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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 233 di lunedì 26 maggio 2014

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE LUIGI DI MAIO

  La seduta comincia alle 15.

  ANNA MARGHERITA MIOTTO, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 19 maggio 2014.
  (È approvato).

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amici, Baldelli, Bellanova, Biondelli, Bobba, Bocci, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Brescia, Bressa, Brunetta, Caparini, Casero, Castiglione, Cicchitto, Costa, Dambruoso, De Girolamo, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Ferranti, Fico, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Galan, Galati, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Legnini, Leone, Lorenzin, Lupi, Antonio Martino, Giorgia Meloni, Merlo, Migliore, Orlando, Pes, Gianluca Pini, Pisicchio, Pistelli, Portas, Ravetto, Realacci, Rigoni, Rossi, Rughetti, Sani, Scalfarotto, Speranza, Tabacci, Tidei, Velo e Zanetti sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
  I deputati in missione sono complessivamente sessantasette, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

  Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Annunzio di petizioni (ore 15,03).

  PRESIDENTE. Invito il deputato segretario a dare lettura delle petizioni pervenute alla Presidenza, che saranno trasmesse alle sottoindicate Commissioni.

  ANNA MARGHERITA MIOTTO, Segretario, legge:
  SALVATORE ACANFORA, da Roma, chiede:
   interventi per contrastare il traffico internazionale di cocaina (643) – alle Commissioni riunite II (Giustizia) e III (Affari esteri); nuove norme in materia di indicazione della provenienza degli oli extravergini di oliva (644)alla XIII Commissione (Agricoltura); la riduzione delle indennità percepite dai dirigenti pubblici (645) – alla I Commissione (Affari costituzionali); la chiusura della caserma di Ascoli Piceno (646) – alla IV Commissione (Difesa); interventi a tutela dei consumatori durante i saldi (647) – alla X Commissione (Attività produttive);
  FRANCESCO DI PASQUALE, da Cancello e Arnone (Caserta), chiede:
   il raddoppio e la messa in sicurezza della strada statale n. 309 Romea (648) – alla VIII Commissione (Ambiente); l'innalzamento del limite di spesa per la detraibilità delle spese funerarie (649) – alla VI Commissione (Finanze); nuove norme in materia di scelta degli scrutatori (650) – alla I Commissione (Affari costituzionali);
  MARINO SAVINA, da Roma, chiede:
   la riorganizzazione dell'ufficio per i servizi informativi automatizzati del Ministero dell'interno (651) – alla I Commissione Pag. 2(Affari costituzionali); il rafforzamento degli strumenti di controllo per vigilare sugli appalti pubblici del comune di Roma (652) – alla VIII Commissione (Ambiente);
  FRANCO FASCETTI, da Roma, chiede:
   la concessione di un assegno una tantum a preti e diaconi (653) – alla I Commissione (Affari costituzionali); interventi per la costituzione di nuove unità speciali dell'esercito (654) – alla IV Commissione (Difesa);
  GIOVANNI BRAVIN, da Conegliano (Treviso), chiede la modifica dei requisiti per l'accesso ai benefici previdenziali previsti per i lavori usuranti (655) – alla XI Commissione (Lavoro);
  MATTEO LA CARA, da Vercelli, chiede interventi diversi per fronteggiare l'emergenza profughi (656) – alla I Commissione (Affari costituzionali);
  MORENO SGARALLINO, da Terracina (Latina), chiede nuove norme in materia di reati a mezzo stampa (657) – alla II Commissione (Giustizia);
  RENATO LELLI, da San Pietro in Cariano (Verona), chiede:
   la sospensione dei Trattati dell'Unione europea che prevedono il cosiddetto fiscal compact (658) – alle Commissioni riunite III (Affari esteri) e V (Bilancio); l'abolizione della cosiddetta «riforma Fornero» in materia pensionistica (659) – alla XI Commissione (Lavoro); la sospensione dell'operazione «Mare nostrum» (660) – alla I Commissione (Affari costituzionali); modifiche alla cosiddetta «legge Mancino» in materia di reati di opinione (661) – alla II Commissione (Giustizia); nuove norme per la regolamentazione della prostituzione (662) – alla II Commissione (Giustizia);
  ALDO COPPOLA, da Genova, chiede la rivalutazione delle pensioni di guerra (663) – alla XI Commissione (Lavoro);
  GABRIELLA CUCCHIARA, da Roma, chiede nuove norme in materia di ricusazione del giudice (664) – alla II Commissione (Giustizia);
  FLORIAN PIETRO HENK GARAGNA, da Villafranca di Verona (Verona), chiede misure per una più equa ripartizione degli spazi televisivi tra i partiti in campagna elettorale (665) – alla I Commissione (Affari costituzionali);
  GIROLAMO MAURIZIO DE MARTINO, da Boscotrecase (Napoli), e numerosissimi altri cittadini chiedono l'internalizzazione del servizio di pulizia nelle scuole attraverso l'assunzione tra il personale ATA dei lavoratori ex LSU (666) – alla XI Commissione (Lavoro).

In morte dell'onorevole Ines Boffardi.

  PRESIDENTE. Comunico che è deceduta l'onorevole Ines Boffardi, già membro della Camera dei deputati dalla V alla VIII legislatura.
  La Presidenza della Camera ha già fatto pervenire ai familiari le espressioni della più sentita partecipazione al loro dolore, che desidera ora rinnovare anche a nome dell'Assemblea.

Discussione del testo unificato delle proposte di legge: Amici ed altri; Centemero ed altri; Moretti ed altri; Bonafede ed altri; Di Lello ed altri; Di Salvo ed altri: Disposizioni in materia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché di comunione tra i coniugi (A.C. 831-892-1053-1288-1938-2200-A) (ore 15,05).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di legge nn. 831-A ed abbinate, di iniziativa dei deputati Amici ed altri; Centemero ed altri; Moretti ed altri; Bonafede ed altri; Di Lello ed altri; Di Salvo ed altri: Disposizioni in materia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché di comunione tra i coniugi.
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi relativa alla discussione Pag. 3sulle linee generali è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 20 maggio 2014.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 831-A ed abbinate)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
  Avverto che il presidente del gruppo parlamentare Nuovo Centrodestra ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
  Avverto, altresì, che la II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.
  Ha facoltà di intervenire il relatore, Luca D'Alessandro.

  LUCA D'ALESSANDRO, Relatore. Signor Presidente, il testo approvato dalla Commissione interviene sulla disciplina dello scioglimento del matrimonio con l'obiettivo di anticipare il momento di possibile proposizione della domanda di divorzio. Con un ulteriore intervento sul codice civile, tuttavia, si intende anticipare anche il momento dell'effettivo scioglimento della comunione dei beni tra i coniugi. È, infine, dettata una disciplina transitoria.
  L'articolo 1 del testo in esame, in caso di separazione giudiziale, riduce a dodici mesi la durata del periodo di separazione ininterrotta dei coniugi che legittima la domanda di divorzio e fa decorrere tale termine dalla notificazione della domanda di separazione. In applicazione del principio di economia processuale, e tenuto conto della possibilità che il tribunale emetta una sentenza non definitiva di separazione, si prevede che, qualora alla data di instaurazione del giudizio di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio sia ancora pendente il giudizio di separazione con riguardo alle domande accessorie, la causa è assegnata al giudice della separazione personale. La ratio della norma è di consentire che lo stesso giudice della separazione, che già conosce le questioni personali ed economiche relative ai coniugi, sia chiamato a conoscere anche della causa di divorzio relativa ai medesimi soggetti: causa che presenterà questioni analoghe, se non identiche. L'ultimo periodo dell'articolo 1 riduce a sei mesi il periodo di separazione ininterrotta dei coniugi che permette la proposizione della domanda di divorzio nel caso in cui la separazione sia consensuale.
  Si ricorda che l'articolo 711 del codice di procedura civile, in relazione alla separazione consensuale, fa riferimento sia all'ipotesi in cui il ricorso sia presentato da entrambi i coniugi sia a quella in cui sia presentato da uno solo. Si è quindi previsto che il termine di sei mesi decorra dalla data di deposito, qualora il ricorso sia presentato da entrambi i coniugi, ovvero dalla data della notificazione del ricorso, qualora esso sia presentato da uno solo dei coniugi. Si ha quindi, complessivamente, sia per la separazione giudiziale che per quella consensuale, non solo una riduzione del termine per la presentazione della domanda di divorzio (da 3 anni a 1 anno, nel primo caso, e da 3 anni a 6 mesi, nel secondo), ma anche un'anticipazione del relativo dies a quo, che, secondo la disciplina vigente, decorre dalla comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale. Nella scelta del nuovo dies a quo si è tenuto conto dell'interesse del coniuge convenuto o, comunque, del coniuge che non ha assunto l'iniziativa della separazione, a conoscere quantomeno l'esistenza della domanda di separazione.
  Nel caso della separazione consensuale, se il ricorso è presentato da entrambi i coniugi, entrambi hanno assunto, congiuntamente e consapevolmente, l'iniziativa di separarsi e, quindi, il dies a quo può decorrere dalla data di deposito del ricorso, non sussistendo l'esigenza di garantire a uno dei due coniugi la conoscenza dell'iniziativa di separarsi assunta dall'altro. Quando il ricorso è presentato da uno solo dei coniugi, si è invece preferito far decorrere il termine dalla notificazione all'altro coniuge del ricorso stesso e del decreto che fissa la data dell'udienza presidenziale, Pag. 4anche tenendo conto del fatto che, nel ricorso presentato da uno solo dei coniugi, possono essere contenute le modalità, eventualmente già concordate, della separazione, ma è comunque sufficiente l'asserzione che si è raggiunto l’ accordo o che si ritiene che esso possa essere raggiunto. Nella separazione giudiziale, proprio in considerazione della sua natura contenziosa e dell'esistenza di un coniuge convenuto in senso tecnico, il dies a quo decorre dalla notificazione della domanda.
  Nel corso dell'esame in Commissione e, in particolare, all'esito delle audizioni svolte, si è optato per una formulazione che non prevedesse alcuna differenziazione del termine in questione in relazione alla presenza o meno di figli minori. In caso di separazione giudiziale non è sembrato utile prevedere un termine più ampio in presenza di figli minori. Trattandosi, infatti, di una forma di separazione caratterizzata spesso da accesa conflittualità e da rarissimi casi di riconciliazione, si è ritenuto che la riduzione del termine per la proposizione della domanda di divorzio da tre anni ad un anno potesse tradursi in una complessiva riduzione del periodo conflittuale e, quindi, in un minor danno per i figli minori. Nel testo base adottato dalla Commissione, infatti, solo nel caso di separazione consensuale si prevedeva che, in presenza di figli minori, il termine potesse essere più lungo (sia pure di poco: dodici mesi anziché nove mesi).
  Hanno finito, tuttavia, per prevalere altre più convincenti argomentazioni che hanno indotto la Commissione a superare questa formulazione e a prevedere un termine unico ulteriormente abbreviato (sei mesi) e indipendente dalla presenza di figli minori. In particolare, si è ritenuto che neanche nella separazione consensuale l'estensione del periodo di separazione possa in alcun modo giovare ai figli minori, poiché il periodo della lotta giuridica tra genitori è sempre troppo lungo per i figli. Si è, inoltre, osservato come l'interesse del minore nel contesto della crisi di coppia sia già ampiamente tutelato dal nostro ordinamento giuridico, soprattutto dopo l'entrata in vigore della legge n. 54 del 2006 sull'affido condiviso, che tende a garantire il diritto alla bigenitorialità dei minori e a delimitare la conflittualità delle coppie nel momento della crisi coniugale, dettando una disciplina unica circa la sorte dei figli nella crisi familiare e mettendo, quindi, in discussione il doppio binario tra disciplina della separazione e disciplina del divorzio.
  L'articolo 2 integra la formulazione dell'articolo 189 delle disposizioni di attuazione del codice processuale civile, in base al quale l'ordinanza presidenziale conserva la sua efficacia anche dopo l'estinzione del processo finché non sia sostituita con altro provvedimento emesso dal presidente o dal giudice istruttore, a seguito di una nuova presentazione di ricorso per separazione personale dei coniugi. Nella pratica può accadere, infatti, che il presidente del tribunale, nell'adottare i provvedimenti provvisori, stabilisca un regime della separazione ritenuto soddisfacente o almeno accettabile dai coniugi. Non è infrequente, allora, che i coniugi trascurino di costituirsi o comunque di comparire alle udienze, lasciando che il giudizio entri nella fase di quiescenza che conduce all'estinzione. La ratio del citato articolo 189, secondo comma, è dunque nel senso di consentire che il regime di separazione provvisoria possa protrarsi indefinitamente.
  La modifica introdotta prevede che tale ordinanza, emessa nell'ambito della fase presidenziale del giudizio di separazione personale tra i coniugi, caratterizzata dalla permanenza degli effetti in caso di estinzione del giudizio medesimo, possa essere sostituita anche da un provvedimento del giudice del divorzio, in seguito alla presentazione di ricorso per la cessazione degli effetti civili o per lo scioglimento del matrimonio. Sebbene si tratti di ipotesi residuali, la disposizione che si intende introdurre è destinata ad avere rilievo nei casi in cui il giudizio di separazione si estingua per inattività delle parti dopo che sia stata pronunciata già una sentenza di separazione sullo status.Pag. 5
  L'articolo 3 del provvedimento modifica l'articolo 191 del codice civile, relativo allo scioglimento della comunione dei beni tra i coniugi. Tale disposizione prevede la separazione personale come uno dei motivi di scioglimento della comunione, il cui momento effettivo si verifica ex nunc, secondo la giurisprudenza costante, solo con il passaggio in giudicato della sentenza di separazione.
  Tale previsione non è risultata adeguata alla realtà quotidiana, poiché la permanenza degli effetti patrimoniali della comunione legale difficilmente si concilia con l'interruzione della convivenza. Si ricorda, infatti, che la cessazione della convivenza, ancorché autorizzata con i provvedimenti provvisori, non osta a che i beni successivamente acquistati dai coniugi medesimi ricadano nella comunione legale, ai sensi della disciplina specificamente prevista dal codice civile.
  L'articolo 2 integra la formulazione del comma 2 dell'articolo 191 anticipando lo scioglimento della comunione dei beni al momento in cui il presidente del tribunale, in sede di udienza di comparizione, autorizza i coniugi a vivere separati, ovvero alla data di sottoscrizione del verbale di separazione consensuale, se omologato.
  È poi aggiunta allo stesso comma 2 una disposizione di natura procedurale secondo cui devono essere comunicate all'ufficiale dello stato civile, per l'annotazione sull'atto di matrimonio, la domanda di separazione, se i coniugi sono in comunione dei beni, e l'ordinanza del presidente del tribunale che autorizza i coniugi a vivere separati.
  Un'ultima integrazione al secondo comma dell'articolo 191 anticipa il momento della domanda di divisione dei beni.
  L'articolo 4 del testo in esame detta una disciplina transitoria secondo cui la disciplina dell'articolo 1 del provvedimento, ovvero quella sulla riduzione dei tempi di proposizione della domanda di divorzio, si applica alle domande di divorzio proposte dopo la data di entrata in vigore del provvedimento in esame, anche in caso di pendenza alla stessa data del procedimento di separazione personale.
  Signor Presidente, onorevoli colleghi, permettetemi qualche considerazione su un provvedimento che considero molto importante e che, personalmente, nella qualità di relatore e come gruppo di Forza Italia, ho intenzione di portare avanti con forza e determinazione. Come già accaduto nel corso dell'esame in Commissione giustizia, nonché nel corso delle discussioni sul tema che hanno avuto luogo nelle passate legislature, su questo provvedimento ciascuno di noi potrebbe esprimere una sua opinione personale. Io vorrei invece invitare l'Aula e i parlamentari a riflettere esclusivamente e in maniera quanto più possibile oggettiva sul testo che è stato licenziato dalla Commissione giustizia e che è oggi all'esame dell'Aula, senza lasciarsi prendere in alcun modo da opinioni troppo personali sul concetto di matrimonio e sulla famiglia.
  Oggi, infatti, stiamo discutendo di un'altra vicenda: non di matrimonio e di famiglia, ma di rimedi e soluzioni e di come facilitare la vita a chi non ha avuto un matrimonio ideale, o semplicemente normale, e che cerca una soluzione di vita che probabilmente si riflette anche su altre persone. Una proposta di legge di questo genere non solo non è contro il matrimonio, ma è addirittura a favore dello stesso, perché agevola anche la ricostituzione di matrimoni possibili e futuri. Infatti, molto spesso ad attendere le sentenze di divorzio ci sono coppie che si sono già formate e che magari hanno figli, e che avrebbero anche diritto, in uno Stato civile come l'Italia, a vedere che anche i loro problemi venissero affrontati con la dovuta sensibilità, ma anche con i tempi adeguati.
  La principale obiezione che ha interferito finora sulla modifica della legge del 1970 è stata quella secondo cui l'abbreviazione dei tempi di divorzio rende più fragile l'istituto familiare. In realtà c’è la prova statistica che i tempi lunghi dello scioglimento del matrimonio alimentano il conflitto, più che la riscoperta di solidarietà tra i coniugi. Ci sono sia dati dell'ISTAT che confermano questo dato, sia Pag. 6un sondaggio dell'Eurispes, svolto 2 giorni fa, secondo cui 1'84 per cento degli intervistati è favorevole al divorzio breve. Lascio poi alla collega Moretti il prosieguo della relazione.
  Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale della mia relazione (La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti).

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la relatrice, deputata Alessandra Moretti.

  ALESSANDRA MORETTI, Relatore. Signor Presidente, ringrazio il collega D'Alessandro per la relazione, a cui mi associo, e sottolineo con grande soddisfazione il lavoro condiviso che la Commissione giustizia ha svolto su questo importante provvedimento, insieme al sottosegretario ed insieme alla presidente, onorevole Ferranti, che qui ringrazio, e a tutti i gruppi parlamentari di maggioranza e anche di opposizione.
  Questo vuole essere un provvedimento che, finalmente, arriva in Aula dopo tanti anni di discussione nel rispetto delle legittime aspettative e anche delle legittime sensibilità che in ciascun gruppo parlamentare sono espresse. Ma il lavoro che la Commissione giustizia ha svolto, anche con riguardo agli emendamenti presentati da tutte le forze politiche, è stato un lavoro teso a sottolineare la coralità del provvedimento, che non vuole essere un provvedimento di una parte soltanto, ma vuole essere un provvedimento di tutto il Parlamento.
  Abbiamo da pochi giorni celebrato i quarant'anni dal referendum sul divorzio. Quella è stata una giornata di festa per la nostra democrazia, quando le donne italiane si mobilitarono tutte e votarono perché, appunto, il divorzio venisse riconosciuto come un diritto. Tutte le donne, trasversali, si mobilitarono, e fu una vittoria importante e noi ricordiamo spesso, infatti, che quella circostanza insegnò anche alle giovani donne di oggi che, per vincere le battaglie, bisogna restare unite e, quindi, bisogna condividerle nelle scelte e nella modalità; ma la politica riesce a incidere sul percorso legislativo, cercando di dare risposte ai cambiamenti della società soltanto se coinvolge e sa coinvolgere la società civile per prima.
  Credo che quella lezione di quarant'anni fa ci spinga, dopo tante battaglie che sono state fatte per raggiungere livelli di civiltà e di parità, e io credo che oggi siamo di fronte ad un momento importante, nel quale il Parlamento prende atto anche di quanto la famiglia sia cambiata e di quante forme di famiglia oggi ci siano. Allora, credo che, con il provvedimento sul divorzio breve, noi vogliamo affermare un principio, che è quello della salvaguardia della cultura della famiglia, che deve sopravvivere anche laddove la coppia non riesce più a stare insieme, perché è finita la condivisione di affetti tra marito e moglie.
  Credo quindi che questo provvedimento sia importante, perché va finalmente a sminare la cultura del contenzioso, che troppo spesso ha caratterizzato e continua a caratterizzare le cause di separazione e divorzio, vedendo purtroppo anche utilizzare da parte dei coniugi i figli come strumenti di lotte e di rivendicazione l'uno contro l'altro.
  Allora, io credo che questo provvedimento vada non solo visto e letto in favore della famiglia – che, ripeto, deve resistere anche quando la coppia fallisce – ma, riducendo il conflitto tra coniugi, va senz'altro anche a ridurre la sofferenza da parte dei figli, quando questi ci sono.
  Senza dimenticare, signor Presidente, che questo provvedimento sul divorzio breve, nei tempi che sono stati indicati dal collega D'Alessandro – quindi una riduzione addirittura a sei mesi, qualora la coppia decida di intraprendere il percorso di separazione, divorzio in sede consensuale –, ha un effetto importante in quanto accompagna i coniugi ad assumere responsabilmente delle scelte nell'interesse della famiglia. Quindi, incentiva la cultura della condivisione disinnescando la cultura del contenzioso. Pag. 7
  Credo che in questo senso noi dobbiamo difendere la famiglia come luogo di relazioni ed affetti che deve – ribadisco – essere garantita soprattutto quando ci sono i bambini. È evidente che i figli vogliano i genitori insieme: nessun figlio chiede ai genitori di separarsi. Però, è anche vero che, quando l'amore finisce, tra una coppia deve resistere la cultura della famiglia, che è un ambiente in cui i figli hanno diritto di restare e, soprattutto, deve essere garantita la bigenitorialità e, quindi, il fatto che i genitori continuino ad assumersi nei confronti dei loro figli il ruolo di genitori.
  Credo che questi siano i principi e la ratio che abbiamo voluto sottendere a questo provvedimento. Ho apprezzato e abbiamo apprezzato anche la tempistica, cioè la Camera ha voluto acquisire immediatamente il provvedimento ed esaminarlo in Commissione e portarlo in Aula quanto prima perché noi ci siamo assunti questo impegno anche nei confronti del Presidente del Senato. C’è stato un accordo importante tra i Presidenti di Camera e Senato per dare risposte veloci ad un provvedimento che, voglio ricordare, era arrivato quasi alla definizione già nella passata legislatura.
  Credo sia compito di questo Parlamento, che è il Parlamento più giovane e più rosa della storia della Repubblica, e anche di un Governo che è il primo Governo paritario della storia della Repubblica, dare risposta a centinaia di migliaia di famiglie che sono in attesa anche di risposarsi, quindi di contrarre un nuovo matrimonio perché magari uno dei due nella coppia, o entrambi, sono in attesa di questa sentenza. Pertanto noi, con questo provvedimento, facciamo un servizio a favore della famiglia, a favore della cultura della famiglia come luogo sacro in cui si crescono relazioni affettive e grazie alla quale ai figli è garantita una crescita serena ed equilibrata (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
  È iscritta a parlare la deputata Giuliani. Ne ha facoltà.

