non possono esercitare le funzioni di magistrato onorario nel circondario del tribunale nel quale la società Pag. 5o associazione fornisce i propri servizi. Si stabilisce, inoltre, che non costituisce causa di incompatibilità l'esercizio del patrocinio davanti al tribunale per i minorenni, al tribunale penale militare e ai giudici amministrativi e contabili nonché davanti alle commissioni tributarie.
  Gli avvocati che svolgono funzioni di magistrato onorario non possono esercitare la professione forense presso l'ufficio giudiziario al quale appartengono e non possono rappresentare, assistere o difendere le parti dei procedimenti svolti davanti al medesimo ufficio nei successivi gradi di giudizio. Il divieto si applica anche agli associati di studio, ai membri dell'associazione professionale e ai soci della società tra professionisti, al coniuge, ai conviventi e ai parenti entro il secondo grado e agli affini entro il primo grado. I magistrati onorari che hanno tra loro vincoli di parentela fino al secondo grado o di affinità fino al primo grado, di coniugio o convivenza non possono essere nominati presso lo stesso ufficio giudiziario. Sempre per salvaguardare la terzietà ed autonomia del magistrato onorario, si prevede che questi non possa ricevere, assumere o mantenere incarichi dall'autorità giudiziaria nell'ambito dei procedimenti che si svolgono davanti agli uffici giudiziari compresi nel circondario presso il quale esercita le funzioni giudiziarie.
  L'incarico di magistrato onorario deve avere indefettibilmente natura temporanea. La durata viene fissata per un periodo non superiore a quattro anni, con la possibilità di conferma per un ulteriore quadriennio, previa positiva valutazione di professionalità. Dunque, la durata dell'incarico non può essere complessivamente superiore ad otto anni, indipendente dal tipo di funzioni giudiziarie onorarie svolte.
  Al fine di garantire un'adeguata formazione iniziale dei giudici onorari di pace, essi dovranno operare i primi due anni necessariamente all'interno dell'ufficio per il processo. Non potranno, quindi, svolgere funzioni giurisdizionali autonome né in tribunale né nell'ufficio del giudice di pace.
  La delega tratta anche dei doveri, della decadenza dall'incarico e della responsabilità disciplinare. I doveri dei magistrati onorari saranno individuati sulla base di quelli attualmente previsti per i magistrati professionali. Al fine di assicurare la massima efficienza dell'esercizio delle funzioni onorarie si prevede la disciplina della revoca dell'incarico del magistrato onorario che non sia in grado di svolgere diligentemente e proficuamente il proprio incarico. Quanto agli illeciti disciplinari, si segue lo schema della tipizzazione delle fattispecie di illecito disciplinare mutuando il regime previsto per i magistrati professionali. Saranno fissate specifiche sanzioni che tengano conto della natura onoraria dell'ufficio.
  Il provvedimento assegna il coordinamento dell'ufficio del giudice di pace al presidente del tribunale, il quale provvede ai compiti di gestione del personale di magistratura e di cancelleria. Al fine di garantire la trasparenza nella gestione si dispone che il presidente del tribunale deve predisporre la tabella di organizzazione dell'ufficio e, soprattutto, provvedere all'assegnazione degli affari. Per l'assolvimento di tali compiti, considerata la loro gravosità, il presidente del tribunale può avvalersi di uno o più giudici professionali, ivi inclusi, ovviamente, i presidenti di sezione.
  Per quanto attiene ai criteri di liquidazione dell'indennità, i compensi saranno regolati in sede di attuazione della delega delineando un quadro omogeneo e differenziandoli a seconda che si tratti dell'esercizio di funzioni giurisdizionali ovvero di supporto all'attività del magistrato professionale. L'indennità prevista per l'assolvimento dei compiti svolti all'interno dell'ufficio del processo è inferiore a quella per lo svolgimento delle funzioni giurisdizionali. L'indennità si compone di una componente fissa e di una parte variabile, riconosciuta in caso di raggiungimento di obiettivi predeterminati dal capo dell'ufficio sulla base di criteri generali fissati dal Consiglio superiore della magistratura. Naturalmente il testo prevede un regime transitorio.Pag. 6
  Con riferimento alla durata dell'incarico, si ricorda che si sono susseguite numerose proroghe legislative sin dal 2007. La durata dell'incarico attualmente prevista per i giudici di pace è fino a 72 anni sino al 31 dicembre 2015 e fino a 70 anni di età a decorrere dal 31 dicembre 2016 in poi. Lo stesso vale per i GOT e i VPO. Il legislatore delegante ha fissato il limite di età di 65 anni per i magistrati onorari che verranno nominati. I magistrati onorari già in servizio possono essere confermati sino a 4 quadrienni dalla data di entrata in vigore dei decreti delegati, stabilendo, però, che di regola nel corso del quarto quadriennio possono essere svolte attività relative all'ufficio per il processo. È in ogni caso previsto che l'incarico cessa al compimento del sessantottesimo anno di età.
  Quanto ai compiti che possono essere svolti dai magistrati onorari in servizio alla data di entrata in vigore dei decreti delegati, si dispone che i giudici onorari di tribunale per il primo quadriennio continuino ad essere inquadrati all'interno del tribunale. Quanto, invece, alla composizione dell'ufficio per il processo, il presidente del tribunale potrà disporre l'inserimento dei GOT sin dall'entrata in vigore del decreto legislativo. Per i giudici di pace – e sempre al fine di assicurare un certo periodo di tempo in cui il loro status rimane immutato – si prevede che essi possano comporre l'ufficio per il processo a propria domanda.
  Per quanto concerne l'assegnazione degli affari, alla stessa esigenza di tutela dei giudici di pace risponde la previsione che soltanto a costoro sono assegnati per il primo quadriennio gli affari di competenza del giudice di pace. Infine, per il primo quadriennio rimarranno immutati i criteri di liquidazione delle indennità spettanti sia ai giudici di pace, sia ai giudici onorari di tribunale, sia ai viceprocuratori onorari.

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza, deputato Andrea Colletti.

  ANDREA COLLETTI, Relatore di minoranza. Grazie, Presidente. Descriverò brevemente perché il MoVimento 5 Stelle ha deciso di presentare la propria relazione di minoranza: innanzitutto perché è contrario rispetto a questo disegno di legge delega. Partiamo dal principio, ovvero dai rilievi di illegittimità costituzionale del presente disegno di legge delega: in realtà per alcuni profili vi è un'insufficiente determinazione di principi e di criteri direttivi, ex articolo 76 della Costituzione, giacché alcune previsioni costituiscono una vera e propria delega in bianco. Parliamo, ad esempio, della determinazione del compenso dei magistrati, che viene specificata ma che non viene prevista minimamente nel disegno di legge; oppure della connotazione della minore complessità quanto all'attività istruttoria e decisoria per le competenze civili dei giudici di pace. Quale sarebbe questa connotazione della minore complessità nessuno lo sa e, quindi, dovremo aspettare forzatamente i decreti delegati per capire ciò che aveva in testa il Ministro quando ha presentato questo disegno di legge delega.
  Qui si parla soprattutto di magistratura onoraria, ovvero di una categoria molto ampia di lavoratrici e lavoratori senza alcuna tutela, pagata poco per il mestiere che fa, e soprattutto precaria ormai da moltissimi anni. Essi, infatti, sono diventati, nel corso del tempo, dei veri e propri magistrati precari e a basso costo. Ciò ha portato l'Italia a dei rischi d'infrazione e di contenzioso comunitario. Questo perché i magistrati onorari in tutti questi anni sono stati utilizzati per sanare le carenze di organico dei tribunali e giustificare i mancati concorsi. Ciò ovviamente non cambierà con questo disegno di legge delega e, anzi, con questo disegno di legge delega – e poi lo vedremo nei decreti ministeriali e nei decreti legislativi – avremo una maggiore competenza dei giudici onorari, dei magistrati onorari, proprio perché lo Stato si è ritirato dalla sua concezione di fornire un servizio professionale di giustizia, ovviamente per pagare meno, per risparmiare in un settore cruciale quale quello della giustizia. Sentiamo sempre, sia dal Ministro, sia da altri, che una maggiore efficienza del settore giustizia Pag. 7provocherebbe un aumento dell'1 per cento del prodotto interno lordo; però, ovviamente, se in tutti questi anni – e si continuerà nei mesi a venire – diminuiscono le risorse che lo Stato dà al settore giustizia, è ovvio che non potrà mai aumentare il prodotto interno lordo.
  Attualmente i magistrati onorari non godono di alcuna forma di tutela assistenziale e previdenziale, non hanno diritto alla pensione, non godono di ferie né di permessi, di alcuna tutela per la salute e nemmeno per la gravidanza e per gli infortuni sul lavoro. In pratica, lo Stato in tutti questi anni è diventato il peggior sfruttatore di mano d'opera pubblica e privata in Italia. Ciò che non viene permesso che sia fatto da imprenditori privati lo Stato lo può fare e lo Stato continua a farlo anche con questo disegno legge delega, perché viene prevista una precarizzazione sino ad 8 anni. Questo vuol dire che per 8 anni si ha una forma di dipendenza, un contratto a tempo determinato onorario e poi un licenziamento, senza alcuna tutela e senza neanche alcun preavviso. Non c’è alcuna tutela e, pertanto, non c’è un trattamento di fine rapporto e non vi sono altre tutele come il diritto alla maternità e, addirittura, la previdenza viene pagata non dal datore di lavoro, ma direttamente dai lavoratori.
  Parliamo del compenso: nella legge delega non viene previsto un compenso equo e proporzionato; non ve n’è traccia. Si afferma che vi sarà un compenso, ma non è specificato di quanto. Parliamo del tirocinio: a differenza del privato, il pubblico può espletare tirocini senza alcun pagamento di alcuna indennità, anzi è previsto proprio da questa legge che il tirocinio non prevede alcune indennità a favore dei tirocinanti. Ciò significa pertanto che i tirocinanti dovranno avere o le spalle coperte dai propri genitori o altre forme di sostentamento attraverso la propria attività professionale.
  Ma parliamo dell'ottica per cui il Movimento 5 Stelle si pone in contrasto con questa visione della legge delega; dal nostro punto di vista la magistratura onoraria dovrebbe tornare ad essere una vera magistratura di prossimità, abilitata a giudicare cause di valore contenuto – noi pensavamo fino ai 10.000 euro e non fino a 50.000 euro, così come previsto dalla legge delega – e anche reati di lieve entità. Solo per queste tipologie di controversie questa magistratura dovrebbe essere sostitutiva della magistratura togata, e dovrebbe appunto comportare un impegno compatibile con l'esercizio di un'altra professione. È da ciò che deriva l'onorarietà di un ruolo. In realtà, con questo disegno legge delega, si aumentano in modo esponenziale le competenze del giudice di pace sia in ambito civile che penale; non vi sono numeri, ma io prevedo che si arriverà al doppio delle cause di competenza del giudice di pace civile, per non dire di quella previsione secondo cui il magistrato onorario potrà seguire in realtà un intero ruolo di un giudice, qualora esso sia mancante. Quindi si opererà una vera e propria divisione del lavoro, anzi una mancata divisione del lavoro tra togati e onorari. Questo perché ovviamente lo Stato deve risparmiare.
  Ora, nella nostra ottica, piuttosto che utilizzare dei precari a basso prezzo, come li utilizzerà ad esempio anche questo disegno di legge delega, bisognerebbe rivalutare il ruolo della magistratura onoraria, ma rivalutare anche il ruolo della magistratura togata. Nell'ottica dell'ufficio del processo, che ci vede ovviamente concordi, in realtà lo Stato, la maggioranza e questo Governo avrebbero dovuto ripensare l'utilizzo di magistrati onorari come funzionari di carriera, veri e propri funzionari pubblici, che potessero aiutare il giudice togato nella gestione, nello studio e nelle analisi giurisprudenziali delle controversie che gli si addicono. Faccio un esempio, per ogni magistrato togato ci dovrebbe essere un funzionario pubblico, quali oggi sono ad esempio i GOT o i VPO, magistrati e procuratori ovviamente, e vi dovrebbe essere ad esempio anche un tirocinante, possibilmente pagato, e anche un cancelliere. Questa è l'ottica dell'ufficio del processo, che dovrebbe permeare l'idea di giustizia del Governo e della maggioranza. Questo non è ovviamente, perché mancano Pag. 8le risorse, e servono risorse per poter pagare degnamente un funzionario pubblico. Ed è quindi questo il motivo che porta il MoVimento 5 Stelle a votare contro questa legge delega, perché essa non è altro che la perpetuazione della precarietà, è una istituzionalizzazione della precarietà ! Istituzionalizzazione in un settore nevralgico come quello della giustizia, che ricordiamo è il settore che difende e dovrebbe tutelare i diritti delle persone. Uso il condizionale perché, ovviamente, mancando risorse, la tutela dei diritti delle persone poco si vede in questa realtà.

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo.

  COSIMO MARIA FERRI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Grazie Presidente. La Camera si accinge ad esprimere il voto sul disegno di legge recante la delega al Governo per la riforma della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace. Un testo che è stato approvato in prima lettura dal Senato dopo una lunga discussione ed un'attenta ponderazione di tutti i risvolti di un intervento, che, come cercherò di dire, è molto articolato, perché di grande impatto e rilevanza per l'organizzazione ed il funzionamento della giurisdizione.
  Mi sia consentito premettere che parliamo di una riforma non isolata, ma organica e di sistema, come le altre, sempre all'esame del secondo ramo del Parlamento, sul processo civile e sulle modifiche al codice penale e al codice di procedura penale. Riformare la magistratura onoraria rientra dunque nel disegno prioritario di attuare interventi complementari tra loro, ispirati dalla stessa logica di modernizzare il pianeta giustizia, agendo in sinergia sul duplice piano dell'efficienza dei processi e dello status dei soggetti che in esso operano, al fine di rendere il servizio più adeguato e rispondente ad una domanda che riflette i bisogni sempre più complessi della collettività, dell'economia, del mercato e, quindi, dell'efficienza della giustizia.
  Il definitivo riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria è un impegno assunto molti anni fa, da quando nel 1998 fu introdotta la riforma del giudice unico di primo grado, che introdusse, nell'ambito della legge sull'ordinamento giudiziario, le figure dei magistrati onorari addetti ai tribunali e alle procure della Repubblica. Analogamente, risale agli anni Novanta l'istituzione del giudice di pace, figura che in questi anni ha consolidato il suo ruolo fondamentale nell'esercizio della giurisdizione in materia civile e penale. In assenza di un intervento organico, moltissimi di questi attori processuali continuano ad operare in regime di proroga legale e cioè in una situazione emergenziale, che mal si concilia con il ruolo riservato alla magistratura onoraria dalla nostra Costituzione – ricordo a me stesso l'articolo 106 – e dalla legge sull'ordinamento giudiziario. Questa considerazione aiuta a spiegare la non rinviabilità di una legge organica dedicata ad un settore della magistratura, quello onorario, che garantisce un fondamentale apporto all'amministrazione della giustizia e interessa un numero di soggetti molto significativo.
  I dati aggiornati del Ministero della giustizia ci dicono che, attualmente, sono in servizio oltre 1.600 giudici di pace, oltre 2.100 giudici onorari di tribunale e 1.750 viceprocuratori onorari. Senza sottacere che la disciplina dell'impiego della magistratura non professionale involge delicate questioni in tema di tutela dei diritti dei lavoratori, alle quali, in coerenza anche con le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza sovranazionale, intendono dare risposta i principi e i criteri introdotti dalla legge delega per come saranno tempestivamente attuati in sede di decretazione delegata.
  Riteniamo quindi importante questo provvedimento e ci atterremo ai principi e ai criteri di questa delega, che cercheremo di evadere, come ho detto, in tempi tempestivi, proprio perché avvertiamo la necessità e l'importanza di porre fine ad una temporaneità che contrastava con il nostro sistema e non rendeva efficienza.Pag. 9
  Quali sono le direttrici lungo le quali il Parlamento oggi è chiamato a discutere ? Le voglio indicare. Punto primo, incontestabile centralità del ruolo assunto dalla magistratura onoraria nel sistema giustizia. Punto due, un intervento strutturale che disegna una nuova magistratura onoraria senza disconoscere la professionalità e l'esperienza di coloro che negli ultimi anni hanno apportato la loro opera; si garantisce per questo un doppio binario attraverso un preciso regime transitorio. Punto tre, chiarezza sulla temporaneità dell'incarico onorario nel quadro dei principi costituzionali, che distinguono la nomina della magistratura onoraria rispetto a quella dei magistrati di carriera, che ha luogo per concorso, senza che questo possa però giustificare il permanere di un quadro ordinamentale incerto.
  Queste, quindi, le finalità che si vogliono raggiungere: semplificazione e razionalizzazione della disciplina della magistratura onoraria predisponendo, come ha sottolineato bene il relatore Guerini, uno statuto unico; attenzione alla qualità della prestazione e responsabilizzazione del ruolo, dalla formazione alle valutazioni di professionalità, dagli incentivi sul rendimento alla tipizzazione degli illeciti disciplinari, per accrescere la qualità del servizio giustizia; definizione delle nuove funzioni dei magistrati onorari con finalizzazione della nuova figura di magistrato onorario allo sviluppo del neo costituito ufficio del processo; occasione di arricchimento professionale e, voglio sottolinearlo, di circolarità delle esperienze con la magistratura professionale.
  Quindi, a conferma del mutato approccio culturale con cui finalmente si affronta la riforma organica della disciplina della magistratura onoraria, soffermiamo in questa sede l'attenzione sui seguenti principi e criteri previsti dal testo della legge delega: l'adozione di uno statuto unificato e quindi di un'unica figura di giudice onorario e di magistrato requirente onorario inseriti rispettivamente in ufficio giudiziario e nella procura della Repubblica; regolamentazione del rapporto con norme di legge primaria e, quindi, uniformi modalità di accesso, valutazione di professionalità, formazione, incompatibilità, procedure di trasferimento a domanda e d'ufficio; nuove previsioni di dotazioni organiche dei giudici onorari di pace e di ciascun ufficio di giudice di pace e dei viceprocuratori onorari stabilite dal Ministero della giustizia. Sono temi che concorrono a superare l'idea tradizionale di precarietà e di supplenza del magistrato onorario rispetto a quello di carriera. Inoltre, la natura imprescindibile, temporanea dell'incarico, quattro anni più una conferma di quattro anni, è imposta dalla natura onoraria ed è dovuta per evitare le incertezze che in questi ultimi anni hanno talvolta provocato delle disfunzioni. Temporaneità non significa più estraneità della figura rispetto all'organizzazione della giurisdizione – e questo è un altro punto significativo della riforma – essendo previsto che per i primi due anni i giudici onorari di pace svolgano esclusivamente i compiti nell'ufficio del processo a stretto contatto con il giudice e con il personale di cancelleria. Né andrà più a detrimento della professionalità acquisita essendo previsto, alla cessazione dell'incarico, un titolo di preferenza nei concorsi indetti dalla pubblica amministrazione. E la temporaneità si accompagna a strumenti per accrescere la qualità delle prestazioni che ci si attende dal magistrato onorario, introducendo degli strumenti non dissimili da quelli previsti per i magistrati di carriera. Infatti, si prevedono criteri non dissimili in tema di valutazione di professionalità; mi riferisco ai parametri della capacità, della produttività, della diligenza, dell'impegno e di rendimento per quanto concerne il loro concorso agli obiettivi dell'ufficio, nonché per gli obblighi di formazione in base ai programmi della Scuola superiore della magistratura e di partecipazione alle riunioni trimestrali per lo scambio di esperienze tra loro e con i giudici professionali. In mancanza di questi requisiti e di questi presupposti ci sarà una valutazione negativa ai fini della conferma. In questo modo, si mantiene l'alta professionalità anche della magistratura onoraria, si contribuisce a formarli, si Pag. 10contribuisce a verificarne in sede di conferma il controllo di questi parametri e si rende, quindi, un servizio di giustizia efficiente perché la risposta di giustizia, sia da parte della magistratura onoraria, che di quella ordinaria, deve essere di qualità, deve essere di rapidità, nell'interesse del Paese e dei cittadini.
  Di pari passo si chiede al nuovo magistrato onorario l'osservanza degli stessi doveri del magistrato di carriera prevedendo la riforma del sistema disciplinare e tipizzando condotte, sanzioni e procedimenti. Si prevede, inoltre, una sezione autonoma del consiglio giudiziario composta da magistrati, avvocati facenti parti del consiglio stesso e da magistrati onorari eletti da magistrati onorari del distretto.
  Il banco di prova per il riconoscimento della funzione essenziale e al tempo stesso moderna del nuovo magistrato onorario, seppure nella delineata ottica di temporaneità, si coglie nei principi della legge delega relativi alle nuove modalità di impiego all'interno del tribunale e della procura della Repubblica. Si prevedono, infatti, i criteri che devono seguire i dirigenti per inserire i giudici onorari di pace e i VPO nell'ufficio per il processo ovvero nella struttura organizzativa analoga prevista per la procura per affiancare il togato in una serie di compiti e di attività. Nella legge delega sono specificati questi compiti: per esempio, il giudice onorario di pace coadiuva il togato negli atti preparatori o strumentali alle funzioni giurisdizionali; l'individuazione dei compiti delegabili per natura degli interessi e semplicità delle questioni nel rispetto delle direttive del magistrato togato; provvedimenti definitori individuati in ragione della loro semplicità e applicazione motivata in casi eccezionali e contingenti dopo due anni ai collegi e dopo quattro anni alla trattazione dei procedimenti di competenza del tribunale. Così i viceprocuratori onorari nella struttura organizzativa presso l'ufficio della procura potranno coadiuvare il pubblico ministero togato che dovrà individuare i compiti delegabili sulla base dei criteri di semplicità, modesta offensività e limiti di pena e nel rispetto sempre delle direttive che vorrà individuare. Inoltre, dal versante del giudice di pace si prevede un ampliamento della sfera di competenza per deflazionare il giudice di primo grado senza però svilire e anzi rafforzando il servizio, stante, come si è detto, l'investimento e la sfida di professionalità indirizzata alla magistratura onoraria. E, tra l'altro, su questo, anche nel riprendere un'osservazione che proveniva dall'onorevole Colletti, relatore di minoranza, oggi per alcune materie già i criteri organizzativi dei tribunali consentono di attribuire ai magistrati onorari di tribunale tutta una serie di competenze che vanno oltre a quelle che noi in questo modo cerchiamo di tipizzare e di restringere. E queste sono le nuove competenze secondo equità per valore fino a 2.500 euro: tutto il contenzioso e la volontaria giurisdizione in materia di condominio che, però, in sede di delega cercheremo di definire con decreti delegati e di circoscrivere; anche altri procedimenti, come diritti reali e comunioni, di minore complessità istruttoria e decisoria; beni mobili per valore minore a 30 mila euro; infortuni stradali per valore minore a 50 mila euro e nel penale reati di minacce, furti a querela o reati di minore offensività.
  Particolare attenzione poi in questo provvedimento non poteva non esserci sul tema della retribuzione che dovrà continuare ad essere misurata in base al criterio dell'indennità per quanto riguarda la retribuzione sulla base appunto di questo criterio di indennità per i giudici onorari, compatibile chiaramente con la natura non stabile della prestazione onoraria. Il processo di responsabilizzazione delle nuove figure, pur nel rispetto della temporaneità del ruolo, e il loro inserimento nell'ufficio del processo e la valutazione del rendimento ai fini del conseguimento degli obiettivi individuati dal dirigente, ha indotto a introdurre correttivi e temperamenti nella determinazione dell'indennità in base anche ai risultati ottenuti. Si prevede, quindi, che l'indennità sarà composta da una parte fissa, che è inferiore per le attività preparatorie strumentali all'esercizio delle funzioni dei togati, e una Pag. 11parte variabile, tra il 15 e il 50 per cento della parte fissa, se vi è il raggiungimento di obiettivi individuati dal dirigente per anno solare in base ai criteri oggettivi fissati dal CSM. E il dirigente liquida questa parte alla fine dell'anno dopo la verifica. Ci sarà poi un regime previdenziale compatibile con la natura dell'incarico e, quindi, non diretto, ma richiesto dalla parte. E poi si farà particolare attenzione a tutta quella parte che riguarda il regime transitorio e che è ben esplicitata nella legge delega e su cui anche nei decreti delegati il Governo farà particolare attenzione.
  Quindi, nel concludere, ringrazio per l'attenzione e segnalo l'importanza di questo provvedimento, proprio perché si inserisce in quell'idea di riforme strutturali del servizio giustizia che sta portando avanti questo Governo e pone fine a tutta la serie di proroghe, seppur legali, che in questi anni ci sono state. Quindi, ringrazio per questa attenzione. Il Governo ha intenzione, dopo tanti anni, di arrivare, così come si era impegnato nei dodici punti che aveva illustrato il Presidente del Consiglio, per quanto riguarda la riforma della giustizia, anche su questo tema della magistratura onoraria, che, come dicevo all'inizio è essenziale ed è importante per quella risposta di efficienza che vogliamo dare con queste riforme al nostro Paese.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Stefano Dambruoso. Ne ha facoltà.