  FABRIZIA GIULIANI. Signor Presidente, colleghi, nel giorno in cui giustamente tutta l'attenzione del mondo politico, dei media ma anche dei cittadini è concentrata sul voto europeo, la nostra discussione non è, credo, in alcun modo fuori tema. Infatti, la norma che andiamo a discutere e che dalla discussione in Commissione finalmente arriva in Aula riguarda quel complesso capitolo di riforme che noi chiamiamo, in maniera sintetica, le riforme che riguardano la vita civile, i diritti civili rispetto ai quali il nostro Paese misura ancora, rispetto al resto d'Europa, una distanza grande.
  Credo che su questo abbiano ragione i colleghi che mi hanno preceduto: su questo specifico capitolo – parlo appunto del divorzio, dello scioglimento del vincolo matrimoniale –, come su altri capitoli, il nostro Paese, anche se oggi misura questo gap, questa distanza, ha alle spalle una storia molto importante. Ciò perché nella stagione in cui è stato possibile, si è consentito finalmente lo scioglimento del vincolo matrimoniale nel nostro Paese, in cui sono state promosse anche altre norme importanti che hanno segnato quella stagione di riforme, ebbene il nostro Paese ha conquistato in poco tempo ed ha fatto, dovendo affrontare anche tante resistenze di ordine culturale e politico, passi importanti.
  Non parliamo, naturalmente, soltanto dello scioglimento del vincolo matrimoniale, parlo anche della riforma del diritto di famiglia e dell'interruzione volontaria di gravidanza. Allora, io penso che queste cose siano molto più che diritti; quando andiamo a parlare di queste cose non parliamo di diritti, parliamo, anche, di quel capitolo di materie che molto a lungo ha allontanato il sentire comune dei cittadini dallo svolgimento dell'attività politica. Sono riforme che hanno consentito – lo ricordava prima la collega Moretti, e mi associo senz'altro alle riflessioni che ha fatto – al cammino della cittadinanza femminile di avanzare, di abbattere quel Pag. 8muro tra sfera pubblica e privata che impediva ai due generi di partecipare in eguale misura all'attività politica, alla vita pubblica, non solo all'attività politica e, nelle aree più arretrate del nostre Paese, hanno consentito di rompere un vero e proprio muro di segregazione. Non è preistoria, parliamo di questioni che attengono, anche, soltanto a quarant'anni fa, ma io credo che queste tappe vadano oggi tenute ferme nel momento in cui riusciamo a compiere finalmente questo capitolo.
  Di cosa discutiamo oggi ? Discutiamo di un testo che rende finalmente più veloci le procedure legali e riduce i contenziosi. Non vado a ricapitolare ciò che, appunto, hanno ricordato prima di me i colleghi, sottolineo però un altro dato che vorrei enfatizzare e sottolineare e cioè come, finalmente, in armonia con la storia delle riforme migliori di questo Paese, questo sia potuto avvenire, si sia verificato perché vi hanno concorso tutte le forze politiche, perché è stato uno sforzo trasversale, esattamente come furono trasversali quelle conquiste di riforme che poco prima abbiamo evocato.
  Ora, è stato importante riuscire a sciogliere il vincolo coniugale evitando quell'iter lungo e costoso che comincia dal tribunale con l'ottenimento della separazione e, poi, dopo tre anni, una volta definitiva la sentenza, si passa per il secondo grado di giudizio e comincia un'altra lunga attesa prima che la sentenza di divorzio passi in giudicato; vediamo ora che cosa accade nel resto d'Europa.
  Nel resto d'Europa, fatta eccezione per l'Irlanda del Nord, Malta e la Polonia, e in molti Paesi extraeuropei il divorzio si ottiene con tempistiche relativamente brevi, costi contenuti e procedure snelle. In Francia non è richiesto nessun periodo di separazione per il divorzio consensuale, mentre in caso di contenzioso il tempo massimo è di due anni; in Germania un anno di separazione per le consensuali, che passano a tre in caso di giudiziali, mentre in Gran Bretagna due o cinque anni di separazione, ma, se si dichiara che il comportamento dell'altro coniuge rende insostenibile continuare nella relazione, il giudice può dichiarare immediatamente il divorzio e cessare quello stato di conflittualità che è stato indicato, a gran voce, come l'elemento più dannoso e più nocivo per la vita familiare. L'elemento, appunto, che desta più sorpresa è che l'Italia, ritardataria rispetto all'iter che abbiamo appena ricordato, era all'avanguardia nel periodo delle riforme che abbiamo appena evocato.
  Vorrei sottolineare ancora le novità salienti rispetto al testo licenziato dalla Commissione e che oggi presentiamo in Aula: la riduzione del tempo della separazione da tre anni a 12 mesi in caso di contenzioso; in caso di separazione consensuale, lo sappiamo, i tempi si riducono ulteriormente a sei mesi e il decorrere del tempo non parte dal momento del deposito degli atti, ma dalla notifica. In ultimo, ai fini della riduzione del termine, non si tiene conto della presenza o meno di figli minori, cosa che io considero rilevantissima.
  Su questo, infatti, vorrei fare ancora un'ultima considerazione. Aver ridotto i tempi in caso di separazione consensuale e aver cancellato la clausola sui figli minori, lo ritengo davvero molto importante, soprattutto in seguito alla legge sulla filiazione che prevede, infatti, che i figli siano uguali in tutte le situazioni e a tutti gli effetti. Siamo riusciti, così, infatti, ad eliminare la discriminante tra figli nati all'interno o non all'interno del matrimonio, e allora è importante non reiterare la discriminazione nemmeno all'interno del provvedimento sul divorzio breve perché questa introduzione avrebbe non solo potuto rendere la norma anticostituzionale, ma soprattutto avrebbe potuto introdurre un altro elemento, un vulnus, rispetto al dialogo tra quanto cerca di fare la politica quando esercita riforme e quanto viene compreso. Così, come abbiamo spiegato poc'anzi e come è evidente all'alba di quello che farà il nuovo Parlamento europeo, l'Italia riuscirà finalmente a mettersi al passo con l'Europa o almeno a ridurre la distanza.Pag. 9
  Io credo che la norma che oggi è in discussione, così come le unioni civili per le coppie omosessuali, vada in questo senso. Mi auguro, poi, che si possa giungere in tempi brevi, come già accade in Francia, Svezia o in Portogallo e come a più riprese ha sottolineato anche il Ministro della giustizia, Andrea Orlando, alla rescissione del vincolo matrimoniale senza passare dal tribunale ma con un accordo stragiudiziale, qualora la decisione sia consensuale e in assenza di figli minori. Ciò risponderebbe a due esigenze: da un lato alleggerirebbe il carico del lavoro degli uffici giudiziari e dall'altro renderebbe meno oneroso a livello economico e meno pesante a livello emotivo la decisione di mettere fine ad una relazione.
  Avviandomi a concludere, penso che sia davvero giusto quanto prima sottolineato dalla collega Moretti e anche dall'altro collega relatore: non si tratta in nessun modo di un contenzioso, di un conflitto tra chi sostiene il matrimonio, chi sostiene la famiglia e chi è contrario alla famiglia, si tratta di prendere atto dei mutamenti che attraversano la nostra società, della capacità che ha la politica di accompagnare gli sforzi migliori che vengono compiuti anche dentro la vita privata, di ridurre situazione di conflittualità che rappresentano il vero danno per i minori; si tratta di vedere le cose per come sono e non per come vorremmo che fossero, di non guardare a stereotipi o a cose ideali ma alla vita per come è.
  Mi permetto di sottolineare in chiusura le parole del Pontefice, Papa Francesco, quando esorta sempre anche chi ha responsabilità istituzionali come noi a dire e a vedere la verità. Ecco, vedere i mutamenti per quello che sono, riconoscere i mutamenti che attraversano la società per quello che sono, incoraggiare le forme più coraggiose di radicamento dell'affettività e delle relazioni di cura per i minori credo possano essere l'esempio migliore che la politica, trovando accordo appunto al proprio interno, possa dare (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Mottola. Ne ha facoltà.

  GIOVANNI CARLO FRANCESCO MOTTOLA. Signor Presidente, sottosegretari, colleghi, nel nostro ordinamento è stata introdotta, il 1o dicembre 1970, con la legge n. 898, la possibilità di divorziare. Nel 1974 il popolo italiano ha scelto di mantenere questa norma. Hanno partecipato alla consultazione referendaria l'87,7 per cento degli aventi diritto (quindi un numero assolutamente molto rilevante) e la proposta referendaria è stata bocciata con il 59,3 per cento dei consensi, rispetto al 40,7 per cento di favorevoli.
  Un risultato, quindi, che conferma che già una quarantina d'anni fa il popolo italiano era favorevole senza ombra di dubbio all'esistenza nel nostro ordinamento della normativa sul divorzio. Nel 1987 il Parlamento ha ridotto da cinque a tre anni il tempo previsto per poter introdurre, dopo la pronuncia di separazione, la domanda di divorzio. Già nel 2003 questa Camera aveva affrontato la tematica di una contrazione di tale termine, ritenendo di non poter accogliere la proposta di legge che portava da tre anni a un anno il termine per ottenere il divorzio.
  Anche nella scorsa legislatura la Commissione giustizia aveva approvato un testo per ridurre tale termine, senza però giungere ad un'approvazione da parte dell'Aula. Oggi, nuovamente, la Camera dei deputati è chiamata ad esaminare un testo unificato che prevede, attraverso un intervento mediatorio, sul quale si sono spesi in molti, di ridurre a dodici mesi la durata del periodo di separazione ininterrotta dei coniugi che legittima la domanda di divorzio. Il testo, inoltre, riduce a sei mesi il periodo di separazione ininterrotta dei coniugi che permette la proposizione della domanda di divorzio nel caso in cui la separazione non sia giudiziale ma consensuale.
  Questa normativa si inserisce in un quadro statistico che è profondamente cambiato nel panorama nazionale. È bene ricordare, infatti, che nel 1971, anno immediatamente Pag. 10successivo all'entrata in vigore della legge sul divorzio, in Italia sono stati celebrati 415.478 matrimoni; il numero dei matrimoni è andato progressivamente calando: nel 1980 erano già 323 mila; nel 1999, 275 mila circa; nell'anno 2010 sono scesi a 217 mila. Nel 2012 sono stati celebrati in Italia 207.138 matrimoni (3,5 ogni mille abitanti), 2.308 in più rispetto al 2011. Questo lieve aumento si inserisce in una tendenza alla diminuzione dei matrimoni in atto dal 1972. In particolare, negli ultimi vent'anni il calo annuo è stato in media dell'1,2 per cento, mentre dal 2008 al 2011 si sono avute oltre 45 mila celebrazioni in meno; in termini relativi meno 4,8 per cento annuo tra il 2007 e il 2011.
  L'aumento del numero delle nozze rispetto al 2011 è dovuto alla ripresa dei matrimoni in cui uno o entrambi è di cittadinanza straniera. Nel 2012 sono state celebrate 30.724 nozze di questo tipo, pari al 15 per cento del totale, oltre 4 mila in più rispetto al 2011, ma ancora inferiore di oltre 6 mila rispetto al picco massimo del 2008.
  I matrimoni misti con un coniuge italiano e l'altro straniero sono stati 20.764 nel 2012 e rappresentano la tipologia prevalente: 68 per cento dei matrimoni con almeno uno sposo straniero.
  Diminuiscono ancora, invece, le prime nozze tra sposi entrambi di cittadinanza italiana, che sono state 153 mila nel 2012 e negli ultimi cinque anni il loro numero è diminuito di oltre 39 mila unità. Questa diminuzione spiega da sola il 91 per cento del calo totale dei matrimoni nel periodo dal 2008 al 2012.
  I secondi matrimoni calano da 34 mila del 2008 a 32 mila del 2012; la loro quota sul totale è tuttavia in crescita, dal 13,8 per cento del 2008 al 15,7 del 2012. Nel 2012 sono state celebrate con rito religioso 122 mila nozze; il loro numero è calato di 33 mila unità negli ultimi quattro anni. I matrimoni civili, invece, hanno visto un recupero negli ultimi due anni pari a 5.340 cerimonie, arrivando a rappresentare il 41 per cento del totale a livello nazionale. Al nord i matrimoni con il rito civile superano quelli religiosi e al centro sono ormai 1 su 2, il 49,4 per cento.
  Se questi sono i dati relativi ai matrimoni, ci sono poi i dati statistici relativi alle separazioni e ai divorzi. Nel 1971 il numero delle separazioni era di 18.486; è andato progressivamente crescendo fino a raggiungere, nel 2009, le 85.945 separazioni pronunciate dallo Stato italiano. Il numero dei divorzi era originariamente di 17 mila nel 1971: nel 2011 le separazioni sono state 88 mila, i divorzi 53 mila, rispettivamente più 0,7 per le separazioni e meno 0,7 per i divorzi rispetto all'anno precedente.
  Questi incrementi, in un contesto in cui i matrimoni diminuiscono, secondo l'ISTAT sono imputabili a un effettivo aumento della propensione alla rottura dell'unione coniugale: se nel 1955 per ogni mille matrimoni si contavano 158 separazioni e 80 divorzi, nel 2011 si arriva a 311 separazioni e 182 divorzi. I secondi matrimoni calano e la loro quota sul totale è tuttavia in crescita dal 13,8 per cento al 15,7 del 2012.
  Su questo panorama si inserisce il quadro normativo che noi stiamo valutando se modificare. È nota a tutti, peraltro, la situazione in Europa, dove nei Paesi omologhi – Francia, Germania, Spagna, Gran Bretagna e Svezia – la tempistica di divorzio è assolutamente breve e si esaurisce da quattro a sei mesi, in qualche Stato addirittura senza passare attraverso il vaglio del giudice ma si passa soltanto attraverso un percorso di carattere amministrativo, legato all'attività degli uffici di stato civile.
  In gran parte dei Paesi d'Europa non esiste il duplice percorso della separazione e del divorzio, ma esiste un percorso unico per cui dal matrimonio si passa direttamente al divorzio. È noto poi che esiste un cosiddetto fenomeno del turismo divorzile, per cui oggi come oggi vi sono coppie che per accedere immediatamente al divorzio ricorrono alla normativa di alcuni Paesi nell'ambito europeo – per esempio la stessa Romania – che nell'arco di un bimestre consente di sciogliere integralmente Pag. 11un matrimonio ottenendo poi la convalida in Italia della relativa pronuncia.
  Sull'elaborazione del testo ha influito non poco anche la constatazione che negli ultimi 10-15 anni vi è stato un aggravamento molto consistente dei tempi giudiziari per il conseguimento della pronuncia di divorzio. Oggi la media nazionale è di 508 giorni, che si aggiungono ai tre anni previsti dal quadro normativo attuale. Quindi, se tanto mi dà tanto, siamo quasi al quinquennio che la Camera e il Senato avevano ridotto fin dal 1987.
  Questo testo può essere un provvedimento di mediazione tra diversi punti di vista. Nel nostro panorama nazionale esiste ed è legittimo che esista il convincimento di coloro che pensano che il divorzio rappresenti un'opportunità da non favorire. È assolutamente fisiologico che esistano convincimenti di tipo confessionale, religioso e cattolico per il quale il matrimonio è indissolubile, ma nel nostro ordinamento il divorzio è ormai una realtà del tutto indiscutibile.
  Noi discutiamo soltanto se mantenere la tempistica attuale o vedere di favorire quelle coppie che intendono riaprirsi un nuovo percorso di vita matrimoniale, come testimoniano i numeri che ho ricordato in premessa, con circa 32 mila coppie che sono passate in sede di seconde nozze nel 2012.
  Appare di tutta evidenza che il passaggio da tre anni a un anno – o a sei mesi nel caso di separazione consensuale – non determini un aumento delle separazioni o dei divorzi e non impedisca in alcun modo le riconciliazioni.
  Il verificarsi di eventuali riconciliazioni è infatti dovuto per effetto di un convincimento personale dei protagonisti della vicenda e non per effetto di un intervento legislativo che imponga scelte di un certo genere o scelte di un altro genere. La proposta poi, oltre a considerare il tema dei tempi, ne affronta un secondo che è quello della cessazione della comunione tra i coniugi.
  Il testo anticipa lo scioglimento della comunione legale nella separazione giudiziale al momento in cui il presidente del tribunale, in sede di udienza di comparizione, autorizza i coniugi a vivere separati; nella separazione consensuale, alla data di sottoscrizione del relativo verbale di separazione, purché omologato. Il regime di comunione cessa, nel vigore della normativa attuale, con la pronuncia di separazione. In sostanza, si tratta di un provvedimento condivisibile e aperto a miglioramenti, nella totale serenità e disponibilità dimostrate dai relatori e dalle diverse forze politiche che hanno collaborato alla stesura del testo.
  È importante che questa Camera e il Parlamento affrontino un tema così sentito dai cittadini, che tocca le vite quotidiane di migliaia e migliaia di persone, portando fino in fondo le suddette disposizioni di modifica della normativa vigente per modernizzare e rendere la legislazione del nostro Paese sicuramente più vicina a quella della maggior parte dei Paesi europei.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Roccella. Ne ha facoltà.

  EUGENIA ROCCELLA. Signor Presidente, io devo confessare tutta la mia perplessità su questo provvedimento. L'onorevole Giuliani ha ricordato il gap che ci separa, anche sul tema che discutiamo oggi, dall'Europa. È vero: per decenni il nostro Paese è stato in controtendenza rispetto al resto d'Europa su tutti i dati che riguardano la famiglia e in parte lo è ancora. La percentuale dei divorzi in Italia è molto bassa, è circa la metà della media europea; ci sono da noi meno madri single, meno figli nati fuori dal matrimonio, meno anziani abbandonati, meno fenomeni tipici del disagio giovanile, come la violenza sulle donne, aborti e gravidanze fra le minorenni, bande giovanili e così via.
  Giovanni Paolo II parlava di eccezione italiana; altri la definiscono, invece, l'anomalia italiana, in un'accezione ovviamente negativa, e indicano il modello europeo come una meta da raggiungere, un criterio a cui uniformarsi (è stato detto anche qui).Pag. 12
  In realtà, guardando cosa accade negli altri Paesi europei, leggendo con accuratezza i dati, verrebbe solo voglia di tenersi stretta la nostra differenza. Le alte percentuali di divorzi e di madri sole comportano, infatti, fenomeni sociali pesanti, come la nuova povertà femminile e infantile, una labilità della figura paterna che è ormai un fenomeno studiato che produce danni educativi visibili. Ricordo che è stata coniata la definizione di guess father in Inghilterra, padre ospite, per figure maschili transitorie, poco incisive, che ormai non riescono a svolgere un ruolo paterno.
  Con il disgregarsi della cosiddetta famiglia tradizionale – è un termine che a me non piace, una definizione incongrua: io preferirei parlare di famiglia stabile – i costi del welfare e della sanità si innalzano. Pensiamo, per esempio, all'assistenza domiciliare, che diventa inutile nel momento in cui non c’è più una famiglia a cui appoggiarsi, una famiglia stabile a cui appoggiarsi. Ma in ogni caso lo Stato non riesce a sostituirsi alla famiglia, né sul piano della sostenibilità economica né su quello dell'efficacia della capacità di cura, di educazione, delle distribuzioni interne del reddito, dei compiti sussidiari che svolge.
  La legge fa costume, indica una direzione. Non è solo la registrazione burocratica di un dato di fatto, di un mutamento avvenuto, come mi è sembrato fosse adombrato in qualche intervento. Una proposta come quella che discutiamo oggi implica sul piano dei valori che la stabilità non è un obiettivo da perseguire, che il matrimonio non comporta un impegno di durata e che, anche se ci sono di mezzo i figli, la famiglia si può sciogliere tranquillamente, anzi è bene che il matrimonio si sciolga con la massima facilità e con la maggiore rapidità possibile.
  Noi che abbiamo la responsabilità di legiferare dobbiamo porci una domanda: questa eccezione italiana, questa tendenza alla stabilità e alla durata delle relazioni familiari, di tutta la rete familiare, fra l'altro, è un fatto positivo, è qualcosa che va tutelato, possibilmente incoraggiato, o è solo un sintomo di scarsa modernità, la dimostrazione che il nostro Paese è socialmente e culturalmente antiquato ?
  La crisi della famiglia, che colpisce ormai anche l'Italia, dobbiamo assecondarla o cercare invece di arginarla ? La mia risposta a questa domanda è scontata. In Italia la tradizionale forza della famiglia è stato un potentissimo motore di sviluppo economico, una molla per costruire un futuro migliore per i nostri figli, per fare impresa, per risparmiare. Pensiamo al fenomeno della piccola impresa familiare, pensiamo alla tradizionale vocazione al risparmio delle famiglie italiane, alla resistenza delle reti e dei rapporti di parentela che hanno creato un sistema di mutuo aiuto e di compensazione spontanea, un tesoro di sussidiarietà.
  Sappiamo bene che, se, nonostante il nostro enorme debito pubblico, gli attacchi della speculazione e tutte le nostra fragilità strutturali, siamo ancora in grado di resistere, lo dobbiamo proprio alla propensione al risparmio di cui abbiamo parlato, alla rete parentale di solidarietà e protezione, alla capacità delle famiglie di funzionare da cellula che ridistribuisce il reddito secondo i bisogni dei singoli, senza l'intervento dello Stato. In Italia, insomma, grazie a una storia e a una cultura particolari, la famiglia resiste molto più che altrove, e questo garantisce una tenuta della coesione sociale che credo sia un bene fondamentale, anche dal punto vista economico.
  Il bene della famiglia – è stato detto mille volte – è il bene del Paese; io credo sia così. Certo, la famiglia, negli ultimi cinquant'anni, è molto cambiata: oggi è più fragile, sottoposta alle tensioni di profondi mutamenti culturali e di stili di vita. I matrimoni in Italia sono crollati, il tasso di natalità anche, di pari passo. Nel nostro Paese non ci si sposa più e non si fanno più figli. Le due cose vanno insieme, perché i dati descrivono un'abitudine, ancora molto radicata, a fare figli prevalentemente all'interno del matrimonio; un'abitudine che in altri Paesi europei non Pag. 13esiste più, ma che è stata analizzata, per esempio da Volpi, in molti saggi e in molte analisi assolutamente attendibili.
  L'onorevole Mottola ha sciorinato, fra l'altro, tutti questi dati del crollo del matrimonio, solo che non mi sembra abbia dato un'accezione negativa a tutto questo, cioè non ha considerato le ricadute sociali che il crollo del matrimonio ha in un tessuto come quello italiano. La crisi demografica è comune in tutta Europa, dove ormai nessuna nazione raggiunge il tasso di sostituzione. Da noi, però, il fenomeno è più acuto perché è anche concentrato nel giro di pochi anni e testimonia un cambiamento improvviso, che la politica sembra non volere affrontare.
  Una cosa, però, non è cambiata: la famiglia resta sempre quella società naturale fondata sul matrimonio e indicata dalla nostra Costituzione, composta da un uomo, una donna e, possibilmente, dai loro figli. La famiglia disegnata dalla Costituzione e fondata sul matrimonio esige un impegno forte, basato su doveri reciproci e sulle garanzie per i più deboli, in primo luogo i figli.
  A volte, però, le famiglie si rompono: quando questo accade, è sempre doloroso, è sempre una ferita che brucia. Ma, nonostante il matrimonio possa finire, la famiglia continua a esistere nell'amore per i figli, nel ruolo genitoriale; questo non può finire. Essere padri e madri, così come essere figli, è qualcosa che ci accompagna per la vita, come ci accompagna nella crescita l'amore gratuito che in famiglia abbiamo dato e ricevuto. La durata, la stabilità dei legami è connaturata alla genitorialità umana, e non è solo legata ai desideri individuali; è connaturata, persino biologicamente, alla capacità di autonomia molto tardiva dei cuccioli di uomo.
  Noi qui dobbiamo decidere se questa stabilità insita nell'impegno matrimoniale e genitoriale è qualcosa che va valorizzato e promosso, qualcosa che richiede anche fatica, ma che non può essere eliminato con leggerezza, oppure no. Voglio ricordare che, di fronte alle richieste di equiparare il regime della famiglia alle convivenze, la Corte costituzionale ha risposto negativamente, facendo sempre leva sulla stabilità del nucleo familiare e – cito – sui caratteri di stabilità, certezza e della reciprocità e corrispettività dei diritti e doveri che sono propri della famiglia legittima.
  Proprio per questo ha ritenuto che la disciplina prevista per la famiglia e quella per le unioni di fatto non sono suscettibili di comparazione. Secondo la Consulta, il rapporto di fatto è privo – cito sempre – delle caratteristiche di certezza e stabilità proprie della famiglia legittima, osservandosi, tra l'altro, che la coabitazione può venire a cessare unilateralmente in qualsivoglia momento. Infatti, la convivenza si fonda necessariamente ed esclusivamente su un semplice vincolo affettivo, liberamente e in ogni istante revocabile, di ciascuna delle parti. Di qui l'impossibilità di estendere, attraverso un mero giudizio di equivalenza fra le due situazioni, la disciplina prevista per la famiglia legittima alla convivenza di fatto.
  Dunque, la differenza tra una convivenza di fatto e un matrimonio è proprio la forza dell'impegno, la stabilità e la certezza dei legami, le promesse che facciamo dal punto di vista pubblico e ufficiale. Con questa legge andiamo a colpire esattamente questo punto, simbolicamente, culturalmente e anche nella vita quotidiana delle persone. Rendiamo il matrimonio sempre più simile a un semplice patto di convivenza, a qualcosa che non richiede un particolare impegno, che si può sciogliere con facilità, anche se ci sono figli.
  Facciamo passare l'idea che stabilità e certezza non siano più valori, che gli impegni presi valgono poco, che sono esili e transitori. Nonostante questo, non credo che chi ha voluto questa proposta di legge parta da una volontà negativa, distruttiva, da un'idea di liquidazione della famiglia. In alcune relazioni introduttive alle diverse proposte di legge, e anche qui nel dibattito, è evidente l'intenzione di rendere più facile la formazione di una nuova eventuale famiglia, scindendo più velocemente i legami usurati che si è deciso di tagliare.Pag. 14
  Perché dovrebbe essere necessario aspettare tre anni ? Perché non permettere a chi vuole uscire da un matrimonio infelice e, magari, ha già un altro compagno o un'altra compagna di iniziare subito questa nuova vita insieme, senza perdere tempo e trascinarsi in lunghe attese ? Una volta che un matrimonio è finito meglio voltare pagina e aprirsi al futuro. Eppure non è così: il rischio è che politiche finalizzate in buona fede alla riduzione del danno, politiche che – anche questo è stato detto qui – devono dare risposte e soluzioni al problema, finiscano, invece, per incrementare e favorire il danno, per promuovere il fenomeno che si vorrebbe prevenire o a cui si vorrebbe porre rimedio. Una legge che vorrebbe nelle intenzioni alleggerire il peso della separazione, insomma, porterebbe, temo, ad alleggerire, invece, l'impegno matrimoniale, l'idea che una famiglia è nata per durare e che scioglierla con il divorzio dovrebbe essere l'ultima delle soluzioni possibili.
  Insomma, alla fine, se per disinnescare il contenzioso – anche questo è stato detto – bisogna sciogliere il nodo matrimoniale il più velocemente possibile, tanto vale disinnescare ogni contenzioso, non accedendo nemmeno al matrimonio, passando direttamente alle convivenze.
  L'onorevole Moretti ha ricordato la battaglia sul divorzio e io ho lottato negli anni Settanta perché ci fosse una legge sul divorzio, perché un matrimonio infelice per chi non è credente e non lo vive come un sacramento non sia una prigione. Ma non può nemmeno diventare un Pac, una forma di unione di fatto priva di rilievo sociale e, alla fine, anche costituzionale. Sono convinta che questo Paese, in cui la famiglia storicamente è tanto centrale ed è ancora solida, debba finalmente porsi il problema di politiche familiari serie, a partire dal trattamento fiscale – e, tra l'altro, il mio partito, a questo proposito, ha avanzato proposte concrete di immediata attuabilità – fino alle politiche di conciliazione e a tutte le politiche che abbiamo visto che possono produrre effetti contro l'inverno demografico.
  Ma tutti gli asili nido del mondo, tutte le detrazioni fiscali, le politiche di conciliazione sul lavoro di cura e il lavoro extra domestico, non serviranno, se non c’è una valorizzazione culturale della famiglia, della maternità e della paternità, e questa legge temo che vada nella direzione opposta.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Turco. Ne ha facoltà.

  TANCREDI TURCO. Signor Presidente, i cittadini italiani attendono da molti anni una necessaria modifica alla legge del 1970 sul divorzio. Tale modifica deve essere improntata alla riduzione dei tempi per lo scioglimento degli effetti civili del matrimonio. La normativa attuale, già modificata nel 1987, dove si abbreviò da cinque a tre anni il tempo intercorrente dalla separazione dei coniugi alla cessazione degli effetti civili del matrimonio, impone alla coppia che intende divorziare un doppio passaggio: dapprima la separazione e poi, trascorsi tre anni dal momento nel quale i coniugi, in sede di udienza presidenziale, vengono autorizzati a vivere separatamente, il divorzio.
  Tale procedura dai tempi dilatati risulta essere impegnativa e costosa dal punto di vista economico, ma anche e soprattutto sotto l'aspetto psicologico. Nella fine di un matrimonio ci sono forti implicazioni emotive, che portano a perdere ragionevolezza e che, troppo spesso, coinvolgono anche i figli. L'idea sottesa a questa riforma è di consentire a marito e moglie che non trovano più la forza per andare avanti assieme di potersi lasciare nel modo più rapido ed indolore, evitando lungaggini dolorose per entrambi e, anche e soprattutto, per i figli minori, se presenti.
  Riteniamo che attraverso la riduzione del termine di tre anni, ormai eccessivo, intercorrente tra la separazione e il divorzio si ridurrebbero di molto i tempi per la conclusione dell'esperienza coniugale ormai naufragata. Le famiglie spenderebbero meno in termini di costi per l'assistenza legale, consulenze e perizie, e tale Pag. 15contenimento dei tempi alleggerirebbe il carico di lavoro degli uffici giudiziari. Questo doppio iter procedurale appare ormai quasi come una forma di coercizione della libertà degli individui e poco o nulla serve a far affievolire la sofferenza emotiva e le situazioni di conflitto dei coniugi.
  Nell'ambito delle audizioni, per di più, non sono emersi argomenti a favore di una maggiore tutela dei figli attraverso un prolungamento dei tempi di separazione. Secondo recenti dati ISTAT, nel 2011 le separazioni sono state quasi 89 mila e i divorzi quasi 54 mila, sostanzialmente stabili rispetto all'anno precedente.
  Di queste separazioni, sempre secondo i dati statistici, solo il 2 per cento delle coppie che si separa poi si riconcilia e torna a vivere sotto lo stesso tetto. Ciò rappresenta in modo inequivocabile che in genere chi si rivolge al tribunale per mettere fine alla propria vita matrimoniale abbia già maturato una scelta irreversibile. Appare perciò inutile imporre ai coniugi questa lunga pausa di riflessione tra separazione e divorzio.
  Il tema in oggetto è stato nel corso degli anni più volte affrontato, pervenendo a volte all'approvazione di proposte parlamentari in Commissione, ma alle quali non è mai seguita la definitiva approvazione in Aula. Questa riforma è stata grandemente voluta dal MoVimento 5 Stelle, che ha presentato la propria proposta dopo pochi mesi dall'insediamento di questa legislatura.
  Tale notevole lasso temporale tra separazione e divorzio è un altro tema che ci separa drammaticamente dagli altri Paesi europei. Ricordiamo che la coesistenza nello stesso ordinamento dell'istituto della separazione, quale presupposto per la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il cosiddetto divorzio, costituisce un'eccezione presente in area europea solo in Italia, in Irlanda del Nord e a Malta. La gran parte degli Stati esteri non prevede questa duplicità, ma prevede solamente un unico procedimento per ottenere il divorzio più o meno rapido.
  In Finlandia, in Svezia ed in Austria il dualismo separazione-divorzio non esiste affatto. In altri Stati, quali Francia, Germania e Spagna, la separazione, pur sopravvivendo quale istituto giuridico, non costituisce condizione essenziale per richiedere lo scioglimento definitivo del vincolo matrimoniale. Per poter richiedere ed ottenere il divorzio, sostanzialmente, è sufficiente una separazione di fatto protratta per un breve periodo di tempo.
  La necessità di una rivisitazione complessiva dell'istituto del divorzio in Italia, reso farraginoso soprattutto dalle sue preclusioni temporali e dai suoi vincoli procedurali, in primis l'avvenuta dichiarazione della separazione, è manifestata inequivocabilmente dal gran numero di coniugi italiani che sempre più spesso si recano all'estero per ottenere in tempi brevi lo scioglimento del matrimonio, applicando la normativa più favorevole di alcuni Stati dell'Unione europea. Tale fenomeno di forum shopping o viaggio della speranza per un divorzio breve viene legittimato in forza della facoltà garantita dal regolamento (CE) n. 44/2001, in applicazione del quale si assiste ad un flusso di coniugi che intendono dividere il proprio cammino di vita scegliendo di recarsi all'estero, in Spagna appunto, in Bulgaria o in Romania, per ottenere, in un massimo di sei mesi, un più rapido e meno traumatico scioglimento del matrimonio. In alcuni altri ordinamenti, quali ad esempio la Francia, il Portogallo, la Svezia o addirittura in Brasile, in caso di divorzio consensuale, in assenza di figli minori, si ottiene lo scioglimento del vincolo coniugale senza nemmeno la presenza del giudice.
  La proposta oggi in esame costituisce, quindi, una legge attesa e fornisce un idoneo adeguamento all'attuale realtà sociale italiana, avvicinandoci al contempo al contesto divorzile del panorama europeo. La norma ha sicuramente il pregio di aprire il nostro Paese ad una riforma necessaria. Il MoVimento 5 Stelle, quindi, sottolinea il buon senso del progetto: va bene la proposta così come risulta dal testo base licenziato dalla Commissione, e Pag. 16per questo noi del MoVimento 5 Stelle non presenteremo proposte emendative in Aula.
  Tale proposta incide solo sui tempi della separazione, abbreviandoli, senza modificare in alcun modo la competenza del giudice, che rimane invariata. Nel corso dell'iter legislativo della proposta, in Commissione è stata raggiunta un'ampia intesa per la formulazione del testo base, che è stata sorretta per la sua approvazione da una maggioranza trasversale. Le parti politiche si sono calate nel merito della modifica legislativa, che ha beneficiato del buonsenso e lungimiranza delle proposte del MoVimento 5 Stelle, pressoché accolte in toto. Il testo base vede, pertanto, il MoVimento 5 Stelle nel ruolo di protagonista dei lavori della Commissione giustizia. All'esito del lavoro svolto in Commissione, pertanto, il risultato è stato soddisfacente.
  Questo è un testo che contempera tutte le esigenze. Vengono ridotti i termini per chiedere il divorzio da tre anni a dodici mesi, in caso di disaccordo delle parti, e a sei mesi in caso di consenso di entrambi i coniugi. Il termine di sei mesi dal deposito del ricorso, per la separazione consensuale, per proporre la domanda di scioglimento e di cessazione degli effetti civili del matrimonio è stato da sempre indicato dal MoVimento 5 Stelle, sin dall'inizio dell'iter in Commissione, contrapponendosi al termine proposto da altre parti politiche, individuato, invece, in nove mesi. Quindi, è grazie alla proposta e agli emendamenti del MoVimento 5 Stelle che siamo arrivati nella attuale formulazione del testo base al minor termine di sei mesi, più favorevole alle esigenze dei cittadini. Il nostro emendamento approvato è uno stimolo e un incentivo a premiare la separazione consensuale indipendentemente dalla presenza di figli minori. Il dimezzamento dei termini da dodici a sei mesi in caso di consenso delle parti rappresenta un notevole incentivo alla composizione transattiva delle rispettive richieste, con gli immaginabili e connessi vantaggi sul piano emozionale.
  Poiché le riconciliazioni dei coniugi separati, come è stato ricordato poc'anzi, sono statisticamente rarissime, i cittadini avranno modo di separarsi consensualmente in un termine molto più breve di quello attualmente previsto. Siamo sicuri che la previsione premiale dei sei mesi prevista per i procedimenti consensuali otterrà anche, come effetto tecnico-pratico, una significativa deflazione processuale. Lo Stato potrebbe risparmiare fino a 100 milioni di euro ogni anno in minori costi giudiziari, evitando di affrontare una duplicazione dei procedimenti a distanza di almeno tre anni gli uni dagli altri e ciò anche perché, stante la riduzione temporale del termine per proporre il divorzio, i due procedimenti di separazione e divorzio si potranno riunire. I nuovi termini, infatti, si applicano ai procedimenti di scioglimento e cessazione degli effetti civili del matrimonio radicati dopo l'entrata in vigore della presente legge, ma vengono resi applicabili anche per le separazioni il cui procedimento sia ancora pendente, ampliando così la possibilità di effettiva fruibilità di questa nuova legge. Tali nuovi termini iniziano, infatti, a decorrere dal deposito della domanda di separazione e non, come accade oggi, dalla comparizione dei coniugi di fronte al presidente del tribunale nella procedura di separazione. Questo porterà sicuramente ad una accelerazione dei tempi totali dei procedimenti civili di separazione e divorzio, che oggi sono in media di ben cinque anni e mezzo.
  In questa proposta di legge vengono, altresì, tutelati i diritti dei terzi nei confronti dei coniugi in regime patrimoniale di comunione dei beni. Lo scioglimento della comunione dei beni avrà, infatti, efficacia nel momento in cui il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati ovvero alla data di sottoscrizione del verbale di separazione consensuale dei coniugi avanti al presidente, purché poi lo stesso venga omologato e non invece, come ora, al momento della definitività della separazione. Sia la richiesta di separazione, sia l'esito dell'udienza presidenziale potranno essere sin da subito annotati Pag. 17presso il registro dello stato civile, in modo tale da poter esplicare i propri effetti di pubblicità nei confronti dei terzi.
  Noi del MoVimento 5 Stelle manifestiamo quindi la nostra più sincera convinzione dell'assoluta necessità del progetto sin qui sviluppato. A riprova di ciò, come già detto, non presenteremo emendamenti. La formulazione del testo base attuale ci vede favorevoli, anzi, essendo stati parte attiva di questa proposta di legge, auspichiamo una rapida approvazione della proposta in esame. Noi ci siamo, ci attendiamo ed invitiamo quindi il Governo e la maggioranza a confermare anche in quest'Aula la volontà già espressa in Commissione, approvando questo testo base nel più breve tempo possibile.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la collega Tinagli. Ne ha facoltà.

  IRENE TINAGLI. Signor Presidente, il provvedimento che ci accingiamo a discutere e poi ad esaminare in Aula sull'accorciamento dei termini e la semplificazione delle procedure per arrivare al divorzio, e quindi sullo scioglimento consensuale del rapporto matrimoniale, è l'approdo di un percorso che, come già è stato ricordato dai colleghi, è iniziato molti, molti anni fa. Già nel 2003, nella XIV legislatura, fu avviato l'iter, poi il provvedimento fu rimandato in Commissione; nella scorsa legislatura si arrivò in Aula e poi ci si arenò.
  Quindi, è una storia travagliata, un percorso travagliato, ostacolato in prevalenza da una mentalità che abbiamo sentito anche oggi in Aula attraverso la collega Roccella, una mentalità secondo la quale occorre tutelare l'unità e la stabilità della famiglia e per farlo occorre, in qualche modo, utilizzare degli strumenti normativi e legislativi che disincentivino, che creino ostacoli allo scioglimento del vincolo matrimoniale.
  Io credo che questo sia veramente un approccio sbagliato, un approccio che non tutela proprio quella stessa unità, stabilità familiare che, al contrario, si vorrebbe tutelare, per un semplice motivo: la stabilità e l'unità della famiglia si basano – e non possono che basarsi – sull'amore volontario, sulla voglia di stare insieme e di far vivere ogni giorno su base volontaria e spontanea la promessa e la voglia di stare insieme. Non esiste una forzatura normativa e legislativa che possa in qualche modo sollecitare i sentimenti e le emozioni umane.
  Quindi, dobbiamo prendere atto di questo e prendere atto che questa forzatura normativa, che questa mentalità, di fatto, involontariamente, ha creato però dei costi anche sociali, dei costi giudiziali. Ha creato dei costi sociali perché abbiamo visto quanta tensione si crei nelle famiglie che forzatamente devono convivere lunghi periodi prima di giungere ad uno scioglimento e ad un divorzio, quanto queste tensioni si possano ripercuotere negativamente proprio sull'armonia familiare e sui suoi membri più deboli, come i bambini, come le stesse mogli o i coniugi che magari non hanno autonomia economica e finanziaria e sono costretti a volte a subire ricatti, minacce, violenze. Le violenze domestiche nascono molto spesso da questi tipi di contesti, dai contenziosi, dalle tensioni.
  Quindi, aver alimentato questa illusione, per cui l'unità e la stabilità familiare si tutelano con delle forzature normative, ha provocato costi sociali enormi, oltre a costi economici e giudiziali. Infatti, come alcuni colleghi hanno già ricordato, questa normativa ha causato enormi esborsi monetari da parte delle famiglie. Ma non solo, ricordiamo che il contenzioso legato al divorzio costa allo Stato all'incirca il 16,5 per cento del costo della giustizia civile. Questi sono dei costi che noi abbiamo sostenuto, che la nostra società ha sostenuto per una miopia e un approccio – a mio avviso – sbagliato su quelli che sono e debbono essere gli strumenti per tutelare l'unità e l'armonia della famiglia.
  Quindi, con questa legge in un certo senso si pone rimedio a quelle che sono state delle miopie del passato, e con questa legge in un certo senso ci si adegua ad una società che, di fatto, è cambiata da tempo, che di fatto non è più quella che avevamo Pag. 18conosciuto decine e decine di anni fa. Non spetta a noi dare giudizi di merito se questo tipo di evoluzione ci piace o no. Spetta a noi fornire gli strumenti affinché questi cambiamenti avvengano in maniera serena per le persone che si trovano a vivere certe situazioni.
  Ricordo che nel 1974, quando ci fu il referendum, molte delle persone che all'epoca erano contrarie, fortemente contrarie, all'istituto del divorzio invocavano scenari apocalittici di lacerazioni del tessuto sociale, di cose terribili, cose che in realtà poi non sono accadute. Come ha detto successivamente un noto costituzionalista, Augusto Barbera, cito le sue parole, «non si ebbero quelle conseguenze laceranti sul tessuto sociale e sulla pace religiosa da più parti pronunciate. Il Paese dimostrò così chiaramente di essere su posizioni ben più avanzate di quelle che la classe politica italiana gli attribuiva». Ed è così. È stato così sul divorzio, è stato così su molte altre battaglie civili. Molto spesso la classe politica non ha neanche il coraggio di farsi portavoce di cambiamenti che già sono avvenuti nella società e che chiedono un adeguamento della normativa, della politica.
  Devo dire che mi dispiace anche citare un politico che è stato fin troppo citato e abusato in questi ultimi giorni, ma io ricordo comunque volentieri una citazione di Berlinguer dell'epoca, ai tempi del referendum, quando disse: «È una vittoria della libertà, della ragione e del diritto, una vittoria dell'Italia che è cambiata e che vuole e che può andare avanti». E questo è quello che di fatto ci ha dimostrato poi la storia: un'Italia che era cambiata, che ha reagito a questa nuova normativa in maniera molto matura e, come poi ha ricordato il già citato Barbera, non ha subito contraccolpi, ma ha appunto dimostrato un'armonica sinergia tra l'evoluzione sociale e l'evoluzione della normativa.
  Quindi, quello che ora questo Parlamento si accinge – mi auguro – ad approvare è un provvedimento che dà una risposta semplice e che si adegua ad un cambiamento della società per garantire serenità, per dare gli strumenti alle famiglie per raggiungere una serenità in tempi anche più brevi; e in questo modo questo Parlamento porta a compimento un processo avviato – ripeto – quasi dieci anni fa, dimostrando ancora una volta di riuscire a seguire e ad assecondare certi cambiamenti, però – ahimè – con grave ritardo. Quindi, in un certo senso dobbiamo anche riconoscere che, ancora una volta, le nostre istituzioni e questo stesso Parlamento fanno fatica a guidare in maniera rapida e tempestiva certi cambiamenti, e quindi io mi auguro che questo possa essere per noi anche un monito, un campanello d'allarme per dirci: «Non facciamo in modo che questo si ripeta». Dimostriamo di essere più lungimiranti, di essere più sensibili ai cambiamenti della nostra società. Facciamo in modo di dare delle risposte in tempi più brevi, di non aspettare decenni lasciando centinaia e migliaia di famiglie in situazioni difficili, tormentate. Cerchiamo di dimostrare che siamo in grado di capire questi problemi e di dare risposte in tempi più brevi.
  Su questo e su molti altri temi legati ai diritti civili purtroppo siamo ancora tremendamente in ritardo, quindi approfitto per citare altri provvedimenti, che pure questa Camera ha discusso e approvato, come per esempio la legge sull'omofobia, che poi si è arenata in Senato, i progetti di legge sulle unioni civili, che sono stati più volte e da più parti evocate e sollecitate, ma che poi restano sempre lettera morta; i diritti di chi nasce e cresce in questo Paese e che ancora attende delle risposte da questa politica, da questo Parlamento, a cui noi dobbiamo rispondere.
  Quindi, io vorrei lanciare un monito, un sollecito: a gennaio del 2014 di quest'anno il segretario del principale partito del nostro Paese, il Partito Democratico, incalzò l'allora presidente del Consiglio e l'allora Governo Letta proprio su questi temi, definendoli temi importanti, prioritari. Bene, oggi che il segretario del Partito Democratico è a capo ed alla guida di questo Governo, e lo è forte di una grande legittimazione che proprio oggi è sulle pagine di tutti i giornali, credo che vorrà Pag. 19usare questa forte legittimazione che gli è stata data anche per tener fede a questi propositi, a questi principi che lui stesso aveva proposto ed avanzato solo pochi mesi fa (Applausi dei deputati del gruppo Scelta Civica per l'Italia e di deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Franco Bordo. Ne ha facoltà.

  FRANCO BORDO. Signor Presidente, colleghi, il provvedimento al nostro esame attiene ad una materia rispetto alla quale è ormai improcrastinabile l'intervento del legislatore, ovvero il divorzio e i suoi tempi. La disciplina del divorzio di cui alla legge 1o dicembre 1970, n. 898 prevede, com’è noto, il termine di tre anni dall'inizio della separazione per lo scioglimento del matrimonio, un termine da un lato inutile, quale eventuale deterrente per la prosecuzione di esperienze di coppia ormai logorate e, dall'altro, troppo lungo per la formalizzazione delle scelte di vita maturate nel frattempo e che spesso può esasperare il conflitto nonché accentuare i sentimenti di rivalsa. Nonostante i correttivi apportati alla legge nel tempo per rendere il procedimento meno farraginoso, era ormai necessario e urgente offrire risposte alle esigenze di chi chiede di poter sciogliere il matrimonio anticipatamente rispetto ai tre anni previsti dalla normativa vigente. Nelle ultime legislature, peraltro, sono stati esaminati dalle Camere diversi testi sull'argomento, spesso bloccati prima dell'esame da parte dell'Assemblea.
  In questa legislatura, qui alla Camera, sono state presentate sei proposte di legge su tale argomento tra i quali un testo di SEL, prima firmataria la vicepresidente del gruppo Titti Di Salvo. Abbiamo voluto offrire anche un nostro contributo sul tema per un confronto che ci portasse all'elaborazione di un testo condiviso il più possibile e che oggi, finalmente, è all'esame dell'Assemblea. In particolare il testo uscito dalla Commissione giustizia è teso a rendere più agevole e celere la procedura per l'ottenimento del divorzio, eliminando le eccessive complessità che fanno torto alla volontà dei coniugi che abbiano maturato la decisione di porre fine al loro matrimonio. In particolare si prevede la riduzione da tre ad un anno del termine dall'inizio della separazione per la sentenza di divorzio. Il termine è peraltro ridotto a sei mesi in caso di separazione consensuale. Inoltre, come anche proposto da SEL, si anticipa lo scioglimento della comunione dei beni tra marito e moglie che attualmente consegue al passaggio in giudicato della sentenza di separazione. Lo si anticipa al momento in cui il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati. L'articolo 191 del codice civile, infatti, nell'attuale formulazione comporta che tutti i beni acquisiti dai coniugi continuino a ricadere in comunione pur essendo venuta meno la loro convivenza ed essendosi quindi distinte le posizioni personali anche in ordine alla gestione della propria esistenza.
  Il testo della Commissione appare in armonia con la legislazione dei Paesi europei più evoluti (Gran Bretagna, Francia, Germania, ad esempio) e con la maggioranza comunque dei Paesi europei, essendo patrimonio comune oramai che le relazioni patrimoniali possono proseguire solo con il costante impegno di entrambi i coniugi, con il rispetto e l'amore, e che la scelta nel senso della separazione prima e dello scioglimento poi non possa essere certo contrastata e penalizzata.
  È ora che il Parlamento adotti finalmente le norme che attengono ad una questione di civiltà su cui il Paese da troppo tempo attende risposte. Il gruppo SEL in questo senso farà il possibile per la definitiva approvazione di un testo che, in armonia con la legislazione degli altri Paesi europei, offra soluzioni a quanti chiedono comprensibilmente di poter sciogliere il matrimonio in anticipo rispetto ai tre anni previsti dalla normativa vigente e che anticipi lo scioglimento della comunione dei beni tra marito e moglie al momento in cui il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati, previsioni che, come già illustrato, intervengono su un istituto la cui disciplina, per come stabilita attualmente, non può non Pag. 20apparire troppo farraginosa per la formalizzazione delle scelte di vita maturate con la separazione e che, non ultimo, può inevitabilmente esasperare il conflitto.
  Le indagini demoscopiche e i sondaggi effettuati da istituti specializzati nel corso dell'ultimo quinquennio ci dicono con chiarezza che gli italiani in larghissima maggioranza, anche tra quelli che professano una fede, chiedono che il Parlamento approvi al più presto questa normativa. Sinistra Ecologia Libertà è convinta che si debba dare una risposta positiva a tutte quelle famiglie che per via di una legislazione farraginosa soffrono momenti di inutile dolore e di costi economici eccessivi. Insomma questo è un passo avanti nel campo dei diritti civili. Voglio solo sottolineare che tanti altri dobbiamo farne ancora.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Dorina Bianchi, che non vedo in Aula; s'intende che vi abbia rinunziato.
  È iscritta a parlare la deputata Locatelli. Ne ha facoltà.