  STEFANO DAMBRUOSO. Grazie, Presidente. Ho ascoltato sia la relazione di maggioranza che la relazione di minoranza e ho ascoltato il parere del Governo, che è stato completo e ricco di contributo valutativo, e devo dire che, in qualità di delegato a parlare per Scelta Civica, condividiamo sia le ragioni di fondo rappresentate dal relatore in sede di relazione di maggioranza sia la stragrande maggioranza delle valutazioni svolte dal Governo; quelle svolte dal relatore di minoranza, evidentemente, hanno una loro significatività che riesco ad apprezzare soltanto allorché si rappresenti che c’è un'esigenza forte in questa proposta di delega, che ci sta tornando dal Senato, di mettere un termine definitivo a questa situazione, che da più di dieci anni rende la disciplina dei giudici di pace, dei giudici onorari una disciplina in itinere non stabilmente radicata nel nostro ordinamento e soprattutto una disciplina che, di fatto, precarizza lo status dei giudici di pace.
  Ci piace dire che abbiamo anche condiviso le ragioni in sede di Commissione, abbiamo condiviso le ragioni di sostanziale blindatura della proposta proprio perché ci troviamo di fronte a termini che oramai sono troppo avanzati per ritornare a fare cambi ragionati e maturati a seguito di un'approfondita discussione in sede di Commissione. Dall'altro lato, però, va detto che, in sede di Commissione, la maggioranza, in particolare sia la presidente che i relatori, che si sono avvicendati nel corso dell'iter procedimentale, hanno comunque segnalato che gli ordini del giorno non avranno una finalità meramente interlocutoria in sede di Aula, ma gli ordini del giorno segnaleranno problematiche che possono essere davvero attualmente condivisibili, ma che i tempi, purtroppo, ci impongono di accogliere esclusivamente in termini di ordini del giorno. Questo non credo che sia un problema superiore rispetto a quello che, invece, sarebbe rappresentato dal mancato rispetto del termine del 31 maggio, così come è stato rappresentato da tutti gli intervenuti che prima hanno prospettato la propria posizione. Quindi, con gli ordini del giorno saranno introdotti dei temi che anche noi condividiamo come parzialmente migliorabili nell'ambito di questa disciplina.
  Mi piace anche dire che la delega mira a semplificare e razionalizzare la disciplina della magistratura onoraria e questa è la parte che immediatamente sentiamo di sostenere.
  Si tratta, quindi, di una razionalizzazione che avviene non solo attraverso la predisposizione di uno statuto unico – lo abbiamo sentito da parte di tutti e tre i soggetti che prima hanno parlato –, ma Pag. 12anche con l'aumento della professionalità dei magistrati onorari, mediante una dettagliata e unitaria disciplina in tema di requisiti per l'accesso al tirocinio e di incompatibilità. Abbiamo sentito che è importante la disciplina dell'incompatibilità e le misure disciplinari, il tutto sotto un controllo, che oggi mancava, del presidente del tribunale. Quindi, si tratta di una vera e propria istituzionalizzazione della figura, il più possibile interna all'ordinamento giudiziario, anche togato. La presidenza del tribunale svolgerà un ruolo che non è di mero raccordo, ma di sostanziale controllo della professionalità, da un lato, ma, dall'altro, della corrispondenza alla deontologia, che è senz'altro diffusa nella magistratura onoraria che sino ad oggi si è espressa nelle aule dei tribunali, ma che a volte, e qualche volta di più, ha consentito spazi alle critiche, a volte fondate e a volte anche fortemente strumentali rispetto agli argomenti trattati di volta in volta dai singoli magistrati onorari. Quindi, c’è una professionalità che deve essere senz'altro migliorata. È auspicabile che tale professionalità possa essere rappresentata dall'inserimento il più possibile maturo e il più possibile coinvolto della magistratura onoraria nell'ordinamento giudiziario togato.
  Dico, quindi, velocemente le cose che ci piacciono in particolare. Condividiamo sia l'obiettivo di fondo sia tutti gli aspetti della disciplina che ci sono stati rappresentati sia dal relatore che dal rappresentante del Governo. A noi, in particolare, piace ricordare – ed è quello che poi ho ritenuto di dover segnalare – che la rideterminazione dei ruoli e delle competenze dei magistrati onorari, con particolare riferimento all'utilizzo a regime dei giudici onorari di pace nell'ufficio del processo, quindi l'ufficio del processo presso i tribunali ordinari nonché, in limitate ipotesi, come componenti del collegio, tutto questo rappresenta davvero una delle tante cose che qualunque avvocato che svolge il ruolo importantissimo, il servizio importantissimo di magistrato onorario oggi ci rappresenta. Quindi, si tratta di questo sentirsi un giudice di fatto ma senza il riconoscimento non solo pubblico, ma istituzionale del servizio reso. L'ufficio del processo, che assorbirà gli sforzi e le iniziative dell'ufficio del giudice di pace, sarà composto anche dagli attuali giudici onorari di tribunale e sarà coordinato dal presidente del tribunale, ferma restando la sua natura di ufficio distinto rispetto al tribunale stesso. Tutto questo a noi piace molto, proprio perché davvero risponde a molte aspettative mai sottaciute da parte della stragrande maggioranza degli attuali giudici onorari o viceprocuratori onorari.
  Per quanto attiene, invece, un aspetto che è stato segnalato soprattutto dal relatore, ci piace ricordare sia l'accesso sia la formazione. In questo sono previsti dei titoli preferenziali per la nomina di magistrato onorario, in particolare a favore di coloro che hanno già esercitato funzioni giudiziarie a titolo onorario e che svolgono o hanno svolto la professione di avvocato, notaio o che insegnano o hanno insegnato materie giuridiche presso l'università. Tutto questo ci garantisce sulla professionalità che in questo disegno di legge viene prospettata per assicurare al servizio fondamentale della giustizia, che sarà reso dalla magistratura onoraria, una professionalità adeguata rispetto a quella che i cittadini si aspettano da questo ufficio.
  Si stabilisce, poi, anche un nuovo regime di incompatibilità – questo ci piace molto – e di responsabilità disciplinare, oggi sostanzialmente assente, omogeneo per tutti i magistrati onorari e tale da assicurare la piena attuazione del principio di terzietà del giudice e la definizione puntuale delle regole disciplinari. In particolare, condividiamo molto e ci è piaciuta la previsione secondo la quale i doveri generali dei magistrati onorari devono essere individuati sulla base di quelli attualmente previsti per i magistrati professionali, individuando anche una gradualità nella gravità delle condotte che possono giustificarne la revoca dell'incarico.
  Ripeto che questo vuol dire davvero considerare sostanzialmente questa magistratura una magistratura che rende un servizio del tutto uguale a quello reso dalla Pag. 13magistratura togata, quindi non vi è una magistratura di serie A e una di serie B ma solo una magistratura distinguibile e trattata di conseguenza solo per la competenza delle materie che saranno di volta in volta ad essa attribuite. Arriviamo quindi all'unico aspetto che ci piace segnalare, già emerso nel corso della relazione del relatore per la maggioranza, che è quello della materia del condominio degli edifici. Abbiamo ricevuto da più parti sollecitazioni per rappresentarlo in più sedi, lo abbiamo già fatto in sede di Commissione Giustizia e lo ripetiamo anche qui in sede di discussione sulle linee generali. Presenteremo non solo ordini del giorno ma faremo di tutto perché gli argomenti che ci sono stati rappresentati dalle associazioni che sono vicine al tema del condominio degli edifici, che esse ci sono venute a rappresentare, siano affrontati. Le problematiche condominiali nel disegno di legge ripiegano quasi tutte sul fatto che la competenza del giudice diventi una competenza troppo vasta non soltanto in termini quantitativi ma in termini anche di qualità delle tematiche che di volta in volta un giudice dei condomini si ritroverà ad affrontare. Quindi quella giurisdizione volontaria, che sembrava essere quantitativamente limitativa della competenza e quindi rassicurante per le capacità che al giudice di pace normalmente vengono richieste, può invece trasformarsi davvero in una competenza su materie delicate quantitativamente non sostenibile dalla struttura che è prospettata per il futuro ufficio dei giudici onorari e dei giudici di pace. Quindi grande attenzione che noi intendiamo prospettare al Governo. L'auspicio è che il Governo voglia riconsiderare questo aspetto con l'accoglimento di alcuni nostri emendamenti volti proprio a circoscrivere la competenza della magistratura onoraria almeno per valore e per la complessità delle procedure anche in ordine alle controversie in materia di volontaria giurisdizione. Credo di concludere qui. Mi ero appuntato una pluralità di altri argomenti positivi da segnalare, però l'unico che merita per davvero un'ulteriore valutazione da parte del Governo è proprio la materia condominiale.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Giammanco. Ne ha facoltà.

  GABRIELLA GIAMMANCO. Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, innanzitutto una doverosa premessa sul tema della magistratura onoraria. Vorrei infatti sottolineare la straordinaria importanza dell'apporto che la magistratura onoraria offre quotidianamente all'amministrazione della giustizia specie di prossimità: un contributo prezioso che anche in futuro risulterà fondamentale per l'intero sistema giustizia, considerate le note carenze di organico del personale della magistratura ordinaria destinate ad aggravarsi in conseguenza dei ritardi nell'indizione delle procedure concorsuali. Eppure negli ultimi anni gli interventi legislativi sul tema sono stati deludenti prevedendo non un'autentica riforma ma solo una serie di proroghe e di piccoli aggiustamenti. Non si può dunque continuare a procedere per interventi correttivi, piuttosto si deve cercare di inserire il ruolo e le funzioni della magistratura onoraria in maniera coerente e sistematica nel funzionamento della macchina della giustizia. Ricordo che la magistratura onoraria del nostro Paese ha consentito, infatti, in un contesto dove l'Italia è tra le peggiori nazioni dell'Unione europea per la lunghezza dei processi, di rispondere comunque alla domanda di giustizia da parte dei cittadini. Tuttavia la legislazione in merito è stata nel corso degli anni alquanto frammentata e lacunosa. Sarebbe stato quindi necessario intervenire con una vera riforma, in primis istituendo un unico statuto della magistratura onoraria senza la modulazione differenziata tra giudici di pace, giudici onorari di tribunale e viceprocuratori onorari. Dopo una lunga discussione che si è sviluppata anche durante la scorsa legislatura, alla fine il Governo ha proposto un disegno di legge delega. Ad oggi è convinzione diffusa che l'attuale disciplina della magistratura onoraria non sia più adeguata Pag. 14ai tempi. Il tema è oggetto di discussione da diversi anni e sono state presentate molteplici proposte di legge anche da parte di Forza Italia.
  Eppure, dopo un dibattito che si trascina da anni, con il Senato che ha esaminato il provvedimento in prima lettura impiegando circa un anno, il testo arriva alla Camera blindatissimo con l'esigenza di una sua approvazione in tutta fretta, considerato che il termine per l'utilizzo dei giudici onorari dei tribunali e dei viceprocuratori in attesa della riforma organica della magistratura onoraria scade, dopo l'ultima proroga prevista dalla legge di stabilità 2016, il 31 maggio prossimo. Ciò significa che, entro quella data, non solo dovrà essere entrata in vigore la legge delega ma dovranno essere state esercitate le deleghe attraverso i decreti legislativi sui i cui schemi le Commissioni parlamentari competenti dovranno avere già espresso i pareri di competenza: una corsa contro il tempo inaccettabile perché in ballo c’è la delicata architettura della giustizia più vicina ai cittadini. Come abbiamo avuto modo di rilevare nel corso dell'esame in Senato, questo provvedimento risente per alcuni aspetti di un'idea di fondo sbagliata: tale idea vuole i giudici onorari come non legittimati a esercitare la giurisdizione, un'idea che traspare dal tessuto di questo disegno di legge delega che dimostra a più riprese e in più punti la mancanza di fiducia e di apprezzamento del lavoro svolto dai giudici onorari e ciò è in contrasto con la nostra Costituzione. La Costituzione italiana, infatti, al comma 2 dell'articolo 106 dice espressamente: «La legge sull'ordinamento giudiziario può ammettere la nomina, anche elettiva, di magistrati onorari per tutte le funzioni attribuite a giudici singoli.» Come è noto la nostra Costituzione ha scelto il modello del giudice inserito mediante concorso pubblico nel sistema giustizia. Avere previsto per i giudici onorari la possibilità della elezione vuol dire però che il giudice onorario ha una tale legittimazione da essere previsto come giudice singolo con la sostituzione delle funzioni del giudice di carriera. Invece noi ci siamo ritrovati un disegno di legge delega di completa sfiducia: nel momento in cui si inserisce il magistrato onorario nell'ufficio per il processo alle dipendenze del sostituto o del giudice non si rispetta la Carta costituzionale. A quel giudice vanno attribuite funzioni proprie. Il giudice onorario non solo è stato inserito per i primi due anni in un sistema di controllo nell'ufficio del processo, ma la possibilità di essere inserito anche nei collegi giudicanti civili e penali è stata aggiunta solo con ampie cautele: ennesima dimostrazione che si vuole ulteriormente controllarlo e non attribuirgli altre funzioni proprie. Nel corso dell'esame al Senato Forza Italia ha contribuito a migliorare alcuni aspetti del provvedimento ma troppe questioni denunciano, da un lato, una mancata considerazione del lavoro svolto dalla magistratura onoraria e, dall'altro, una genericità che lascia perplessi. Non è stata accettata alcuna proroga, pur sussistendo il forte timore che questo disegno di legge non sarà operativo entro il 2016 e che al massimo sarà approvato il disegno di legge ma non ci saranno i decreti legislativi per la sua attuazione. Manca un mese: come possono organizzarsi i giudici onorari, i presidenti di tribunale e i capi degli uffici che devono pianificare il lavoro ? Ci auguriamo quindi che venga svolto un ulteriore sforzo di riflessione sul provvedimento per riaffermare in maniera effettiva ed efficace la forte valenza e l'autonomia della magistratura onoraria per una corretta amministrazione della giustizia nel nostro Paese.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Sannicandro. Ne ha facoltà.

  ARCANGELO SANNICANDRO. Signora Presidente ed egregi colleghi, egregio sottosegretario, come è noto a noi quest'oggi è data la libertà di parlare ma non è data la libertà di decidere. Questa facoltà ci è stata sottratta dall'atteggiamento del Governo che ha blindato ogni discussione in sede di Commissione giustizia: centinaia di emendamenti sono stati rifiutati, anche i più ragionevoli, anche quelli che recepivano attese di parecchi anni. Sono stati Pag. 15rigettati proprio perché il Governo, in occasione della legge di stabilità, pose un termine – praticamente un termine draconiano – che potrebbe comunque essere, come dire, superato.
  Il Governo Renzi, in particolare, non lesina i decreti-legge, quindi si poteva tranquillamente con un decreto-legge dilatare il termine, per esempio al 31 dicembre 2016, e consentire a noi di discutere, alla pari del Senato, una materia talmente delicata. Che sia tale lo riconosce il Governo, lo riconoscono i colleghi di maggioranza e anche quelli della opposizione; e allora è un omaggio retorico, come è un omaggio retorico quello che è reso alla magistratura onoraria per il lavoro che svolge nei confronti e al servizio degli italiani. Ora, io non voglio illustrare questo disegno di legge – è stato fatto già abbondantemente – ne parleremo in dettaglio quando discuteremo dell'articolato e degli emendamenti ad esso; voglio soltanto soffermarmi su alcuni aspetti. È praticamente un aspetto ricorrente: qui si illustrano delle belle architetture; è stata usata proprio questa parola, delle belle architetture che però hanno le fondamenta fragili. Magistratura onoraria: parliamo di magistrati, cioè di cittadini in carne e ossa, parliamo di lavoratori, comunque denominati. Se la mettiamo sul piano giuridico, certamente la parola «onorario», magistratura onoraria, volontariato, sono espressioni che rispecchiano una realtà normativa. Però, allo stato attuale, semplicemente normativa, perché non c’è un contratto di servizio, perché non c’è una vera e propria retribuzione, perché non ci sono gli altri elementi identificativi di un vero e proprio rapporto di lavoro a livello normativo, ma la realtà qual è ? La realtà è che noi abbiamo circa, è stato detto poc'anzi, 5450 professionisti che sostanzialmente svolgono le stesse attività di altri 8 mila cittadini magistrati togati. Questa è la realtà materiale, quella cui non si guarda: abbiamo magistrati che hanno dedicato sostanzialmente tutta la loro vita lavorativa – ormai ci sono alcuni magistrati onorari che lavorano in tale qualifica da circa vent'anni – e a questi noi che cosa andiamo a riconoscere ? Le belle parole che abbiamo ascoltato qui nelle relazioni o le belle parole del nostro sottosegretario ? La giustizia europea, la cultura giuridica europea, non tollera più questo stato di cose. Il Governo italiano può, non so fino a quando, continuare ad ingannare la Commissione Europea per l'efficienza della giustizia, ma i nodi stanno arrivando al pettine, come sono arrivati al pettine i nodi relativi alla scuola. Io che in gioventù, appena laureato, ebbi la ventura di essere titolare di cattedra all'età di ventotto anni, quando mi sono accorto in età matura che professori erano ancora precari a cinquant'anni, non ci potevo credere, non ci potevo credere ! Quando poi mi hanno spiegato che dovevano affrontare ogni anno il patema del rinnovo del contratto, delle sedi più diverse, non ci potevo credere; e mi dicevo: ma noi siamo andati avanti o siamo andati indietro ? E lo stesso vale qui nel campo che oggi ci interessa. Abbiamo magistrati che lavorano da tanti anni, e le norme di carattere transitorio che cosa assicurano loro ? Ma non soltanto lavorano da tanti anni, ma con quale trattamento economico, con quale trattamento previdenziale ? Contratti a termine per definizione e poi diremo anche contratti, come dire, illeciti; contratti a termine che lo Stato ha prorogato, io dico illecitamente, così come non è consentito fare ai privati cittadini.
  Nel 1962 in Italia fu introdotta una norma con la legge n. 230, in cui si disse che si poteva assumere a tempo determinato solo in presenza di condizioni oggettive ed erano elencate addirittura legislativamente le condizioni oggettive, tipo la supplenza: una lavoratrice assunta per supplire all'assenza di un'impiegata in maternità, in puerperio, oppure un ragazzo chiamato al servizio militare. E comunque, per evitare l'abuso dei contratti a termine, si stabilì che, qualora una persona fosse stata abusivamente assunta a termine con contratti illecitamente rinnovati, il trattamento economico, da un lato non poteva che essere quello previsto per i contratti di lavoro a tempo indeterminato e comunque Pag. 16quei lavoratori andavano considerati a tempo indeterminato ab origine. Ora io non è che sto dicendo che i magistrati che si trovano in quelle condizioni debbono essere riassorbiti nei ruoli della magistratura togata, non sto dicendo questo, ma tra questo e il nulla io credo che ci sia una vasta gamma di possibilità che si potevano benissimo studiare. Non è con tale ingratitudine che questi lavoratori possono essere abbandonati. Non si ha diritto – come è stato detto – alla previdenza né ad una retribuzione adeguata. Ma dove si è visto ? Nel tempio del diritto, cioè nei tribunali, esistono situazioni di sfruttamento di tale natura ? E quello che è peggio è che questo sistema persisterà e persisterà in una maniera che veramente, se ci riflettete, è inaccettabile e moderna. Voi sapete che si sta discutendo a livello privato di rinnovare i contratti collettivi e la struttura dei contratti collettivi, dove si vuole legare la vita del lavoratore e la retribuzione dei lavoratori, alla cosiddetta produttività, cioè tu mangerai a queste condizioni, che sono quelle che io ti porrò come obiettivi. Bene, qui si procede alla stessa maniera. La retribuzione – è stato già detto – o meglio, l'indennità, scusate, dovrà essere commisurata, dovrà avere una quota fissa e una quota variabile e la quota variabile dovrà essere ancorata a criteri obiettivi. Ma qua non si tratta di bulloni, qua non si tratta di merendine, qua non si tratta di provoloni che si producono, qua si producono sentenze, e come può mai escogitarsi un criterio obiettivo a cui ancorare la produttività, la quota variabile ? Sarà sempre un qualcosa di artificiale, qualcuno porrà un limite, cento sentenze, duecento sentenze, trecento sentenze, per cui la prima preoccupazione di sopravvivenza del magistrato lavoratore potrebbe diventare il problema suo esistenziale: raggiungere l'obiettivo per avere lo stipendio. Lo stesso vale anche per la cosiddetta quota fissa – perché nella legge delega io almeno non sono riuscito a trovarla –: almeno ci fosse una quota fissa decente ! Sento parlare di 25 mila euro lordi all'anno, molto meno di quanto prendono le segretarie degli studi degli avvocati, molto meno, quando hanno un certo livello di professionalità. Quindi voi andate in udienza e si presenta una segretaria o un tirocinante di uno studio professionale e di fronte a un magistrato che, socialmente ed economicamente, vale meno di essa. Ma lo ritenete normale ? Perciò ho detto che si parla di una bellissima architettura – poi vedremo le eventuali criticità, pur esistenti, quando discuteremo dell'articolato –, si illustra, come d'altra parte è abitudine in quest'Aula, un magnifico fabbricato, un'ottima ingegneria, però alla fine le fondamenta sono fragili, sono appunto precarie.
  Ecco che ne viene snaturata la funzione giurisdizionale perché, appunto, non c’è più l'obiettivo di rendere giustizia, ma c’è l'obiettivo di smaltire fascicoli, milioni di fascicoli, milioni di processi, e chi frequenta le aule di giustizia è ben consapevole che ormai c’è l'ossessione dello smaltimento, ma non c’è l'ossessione di capire qual è l'origine – l'origine ! – di tale accumulo di fascicoli, di tale accumulo di pendenze.
  Indubbiamente – l'ho già detto e quindi lo ribadisco con serenità – al Ministero si è lavorato molto per capire le origini di questa mole spaventosa di processi e di capire anche se sono effettivamente contenzioso o ben altro e si sono anche adottate delle misure organizzative di tutto rispetto. Questo non lo nego e l'ho già detto altre volte; però, non si va a fondo, non si va a fondo su questo aspetto, perché gli italiani non sono più litigiosi dei cittadini d'Europa. Le statistiche dicono, appunto, che siamo nella normalità. Ciò che non è nella normalità è la disfunzione della pubblica amministrazione, è la disfunzione e l'inadempienza rispetto ai propri utenti degli enti parastatali e statali, come INPS, INAIL e via discorrendo.
  Ma tornando più allo specifico, c’è molto lavoro da smaltire. E, allora, che si fa con questa operazione ? Si scarica il lavoro sui magistrati onorari. Aumentare la competenza civile e penale che cosa significa ? Non significa mica eliminare un processo! Significa che, anziché celebrarlo il magistrato togato, lo celebrerà il magistrato Pag. 17onorario. Io non mi voglio adesso soffermare sulla bontà o meno di trasferire le liti condominiali al magistrato onorario o meno, perché non è questo il problema di fondo da un punto di vista politico generale ma il problema rimane tale e quale e, semmai spostare la competenza avrà dei risultati positivi in alcune statistiche, di cui poi parleremo. Ma se si sposta la competenza, se si aumenta la competenza, vogliamo aumentare la paga sì o no ? Questo in termini semplici, da cittadino comune.
  Dunque, parlavo di statistiche. Ho letto e appreso che non siamo sinceri – per usare un eufemismo –, non siamo leali, siamo ingannevoli – diciamola tutta – nei confronti delle istituzioni europee quando forniamo i dati, perché da quello che ho capito – non so se ho capito bene – lavorano in 10 ma il risultato lo si attribuisce a 5 e noi diventiamo i primi: la magistratura italiana diventa la prima per produttività in Europa. Ma qui veramente stiamo al mercato; qui stiamo veramente a livello di gioco delle tre carte. Ecco quello che non va qui !
  Noi ci affanniamo ormai da tempo e devo dire con zelo, in verità, perché la mia Commissione, questa Commissione, lavora intensamente. Ma non è che si può affidare alle norme, alla mutazione delle norme, la risoluzione del problema giustizia qui in Italia. Sono soltanto – lo ripeto – degli espedienti.
  Anche noi voteremo contro, perché non si può accettare una situazione di questo tipo, perché questa situazione lascia inalterato il problema di fondo di una magistratura che cambia verso nella misura in cui, da un punto di vista retributivo, viene posta nella condizione di badare più a questo obiettivo che non a quello di rendere giustizia.
  Noi stiamo creando tutte le condizioni perché ciò accada e perché ciò non accada dobbiamo invertire l'impostazione.
  D'altra parte, ce lo insegna la magistratura togata: io ricordo – se sbaglio qualcuno mi correggerà – che quando il Parlamento o il Governo – non mi ricordo se era un decreto-legge – deliberò l'introduzione del contributo di solidarietà per coloro i quali percepivano una retribuzione superiore a 90 mila euro – c'erano due scaglioni –, i magistrati impugnarono quella norma. E come impugnarono quella norma ? Con quale motivazione ? Dicendo che era un attacco del Governo all'indipendenza della magistratura. E ora non vale più questo principio ? Come garantiamo l'indipendenza dei magistrati onorari, che sono esseri umani come i magistrati togati ? Come li garantiamo ? Ecco perché i conti non tornano – non tornano ! – in quanto vi sono due principi (lo stesso principio non si applica a situazioni completamente diverse).
  Per queste ragioni di politica giudiziaria – ripeto – noi non possiamo, benché vi siano delle norme certamente apprezzabili, dare un parere positivo su questo disegno di legge (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Assunta Tartaglione. Ne ha facoltà.