  PIA ELDA LOCATELLI. Signor Presidente, come è già stato detto, abbiamo celebrato da pochi giorni i quarant'anni della legge sul divorzio, una legge promossa dal socialista Fortuna e dal liberale Baslini, una legge sofferta, osteggiata a lungo dall'allora DC, ma non dall'elettorato cattolico che, infatti, bocciò il referendum abrogativo del 1974, dimostrando che il Paese reale, come del resto abbiamo già visto ieri, abbiamo ancora una volta visto ieri, è spesso diverso, più avanti di quanto la politica immagini.
  La legge di quarant'anni fa, quasi identica a quella di oggi, se non per la riduzione dei tempi per il divorzio, prevede due fasi prima di arrivare allo scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio ed una procedura lunga e complessa. Una procedura che comporta due giudizi, due sentenze, due difensori da pagare e, per i casi in cui la separazione sia consensuale, una media di almeno cinque anni di attesa. Considerato che, in genere, difficilmente si registra il consenso da parte di ambedue gli ex coniugi, per la sentenza occorrono, a volte, anche dieci o dodici anni. Obiettivamente la legge in vigore appare disconnessa e lontana dalle esigenze delle coppie che decidono di non continuare un percorso di vita insieme e vogliono garantirsi la possibilità di ricostruire nuovi percorsi affettivi. Il Parlamento non può che prenderne atto e trovare nuove soluzioni sul piano legislativo. Quello che, allora, fu voluto dal legislatore, il doppio percorso e i tempi lunghi come deterrente allo scioglimento del vincolo, oggi, appare un anacronistico ostacolo anche alla formalizzazione delle scelte di vita che nel frattempo sono maturate.
  Il presidente della CEI, cardinale Angelo Bagnasco, ha definito utile e necessario questo doppio iter procedurale, sostiene che serve a far decantare l'emotività e le situazioni di conflitto, ma questa sua affermazione è smentita dai numeri, visto che solo il 2 per cento delle coppie che si separa poi si riconcilia e torna a vivere insieme. Chi si rivolge al tribunale ha già maturato una scelta con convinzione, quindi, non possiamo che prenderne atto. È un esame di realtà che ci impone di cambiare questa legge, riducendone i termini e non è, – come qualcuno ha sostenuto, e mi rivolgo alla collega Roccella che non è in Aula, a lei ed altri – la banalizzazione del matrimonio: è un esame di realtà e una battaglia di civiltà giuridica e sociale insieme.
  Ho accennato prima alla bassa percentuale, cioè il 2 per cento delle coppie che si riconcilia dopo aver avviato un percorso di separazione; gli ultimi dati ISTAT relativi al 2012, anche questo è già stato detto, ci dicono che, a fronte di circa 88 mila separazioni, i divorzi assommano a 54 mila, numeri in costante crescita che contribuiscono ad appesantire i tempi ed i costi della giustizia, proprio in ragione di iter procedurali troppo lunghi. È una preoccupazione che abbiamo e che ci risulta abbia anche il Ministro della giustizia; una giustizia, per essere giusta, deve prevedere anche tempi giusti e, per questa ragione, abbiamo presentato, prima in Pag. 21Commissione e lo ripresenteremo in Aula, un emendamento che prevede che, nel caso in cui non vi siano figli minori, i coniugi possano domandare congiuntamente lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, anche se non sia stata proposta domanda di separazione. Proponiamo nel nostro Paese quello che è già una realtà in altri Paesi europei ed extraeuropei.
  Qual è l'obiettivo complessivo che ci proponiamo ? È quello di snellire le procedure burocratiche, incentivare le separazioni consensuali e ridurre i litigi in tribunale, garantendo in questo modo anche il benessere dei figli. In Italia abbiamo, quindi, un problema di tempi, di costi e di ingolfamento degli uffici giudiziari. Dei tempi abbiamo già detto, quanto ai costi in Italia sono assai più gravosi di quelli sostenuti in quasi tutti gli altri Paesi europei tanto che, da qualche anno, si è andato affermando il turismo da divorzio. Alle coppie che oltrepassano il confine per sfilarsi la fede dal dito basta affittare un appartamento per avere una residenza temporanea, ad esempio in Olanda, Belgio, Gran Bretagna e Germania, ed ottenere così il divorzio in pochi mesi o come in Romania, Spagna, Bulgaria dove a volte sono sufficienti anche 48 ore. Una volta divorziato in quei Paesi, allo Stato italiano non resta che prenderne atto perché la fine del matrimonio, così ottenuta, sarà legale anche in Italia in base al regolamento della Commissione europea (CE) n. 44/2001 concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale.
  Nella sostanza, una sentenza esecutiva in un Paese dell'Unione europea lo diventa automaticamente in Italia, il tutto ad un costo medio, là, di circa 3 mila euro. Ecco, sta accadendo quello che è avvenuto ed ancora avviene con la legge n. 40 del 2004 sulla fecondazione assistita: si sta creando una nuova forma di turismo per aggirare una legge italiana. A queste nostre preoccupazioni si aggiungono quelle certamente più pesanti del Ministro della giustizia, che, in Commissione giustizia del Senato, ha parlato di quattro emergenze da affrontare subito: l'arretrato civile, il sovraffollamento carcerario, la mancanza di personale e la lotta alla criminalità organizzata. Per quanto riguarda l'arretrato civile, abbiamo ben presente che ci sono oltre 5 milioni di processi pendenti. A quanto abbiamo letto, le intenzioni del Ministro per le cause pendenti che ingolfano i tribunali prevedono procedure alternative o che esse siano trasferite in una sede arbitrale; rientrano tra queste le separazioni e i divorzi, e noi ce lo auguriamo. La previsione è che l'accordo dei coniugi, assistiti dagli avvocati, superi la necessità dell'intervento giurisdizionale, tranne nei casi di presenza di figli minori o portatori di gravi handicap. A noi sembra una giusta direzione e ci auguriamo che il Ministro assuma al più presto un'iniziativa in questa direzione: al più presto per il lavoro del Ministro della giustizia, al più presto per il lavoro del Parlamento. Da molti anni (siamo alla terza legislatura) la legge sulla riduzione dei tempi per il divorzio vaga senza esito in Parlamento, ma ora sembra che sia la volta buona. Ci auguriamo, pertanto, che il provvedimento che ci accingiamo ad approvare alla Camera non venga affossato al Senato, così come è accaduto per la legge contro l'omofobia, e che faccia da ariete per riportare all'attenzione del dibattito parlamentare i temi dei diritti civili ed eticamente sensibili, che da troppo tempo attendono risposte.

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo – A.C. 831-A ed abbinate)

  PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore D'Alessandro, la relatrice Moretti ed il rappresentante del Governo rinunziano alla replica.
  Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Pag. 22

Discussione della mozione Bergamini ed altri n. 1-00426 concernente iniziative a favore del settore dell'apicoltura (ore 16,30).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Bergamini ed altri n. 1-00426 concernente iniziative a favore del settore dell'apicoltura (Vedi l'allegato A – Mozioni).
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
  Avverto che sono state presentate le mozioni Zaccagnini e Pisicchio n. 1-00473, Cova ed altri n. 1-00474, Massimiliano Bernini ed altri n. 1-00476, Caon ed altri n. 1-00477 e Dorina Bianchi n. 1-00478 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente (Vedi l'allegato A – Mozioni). I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  È iscritto a parlare il deputato Giovanni Carlo Francesco Mottola, che illustrerà anche la mozione Bergamini ed altri n. 1-00426, che ha sottoscritto in data odierna. Ne ha facoltà.

  GIOVANNI CARLO FRANCESCO MOTTOLA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'apicoltura rappresenta uno dei più complessi comparti del settore agricolo, le cui funzioni principali sono rappresentate dall'attività economica e dallo sviluppo rurale, dalla produzione di miele e di altri prodotti dell'alveare, e si caratterizza dalla diversità e dalle condizioni di produzione e di resa nonché dalla frammentazione della molteplicità degli operatori. Tale settore ha suscitato un notevole interesse nello sviluppo agricolo, tanto da vedersi riconosciuta valenza nazionale attraverso numerose produzioni di miele di qualità a marchio DOP e IGP, che confermano l'importanza economica che l'apicoltura riveste in Italia, il cui giro d'affari, legato alla produzione di miele, cera, polline e altri prodotti affini, ammonta intorno a 65 milioni di euro annui. Una crescita economica di tal genere si è avuta anche grazie agli interventi volti sia a favorire nuove iniziative imprenditoriali che a fronteggiare il fenomeno della mortalità delle api legato all'uso crescente di insetticidi tossici. Il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha riconosciuto l'apicoltura come attività di interesse nazionale, in seguito all'approvazione della legge 24 dicembre 2004 n. 313, e ha elaborato uno specifico documento programmatico all'interno del quale sono state indicate alcune linee strategiche a sostegno del medesimo comparto, sia di carattere finanziario che di informazione, per la valorizzazione delle produzioni apistiche, della tutela della salute dei consumatori e dell'educazione alimentare, oltre che per lo sviluppo dei programmi di ricerca e di sperimentazione d'intesa con le organizzazioni apistiche.
  Nel suddetto documento è inoltre disposta l'attivazione di sistemi volontari di rintracciabilità volti a ricomprendere le analisi sui controlli di sicurezza e di qualità dei prodotti apistici, finalizzati a combattere anche gli spopolamenti degli alveari e della moria delle api dovuti all'impiego in agricoltura di prodotti fitosanitari a base di insetticidi neonicotinoidi. L'alta mortalità delle api verificatasi negli ultimi anni ha determinato un impatto economico negativo per gli operatori del settore, rappresentando inoltre una minaccia per la tutela della biodiversità, e ha danneggiato in maniera particolarmente grave l'intera filiera, stimolando la messa in atto, sia a livello comunitario che nazionale, di azioni volte a contrastare l'epidemia delle api all'interno di un ampio quadro di monitoraggio ambientale, attuato attraverso l'impiego delle api quali indicatori dell'inquinamento da fitofarmaci e altri agenti.Pag. 23
  I fenomeni dello spopolamento degli alveari e della moria delle api, manifestatisi a livelli allarmanti nel corso dell'anno 2008, hanno indotto il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ad avviare un monitoraggio nazionale denominato «Rete per il monitoraggio dei fenomeni di spopolamento e mortalità degli alveari in Italia (APENET)», finalizzato alla raccolta di informazioni sullo stato di salute delle api sul territorio nazionale e sulla presenza e distribuzione geografica dei virus delle api e dei residui di pesticidi, acaricidi e neonicotinoidi in api, polline e cera, che minacciano la tutela degli insetti, dalla cui impollinazione dipende l'80 per cento delle colture agricole. L'esito della ricerca è stata l'inaccettabilità d'utilizzo dei pesticidi sistemici come concianti dei semi, l'effetto sinergico e di interazione a cui viene sottoposto l'alveare, nonché il legame tra la presenza di pesticidi e i fenomeni patologici.
  In ambito comunitario, la Commissione europea, a seguito delle conclusioni del rapporto sul settore dell'apicoltura destinato al Parlamento europeo e al Consiglio predisposto dal Commissario all'agricoltura, Dacian Ciolos, ha ribadito l'intenzione di sostenere l'apicoltura europea attraverso l'introduzione di nuove misure di sviluppo rurale finalizzate a favorire i giovani agricoltori nell'ammodernamento delle aziende e ad interventi agro-ambientali per rafforzare la presenza di piante mellifere per il sostentamento delle colonie di api. Si tenga inoltre presente che il fenomeno della moria delle api è aggravato dall'assenza di un adeguato quadro regolatorio internazionale, di un serio supporto da parte dei servizi veterinari e di una legislazione oltremodo carente in tema di etichettatura.
  Il Regolamento (UE) n. 1169 del 25 ottobre 2011, che disciplina l'etichettatura dei prodotti alimentari, inclusi quelli dell'alveare, stabilisce un periodo transitorio di tre anni dalla pubblicazione (22 novembre 2011) entro il quale l'apicoltore deve conformarsi alle nuove regole, consentendo la possibilità di utilizzare etichette conformi alla vecchia normativa, estesa a cinque anni per quanto riguarda l'etichettatura nutrizionale, ma le novità apportate per i prodotti quali miele, polline e pappa reale, risultano tuttavia limitate se si considera come rimanga facoltativa l'indicazione delle caratteristiche nutrizionali, a cui si aggiunge la differenza, da riportare all'interno dello stesso campo visivo, la denominazione di vendita e la quantità netta, eliminando fra l'altro l'obbligo di riportare il termine minimo di conservazione.
  Reputo dunque opportuno, d'accordo con il gruppo parlamentare Forza Italia, a cui appartengo, che il Governo si impegni, nell'ambito del processo autorizzativo relativo all'immissione in commercio dei medicinali veterinari per il settore apistico, che venga predisposta una nuova disciplina volta a garantire una maggiore tutela e salvaguardia della salute umana, una riduzione dei tempi previsti per la realizzazione delle prove cliniche relative alla sperimentazione dei nuovi principi attivi da poter impiegare per la lotta alle malattie delle api e l'introduzione di tariffe agevolate. Mi auguro inoltre che ci sia un impegno serio ad attivarsi presso l'Agenzia europea dei medicinali affinché venga intrapresa una fase di ricerca avanzata che studi anche eventuali nuovi principi attivi e conseguenti limiti massimi residuali per farmaci potenzialmente impiegabili per l'immediato futuro in apicoltura, permettendo a tale settore di usufruire di adeguate risorse per la messa a punto di nuove metodiche per la diagnosi, nuovi strumenti terapeutici e nuovi protocolli di intervento da applicare per le più gravi malattie delle api.

  PRESIDENTE. Constato l'assenza del deputato Zaccagnini, che avrebbe dovuto illustrare la mozione Zaccagnini e Pisicchio n. 1-00473.
  È iscritto a parlare il deputato Cova, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00474. Ne ha facoltà.

  PAOLO COVA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, oggi in Aula discutiamo di uno dei gioielli italiani, cioè uno dei beni Pag. 24preziosi della nostra agricoltura, che è quello del miele.
  È un prodotto assolutamente prezioso per la nostra alimentazione, in particolare proprio per le caratteristiche organolettiche che ha questo prodotto, il miele, e poi soprattutto per la sua capacità di essere impiegato per l'alimentazione anche di persone che hanno dei problemi a livello riabilitativo con delle patologie. Pensiamo all'uso della pappa reale, che è un uso frequente e che viene utilizzata anche come ricostituente. Da qui l'importanza di avere dei prodotti che svolgano una funzione anche sanitaria.
  Noi esportiamo quasi 10 mila quintali di miele. Questo sta a significare anche l'importanza del nostro prodotto, il miele, come prodotto biologico che viene apprezzato a livello mondiale. Abbiamo esportazioni in Europa, ma anche a livello mondiale (Stati Uniti e India). Perché oggi discutiamo delle api ? Discutiamo delle api perché sono le produttrici di questo nettare, sono le produttrici del miele, di una parte importante dell'alimentazione, ma sono anche un bene prezioso perché intervengono nel ciclo della nostra natura. Intervengono a mantenere l'ecosistema, soprattutto per quello che riguarda l'impollinazione, cioè tutto il sistema che va a riguardare la fecondazione delle piante, dei fiori, dei frutti, ed è una dimensione che non possiamo assolutamente dimenticare, perché senza l'opera di questi piccoli insetti tante produzioni non potrebbero avere il proprio sviluppo e la propria vita.
  Negli ultimi anni, come è stato segnalato anche nelle altre mozioni, si parla continuamente di questa moria delle api e, devo dire, da ieri sono spariti anche i «grillini»... Dicevo di questa moria delle api e di quali siano le cause di questa moria. Su questo si è discusso qualche anno fa, nel 2008-2009, perché era cominciato a sorgere questo problema. Allora, il tema era stato posto soprattutto sull'uso dei diserbanti, dei pesticidi e in particolare dei nicotinoidi, che vengono usati nel campo dell'agricoltura.
  Però, mi permetto di fare alcune osservazioni, leggendo anche le altre mozioni, su come è stato affrontato, in tutti questi anni, il tema della moria delle api. È stato affrontato sotto un aspetto agricolo, come un tema che riguarda l'agricoltura, ma non è così. Noi stiamo parlando di un tema sanitario, noi stiamo parlando di un animale, di un insetto, stiamo parlando di allevamenti. Le api vengono considerate degli allevamenti zootecnici che ricadono ampiamente sotto il sistema sanitario nazionale. La stessa legislazione che fa capo al sistema sanitario – e penso, in particolare, al regolamento di polizia veterinaria – parla e si riferisce alle api, alle malattie delle api e a tutto quello che riguarda il tema delle api. Allora, in tutti questi anni si è trattato delle api e del miele come di un aspetto agronomico, agricolo. Invece, non lo è. Oltre ad essere un insetto, un animale, un allevamento zootecnico, è anche un animale che produce alimenti per il consumo umano, per cui le api devono essere sotto la tutela e il controllo del servizio sanitario.
  Perché tutto questo ? Perché faccio questa riflessione ? Perché, se vogliamo arrivare veramente a capire qual è il problema, non ci possiamo fermare solamente al tema dell'agricoltura. In questi anni si è pensato all'allevamento delle api, ad una sua anagrafe, all'intervento dei pesticidi, degli insetticidi, a tutti i servizi di assistenza fatti agli agricoltori in apicoltura, ma tutto questo è stato fatto negando e senza prendere in considerazione la dimensione sanitaria, che è la parte più importante.
  Allora, quando parliamo e diciamo che c’è questa moria, noi dobbiamo pensare e domandarci perché queste api muoiono, qual è il motivo. In Italia la moria si riconduce prevalentemente a una causa, come ho detto prima, legata ai prodotti fitosanitari che vengono usati in agricoltura. Ma non sono le uniche cause. Ci sono altre cause e ci sono altre responsabilità.
  Allora, ritengo e riteniamo che sia importante giungere ad una diagnosi. È importante che venga fatta una diagnosi della moria delle api, per cui si possa determinare qual è la causa, che cosa Pag. 25causa la morte delle api, che cura a questo punto possiamo approntare, e soprattutto quale prevenzione possiamo mettere in campo per evitare una futura ed eventuale moria delle api.
  A noi attualmente manca una corretta diagnosi, perché si è dato solo un taglio agronomico o di agricoltura, ma non sanitario. Voglio citare a questo punto un esempio che è stato attuato in Italia per cercare di risolvere con cognizione di causa il problema, ed è stato attuato in Trentino. In Trentino hanno pensato di risolvere e di affrontare il problema facendo veramente un'indagine epidemiologica sulle cause di morte, investendo di questa responsabilità un sistema sanitario, i medici veterinari liberi professionisti e i medici veterinari del Servizio sanitario, tutta la rete degli istituti zooprofilattici, che già operano su questo settore.
  Questo ha permesso di giungere ad una conoscenza dello stato sanitario degli alveari. E questa indagine sanitaria fatta in Trentino, che viene regolarmente svolta negli altri Paesi europei, dove possono dire chiaramente quali sono anche le cause di mortalità delle api, ha permesso di dire che ci sono delle malattie infettive e malattie parassitarie infettive che vanno ad interessare i nostri alveari e che causano la morte delle api. Penso alla peste americana, la varroasi, la nosema, l'ascoferosi, la vespa velutina, che sta entrando prepotentemente, ad altri parassiti e altri batteri che stanno interessando gli allevamenti. Sono malattie che oltretutto sono ad obbligo di denuncia, cosa che attualmente non sta avvenendo. Poche sono le denunce. Allora, questo è il contesto che si riscontra in Trentino, dove la giusta collaborazione fra la parte sanitaria, che si è fatta carico di questo problema, e la parte di assistenza tecnica agronomica ha portato a capire e a scoprire che cosa stava succedendo.
  Un altro aspetto che è importante e che deve legare l'agricoltura alla sanità, in particolare per questa dimensione che riguarda le api, è quello del rapporto che ci deve essere tra la banca dati del sistema sanitario nazionale, che fa capo al sistema veterinario, e quello dell'agricoltura. È importante sapere quanti sono gli alveari censiti e dove sono, ma che ci sia una univocità. In questi anni questa univocità non c’è stata: ognuno ha lavorato per la sua strada e non c’è stato un dialogo, per cui non si sa e non si conosce. Il Ministero dell'agricoltura oltretutto ha messo in campo dei progetti che non dialogano con il sistema sanitario. Manca allora proprio una conoscenza di quello che sta avvenendo. Io mi rendo conto di una grande difficoltà, facendo queste proposte: portare tutto questo sul tema della sanità vuol dire che alcune malattie effettivamente sono soggette a denuncia, però vuol dire che a questo punto si affronta seriamente il tema e il problema della moria delle api.
  L'Italia ha già vissuto questa situazione in altri anni con altre patologie. Voglio solo ricordare quello che è avvenuto negli anni scorsi, quando c'era la tubercolosi nelle vacche o la presenza della brucellosi. Si sono affrontate seriamente sotto il termine sanitario e si è posto termine a queste patologie. Non possiamo nasconderci che ci sono queste difficoltà e vanno conosciute, anche perché le api comunque sono degli animali che volano e hanno la capacità di volare, hanno la possibilità di volare anche per tre chilometri. I regolamenti sono chiari sotto questo aspetto, proprio perché io posso avere una malattia batterica, posso avere una malattia protozoaria, una malattia parassitaria, e la trasmetto negli allevamenti che stanno intorno, ma se non lo so e non ne sono a conoscenza, questo non può avvenire.
  C’è un altro tema che è importante e che in questi anni è stato un po’ dimenticato: quello dei trattamenti. I trattamenti che sono stati fatti in queste aziende, i trattamenti farmacologici, e da chi sono stati fatti. La legislazione europea ed italiana è abbastanza netta e chiara su questo aspetto: è vietato l'uso dei sulfamidici e l'uso degli antibiotici per le api. Si possono usare altri farmaci antiparassitari, anche ad uso libero, ma gli antibiotici e i sulfamidici non sono permessi proprio perché c’è un tempo di sospensione e di latenza di questi farmaci all'interno del Pag. 26miele. Ma, cosa ben più grave, è che questo farmaco può rimanere anche nella matrice dell'alveare e la permanenza all'interno della matrice dell'alveare può durare a tempo indeterminato, dove noi non riusciamo a definire e a determinare quanto è il tempo.
  La presenza delle api all'interno della matrice alveare fa sì che l'ape pur non essendo più trattata viene comunque a contatto con un antibiotico e la rende costantemente a contatto con l'antibiotico per cui continua a produrre e potrebbe produrre miele che contiene al proprio interno del residuo farmacologico. Questo è un aspetto che va tenuto presente. In questi anni questo è avvenuto. Dobbiamo anche tenere presente, come detto, che le api volano e avere nella matrice dell'alveare la presenza ancora dell'antibiotico fa sì che queste api possano portare questo antibiotico anche su altri fiori dove vanno ad impollinare con una trasmissione continua.
  Il blocco che è stato fatto a livello europeo secondo me è un aspetto importante e non va derogato, proprio perché la qualità del nostro miele è ampiamente superiore a quello che viene da altri Paesi fuori dall'Europa. Questo permette di avere un miele di qualità, un miele senza residuo. Inoltre – questo deve essere chiaro anche ai produttori di miele – dare la possibilità di derogare alla presenza e all'uso di farmaci, antibiotici o sulfamidici, consentirebbe di avere dei residui all'interno del miele e, quindi, ciò potrebbe comportare di essere completamente invasi da miele che arriva da altre nazioni. Questo sarebbe veramente un danno per la nostra produzione e soprattutto per quella produzione di qualità che abbiamo in Italia.
  Mi soffermo ora su un altro aspetto che non è stato considerato e che deve essere preso in considerazione. Perché prima parlavo di chi ha prescritto questi trattamenti e da chi sono stati fatti ? Più studi dimostrano che l'interazione tra pesticidi e gli antibiotici aumenta la mortalità delle api, diventa veramente un cocktail che facilita e porta alla morte più velocemente questi animali.
  Allora deve essere chiaro che tutta la parte sanitaria di trattamento e di gestione di questa parte deve essere fatta nell'ambito sanitario. Il Ministero negli anni scorsi aveva preparato ed aveva istituito questo servizio spia di pronto intervento. Il Ministro dell'agricoltura aveva predisposto questo intervento al quale però non faceva capo nessun veterinario, dove c’è, come detto prima, una competenza specifica. Allora noi chiediamo un'indagine epidemiologica fatta da veterinari pubblici dipendenti. Chiediamo anche di mantenere il divieto all'uso di antibiotici e sulfamidici per garantire il nostro miele, per garantire la matrice alveare e per evitare che vi sia un trasporto del polline. È importante che vi sia una politica sanitaria su questo tema. Che sia ricondotto tutto il tema della moria nell'ambito sanitario del Ministero della sanità, affinché la profilassi e la prevenzione, operate dai veterinari pubblici dipendenti e dai veterinari liberi professionisti con le associazioni apistiche, svolgano veramente una funzione di prevenzione. L'agricoltura ha messo in campo – scusate il gioco di parole – il «campo libero». Quella dove si parla anche di assistenza tecnica è un'ottima iniziativa ma all'interno di questa ci devono essere dei veterinari che collaborano a formare e a dare l'assistenza e il supporto agli apicoltori e ai tecnici apistici. Non nascondo che serve anche una maggiore formazione universitaria per i veterinari...

  PRESIDENTE. Dovrebbe concludere.

  PAOLO COVA. Sto chiudendo, Presidente. Ciò per avere veterinari esperti e preparati in materia.
  Abbiamo chiesto anche veramente di lavorare perché ci siano dei laboratori che facciano indagini più approfondite sull'uso dei pesticidi perché giustamente c’è tutta una questione sanitaria, ma deve essere valutata, concordata e capita qual è l'interazione di questa moria sanitaria, patologica, Pag. 27legata a malattie infettive, anche con l'uso dei pesticidi.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Zaccagnini, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00473. Ne ha facoltà.