  ASSUNTA TARTAGLIONE. Grazie, Presidente. Signora Presidente, onorevoli colleghi, onorevole sottosegretario, ritengo opportuno esprimere fin da subito un'ampia condivisione su quanto espresso dal relatore di maggioranza, onorevole Giuseppe Guerini. Al tempo stesso, non posso che esprimere piena consonanza con quanto espresso dal Governo. Il disegno di legge in esame costituisce un indubbio passo avanti nella tutela dei diritti dei cittadini e, in modo particolare, risponde all'esigenza di meglio qualificare la magistratura onoraria e di ridurre i tempi dei processi. La magistratura onoraria, per l'impiego concreto che ne viene fatto, è centrale nell'assetto della giustizia e il suo attuale apporto è irrinunciabile.
  Stante la perdurante crisi dell'amministrazione della giustizia, la riforma della disciplina della magistratura onoraria deve essere colta anche quale occasione per soddisfare finalmente l'esigenza di efficienza, valorizzando le risorse già presenti Pag. 18e formatesi all'interno dei tribunali italiani mediante l'interazione con la magistratura di carriera e sulla scorta di piani di formazione della magistratura onoraria portati avanti, in questi anni, dalla Scuola superiore della magistratura.
  Nell'avere cura delle esigenze di efficienza, da una parte, e di razionalizzazione dell'impiego attuale della magistratura onoraria, dall'altra, però non deve essere persa di vista la stella polare del principio di indipendenza, autonomia e terzietà della magistratura. È necessario evidenziare, in primo luogo, la scelta del Governo di procedere in tempi brevi all'approvazione del disegno di legge di riforma della magistratura di pace ed onoraria. Tale scelta è sintomatica dell'importanza che negli anni ha assunto questo settore, che si è trovato ad affrontare un contenzioso sempre più ampio.
  È una riforma che si attendeva da almeno un decennio. Il legislatore ha assegnato in origine funzioni diverse ai giudici di pace, da una parte, e ai magistrati onorari, dall'altra; mentre ha configurato l'ufficio del giudice di pace con funzioni esclusive, ha assegnato funzioni di mera supplenza ai magistrati onorari di tribunale. In entrambi i casi il legislatore era incorso in errori prospettici. Infatti, il giudice di pace era stato individuato all'inizio come erede del giudice conciliatore, competente in materia di conciliazione e di giudizi di equità. L'assegnazione di competenze di minore complessità, che avrebbe consentito l'esercizio di queste funzioni, giustificava la creazione di tale figura onoraria. Col tempo, invece, l'ufficio del giudice di pace è stato investito di sempre maggiori competenze, spesso in materie che presentano profili di alta tecnicità e anche per questo impegnano necessariamente i giudici di pace ben oltre il limite dell'occasionalità.
  Analogo errore prospettico è ravvisabile con riferimento ai magistrati onorari di tribunale, in origine introdotti con funzioni di mera supplenza dei magistrati di carriera ma, comunque, con competenze che si sovrappongono alle loro (nel caso dei giudici onorari le competenze sono identiche).
  Anche in questo caso la funzione in origine assegnata giustificava l'introduzione della figura onoraria, devolvendosi a GOT e a VPO compiti di mera sostituzione in caso di assenza del magistrato di carriera o comunque affari semplici. L'incessante aumento della domanda di giustizia ha imposto invece un impiego intensivo dei magistrati onorari di tribunale.
  Entrando nel merito, i principali profili di novità del disegno di legge delega appaiono i seguenti: l'introduzione di uno statuto unico della magistratura onoraria in ordine alle modalità di accesso alla formazione e al tirocinio, alla durata e decadenza dell'incarico, alla revoca e alla dispensa del servizio, alle incompatibilità, ai trasferimenti, alla responsabilità disciplinare, alla disciplina dell'indennità; la riorganizzazione dell'ufficio del giudice di pace, posto sotto il coordinamento del presidente del tribunale. L'unificazione della magistratura giudicante onoraria mediante il superamento della distinzione tra giudice di pace e GOT e l'istituzione del giudice onorario di pace. L'istituzione di una specifica struttura organizzativa dei VPO presso le procure. La rideterminazione del ruolo e delle competenze dei magistrati onorari, in particolare l'utilizzo a regime dei giudici onorari di pace nell'ufficio del processo presso i tribunali ordinari, nonché in limitate ipotesi come componenti del collegio. L'aumento delle competenze, soprattutto civili, dell'ufficio del giudice di pace. Nello specifico non può quindi che salutarsi con favore la previsione contenuta al comma 15 dell'articolo 2, si tratta di un robusto aumento di competenza del giudice di pace in materia civile, in particolare l'aumento della stessa per valore fino a 30.000 euro. Questa scelta aiuterà sicuramente a contenere la durata dei processi e garantirà da un lato il rispetto del diritto dei cittadini ad un processo celere, dall'altro contribuirà a risolvere un problema che costa ogni anno al nostro Paese circa 500 milioni di euro.Pag. 19
  Apprezzabile nel DDL inoltre la scelta di aumentare le competenze anche in materia penale. Sono comunque da tenere in considerazione alcune osservazioni delle associazioni di categoria, secondo le quali attribuire ulteriori reati alla cognizione del giudice di pace avrebbe contribuito ad evitare la prescrizione di molti procedimenti. Tali osservazioni, seppur fondate, incontrano la corretta obiezione che in materia penale è preferibile evitare un eccessivo ampliamento della cognizione della magistratura onoraria. La riforma ha, del resto, il merito di accogliere molte delle principali richieste delle associazioni dei giudici di pace, prevedendo tra l'altro ulteriori quattro mandati quadriennali per i giudici di pace in servizio. Si cerca così di affrontare la situazione di quei magistrati molto prossimi ai cinquant'anni che amministrano giustizia ormai da un ventennio e che si sarebbero ritrovati, dopo i 12 anni inizialmente previsti dal DDL, privi di retribuzione e pensione. Tale previsione consentirà ai magistrati di godere di un arco temporale sufficiente per costruirsi un futuro previdenziale. Il DDL – si pensi all'articolo 2, comma 13, lettera l), e all'articolo 8 – assicura finalmente alla magistratura onoraria una copertura previdenziale ed assistenziale.
  Obiettivo del DDL è quello di garantire il rispetto dell'autonomia e dell'indipendenza del magistrato di pace. Una delle strade per garantire ciò è far sì che l'indennità loro riconosciuta sia adeguata; più volte la stessa Corte costituzionale è intervenuta per ribadire che anche un'adeguata remunerazione, oltre che un adeguato trattamento pensionistico, sono strumenti per garantire l'indipendenza della categoria. Si è evitato inoltre che la temporaneità dell'incarico per una funzione sostanzialmente stabile risulti in parte lesiva dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura. La raccomandazione del 17 novembre 2010 del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa, ai paragrafi 49 e 51, afferma che la certezza di permanenza nelle funzioni e l'inamovibilità sono elementi chiave dell'indipendenza dei giudici anche onorari. La previsione della reiterazione dei mandati, mediante conferme quadriennali, è in grado di assicurare la necessaria autonomia ed indipendenza, come già avvenuto con la sostanziale stabilizzazione dei magistrati tributari e dei magistrati onorari minorili, rispettivamente nel 2005 e nel 2010. La soluzione adottata dal DDL in esame risponde pienamente all'esigenza di garantire sia l'indipendenza della magistratura onoraria, che offrire ai magistrati onorari una maggiore stabilità lavorativa e garanzie previdenziali.
  Il DDL in esame alla Camera è uno strumento atteso da anni; il riordino della magistratura ordinaria vista, come detto, la mole di contenzioso ad essa ormai affidata, è uno strumento privilegiato per garantire al Paese una giustizia più rapida ed efficace. I dubbi di alcune associazioni di categoria sono più che legittimi, ma l'intento di una riforma è quello di contemperare tutte le esigenze in campo, sia quelle degli operatori del diritto, magistrati e avvocati, sia soprattutto quelle dei cittadini. Questa riforma ha l'indubbio pregio di riuscire in questo delicato e importante equilibrio.

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo – A.C. 3672)

  PRESIDENTE. Prendo atto che i relatori ed il rappresentante del Governo rinunciano alle repliche.
  Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge: Contenimento del consumo del suolo e riuso del suolo edificato (A.C. 2039-A); e delle abbinate proposte di legge: Franco Bordo e Palazzotto; Catania ed altri; Faenzi ed altri; De Rosa ed altri (A.C. 902-948-1176-1909) (ore 16,35).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 2039-A: Contenimento del consumo del Pag. 20suolo e riuso del suolo edificato; e delle abbinate proposte di legge: Franco Bordo e Palazzotto; Catania ed altri; Faenzi ed altri; De Rosa ed altri nn. 902-948-1176-1909.
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 21 aprile 2016.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 2039-A)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
  Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari del Movimento 5 Stelle e del Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
  Avverto, altresì, che le Commissioni VIII (Ambiente) e XIII (Agricoltura) si intendono autorizzate a riferire oralmente.
  Ha facoltà di intervenire la relatrice per la maggioranza per l'VIII Commissione, deputata Chiara Braga.

  CHIARA BRAGA, Relatrice per la maggioranza per l'VIII Commissione. Grazie Presidente. Onorevoli colleghi, l'Assemblea avvia oggi l'esame del nuovo testo del disegno di legge, Atto Camera n. 2039, recante norme sul contenimento del consumo del suolo e riuso del suolo edificato. L'esame in sede referente è stato svolto dalle Commissioni riunite VIII (Ambiente) e XIII (Agricoltura). Si tratta di un provvedimento che ha visto un lungo iter, nel quale il testo di disegno di legge del Governo, che è stato assunto come testo base, è stato arricchito e migliorato, anche grazie al contributo offerto dalle Commissioni competenti in sede consultiva attraverso il loro parere.
  I temi del consumo di suolo, del riuso del suolo edificato e della valorizzazione delle aree agricole stanno assumendo ormai da qualche tempo una rilevanza crescente e sono finalmente giunti all'attenzione anche del legislatore, sulla spinta di una maggiore consapevolezza dell'opinione pubblica, del mondo scientifico e delle professioni riguardo al tema dei limiti di un modello di sviluppo, che per molto tempo non si è misurato in modo adeguato con il tema della finitezza delle risorse ambientali e territoriali. Per questo, parlare di consumo di suolo significa prima di tutto confrontarsi con una corretta definizione di quanto si intende con suolo, una definizione che renda conto della pluralità di funzioni e di valori che devono essere riconosciuti e attribuiti al suolo, e che renda conto dell'importanza di un approccio nuovo, non orientato esclusivamente alla valorizzazione del suolo ai fini edificabili, ma che riconosca e attribuisca al suolo un valore sociale e ambientale prima ancora che economico. Questo è l'approccio che emerge dal rapporto di alcuni anni fa del Ministero delle politiche agricole che, insieme a INEA, ISPRA e Istat, hanno restituito un rapporto dal titolo «Costruire il futuro: difendere l'agricoltura dalla cementificazione», su cui si fonda anche il testo di questo disegno di legge varato dal Consiglio dei ministri nel giugno 2013 e che riprendeva in larga parte una proposta dell'allora Ministro dell'agricoltura, onorevole Catania. Dal rapporto emergono dati molto significativi. L'Italia perde terreni agricoli in un trend negativo continuo. Secondo l'Istat dal 1971 al 2010 l'Italia ha perso il 28 per cento della superficie agricola, una superficie equivalente a quella di Lombardia, Liguria ed Emilia Romagna. L'evoluzione della superficie agricola utilizzata peraltro registra una tendenza inversa rispetto all'andamento demografico, e la continua perdita di terreno agricolo porta l'Italia a dipendere sempre più dall'estero per l'approvvigionamento di risorse alimentari. Molte variabili incidono sulla perdita di superfici agricole e possono essere ricondotte a due macro – fenomeni: l'abbandono dei terreni e la cementificazione.
  Per questo motivo quando parliamo di consumo di suolo – questo è stato fatto nell'impostazione anche culturale di questa legge – dobbiamo fare riferimento certamente a dei dati quantitativi. E ce lo Pag. 21restituiscono, questo aspetto, in particolare i vari rapporti sul consumo di suolo, l'ultimo del 2015 redatto dall'ISPRA. In Italia, nonostante la crisi del settore delle nuove costruzioni, si continua a perdere suolo a una velocità di 55 ettari al giorno. Ma c’è anche una componente qualitativa che è altrettanto e forse più rilevante e importante. Il consumo di suolo si associa sempre di più a una progressiva diffusione insediativa che disperde sul territorio nuclei abitati, attività produttive e infrastrutturali e che ha un profondo impatto sull'equilibrio ambientale a livello locale e globale. Come ci dimostra il rapporto annuale del 2016 del Centro di ricerca sul consumo di suolo, l'espansione delle aree urbanizzate, sempre con maggiore evidenza, è guidata da processi di diffusione e di dispersione, che causano la perdita del limite tra aree urbane e rurali con un impatto negativo amplificato in termini paesaggistici e ambientali, dovuti a una limitazione delle funzioni del suolo e degli ecosistemi naturali, ma anche di natura economica e sociale, con costi maggiori, sempre maggiori, legati alla mobilità, alla realizzazione e alla gestione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria e all'impatto dell'aumento dell'esposizione al rischio di parti rilevanti del territorio italiano. L'impermeabilizzazione del suolo è individuata dalla Commissione europea come la minaccia più grave e causa di degrado ed erosione di servizi ecosistemici. Incide in maniera negativa sul ciclo idrogeologico, aumenta l'instabilità e nelle aree sigillate le funzioni produttive del suolo vengono definitivamente compromesse, oltre a perdere la capacità di assorbire CO2, con un'influenza negativa sul clima che è direttamente percepibile dagli stessi cittadini.
  Ecco perché noi abbiamo lavorato a un testo di disegno di legge nazionale che ha l'ambizione di determinare e di fissare dei limiti quantitativi al consumo di nuovo suolo agricolo coerente con gli obiettivi che l'Europa si è già data al 2050 e traendo ispirazione anche dalla legislazione di altri Paesi europei che da diversi anni si sono dotati di una normativa nazionale sull'argomento. Il quadro di riferimento europeo rimane naturalmente quello a cui questa legge fa riferimento e si ispira, anche auspicando una ripresa di iniziativa a livello europeo in termini di una nuova direttiva sui suoli. Questa proposta di legge tiene naturalmente conto del quadro di competenze che viene riconosciuto e attribuito a livello nazionale e a livello regionale dal vigente assetto costituzionale e dalla modifica del Titolo V della riforma costituzionale approvata.
  Do, quindi, corso all'illustrazione per punti dei primi cinque articoli del disegno di legge lasciando poi l'illustrazione delle altre parti al collega relatore onorevole Fiorio. Come dicevo, l'articolo 1 della legge detta principi fondamentali per la valorizzazione e la tutela del suolo con particolare riguardo alle superfici agricole, alle aree sottoposte a tutela paesaggistica, al fine di promuovere e tutelare l'attività agricola, proteggere il paesaggio e l'ambiente, nonché contenere il consumo di suolo quale bene comune e risorsa non rinnovabile. Il suolo viene tutelato in quanto esplica funzioni e produce servizi ecosistemici in coerenza con quanto disposto dalla Costituzione e dal Trattato di funzionamento dell'Unione europea. Il comma 2 prevede che il riuso, la rigenerazione urbana e la limitazione del consumo di suolo costituiscano principi fondamentali in materia di governo del territorio. A tal fine, viene precisato che sono fatte salve le previsioni di maggiore tutela delle aree inedificate già introdotte dalla legislazione regionale e il consumo di suolo per principio è consentito solo ove non sussistano alternative di riuso e di rigenerazione delle aree già urbanizzate. Si prevede, in tal senso, che nell'ambito delle procedure di valutazione di impatto ambientale e di valutazione ambientale strategica e di verifica di assoggettabilità delle opere pubbliche e di pubblica utilità, diverse dagli insediamenti e dalle infrastrutture strategiche, sia verificato l'obbligo della priorità del riuso e della rigenerazione urbana. Ai sensi del comma 3, le regioni, ai fini della verifica dell'insussistenza di alternative consistenti nel riuso Pag. 22di aree già edificate e già urbanizzate, orientano l'iniziativa dei comuni a fornire nel proprio strumento di pianificazione specifiche e puntuali motivazioni relative all'effettiva necessità di consumo di suolo inedificato. Il comma 4 prevede, quindi, l'adeguamento della pianificazione territoriale e urbanistica e paesaggistica alle norme previste dal provvedimento e che le politiche di sviluppo territoriale nazionali e regionali favoriscano la destinazione agricola e l'utilizzo di pratiche agricole negli spazi liberi delle aree urbanizzate.
  L'articolo 2 è un articolo particolarmente rilevante perché reca le definizioni necessarie ai fini dell'applicazione della legge: la definizione di consumo di suolo, di superficie agricola naturale e seminaturale, di impermeabilizzazione, area urbanizzata, rigenerazione urbana, mitigazione e compensazione ambientale. È un tema particolarmente importante perché è l'ambito nel quale vengono definiti i parametri omogenei su tutto il territorio nazionale a cui anche le normative regionali e l'operato delle amministrazioni locali dovranno fare riferimento. In particolare, si definisce, per consumo di suolo, l'incremento annuale netto della superficie agricola naturale e seminaturale soggetto a interventi di impermeabilizzazione. La definizione di superficie agricola naturale e seminaturale fa riferimento ai terreni qualificati come agricoli dagli strumenti urbanistici, nonché alle altre superfici non impermeabilizzate alla data di entrata in vigore del provvedimento, fatta eccezione per le superfici destinate a servizi di pubblica utilità di livello generale e locale previsti dagli strumenti urbanistici vigenti, per le aree destinate a infrastrutture e a insediamenti produttivi strategici, per i quali è comunque obbligatorio che i progetti prevedano interventi di compensazione ambientale, nonché per i lotti e gli spazi inedificati già dotati di opere di urbanizzazione e destinati prevalentemente a interventi di riuso e di rigenerazione. Per rigenerazione urbana viene definito un insieme coordinato di interventi urbanistici, edilizi e socio-economici nelle aree urbanizzate che persegua gli obiettivi della sostituzione, del riuso e della riqualificazione ambientale. Per compensazione ambientale si intende l'adozione, in tempi contestuali all'intervento di consumo di suolo, di misure dirette a recuperare o a ripristinare le funzioni del suolo già impermeabilizzato.
  Il comma 2 dell'articolo 2 integra l'articolo 5, comma 1, del decreto legislativo n. 152 del 2006, il cosiddetto Codice dell'ambiente, integrando e completando la definizione di suolo secondo le indicazioni già stabilite a livello europeo. L'articolo 3 disciplina le fasi procedurali per addivenire, in coerenza con gli obiettivi stabiliti dall'Unione europea, alla definizione di una riduzione progressiva vincolante in termini quantitativi del consumo di suolo a livello nazionale e del relativo riparto a livello regionale dei quantitativi medesimi. Il comma 1 prevede l'emanazione di un decreto di definizione della riduzione progressiva vincolante di consumo di suolo a livello nazionale adottato dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge e sottoposto a verifica ogni cinque anni. Il decreto è emanato previa intesa in sede di Conferenza unificata e tenuto conto della deliberazione che la stessa Conferenza deve adottare entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore della legge sentiti ISPRA e CREA per definire criteri e modalità per la riduzione in termini quantitativi di consumo di suolo a livello nazionale. Il comma 3 prevede, al di fuori delle infrastrutture strategiche e degli insediamenti produttivi di interesse nazionale, che regioni e province autonome, entro il termine di 90 giorni dall'adozione della deliberazione della Conferenza unificata, rendano disponibili i dati acquisiti. L'eventuale mancato rispetto da parte delle regioni e delle province non ostacola l'avanzamento della procedura prevedendo l'intervento di poteri sostitutivi da parte del livello nazionale. Il comma 5 dell'articolo 3 prevede che la riduzione quantificata del decreto ministeriale venga ripartita tra le regioni con deliberazione Pag. 23della Conferenza unificata e la stessa Conferenza unificata è chiamata a stabilire altresì i criteri di attuazione delle misure di mitigazione e di compensazione ambientale. Il comma 7, relativo al monitoraggio sulla riduzione del consumo di suolo, prevede l'adozione di modalità e criteri da esercitare avvalendosi di ISPRA e di CREA con regolamento del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali e del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Si prevede, peraltro, che ISPRA e CREA, per esercitare le funzioni di monitoraggio, abbiano accesso diretto alle banche dati delle amministrazioni pubbliche e che i dati del monitoraggio e del consumo di suolo vengano resi pubblici e disponibili dall'ISPRA, sia in forma aggregata a livello nazionale, sia in forma disaggregata. Le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano dispongono la riduzione del consumo di suolo nel rispetto del decreto che dispone la riduzione a livello nazionale e della deliberazione della Conferenza unificata circa la ripartizione a livello regionale e stabiliscono criteri e modalità da rispettare nella pianificazione urbanistica a livello comunale.
  L'articolo 3 prevede, infine, che il Ministero dell'ambiente provveda alla pubblicazione e all'aggiornamento annuale, sul proprio sito istituzionale, dei dati sul consumo di suolo e della relativa cartografia.
  L'articolo 4 affronta il tema della priorità del riuso, delineando una procedura articolata in più fasi. In particolare, al comma 1 prevede che le regioni, nell'ambito delle proprie competenze in materia di governo del territorio, dettino, entro centottanta giorni, disposizioni per incentivare i comuni, singoli o associati, a promuovere strategie di rigenerazione urbana, anche mediante l'individuazione di ambiti da sottoporre prioritariamente a interventi di ristrutturazione urbanistica e prevedendo il perseguimento di elevate prestazioni in termini di efficienza energetica, di accessibilità, di accesso ai servizi di trasporto collettivo, di miglioramento della gestione delle acque ai fini dell'invarianza idraulica e di riduzione dei deflussi. Ai sensi del comma 2, il riuso delle aree sottoposte a interventi di risanamento ambientale è ammesso nel rispetto della vigente normativa in tema di bonifiche e dei criteri previsti dal codice dell'ambiente. Sempre al fine di orientare l'iniziativa dei comuni, il comma 3 prevede l'emanazione di disposizioni regionali per la realizzazione di un censimento comunale degli edifici sfitti, non utilizzati o abbandonati, esistenti, funzionale alla creazione di una banca dati disponibile per il recupero e il riuso. Tali informazioni vengono pubblicate in forma aggregata sui siti istituzionali dei comuni interessati. Il comma 5 prevede che i comuni procedano, entro il termine di un anno, all'individuazione delle aree da sottoporre prioritariamente agli interventi di ristrutturazione edilizia.
  Passando all'articolo 5, il disegno di legge reca una delega al Governo per l'adozione, entro nove mesi dalla data di entrata in vigore della legge, di uno o più decreti legislativi, volti alla semplificazione delle procedure per gli interventi di rigenerazione delle aree degradate da un punto di vista urbanistico, socio-economico, ambientale, secondo alcuni principi e criteri direttivi, tra i quali la garanzia che i progetti assicurino elevati standard di qualità e prestazioni elevate dal punto di vista energetico, nella qualità architettonica, l'individuazione di misure per una adeguata fiscalità di vantaggio. Tra i criteri direttivi emerge anche la salvaguardia delle aree sottoposte a tutela ai sensi del codice dei beni culturali.

  PRESIDENTE. Dovrebbe concludere, onorevole.

  CHIARA BRAGA, Relatrice per la maggioranza per l'VIII Commissione. La parte relativa al riuso e alla rigenerazione riguarda, in particolare, questo articolo, ma prosegue anche nei successivi articoli. Concludo così il mio intervento.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Braga. Se intende consegnarla, ovviamente può consegnare la relazione complessiva.Pag. 24
  Ha facoltà di intervenire il relatore per la maggioranza per la Commissione agricoltura, il deputato Massimo Fiorio.

  MASSIMO FIORIO, Relatore per la maggioranza per la XIII Commissione. Grazie, Presidente. Continuando nella disamina della collega Braga, ricordo che all'articolo 6 viene introdotta, definita e disciplinata la fattispecie urbanistica dei compendi agricoli neorurali, ovvero viene consentita alle regioni e ai comuni la possibilità di qualificare, nei propri strumenti urbanistici, alcuni fabbricati come compendi agricoli neorurali. In sostanza viene consentito che determinati insediamenti possono essere oggetto di recupero e di riqualificazione. Lo spirito è quello di intervenire su quei tipi di fabbricati che molto spesso si trovano nei pressi delle città e dei centri urbani e che, per dimensioni e fattezze, rischiano l'abbandono e il progressivo degrado. Si tratta di fabbricati anche di pregio – penso ad alcune tipologie di cascine nella Pianura padana o di masserie, più in generale – che in questo modo possono trovare, accanto alla prevalente destinazione agricola, altre destinazioni. Il comma 5 indica quali sono queste destinazioni: servizi turistico-ricettivi, ludico-ricreativi, servizi dedicati all'istruzione. Sono evidentemente esclusi l'uso residenziale e quello produttivo industriale o artigianale. Il comma 7 prevede che il progetto di compendio agricolo neorurale sia accompagnato da un progetto unitario convenzionato e dall'obbligo di conservare indivisa la superficie per almeno vent'anni. Il comma 8, infine, richiede che il progetto di compendio agricolo neorurale preveda interventi di mitigazione e compensazione preventivi.
  Questo articolo è stato aggiunto nel corso dalla discussione in Commissione e riteniamo che sposti in modo importante ed innovativo l'accento sul tema del riuso, della rigenerazione e della riqualificazione, che non sono solo obiettivi della legge, accanto al tema della riduzione di consumo di suolo, ma sono strategie per raggiungere il risultato dalla diminuzione di consumo di suolo. Noi riteniamo che il consumo di suolo si possa ottenere non solo con vincoli, ma con innovazioni e con la possibilità di dare nuovi stimoli al riuso.
  L'articolo 7 stabilisce che quelle superfici che hanno beneficiato di finanziamenti pubblici non possono subire trasformazioni urbanistiche per cinque anni, in riferimento ai finanziamenti europei legati alle politiche agricole comunitarie (PAC) e ai piani di sviluppo rurale (PSR). In questo senso è richiesto che l'autorità competente – nel caso della PAC è AGEA, nel caso dei PSR sono le regioni – rendono noto in rete, attraverso i propri siti, l'elenco dei terreni per come sono ripartiti poi tra i comuni.
  L'articolo 8 riconosce priorità nella concessione di finanziamenti statali e regionali a quei comuni che, ai sensi dell'articolo 9, hanno adeguato i propri strumenti urbanistici a quanto stabilito dalle regioni e province autonome in merito alla riduzione del suolo o che hanno addirittura previsto nessun consumo di suolo o che prevedano una maggiore riduzione del consumo di suolo rispetto a quella prevista dalle regioni di riferimento. Tale priorità riguarda interventi di rigenerazione ambientale o di bonifica oppure interventi volti al recupero di terreni abbandonati o inutilizzati.
  È vero che il nostro Paese soffre di una forte carenza di suolo agricolo, di terreno agricolo e, come diceva la collega, in misura tale che esiste un deficit nel rapporto alimentare tra quanto coltiviamo e quanto consumiamo. Tuttavia, esistono molte aree abbandonate il cui recupero necessita di interventi e di politiche attive. Penso, per esempio, alle aree agricole periurbane, che sono un patrimonio importante su cui concentrare l'attenzione. Queste aree possono diventare un'occasione di attività e lavoro, ma anche di offerta di servizi sociali. Penso al successo del fenomeno dell'agricoltura sociale, la cui richiesta cresce sempre più nei centri urbani medi e piccoli e nelle aree metropolitane.
  L'articolo 9 prevede l'istituzione del registro di quei comuni, che citavo, che hanno adeguato i loro strumenti urbanistici Pag. 25alla riduzione di suolo o che hanno superato le richieste imposte dalla regione stessa. Quel registro sarà in capo al Ministero.
  L'articolo 10 affronta una delle questioni più controverse e più dibattute. Non poteva essere altrimenti perché la questione riguarda l'uso dei proventi dei titoli abitativi, i cosiddetti oneri di costruzione. Di fatto, l'uso che in questi anni è stato fatto degli onori è stato uno dei motori dalla dinamica che ha comportato la distruzione di tanta superficie naturale. L'uso improprio degli onori ha comportato e favorito una speculazione tutta al ribasso. Ora, l'articolo definisce la destinazione coerente agli onori in modo inequivocabile. Si specifica finalmente che tali risorse devono essere destinate alla realizzazione e alla manutenzione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, a interventi di risanamento degli edifici, compresi soprattutto nei centri storici, a interventi di demolizione di fabbricati abusivi, alla realizzazione di aree verdi, alla tutela del paesaggio e dell'ambiente.
  Infine, l'articolo 11 interviene sul periodo transitorio, da applicare dal momento in cui la legge entra in vigore fino all'adozione dei provvedimenti di attuazione negli enti comunali. È evidente che dal momento che la legge è pubblicata il meccanismo di attuazione deve essere accompagnato da un tempo congruo, in cui si eviti il rischio della speculazione di coloro che cercano di mettersi al riparo dalla norma di tutela del suolo. Naturalmente non si tratta di uno stop. Si tratta di non intralciare alcune iniziative di carattere pubblico e privato che, per interesse pubblico o per i tempi avanzati della programmazione e progettazione, non vanno interrotti. In questo senso, per consumo di suolo non vanno considerati i lavori e le opere inseriti nei programmi triennali dei lavori pubblici e le cosiddette opere prioritarie. Ci riferiamo alle cosiddette leggi obiettivo.
  Vengono fatti salvi gli interventi ed i programmi di trasformazioni previsti nei piani attuativi, dunque quelli adottati prima dell'entrata in vigore del disegno di legge, con le relative opere pubbliche derivanti dalle convenzioni stipulate tra comuni e soggetti privati. L'articolo prevede una clausola di salvaguardia che mette tutti sull'avviso che non va perso tempo nell'attuazione dei provvedimenti che sono richiesti. Si tratta del fatto che, decorsi tre anni, se non si è giunti alle disposizioni finali previste dalle regioni e dalle province autonome, è consentito un consumo di suolo non superiore al 50 per cento della media di consumo di suolo degli ultimi cinque anni. Qualcuno legge questa ultima disposizione come una tagliola: in qualche modo forse lo è. Riteniamo in modo più adeguato che possa essere considerato come la consapevolezza che su questo terreno non si vuole retrocedere con il gioco dei ritardi accumulati: chi non fa quello che è richiesto è responsabile dei vincoli che scattano. Come ha detto la collega Braga che mi ha preceduto, oggi ci accingiamo a fare un passo importante che probabilmente questo Paese fa con molto ritardo rispetto ad altri: lo fa tuttavia come necessità in più e che nasce dalla nostra conformazione, dalla conformazione del nostro suolo, e dal fatto che il suolo è sempre più un fattore economico strategico da non disperdere. Sono sicuro che tutti i gruppi politici hanno ben chiaro questo obiettivo. Tuttavia credo che non tutti ritengano il tempo un fattore determinante: non possiamo più rimandare. Più aspettiamo più consentiamo il consumo di suolo. Il tempo non è più una variabile trascurabile: qualsiasi scelta che si compie nasce da motivazioni, consapevoli o inconsapevoli. La scelta che ci accingiamo a fare nasce dalla consapevolezza che il suolo è un bene indispensabile, di cui non possiamo fare a meno. Nasce dalla consapevolezza che la situazione è allarmante ma nasce anche dalla volontà di affrontare il tema uscendo dalla retorica degli slogan. Mettere mano a questa situazione significa dover affrontare competenze istituzionali specifiche, da una parte, e interessi e vedute contrastanti, anche legittime, dall'altra. Come relatori abbiamo ben presente quanto questa norma produca prese di posizione anche aspre. Le Pag. 26abbiamo ascoltate, le ascoltiamo e contiamo ad ascoltarle. Tuttavia riteniamo che non ci si possa più fermare e non ci sia più il tempo per prendere tempo. Naturalmente il passaggio dell'Aula sarà un passaggio importante perché abbiamo tutti – lo dico per primo a me stesso – l'occasione di migliorare un testo che ha avuto un travaglio lungo in Commissione. Ora è il tempo di capire chi lo vuole portare fino in fondo, chi vuole davvero che questo Paese abbia una normativa all'altezza della sua vocazione, legata al paesaggio e alla sua storia, e chi, dall'altra parte, non vuole una norma sul consumo di suolo, che lo faccia in modo esplicito e dichiarato o che lo faccia in modo implicito e strumentale.