  ADRIANO ZACCAGNINI. Signor Presidente, questa mozione, che appunto concerne il settore apistico – la mia e quella di altri colleghi – è una proposta che cerca di andare nella stessa direzione, quanto meno a grosse linee, del collega che si è espresso precedentemente, ovvero di comprendere quali sono le cause della moria delle api e di aiutare le api a sopravvivere in questo difficile momento, ma soprattutto anche di sostenere il settore economico. Ciò perché sappiamo bene che l'impollinazione dei campi è fondamentale e la produzione di cibo che può essere collegata all'impollinazione delle api ammonta a circa il 35 per cento.
  Le istituzioni hanno offerto risposte inadeguate fino ad ora per tutelare il settore che conta 1,2 milioni di alveari, 60 milioni di euro di giro di affari e il numero di apicoltori è circa 50 mila.
  Hanno dato soluzioni e risposte inadeguate finora, soprattutto perché hanno avallato l'utilizzo di prodotti offerti dalle stesse case farmaceutiche o dalle grandi multinazionali che producono pesticidi, insetticidi, erbicidi; e fra questi, in particolare, sono stati individuati i neonicotinoidi come gravemente dannosi per le api. In particolare, questi neonicotinoidi sono dei concianti delle sementi: le api si strofinano su questa sostanza, la riportano all'alveare e si indeboliscono fino a morire.
  Questo è un dato di fatto, tant’è che, oltre ad essere stato avvalorato dall’ EFSA in Europa nel 2013, soprattutto per quanto riguarda gli effetti sulle larve per l'esposizione alle polveri dei neonicotinoidi, abbiamo avuto anche il bando parziale dei tre pesticidi in questione. La cosa grave e che ci ha sorpreso molto l'anno scorso è che l'Italia stessa ha avuto un atteggiamento contrario al bando in Europa. Con il voto dell'Italia, invece, si sarebbe raggiunta la maggioranza qualificata dei due terzi e avremmo avuto un bando non temporaneo di due anni, ma permanente.
  Quindi, innanzitutto l'invito nella mozione è che il Governo si impegni a richiedere il bando e a sottoscrivere e ad appoggiare il bando permanente e che non si adducano cause secondarie o fallaci o, diciamo, in qualche maniera poco attendibili riguardo al fatto di votare in Europa a favore dell'utilizzo di queste sostanze nocive.
  Oltre a questo, si chiede certamente, come anche il collega in precedenza ha sottolineato, di comprendere, attraverso ricerca, progettazione e biomonitoraggio, come mai le api non ce la fanno. Il cocktail pesticidi-antibiotici è certamente una delle cause principali, ma è soprattutto la razionalizzazione spinta dell'apicoltura che ha portato le api ad essere allevate in modi sempre più intensivi e sempre più debilitanti.
  Quindi, attraverso anche progetti, cui ho potuto partecipare anche io con vari cittadini apicoltori, è possibile comprendere come l'allargamento delle dimensioni delle casette stesse delle api porti ad uno sviluppo della famiglia in maniera più armoniosa, più naturale in particolare quando le casette delle api hanno una dimensione maggiore.
  Ciò proprio perché il favo in natura si sviluppa con una dimensione quasi doppia rispetto a quella della casetta tradizionale e, quindi, le larve stesse si possono sviluppare al meglio e in tutte le proporzioni necessarie.
  È certamente vero che altre malattie e parassiti esistono e gli apicoltori devono combattere con queste; ma l'introduzione della varroa negli anni Ottanta ha certamente dato un colpo molto forte alla produzione di miele. Sappiamo che la varroa è endemica del Borneo, viene dal Borneo e quindi le api – soprattutto la ligustica e la mellifera – non erano preparate, come invece altre api che ci convivono da parecchi secoli, se non millenni o – di più – milioni di anni di evoluzione. Infatti, l'ape, comunque, è un animale che Pag. 28ha superato varie fasi evolutive: da carnivora come le vespe a insetto sociale, fino a creare l'alveare.
  Dobbiamo, quindi, concentrarci su una ricerca che vada veramente a comprendere le trasformazioni che sono state apportate allo sviluppo naturale della famiglia delle api e cercare di coniugarle con uno sviluppo economico, una sostenibilità economica per gli apicoltori.
  L'acido ossalico ha mantenuto in vita sostanzialmente le api in questi decenni. Cosa ci possiamo aspettare ? Sicuramente la richiesta delle case farmaceutiche e delle multinazionali che producono pesticidi di continuare a produrli e a venderli.
  Quello che dobbiamo fare noi, come istituzioni, è certamente scongiurare tutto ciò e porre al di sopra il bene comune e l'ecologia, affinché tutto il sistema naturale funzioni e le api possano essere parte integrante di questo.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Massimiliano Bernini, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00476. Ne ha facoltà.

  MASSIMILIANO BERNINI. Signor Presidente, colleghi, con la discussione sulle linee generali delle mozioni riguardanti iniziative a favore del settore dell'apicoltura affrontiamo finalmente in quest'Aula una tematica preminente per l'agricoltura italiana e direi decisiva per il destino della nostra società, quella riguardante la sopravvivenza di alcune specie di insetti che assolvono ad un importante ruolo economico, ecologico ed ambientale: le api.
  Questa mia affermazione, che non vuole essere una esternazione parossistica di stampo eco-terrorista, trova conferma anche in una citazione apparsa per la prima volta su un volantino distribuito a Bruxelles, nel 1994, dall'Unione nazionale degli apicoltori francesi attribuita allo scienziato Albert Einstein che recitava: se l'ape scomparisse dalla faccia della terra, all'uomo non resterebbero che quattro anni di vita.
  Il perché di una simile affermazione è da ricercarsi nella biologia di questo insetto sociale che ha la caratteristica di poter essere allevato dall'uomo ed è diffuso pressoché in tutti i continenti, Italia compresa, dove si segnala, tra l'altro, il maggior numero di sottospecie selvatiche d'Europa.
  L'ape è un insetto pronubo, che trasporta cioè il polline da un fiore all'altro, permettendo l'impollinazione e la conseguente fruttificazione di piante erbacee ed arboree. Per questo assolvono anche all'importantissimo ruolo ecologico ed ambientale di mantenimento della biodiversità vegetale tra le piante spontanee e coltivate. Per queste ultime, in modo particolare, i pronubi garantiscono la produttività di un'ampia gamma di colture europee di importanza economica ed il miglioramento della qualità del prodotto.
  Secondo recenti studi, in Europa gli insetti impollinatori come l'ape contribuiscono alla produzione agricola di 150 colture, l'84 per cento del totale, che dipendono parzialmente o interamente dagli insetti per l'impollinazione e il raccolto, per un valore commerciale che si aggira intorno ai 22 miliardi di euro all'anno.
  Tra le principali colture che beneficiano dell'impollinazione entomofila annoveriamo il melo, l'arancio, il pero; oppure ortaggi come il pomodoro, la carota, la patata; le colture industriali come il cotone, la colza, il girasole; la frutta secca: il mandorlo, il noce e il castagno; le piante aromatiche: il basilico, la salvia, il rosmarino, il timo, eccetera; il foraggio per gli animali: l'erba medica, il trifoglio; le piante officinali come la camomilla, la lavanda e l'enotera.
  Le api e le loro arnie svolgono anche un importante ruolo, quello di essere gli indicatori biologici sullo stato di salute dell'ecosistema, dato il continuo contatto con l'ambiente a seguito dell'attività bottinatrice. Per questo all'interno dell'alveare si possono ritrovare accumuli di sostanze con le quali questi insetti entrano in contatto come, ad esempio, i prodotti chimici delle attività agricole ed industriali.
  Dal punto di vista produttivo, l'apicoltura, inquadrabile nell'ambito della zootecnia, Pag. 29presenta in Italia e in Europa, un mercato vivace ed interessante. Secondo l'Osservatorio nazionale del miele, il mercato dei produttori apistici italiano è caratterizzato da circa 12 mila produttori e da quasi 40 mila apicoltori con attività apistica per autoconsumo e da 1.157.196 alveari censiti che, nel 2012, hanno fatto registrare una produzione di 23 mila quintali circa di miele, il cui giro d'affari, insieme alla cera d'api, al polline e agli altri apistici, ammonta a circa 65 milioni di euro annui.
  L'Italia, inoltre, grazie alla sua varietà climatico-vegetazionale e alla professionalità degli apicoltori che hanno sviluppato raffinatissime ed impegnative tecniche di nomadismo, può contare su un patrimonio di mieli unico al mondo, annoverando un'infinità di millefiori, oltre trenta monoflora classificati e numerosi prodotti apistici di qualità DOP e IGP.
  Ed arriviamo alle dolenti note: secondo molte associazioni di apicoltori come la FAI o l'Unaapi, o la stessa associazione ambientalistica Greenpeace, da almeno un decennio si segnalano gravi casi di moria delle colonie di api inquadrabili, a volte, in una vera e propria estinzione di massa.
  A titolo esemplificativo, la Rete nazionale di monitoraggio degli alveari del progetto Beenet, attivo dal 2011, che sostituisce il monitoraggio Apenet approntato nel 2008 a seguito dei gravi casi di moria, ha segnalato fenomeni di apicidio nelle annate 2012-2013 in molte regioni italiane a seguito dei trattamenti primaverili dei fruttiferi in fioritura o dell'uso dei diserbanti nelle colture industriali. L'Unaapi ha segnalato anche durante questa primavera, quindi nel 2014, nuovi estesi e reiterati fenomeni di avvelenamenti, moria e spopolamenti di interi apiari, soprattutto in concomitanza con l'epoca delle semine del mais, dal Friuli Venezia Giulia al Veneto, alla Lombardia, all'Emilia e al Piemonte, e analoghi fenomeni sui fruttiferi e sulle colture dei cereali della Lombardia e della Campania.
  In generale in tutta l'Europa si è osservata una drammatica diminuzione del numero di api mellifere allevate e di pronubi selvatici perdendo una media del 16 per cento delle arnie, dal 1985 al 2005, prevalentemente in Inghilterra, Germania, Repubblica Ceca e Svezia, anche a causa della rarefazione di spazi aperti ricchi di fiori.
  Per questo la Commissione europea, nel maggio 2013, ha dato il via alla moratoria contro tre insetticidi della famiglia dei neonicotinoidi considerati i più dannosi per le api europee e destinanti alla concia delle sementi, all'applicazione al suolo e ai trattamenti fogliari su piante e cereali.
  Inoltre, l'EFSA, l'Autorità europea per la sicurezza alimentare, ha pubblicato le nuove linee guida per la valutazione del rischio da pesticidi per la sopravvivenza delle api cui tutte le ditte di fitofarmaci dovrebbero attenersi prima della commercializzazione dei loro prodotti.
  Anche lo stesso commissario all'agricoltura Ciolos ha ribadito l'intenzione di sostenere l'apicoltura europea attraverso l'introduzione di nuove misure di sviluppo rurale finalizzate a favorire i giovani agricoltori nell'ammodernamento delle aziende e ad investimenti agroambientali per rafforzare la presenza di piante mellifere, per il sostentamento delle colonie di api.
  L'ultima minaccia in ordine cronologico che incombe sull'apicoltura europea e italiana è quella della vespa velutina, o calabrone asiatico, importata accidentalmente dalla Cina, in grado di predare le api e distruggere gli alveari. In Francia sono scomparsi circa il 50 per cento degli alveari e in Italia ci sono state segnalazioni della sua presenza nelle province di Imperia e di Cuneo.
  A parte queste questioni di carattere ecologico e ambientale sussistono anche ragioni di carattere burocratico che scoraggiano la libera iniziativa imprenditoriale degli apicoltori italiani.
  Quindi, signor Presidente, considerando tutte le criticità sopra descritte, con questa mozione abbiamo oggi l'occasione di poter intervenire concretamente, promuovendo azioni tangibili a tutela degli apicoltori e dell'ecosistema, data la loro importanza Pag. 30strategica per l'economia del nostro Paese, stabilita, tra l'altro, dalla legge 24 dicembre 2004, n. 313.
  Per questo, negli impegni al Governo della mozione a mia firma chiediamo che l'Esecutivo si faccia portavoce in Europa, e non solo, di una messa al bando definitiva e non temporanea di tutti i farmaci neonicotinoidi e degli altri insetticidi sistemici dannosi per i pronubi, finanziando anche la ricerca di nuove procedure e test per l'accertamento delle conseguenze per le api e per gli altri impollinatori dovute allo spandimento di molecole e preparati.
  Chiediamo, altresì, al Governo che si attivi, per quanto di competenza e in accordo con le regioni e con le province autonome di Trento e di Bolzano, promuovendo programmi aziendali pluriennali di miglioramento agricolo ambientale, che favoriscano i pronubi, come la creazione o il mantenimento di habitat specifici, attraverso aiuole incolte per le fioriture spontanee, la gestione e l'utilizzo di agrofarmaci in modo da tutelare l'entomofauna, la riduzione dell'uso di diserbanti per salvaguardare le piante che offrono fioriture e la semina e la coltivazione di specie che producano fioriture abbondanti, come, ad esempio, la colza, il trifoglio e la fava, inserendole nelle rotazioni colturali.
  È importante anche vigilare affinché i trattamenti alle colture vengano effettuati solo con prodotti chimici autorizzati, evitando sempre e comunque i periodi di fioritura e di mielata delle piantagioni.
  Per quanto riguarda gli operatori del settore, date le sue peculiarità ed eccellenze, si dovrebbero tutelare i produttori italiani da pesanti fenomeni di concorrenza estera, estendendo a tutti i prodotti alimentari apistici (nello specifico, pappa reale e polline) l'obbligo, attualmente in vigore solo per il miele, di indicare in etichetta il Paese d'origine del prodotto confezionato e, per tutte le categorie di prodotti, la provenienza dei pollini utilizzati, fermo restando quanto previsto dal regolamento dell'Unione europea n. 1169.
  Chiediamo al Governo anche di attivarsi per una semplificazione burocratica del settore, soprattutto per quanto riguarda la vendita diretta e la cessione al dettaglio dei prodotti che l'apicoltore effettua presso la sede aziendale, come già previsto per i produttori agricoli che cedono in campo il proprio raccolto. Nella fattispecie, nella nostra mozione abbiamo riportato un elenco di semplificazioni che potrebbero essere approntate immediatamente e a costo zero per la pubblica amministrazione, come quella di inserire la pappa reale, o gelatina reale, tra i prodotti agricoli della parte I della Tabella A del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, in materia di disciplina di valore aggiunto.
  Queste alcune delle nostre proposte di impegno, frutto di un confronto avuto in questi mesi con le associazioni italiane di apicoltori, che chiedono, tra l'altro, un loro maggior riconoscimento per una equilibrata partecipazione nell'elaborazione dei programmi di settore e per un utilizzo ottimale delle risorse destinate all'agricoltura.
  Infine, per questa nuova ed incombente calamità che va sotto il nome di vespa velutina, chiediamo che si apra immediatamente un tavolo di confronto con le parti coinvolte, con l'ISPRA, con le università, con le associazioni apistiche, per stabilire protocolli di intervento e programmi formativi per gli apicoltori, al fine dell'immediata individuazione ed eradicazione del predatore asiatico.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Caon, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00477. Ne ha facoltà.

  ROBERTO CAON. Signor Presidente, onorevoli colleghi, premesso che l'apicoltura è considerata a tutti gli effetti un'attività agricola, è un'attività del settore agricolo-zootecnico di rilevanza economica fortemente radicata nella tradizione e nei luoghi in cui viene esercitata.
  L'apicoltura è creatività. L'apicoltore si ingegna per trovare delle soluzioni ai problemi pratici dell'allevamento: prove, esperienze, Pag. 31risultati che rimangono nell'esperienza del singolo.
  L'apicoltura è l'allevamento di api allo scopo di sfruttare i prodotti dell'alveare, dove per tale si intenda un'arnia popolata da una famiglia di api. Malgrado le specie allevate siano diverse per la loro produttività, ha una netta predominanza l’apis mellifera.
  Il mestiere dell'apicoltore consiste sostanzialmente nel procurare alle api ricovero e cure e vegliare sul loro sviluppo; in cambio egli raccoglie una quota discreta del loro prodotto, consistente in miele, polline, cera d'api, pappa reale, propoli e veleno.
  L'apicoltura può essere assai significativa anche ai fini del controllo ambientale, essendo l'ape un animale molto sensibile alla qualità dell'ambiente in cui vive e inoltre, per la natura stessa della sua attività, una sorta di campionatore ecologico assai funzionale, almeno d'estate, in quanto le api ispezionano una vasta area attorno all'alveare, venendo a contatto con suolo, vegetazione, aria ed acqua.
  L'apicoltura, un tempo ingiustamente considerata la cenerentola dell'agricoltura, oggi è riconosciuta dalla legge n. 313 del 2004 come attività di interesse nazionale. La ricchezza culturale dell'apicoltura, le ampie disponibilità di risorse nettarifere che da sempre caratterizzano il territorio italiano e la varietà e la selezione negli anni di un ceppo di api universalmente riconosciute come le migliori del mondo hanno portato il nostro Paese ad importanti traguardi sul piano interno ed internazionale, per numero di addetti, per tipologia qualitativa della produzione e per diffusione dell'allevamento sul territorio. Qualsiasi prodotto nazionale europeo che si fregi di una denominazione ed indicazione protetta ha un disciplinare, ovvero la prescrizione che disciplina l'ottenimento di un prodotto agricolo o alimentare. Più precisamente, è la norma di legge che definisce i requisiti produttivi e commerciali di un prodotto a DOP o IGP o qualifiche equivalenti in consorzi di tutela, sovrintendendo alla nascita e gestione del disciplinare e dei riferimenti.
  L'iter per elaborare, presentare, approvare e pubblicare un disciplinare è piuttosto complesso e comunque deve essere svolto in sede comunitaria.
  La denominazione protetta individua il nome di una zona determinata, di una regione e talvolta anche di un singolo paese, che designa un prodotto agricolo o alimentare come originario di tale territorio, ove avviare la produzione e la trasformazione, la cui qualità sono da rinvenirsi esclusivamente in quel tale determinato ambiente geografico.
  La procedura per il riconoscimento della DOP è disciplinata dal regolamento (CE) 1510 del 2006, il quale prevede che, per beneficiare di una denominazione di origine protetta, un prodotto agricolo o alimentare debba essere conforme ad un disciplinare e che la domanda di registrazione può essere presentata esclusivamente da un'associazione ovvero qualsiasi organizzazione, a prescindere dalla sua forma giuridica o dalla sua composizione, di prodotti o di trasformatori che trattano il medesimo prodotto agricolo o il medesimo prodotto alimentare. L'associazione può presentare la domanda di registrazione solo per i prodotti agricoli o alimentari che essa stessa produce od elabora. La domanda di registrazione della DOP è inviata allo Stato membro sul cui territorio è situata la sua zona geografica. Lo Stato membro esamina la domanda di registrazione per stabilire se sia giustificata e soddisfi le condizioni previste dal regolamento.
  Qualora si ritenga che i requisiti del regolamento siano soddisfatti, lo Stato adotta una decisione favorevole a trasmettere alla Commissione europea la documentazione per la decisione definitiva, che sarà poi pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea.
  Il miele italiano sta raggiungendo e consolidando il traguardo della qualità negli ultimi anni: dal miele varesino, un prodotto di grande importanza per la Pag. 32nostra agricoltura prealpina, che ha finalmente ottenuto un traguardo in ambito e meritato, al miele delle Dolomiti bellunesi, un prodotto di eccellenza delle nostre montagne, che sono state proclamate patrimonio dell'umanità.
  Hanno avuto il riconoscimento DOP dopo una lunga e difficile procedura per entrare nell'Olimpo della qualità europea. Questi riconoscimenti hanno una ricaduta positiva sul comparto produttivo apicolo, che è divenuto l'ennesimo punto d'orgoglio per l'agricoltura del nostro Paese.
  Sono circa un milione e 300 mila gli alveari nel nostro paese e 70 mila gli apicoltori italiani, per un fatturato di circa 60 milioni di euro, che aumenta se si pensa che la produzione agricola trae incremento produttivo anche dal prezioso ed insostituibile servizio di impollinazione delle api sulle colture ortofrutticole e sementiere.
  La qualità di miele prodotta varia in base all’habitat in cui sono collocati gli alveari, ma la media è di 40-50 chilogrammi l'uno. Nell'arco di un'intera stagione, un'azienda apistica di medie dimensioni che detiene 300 alveari riesce a fare 150 quintali di miele o più, con ricavi superiori ai 100 mila euro.
  L'apicoltura è tra le attività che più si presta alla conduzione familiare: infatti è perfettamente compatibile con le esigenze e gli stili di vita dei giovani di oggi; un'attività a contatto con la natura, che collabora ai fini produttivi con l'ambiente senza sfruttarlo, che lascia anche lo spazio per la vita sociale dell'imprenditore, può rappresentare una valida alternativa alle attività tradizionali.
  Insomma, l'apicoltura è un universo tutto da scoprire, che forse può dare risposte semplici, ma concrete, utili alla società moderna. Occorre ricordare che il nostro Paese non è autosufficiente per quello che riguarda la produzione di miele. Infatti, circa il 50 per cento del consumo è sostenuto da prodotto di importazione, il che significa spazi di impresa e nuove opportunità di lavoro per chi vuole diventare un apicoltore.
  La maggior parte del miele importato proviene da Paesi extraeuropei e i prodotti provenienti da questi Paesi arrivano sul mercato italiano ad un prezzo che è di molto inferiore, possedendo una qualità sicuramente inferiore. Si importano soprattutto mieli millefiori dall'America Latina, dall'Est europeo e dalla Cina. Tra i mieli uniflorali il più importato è sicuramente quello di robinia (acacia) proveniente da Ungheria, Romania e Cina, ma, per chi apprezza veramente il miele, la grande variabilità del prodotto nostrano è proprio la caratteristica di maggior pregio.
  Ad aggravare le condizioni di difficoltà del settore è sopravvenuto il diffondersi, all'inizio degli anni Ottanta, di un dannosissimo parassita degli alveari, l'acaro Varroa jacobsoni Oudemans, nonché della vespa asiatica, vespa velutina, che ha prodotto diffuse mortalità degli alveari, abbandonati da parte di numerosi operatori, e, quindi, un graduale ridimensionamento della consistenza complessiva della produzione.
  È necessario sostenere una rinnovata attenzione verso l'apicoltura, osservata anche come diversificazione produttiva all'interno dell'azienda agricola secondo i caratteri di una multifunzionalità che essa può assumere soprattutto nelle aree difficili, nonché come fonte di reddito per i giovani alla ricerca di nuova occupazione. È fondamentale, infatti, richiamare l'attenzione sull'importanza anche nutrizionale e terapeutica dei prodotti dell'alveare.
  La mozione impegna il Governo ad adottare provvedimenti volti al sostegno del settore apistico, fonte di creazione di nuova occupazione con livelli di investimento sostenibili, al fine di sviluppare e proteggere l'apicoltura, nicchia dell'economia agricola, meglio migliorando la qualità e la commercializzazione del miele e dei suoi derivati; ad assumere iniziative che favoriscano la nascita di aziende nel settore apistico, condotte da giovani, che, contribuendo alla biodiversità ed al mantenimento degli equilibri ambientali, che sono gli elementi che caratterizzano il Pag. 33comparto apistico, siano un tipo di modello ideale di impresa agricola nel futuro; a valorizzare l'esperienza produttiva dell'apicoltore, che attraverso i disciplinari di produzione si orienta verso una produzione di qualità; ad affidare alle regioni specifiche competenze in materia di monitoraggio e controllo, al fine di evitare l'espansione di parassiti e specie dannose per l'apicoltura, e di selezione e salvaguardia della purezza dell’apis mellifera ligustica S., da realizzare anche attraverso l'istituzione di parchi naturali per la conservazione in purezza del patrimonio genetico di questa razza, riconosciuta sul piano internazionale come la migliore in assoluto; a prevedere regole che siano più chiare e semplici, al fine di una generale semplificazione della burocrazia in agricoltura, affinché i giovani che vogliono avviare l'attività di apicoltore siano più incentivati a farlo, anche dal punto di vista burocratico.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Franco Bordo. Ne ha facoltà.