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza per la Commissione ambiente Massimo De Rosa.

  MASSIMO FELICE DE ROSA, Relatore di minoranza per la VIII Commissione. Grazie, Presidente. Tre anni per arrivare a questo punto: per avere un disegno di legge sul consumo di suolo finalmente in Aula. Dopo tre anni abbiamo che la maggiore associazione – credo – il Forum «Salviamo il paesaggio», che ha proposto e spinto questo disegno di legge a livello nazionale, – almeno in Italia e in altri Paesi si è già legiferato per la tutela del suolo – ebbene il Forum «Salviamo il paesaggio» ci dice: fermatevi o modificate la legge, la sistemate e la fate andare veramente verso una riduzione del consumo di suolo, uno stop al consumo di suolo entro il 2050, altrimenti conviene che questa norma, così com’è, non passi. Credo che sia l'esempio perfetto per dimostrare quanto il lavoro fatto in Commissione abbia fatto male alla proposta iniziale che, seppur ritenuta debole dallo stesso MoVimento 5 Stelle e da me che ho seguito il provvedimento, comunque era sicuramente migliore rispetto alla proposta che oggi veniamo qui ad analizzare in Aula.
  Abbiamo un disegno di legge che non mira a stabilire uno stop al consumo di suolo ma solamente al contenimento del consumo di suolo, un contenimento proporzionale fatto su basi che non hanno alcun fondamento scientifico. Comunque l'articolo 1 tutto sommato perlomeno definisce il suolo come bene comune: non viene accettata questa definizione all'interno del testo unico ambientale, però almeno viene citata all'interno delle finalità e gli ambiti della legge.
  L'articolo 2, invece, considera tutte le definizioni e all'articolo 2 abbiamo che le definizioni non sono efficaci: sono state modificate talmente tanto che non consentiranno veramente il calcolo effettivo del consumo di suolo ma ci saranno dei calcoli fittizi che non potremo neanche andare a valutare con certezza perché, ad esempio, in base ad alcune definizioni si potrebbe arrivare a dire che non è consumo di suolo fare un parcheggio con autobloccanti a verde. Mi pare evidente per qualunque cittadino che quello è suolo consumato; oppure tutte le aree dove ci saranno ad esempio dei servizi pubblici classificati come servizi pubblici di livello generale locale saranno suolo che non viene perso, non viene consumato: viene considerato già consumato anche se è suolo a tutt'oggi verde, utilizzabile per l'agricoltura. Anche le aree agricole perderebbero il loro carattere di area agricola, di suolo non consumato se sono dotate di opere di urbanizzazione primaria. Questa è la situazione di queste definizioni che ci portano a dire che un disegno di legge che parte con definizioni sbagliate, inapplicabili scientificamente, probabilmente non è applicabile. Inoltre nella buona prassi di una città come Roma, dove colleghi come Morassut, ex assessore all'urbanistica, ma anche molti altri che stanno qui in Parlamento seduti con noi, hanno distrutto l'urbanistica della città, finalmente inseriamo in una legge la compensazione e la mitigazione, principio che è molto rischioso perché stabilisce che i diritti edificatori sostanzialmente sono dei diritti. Crediamo invece come MoVimento 5 Stelle ma come credono anche molti altri Stati esteri (c'era l'esempio anche della Francia) che è lo Stato che Pag. 27decide, è il comune, è il pubblico che decide l'organizzazione delle città, decide come si devono espandere, che strutture e che servizi servono: fa costruire prima i servizi, fa costruire prima le strade e i collegamenti dopodiché si pensa all'edilizia. In Italia si va al contrario: prima si riconosce il diritto del privato, che non sta scritto da nessuna parte né in Costituzione né in altri testi se non nell'interpretazione di alcuni assessori all'urbanistica del partito di maggioranza ma anche dell'opposizione perché anche la destra ha fatto i suoi danni in materia. Diciamo che la scuola l'hanno fatta Veltroni, Alemanno, insomma queste giunte romane che hanno distrutto completamente la concezione di pianificazione del territorio e quindi si inserisce in una norma finalmente la compensazione e la mitigazione: un danno accertato sicuramente alla buona pianificazione del territorio e al riconoscimento che il pubblico ha un interesse prevalente rispetto al privato.
   L'articolo 3 parla del limite del consumo di suolo: praticamente viene messo in piedi un meccanismo a cascata che, secondo i calcoli spannometrici che abbiamo fatto, se tutto andasse bene senza l'applicazione di alcun potere sostitutivo perché magari non viene emanato il decreto, non viene fatto il lavoro richiesto ai comuni e alle regioni, se andasse tutto liscio ci vorrebbero almeno due anni per arrivare alla chiusura di tutte le pratiche e quindi all'applicabilità del disegno di legge. Questo vi dimostra che in un Paese come l'Italia dove sappiamo come funzionano queste cose, questo disegno di legge sarà inapplicabile per i prossimi cinquant'anni come minimo.
  Ma andiamo avanti: abbiamo la priorità del riuso. Finalmente all'articolo 4 è stato inserito, naturalmente su sollecitazione nostra (poi vengono approvati soltanto gli emendamenti della maggioranza ma su sollecitazione nostra e delle altre opposizioni) il censimento degli edifici sfitti, pubblici e privati, e finalmente viene accolta una delle richieste, il censimento, provenienti anche dal Forum «Salviamo il paesaggio» a cui pochissimi comuni hanno risposto negli anni passati. Tale censimento porta finalmente a sapere quali sono le disponibilità di alloggi e di spazi edificati inutilizzati in un territorio comunale in modo da evitare di costruire ancora solo per la speculazione edilizia di qualche privato che ha delle aree vergini da poter edificare per specularci.
  È molto più interessante per il pubblico, nell'interesse pubblico, andare a vedere se ci sono già degli edifici sfitti, abbandonati, inutilizzati, delle aree industriali abbandonate da recuperare ed è questo a cui dobbiamo mirare nei prossimi anni, certamente non dobbiamo mirare a perdere nuovo territorio. L'articolo 5, la rigenerazione urbana. Per quanto possa essere importante spingere sulla rigenerazione urbana, ricordo che questa legge è stata modulata all'interno della Commissione ambiente e agricoltura proprio perché non si voleva parlare di urbanistica, hanno voluto tenere fuori l'urbanistica da questa legge. Dopodiché il Governo e la maggioranza fanno quello che vogliono e l'urbanistica la inseriscono. La inseriscono come ? Con una delega al Governo, una delega che rischia di togliere qualunque paletto dato dal Testo unico sull'urbanistica e che quindi potrebbe tranquillamente, nelle aree di rigenerazione urbana, dettare una normativa completamente avulsa da quello che viene applicato normalmente nelle altre aree, senza alcun paletto inserito, se non molto marginale e vago. L'articolo 6, i compendi agricoli neorurali, questo è il top dell'invenzione, della fantasia che si poteva trovare per inserire l'edificazione, la demolizione e la ricostruzione, fuori naturalmente dalle regole della classica urbanistica, all'interno degli spazi agricoli. Quindi un testo che voleva andare allo stop al consumo di suolo agricolo contiene all'interno un articolo che spinge e che promuove l'edificazione sui suoli agricoli, rischiosissimo perché vago, ma inserito per volere del Governo, e dobbiamo ricordarcelo, i relatori e il Governo hanno inserito questo articolo che, di certo, come diceva la relatrice Braga, per loro sarà migliorativo ma a noi preoccupa molto. Ci Pag. 28sono poi articoli sul divieto di mutamento di destinazione, sulle misure di incentivazione, sul registro degli enti locali, tutti articoli meno rilevanti per quanto riguarda la legge nei suoi aspetti fondamentali ma comunque importanti per stabilire che la rigenerazione deve essere premiata, la riqualificazione deve essere premiata rispetto alla costruzione ex novo. All'articolo 10 finalmente decidiamo che gli oneri di urbanizzazione saranno usati solo per le loro funzioni originarie, quindi opere di urbanizzazione primaria e secondaria, ed era quello che volevamo e su questo siamo molto felici sia stato finalmente accettato dopo tre anni di insistenze. L'articolo 11 è una deroga totale a tutto, sostanzialmente si dice che non è considerato consumo di suolo tutto quello che è già in corso all'interno delle amministrazioni locali e regionali e sostanzialmente si dà per consumato già una grande fetta del nostro Paese che non ci possiamo permettere di dare per persa. Quindi questa legge così come è, è un fallimento, la proposta di modificare ci sarà in Aula nel dibattimento e invito i relatori a prendere seriamente in considerazione gli emendamenti che proporremo perché saranno tutti nel testo importanti per modificare e rendere questa legge efficace. Ricordo a tutti che questa legge, se fosse fatta con criterio e funzionale e una legge applicabile domani, sarebbe una legge che può portare posti di lavoro e un rilancio dell'economia italiana, altrimenti sarà una legge che non possiamo applicare e che servirà solamente per aggirare e poter costruire ancora di più in zone agricole (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza per l'VIII Commissione, deputato Segoni.

  SAMUELE SEGONI, Relatore di minoranza per l'VIII Commissione. Signora Presidente, mi dice per favore quanto tempo ho a disposizione ? Dieci ? C’è proprio bisogno di una proposta di legge sulla tutela del suolo e il contenimento del suo consumo, perché il fenomeno del consumo di suolo ha assunto dei tratti a dir poco sconcertanti, l'ISPRA i suoi rapporti annuali fotografa bene questa tendenza, sia a livello di quantità – si calcola circa 7 metri quadrati persi ogni secondo in Italia di suolo vergine – e soprattutto anche in termini di qualità.
  Nell'ultimo rapporto ISPRA ha ben sottolineato che alla fine il suolo che andiamo a perdere, a cementificare e ad asfaltare attualmente è o suolo agricolo perfettamente fertile, quindi rinunciamo a coltivare cibo per andare a fare strade, parcheggi, infrastrutture, edifici, o, dall'altra parte, andiamo a consumare suolo esposto al rischio idrogeologico, perché sostanzialmente tutto il suolo che era sicuro, in posizione sicura, è già stato utilizzato per primo, quindi giunti a questo punto rimangono veramente soltanto le porzioni di terreno esposte a una dose rilevante di rischio. E pensare che il consumo di suolo è collegato anche a tutta un'altra serie di altri argomenti, per esempio i cambiamenti climatici. Pare strano ma è scientificamente provato che avere delle zone, all'interno delle aree urbane, di terreno vergine, verde, con una vegetazione rigogliosa, apporta enormi benefici in termini di mitigazione delle temperature estreme, quindi città più fresche vorrebbero delle ampie aree di verde all'interno del tessuto urbano, ma è importante anche da un punto di vista economico, non ci nascondiamo dietro un dito, l'edilizia è stato uno dei settori trainanti per il boom economico italiano. Il settore adesso è in crisi, ma è in crisi anche il beneficio che essa apportava alla società, infatti è stato altrettanto dimostrato che il periodo in cui più urbanizzazione portava a un maggiore benessere sociale adesso è stato superato e la tendenza è invertita. Adesso siamo in una fase in cui più si edifica, più si consuma suolo e più si degrada la qualità di vita e il benessere sociale ed economico delle comunità locali, perché si vanno a fare dei danni non solo da un punto di vista ambientale ma anche proprio a livello economico: deprezzamento degli edifici, quindi perdita di valore immobiliare, Pag. 29oppure danni anche indiretti all'agricoltura. Quindi, a seconda di tutte queste ragioni, c’è bisogno di un serio provvedimento per contenere il consumo di suolo. La domanda è: questo provvedimento va in questa direzione ? A nostro avviso la risposta è no, un provvedimento troppo blando, che raggiunge lo scopo in maniera soltanto parziale, colpa probabilmente dell'iter molto lungo e travagliato che ha subito nelle Commissioni, perdendo di passaggio in passaggio i suoi punti caratterizzanti e i suoi punti più forti. Partendo innanzitutto dal perimetro di applicazione, quindi dalle definizioni, inizialmente si parlava di suolo, poi si è parlato soltanto di suolo agricolo, poi si è cambiato la definizione di suolo agricolo, restringendolo sempre di più. Quindi, in poche parole, questo provvedimento si applica ad una fetta sempre minore del suolo italiano. Inoltre ci sono dei tratti decisamente molto blandi, come quello di imporre il consumo di suolo pari a zero nel 2050, che nel linguaggio politico significava «mai». C’è stata anche la diatriba se misurare il consumo di suolo in termini netti o lordi, ovvero al netto di compensazioni e mitigazioni. Questo significa – e viene sancito fin dalle definizioni – che in realtà si può consumare fattivamente del suolo, però, ai fini della legge, il suolo non risulta consumato perché altrove sono andato a fare delle opere di compensazione e di mistificazione che non vengono definite nella presente legge, perché c’è una delega al Governo che è quasi in bianco, perché non ci sono troppe indicazioni al riguardo. Inoltre sono state tolte dal perimetro di applicazione di questa legge le infrastrutture, che magari all'occhio inesperto possono sembrare soltanto una quantità marginale del solo consumato, perché siamo concentrati più nell'ambiente urbano, a identificare il consumo di suolo con gli edifici urbani, ma in realtà proprio ISPRA e l'Istat ci dicono che la porzione maggiore di suolo consumato viene consumata in Italia proprio per le infrastrutture, quindi farle salve è veramente una marcia indietro clamorosa.
  Inoltre, anche a livello di norme transitorie e di fattispecie che vengono fatte salve dall'applicazione, c’è un ampio ventaglio di possibilità che permettono di sfuggire – diciamo così – alle maglie di questo provvedimento, che è tutt'altro che restrittivo ed appare proprio un metodo per poter continuare a fare quello che si faceva prima, però sotto il cappello di una norma che ha dei buoni principi generali (ma rimangono soltanto i principi generali).
  Un altro rilievo all'articolo 3 lo spenderei brevemente sulla farraginosità della normativa, che prevede un incessante passaggio dallo Stato alla Conferenza Stato-regioni, alle regioni e ai comuni. Questo passaggio ci pare estremamente farraginoso e rallenterà notevolmente anche l'inizio dell'applicazione di questo provvedimento.
  In ultimo, sono state anche tolte tutte le leve economiche che potevano andare a favorire lo stop di consumo di nuovo suolo e la riconversione dell'edilizia in un settore più ecosostenibile e più orientato al recupero e alla rigenerazione. Tutte le leve economiche sono state smontate per motivi di equilibrio delle finanze pubbliche e alla fine le uniche leve economiche che poi vanno a prevalere, se non mettiamo niente per imprimere un cambio di direzione, sono quelle di rimanere nella direzione attuale, ovvero continuare a consumare suolo e continuare a fare edilizia semplicemente andando a cambiare nome agli interventi. Infatti, all'articolo 5 abbiamo la rigenerazione delle aree urbane e all'articolo 6 i compendi agricoli neorurali, che sono, a nostro modo di vedere, delle nuove forme per fare lo stesso business di prima, ovvero costruire senza criteri particolarmente accorti. Ci auguriamo che con questo passaggio in Aula sia possibile invertire la tendenza. Presenteremo emendamenti in tal senso, perché vogliamo una legge che sia efficace e coerente nell'attuazione pratica dei propri principi teorici.
  Spendo poi una parola sul fatto che ricorre pochissimo, in questo provvedimento, il concetto di rischio idrogeologico. A nostro modo di vedere il consumo di Pag. 30suolo ed il rischio idrogeologico devono andare a braccetto sotto l'ombrello dell'assetto del territorio. Cioè, la politica deve smettere di considerare provvedimenti a comparti stagni perché tutto è interconnesso e l'assetto del territorio è una materia molto generale, che in questa provvedimento deve essere trattata a 360 gradi. Quindi, presenteremo degli emendamenti in tal senso e ci auguriamo che si possa raggiungere un obiettivo di questo tipo.
  Inoltre, spingeremo anche per una più netta tendenza alla rinaturalizzazione e alla delocalizzazione degli edifici. Per delocalizzazione intendo demolizione e ricostruzione in aree più sicure e più opportune e ci auguriamo che, correggendo le storture che ho esposto in premessa e intervenendo con correttivi di questo tipo, si possa addivenire ad un provvedimento capace di rilanciare il comparto dell'edilizia, rilanciandolo, appunto, in modo che si possa coniugare la compatibilità ambientale e la qualità degli interventi, della manodopera chiamata ad intervenire e, quindi, ritornare ad avere un'edilizia che sia il nerbo portante dell'economia italiana, però più compatibile da un punto di vista ambientale ed anche economico.

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza per l'VIII Commissione, deputato Zaratti.

  FILIBERTO ZARATTI, Relatore di minoranza per l'VIII Commissione. Grazie, signora Presidente. Il provvedimento ora all'esame dell'Aula ha iniziato il suo iter travagliato nelle Commissioni VIII e XIII ben tre anni fa. Ci sono stati due testi base adottati e numerose e prolungate interruzioni: una volta per quattro mesi, poi cinque mesi, poi sei mesi, quindi sette mesi. Dunque, è stato inserito per ben due volte nel calendario dei lavori dell'Aula ed entrambe le volte rimandato.
  Il provvedimento in esame si pone l'obiettivo del contenimento del consumo del suolo quale bene comune e risorsa non rinnovabile nonché quello di favorire il riuso e il recupero del già edificato. Sotto questo aspetto è importante che nello stesso articolo 3 si specifichi espressamente che la riduzione progressiva e vincolante di consumo di suolo deve avvenire in coerenza con gli obiettivi stabiliti dall'Unione europea circa il traguardo del consumo del suolo pari a zero da raggiungere entro il 2050. Comunque, si prevede una fase transitoria in virtù della quale si blocca il consumo del suolo per tre anni dall'approvazione della legge, anche se la norma fa comunque salve opere, interventi già programmati, strumenti attuativi e procedimenti anche solo adottati. È evidente che ciò apre un vulnus importante su quel limite che invece aveva una valenza significativa.
  Ricordiamo che nel nostro Paese negli ultimi cinquant'anni il suolo è stato consumato ad un ritmo di 90 ettari al giorno di conversione urbana. Il territorio ricoperto dal cemento in Italia dal secondo dopoguerra è quadruplicato ed oggi è valutabile intorno al 7,5 per cento del territorio nazionale. Il rapporto 2015 sul consumo del suolo dell'ISPRA denuncia che 55 ettari di penisola ogni giorno vengono coperti da cemento – quasi sette metri quadrati al secondo – per costruire infrastrutture e centri commerciali. Ciò comporta nel tempo la trasformazione di spazi aperti rurali in nuove aree edificate e urbanizzate.
  L'82 per cento dei comuni sono esposti al rischio idrogeologico e quasi 6 milioni di persone vivono in aree ad alto rischio. L'Ispra calcola che il 20 per cento della fascia costiera italiana si sia ormai perso in una cementificazione che non ha risparmiato neanche 34 mila ettari di aree protette e di zone a rischio idrogeologico. Non solo: la progressiva impermeabilizzazione del territorio avviene soprattutto nelle zone pianeggianti più fertili e produttive e impedisce non soltanto l'assorbimento delle piogge, aumentando il rischio di alluvioni, ma anche lo stoccaggio di CO2, di cui il comparto suolo è responsabile per il 20 per cento, a tutto danno dell'atmosfera.Pag. 31
  Gli obiettivi del provvedimento, quindi, sono assolutamente condivisibili, ma il fatto è che purtroppo sono stati tradotti in un articolato che è una sorta di meccanismo infernale. Quello che ne è scaturito, dopo l'esame in sede referente, è un testo di compromesso, con alcune norme indigeribili, infarcito di norme e di procedure ridondanti. Il provvedimento, infatti, è pieno di inutili lungaggini, farraginosità nelle procedure e nelle parti attuative, così come nelle divisioni e nell'assegnazione di ruoli e di competenze nonché nelle ripetute e concatenate scadenze che rischiano di non vedere mai la piena attuazione. A questo aggiungiamo una serie di procedure introdotte che prevedono ben cinque esercizi di potere sostitutivo tra Stato e regioni e tra regioni ed enti locali. Raramente si era visto un testo di legge così baroccamente concepito.
  E proprio riguardo ai previsti cinque esercizi di potere sostitutivo, ricordo quanto ha scritto l'architetto e urbanista Vezio De Lucia: «Per quanto ne so, in materia di politica del territorio il potere sostitutivo dello Stato ai danni delle regioni non è stato mai esercitato. Basta ricordarsi delle generalizzate e mai sanzionate inadempienze regionali in materia di piani paesistici ex legge Galasso, per non dire dei piani paesaggistici ex codice del paesaggio».
  Molte delle previsioni contenute comportano uno scenario di incertezza legato alla definizione dei provvedimenti che dovranno essere recepiti nella pianificazione urbanistica di livello comunale per attuare la progressiva riduzione del consumo di suolo. Circa le modalità con cui viene prevista la riduzione del consumo di suolo dalla scala regionale a quella comunale, sempre De Lucia giustamente ha ricordato come «questo è uno di quei meccanismi a cascata – Stato, regioni, comuni – che non hanno mai funzionato. Figuriamoci in questa circostanza, quando sotto tiro sono quell'immane coacervo di interessi che comprende gli stati maggiori e le fanterie della proprietà fondiaria».
  Insomma, se tutto dovesse filare liscio e rispettare la tempistica prevista dal testo, tutta la parte attuativa vedrà la luce tra non meno di due anni. Per credere basta leggersi la cronologia dei soli provvedimenti attuativi previsti all'articolo 3 per limitare il consumo di suolo sul territorio nazionale. Uno, entro tre mesi dall'approvazione della legge, con regolamento ministeriale, si provvede a stabilire le modalità per il monitoraggio della riduzione del consumo di suolo e per verificare l'attuazione della legge. Entro sei mesi dall'approvazione della legge, con deliberazione della Conferenza unificata, sono stabiliti i criteri e le modalità per definire la riduzione vincolante del consumo di suolo a livello nazionale, con la stessa deliberazione sono individuati i criteri per determinare la superficie agricola. Se entro i previsti sei mesi non viene emanata la citata deliberazione, la Conferenza unificata ha ancora quindici giorni per adottare la deliberazione, altrimenti provvede il Governo con proprie deliberazioni. Entro nove mesi, ossia entro i successivi tre mesi dalla suddetta deliberazione, le regioni conseguentemente comunicano i dati relativi alla loro superficie agricola esistente, alle caratteristiche del loro territorio, all'esistenza di edifici utilizzati, al suolo già edificato, eccetera. Entro un anno dall'approvazione della legge, con decreto interministeriale, viene definita la riduzione progressiva vincolante del consumo di suolo a livello nazionale. Entro un anno e mezzo dall'approvazione della legge, ossia entro sei mesi dal suddetto decreto interministeriale, con deliberazione della Conferenza unificata, si stabilisce la ripartizione tra regioni della riduzione del consumo del suolo. Entro due anni dall'approvazione della legge, ossia entro sei mesi dalla suddetta deliberazione di cui al punto 5, le regioni dispongono ogni cinque anni la riduzione del consumo di suolo e intervengono conseguentemente sui criteri da rispettare nella pianificazione urbanistica comunale. Non aggiungo altro, la procedura si commenta da sé.
  Ma la cosa che riteniamo più grave è che il testo, che doveva prevedere solo misure finalizzate alla riduzione del consumo di suolo e alla tutela delle aree Pag. 32agricole, è stato in parte snaturato attraverso l'introduzione – e questo è l'aspetto più negativo del provvedimento – di norme meramente urbanistiche. Ci riferiamo non tanto alle previste misure, che sono contenute all'articolo 4, volte ad attuare politiche urbanistiche per la rigenerazione del recupero urbano, quanto agli orribili articoli 5 e 6. Con l'articolo 5 si interviene a gamba tesa su un provvedimento finalizzato alla riduzione del consumo di suolo, introducendo a sproposito una delega al Governo per intervenire appunto su una materia prettamente urbanistica, come quella prevista della rigenerazione delle aree urbane degradate, che avrebbe dovuto eventualmente trovare una sua collocazione all'interno delle proposte di legge che vertono su questa materia e che invece sono ferme da anni in Commissione ambiente. Come se non si bastasse, si prevede espressamente una procedura di intervento urbanistico semplificata e non si fa alcun riferimento chiaro alle volumetrie esistenti, né alle volumetrie che potranno essere realizzati dagli interventi di rigenerazione. Vale la pena ricordare che già la legge di stabilità per il 2016 ha previsto un finanziamento di 500 milioni per il 2016, un programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana, la sicurezza delle periferie delle città metropolitane e dei comuni capoluogo di provincia, finalizzato alla realizzazione di interventi urgenti per la rigenerazione delle aree urbane degradate. Se si voleva intervenire urbanisticamente sui suddetti ambiti si poteva quindi farlo integrando e modificando le norme previste dalla legge di stabilità per il 2016. Peraltro, in Commissione è stata soppressa l'unica previsione positiva dell'articolo 5, che introduceva delle agevolazioni volte a incentivare gli interventi di ristrutturazione edilizia, tra cui quella di prevedere che i comuni deliberassero per gli interventi su edifici esistenti, che i costi di costruzione ad essi relativi siano inferiori ai valori determinati per le nuove costruzioni.
  Sempre con riferimento a norme che nulla hanno a che fare con il consumo di suolo, ma riguardano ancora una volta la materia urbanistica, con l'articolo 6 si sono introdotte norme per i compendi agricoli neorurali, ossia previsioni urbanistiche per la riqualificazione degli insediamenti rurali. La stessa Commissione cultura, nel suo parere, ha segnalato la portata ambigua e potenzialmente pericolosa della nozione di compendio neo-rurale. L'obiettivo dovrebbe essere quello del recupero edilizio dell'insediamento rurale, ora definito compendio agricolo neo-rurale per finalità di nuovo sviluppo economico sostenibile, mentre in realtà riguarda la trasformazione dell'edilizia rurale in attività amministrative, servizi ludico-ricreativi, turistico ricettivi, ambulatori medici, con l'evidente possibilità di cambio di destinazione d'uso.
  Insomma, si interviene urbanisticamente su insediamenti rurali, che perderanno gran parte del loro carattere agricolo attraverso demolizioni e ricostruzioni, ricostruzioni che si prevede che non potranno occupare una superficie maggiore di quella occupata originariamente, nulla si dice sul rispetto delle volumetrie originali. Da una legge dei Ministeri agricoltura e ambiente ci si doveva aspettare piuttosto la definizione dell'estensione dell'uso dei terreni coltivati dal compendio agricolo neo-rurale di quale tipo di agricoltura dovesse essere esercitato e non di un intervento urbanistico. Per il resto, le poche disposizioni positive volte a favorire e agevolare i comuni più virtuosi nelle politiche di riduzione del consumo di suolo e degli interventi di recupero e riuso urbano sono previste rigorosamente senza oneri per la finanza pubblica e, quindi, senza risorse ad esse destinate. Questo dà la certezza che non si andrà oltre le buone intenzioni e che il tutto rimarrà lettera morta.

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la rappresentante del Governo.

  ILARIA CARLA ANNA BORLETTI DELL'ACQUA, Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo. Grazie Presidente. Dunque, in merito agli Pag. 33interventi fatti il Governo si riserva di esprimere le proprie valutazioni in sede di esame degli articoli e degli emendamenti, tuttavia mi preme fare qualche breve considerazione generale. Le prime leggi sul consumo di suolo in Europa risalgono al dopoguerra, in particolare all'Inghilterra, in particolare al 1946. Quindi, quando il collega relatore di minoranza ha parlato di un ritardo storico, che ha caratterizzato le scelte del nostro Paese in questi ambiti, ha toccato un tasto dolente. Gran parte degli altri Paesi ha assunto leggi e norme in questo ambito, affidando allo Stato il compito di normare questo oltre venti o trenta anni fa. Quindi, non vi è dubbio che questa proposta di legge finalmente colmi un vuoto enorme. Mi pare anche doveroso sottolineare il fatto che si parli di suolo, di territorio, e qui mi rifaccio ad una delega specifica del nostro ministero, quindi di ciò che del territorio è l'identità, quindi del paesaggio, come beni comuni, e che le parole cardine di questa proposta di legge siano «riuso» e «rigenerazione», parole che, ripeto, già di per se stesse rappresentano una svolta fondamentale.
  Si affronta il tema degli oneri di urbanizzazione. Gli oneri di urbanizzazione sono stati nel loro improprio uso una delle cause maggiori della distruzione, qui, ripeto, mi rifaccio sempre ad una delega, che peraltro mi è propria, del paesaggio e della cattiva gestione del territorio, essendo anche una delle cause maggiori della fragilità del nostro territorio, che è stato assalito, come giustamente è stato ricordato sia dai relatori di minoranza che da quelli di maggioranza, da una cementificazione completamente incontrollata. Si affronta anche il problema di un adeguamento di queste norme, in modo che non vi sia più nel nostro Paese una situazione per cui il territorio viene tutelato in un comune e non lo sia poi in un altro, viene tutelato in una regione e invece in un'altra venga assalito in maniera completamente incontrollata da qualunque forma di cementificazione. Questo, in un territorio difficile come il nostro, in un paesaggio che esprime identità varie, ma legate da fili culturali comuni, mi pare una scelta molto, molto importante e che va sottolineata.
  In conclusione, voglio semplicemente dire che è augurabile che il dibattito parlamentare possa sottolineare l'importanza di questa svolta, sottolineando il fatto che lo strumento di controllo della gestione del territorio e quindi, insisto, del paesaggio, che del territorio ne è l'identità, è bene che venga affidata allo Stato, proprio per sottrarla a quegli interessi locali che sono stati spesso la causa dei disastri a cui tutti assistiamo. Mi pare che vi sia una convergenza di tutti i colleghi che hanno parlato, al di là delle loro diverse posizioni, sul fatto che si deve rimediare a una situazione che ha portato dei danni enormi nel nostro Paese, anche a causa proprio di una fragilità intrinseca che il territorio del nostro Paese comporta.
  Ecco, spero che questa convergenza nella visione che a questo danno, che ha molti decenni e che ha avuto molti padri e molti padrini, si debba porre rimedio, possa portare a non sottrarre a questa proposta di legge il senso di quello che vuole essere: un passo avanti fondamentale nella protezione e nella tutela dei beni comuni (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Realacci. Ne ha facoltà.

  ERMETE REALACCI. Grazie Presidente. I relatori per la maggioranza, Braga e Fiorio, hanno illustrato con chiarezza i contenuti del provvedimento e io vorrei fare un'operazione anche di franchezza e di verità. Il provvedimento è stato difficile, è difficile, perché è un provvedimento complicato. Ne abbiamo discusso a lungo e c’è da tener conto di vari interessi. Ha ragione su una cosa il collega De Rosa: è un provvedimento che poi alla fine inevitabilmente è finito anche a trattare di urbanistica perché non si è riusciti a tenere separata la questione del consumo di territorio dalla questione, appunto, dell'uso delle città, di dove orientare l'attività dell'urbanistica. È un provvedimento che, Pag. 34come ricordava anche adesso il sottosegretario, viene in un Paese che su questo fronte ha pagato un prezzo salato a brutte politiche urbanistiche, per non parlare dell'abusivismo. Ma abbiamo avuto anni di barbarie e io dico soltanto come esempio che anni fa un alto funzionario della FAO mi ha raccontato che a un certo punto, negli anni Cinquanta, avevano bisogno di uno spazio dove costruire un nuovo edificio perché ne avevano bisogno e il comune di Roma di allora gli offrì il Circo Massimo perché, siccome c'era quello spazio dentro la città, tanto valeva in qualche maniera riempirlo. Ecco, fortunatamente la cultura è cambiata, ma mettere mano a una legge di questo tipo è difficile perché bisogna tener conto degli interessi e del funzionamento dei comuni e delle regioni. E in questo invito i colleghi a non essere esterofili perché è vero che l'Italia ha avuto pessime politiche urbanistiche, ma quando si scrivono queste leggi è difficile farlo anche in altri Paesi. Qui tutti citano la Germania e io l'ho letta la legge tedesca. La legge tedesca è più debole di quella italiana, come obiettivi, e la Germania è il Paese che in sede europea si è opposto al fatto che l'Europa avesse una normativa più stringente sul consumo di territorio perché la partita è complicata. Ora sentiremo parlare nel dibattito e abbiamo già sentito parlare da fronti opposti. Da un lato, c’è chi dice che questa legge addirittura favorisce la cementificazione. È stato detto anche questo, con raro sprezzo del ridicolo. Dall'altro lato, ci sono colleghi di Forza Italia che hanno detto, accusando me in particolare, che questa legge rappresenta un esproprio proletario e che non sarebbe stata mai portata in Aula perché il PD si sarebbe opposto e, infatti, la maggioranza e il PD hanno chiesto che questa legge venisse in Aula e penso possa essere anche migliorata. La verità è che questo passaggio è un passaggio difficile, necessario e possibile oggi. È difficile per i motivi detti: ci sono molti interessi, c’è stato un cattivo uso dell'urbanistica, come hanno ricordato in vari. Mi sembra che sia il collega Fiorio che la collega Braga abbiano detto, tra l'altro, che purtroppo gli oneri di urbanizzazione sono diventati un pezzo della fiscalità generale in una fase di restringimento delle risorse per i comuni. Ciò ha fatto sì che abbiamo fatto delle politiche non nell'interesse del futuro, ma nell'interesse della cassa. Questo è un problema. Come è un problema il fatto che una parte di queste previste urbanizzazioni che non si faranno mai sono oggi in pancia a banche e a imprese; sono a garanzia, sono crediti inesigibili, come si suol dire, ma fare un'operazione di verità non è indolore. Quindi, è un provvedimento difficile. È un provvedimento necessario, è stato detto: il consumo di territorio, i 7 metri quadri al secondo, l'abusivismo, il dissesto idrogeologico, la tutela del paesaggio. È un provvedimento, però, oggi possibile. Perché è possibile ? È possibile perché sta cambiando l'edilizia, che è il settore più colpito dalla crisi. Io ricordo che nell'edilizia si sono persi dall'inizio della crisi oltre 500 mila posti di lavoro. L'edilizia oggi è in larga parte, per circa il 70 per cento, un'edilizia di manutenzione ordinaria e straordinaria; è un'edilizia di qualità. Noi l'abbiamo favorita questa edilizia perché provvedimenti che vanno resi più forti e stabilizzati come il credito di imposta e l'ecobonus hanno mosso enormi settori, lavoro imprese, innovazione.
  Nel gennaio di quest'anno l'investimento attivato dal credito di imposta e dall'ecobonus è stato di 4,7 miliardi di euro, quasi il doppio del gennaio dell'anno scorso, che era stato un mese invece basso. E nel 2014 questi settori hanno mosso 28,5 miliardi di euro, con una ricaduta occupazionale fra diretto e indotto di 445 mila posti di lavoro. Allora, per capirci, questo è un mondo che sta cambiando e quando si critica il fatto che ci siano interventi anche di semplificazione sulla rigenerazione urbana, non si capisce che questi sono effettivamente la possibilità di contenere il consumo di suolo. Il consumo di suolo si contiene se noi ritorniamo a costruire bellezza, se noi diamo dignità al progetto, se noi demoliamo e ricostruiamo e, come sta accadendo in alcune nostre città, se noi riqualifichiamo aree urbane. Pag. 35Questo significa anche regole più semplici, regole certe e trasparenti, incentivi per chi va in questa direzione. Anch'io mi auguro che sia possibile che questi incentivi già in questa legge prendano anche la direzione di incentivi di natura fiscale, che fanno capire che chi riqualifica un immobile deve pagare di meno di chi consuma nuovo suolo. Alcuni comuni lo stanno già facendo. Milano già dà degli incentivi in questa direzione. Però è chiaro che questo apre una possibilità di cambiamento forte e, aggiungo, si incrocia con la delega sugli appalti. Una parte importante del consumo di territorio è legata alle grandi opere pubbliche. Nella delega sugli appalti ci sono dei cambiamenti fortissimi: si prevede il débat public nel determinare le opere pubbliche; si prevede una forte selezione sulle opere pubbliche; si ridà forza e dignità al progetto che prima era soltanto sostanzialmente ancillare rispetto all'appalto. Quindi, ricostruire bellezza, ridare dignità al Paese. Un grande architetto e un grande scrittore, Vitruvio Pollione, che ha scritto un trattato notissimo – adesso Chiara lo conoscerà sicuramente meglio di me per le sue qualità professionali –, sosteneva che un'opera pubblica deve essere caratterizzata da utilitas, firmitas e venustas, cioè da utilità nella funzione, solidità statica e da materiali di qualità e da bellezza estetica. Non potremmo dire cose diverse oggi, ma non è la strada che abbiamo sempre seguito. Il fatto che oggi si stia cambiando rotta, anche nelle opere pubbliche, ci aiuta ad andare nella giusta direzione.
  Per questo la presente legge, difficile e necessaria, è oggi possibile. Ed è possibile anche e soprattutto se, come hanno detto in vari, noi ci dotiamo di un sistema conoscitivo adeguato. È vero, noi nel fare questa legge abbiamo ballato perché i dati sono diversi, perché le banche dati sono diverse, perché le definizioni sono diverse. Invece questa legge aiuta a dare una lettura comune perché, come diceva Kuhn, che era un grande epistemologo, «solo ciò che è misurabile è migliorabile» e questa legge aiuta anche a leggere in maniera omogenea il nostro Paese, ad avere un'idea di futuro, a muoverci in quella direzione e a dare forza a un'economia che cresce perché produce qualità e bellezza e non perché distrugge il territorio. Ci riusciremo ? Io penso di sì. Questo tentativo è stato fatto seriamente e chi se ne tira fuori si assume tutte le sue responsabilità (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Parentela. Ne ha facoltà.

  PAOLO PARENTELA. Grazie Presidente. Il suolo rappresenta la vera pelle del nostro pianeta e dell'interfaccia tra terra, aria, acqua e ospita gran parte della biosfera. La produzione di cibo dipende da questo sottile strato di terra profondo da 30 a 100 centimetri. Cinquecento anni è il tempo minimo necessario alla formazione di uno spessore di 2,5 centimetri di suolo. Per questo motivo, il suolo è considerato una risorsa non rinnovabile; è la più grande e importante risorsa non rinnovabile. Il 95 per cento del cibo sulla nostra tavola arriva dal suolo agricolo. Una gestione globale e sostenibile del suolo potrebbe produrre il 58 per cento di cibo in più. Il suolo ospita un quarto della biodiversità del pianeta. Ci sono più organismi in un cucchiaio di terra che persone sulla Terra. Ci vorrebbero 143 tir per portare via i 3,8 milioni di litri d'acqua che un ettaro di suolo non cementificato può invece arrivare a trattenere spontaneamente.
  Il suolo libero è il maggior deposito di carbonio sulle terre emerse. Nei primi 30 centimetri di suolo agricolo si accumulano 60 tonnellate di carbonio per ettaro; in un suolo urbanizzato: zero. Il suolo immagazzina 4 mila miliardi di tonnellate di carbonio. La perdita di aree naturali e agricole produce emissioni di CO2 in atmosfera, peggiorando i cambiamenti climatici. Ogni anno nel mondo si perdono 50 mila chilometri quadrati di suolo. In Europa, 11 ettari di suolo vengono consumati ogni ora dall'urbanizzazione. Questi 11 ettari di suolo ogni ora diventano delle vere e proprie città.Pag. 36
  In Italia, in soli quattordici anni, dal 1998 al 2012, si sono consumati oltre 360 mila ettari di suoli agricoli. La superficie urbanizzati, in Italia, corrisponde a 2 milioni e 189 mila ettari, il 7 per cento della superficie totale. Secondo l'ISPRA, l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, si prevedono circa 8 metri quadrati al secondo di suolo libero che viene impermeabilizzato. Le conseguenze riguardano la sovranità alimentare, la gestione delle acque e le emissioni di CO2. Ogni giorno, perciò, il nostro bel Paese perde una superficie in grado di produrre cibo per 420 persone. Aumenta, invece, di 250 milioni di litri il volume potenziale di acque da gestire, provocando un aumento potenziale di CO2 emessa pari 17.250 tonnellate.
  La maggiore concentrazione di superfici agricole consumate si è registrata al nord (parliamo di più di 186 mila ettari), seguito dal centro (137.762 ettari) e dal sud (131.451 ettari). Per quanto riguarda la composizione della SAU, che è la superficie agricola utile, i seminativi coprono il 55 per cento della superficie, i terreni a prato e a pascolo il 27 per cento e il rimanente, l'8 per cento, è occupato da coltivazioni permanenti. I dati dell'ISPRA relativi al quinquennio 2008-2013 ci mostrano come il consumo di suolo abbia inciso prevalentemente nelle aree agricole – parliamo del 59 per cento –, interessando in modo particolare i terreni a seminativo; l'8 per cento, invece, riguarda alberi e arbusti; il 22 per cento riguarda le aree urbane permeabili e addirittura il 19 per cento le aree naturali.
  Le conseguenze ambientali dovute alla crescente impermeabilizzazione di aree coltivate sono gravissime, in quanto il consumo di suolo in questa tipologia di terreni determina la perdita della funzionalità di riciclo degli elementi nutritivi, la diminuzione della capacità di assorbimento di CO2, la perdita dell'agrobiodiversità dovuta alla frammentazione degli habitat e, non ultima, la distruzione del paesaggio. Del resto, cosa potevamo aspettarci da questo Governo, che ha dato l'esempio al mondo di come non vuole contrastare questo fenomeno ? Parlo del «famoso» Expo, che ha sacrificato una regione come la Lombardia che è in testa alla classifica europea sul consumo di suolo, passando da una superficie urbana di 209 metri quadrati per abitante nel 1950 a 719 metri quadrati per abitante nel 2000: valori doppi non solo rispetto alla media italiana, ma anche rispetto a quella di tutta l'Europa occidentale. È quella Lombardia che ha ospitato la grande truffa per le tasche dei cittadini italiani chiamata Expo, in cui si doveva discutere di come nutrire il pianeta insieme a quelle multinazionali che l'hanno affamato. È la stessa regione che, sotto lo slogan «Nutrire il pianeta» dei partiti di destra e di sinistra, ha cementificato mille ettari di suolo agricolo, espropriato ad aziende agricole zootecniche, e speso 2,4 miliardi di euro per la costruzione di un'autostrada deserta, la BreBeMi. Poi bisogna considerare tutte le infrastrutture connesse, che gravitano intorno a Expo. Sono numerose e hanno avuto e hanno tuttora la consistenza del cemento e l'odore dei nostri soldi pubblici.
  Il suolo, la più non rinnovabile delle risorse, ha diversi punti deboli che minacciano la sua vitalità: l'impermeabilizzazione, come detto prima, l'erosione, l'impoverimento di materia organica, la perdita di biodiversità, la contaminazione attraverso l'inquinamento, la salinizzazione, la compattazione, perché i suoli comunque respirano, e poi ci sono le frane e gli smottamenti che sono fenomeni causati dal famoso dissesto idrogeologico. La cementificazione, tra le diverse modalità di consumo, è la più importante e la più irreversibile: da lì non si torna mai indietro, fosse anche di un centimetro quadrato. L'urbanizzazione non è solo il cambiamento che più compromette la capacità di stoccaggio del carbonio nel suolo, ma è anche un cambiamento che va ad inserire funzioni e attività che, a loro volta, emetteranno CO2.
  Insomma, se al posto di un campo agricolo ci sarà una villetta, nella migliore delle ipotesi, la perdita che dobbiamo calcolare sarà quella dell'intera interruzione Pag. 37della funzione di stoccaggio, della progressiva riemissione di carbonio sotto forma di CO2, dell'emissione di CO2 durante le fasi di costruzione della casa e per la produzione di materiali di costruzione e, infine, l'emissione periodica che si avrà durante la vita dell'immobile e dei suoi abitanti. Quello che era un frammento di suolo in equilibrio o con un bilancio addirittura favorevole diviene, in poche parole, una tessera in perdita e che accumula perdite nel suo ciclo di vita.
  Per arginare il consumo di suolo, l'Unione Europea sta rafforzando il quadro normativo di riferimento da diversi anni, tanto che la corretta gestione dei suoli è stata identificata come un'azione prioritaria nella strategia Europa 2020, con l'obiettivo di raggiungere, a livello europeo, un'occupazione netta dei terreni pari a zero entro il 2050. Allo stato attuale, gli interventi comunitari sono per lo più di indirizzo e devono essere necessariamente integrati con un quadro legislativo nazionale e locale che ne consenta un'adeguata applicazione, cosa che purtroppo non fa questa legge di cui stiamo parlando oggi in Aula e che stiamo esaminando.
  Le tre fondamentali sovranità su cui si regge uno Stato democratico sono la sovranità monetaria, la sovranità energetica e la sovranità alimentare. Quest'ultima ha a che fare con la possibilità per gli Stati, come per le comunità locali, di decidere autonomamente che cosa produrre, di scegliere metodi di coltivazione sostenibili e rispettosi dell'ambiente e delle tradizioni locali, di decidere su quali mercati e a quali destinatari indirizzare gli alimenti. Tutto ciò, a sua volta, si basa su un altro principio fondamentale, che è quello della sicurezza alimentare, secondo il quale tutte le persone, in ogni momento, devono poter aver garantito l'accesso fisico, sociale ed economico ad alimenti sufficienti, sicuri e nutrienti, che garantiscono le loro necessità e preferenze alimentari per condurre una vita attiva, dignitosa e sana. Queste sono le parole della FAO, pronunciate nel lontano 1996.
  Il consumo di suolo agrario è un attacco diretto alla sovranità alimentare. Tra il 1990 e il 2006 i diciannove Paesi membri dell'Unione europea hanno cementificato terreni agricoli, contraendo la loro produzione interna annua per un equivalente di oltre 6,1 milioni di tonnellate di frumento, pari all'1 per cento della produttività annua europea. Può sembrare nulla, eppure per compensare questa perdita interna sono state convertite ad agricoltura soia, cereali, barbabietola da zucchero in centinaia di migliaia di ettari naturali in Paesi africani, sudamericani e nord americani.
  Le ripercussioni del consumo di suolo locale si manifestano spesso a una scala diversa da quella su cui lavoriamo e dominiamo, arrivando a mettere a rischio il benessere in Paesi lontani, persino i già precari rapporti internazionali tra noi e questi Paesi. Cito l'esempio dell'Egitto, che è un nostro fornitore di grano: già nel 2013 era in forte sofferenza per incapacità di soddisfare pienamente la domanda interna, ma, allo stesso tempo, vedevamo queste navi cariche di cereali che salpavano dai porti dell'Egitto, volte all'Europa affamata e sprecona, oltre che incapace da anni di soddisfare la propria domanda interna, anche per via del fatto che si è contratta, sotto la scure del cemento, la superficie agricola utile.
  La domanda che oggi deve informare l'inizio di ogni progetto di territorio è se possiamo continuare a permetterci di cementificare i terreni agricoli del mondo, come, ad esempio, la Pianura padana, e mettere a repentaglio la sovranità alimentare delle popolazioni di altri Paesi, assieme ovviamente agli equilibri di pace internazionale. La distanza tra la decisione urbanistica del sindaco del comune più piccolo in Italia e una crisi internazionale è molto più corta di quanto siamo convinti.
  Presidente, io volevo sfruttare altro tempo, anche perché la deputata Mannino è assente e, quindi, volevo prolungare l'intervento.

  PRESIDENTE. Non ho iscritta a parlare la deputata Mannino. Tra gli iscritti del suo gruppo c’è lei e l'onorevole Busto, entrambi con dieci minuti.

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  PAOLO PARENTELA. Va bene. Presidente, concludo il mio intervento. Credevo di avere un po’ più tempo, Presidente. In Italia il consumo di suolo è stato creato da interessi rapaci e da piani urbanistici dissennati e frammentati tra migliaia di comuni. Se è corrotta la nostra idea di suolo, lo diventano anche le azioni che ne seguono. Senza cultura del suolo non si mette in moto né la responsabilità né l'indignazione né la volontà di cambiare, di innovare e neppure la creatività o la fiducia e non si può abbandonare la vecchia via per quella nuova. La questione del suolo ci riguarda tutti indistintamente. Il suolo, come dice Salvatore Settis, dipende unicamente dal comportamento degli inquilini del piano di sopra ai quali dobbiamo accendere il desiderio di tutelarlo. Il suolo è un bene comune ma il suolo non si salva da solo, serve un progetto culturale nuovo che guardi il bene suolo da un'altra prospettiva: un'idea di città, di Paese e di cittadinanza diversa. Siamo noi che dobbiamo salvarlo, la nuova generazione politica: chi fino ad oggi è stato causa del problema non può proporre oggi una soluzione, proponendo, ad esempio, questo disegno di legge farlocco e ipocrita. Questo Governo continua ad usare come foglia di fico le buone intenzioni per poi pugnalare alle spalle i cittadini e le prossime generazioni, facilitando quindi gli speculatori del cemento. Il suolo e le tasche dei cittadini non sono un bancomat: 2,5 centimetri di suolo impiegano cinquecento anni a generarsi, invece un'escavatrice ci mette tre secondi a distruggerlo.