  FRANCO BORDO. Signor Presidente, senza api non c’è primavera. Ci mancherà il loro ronzio operoso e rassicurante, ma, soprattutto, ci mancherà almeno un terzo dei raccolti la cui impollinazione dipende dall'alacrità delle colonie delle nostre api. Se già oggi le famose pere, ad esempio, del Sichuan, in Cina, devono essere impollinate a mano e le mandorle della California costano il doppio per colpa del collasso degli alveari, è facile immaginare il seguito. Pensate che rimpiazzare l'opera delle api con l'impollinazione manuale per tutti gli Stati Uniti, in base alle stime, avrebbe un costo annuale di 90 mila miliardi di dollari, con ricadute devastanti sul mercato globale delle materie prime alimentari, e in Europa, dove il problema è altrettanto grave, non siamo distanti da quelle stime. Recenti ricerche eseguite ad Harvard ci dicono che due neonicotinoidi, ampiamente utilizzati in agricoltura, danneggiano gravemente la salute delle colonie delle api durante l'inverno, soprattutto negli anni più freddi.
  Lo studio conferma la scoperta del 2012 dello stesso gruppo di ricerca che ha trovato un legame tra le basse dosi di imidacloprid e la sindrome dello spopolamento degli alveari, cosiddetto colony collapse disorder, che provoca l'abbandono degli alveari durante l'inverno e, infine, la loro morte. Ulteriori studi suggeriscono che la mortalità delle colonie di api correlata alla CCD può essere causata da una ridotta resistenza delle api agli acari o ai parassiti, a seguito dell'esposizione ad agrofarmaci.
  Un altro problema importante è stato evidenziato da uno studio italiano che ha il pregio di svelare il ruolo di un virus come guastatore del centro nevralgico del sistema immunitario della singole ape, il cosiddetto fattore NF-kB, aprendo la porta alla comprensione di come l'insieme delle infezioni prodotte da patogeni possa, nel migliore dei casi, rendere l'ape una sorta di invalida civile; nel peggiore dei casi, invece, la morte è repentina. Il DWV o virus delle ali deformate è quello che fa sì che in presenza di varroa, che facilita la vetturazione del virus, le api nascano con le ali sfrangiate.
  Un altro studio interessante evidenzia con grande chiarezza come la qualità del polline sia fondamentale sia per l'ape che per l'alveare per resistere al nosema e, di conseguenza, al virus, e da ciò come la nutrizione dell'ape sia il fondamento da cui l'alveare trae la possibilità di esprimere la competenza immunitaria che permette alle colonie di api di resistere ai patogeni. Infine, il mondo della ricerca ha evidenziato la virulenza del cosiddetto nuovo virus IAPV, virus della paralisi acuta israeliana, allo stadio di pupa e a quello di bottinatrice; il virus è micidiale, in tre giorni la bottinatrice è morta e le pupe muoiono anch'esse in tempi analoghi.
  Insomma, la ricerca dimostra, quindi, come sia di assoluta importanza, per combattere il fenomeno della moria delle api, affrontare tempestivamente le problematiche sanitarie rispetto alle quali, al momento, gli apicoltori si trovano impotenti, vista la mancanza di adeguato supporto Pag. 34da parte dei servizi veterinari locali e la mancanza di assistenza tecnica in merito.
  L'attività apistica in Italia è un'attività agricola di antica tradizione, grazie alla nostra biodiversità, ad un ambiente naturale favorevole per condizioni climatiche e geografiche e alla presenza di una razza di api particolarmente adatta all'allevamento, l’apis mellifera ligustica, nativa della penisola e conosciuta nel mondo come «ape italiana»; apprezzata per il valore biologico ed economico, il suo allevamento ha contribuito significativamente alla diffusione e al successo dell'apicoltura in tutto il mondo. L'indirizzo produttivo prevalente delle aziende apistiche è la produzione di miele; altre produzioni richiedono un maggiore livello di specializzazione, come, ad esempio, l'allevamento di api regine.
  Quelli prima descritti sono i veri problemi dell'apicoltura nazionale, alla quale oggi le istituzioni non sanno offrire risposte adeguate per tutelare un settore che in Italia conta oltre un milione di alveari, per un giro di affari di 60 milioni di euro. In Italia gli apicoltori sono 50 mila, di cui 7.500 professionisti, che totalizzano un fatturato di circa 25 milioni di euro. A ciò si aggiunge il fatto che le api concorrono per l'80 per cento al lavoro di impollinazione e l'alimentazione umana dipende per un terzo da coltivazioni impollinate attraverso il lavoro di questi insetti.
  Le api, inoltre, rappresentano uno dei rilevanti biosensori per l'ambiente e contribuiscono alla crescita di una maggiore coscienza collettiva in merito alle attuali sfide ambientali, rappresentando anche un importante strumento per la sensibilizzazione ai temi dell'ambiente e della sostenibilità in ambito educativo. Allora, che fare ? Ogni passo avanti per trasformare l'attuale modello agricolo, altamente dipendente dalle sostanze chimiche, in un sistema di agricoltura ecologica avrà molti benefici, sia a livello ambientale che in riferimento alla sicurezza alimentare.
  L'agricoltura di stampo ecologico che mantiene un'elevata biodiversità senza l'uso o perlomeno con un uso limitato di pesticidi e fertilizzanti chimici, ha dimostrato di apportare benefici agli insetti impollinatori. Questo a sua volta si trasforma in benefici per l'impollinazione delle colture e potenzialmente in buone rese. I metodi di produzione ecologici fanno emergere molti altri vantaggi oltre a quelli relativi agli impollinatori; ad esempio, possono rafforzare il controllo di erbe infestanti, malattie, parassiti e far aumentare la resistenza complessiva degli ecosistemi. Questi approcci, signor sottosegretario, meriterebbero una ricerca mirata per sviluppare le migliori pratiche agricole di gestione, ricevono, invece, molti meno finanziamenti pubblici rispetto alle politiche e alle tecniche convenzionali, fortemente dipendenti dalla chimica. Si privilegiano ancora troppo i metodi vincolati all'uso di sostanze chimiche antibiotiche, si investe pochissimo in sistemi di agricoltura sostenibili, che sono in grado di produrre pressoché la stessa quantità di cibo e di profitto dell'agricoltura convenzionale, generando al contempo molti meno danni a livello ambientale e sociale.
  Per queste ragioni, Sinistra Ecologia Libertà chiede e propone di vietare o perlomeno limitare l'uso di pesticidi nocivi per le api, a partire dalle sette sostanze più pericolose oggi in circolazione nell'Unione europea; chiede di sostenere e promuovere pratiche agricole che apportino benefici al servizio di impollinazione all'interno di sistemi agricoli, come la rotazione delle colture, la promozione di aree di interesse ecologico a livello aziendale e metodi di agricoltura biologica; chiede di aumentare i finanziamenti per la ricerca, lo sviluppo e l'applicazione di pratiche agricole ecologiche che si allontanino dalla dipendenza da sostanze chimiche e antibiotiche per il controllo dei parassiti, per andare verso l'uso di strumenti basati sulla biodiversità per controllare appunto i parassiti e migliorare la salute degli ecosistemi. Sulla base di questi convincimenti, SEL condivide il contenuto Pag. 35delle mozioni presentate e auspica si possa pervenire ad un testo unico da approvare unitariamente in questa Camera. In tal senso, la disponibilità del mio gruppo è sin da ora assicurata.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Parentela. Ne ha facoltà.

  PAOLO PARENTELA. Signor Presidente, prima di iniziare l'intervento volevo replicare al nostro collega Cova, che dice che i grillini stanno sparendo insieme alle api. Volevo semplicemente dire che sono proprio queste loro politiche che stanno facendo sparire le api e non solo queste: parliamo anche di soldi, di banche, di posti di lavoro. Quindi, evidentemente siete peggio di Attila, nel senso che dove passa il PD non cresce più nulla. Chiusa questa parentesi, ci auguriamo, Presidente, che questi temi di fondamentale importanza non vengano usati solo come tappabuchi per i lavori d'Aula, visto che mediaticamente, oggi, sui media, si parlerà di tutto tranne che dell'apicidio e di questo grave problema che sta devastando le economie locali e il nostro ecosistema.
  Detto questo, Presidente, inizio il mio intervento dicendo che dalle mele alle arance, passando per cotone, senape e basilico, in Europa gli insetti impollinatori come l'ape contribuiscono alla produzione agricola di 150 colture (circa l'84 per cento del totale) i cui raccolti dipendono dagli insetti per l'impollinazione, per un valore commerciale che si aggira intorno ai 22 miliardi di euro. Senza dubbio, quindi, l'apicoltura, inquadrabile nell'ambito della zootecnia, assolve, oltre alla funzione produttiva, anche a quella ecologico-ambientale e di sviluppo rurale, rientrando perciò a pieno titolo nell'ambito delle attività agricole multifunzionali. Recentemente la FAI ha dichiarato che vi sono molti motivi per ritenere che le api italiane siano a rischio di estinzione, così come le altre sottospecie di ape mellifera, visto che è in corso una moria estremamente preoccupante. Sempre secondo la FAI, le ragioni di questa moria sono rintracciabili non solo nell'introduzioni di nuove specie spurie ma soprattutto nei trattamenti insetticidi a base di imidacloprid, prodotto già bandito in Francia dal 2002. Intanto Greenpeace evidenzia come il polline, con il quale entrano in contatto le api, è altamente inquinato da un pesante cocktail di pesticidi tossici, molti dei quali neonicotinoidi.
  Per questo l'associazione ambientalista ha invitato la Commissione europea e i Governi nazionali a vietarne completamente l'utilizzo. La rete nazionale di monitoraggio degli alveari (progetto Beenet attivo dal 2011) ha comunque segnalato gravi fenomeni di apicidio in diverse regioni italiane.
  L'importanza dell'apicoltura e la necessità di salvaguardare un insetto fondamentale per l'agricoltura e il nostro ecosistema ha reso necessario chiedere attraverso questa mozione di impegnare il Governo a promuovere, nei programmi aziendali pluriennali di miglioramento agricolo ambientale, tutte le azioni che favoriscano i pronubi, riportate nell'ambito del progetto europeo Step, finalizzato alla conservazione degli organismi pronubi e del loro servizio di impollinazione. Inoltre, impegna il Governo a salvaguardarne l'azione pronuba delle api; a intraprendere tutte le azioni necessarie affinché le regioni individuino le limitazioni e i divieti cui sottoporre i trattamenti antiparassitari con prodotti fitosanitari ed erbicidi tossici per le api sulle colture arboree, produttive, ornamentali e spontanee, non solo durante il periodo di fioritura ma anche in quello di mielata; ad agire in sede nazionale ed europea per un divieto definitivo dei neonicotinoidi e di altri insetticidi sistemici dannosi per i pronubi, finanziando, altresì, la ricerca scientifica per l'individuazione di nuove procedure e test per l'accertamento delle conseguenze per le api e per gli altri impollinatori. Inoltre impegniamo il Governo a promuovere una capillare azione di controllo e vigilanza per la repressione dell'uso, durante i trattamenti chimici in agricoltura, di fitofarmaci e principi attivi vietati o non autorizzati a livello nazionale ed europeo, perché pericolosi Pag. 36per i pronubi; ad intraprendere tutte le iniziative normative affinché il prodotto apistico denominato «pappa reale» o «gelatina reale» venga annoverato tra i prodotti agricoli della parte I della tabella A del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, attribuendo allo stesso un'aliquota di compensazione ai fini IVA. Inoltre impegniamo il Governo a favorire le produzioni di qualità, garantendo il consumatore e tutelando i produttori italiani da pesanti fenomeni di concorrenza estera, estendendo a tutti i prodotti alimentari apistici l'obbligo, attualmente in vigore per il miele, di indicare in etichetta il Paese d'origine del prodotto confezionato e per tutte le categorie di prodotti la provenienza dei pollini utilizzati, fermo restando quanto previsto dal regolamento UE n. 1169/2011. Inoltre impegniamo il Governo ad individuare rappresentanze qualificate degli operatori del settore apistico, utilizzando anche i criteri di assegnazione dei contributi ai sensi della legge n. 133 del 2008, contenuti nel decreto del 16 febbraio 2010, tenendo in considerazione il Regolamento dell'Unione europea che obbliga anche all'elaborazione di piani apistici nazionali a favore dello sviluppo dell'apicoltura in piena e fattiva collaborazione con le organizzazioni rappresentative del settore. Inoltre impegniamo il Governo ad intraprendere tutte le iniziative legislative necessarie a sburocratizzare il settore attraverso una semplificazione per la vendita diretta e per la cessione al dettaglio dei prodotti che l'apicoltore effettua presso la sede aziendale, ciò anche ai sensi del Regolamento dell'Unione europea n. 852 del 2004 (sull'igiene dei prodotti alimentari) che definisce l'attività dell'apicoltore ai fini sanitari. In ultimo, impegniamo il Governo anche ad integrare l'elenco delle «attività agricole connesse», in relazione alla corretta valutazione del reddito ascrivibile ad un'azienda apistica, ricomprendendo tutti i prodotti dell'apicoltura diversi dal miele, come elencati nella legge n. 313 del 2004 – ovvero la disciplina dell'apicoltura – all'articolo 2, comma 2. In ultimo, ad attivare immediatamente un tavolo tecnico coinvolgendo le associazioni di apicoltori riconosciute a livello nazionale, l'Ispra, gli enti di ricerca universitari ed istituzionali come l'Efsa, per individuare lo stato dell'arte e le linee guida per l'eradicazione della vespa velutina e degli altri patogeni e parassiti che minacciano le api e per la formazione degli apicoltori, al fine dell'individuazione e dell'ubicazione dei nidi e degli esemplari di calabrone asiatico.
  Le richieste quindi contenute in questa mozione si aggiungono ad una proposta di legge a prima firma Bernini e a un'interrogazione a risposta scritta che abbiamo presentato. Il nostro intento è di salvaguardare non solo l'apicoltura, ma soprattutto di arrivare a un tipo di agricoltura che sappia essere più sostenibile dal punto di vista ambientale. Non ci si può voltare dall'altra parte e non si deve consentire che il profitto garantito dall'utilizzo di sostanze chimiche dannose a un determinato tipo di agricoltura insostenibile venga barattato con la difesa del nostro territorio e del nostro ecosistema.
  C’è una bella citazione, che è stata ripetuta più volte, attribuita forse erroneamente ad Albert Einstein, che dice che «se l'ape scomparisse dalla faccia della terra all'uomo resterebbero tre, quattro anni di vita». Ora, non sappiamo quanto sia vera questa cosa, ma ovviamente preferiremmo non correre il rischio che sia così. Per questo invitiamo l'Aula e invitiamo questo Governo ad impegnarsi affinché un giorno non si possa dire che è troppo tardi. È questa la buona politica. Quindi, non voltiamoci dall'altra parte (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. Avverto che è stata testé presentata una nuova formulazione della mozione Dorina Bianchi n. 1-00478. Il relativo testo è in distribuzione.
  Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.Pag. 37
  Prendo atto che il Governo si riserva di intervenire successivamente.
  Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.
  Sospendo la seduta per cinque minuti. La seduta riprenderà alle ore 17,45.

  La seduta, sospesa alle 17,40, è ripresa alle 17,45.

Discussione delle mozioni Catania ed altri n. 1-00146, Fiorio ed altri n. 1-00052, Gagnarli ed altri n. 1-00088 e Migliore ed altri n. 1-00161, concernenti iniziative volte a ridurre gli sprechi alimentari (ore 17,45).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Catania ed altri n. 1-00146 (Nuova formulazione), Fiorio ed altri n. 1-00052, Gagnarli ed altri n. 1-00088 (Nuova formulazione) e Migliore ed altri n. 1-00161 (Nuova formulazione), concernenti iniziative volte a ridurre gli sprechi alimentari (Vedi l'allegato A – Mozioni).
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
  Avverto che sono state presentate le mozioni Faenzi ed altri n. 1-00472, Caon ed altri n. 1-00475 e Dorina Bianchi n. 1-00479, che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente (Vedi l'allegato A – Mozioni). I relativi testi sono in distribuzione.
  Avverto altresì che è stata presentata una nuova formulazione della mozione Fiorio ed altri n. 1-00052 ed un'ulteriore nuova formulazione della mozione Gagnarli ed altri n. 1-00088 (Vedi l'allegato A – Mozioni). I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  È iscritto a parlare il deputato Mario Catania, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00146 (Nuova formulazione). Ne ha facoltà.

  MARIO CATANIA. Signor Presidente, il fenomeno degli sprechi nella filiera alimentare è largamente presente in tutti i Paesi industrializzati ed è un fenomeno al quale anche il nostro Paese purtroppo non sfugge, pur non dando luogo ad entità di sprechi paragonabili alle punte più elevate presenti in altri Paesi. È un fenomeno assai complesso che è la risultante di comportamenti e di fattori diversi.
  In primo luogo, è un fenomeno che tocca la produzione, la produzione agricola e quella elementare. È poi un fenomeno che tocca la grande distribuzione e tutti gli altri anelli della distribuzione ai vari stadi ed è, infine, un fenomeno che tocca il consumatore, gli stili di vita e i comportamenti del consumatore medesimo, che danno luogo a forme di sprechi alimentari a volte anche assai ingenti.
  È evidente, dalle parole che ho detto, che siamo in presenza di una fenomenologia assai diversificata e complessa. Nulla ha a che vedere lo spreco che avviene alla produzione, che è dovuto il più delle volte a fattori di non conformità del prodotto con gli standard commerciali e di mercato richiesti di volta in volta, mentre è assai diverso il fenomeno che avviene nelle fasi della distribuzione, ove il comportamento degli attori della filiera è piuttosto condizionato da fattori come le scadenze, che, per legge o per prassi, vengono imposte ai prodotti e che richiedono poi da parte della distribuzione stessa la necessità di un'operazione di ritiro che, il più delle volte, si trasforma in spreco alimentare. Ancora diversi sono i fenomeni presenti presso i consumatori, dove lo spreco alimentare è riconducibile il più delle volte ad una cattiva gestione della programmazione della spesa alimentare della famiglia, che si traduce poi in accumuli di prodotto che vengono eliminati.
  Le cose che ho detto ci fanno ben comprendere come il fenomeno degli sprechi alimentari sia in primo luogo un Pag. 38fenomeno che tocca l'efficienza della filiera e che ha quindi un grande rilievo economico. Razionalizzare il funzionamento della filiera, limitando gli sprechi alimentari, è di per sé un valore positivo, perché induce la filiera a comportamenti economicamente più virtuosi, realizzando un effetto di economicità dei comportamenti di tutti gli attori. Tuttavia, va detto – e anche questo è in un certo modo già emerso dalle cose che ho detto – che il tema degli sprechi è anche un tema che riguarda i comportamenti degli individui, in particolare i comportamenti delle famiglie, i comportamenti dei consumatori, e in quanto tale è un fenomeno che tocca gli stili di vita, che tocca l'etica stessa dei comportamenti umani. Anche sotto quest'ottica il tema degli sprechi è un tema importante: educare i comportamenti delle famiglie, a partire da quelli che sono i rudimenti che già vengono dati ai ragazzi e ai bambini nel rapporto con i beni alimentari, è un obiettivo che dovrebbe essere a cuore di una società avanzata e sensibile come la nostra.
  Tuttavia, c’è un elemento che mi preme sottolineare e che va al di là dell'efficienza economica della filiera e dei comportamenti dei consumatori e dei loro stili di vita. Mi preme sottolineare la simmetria, che, purtroppo, è presente in Occidente nei paesi industrializzati in generale e, in particolare, anche in Italia, tra un massiccio fenomeno di sprechi alimentare e la presenza di un elevatissimo numero di indigenti, di poveri, di persone povere, di famiglie povere che hanno difficoltà ad accedere al prodotto alimentare, agli alimenti, al bene primario.
  Ebbene, credo che soltanto accostando questi due fattori, gli sprechi, da un lato, e la presenza di indigenti, dall'altro, mettendoli a sistema, con risposte virtuose, possiamo compiere un vero e proprio salto di qualità nell'approccio a tale materia. Per questo motivo, la mozione che abbiamo presentato e che, in questo, si distingue leggermente dalle mozioni presentate da altri gruppi è particolarmente incentrata sul tema degli indigenti e sul rapporto che ci deve essere tra sprechi alimentari ed assistenza agli indigenti.
  In Italia, abbiamo uno stato sociale molto presente e molto attivo in diversi comparti della nostra realtà ma che non ha mai messo in piedi un sistema di assistenza organica strutturata, che riguarda l'emergenza primaria, quella dei «marginali» che non sono in condizione di alimentarsi. Il nostro è uno Stato sociale molto evoluto in molte componenti ma, curiosamente, non ha mai avuto una politica organica di assistenza alimentare ai più poveri, all'anello debole del nostro sistema sociale, a quella parte di società, purtroppo, in crescita numericamente, che ha difficoltà ad alimentarsi.
  Le politiche pubbliche al riguardo sono il più delle volte demandate ai comuni che le svolgono con formulazioni e approcci diversi; manca un approccio, storicamente, non solo oggi ma anche nei decenni che abbiamo alle spalle, organico e molto è lasciato – e per fortuna con risposte spesso positive – al volontariato, al terzo settore che, in varie forme, interviene nel sociale, colmando una lacuna di questa politica pubblica e dando assistenza agli indigenti anche sotto il profilo alimentare.
  Ebbene, le organizzazioni caritative, che sono in prima linea su questo fronte e in questa battaglia, hanno beneficiato in passato sostanzialmente di due forti fattori di alimentazione del proprio circuito: da un lato, proprio il ricorso, attraverso intese dirette, a rifornimenti, forniti dal sistema distributivo, in particolare diretti a distogliere gli sprechi elementari dal fine della distruzione per avviarli ad un circuito virtuoso, che è quello delle organizzazioni caritative che fronteggiano gli indigenti; l'altro grande canale attraverso il quale le organizzazioni caritative si sono alimentate negli ultimi trent'anni è quello della politica europea. Mi riferisco, in particolare, ad una misura specifica che veniva applicata in Italia dal Ministero dell'agricoltura fino allo scorso anno e che, con finanziamento comunitario, assicurava alimenti alle organizzazioni caritative affinché potessero per l'appunto dare luogo ad una distribuzione alle parti più deboli Pag. 39della nostra società, ai poveri del nostro Paese. Ebbene, questo elemento è venuto a mancare da quest'anno e, nonostante l'impegno profuso sia dal Governo Monti che dal Governo Letta, e sono sicuro anche dall'attuale Governo, per fornire risposte positive in questo senso, non è stata finora sostituita alcuna forma di intervento analogo destinato ad integrare il recupero che direttamente fanno le organizzazioni caritative degli sprechi alimentari.
  In altre parole, oggi abbiamo, ancor più che non negli anni passati, un sistema che non è in grado di dare risposte organiche e strutturate sul territorio al problema della mancanza di alimenti per i più poveri.
  Per tutte queste ragioni, la nostra mozione tende a richiamare l'attenzione del Governo, da un lato, sulla necessità – e in questo la nostra mozione è simile a quelle di molti altri gruppi presentate contestualmente – di dare una risposta al fenomeno degli sprechi alimentari, cercando di intervenire, in modo razionale, su tutti gli anelli della filiera, al fine di ridurre l'entità degli sprechi e di mettere sotto una corretta finalizzazione gli sprechi alimentari medesimi. Ma, dall'altro, la nostra mozione – e questo è un elemento, credo, di distinzione rispetto ad altre – tende a sottolineare al Governo l'importanza di non far cadere l'esperienza del programma gestito per trent'anni dal Ministero dell'agricoltura per la distribuzione degli alimenti agli indigenti, che era arrivato a distribuire oltre 100 milioni di euro annui di prodotti alimentari agli indigenti attraverso le organizzazioni caritative con finanziamento comunitario; non farlo cadere – anche se il quadro giuridico comunitario è oggi modificato – ma dargli continuità, non abbandonando questo unico presidio importante di politica pubblica sul tema della distribuzione di alimenti ai poveri che tanto ruolo ha avuto negli ultimi decenni.
  Questo programma aveva raggiunto livelli di efficienza molto elevati, con un costo amministrativo bassissimo e una resa finale elevata; è, a nostro parere, fondamentale che, oltre ad una politica organica, ripeto, diretta a limitare, da un lato, e a meglio indirizzare i prodotti alimentari che non vanno sul mercato, dall'altro, oltre a questo, è fondamentale, lo ripeto e concludo, che il Governo non lasci cadere l'esperienza del programma Pead fatto dal Ministero dell'agricoltura negli ultimi trent'anni per distribuire risorse alimentari agli indigenti attraverso le organizzazioni caritative.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Zanin, che illustrerà anche la mozione Fiorio ed altri n. 1-00052 (Nuova formulazione). Ne ha facoltà.