  PRESIDENTE. Adesso deve concludere, onorevole Parentela.

  PAOLO PARENTELA. Termino. Ritirate questo provvedimento, ascoltate l'appello che i comitati e le associazioni del Forum «Salviamo il paesaggio – difendiamo i territori» stanno lanciando in queste ore per costruire insieme a tutti loro un impianto normativo davvero efficiente e concreto che dica veramente stop al consumo di suolo. Non sono un cattolico praticante ma non posso non citare le parole importanti di Papa Francesco durante una conferenza internazionale della FAO, parole semplici, dirette nonché rivoluzionarie: «Dio perdona sempre, l'uomo perdona a volte, la terra non perdona mai» (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Giovanni Monchiero. Ne ha facoltà.

  GIOVANNI MONCHIERO. Grazie, Presidente. Il disegno di legge e le proposte di legge ad esso abbinate e tradotte nel testo unificato in sede di Commissione affrontano un tema sul quale oggi c’è effettivamente una sensibilità nuova ma non possiamo non evidenziare la lentezza con la quale questo argomento arriva in Parlamento. Da quando nel 2012 per la prima volta un disegno di legge governativo sul consumo di suolo venne approvato in Consiglio dei ministri – era ai tempi del Governo Monti – le statistiche ci dicono che da allora il cemento ha divorato 80.000 ettari di terreno libero, che sarebbe più o meno otto volte l'estensione di una città come Parigi. Ora il cemento è un consumatore piuttosto ambizioso, predilige i terreni migliori, quelli più comodi, quelli economicamente ed ecologicamente fondamentali, quelli pianeggianti, fertili, che servono per la produzione di cibo, per le funzioni ecosistemiche quale l'assorbimento delle acque piovane, il mantenimento della giusta temperatura atmosferica, la garanzia di un habitat per le innumerevoli specie vegetali e animali, solo per citare alcune di queste prerogative del nostro terreno – chiamiamolo – libero. Ora l'Italia, essendo un Paese ad alta densità abitativa e con una storia di scarsa attenzione al migliore utilizzo del suolo, vanta alcuni primati. Qualche statistica – le statistiche sono sempre da prendere con beneficio d'inventario – sostiene che, al di là dell'alta montagna e degli specchi d'acqua, noi avremmo edificato l'11 per cento del territorio nazionale. Ora, che questa statistica sia esatta o che Pag. 39sia leggermente magari eccessiva, esagerata, rimane comunque che il problema è drammatico. Tutti noi abbiamo sotto gli occhi la visione delle nostre coste dove in alcune regioni la percentuale di costa edificata raggiunge un terzo o anche più del complesso della linea appunto che si affaccia sul nostro mare. Ora questo consumo di suolo è un male di per sé, come già ricordato da molti interventi che mi hanno preceduto, a cui va aggiunta anche la dissennatezza con la quale, in alcune circostanze, si costruisce anche in aree a rischio idrogeologico, compromettendo la capacità di affrontare eventi atmosferici magari di straordinaria gravità. Duecentomila ettari di edificato sorgono in zone considerate a rischio idrogeologico in un Paese in cui ad ogni evento climatico avverso – purtroppo negli ultimi tempi questi eventi sono sempre più frequenti – corrisponde una catastrofe naturale con danni ingenti e talvolta con vittime umane. Quindi per queste ragioni è fondamentale approvare rapidamente una legge che fissi il principio che occorre limitare il consumo del suolo.
  A nostro avviso, è importante proprio questo concetto: si considera di per sé negativo il consumo del suolo e quindi, pur comprendendo naturalmente le esigenze dell’habitat umano per rendere sempre più agevole la nostra esistenza, le nostre attività produttive, tuttavia queste esigenze dell'insediamento umano non possono andare oltre un ragionevole utilizzo del suolo, termine che nel nostro Paese è già stato ampiamente superato. Il collega Catania, all'inizio dell'attuale legislatura, ha presentato una sua proposta di legge a cui ne sono seguite altre e poi successivamente vi è stato anche un disegno di legge di iniziativa governativa. Ora l'iter parlamentare di questo provvedimento è stato abbastanza lento e certamente travagliato perché gli interessi in gioco sono molti, tutti degni di attenzione e di rispetto, anche quando sono tra di loro confliggenti. È stato impiegato tutto il 2015 per esaminare correttamente il provvedimento in Commissione ed i primi mesi del 2016 per esaminare e valutare i pareri presentati dalle altre Commissioni. Questa settimana finalmente questo provvedimento giunge all'esame dell'Aula e avremo occasione di giungere all'adozione di una legge che riteniamo, come ripeto, assolutamente importante e fondamentale. L'impianto originale del testo di legge si proponeva di tutelare in modo stringente le aree agricole nel nostro Paese, mentre in quello attuale vi sono molte disposizioni tese ad indirizzare l'edilizia verso il riuso e la riqualificazione delle aree degradate e già costruite al fine di scongiurare l'occupazione di aree prive di edificazione. Noi siamo assolutamente convinti che le due esigenze siano complementari e che entrambi gli interventi possano essere utili a conferire razionalità al consumo del suolo. Qualcuno ha lamentato – anche noi in parte condividiamo questa osservazione – una forse eccessiva macchinosità di alcune norme: la procedura prevista dall'articolo 3, ad esempio, è effettivamente un pochettino troppo complessa in quanto coinvolge la partecipazione al processo decisorio di un numero elevatissimo di soggetti. Tuttavia si tratta indubbiamente di un progresso rispetto alle norme attuali e, quindi, di uno strumento che dovrebbe ottenere il principio primo a cui si ispira il disegno di legge vale a dire la protezione dei terreni agricoli, anche vietando qualsiasi mutamento di destinazione d'uso di terreni agricoli per i quali siano stati richiesti e ottenuti contributi dell'Unione europea o altri interventi pubblici. Un ulteriore presidio, in attesa che entri in funzione la procedura di riduzione progressiva del consumo di suolo, è fornito dalle disposizioni transitorie che vietano per tre anni il consumo di nuovo suolo, ad eccezione di quello necessitato per i lavori già previsti dai piani regolatori vigenti. Il provvedimento in discussione, inoltre, interviene finalmente sull'improprio impiego dei proventi derivanti dal pagamento degli oneri di urbanizzazione o dalle sanzioni per gli interventi eseguiti in difformità dal titolo abitativo. Fino ad oggi queste somme potevano essere utilizzate dai comuni per il Pag. 4050 per cento per il pagamento delle spese correnti e questa norma era stata introdotta per compensare la politica di contenimento della spesa pubblica della quale i comuni sono stati, loro malgrado, protagonisti. Ma è chiaro che tale disciplina ha finito per ottenere un risultato che noi osiamo sperare indesiderato. Insomma ci sembra un caso di eterogenesi dei fini indurre i comuni ad ampliare le aree edificabili al fine di ricavare oneri di urbanizzazione a loro volta destinati a compensare i mancati trasferimenti da parte dello Stato. Ora questo disegno di legge vieta questa operazione contabile. Naturalmente possiamo soltanto sperare che le varie leggi di stabilità che si succederanno nel tempo non reintroducano deroghe su questo settore perché la norma, così come è uscita dalla Commissione, prevede che queste somme possano essere utilizzate in via esclusiva per le attività di urbanizzazione vera e propria o per il risanamento di complessi edilizi e interventi di riuso, rigenerazione e realizzazione di aree verdi nel tessuto urbano.
  Infine questo testo prevede che il Governo dovrà adottare decreti legislativi tesi a redigere procedure semplificate per la rigenerazione delle aree urbane periferiche degradate da un punto di vista urbanistico, socio-economico e ambientale. Si tratta di un testo perfettibile, si tratta di un testo che non soddisfa tutti, magari qualche dettaglio non soddisfa neanche noi, però comunque si tratta di un testo fondamentale, di un passo importante per cambiare il quadro giuridico sulla materia. In Aula ci sarà la possibilità naturalmente di discutere ipotesi migliorative e, in ogni caso, mi auguro che saremo capaci di concludere questo iter e di approvare una proposta di legge che sia in grado di tutelare il nostro territorio e che venga quindi a colmare una lacuna di cui, mai come oggi, ci si rende conto della sua gravità.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Sarro. Ne ha facoltà.

  CARLO SARRO. Signora Presidente, ancora una volta noi siamo chiamati a esaminare un testo legislativo che, accompagnato dalla enunciazione di una serie di principi e di finalità sicuramente condivisibili ed apprezzabili, traduce questo obiettivo in un articolato che contraddice completamente le finalità, ma soprattutto presenta e produce come unico risultato appesantimento di procedure, penalizzazioni assolutamente immotivate e generalizzate e soprattutto allontana l'obiettivo dichiarato di favorire un potenziamento e comunque un ampio recupero dei suoli liberi per l'attività agricola, poiché di concreto, a sostegno di una riconversione di uso di questi suoli, nel testo legislativo che noi esaminiamo non vi è assolutamente nulla. La nostra è una critica sicuramente radicale a questo provvedimento; prima il Presidente faceva cenno a qualche dichiarazione, c'era anche qualche sorriso, io credo che vi sia poco da sorridere rispetto ad una legge che introduce un regime vincolistico generalizzato, di fatto determinando la perdita di qualificazione di vastissime aree del nostro Paese – di qualificazione urbanistica – senza che vi sia alcuna forma di ristoro o di indennizzo, laddove noi per ristoro e indennizzo non intendiamo necessariamente la monetizzazione di questa funzione compensativa, ma intendiamo comunque la utilizzazione di un meccanismo incentivante che renda l'obiettivo dichiarato dalla norma effettivamente perseguito e perseguibile. Che cosa significa ? Si è parlato, si è discusso della necessità di favorire il recupero alla funzione agricola di vastissime aree del Paese, la conservazione – laddove praticata – di questa funzione e qui siamo tutti d'accordo, ma questo obiettivo può essere perseguito ragionevolmente solo introducendo regimi vincolistici e sanzionatori o, più correttamente, andrebbe perseguito immaginando un sistema di incentivi e di agevolazioni che rendano effettivo ed utile il recupero alla funzione agricola di queste vaste aree del Paese ? Il Presidente prima citava Vitruvio e citava la funzione primaria che ogni intervento urbanistico deve ricevere, che è quello dell'utilità. Allora, il punto di fondo sul quale noi dovremmo interrogarci è Pag. 41quello della rendita fondiaria: è possibile immaginare che aree vaste del nostro Paese, tutte recuperate contestualmente alla funzione agricola o comunque sottratte ad usi diversi, solo per questo rendano effettivamente appetibile questo tipo di scelta e questo tipo di destinazione ?
  Ovviamente la risposta non può che essere negativa, non è così. Il testo legislativo – primo elemento di critica – non contiene un meccanismo di premialità che avrebbe potuto davvero incentivare la conservazione ed il riuso delle aree alla funzione agricola e avrebbe soprattutto ottenuto anche un consenso sociale rispetto a questa finalità, che è poi il vero deterrente contro ogni forma di uso distorto degli istituti normativi, ma soprattutto è l'unica forma che davvero consente di raggiungere nella pienezza gli obiettivi che sono dichiarati e che, ripetiamo, per noi restano come obiettivi generali assolutamente condivisibili. Ma il testo legislativo da questo punto di vista è totalmente carente, non contiene alcuna misura, alcun meccanismo, alcun incentivo che possa rendere davvero interessante, non solo in termini speculativi ma in termini di rendimento, l'opzione agricola da parte dei titolari delle aree fondiarie. Ma qui c’è un problema ulteriore, ancora più serio, certamente, quando noi parliamo di un regime vincolistico generalizzato, senza fare ricorso ad espressioni forti come l'esproprio proletario, ma sicuramente della perdita delle funzioni dominicali e quindi delle facoltà dominicali. Lo dice la Corte costituzionale – non siamo certo noi a dirlo – che questo è possibile a fronte di una funzione che, dal punto di vista dell'indennizzo e del ristoro, viene assicurata ai titolari di queste aree, perché noi abbiamo la possibilità nel nostro ordinamento, per rendere una misura impositiva compatibile con l'articolo 42 della Costituzione, che questi vincoli obbediscano a un criterio di ragionevolezza e soprattutto siano predeterminabili quanto a durata. Il meccanismo che viene introdotto da questa legge invece contraddice in maniera plateale questi due elementi e rende quindi difficilmente sostenibile la costituzionalità di questo testo.
  Ma i dubbi sulla compatibilità con l'ordinamento costituzionale sono relativi anche al meccanismo che viene introdotto rispetto per esempio al sostanziale svuotamento della funzione pianificatoria di cui sono titolari, sempre per disposizione della Costituzione, regioni e comuni. Ancora una volta, siamo di fronte ad una scelta che si è rivelata negli anni scorsi infelice e noi abbiamo la nostra prima legge organica di settore, signor sottosegretario (non solo i Paesi europei ma anche l'Italia), nel 1942, quindi stiamo parlando di una scelta legislativa anche risalente nel tempo, come legge organica, ma a quella legge poi hanno fatto seguito una serie di altri interventi nel corso dei decenni e tutti questi interventi hanno avuto questo comune denominatore, questa opzione di incrementare al massimo i livelli di pianificazione, il coinvolgimento dei soggetti territoriali titolari di funzioni, piani orizzontali, piani verticali, enti vari che concorrono alla formazione di questi strumenti, con il risultato finale che, purtroppo, ancora oggi larghe aree del nostro Paese sono prive di una strumentazione aggiornata e di una strumentazione di tipo definitivo. Questo perché l'eccesso di vincolo produce inevitabilmente delle difficoltà, non solo da un punto di vista procedimentale ma anche del conseguimento proprio del risultato e questa è la ragione, una delle ragioni, che è alla base anche del fenomeno, tanto deprecato e deprecabile, dell'abusivismo edilizio. Vi è una necessità abitativa, vi è un fabbisogno abitativo e questo fabbisogno va governato, va disciplinato, va diretto da parte delle pubbliche amministrazioni, ma non può essere relegato nell'area del divieto, del vincolo, della sanzione perché questi strumenti hanno nel tempo dimostrato la loro totale inefficacia. Noi, da legislatori, dobbiamo avere il senso della realtà e della misura e dobbiamo compiere delle scelte che vadano in una direzione di equilibrata soluzione e di equilibrato contemperamento di questi interessi. Non è vero... mi Pag. 42dispiace anche contraddire alcuni passaggi che ho ascoltato prima a proposito del nuovo regime degli appalti e delle opere pubbliche cui faceva riferimento il presidente. Il nuovo codice degli appalti, che è entrato in vigore il giorno 19 di questo mese, contiene sicuramente un regime articolato sulla materia e si coordina con il resto della legislazione. Tuttavia, questo Governo ha, nel corso di questi due ultimi anni, accentuato sempre più il carattere derogatorio dei grandi interventi (degli interventi strategici, degli interventi di preminente interesse nazionale). Le grandi opere hanno un sistema di deroga pressoché generalizzato rispetto a quelli che sono i regimi urbanistici ambientali, paesaggistici e quant'altro. Dunque, qui si introduce un elemento di discriminazione profonda con le opere pubbliche locali, cioè con i piccoli interventi in titolarità dei comuni e delle realtà locali, perché per essi, non solo il regime vincolistico permane – e quindi la compatibilità deve essere oggetto di un accertamento e di una valutazione approfondita sotto il profilo paesaggistico, ambientale e quant'altro –, ma con i nuovi meccanismi che sono introdotti da questo provvedimento e quindi, con gli obblighi di compensazione che sono posti a carico, anche i costi di realizzazione di queste opere finiscono per lievitare sensibilmente. Quindi, noi abbiamo un doppio regime e abbiamo anche un doppio sistema che penalizza gli enti locali, i quali si vedono, da un lato, ingabbiati nei procedimenti di pianificazione che già sono complessi e farraginosi oggi (figuriamoci dopo questo meccanismo).
  Mi permetto poi di osservare che proprio rispetto al sistema delineato dall'articolo 3 non c’è una valutazione di compatibilità anche semplicemente con la tempistica e con il cronoprogramma vigente oggi, a legislazione vigente, per l'adozione e l'approvazione degli strumenti urbanistici. Per cui, c’è una sfasatura anche temporale, oltre che delle singole fasi del procedimento. Ma quella che poi davvero rappresenta un'assolutamente insostenibile sperequazione è il regime delle opere pubbliche che, ripeto, per gli enti locali territoriali, cioè per i comuni, sarà un regime doppiamente penalizzante, perché più costoso e più complesso.
  Noi riteniamo che da questo insieme di disposizioni non può che nascere una forte e sensibile paralisi delle attività non solo edilizie. Su questo siamo assolutamente d'accordo: non immaginiamo che debba esserci mano libera per qualsiasi tipo di intervento, per qualsiasi tipo di attività; però, gli effetti del provvedimento, a partire anche dalle misure di salvaguardia che sono introdotte dall'articolo 11, dalla norma di chiusura di questo testo, producono, se sommate poi ai meccanismi che sono contemplati dagli articoli 3 e 4, per quanto riguarda anche l'esercizio di poteri sostitutivi, una sostanziale paralisi dell'attività che non riguarda solo la residenza, che non riguarda solo l'edilizia, ma che riguarda anche le attività produttive e questo testo contiene delle scelte che sono francamente incomprensibili. A proposito, ad esempio, dei compendi rurali, che sono disciplinati dall'articolo 6 – se non ricordo male, perché cito a memoria –, noi abbiamo la possibilità di rendere compatibile con questi interventi qualsiasi destinazione, larga parte delle destinazioni; però escludiamo – e l'obiettivo dichiarato è quello di recuperare alla funzione abitativa la funzione produttiva soprattutto di questi compendi e di queste aree – che possano essere localizzate in questi compendi le attività artigianali e consentiamo soltanto l'artigianato artistico.
  Se noi vogliamo davvero favorire il recupero in termini produttivi di queste entità, a partire ovviamente dall'attività agricola e dalle attività che sono connesse comunque al mondo agricolo, dobbiamo rendere possibile la vita a chi sceglie di operare in queste aree che, per definizione, sono aree rurali e, quindi, sono aree svantaggiate e in ogni caso poste in condizioni anche di non agevole raggiungibilità e quant'altro. Uno dei servizi primari, più ovvi e storicamente più compatibili con l'antropizzazione di queste aree è proprio la funzione artigianale, che invece escludiamo con una scelta che francamente Pag. 43non ci sembra assolutamente comprensibile e comunque certamente non è condivisibile. E ancora potremmo andare avanti con una serie di altri rilievi che sono significativi ed importanti per la portata di questa norma.
  Per cui accanto a petizioni di principio, che sono – ripeto – condivisibili e anche apprezzabili dal punto di vista proprio del ridisegno complessivo dell'uso delle aree e dei nostri territori, noi registriamo una totale inadeguatezza dell'apparato normativo, perché vi sono delle contraddizioni che ci appaiono davvero insuperabili e soprattutto c’è una distanza rispetto a quelli che sono i problemi reali delle nostre comunità e dei nostri territori, che andrebbero misurati con disposizioni di agevole applicazione, di chiara formulazione e, soprattutto, coerenti con quelli che sono gli obiettivi dichiarati.
  Non troviamo, per esempio, un'attenzione né alcun riferimento in questa norma – ed è stato detto giustamente che questo provvedimento inevitabilmente diventa anche urbanistico – a quelli che sono gli insediamenti abitativi di edilizia pubblica, di edilizia residenziale pubblica; eppure, sarebbe possibile combinare il recupero di aree abbandonate o di centri storici che sono in larga misura spopolati e sotto utilizzati per questa finalità e per questa funzione, che è già stata sperimentata in molte realtà. Venti anni fa da sindaco del mio comune ho realizzato interventi di edilizia residenziale pubblica recuperando immobili del centro storico abbandonati ed è stato un risultato importante, una scelta felice, perché non solo non c’è stato consumo del suolo – e questo è stato fatto venti anni fa, quando questi temi non erano di grande attualità – ma soprattutto è stata salvaguardata la funzione sociale dell'abitazione e della residenza per strati di popolazione che normalmente vengono deportati in luoghi periferici e che vengono deportati in aree che sono spesso totalmente prive di servizi e di funzioni.
  E ancora sottolineo talune definizioni che sono contenute nella norma quali, per esempio, «città pubblica». Anche qui sarebbe opportuno declinare con maggiore chiarezza che cosa si intende per città pubblica e soprattutto chiarire che sono tutti i comuni e non solo le città, i grandi centri. Poi si dovrebbe dire che i comuni possono utilizzare le risorse non per servizi pubblici ma per gli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria. È necessaria una legislazione più chiara, che aiuti a rendere comprensibile la portata del testo e che, soprattutto, allontani il provvedimento semplicemente da una funzione che poi rischia di farlo diventare una legge manifesto (così come la settimana scorsa abbiamo esaminato quella in materia di acque). Ovviamente vi è la stessa impostazione, lo stesso tipo di declinazione, le stesse difficoltà e la stessa inutilità di larga parte di queste norme.
  E allora la nostra funzione, l'esercizio della funzione emendativa, che noi come gruppo di Forza Italia intendiamo esercitare, è esclusivamente volta in questa direzione: quella di correggere, per quanto possibile, il testo nella sua formulazione; evitare quelle che, a nostro avviso, sono delle distorsioni e delle contraddizioni, addirittura della formulazione complessiva del testo, soprattutto cercando di rendere questo obiettivo effettivo e soprattutto cercando di renderlo praticabile, tenendo presente che non possiamo approvare una legge che colpisca indifferenziatamente tutti i proprietari di aree. Infatti, quando parliamo di proprietari di aree noi non parliamo solo di grandi latifondisti, che peraltro non esistono più nel nostro Paese, ma parliamo anche della piccola proprietà, parliamo di aree che hanno già negli strumenti di pianificazione una destinazione che viene improvvisamente toutcourt cancellata, soprattutto congelata per un lungo periodo di tempo e poi eliminata. Abbiamo i comuni che vedono giustamente recuperata alla loro funzione originaria gli oneri di urbanizzazione e su questo noi siamo assolutamente d'accordo. Tuttavia, dobbiamo anche considerare che cosa questo determina come contraccolpo nelle finanze degli enti locali, perché dobbiamo misurarci ovviamente con questo tipo di problema, in quanto l'uso, anche distorto, Pag. 44e l'impiego delle risorse derivanti dall'applicazione dei costi di costruzione, degli oneri di urbanizzazione è qualcosa che, in una certa misura, è stato anche incentivato per colmare i tagli praticati nel corso degli anni nei confronti degli enti locali. Dobbiamo avere rispetto per la funzione pianificatoria, ho sentito prima anche il sottosegretario riferire della critica sulla funzione pianificatoria degli enti territoriali e delle regioni che spesso non hanno dato buona prova. Certamente la critica per alcuni casi può essere condivisibile, ma il nostro obiettivo deve essere quello non di assumere come risposta la centralizzazione e, quindi, la avocazione allo Stato della funzione pianificatoria, il nostro obiettivo deve essere quello di aiutare e sostenere regioni e comuni nell'esercizio della funzione pianificatoria, e questo non solo per un dato puramente formale e giuridico, perché c’è una riserva di competenze fissata dalla Costituzione, ma perché vi è la necessità di coinvolgere in questi processi la responsabilità dei singoli, ma soprattutto degli enti esponenziali delle comunità, che hanno una funzione fondamentale e importantissima nel nostro sistema democratico. Il nostro obiettivo, allora, è quello di rendere questa legge praticabile e applicabile, di eliminare delle contraddizioni e delle storture, che a nostro avviso sono particolarmente gravi, ma soprattutto richiamare il Governo alle responsabilità che ha, perché un vero, concreto, reale ed effettivo riuso del suolo e l'impiego di vaste aree del nostro territorio nell'attività agricola può avvenire solo se, accanto a queste misure, noi accompagniamo altre misure di incentivazione e di premialità, che rendano interessante ed utile l'impiego delle proprietà fondiarie in campo agricolo. Altrimenti noi ci troveremo sempre a misurarci con un problema di fondo, il problema del consenso sociale intorno a queste misure, che è davvero l'antidoto per evitare che queste disposizioni restino lettera morta o siano subite dai nostri cittadini, anziché condivise e sostenute.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Prina. Ne ha facoltà.

  FRANCESCO PRINA. Grazie Presidente. Onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, il dibattito sul consumo di suolo, iniziato prima dai movimenti della società civile, oggi sempre più presente nel dibattito scientifico e accademico, solamente negli ultimi anni ha assunto una forte rilevanza all'interno delle istituzioni. Non è un fenomeno solo italiano, abbiamo già sentito, ma europeo e globale. Da un'indagine Eurostat del 2013 l'Italia è nelle prime posizioni però, collocandosi al quinto posto della classifica, prima di altri grandi Paesi europei come Germania e Regno Unito. Mentre la salvaguardia del suolo agricolo e naturale rappresenta un obiettivo di primaria importanza, dai dati statistici risulta la progressiva e sconsiderata cementificazione della superficie agricola nazionale. Ogni giorno in Italia si cementificano 90 ettari di superficie libera. Dal boom economico degli anni Sessanta del secolo scorso, la SAU, la superficie agricola utile, cioè quella più pregiata e più produttiva, è diminuita del 30 per cento, in termini assoluti di 5 milioni di ettari, pari ad una superficie come quella di Lombardia, Liguria ed Emilia Romagna messe insieme. Questo fenomeno compromette il suolo, che invece è una risorsa fondamentale, non solo dal punto di vista agricolo e alimentare, ma anche sotto il profilo paesaggistico e ambientale. Sì, il suolo è un bene comune ! Un concetto per cui nel consiglio regionale della Lombardia, già nel 2011, abbiamo lottato e ottenuto che venisse introdotto per la prima volta nel testo unico dell'agricoltura, e speriamo che con questa legge entri a pieno titolo anche nella legislazione dello Stato italiano. La perdita di superficie coltivabile comporta inevitabilmente una riduzione della produzione agricola, compromette l'autosufficienza del fabbisogno alimentare nazionale e fa crescere la dipendenza del nostro Paese dall'estero per i prodotti agroalimentari. Preservare la vocazione agricola del suolo ed evitare di snaturare e stravolgere le connotazioni Pag. 45naturalistiche, attraverso l'eccessiva urbanizzazione dei nostri territori, significa anche tutelare il paesaggio contro il rischio di deturpamento delle bellezze naturali e l'aumento del rischio dei disastri idrogeologici.
  È necessario, dunque, che sia garantito un giusto equilibrio nell'assetto territoriale tra le zone agricole e le zone edificate ed edificabili di completamento, al fine di non pregiudicare né la produzione agricola, né la sicurezza alimentare, né le condizioni di qualità della vita delle popolazioni. Per prevenire la gabbia ideologica che ci porterebbe in un dibattito sterile e fuorviante, come spesse volte succede in questa Aula, occorre differenziare, a mio parere, il concetto di consumo da quello di occupazione. Da che mondo è mondo, l'uomo ha sempre occupato suolo per costruire la propria casa e le proprie città, occupando appunto il suolo necessario. L'occupazione di suolo, storicamente, è da intendersi come utilizzo razionale per le utilità collettive oltre che per il soddisfacimento dei fabbisogni primari. In particolare, con l'approvazione di questa legge, si occuperà suolo solo per realizzare i servizi alla persona, infrastrutture pubbliche e residenze solo e qualora non vi sia un'opportunità di riuso di aree dismesse, sotto utilizzate o degradate.
  Il consumo di suolo, avvenuto finora, rappresenta uno spreco di territorio. Certo, lascia lo spazio ad urbanizzazioni razionali sia dal punto di vista quantitativo – cioè trasformazioni insediative infrastrutturali non in relazione al fabbisogno reale – sia morfologico – le infinite conurbazioni lineari lungo le infrastrutture e lo sprawl insediativo nelle campagne – sia funzionale – le seconde e terze case, gli alloggi e i capannoni sfitti e invenduti, le autostrade e le infrastrutture inutili e sotto utilizzate –. Quando il suolo rimane una superficie naturale o agricola svolge importantissime funzioni: drena l'acqua, ne regola il ciclo; favorisce l'alimentazione dei fiumi e diminuisce il rischio di alluvioni; regola il ciclo del carbonio e favorisce la biodiversità; accoglie coltivazioni e allevamenti; produce alimenti e biomasse; ospita spazi aperti per il tempo libero e le relazioni sociali; rende il paesaggio gradevole, alimentando la qualità della vita. Ripetiamo, il suolo ovunque è un bene comune primario e limitato, una risorsa finita e non rinnovabile. Mentre il consumo di aria e di acqua può essere ricompensato da una rigenerazione naturale o tecnologica, il consumo di suolo è irreversibile, se non nella scala dei tempi geologici, centinaia di migliaia di anni. Insomma, una superficie cementificata difficilmente si potrà recuperarla a suolo agricolo o naturale. Veniamo però alle note dolenti. Le leggi nazionali sul tema dell'utilizzo del territorio sono estremamente complesse. Ancora oggi nel nostro Paese è vigente la legge urbanistica del 1942; sì eravamo in tempo di guerra, però negli anni Sessanta il Ministro Sullo tentò senza successo un'iniziativa profetica. Propose un testo di legge sul regime dei suoli, mai approvato a causa delle sue dimissioni; da allora una serie successiva di provvedimenti legislativi ha determinato l'estrema complessità della programmazione e della pianificazione urbanistica del nostro Paese, che a sua volta ha prodotto, a seguito del boom economico, scoppiato a partire proprio da quegli anni, una rilevante e incontrollata crescita urbana, i cui effetti sono oggi sotto gli occhi di tutti. Poi, soprattutto da parte delle regioni, derivano una serie di provvedimenti legislativi, che non hanno la capacità di orientare e indirizzare l'azione dei comuni, a cui spetta la competenza di governo del territorio. Le norme regionali approvate in questi ultimi anni mancano di forza prescrittiva e cogente, lasciando così i comuni in balìa degli immediati interessi immobiliari dei privati, e sappiamo bene come vanno le cose nei comuni: più case, più oneri di urbanizzazione; più oneri incassati e più opere pubbliche e copertura delle spese correnti nei poveri bilanci, come giustamente sottolineava il rappresentante del Governo. In questo modo abbiamo svenduto parecchio territorio, forse troppo, del nostro Paese. È ora di metterci mano. Il disegno di legge approdato oggi in Aula dopo un proficuo Pag. 46lavoro congiunto delle Commissioni agricoltura e ambiente, di concerto con il Governo, persegue le finalità della riduzione dell'uso indiscriminato del suolo con la contestuale tutela dei terreni agricoli, nonché per il riuso e la rigenerazione edilizia del suolo edificato, partendo da una regolamentazione che abbia una visione di insieme del territorio al fine di tutelarne la destinazione d'uso per i motivi, sia di opportunità economica, sia di tutela del benessere della collettività. Per realizzare questi obiettivi questa nuova legge detta una serie di interventi e fissa i principi fondamentali secondo il dispositivo degli articoli 9, 44 e 117 della Costituzione e degli articoli 11 e 191 del Trattato di Lisbona. Negli articoli del testo vengono definite le finalità per tutelare e valorizzare il territorio attraverso la limitazione del consumo di suolo, il riuso delle aree già urbanizzate e la rigenerazione urbana in coerenza con l'obiettivo dell'Unione europea di dimezzare da subito il consumo di suolo e di azzerarlo entro il 2050.
  Mi riservo di analizzare l'articolazione della legge in quanto l'hanno fatto egregiamente i due relatori per la maggioranza, la collega Braga e il collega Fiorio. Vorrei sottolineare due aspetti però dell'articolato. Innanzitutto, le definizioni qui sviluppate, cioè che cos’è il consumo di suolo, che cos’è il suolo agricolo, la mitigazione e la compensazione. Io penso che sia un dovere dello Stato dare queste definizioni perché è ora di finirla che in ogni convegno, frequentando ogni università e in ogni regione vi siano venti, trenta definizioni diverse. È un dovere dello Stato dare un'unica definizione per tutte le venti regioni. E, poi, vi è la presenza di due scuole di pensiero urbanistico: non solo vincoli e prescrizioni, ma anche incentivi. Ecco, preannuncio un ordine del giorno per una formazione continua e specifica dei dirigenti delle regioni affinché la tecnicalità di computo del consumo di suolo e del farvi fronte sia omogeneo in tutto il territorio.
  E concludo, signor Presidente, esprimendo una particolare soddisfazione per l'approdo in Aula di questa legge tanto attesa e in linea con il processo di riforme strutturali messo in atto da questo Governo e in sintonia con i contenuti della Carta di Milano di Expo 2015. Con questa legge il Partito Democratico è convinto di colmare quel vuoto normativo nazionale che oggi ha permesso a molte regioni di dotarsi di strumenti che, è sotto gli occhi di tutti, si sono dimostrati inadeguati. Vi è l'auspicio e l'impegno, quindi, che il provvedimento possa trovare una rapida approvazione anche nell'Aula del Senato e diventi legge dello Stato nel più breve tempo possibile, determinando quella cogenza normativa necessaria ad evitare il dissennato consumo di suolo ancora purtroppo in atto (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Zaccagnini Ne ha facoltà.

  ADRIANO ZACCAGNINI. Grazie Presidente. Ringrazio anche il sottosegretario presente e, ovviamente, non posso essere contento, Presidente, del fatto che non ci sono esponenti del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali in Aula. È un provvedimento che giunge dopo un iter parlamentare con le Commissioni congiunte e che non vede durante la discussione sulle linee generali la possibilità di confrontarsi con il Governo per quanto riguarda la parte agricola. Finalmente giunge questo provvedimento in Aula dopo oltre due anni di gestazione a fasi alterne nelle Commissioni con appunto stop and go che lo hanno cambiato, modificato, alcune volte migliorato, ma perlopiù peggiorato e vi hanno introdotto parti fuori dalla tematica che si era andata delineando inizialmente con l'impianto della legge.
  In particolare, le parti urbanistiche non erano presenti inizialmente nel disegno di legge governativo che è andato a integrare ovviamente le proposte di legge dei deputati. Ma la cosa che io credo sia una premessa doverosa con la quale iniziare è il fatto che queste integrazioni, in particolare gli articoli 5 e 6, essendo avvenute Pag. 47dopo, non hanno permesso alle Commissioni competenti di approfondire il tema della rigenerazione urbanistica e di una pianificazione urbanistica complessiva. In altre parole, nel far west del contesto italiano, dove, appunto, è stata ribadita da più colleghi la necessità di una normativa proprio perché non c’è sostanzialmente una normativa che faccia da raccordo su queste questioni e che parli di riuso e rigenerazione urbana, noi abbiamo iniziato una legge che doveva essere limitata al contenimento del consumo di suolo agricolo proprio perché non ci potevamo avventurare nel campo urbanistico e abbiamo messo da parte le proposte di legge Realacci, De Rosa e del sottoscritto e abbiamo proseguito sulla parte meramente agricola. Dopo svariati mesi, ci siamo ritrovati con l'articolo 5 che introduceva le parti appunto sui compendi neorurali. Dopodiché, ci siamo ritrovati l'articolo 6, quindi sulla questione delle aree degradate, sostanzialmente le periferie. Ma queste due parti sono sostanzialmente le due parti principali della pianificazione delle città dopo il centro storico. Infatti, è evidente che periferie degradate e compendi neorurali sono le parti dove c’è ancora possibilità di espansione urbanistica per le città. Queste parti vengono introdotte dal Governo e non si dà la possibilità alle Commissioni di fare audizioni, di fare approfondimenti, di recepire indicazioni e di creare un impianto normativo organico. Stiamo parlando dell'urbanistica, tra l'altro, con l'Italia che è un Paese che può testimoniare storicamente con l'evidenza delle piazze, dei centri storici della pianificazione delle nostre città quanto sia importante per la qualità della vita e del benessere una pianificazione corretta. E noi non riusciamo neanche ad indagare questi temi, ma li affrontiamo partendo dall'agricoltura e non vediamo la connessione perché, ovviamente, per le mille resistenze che ci sono, non si voleva affrontare il tema e poi lo si affronta e non si dà la possibilità alle Commissioni competenti di approfondire e fare dibattito su questo. Io credo che formalmente ci troviamo in una terra di nessuno dal punto di vista della procedura parlamentare che è andata avanti senza le necessarie procedure e i necessari passaggi.
  Detto questo, verrebbe soltanto da proporre di ritornare nelle Commissioni e sostanzialmente fare l'approfondimento dovuto, cioè iniziare le audizioni per quanto riguarda la parte urbanistica, per quanto riguarda la compenetrazione fra città e campagna, qual è la prospettiva delle aree urbane metropolitane, ad esempio l'unione progressiva che si avrà fra Roma e Napoli che diventerà una delle aree urbanizzate più grandi d'Europa. Inoltre, a livello complessivo tutto il nord e la Pianura Padana che prospettive hanno di sviluppo urbanistico. Ci troviamo di fronte a dei temi che è difficile non percorrere nel momento in cui si parla di urbanistica nel 2016. Questa complessità non è stata quindi contemplata e non si ha avuto il coraggio di affrontarla. Ne è uscito un testo con molteplici compromessi al ribasso, troppo spesso, con procedure ridondanti, con scadenze ripetute e concatenate, che difficilmente potranno essere anche un primo passo per creare ordine nel Far West italiano. È di questo che abbiamo bisogno: di un primo passo utile, che questo provvedimento dovrebbe essere, per iniziare a creare ordine.
  Noi ci auguriamo che, attraverso la parte emendativa, veramente questo testo possa diventare un po’ più potabile, un po’ più condivisibile nel suo impianto, perché al momento è molto deficitario e sconta, come ho già delineato, un peccato originale sostanzialmente, che è quello del non aver neanche preso in considerazione l'argomento urbanistico in modo serio. Non avendolo fatto in modo serio, ci ritroviamo di fronte a contraddizioni abbastanza palesi. Oltre alle varie questioni urbanistiche, su cui il Governo è entrato a gamba tesa, ne menziono altre due abbastanza eclatanti: l'introduzione di un'espressa procedura di intervento urbanistico semplificata e la questione delle agevolazioni e degli incentivi che sono stati tolti con un intervento che, più che contabile, è diventato sostanzialmente politico per estensione.Pag. 48
  La questione che più preoccupa all'interno dell'articolo 6, che è quello dei compendi agricoli neorurali, cioè di tutte quelle volumetrie presenti all'interno, ma soprattutto nel cerchio esterno delle nostre città, è che questi insediamenti rurali saranno soggetti alla possibilità di cambio di destinazione d'uso. Questo cambio di destinazione d'uso ovviamente va a incentivare l'economia, la trasformazione edilizia rurale. Però, la snatura in qualche maniera. Anche se bisogna riconsiderarla in altri termini, con altre attività per farla diventare economicamente sostenibile, è chiaro che è una volumetria, se nasce in un certo contesto e vive in un certo luogo, è importante che rimanga collegata, nella sua attività, anche alla natura di quel luogo, cosa che a noi pare poco attenzionata e soprattutto a noi pare che la normativa è poco diretta a creare un'interconnessione fra il luogo e l'attività, ma lascia aperta sostanzialmente la possibilità ad attività e a servizi di vario genere, che potrebbero diventare delle cattedrali nel deserto. In un deserto rurale, in una dimensione rurale potrebbero diventare cattedrali post moderne. Addirittura, inizialmente c'era la previsione di centri commerciali o la possibilità di altri tipi di attività, ma rimangono le ipotesi più preoccupanti, come quelle turistico-ricettive, quindi potrebbero essere benissimo alberghi, anche di lusso ovviamente, con uno scollegamento totale, magari in zone marginali e territori con forti disuguaglianze sociali. Ovviamente anche i servizi ludico-ricreativi sottendono a vari tipi di struttura che possono assolutamente non avere nessun collegamento con il territorio dove vengono ubicati.
  Questa parte, come precedentemente detto, è quella che ci preoccupa di più, insieme a quella dell'articolo 5, proprio perché non c’è una visione organica e la costruzione di una programmazione urbanistica che sia stata fatta con i dovuti passaggi e soprattutto con le finalità condivisibili della legge, che sono esposte agli articoli 1 e 2 e che sono quelle di contenimento del consumo di suolo e addirittura lo stop per il 2050.
  Noi vediamo oggi come la Liguria ed altre regioni siano assolutamente in difficoltà da questo punto di vista e ci chiediamo come aiutare il Governo stesso a mantenere i territori in salute e prevenire il dissesto idrogeologico. La proposta che viene da noi è quella di aumentare la presenza sul territorio dei contadini, degli agricoltori e di tutta quella serie di microaziende agricole che presidiano il territorio, che lo curano, lo manutengono e che offrono servizi ambientali troppo spesso non riconosciuti. Noi crediamo che queste agricolture contadine debbano essere riconosciute. In particolare, in territori come la Liguria, come tanti altri, è importante attivare delle politiche che promuovano anche l'insediamento di nuovi agricoltori, di giovani agricoltori e la ricomposizione fondiaria. Questo lo si può fare, se si va nella direzione di sostenere queste microaziende che innervano tutt'oggi la dimensione agricola italiana e anche la produzione agricola italiana, perché sono il 25 per cento della produzione totale.
  Il problema è quando, invece, il Governo, ad esempio nell'ultima legge di stabilità, propone l'eliminazione del regime fiscale agevolato per i contadini sotto i 7.500 euro. C'era questa proposta, fortunatamente è stata cancellata per merito delle opposizioni, ma vedere come il Governo stia preparando delle proposte per cancellare il regime fiscale di oltre 900 mila persone che portano avanti un'agricoltura di sussistenza, un'agricoltura a carattere familiare ci preoccupa molto, proprio perché vediamo che non c’è un nessun tipo di ragionamento rispetto a come collegare dissesto idrogeologico, consumo di suolo, rigenerazione dei territori e manutenzione di questi. Crediamo, invece, che ci voglia un regime fiscale adeguato, nel quale vengono riconosciuti i servizi ambientali degli agricoltori, anche con il credito d'imposta, e il riconoscimento di una categoria nuova, ma vecchia come il mondo, che è quella dei contadini, che a volte non sono imprenditori, ma che Pag. 49forse fanno più bene alla società e alla collettività rispetto ad alcuni imprenditori agricoli che fatturano molto di più.
  Per quanto riguarda le procedure, è già stato esposto dal mio collega, relatore di minoranza Zaratti quanto queste siano farraginose, ridondanti e difficilmente applicabili in un Paese quale l'Italia, dove i vari passaggi fra Stato, regioni e comuni sono un vero labirinto. Noi ovviamente ci auguriamo che queste possano essere modificate e snellite e soprattutto che possano diventare più celermente vincolanti per l'attuazione delle finalità. Ci sono dei passaggi positivi nella legge, che crediamo debbano essere migliorati. Ma il discorso di fondo è il seguente: in che contesto ci troviamo ? Quali sono le resistenze che hanno prodotto questo rallentamento smisurato della legge in Parlamento ? Quali sono le resistenze che ancora si opporranno alla legge e cercheranno di peggiorarla ulteriormente nell'Aula della Camera e del Senato ? Perché a queste resistenze non si risponde con i numeri, dicendo che la rigenerazione e la ristrutturazione ormai sono il futuro e si può fare economia anche con quel tipo di attività, piuttosto che con la costruzione ex novo ?
  Ma soprattutto il Governo e un Governo che abbia a cuore il bene comune dovrebbe avere il coraggio di attuare una politica, mettere in campo una politica chiara senza tentennamenti nei riguardi anche delle resistenze che vengono dal mondo fondiario, delle grandi concentrazioni fondiarie che poi qualcuno dice non ci sono più ma che, se si leggono i dati, in realtà si stanno ricreando, soprattutto le resistenze che provengono dai titolari di aree fondiarie o di aree che potenzialmente potrebbero diventare edificabili. Se continuiamo a garantire a questi titolari l'edificabilità di quelle aree è chiaro che il Paese si ritroverà cementificato nel giro di cinquant'anni un'area spropositata e un'area assolutamente necessaria per la produzione di cibo. Quindi un Governo che vuole dare consequenzialità e coerenza alle parole che pronuncia ogni volta che c’è un'inondazione o un'alluvione e che dice che il consumo di suolo è una priorità per il Paese, deve essere un Governo che mette in campo proposte chiare e che non siano soltanto compromessi al ribasso ma che veramente vadano a scalfire i corporativismi e le convenienze di alcune parti di questo Paese che troppo hanno speculato sui territori, sulla vita delle persone e sostanzialmente su una corretta pianificazione e sviluppo dell'urbanistica in Italia. L'Italia è un Paese che, dal punto di vista urbanistico, è stato splendidamente pianificato in alcune sue città e in alcune sue aree e vederlo deturpato così negli ultimi quaranta-cinquanta anni fa veramente male e palesa sempre più quanto il sistema di sviluppo attuale e quel tipo di consumismo sfrenato postfordista e fordista ovviamente sia diventato un veleno per la società che, avvelenata da cemento e da meccanismi che hanno prodotto disuguaglianze sempre più grandi, non riesce più a reagire e a rigenerarsi. Se riusciamo in qualche maniera ad avere una visione più distaccata della realtà, più obiettiva rispetto a quelli che sono gli interessi di parte o di partito, possiamo vedere come l'accumulazione di capitale proveniente dalla rendita fondiaria ed immobiliare abbia impantanato anche l'economia reale del nostro Paese che, negli ultimi anni in particolare, non era più un'economia forte dal punto di vista industriale ma sempre più, per così dire, tesa a garantire introiti dalla rendita immobiliare. Un Paese più dinamico è un Paese che non cerca soltanto di speculare sull'abusivismo e sulla creazione indiscriminata di edifici per vari tipi di attività ma è un Paese che si mette in gioco e che, una volta fatto un censimento col quale riesce a incrociare i dati che portano evidentemente ad evidenziare come ci sia un surplus di abitazioni e di edifici, capisce che è il momento di virare rotta e che si è costruito abbastanza e che semmai il problema sarà adesso manutenere ciò che si è costruito.
  Se non si opera questo cambiamento culturale, non si riesce neanche ad uscire dalle sabbie mobili che sono state create in questi ultimi anni, le sabbie mobili di un sistema deregolamentato sempre più dannoso per l'ambiente, per i territori e per i Pag. 50cittadini e quindi è certamente importante che questi concetti e queste finalità divengano legge ma è importante anche che il compromesso che si deve sottoscrivere con le varie resistenze presenti nel Paese sia veramente un passo utile nella direzione di modificare l'esistente e che non sia soltanto un cambiare tutto per non cambiare nulla.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Zanin. Ne ha facoltà.

  GIORGIO ZANIN. Grazie, Presidente. Signor rappresentante del Governo, il tema del consumo di suolo vede anche nel nostro Paese da tempo in atto un'azione che muove non soltanto dallo sguardo attento e dalle statistiche ma anche dall'indignazione. Per fortuna – possiamo dirlo – la lotta solitaria di alcuni intellettuali è divenuta da tempo anzitutto fenomeno di lotta e di resistenza locale contro la cementificazione e, in generale, contro la violenza al paesaggio. Non è un dato marginale e solo locale però, se si pensa alle implicazioni che questo porta con sé e il mio sarà, come dire, un intervento che guarda soprattutto a questo aspetto di carattere culturale. Il tema del paesaggio è in sé un tema che evidenzia il crocevia tra individuo e società. La bontà di un paesaggio costituisce indubbiamente una prova visibile della qualità con cui gli individui si relazionano tra loro e con l'ambiente circostante. Ciò porta con sé anche la prova di una gerarchia indelebile tra interesse collettivo e interesse privato, uno snodo questo che il tempo ci ha consegnato con angolature nuove: ad esempio, leggendo sotto il profilo dell'interesse privato anche quello del singolo ente locale a far cassa e degli amministratori locali a favorire investimenti oppure ancora quello di una generazione che qui ed ora consuma ciò che utilmente appartiene in modo indivisibile alle generazioni. L'effetto di questo sentimento ampio dell'interesse privato ha generato con numeri che chi mi ha preceduto ha già ricordato, che conosciamo e che non ripeto una modificazione strutturale del paesaggio. Abbiamo superato un punto di rottura, be’ può darsi ma l'effetto principale, al di là dei danni in termini strettamente ambientali ed economici, è anzitutto quello di uno spaesamento. Il consumo di suolo spesso indiscriminato ha creato infatti un anonimato dell'ambiente, delle periferie e delle arterie di movimento che ha destrutturato i luoghi dell'identità. Estendendo la definizione dell'antropologo Marc Augé possiamo perciò parlare di un consumo del suolo che ha creato una sorta di vasto «non luogo» dove appunto le identità culturali faticano a identificarsi e a produrre vitalità. Il vasto processo di occupazione degli spazi extraurbani, quella sorta di disneyficazione del territorio legato ad ipermercati per andare a shopping e ricreazione, ha svuotato i fragili centri storici e ha pervertito la lettura interiore di quell'equilibrio tra uomo e territorio, lasciando gli individui in parte soli e bulimici nel consumo, a tutto danno di una tradizione come quella italiana la cui eredità ambientale è talmente vasta e profonda da meritare un dovere di tutela che ha trovato ampio riscontro di consapevolezza nei secoli. Questo sguardo globale, anzitutto culturale, è necessario per ricostruire in modo adeguato le trame di questa iniziativa legislativa, un'iniziativa meritoria che in qualche misura punta a fare punto e a capo di una questione epocale come quella descritta. Fare punto a capo per riaffermare in primo luogo il valore dell'interesse comune sui beni che non sono disponibili anzitutto per l'interesse privato ma per l'utilità pubblica, così come definito anche dalla stessa Costituzione. È necessario uno sguardo globale che serve anche ad uscire dalle sole meritorie lotte locali per aprirsi ad un generale concetto di pubblica utilità del suolo che ha fondamentali ricadute lungo la via del rilancio economico, sociale e culturale del Paese. Si tratta di un tema che potrebbe trovare importanti applicazioni anche a partire dai beni demaniali come, ad esempio, il processo di valorizzazione del patrimonio militare in dismissione su cui meritoriamente il Ministero della difesa ha già avviato azioni qualificate e significative Pag. 51e attorno a cui anche gli enti locali devono essere chiamati a trovare forza e progetti coerenti.
  Dunque questo provvedimento segna evidentemente un passaggio nodale di questa evoluzione, trasformando la richiesta popolare in ethos pubblico, una lotta che ha trovato i suoi riflessi anche qui in Parlamento, come testimoniato implicitamente anche dal lungo itinerario dello stesso disegno di legge che per fortuna sta finalmente trovando uno sbocco. Siamo qui dunque anche per celebrare una vittoria che nasce dal basso, dai movimenti locali. La conoscenza locale, l'interazione dei cittadini con i luoghi, la loro visione locale con questo testo ha finito per unirsi in una visione puntiforme che permette di vedere la figura di insieme che la consapevolezza del mondo agricolo ha avvertito prima degli altri, riconoscendo nell'inquinamento antropico una delle derive della qualità della vita e della negazione del cibo di qualità. Una vicenda, quella dello squilibrio da inquinamento antropico, che possiamo richiamare per analogia contraria anche nella trascuratezza con cui il patrimonio forestale, in primis nelle zone montane, continua ad aumentare senza che adeguate risorse e proposte tengano nel dovuto conto la necessità che anche in quello prevalga la regola dell'equilibrio senza la quale, alla fine, i conti si pagano salati. Siamo perciò di fronte alla necessità di far valere il pubblico interesse lungimirante contro il diritto individuale legato al profitto, esattamente come recita l'articolo 41 della Costituzione, che certamente riconosce la libertà di iniziativa economica ma non in contrasto con l'utilità sociale e in ogni caso indirizzata e coordinata a fini sociali. In buona sostanza ci troviamo di fronte ad un provvedimento che opera una opzione chiara di fronte a due diversi modelli di sviluppo del territorio, uno predatorio, tipico in natura dei parassiti e dei predatori, e l'altro di equilibrio, teso alla stabilizzazione degli ecosistemi, tipico dei mammiferi, consapevoli probabilmente che il degrado ambientale costituisce una forma di lento masochismo, di cui peraltro quasi sempre per primi a pagare le conseguenze sono i più deboli. La figura che ne emerge quindi in conclusione è quella di un'azione popolare che trova casa nel Parlamento, una buona sintesi di percorso democratico che non a caso mi ha spinto sin dall'inizio del percorso a definire questa come una delle leggi bandiera della legislatura, una legge alle quali ora mi auguro, con spirito ecumenico, si voglia guardare più per ciò che unisce piuttosto che per ciò che divide, potendo almeno qualche volta segnare un passaggio culturale, prima ancora che concreto, su cui è necessario lavorare ancora molto in diversi settori. Il benaltrismo consuma la pazienza oltre che il suolo e ho la sensazione dai primi interventi di questa discussione che qualcuno qui, in quest'Aula, non voglia la legge, assumendosi con ciò una grave responsabilità che noi ci auguriamo si riesca a modificare (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Massa. Ne ha facoltà.