  GIORGIO ZANIN. Signor Presidente, la mozione che presentiamo oggi come partito si colloca dentro un contesto temporale molto chiaro ed impegnativo. Expo 2015 ha il suo cuore nel titolo: «Nutrire il pianeta, energia per la vita». Dunque, sprecare cibo significa sostanzialmente sprecare energia vitale. Oltre agli obiettivi del millennio, l'orizzonte del pianeta e dell'aumento della popolazione, che la FAO ha recentemente descritto nella sua audizione in Commissione alla Camera in vista di Expo 2015, impone a tutti la capacità di scegliere le strade per assicurare agli essere umani del pianeta la migliore possibilità di sopravvivenza, il diritto ad una alimentazione sana ed adeguata per tutti, dettando un'agenda che non può che partire da un fortissimo: «Primo: non sprecare».
  A leggere i dati viene in mente quasi uno scricchiolio di una porta di un film dell'orrore, si immagina sempre il peggio. Infatti, mentre il numero di persone denutrite sulla terra sfiora il miliardo, la quantità di cibo sprecato ammonta a 222 milioni di tonnellate: sono numeri che fanno veramente una grande impressione e che sono una manifestazione della diseguaglianza evidente su cui cammina oggi l'economia del pianeta.
  Le ricadute di tale spreco hanno anche una incidenza sia sulla condizione climatica del pianeta, con la produzione di gas ad effetto serra per cui per ogni chilogrammo di cibo sprecato si può calcolare Pag. 40la produzione di ben 4,5 chilogrammi di CO2 equivalente, sia sulle risorse idriche e sulla biodiversità. Basti pensare che, per produrre il cibo sprecato, si impiegano più di 250 km cubi di acqua all'anno e 1,4 miliardi di ettari di terreno, con 3,3 miliardi di tonnellate di gas serra. Cifre da capogiro che rendono evidente la necessità di lavorare da subito per abbattere quel 50 per cento di spreco che viene a maturare nelle fasi della produzione, raccolta e stoccaggio del cibo e che viene anche, per un 45-46 per cento, dalle fasi della lavorazione, della distribuzione, del consumo.
  Dunque, non c’è armonia, né tutela dei diritti in questa faccenda; è evidente perciò che lo spreco di cibo è una manifestazione della perversione del sistema di sviluppo centrato soltanto sul consumo massificato, quantitativo piuttosto che qualitativo: una perversione che riguarda le diverse fasi del ciclo dei prodotti agroalimentari, dalla produzione al consumo finale.
  Secondo lo studio della Commissione europea del 2011, la media pro capite di cibo sprecato raggiunge la cifra incredibile di 180 chilogrammi: ma si tratta della media europea – ricorderebbe Trilussa – che passa dai 579 olandesi ai 44 della Grecia, con l'Italia a quota 149 chili, signor Viceministro ! Valore decisamente superiore alla media mondiale, che viaggia tra i 95 e i 115 chili.
  Gli sprechi domestici giocano un ruolo decisivo, con una cifra intorno al 42 per cento del totale: sono dati che fanno riflettere, se si immagina che equivalgono al 25 per cento in peso della spesa alimentare delle famiglie, quasi 76 chilogrammi di spreco di cibo pro capite.
  Seguendo dunque la classifica dell'origine degli sprechi del cibo, le trasformazioni del cibo incidono per il 39 per cento, i servizi per la ristorazione arrivano a sprecare il 14 per cento e la distribuzione incide infine per 8 chilogrammi pro capite, la distribuzione stessa, essendo al centro del processo, è responsabile anche per le fasi a monte ed a valle della filiera.
  In Italia – è questo il dato che più ci interessa –, secondo alcune stime dell'Osservatorio sugli sprechi alimentari, nel 2011 lo spreco pare essere costato alle famiglie oltre 1.500 euro: sono cifre che francamente stento a misurare. Si tratta di circa 20 milioni di tonnellate di cibo, con un valore complessivo di oltre 9 miliardi di euro e un peso sul prodotto interno lordo che supera il mezzo punto percentuale.
  Non sono dunque numeri con i quali possiamo scherzare né fare le cose «per immagine»: si deve in qualche modo pensare che per ogni italiano c’è una disponibilità di calorie medie che supera di circa 1700 kcal il fabbisogno energetico. Un sovrappiù che quando non diventa spreco si traduce in sovralimentazione, con le note conseguenze sulla salute e dunque anche sulla spesa sanitaria. Dobbiamo pertanto chiederci quali siano le motivazioni di questo spreco, in modo da costruire una sorta di mappa con impegni puntuali volti a modificare questa situazione.
  Chiaramente, stabilire come mettere in efficienza la produzione è compito in primo luogo tecnico: gli scarti di produzione infatti possono senza dubbio essere diminuiti nell'interesse in primo luogo di chi lavora e produce. Più complicato è stabilire il da farsi con la distribuzione, che per sua natura dipende dall'approccio tra domanda e offerta, che inevitabilmente non coincidono.
  In questo senso, una strada da battere è quella dell'etichettatura, della quale peraltro si sta discutendo in sede europea. Consentire tempi di incrocio tra domanda e offerta più lunghi è certamente saggio, a patto che ciò non comprometta la qualità dei cibi. In realtà, per diminuire gli sprechi della distribuzione, il tema fondamentale è quello dei ritiri della produzione per assicurare la stabilità dei prezzi. Il prodotto ritirato infatti è soltanto in minima parte assicurato per la distribuzione alle fasce sociali deboli; dunque ciò deve indurre a riflettere anche sulla politica dei prezzi e sull'organizzazione effettiva su scala capillare della raccolta e dell'impiego del cibo in scadenza, così come finalmente realizzato anche in Italia, in primo luogo Pag. 41dalle organizzazioni di terzo settore. D'altronde, lo spreco nel 2009 di 263.645 tonnellate di prodotti alimentari, di cui il 40 per cento di ortofrutta per un valore di 900 milioni di euro, parla da sé !
  A livello industriale, lo spreco maggiore è quello della filiera lattiero-casearia e nella conservazione di frutti e ortaggi, il che pone necessariamente il tema del valore del mercato fondato sul prodotto locale come aiuto sostanziale a contenere le cifre dello spreco.
  Un lavoro di grande attenzione, invece, è possibile per migliorare la situazione relativa alla ristorazione collettiva, dove la grammatura delle porzioni (nei piatti avanza mediamente il 25 per cento del prodotto), la tipologia delle diete, la razionalizzazione dei comprensori del territorio del servizio e la cadenza dei menù possono certamente essere ottimizzati in vista di un pieno consumo dei prodotti. Da buone gare d'appalto dei servizi di ristorazione potrebbero derivare efficientamenti ottimali senza perdita di qualità. Ospedali, scuole ed enti pubblici in genere, dovrebbero essere perciò in prima linea in questa battaglia, ma anche la ristorazione aziendale può migliorare in questo senso, evitando nei bandi la garanzia di offerte di cibi a fine turno in quantità corrispondente a quella iniziale. I dirigenti possono decidere di fare diversamente e in questo senso a volte è anche una questione di stile: chi lo dice che consumare il pasto dopo gli impiegati sia un attestato di status, infatti ?
  Infine, c’è il tema dello spreco domestico: il frigorifero grande, la superficialità nel controllo delle etichette, gli acquisti fatti cedendo alla suggestione delle offerte, la dieta spesso non equilibrata, l'attitudine a mettere nel piatto più di quanto occorre e si mangia effettivamente e lo stile di vita fast, sono tutti elementi che parlano a favore di un intervento, in primo luogo rieducativa. Sottolineo rieducativi, perché senza mitizzazione del passato, nelle famiglie un tempo esistevano le Colonne d'Ercole antispreco in quel «non si butta via niente» di origine contadina.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROBERTO GIACHETTI (ore 18,05).

  GIORGIO ZANIN. Sino a pochi decenni fa le abitudini domestiche si fondavano solo sulla cultura antispreco, quel che veniva lasciato a mezzogiorno tornava a tavola alla sera e ai bambini capricciosi non mancavano i richiami a quanti nel mondo, meno fortunati e più poveri, non avrebbero certo disdegnato il piatto per ragioni molto meno sottili di Mafalda.
  Ristrettezze e composizione delle famiglie certamente favorirono un approccio al cibo diverso; in questo senso anche la stagione della crisi ora può diventare un'opportunità per valutare e valorizzare meglio il cibo presente nelle dispense. In questo senso anche l'alleanza intergenerazionale può essere una risorsa per trasferire ai bambini, non solo a scuola, ma anche in famiglia, il valore del cibo come risorsa e influenzare dunque i futuri comportamenti, stimolando al riciclaggio del cibo a casa, ma anche – perché no ? – nella ristorazione collettiva. Magari mi permetto di suggerire alla Presidenza, anche nel sistema dei ristorazione presente alla Camera dei deputati, che non sarebbe male avere dei dati a disposizione con l'obiettivo di realizzare, ove già non fossero presenti, delle buone pratiche. Ovviamente, per conseguire i risultati a 360 gradi ha fatto molto bene il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ad avviare il piano nazionale di prevenzione e ad istituire il PINPAS, ma l'elemento di maggiore qualità in questo senso deriverebbe anche da un pieno coinvolgimento dei Ministeri delle politiche agricole e forestali e dell'istruzione, dell'università e della ricerca.
  In conclusione, la mozione presentata dal Partito Democratico indirizza e sostiene questo percorso, proponendo al Governo numerosi impegni rivolti a promuovere l'efficienza della filiera agroalimentare; a sostenere modelli dove contano sostenibilità, trasformazione, riutilizzo e distribuzione del cibo come aiuto alimentare; a stimolare gli appalti pubblici che Pag. 42tengono conto del valore del cibo; a promuovere accordi per migliorare il packaging delle etichettature; a realizzare campagne informative per la conservazione del cibo, che riducano lo spreco, e progetti educativi per diete equilibrate capaci di mantenere il legame tra agricoltura, alimentazione ambiente e salute; a sostenere la creazione delle reti che sostengano il sistema delle donazioni e dei ritiri del cibo e ad attivare il coordinamento nazionale tra soggetti che operano in questa direzione, con l'obiettivo di sostenere l'anno europeo della lotta allo spreco alimentare.
  Lo spreco di cibo è un sintomo, il sintomo di una società bulimica: cambiare verso significa per noi ingaggiare una lotta sistematica a questa malattia sociale. Siamo convinti di farlo spingendo le istituzioni e il Parlamento a giocarsi la partita in prima linea. Per questo sarà importante, e ancora più efficace, se riusciremo a giocarla insieme con la collaborazione di tutte le forze politiche.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Gagnarli, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00088 (Ulteriore nuova formulazione). Ne ha facoltà.

  CHIARA GAGNARLI. Signor Presidente, colleghi, oggi in quest'Aula si parla di sprechi, sprechi alimentari, paradosso di un mondo alla rovescia dove un miliardo di persone soffre di malnutrizione e un miliardo di persone si ammala per cause connesse all'eccessiva alimentazione. Lo spreco alimentare ha una dimensione di portata mondiale, tanto che metà del cibo prodotto nel mondo non arriva mai ad essere consumato. Parlare di sprechi non significa, quindi, parlare del cibo che finisce nella spazzatura, ma significa parlare di ambiente, agricoltura, educazione, salute ed economia.
  Per produrre tutto il cibo che buttiamo via ogni anno in Italia sprechiamo più di 1.200 milioni di metri cubi di acqua, 24,5 milioni di tonnellate di CO2, pari a circa il 20 per cento delle emissioni di gas serra del settore trasporti, il 36 per cento dell'azoto da fertilizzanti utilizzati inutilmente, con tutti gli impatti e i costi ambientali che ne conseguono.
  Le cause delle perdite e degli sprechi alimentari sono molteplici e si differenziano a seconda delle varie fasi della filiera agroalimentare. Mentre nei Paesi in via di sviluppo le perdite più significative si concentrano nella prima fase della filiera, nella fase di coltivazione e raccolto (risultato, quindi, di un'agricoltura poco efficiente, competenze tecniche limitate, pratiche arretrate e dotazioni infrastrutturali inadeguate), nei Paesi industrializzati gli sprechi si concentrano sul consumo domestico e la ristorazione, principalmente per cause comportamentali o legate al mancato rispetto di standard qualitativi ed estetici.
  Le politiche di marketing delle multinazionali hanno contribuito a generare comportamenti sociali tendenti a produrre sempre più spreco e scarto alimentare, come la calibratura della frutta, l'aspetto della verdura che non deve presentare macchie, le pratiche commerciali che incoraggiano i consumatori a comprare più cibo di quello di cui effettivamente hanno bisogno, l'errata pianificazione degli acquisti, l'errata interpretazione delle etichette di scadenza degli alimenti, l'inadeguata conservazione del cibo, ma soprattutto la scarsa consapevolezza dell'impatto economico ed ambientale degli sprechi alimentari.
  Il problema dello spreco alimentare è, quindi, da ritenersi strettamente connesso alle politiche economiche e di marketing, che hanno prodotto azioni e comportamenti distorsivi e senza la minima percezione delle conseguenze che ne sono conseguite.
  Le stime indicano che a livello europeo la quantità di cibo sprecato ogni anno ammonta a 89 milioni di tonnellate, 180 chilogrammi pro capite, il 42 per cento nell'uso domestico, il 39 per cento nella fase di produzione, il 14 per cento nella fase di ristorazione, il 5 per cento nella fase di vendita al dettaglio e all'ingrosso. Secondo lo studio della Commissione europea, che indica come media 180 chilogrammi pro capite di cibo sprecato, la Pag. 43situazione nell'Unione europea passa dai 579 chilogrammi pro capite dell'Olanda ai 44 chilogrammi pro capite della Grecia, con l'Italia a 149 chilogrammi pro capite. In Italia annualmente si spreca cibo per 37 miliardi di euro, sufficiente a nutrire 44 milioni di persone. Ogni famiglia italiana spreca in media una quantità di cibo del valore di 454 euro l'anno, soprattutto per prodotti freschi, il 35 per cento, il 19 per cento per il pane, il 16 per cento per frutta e verdura.
  Sulla base dei dati rilevati dall'ISTAT, la percentuale della produzione agricola rimasta nei campi ammonta al 3,25 per cento del totale. La percentuale più alta della produzione non raccolta è quella relativa ai cereali, mentre nella filiera ortofrutticola solo in parte il prodotto ritirato viene destinato alla distribuzione gratuita alle fasce deboli della popolazione, in parte viene destinato alla distillazione alcolica, al compostaggio e all'alimentazione animale. Per l'industria agroalimentare i prodotti scartati sono gestiti come rifiuti o utilizzati per la produzione di mangimi. I maggiori sprechi sono quelli dell'industria lattiero-casearia e della lavorazione e conservazione di frutta e ortaggi. Tra i prodotti alimentari che maggiormente vengono sprecati in Italia rientra il pane. Secondo una recente inchiesta sarebbero circa 13 mila i quintali di pane buttati ogni giorno, quasi il 25 per cento del pane prodotto destinato alla grande distribuzione.
  Renzi qualche giorno fa a L'Arena di Giletti ha rilanciato l'Expo come possibile soluzione al problema dell'obesità e della fame nel mondo. Proprio l'Expo, la ciliegina sulla torta di un Paese con un elenco di follie inutili e dannose: la TAV, la trivellazione, gli inceneritori. L'Expo: l'apoteosi dello spreco e dello sperpero, del sacrificio del suolo fertile, il tangentificio delle larghe intese, l'evento mondiale non della nutrizione, ma della speculazione.
  Quante iniziative potevate fare con i miliardi spesi per l'Expo ? Potevate aumentare la dotazione del Fondo per il credito all'agricoltura, vuoto dal 2011, ed aiutare le nostre aziende. Potevate promuovere corsi di educazione alimentare e rendere il consumatore consapevole degli sprechi di cibo, di acqua, energia e dei loro impatti economici e sociali. Potevate sostenere iniziative per il recupero e il riutilizzo di alimenti rimasti invenduti e scartati lungo tutta la filiera agroalimentare e ridistribuirli alle categorie di cittadini meno abbienti.
  Nutrire il pianeta sarà difficile se non cominciamo a modificare i nostri sistemi alimentari, il modo in cui produciamo, trasformiamo, distribuiamo e consumiamo cibo, se non salvaguardiamo la nostra salute, se non tuteliamo la biodiversità dei territori, se non diciamo «no» allo strapotere delle multinazionali, se non diciamo «no» alla speculazione dei grandi eventi e delle grandi opere, se non sosteniamo la nostra agricoltura e il rispetto dell'ambiente, se non impariamo a comportarci come custodi della terra e non come ospiti passeggeri (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Franco Bordo, che illustrerà la mozione Migliore n. 1-00161 (Nuova formulazione), di cui è cofirmatario.

  FRANCO BORDO. Signor Presidente, l'urbanizzazione, la supermercatizzazione e la diffusione globale degli stili di vita moderni hanno scosso le tradizioni alimentari. Il problema è di sistema e trova le sue cause nel commercio globale, nei cibi troppo elaborati, nelle politiche agricole attuali, nelle tecnologie con brevetto proprietario, nell'elaborare diete disastrose dei Paesi sviluppati e in quelli dalle economie emergenti: così scrive Olivier De Schutter, relatore speciale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per il diritto al cibo, nella sua relazione, che analizza i nessi di causalità tra salute, malnutrizione e spreco alimentare, presentata nel 2012 al Consiglio dei diritti umani.
  Lo spreco alimentare ha assunto e sta sempre più assumendo una dimensione di portata mondiale, tant’è che metà del cibo prodotto nel mondo non arriva mai ad essere consumato. Il problema dello Pag. 44spreco alimentare è da ritenersi connesso alle politiche economiche e di marketing che, negli ultimi venti anni, hanno prodotto fattori e azioni comportamentali altamente distorsivi della realtà fattuale e delle conseguenze che da tali modus comportandi e vivendi ne sono conseguite.
  Le politiche di marketing delle multinazionali e le normative sulla brevettazione dei prodotti agroalimentari hanno contribuito a generare comportamenti sociali tendenti a produrre sempre più spreco e scarto alimentare. La cultura del riciclo e del riutilizzo alimentare fatica non poco ad affermarsi rispetto al suo contrario. La sproporzione della produzione alimentare, senza che ciò abbia nel corso degli anni consentito di ridurre drasticamente il numero delle persone che nel mondo non hanno accesso alla nutrizione, ha, al contrario, polarizzato ulteriormente le fasce sociali del pianeta. Questa paradossale ipertrofia produttiva ha sull'ambiente impatti devastanti e, se non fermata per tempo, irreversibili.
  La FAO, come già è stato qui ricordato, stima che a livello mondiale la quantità di cibo che finisce tra i rifiuti ammonta a 1,3 miliardi di tonnellate e che 921 milioni di persone nel mondo sono a rischio di denutrizione.
  Il 19 gennaio 2012, il Parlamento europeo ha approvato, in seduta plenaria, una risoluzione dal titolo: «Come evitare lo spreco di alimenti: strategie per migliorare l'efficienza della catena alimentare nell'Unione europea». Dalla relazione preparatoria della risoluzione si evince che la produzione annuale di rifiuti alimentari nei 27 Stati membri ammonterebbe a circa 99 milioni di tonnellate, ossia 179 chilogrammi pro capite, senza contare gli sprechi a livello di produzione agricola o di cattura di pesci rigettati in mare.
  La risoluzione si pone come obiettivo principale la riduzione degli sprechi alimentari del 50 per cento entro il 2025, attraverso una strategia per migliorare l'efficienza della catena alimentare degli Stati membri.
  Da recenti studi è emerso che, per produrre un chilogrammo di cibo, si immettono in atmosfera in media 4,5 chilogrammi di CO2, che in Europa si producono 170 milioni di tonnellate di CO2 equivalente/anno. Il cibo sprecato, in Italia, è di 76 chilogrammi pro capite, pari ad 800 euro a famiglia, composta da un nucleo di 2,5 persone, cioè la famiglia media italiana.
  Insomma, 70 chilogrammi a persona, 76 chilogrammi di avanzi alimentari non riutilizzati, ma ancora commestibili, buttati da ogni italiano in un anno sono davvero un'enormità.
  Secondo le prime stime fatte da Waste watchers (sentinelle dello spreco), in Italia lo spreco alimentare rappresenta l'1,9 per cento del prodotto interno lordo. Stiamo parlando di circa 19 miliardi riferiti al PIL del 2011; una parte significativa di questo spreco si colloca nella filiera di produzione, trasformazione, distribuzione e ristorazione.
  E qui pensiamo al recente scandalo emerso dalle inchieste giornalistiche dei 13 mila quintali di pane buttati ogni giorno dal nostro Paese. Il restante spreco di questo, che va a completare l'1,9 del prodotto interno lordo sprecato, è collocato e rappresentato a livello domestico.
  La quantità di cibo sprecato potrebbe essere ridotta del 60 per cento con un'educazione più attenta ai consumi. Last Minute Market, una spin-off dell'università di Bologna, ha realizzato un documento denominato «Carta a spreco zero», il quale viene continuamente arricchito e aggiornato grazie all'implementazione delle conoscenze, allo scambio delle buone pratiche tra amministrazioni e, di conseguenza, all'adozione di nuovi strumenti di analisi e di indirizzo che il documento propone. «Carta a spreco zero» è stato sottoscritto da oltre 700 sindaci europei e detta un decalogo comportamentale alimentare con cui poter avviare processi razionali al fine di ridurre drasticamente gli sprechi e le perdite alimentari.
  La legge n. 155 del 2003, detta anche «legge del buon samaritano», disciplina il recupero e la distribuzione di alimenti cotti e freschi da parte di organizzazioni no profit a fini sociali. Il principio finalistico Pag. 45della legge è quello di incentivare l'utilizzo di cibo ancora commestibile proveniente dai produttori o dalla grande distribuzione – non più vendibile per difetto di confezionamento o perché vicino alla scadenza – ma anche da mense aziendali e scolastiche.
  La Commissione europea ha proposto che, nel quadro finanziario e pluriennale della UE per il periodo 2014-2020, il programma di aiuti alimentari debba essere coperto non più con i fondi della politica agricola ma con quelli della coesione sociale, con il Fondo sociale europeo. Tale Fondo viene costituito da una base obbligatoria di finanziamento di 2,5 miliardi di euro e gli Stati membri possono decidere di aumentare le proprie allocazioni di un ulteriore miliardo di euro su base volontaria.
  La legge n. 134 del 2012 ha istituito il Fondo per la distribuzione delle derrate alimentari alle persone indigenti gestito da Agea, con lo scopo di raccogliere derrate alimentari, a titolo di erogazioni liberali, dagli operatori della filiera agroalimentare e da organismi rappresentativi dei produttori agricoli o imprese di trasformazione dell'Unione europea, al fine di far fronte alle eccedenze alimentari e consentire, conseguentemente, la redistribuzione sul territorio nazionale al fine di ridurre lo spreco alimentare.
  Ma, considerata la preoccupante e inaccettabile dimensione del fenomeno, è chiaro che quanto fatto sinora dal nostro Paese risulta insufficiente e contraddittorio.
  Pertanto, con questa mozione, Sinistra Ecologia Libertà propone alla Camera dei deputati di impegnare il Governo prioritariamente su questi punti: promuovere, in sede comunitaria e nazionale, modelli di agricoltura sostenibile al fine di ridurre drasticamente, a monte e a valle della filiera alimentare, gli sprechi che si producono a causa dei requisiti di qualità imposti dalla legislazione europea e nazionale, concernenti l'aspetto e la calibratura degli ortofrutticoli freschi che nel tempo si sono rivelati tra le principali cause di produzione di inutili scarti alimentari, nonché di cibo sprecato, e, susseguentemente, adottare opportune iniziative legislative di settore con cui spiegare ai consumatori il valore nutritivo di prodotti agricoli che presentano forme o calibri imperfetti; ad agire congiuntamente con gli altri partner europei in materia di investimenti relativi alla promozione di programmi comunitari finanziati dall'Unione europea, al fine di introdurre specifiche iniziative faro sulla educazione alimentare, sull'ecologia domestica e di filiera; a far sì che, in occasione dell'esposizione universale Expo Milano 2015 intitolata «Nutrire il pianeta, energia per la vita», venga adottato un patto tra nazioni incentrato sulla prevenzione e lo spreco di cibo e sull'educazione alimentare con cui fronteggiare, da un lato, lo spreco e, dall'altro, impedire che diete non salutari distorcano le reali esigenze nutrizionali dell'organismo umano. Inoltre, a introdurre, sin dal prossimo ciclo scolastico della scuola dell'obbligo, programmi di studio e di educazione alimentare e gestione ecosostenibile delle risorse naturali che abbiano, quale punto di partenza, gli effetti negativi che lo spreco alimentare produce. Altresì, tali programmi di studio dovrebbero tendere a strutturare, nell'immaginario delle future generazioni, un approccio meno utilitaristico e maggiormente eco-responsabile delle risorse naturali viste nella loro complessità sistematica.
  Chiediamo di valutare eventuali modifiche alle regole che disciplinano gli appalti pubblici per i servizi di ristorazione e di ospitalità alberghiera, in modo da privilegiare, in sede di aggiudicazione, a parità di altre condizioni, quelle imprese che garantiscano la ridistribuzione gratuita del cibo eccedente a cittadini indigenti, attraverso enti no profit.
  Chiediamo, inoltre, di introdurre modifiche normative sulla commercializzazione e la vendita dei prodotti agroalimentari, partendo dall'introduzione della doppia scadenza che indichi le caratteristiche qualitative del prodotto, «preferibilmente entro», cioè la data di scadenza commerciale, e la data di scadenza vera e propria, Pag. 46quella «da consumarsi entro», relativa alla salubrità del prodotto alimentare, al fine di non generare confusione per il consumatore finale.
  Ancora, chiediamo di introdurre in campo agricolo e energetico misure legislative volte alla valorizzazione degli alimenti non più commestibili, solo quelli non più commestibili, ma utili nella produzione di energia rinnovabile e di concimi organici.
  In conclusione, signor Presidente, vorrei citare ciò che scrive Andrea Segrè: sull'astronave Terra i passeggeri sono collocati in «classi» molto, troppo diverse. Tutti vogliono avere più energia e cibo. In tanti ne hanno un bisogno effettivo. Altri, invece, nei Paesi più ricchi e progrediti, per sostenere e aumentare lo spreco a cui sono abituati; tant’è che un americano consuma in media come 2 europei, 10 cinesi, 15 indiani, 30 africani.
  È chiaro, colleghi, che, se non invertiamo la rotta, questa astronave presto andrà fuori orbita.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mottola, che illustrerà anche la mozione Faenzi n. 1-00472. Ne ha facoltà.