  FEDERICO MASSA. Signora Presidente, onorevoli colleghi, proverò – con ciò, credo, rispondendo all'esigenza del dibattito parlamentare, cioè del confronto – a intervenire su qualcuno dei punti che sono stati sollevati, a partire da quello sulla complessità dell'articolo 3 e sulla farraginosità delle procedure. Ora provo soltanto a immaginare per un secondo quale sarebbe stata l'alternativa. Se il Governo fosse intervenuto in questa materia con una disciplina vincolante nei confronti del reticolo delle autonomie e delle regioni, si sarebbe parlato – giustamente, credo – di un Governo autoritario o di uno Stato prevaricatore. Allora, vedete, noi dobbiamo qui metterci d'accordo, non è che se si presenta un decreto-legge siamo prevaricatori altrimenti c’è un disegno di legge complesso perché, come diceva benissimo il presidente Realacci, questa è una materia complessa e quindi difficilmente disciplinabile attraverso un'eccessiva semplificazione che rischierebbe, alla fine, di compromettere l'obiettivo Pag. 52ambizioso che ci siamo dati. Obiettivo ambizioso perché questa è una legge importante, soprattutto perché afferma un principio nuovo, non perché interviene nel far west o nel caos e nella deregulation.
  Non è così, noi abbiamo – e negli anni si è perfezionata – una normativa che ha disciplinato alcuni profili rilevanti, penso a quelli ambientali, penso a quelli paesaggistici, penso al reticolo utile dei vincoli. Probabilmente molte delle devastazioni di questo Paese non rispondono della disciplina astratta; rispondono di un diffuso abusivismo, rispondono dell'assenza di controlli, forse rispondono – mi rivolgo in maniera virtuale ai colleghi di Forza Italia – di un eccessivo condonismo in questo Paese, cioè di reiterati interventi tesi a santificare ciò che era stato fatto. Ma questa legge aggiunge un punto importante, culturalmente ma vorrei dire anche dal punto di vista dell'assetto normativo, che è quello della definizione del limite. Con questa legge noi stabiliamo il principio per il quale oltre un certo consumo di suolo non si può andare; mentre finora l'urbanistica, il governo del territorio nei suoi vari profili e, mi sia consentito dire, se non avessimo messo alcuni pezzi di urbanistica in questa legge saremmo stati rimproverati del fatto che facevamo una legge astratta, perché è evidente che se noi dobbiamo in qualche maniera limitare, fino a limitarlo assolutamente, il consumo del suolo, dobbiamo in qualche maniera preoccuparci di come recuperiamo l'edificato esistente secondo regole, principi e parametri che stanno dentro la normativa urbanistica, ma, ripeto, l'urbanistica finora ha funzionato senza un limite esterno. Le regioni, lo Stato, gli enti locali, sia pure all'interno di quel reticolo di vincoli di cui abbiamo parlato, nella massima discrezionalità, stabilivano quanto e come si poteva edificare. Con questa legge noi stabiliamo un principio io credo importante, di derivazione comunitaria: progressivamente il limite deve essere posto attraverso un procedimento articolato, complesso, democratico quindi complesso, che coinvolge dallo Stato alle regioni e ai comuni, inserendo un meccanismo di decisione finale in testa al Governo che è e risponde al principio della efficienza ed efficacia dell'azione normativa e dell'azione di Governo, cioè, in un momento nel quale, quando c’è un'inefficienza, un ritardo, un'incapacità dei livelli territoriali via via degradanti, interviene la decisione dello Stato. Noi abbiamo pensato di costruire questo percorso e abbiamo pensato di costruirlo tenendo fermi alcuni capisaldi, intanto non toccando nessuno dei vincoli esistenti. Noi rispettiamo, richiamiamo e in qualche maniera cristallizziamo le norme che stanno nel Codice dell'ambiente come quelle che stanno nel Codice dei beni culturali, soprattutto ci agganciamo a principi di diritto urbanistico oramai consolidati. Quando noi nell'articolo 5, parlando della rigenerazione e degli interventi di rigenerazione, vincoliamo il Governo, che è delegato ad emanare la relativa disciplina, alle categorie della demolizione e ricostruzione, noi lo vincoliamo al rispetto delle cose, cioè utilizziamo una categoria urbanistica già esistente: demolizione e ricostruzione significa che devi ricostruire esattamente, in termini di cubatura, quello che hai demolito, ed è possibile una diversa distribuzione sul territorio perché ci sono territori degradati che noi vogliamo recuperare, perché non è vero che tutto può rimanere com’è. Non è vero che per la gioia e per la goduria del cittadino che gira e vuole vedere il vecchio agglomerato urbanistico, magari decadente, magari in crisi, magari in via di decomposizione, allora quello deve rimanere com’è. Però, io non ci vado ad abitare: devono rimanerci ad abitare quelli che ci sono, ai quali io non devo offrire una prospettiva di sviluppo.
  Non c’è incentivo, e chiedo scusa per i salti logici. Non è vero: nel disegno di legge delega è previsto un intervento sul piano della fiscalizzazione. Io credo che sia stato giusto alla fine non insistere col definire in questo provvedimento il vantaggio in termini di oneri di urbanizzazione. Attenzione, perché così avremmo aperto un vulnus rispetto ai comuni che già oggi possono graduare nella loro autonomia, che noi rivendichiamo solo quando ci fa Pag. 53comodo. Dopodiché i comuni dovrebbero fare quello che diciamo noi qui. Non è così ! La leva che è nella mano dello Stato è la leva fiscale e noi la richiamiamo nell'articolo 5 inserendo, onorevole Presidente mi sia consentito dire, un meccanismo di concorrenza virtuosa dei territori, perché non solo stabiliamo un meccanismo premiale o la possibilità di un meccanismo premiale per il cittadino che accede a determinati strumenti, ma prevediamo anche una premialità per quegli enti locali che prima e meglio degli altri adeguano gli strumenti urbanistici allo spirito, al contenuto e al limite che questa provvedimento intende imporre.
  Certamente ci facciamo carico di un periodo transitorio, anche quello finalizzato a non mortificare gli enti locali e le programmazioni già in essere. Io penso di doverlo dire in quest'Aula: noi stiamo sostanzialmente rispettando – un minuto; mi avvio alle conclusioni –, sebbene con alcuni limiti, una programmazione urbanistica territoriale che è stata fatta dagli enti locali di questo Paese, che non sono tutti dei selvaggi, con il limite dei piani paesistici che noi rispettiamo e richiamiamo e anche quelli non sono frutto del far west o della selvaggia aggressione al territorio.
  Poi faccio un'ultima osservazione. Vorrei tranquillizzare i colleghi che mi hanno preceduto: se nella fase transitoria ci sarà, attraverso il rispetto della strumentazione urbanistica e paesaggistica vigente, il consumo di suolo, quel consumo concorrerà a determinare il limite dello sviluppo successivo, perché quel limite varrà anche rispetto a quello che è stato eventualmente edificato nel corso del periodo transitorio.
  Il provvedimento sicuramente è perfettibile. Ci auguriamo che il dibattito parlamentare sia in grado di apportare ulteriori contributi. Siamo convinti che ulteriori contributi verranno apportati, però non è possibile ragionare nei termini per i quali è tutto frutto dalla farina del diavolo. Io capisco che qualche cosa non la facciamo benissimo; ma che facciamo tutto malissimo e tutto volontariamente malissimo, per la volontà non si sa bene di chi, questo io penso che in quest'Aula, da un esponente del Partito Democratico e della maggioranza che sostiene questo Governo, non sia giusto dirlo. Non facciamo tutto perché ispirati dal diavolo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Busto. Ne ha facoltà.

  MIRKO BUSTO. Grazie, Presidente. Io non credo che tutti si muovano mossi da motivazioni diaboliche (questo non lo penso). Penso più che altro che a volte ci manchi – o qui dentro manchi – un po’ la percezione di quali devono essere le motivazioni e le spinte verso un grande cambiamento che ci attende e per questo parlerò con un linguaggio molto differente da quello che ho ascoltato finora. Parlerò di cose più sui massimi sistemi, come piace dire magari in maniera anche dispregiativa, riguardo alle motivazioni relative alla tutela del consumo di suolo.
  L'anno scorso mi sono imbattuto in uno studio scientifico pubblicato e condotto dal Global Sustainability Institute dell'Anglia Ruskin University di Cambridge, uno studio commissionato dai Lloyds di Londra. Questo studio sostanzialmente voleva rispondere a una domanda di questo grandissimo gruppo assicurativo (uno dei più grandi al mondo). Sarà possibile e fruttuoso, anche dal punto di vista economico, assicurare i prodotti alimentari nel prossimo futuro ?
  Questo studio ha dato una risposta che è stata sconvolgente. Voglio leggerne soltanto qualche breve frase: «continuando essenzialmente nell'attuale modello di sviluppo insostenibile – quindi da molti punti di vista e, ovviamente, non solo dal punto di vista del consumo di suolo – si attendono, entro il 2040, carestie alimentari e guerre per le risorse mai viste prima nella storia. Il sistema di approvvigionamento alimentare globale si troverebbe ad affrontare perdite catastrofiche e un'epidemia senza precedenti di conflitti per il cibo», spiega il direttore del Global Sustainability Institute, Aled Jones. In questo Pag. 54scenario la società globale essenzialmente crolla.
  Questa è una frase di un report che poi è stato ripreso anche da un report dei Lloyd's stessi (appunto il gruppo assicurativo) dal titolo: Food system shock, la caduta del sistema globale alimentare. E allora questa, secondo me, è una motivazione molto interessante, una spinta molto interessante, perché ci troviamo di fronte ad un evento potenziale dato che sono studi scientifici – ovviamente sono studi prospettivi che cercano di capire e di modellizzare quello che succederà – che cercano di capire che nei prossimi 20-25 anni la produzione alimentare diventerà cruciale per effetto di tanti fattori: l'aumento dei consumi, la crescita della popolazione e anche certi stili di vita alimentari, se vogliamo. Questo cambiamento porterà grandi difficoltà nell'approvvigionamento alimentare. Dunque, questo è uno dei problemi.
  Voglio inoltre citare anche un altro studio abbastanza recente, del 2009. Nel 2009 Johan Rockström ha pubblicato uno studio che riguarda i limiti planetari. In questo studio vengono citati essenzialmente nove limiti planetari, dei quali quattro sarebbero già entrati in crisi: uno di questi quattro è il cambiamento climatico, un altro è la destinazione d'uso dei suoli – il consumo di suolo, appunto –, un altro la biodiversità.
  Quindi, perché parliamo di ciò in relazione a questo provvedimento ? Perché è importante capire che già oggi noi abbiamo visto nel nostro Paese, per effetto della cementificazione, degli effetti ambientali significativi che sono stati ricordati qui dentro in maniera molto esaustiva. Abbiamo visto, per esempio, la perdita di aree agricole nelle grandi regioni del nord – io vengo dal Piemonte – e abbiamo visto 120 mila unità di suolo perse. Sono state persi 1,4 milioni in Lombardia e 910 mila in Veneto. Questo significa che già oggi abbiamo perso moltissimo suolo agricolo, suolo fertile, con un danno alla cosiddetta nostra sovranità alimentare, come citava prima il mio collega Paolo Parentela.
  Abbiamo già perso molta sovranità alimentare e quindi si confermano i numeri e i dati riportati da alcuni studi che citavo poco fa, anche se poi ve ne sono anche molti altri che sostanzialmente confermano questa tendenza, anche se magari in maniera meno drammatica. Dunque, abbiamo proprio bisogno di tutelare il suolo, soprattutto il suolo agricolo, per salvaguardare la nostra capacità di produrre cibo perché, come è stato sottolineato prima, in un sistema globale, dove la scarsità prossima sarà quella del cibo e dell'acqua, avere suolo e avere la possibilità di produrre e di coltivare è una risorsa veramente che non ha comparazione rispetto a tanti discorsi anche interessanti che venivano fatti poc'anzi in quest'Aula.
  Vorrei parlare ancora brevemente di cosa vuol dire distruggere il suolo con la cementificazione, riportando un'argomentazione, anche magari un po’ più tecnica, riguardo a quale sia la funzione del suolo per l'ecosistema e per l'uomo. Ricordavano più persone prima di me che il suolo è una risorsa limitata e non rinnovabile – questo è chiaro – visti i tempi estremamente lunghi necessari per la sua formazione. Ma è fondamentale non soltanto per la produzione alimentare, ma anche come riserva di biodiversità e supporto per la chiusura dei cicli degli elementi nutritivi e per l'equilibrio della biosfera.
  Questo è interessante, anche perché uno di questi nove limiti planetari, che stavo citando prima, è appunto il ciclo biochimico dell'azoto e del fosforo, quindi, anche in questo caso, occorre avere dei suoli che riescono sia ad avere una funzione, che è quella di buffer, di filtro, di reagente, ma anche quello di regolare i cicli nutrizionali degli elementi, fondamentali e indispensabili per la vegetazione. In più è anche coinvolto il ciclo dell'acqua; quindi, è stata ricordata anche qui la capacità di trattenere e di assorbire l'acqua, cosa molto importante soprattutto quando si tratta di fenomeni alluvionali, come sono stati anche ricordati. Contribuisce alla resilienza dei sistemi socio-Pag. 55ecologici, fornisce importanti materie prime, e ha funzione culturale e storica, ovviamente.
  In condizioni naturali, insieme all'intera biosfera, il suolo fornisce essenzialmente servizi eco-sistemici indispensabili al nostro sostentamento, questo è chiaro ed è evidente: il suolo è vita. Vorrei proprio ricordare quanta vita c’è in pochi centimetri di suolo, che noi a volte finiamo per considerare appunto come marginali, come sacrificabili di fronte allo sviluppo, a parole come crescita e sviluppo. Il suolo è vita, nel senso che i microrganismi che abitano il suolo hanno un ruolo fondamentale nella nostra vita, anche se spesso non ce ne accorgiamo: provvedono alla demolizione della sostanza organica; mobilizzano i nutrienti delle piante; stabiliscono legami più o meno diretti con la radice delle piante, come la fissazione dell'azoto nelle leguminose; contribuiscono allo sviluppo della pianta, fornendo nutrienti essenziali come l'azoto, acque e sostanze fito-stimolanti; incrementano la qualità delle colture migliorando gli aspetti nutrizionali e, infine, contribuiscono alla salute delle piante aiutandole a difendersi dalle malattie. In più, svolgono questo ruolo di fitodepurazione insieme alle piante, riducendo gli inquinanti tossici del suolo tramite il potenziale di bio-risanamento; contribuiscono alla biodiversità e agiscono come agenti primari nei cicli bio-geochimici; contribuiscono alla nutrizione e al benessere degli animali.
  I microbi che si trovano nei suoli si trovano in una forma particolare, in dei consorzi (biota), quindi la vita si consorzia in consorzi microbici, che traggono vantaggio dalle interazioni tra i tanti diversi membri che li compongono. Sono dei veri e propri ecosistemi negli ecosistemi. Il dato fondamentale è questo: in un singolo centimetro cubico di suolo agrario si possono trovare 100 milioni di microbi, con centinaia di genomi diversi che concorrono alla fisiologia delle piante. Vi è anche una parte della scienza che cerca di capire se vi sia una correlazione tra questa ricchezza, presente nei suoli, questa biodiversità, con la nostra stessa salute immediata; perché è facile capire come noi abbiamo bisogno del suolo, di un suolo ricco e fertile, bio-diverso, da un punto di vista umano, dal punto di vista della tutela del paesaggio, dal punto di vista del godere direttamente di questo fattore importantissimo per la nostra vita. In realtà, l'essere umano vive in stretta simbiosi con numerosi microrganismi, che popolano il nostro intestino e anche i suoli, quindi, è importante ricordarci che abbiamo bisogno di tutelarlo.
  Ci sarebbe poi tutto il tema che adesso, purtroppo, essendomi dilungato non riesco ad introdurre: quello del cambiamento climatico. È evidente che il suolo è un fattore fondamentale per la lotta al cambiamento climatico, quindi questa legge è sicuramente un tentativo, un tentativo che secondo molti non è ben riuscito, tentativo parziale. Avete argomentato il fatto che è meglio poco che niente, ma io credo – e voglio concludere con questo – che la stringenza dei fenomeni globali a cui assistiamo ci obbliga a volare più alto e ad essere molto più ambiziosi di quanto purtroppo riusciamo a essere in questo Parlamento oggi. Dobbiamo essere ambiziosi, osare e provare a cambiare un sistema che altrimenti rischia di trascinarci verso l'estinzione (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Tentori. Ne ha facoltà.

  VERONICA TENTORI. Grazie Presidente. La proposta di legge in esame affronta temi centrali per il futuro: arrestare il consumo di suolo; salvaguardare i terreni agricoli e favorire la rigenerazione urbana. Si tratta di scelte non più rinviabili, che si riflettono direttamente sulla qualità della vita dei cittadini e sulla sostenibilità ambientale, economica e sociale del modello di crescita che immaginiamo per il nostro Paese.
  Vorrei cominciare dall'agricoltura, apprezzando prima di tutto il messaggio che questa legge lancia: non possiamo permetterci di perdere altro suolo agricolo. Non dobbiamo mai dimenticare che la terra Pag. 56fertile è il bene primario per chi fa agricoltura, e una volta che questa è stata edificata ed impermeabilizzata non si può tornare indietro. I dati ci confermano che ogni giorno nel nostro Paese viene sottratta terra agricola per un equivalente di circa 400 campi da calcio, e che negli ultimi vent'anni il 15 per cento delle campagne è andato perso per effetto della cementificazione e dell'abbandono, provocati da un modello di sviluppo sbagliato, che ha ridotto di più di due milioni di ettari la terra coltivata. Se a questo aggiungiamo il fatto che l'Italia, Paese in cui agroalimentare e cibo possiedono un valore inestimabile, non è autosufficiente dal punto di vista alimentare, è chiaro che la scelta di difendere il suolo agricolo diventa ancora più significativa. Da questo punto di vista la definizione di superficie agricola, contenuta all'articolo 2, è una scelta importante, in quanto va a tutelare non solo i terreni qualificati come agricoli dagli strumenti urbanistici, ma anche le superfici ancora non impermeabilizzate e, dunque, tutto quello che potenzialmente può, o potrà, essere coltivato o destinato ad agricoltura. Altrettanto significativa la scelta di limitare, in maniera molto decisa, il consumo di nuovo suolo per tre anni, fino a quando non sarà stata definita la riduzione progressiva, vincolante in termini quantitativi, di consumo del suolo prevista da questa legge.
  Vorrei soffermarmi anche sulle modifiche accolte in Commissione, volte ad includere anche l'agricoltura urbana, come gli orti urbani, nella definizione di rigenerazione urbana, non limitandola solamente ad una questione edilizia. Sono convinta che riportare l'agricoltura in un contesto urbano sia un'occasione incredibile per trovare un giusto equilibrio nel rapporto tra città e campagna, per elevare la qualità ambientale delle nostre città, per recuperare aree degradate e abbandonate, ma anche per rilanciare la dimensione della socialità, un valore da sempre intrinseco nell'attività agricola, nonché per promuovere l'educazione a stili di vita sostenibili e modelli di consumo consapevole, soprattutto nelle nuove generazioni, le quali è importante conoscano come e dove nascono e crescono i frutti della terra prima di arrivare sulla nostra tavola.
  Particolare attenzione è poi dedicata al recupero dei terreni abbandonati, le cui conseguenze sono – e sempre più spesso, purtroppo, ne abbiamo la dimostrazione – rischio idro-geologico e pericolo di incendio. Per la prevenzione sono previste politiche di incentivazione, oltre alla destinazione degli oneri di urbanizzazione, che potranno essere destinati esclusivamente ad investimenti sul patrimonio e sul territorio e non più ad usi impropri. Ripristinare le colture significa tutelare il territorio e prevenire il dissesto, arrestare il consumo di suolo, difendere la Terra e renderla disponibile per l'agricoltura. Parlare di sicurezza e autosufficienza alimentare vuol dire misurarsi con le sfide più grandi del nostro secolo. Mentre diciamo stop al consumo di suolo, non possiamo ignorare la necessità di mettere in campo una nuova idea di edilizia, un comparto che oggi si trova in grande sofferenza, il provvedimento in esame non si esime dall'affrontare questa imprescindibile questione. Progettare la città, oggi, significa migliorare la qualità della vita dei cittadini e rendere possibili le occasioni di incontro e di relazione. Le politiche di pianificazione devono avere come unità di misura l'uomo e non l'automobile, ed essere volte alla rigenerazione urbana, al recupero delle aree degradate delle nostre città, all'efficientamento energetico degli edifici esistenti, al riuso del suolo edificato. Per questo è stata introdotta la delega al Governo prevista all'articolo 5, la quale prevede criteri volti all'incentivazione di questi processi. Investire fortemente sulla possibilità di intervenire, all'interno del tessuto urbano esistente, con misure di semplificazione ed incentivazione è l'unico modo per conciliare il rispetto dell'ambiente, la qualità dei nostri centri abitati e far ripartire il settore edilizio in chiave sostenibile. In questa ottica è significativa anche l'attenzione al patrimonio edilizio esistente non utilizzato, sfitto o abbandonato, per il quale è previsto un censimento. Pag. 57Anche questo punto è stato introdotto nella discussione in Commissione.
  Per tutte queste ragioni, ritengo che sbaglino i colleghi che oggi vogliono tirarsi indietro e ci chiedono di bloccare questa legge, perché questa legge è un importante passo avanti e va nella giusta direzione. Questa legge che può migliorare ulteriormente con il passaggio in Aula va approvata il prima possibile (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo – A.C. 2039-A)

  PRESIDENTE. Tranne il relatore Fiorio, tutti gli altri relatori hanno finito i tempi. Per la verità, il relatore Fiorio non mi pare che intenda replicare e così la rappresentante del Governo che ha comunicato che non intende replicare.
  Avverto che, a norma dell'articolo 40, comma 1, del Regolamento, prima dell'avvio della discussione è stata presentata la questione pregiudiziale di costituzionalità Brunetta ed altri n. 1, che sarà esaminata e posta in votazione prima di passare all'esame degli articoli del provvedimento. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Proposta di trasferimento a Commissione in sede legislativa di proposte di legge (ore 19,38).

  PRESIDENTE. Come già precedentemente preannunciato per le vie brevi ai rappresentanti dei gruppi, comunico che sarà iscritta all'ordine del giorno della seduta di domani l'assegnazione, in sede legislativa, delle seguente proposte di legge, delle quali la VII Commissione permanente (Cultura), cui erano state assegnate in sede referente, ha chiesto, con le prescritte condizioni, il trasferimento alla sede legislativa, che proporrò alla Camera, a norma del comma 6 dell'articolo 92 del Regolamento:
   Russo ed altri: «Modifica alla legge 20 febbraio 2006, n. 77, concernente la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale immateriale» (2497);
   Mazzoli ed altri: «Modifica alla legge 20 febbraio 2006, n. 77, concernente la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale immateriale» (3333).

  (La Commissione ha elaborato un testo unificato).

Ordine del giorno della seduta di domani.

  PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

  Mercoledì 27 aprile 2016, alle 10:

  (ore 10, con votazioni non prima delle ore 13)

  1. – Discussione del Documento di economia e finanza 2016 (Doc. LVII, n. 4).
  — Relatori: Parrini, per la maggioranza; Castelli e Melilla, di minoranza.

  2. – Assegnazione a Commissione in sede legislativa delle proposte di legge nn. 2497 e 3333.

  3. – Seguito della discussione del disegno di legge e del documento (per lo svolgimento delle dichiarazioni di voto finale e per la votazione finale):
   Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea – Legge di delegazione europea 2015 (C. 3540-A).
  — Relatore: Michele Bordo;Pag. 58
   Relazione consuntiva sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea per l'anno 2015 (Doc. LXXXVII, n. 4).
  — Relatore: Bergonzi.

  4. – Discussione della relazione della Giunta delle elezioni sulla elezione contestata del deputato Giancarlo Galan per la VII Circoscrizione Veneto 1 (Doc. III n. 1).
  — Relatori: Pagano, per la maggioranza; Gregorio Fontana, di minoranza.

  5. – Seguito della discussione delle mozioni Lupi ed altri n. 1-01195, Carfagna ed altri n. 1-01187, Roccella ed altri n. 1-01218, Spadoni ed altri n. 1-01223, Dellai ed altri n. 1-01225, Rondini ed altri n. 1-01226, Vezzali e Monchiero n. 1-01227, Rampelli ed altri n. 1-01228, Nicchi ed altri n. 1-01230 e Palese ed altri n. 1-01233 concernenti iniziative, in ambito nazionale e sovranazionale, per il contrasto di tutte le forme di surrogazione di maternità.

PROPOSTA DI LEGGE DI CUI SI PROPONE L'ASSEGNAZIONE A COMMISSIONE IN SEDE LEGISLATIVA

  alla VII Commissione (Cultura):
   RUSSO ed altri: «Modifiche alla legge 20 febbraio 2006, n. 77, concernenti la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale immateriale» (2497);
   MAZZOLI ed altri: «Modifiche alla legge 20 febbraio 2006, n. 77, concernenti la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale immateriale» (3333).

  (La Commissione ha elaborato un testo unificato).

  La seduta termina alle 19,40.