  GIOVANNI CARLO FRANCESCO MOTTOLA. Signor Presidente, rappresentante del Governo, colleghi, lo scorso 1o ottobre, in occasione della Giornata mondiale dell'alimentazione, proclamata dalla FAO, è emerso un quadro allarmante e al contempo gravissimo, nell'ambito del complesso fenomeno quale è quello dello spreco e delle perdite alimentari, che coinvolge ogni parte del pianeta. Quello dello spreco degli alimenti, rappresenta, infatti, un fenomeno che getta un'ombra preoccupante sul modello di sviluppo che ha governato negli ultimi cinquant'anni l'economia dei nostri Paesi.
  Un modello di economia che è da considerarsi insostenibile e che si misura unicamente sulla crescita del prodotto interno lordo, che basa le sue fondamenta sull'esasperato aumento dei consumi, non considerando che le risorse naturali sono invece limitate e che il nostro pianeta ha confini fisici che rappresentano un limite insormontabile allo sviluppo incondizionato; non rappresenta, quindi, un tipo di economia accettabile.
  Un'economia che non ha mai visto nello spreco delle risorse, in particolare quelle alimentari, un fattore negativo e che addirittura lo ha tollerato, considerandolo un sottoprodotto ineliminabile del suo modello produttivo, non è certamente quella ideale che auspichiamo per i nostri figli.
  In tale ambito, i numeri dello spreco alimentare nel mondo e nel nostro Paese risultano inaccettabili. Secondo il Rapporto 2013 sullo spreco domestico di Waste Watcher, l'Osservatorio di Last Minute Market e il Dipartimento di scienze e tecnologie agroalimentari dell'Università di Bologna, ogni famiglia italiana sciupa, in media, circa 200 grammi di cibo alla settimana. Il risparmio complessivo possibile, se si applicassero metodi diversi, risulterebbe invece di circa 8,7 miliardi di euro. Secondo i monitoraggi, inoltre, in un anno si potrebbero recuperare in Italia 1,2 milioni di tonnellate di derrate che rimangono sui campi, oltre 2 milioni di tonnellate di cibo dall'industria agroalimentare e più di 300 mila tonnellate dalla distribuzione.
  Non è un caso, dunque, che negli ultimi sei mesi sia aumentata la sensibilità degli italiani intorno al tema degli sprechi. Le rilevazioni effettuate nel 2013 registravano che il 45 per cento degli italiani aveva sensibilmente diminuito lo spreco del cibo acquistato e poi sprecato rispetto al 2012. Oggi, quel dato è salito al 52 per cento, sette punti percentuali che testimoniano una maggiore attenzione nella politica familiare della spesa alimentare. Evidentemente, l'obiettivo che gli italiani si danno nel 2014 è di «contingentare» il costo dello spreco domestico.
  Per questo, probabilmente, abbiamo oggi smesso di irrigidirci davanti alla data di scadenza dei prodotti: oggi il 63 per cento degli intervistati dichiara che, quando il cibo è scaduto, controlla se effettivamente è andato a male oppure è Pag. 47ancora buono, e cerca comunque di riutilizzarlo. Tuttavia, le complessità del fenomeno, che coinvolge tutti gli attori della filiera agroalimentare, la cui situazione attuale evidenzia ad oggi il permanere di gravissime difficoltà in ordine al superamento della quantità degli sprechi alimentari che persiste a livello mondiale, coinvolgendo anche il nostro Paese, impone un'azione da parte dei Governi mondiali in grado di determinare adeguate politiche e strategie di contrasto allo spreco alimentare attraverso la revisione di modelli e metodi utilizzati, anche per acquisire idonee informazioni inerenti i Paesi progrediti.
  Con le mozioni presentate dai diversi gruppi parlamentari, ed in particolare con quella del nostro gruppo di Forza Italia, così articolata e completa, s'intende pertanto riproporre all'attenzione delle istituzioni, ed in particolare al Governo Renzi, una questione molto complessa del fenomeno dello spreco alimentare, la cui definizione univoca attualmente non disponibile rappresenta uno dei principali paradossi globali dell'epoca recente e, contemporaneamente, una sfida sempre più importante nell'attuale contesto di crisi economica globale, in parte superata, e dei nuovi problemi di povertà alimentare che coinvolgono anche i Paesi avanzati.
  Aggiungo, inoltre, come l'appuntamento del prossimo anno, in occasione dell'esposizione universale Expo 2015, non potrà non interessare tutti i Paesi partecipanti, ed in particolare il nostro, che è il Paese ospitante, al fine di assumere un'iniziativa globale, in linea con le iniziative dell'Unione Europea e della FAO, che impegni tutti i Paesi partecipanti ad Expo contro lo spreco e le perdite alimentari, che ogni anno ammontano a circa 750 miliardi di dollari. L'Expo, infatti, dovrà rappresentare un appuntamento storico, non soltanto per la promozione dell'universo agroalimentare ed in particolare la valorizzazione del made in Italy, ma anche costituire una piattaforma importante contro la fame nel mondo e per definire un abbattimento del 50 per cento entro il 2020 dell'impressionante cifra di 1,3 miliardi di tonnellate di cibo sprecato nel mondo attraverso campagne mirate ad accrescere la consapevolezza del fenomeno e accordi di lungo termine che coinvolgano l'intera catena alimentare, a partire dalla filiera agricola.
  In tale ambito, attraverso la mozione presentata dal gruppo di Forza Italia, si tende ad evidenziare un quadro complessivo tuttora grave. Lo spreco alimentare nel nostro Paese è ancora molto forte: ogni famiglia italiana spreca cibo per 1.700 euro l'anno, a fronte della perdita di 1,3 miliardi di tonnellate di cibo. Pertanto, colleghi, nei confronti di tale fenomeno possiamo e dobbiamo porre rimedio al più presto.
  Con l'avvio oggi della discussione sulle linee generali, si riprende pertanto un dibattito parlamentare relativo ad un argomento sociale ed economico di notevole rilevanza, con l'auspicio che al termine dell'esame possano determinarsi delle basi univoche su cui prevedere una comune direzione, considerate le dimensioni assunte dal fenomeno, in grado di ridurre l'entità degli sprechi alimentari e, soprattutto, la portata dei suoi impatti.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Caon, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00475. Ne ha facoltà.

  ROBERTO CAON. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, colleghi, secondo il rapporto della FAO un terzo del cibo prodotto in tutto il mondo viene sprecato; ogni anno nei Paesi ricchi viene persa una quantità di cibo equivalente a quella prodotta nell'Africa subsahariana (222 milioni di tonnellate contro 230). Negli Stati Uniti il 30 per cento del cibo prodotto ogni anno viene gettato via. L'ammontare di cibo che va perduto o sprecato ogni anno equivale a più di metà dell'intera produzione annuale mondiale di cereali (2,3 miliardi di tonnellate nel 2009-2010). In Europa e in Nord America lo spreco pro capite è calcolato intorno ai 100 chilogrammi all'anno, mentre in Africa subsahariana e Pag. 48nel sud-est asiatico ammonta a circa 10 chilogrammi: la differenza è di uno zero, ma è sostanziale. In Italia lo spreco alimentare annuo ammonta a 6,5 milioni di tonnellate, pari a 108 chilogrammi pro capite: una cifra inferiore rispetto alla media europea, ma pur sempre preoccupante.
  Il problema dello spreco alimentare è molto serio e non riguarda solo il nostro Paese, ma anche una fetta importante dell'intero pianeta. Con l'aumento dei consumi cresce anche la quantità di cibo che viene quotidianamente sprecato. Molti dei prodotti alimentari destinati alle mense scolastiche non sono ottenuti a partire da materie prime originarie dei territori in cui sono consumati, né sono riferibili alle tradizioni alimentari dei territori medesimi.
  Le attuali politiche di approvvigionamento di prodotti alimentari destinati alla refezione scolastica tendono, nel loro complesso, a contribuire al processo di progressivo indebolimento della componente agricola all'interno delle filiere agroalimentari e a generare costi a carico dell'acquirente finale che, nel caso specifico, è, in primo luogo, identificabile nel contribuente o, in ogni caso, nei soggetti che si fanno materialmente carico di sopportare gli oneri relativi al consumo di pasti nelle mense scolastiche. Il consumo di prodotti di qualità DOP e IGP e, più in genere, di prodotti tipici e di territorio, è riconosciuto come funzionale al mantenimento di un buono stato di salute ed è, pertanto, particolarmente indicato per i bambini, ai fini di una corretta educazione alimentare, volta anche a limitare la diffusione di stati patologici, quali l'obesità, che, con crescente e preoccupante frequenza, interessa le fasce di età più giovani della popolazione.
  Il consumo di prodotti tipici e di qualità concorre, altresì, al mantenimento di forme di agricoltura ancorate al territorio e, quindi, anche alla tutela ed allo sviluppo dei valori economici, sociali e culturali che sono propri dei territori di cui gli stessi prodotti sono espressione. Le regioni e province possono garantire un'alimentazione sana, varia e completa, dalle carni ai formaggi, dal riso agli ortaggi, dalle uova alla frutta. Assicurare una dieta equilibrata e corretta educa i bambini a mangiare secondo la stagionalità e la territorialità dei prodotti e sostiene le filiere locali, tenendo sempre presente però le necessità di salute, di religione o esigenze particolari.
  Adottare nelle scuole una dieta alimentare somministrando ai bambini prodotti provenienti sia dal territorio della provincia che della regione in cui è situata la scuola, nonché prodotti italiani, lasciando comunque uno spazio nei menù ai prodotti provenienti anche dall'Unione europea o da altre parti del mondo, significa educare i giovani ad una sana e corretta alimentazione, facendo anche comprendere loro l'importanza della problematica dello spreco alimentare e, inoltre, promuove le specificità del territorio.
  In poche parole, sto chiedendo una cultura alimentare rivolta ai giovani, cominciando dalle scuole. Così si rilancerebbe la filiera locale di produzione, che significa, prima di tutto, prodotti sempre freschi e genuini, con dei costi molto contenuti e con un'attenzione anche all'ambiente. Essendo prodotti provenienti dal territorio, si ridurrebbero al minimo le emissioni di CO2 derivate dal trasporto e, altresì, si incentiverebbe anche la conoscenza dei prodotti tipici locali all'interno delle scuole, prodotti apprezzati e invidiati in tutto il mondo.
  Siamo conosciuti, la gente viene qua per un discorso culturale, ma anche per la cultura del nostro cibo. Complice la crisi economica, oggi appena il 36 per cento degli italiani dichiara di attenersi rigorosamente alla data di scadenza dei prodotti, riservandosi di valutare personalmente la qualità dei prodotti scaduti prima di buttarli. Solo il 54 per cento degli italiani controlla quotidianamente il frigorifero e il 65 per cento controlla almeno una volta al mese la dispensa.
  Con la crisi si registra, peraltro, un'inversione di tendenza e quasi tre italiani su quattro (73 per cento) hanno tagliato gli Pag. 49sprechi a tavola nel 2013, anche per effetto della necessità di risparmiare e di ottimizzare la spesa dallo scaffale alla tavola. La tendenza al contenimento degli sprechi è forse l'unico aspetto positivo della crisi in una situazione in cui ogni persona in Italia ha comunque buttato nel bidone della spazzatura ben 76 chili di prodotti alimentari durante l'anno.
  L'Unione europea si sta apprestando a rivedere le norme sulle etichette di scadenza dei prodotti alimentari per far sparire le scritte «da consumarsi preferibilmente entro» dalle confezioni di prodotti di pasta, riso, tè, caffè e formaggi duri, quindi estendere ai prodotti secchi la lista dei prodotti per i quali attualmente non è prevista una scadenza, come sale e aceto.
  Questa modifica era all'ordine del giorno della riunione del 19 maggio 2014 del Consiglio Agricoltura, dove i Ministri hanno affrontato le proposte delle delegazioni di Olanda e Svezia, sostenute da Austria, Germania, Danimarca e Lussemburgo, che intendevano, in questo modo, richiamare l'attenzione sul problema degli sprechi alimentari in Europa. La giustificazione di questa proposta era incentrata sul fatto che spesso i cibi vengono buttati via ancora integri a causa dell'insicurezza nei consumatori, perché portati a confondere – e quindi allarmati dalle possibili conseguenze sulla salute – la data di scadenza vera e propria – «da consumarsi entro» – con i termini minimi di conservazione – «da consumarsi preferibilmente entro» – che sono stati introdotti a garanzia dei consumatori.
  La data di scadenza indica la data entro la quale il prodotto deve essere consumato ed anche il termine oltre il quale un alimento non può più essere posto in commercio, ed è prevista per tutti i generi deperibili come latte, yogurt, ricotta, uova, pasta fresca ed altri. Il tmc, invece, indica la data fino alla quale il prodotto alimentare conserva le sue proprietà specifiche in adeguate condizioni di conservazione. Tanto più ci si allontana dalla data di superamento del tmc, tanto più vengono a mancare le caratteristiche organolettiche e gustative, o nutrizionali, di un alimento.
  Il Commissario europeo per la salute, al termine dei lavori del Consiglio UE, ha dichiarato che verso la metà di giugno presenterà, insieme al collega all'ambiente, Janez Potocnik, una comunicazione sull'alimentazione sostenibile, dove si parlerà anche della data limite di consumo di alcuni alimenti. La comunicazione, che non è una proposta legislativa, sarà discussa sotto il semestre di presidenza italiana dell'UE e, quindi, sarà proprio l'Italia che potrà dare un primo orientamento al dibattito in attesa di una proposta.
  Le nuove forme di spreco alimentare non riguardano solo i cibi, ma anche l'utilizzo non corretto di prodotti destinati all'alimentazione umana e animale, come l'uso del mais e dei foraggi nei digestori per produrre l'energia.
  Dunque, si impegna il Governo ad adottare, al fine di ridurre gli sprechi alimentari, tutte le iniziative necessarie affinché, anche attraverso il potenziamento degli strumenti normativi esistenti, l'approvvigionamento dei prodotti alimentari, destinati ai servizi di mensa scolastica, provenga dal territorio, dalla provincia, dalla regione e dall'Italia, da reperire, principalmente, attraverso modalità finalizzate a favorire l'avvicinamento tra la fase produttiva agricola e quella di consumo; a rendere partecipe il Parlamento su quale sarà la posizione del Governo, durante il semestre di presidenza europeo, circa le modifiche proposte che sono state illustrate in sede di Consiglio Agricoltura del mese di maggio 2014 in merito alle norme sulle etichette di scadenza dei prodotti alimentari.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Dorina Bianchi, che non è in Aula; s'intende che vi abbia rinunciato.
  È iscritta a parlare l'onorevole Santerini. Ne ha facoltà.

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  MILENA SANTERINI. Signor Presidente, la perdita della quantità di un miliardo di tonnellate di cibo all'anno – incredibile – non solo causa gravi perdite economiche, ma grava anche in modo insostenibile sulle risorse naturali dalle quali gli esseri umani dipendono per nutrirsi.
  Vorrei citare qui il rapporto FAO del 2013. Ogni anno il cibo che viene prodotto, ma non consumato, sperpera un volume di acqua pari al flusso annuo di un fiume come il Volga; utilizza 1,4 miliardi di ettari di terreno – quasi il 30 per cento della superficie agricola mondiale – ed è responsabile della produzione di 3 miliardi di tonnellate di gas serra. Oltre a questo impatto ambientale, le conseguenze economiche dirette di questi sprechi si aggirano, secondo il rapporto, intorno ai 750 miliardi di dollari l'anno.
  Sostiene il Direttore generale della FAO in questo rapporto che «tutti – agricoltori e pescatori, lavoratori nel settore alimentare e rivenditori, Governi locali e nazionali, e ogni singolo consumatore – devono apportare modifiche a ogni anello della catena alimentare per evitare che vi sia spreco di cibo e invece riutilizzare o riciclare laddove è possibile».
  Nel gennaio 2012 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione per adottare misure urgenti per dimezzare, entro il 2025, gli sprechi alimentari nell'Unione europea e per migliorare l'accesso al cibo per i cittadini più vulnerabili. Considerando che gli alimenti sono sprecati, come dicevo, lungo tutta la catena – produttori, trasformatori, distributori, ristoratori, consumatori –, si è chiesta l'attuazione di una strategia coordinata, che combini misure a livello europeo e nazionale per migliorare l'efficienza, comparto per comparto, dell'approvvigionamento alimentare e contrastare con urgenza lo spreco di cibo.
  In Italia è già attivo un tavolo presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ma vorrei sottolineare che lo spreco di cibo non è un problema solo ambientale.
  È un problema legato all'alimentazione, perché troppi non hanno da mangiare, a disfunzioni legate alla catena agroalimentare, sprechi non solo domestici, ma anche durante la preparazione dei cibi nelle industrie, e sui campi in cui troppi frutti non sono raccolti. Noi riteniamo quindi necessario un impegno diretto, su questa tematica, del Ministero dell'agricoltura e diamo atto al Viceministro Olivero di aver aperto non solo dei tavoli di concertazione, ma anche di aver manifestato un forte impegno in questo senso e, tra l'altro, il Ministero sta gestendo l'Expo, il cui tema «Nutrire il pianeta» è evidentemente un'occasione da non perdere. Ma oltre all'imperativo ambientale il problema dello spreco è di natura etica: noi non possiamo permettere che un terzo di tutto il cibo che viene prodotto nel mondo vada perduto quando vi sono 870 milioni di persone che soffrono la fame e anche in Europa gli sprechi alimentari sono molti.
  Uno studio della Commissione europea dice che la produzione annuale di rifiuti alimentari nei ventisette Stati membri ammonterebbe a circa 90 milioni di tonnellate, senza contare gli sprechi nella produzione agricola e il pesce ributtato a mare. Insomma anche in Italia gli sprechi alimentari equivalgono a un valore annuale di ben 11 miliardi di euro secondo la Coldiretti o, secondo Waste Watchers, di 9 miliardi, in pratica lo 0,57 per cento del PIL nazionale. È interessante notare che il 42 per cento si spreca tra le mura di casa, ma il 39 per cento si perde nella produzione e nella distribuzione alimentare. Che si possa ridurre è provato dal fatto che con la crisi gli italiani hanno gestito meglio la spesa: quasi il 30 per cento ha annullato gli sprechi e la metà l'ha ridotto. E riducendo di appena il 10 per cento gli sprechi di cibo degli italiani sarebbe possibile imbandire adeguatamente la tavola di ben tre milioni di concittadini, bambini, anziani.
  Anche la grande distribuzione conta di razionalizzare meglio i prodotti invenduti distribuendo ogni anno 50 mila tonnellate di cibo. Insomma è possibile sprecare Pag. 51meno e aiutare di più. Lo mostrano ad esempio i dati della COOP: una sola catena di supermercati che si è organizzata in proprio per recuperare il cibo invenduto e per donarlo ha dato via nel 2013 merce per un valore di 26 mila 500 euro ad un totale di 813 Onlus e questo ha permesso di assistere 140 mila persone in difficoltà. Nel 2013 nella sola Lombardia sono stati donati, grazie al progetto «Buon fine», 546 mila chilogrammi di prodotti alimentari per un valore di 2 milioni. Sono state aiutate così più di 3 mila persone. Queste iniziative sono però rese difficili a volte a causa della burocrazia o di direttive come quella ad esempio del 20 marzo 2003, secondo la quale il pane deve essere consumato entro la sera stessa in cui viene prodotto, altrimenti deve essere considerato come un rifiuto e non può essere neanche donato, neanche per il consumo animale. Quindi, è necessario un tavolo a livello nazionale che coinvolga gli attori principali, lavori alla rimozione di tali ostacoli, incentivi le donazioni e costruisca una rete integrata a livello nazionale.
  Per questo io vorrei richiamare l'attenzione sui fondi destinati agli aiuti alimentari che finora erano gestiti dall'Agea mentre ora è operativo un nuovo programma per i soggetti deboli, sempre a livello europeo, che lo sostituisce ed è gestito dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, competente per il welfare. Il fondo è stato voluto dal Governo Monti come uno strumento che avrebbe dovuto operare in assenza di misure europee in questo settore. La dotazione finanziaria era di 100 milioni annui ed è andata nel 2013 a beneficio di più di quattro milioni di destinatari finali, perché è stata gestita attraverso gli organismi di volontariato – associazioni, parrocchie, mense sociali, case famiglia, distribuite nel territorio, con la mediazione di associazioni come la fondazione e l'associazione Banco alimentare, la Caritas, la Croce Rossa, la Comunità di Sant'Egidio, Banco delle opere di carità, San Vincenzo De Paoli, Sempre insieme per la pace e tante altre. Queste organizzazioni no profit operano in modo capillare sul territorio e utilizzano per la distribuzione prodotti donati dalle imprese.
  Per questo noi attiriamo l'attenzione del Governo su alcuni punti. In primo luogo, i 10 milioni di euro stanziati con il fondo 2014 che dovrebbero essere immediatamente erogati per fare da ponte in attesa che entri in azione l'operatività del nuovo fondo europeo.
  E poi progettare un nuovo piano quinquennale che preveda proprio senza ritardi e senza interruzioni, aiuti alimentari per soggetti deboli. Raccomandiamo che i nuovi programmi operativi del Fondo di aiuti europei agli indigenti prevedano la distribuzione degli alimenti acquistati centralmente tramite le organizzazioni partner accreditate. Infatti, come è riportato nel nostro ordine del giorno alla legge di stabilità, quello del gruppo Per l'Italia, che è stato approvato nel dicembre 2013 dal Governo, l'attivazione di una rete di sostegno a favore di famiglie, singoli, persone anziane, immigrati consente di personalizzare gli interventi che rischiano altrimenti di essere sottoposti solo a criteri burocratici.
  Per questo la distribuzione dei generi alimentari, in particolare di quelli che sono sottratti allo spreco, deve essere svolta all'interno di progetti di coesione sociale e di reinserimento. In questo senso vogliamo sottolineare non solo la valenza ambientale, ma soprattutto quella etica, e il forte raccordo che il Governo insieme al Parlamento, e in generale il Paese, debba fare per raccordare, appunto, la eliminazione, la riduzione dello spreco con una più equa distribuzione agli indigenti.

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  Chiedo al Governo se intende intervenire: prendo atto che si riserva di farlo successivamente. Quindi il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Pag. 52

Ordine del giorno della seduta di domani.

  PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

  Martedì 27 maggio 2014, alle 11:

  1. – Svolgimento di interrogazioni.

  (ore 16 e al termine del punto 9)

  2. – Seguito della discussione del disegno di legge:
   S. 1417 – Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 marzo 2014, n. 52, recante disposizioni urgenti in materia di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari (Approvato dal Senato) (C. 2325).
  — Relatori: Mattiello (per la II Commissione) e Patriarca (per la XII Commissione), per la maggioranza; Rondini, di minoranza.

  3. – Dichiarazione di urgenza della proposta di legge n. 2299.

  4. – Seguito della discussione del disegno di legge:
   Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea – Legge di delegazione europea 2013 – secondo semestre (C. 1836-A).
  — Relatore: Alli.

  5. – Seguito della discussione del disegno di legge:
   Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea – Legge europea 2013-bis (C. 1864-A).
  — Relatore: Michele Bordo.

  6. – Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
   AMICI ed altri; CENTEMERO ed altri; MORETTI ed altri; BONAFEDE ed altri; DI LELLO ed altri; DI SALVO ed altri: Disposizioni in materia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché di comunione tra i coniugi (C. 831-892-1053-1288-1938-2200-A).
  — Relatori: D'Alessandro e Moretti.

  7. – Seguito della discussione delle mozioni Bergamini ed altri n. 1-00426, Zaccagnini e Pisicchio n. 1-00473, Cova ed altri n. 1-00474, Massimiliano Bernini ed altri n. 1-00476, Caon ed altri n. 1-00477 e Dorina Bianchi n. 1-00478 concernenti iniziative a favore del settore dell'apicoltura.

  8. – Seguito della discussione delle mozioni Catania ed altri n. 1-00146, Fiorio ed altri n. 1-00052, Gagnarli ed altri n. 1-00088, Migliore ed altri n. 1-00161, Faenzi ed altri n. 1-00472, Caon ed altri n. 1-00475 e Dorina Bianchi n. 1-00479 concernenti iniziative volte a ridurre gli sprechi alimentari.

  (ore 19)

  9. – Esame e votazione della questione pregiudiziale riferita al disegno di legge:
   S. 1430 – Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 7 aprile 2014, n. 58, recante misure urgenti per garantire il regolare svolgimento del servizio scolastico (Approvato dal Senato) (C. 2385).

PROPOSTA DI LEGGE DI CUI SI RICHIEDE L'URGENZA
  CANCELLERI ed altri: Soppressione della società Equitalia Spa e trasferimento delle funzioni in materia di riscossione all'Agenzia delle entrate, nonché determinazione Pag. 53del limite massimo degli oneri a carico dei contribuenti nei procedimenti di riscossione (2299).

  La seduta termina alle 18,50.

TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO LUCA D'ALESSANDRO IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL TESTO UNIFICATO DELLE PROPOSTE DI LEGGE N. 831-A ED ABBINATE

  LUCA D'ALESSANDRO, Relatore. Il testo approvato dalla Commissione interviene sulla disciplina dello scioglimento del matrimonio con l'obiettivo di anticipare il momento di possibile proposizione della domanda di divorzio. Con un ulteriore intervento sul codice civile, tuttavia, si intende anticipare anche il momento dell'effettivo scioglimento della comunione dei beni tra i coniugi. È, infine, dettata una disciplina transitoria.
  L'articolo 1 novella l'articolo 3, primo comma, n. 2, lettera b), della legge sul divorzio (n. 898 del 1970). Questa attualmente prevede, in particolare, che lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio può essere domandato da uno dei coniugi nel caso in cui sia stata pronunciata con sentenza passata in giudicato la separazione giudiziale fra i coniugi ovvero sia stata omologata la separazione consensuale; che, ai fini della proposizione della domanda di divorzio, le separazioni devono essersi protratte ininterrottamente da almeno tre anni, a decorrere dalla comparizione dei coniugi davanti al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale.
  L'articolo 1 del testo in esame, in caso di separazione giudiziale, riduce a dodici mesi la durata del periodo di separazione ininterrotta dei coniugi che legittima la domanda di divorzio e fa decorrere tale termine dalla notificazione della domanda di separazione.
  In applicazione del principio di economia processuale, e tenuto conto della possibilità che il tribunale emetta una sentenza non definitiva di separazione (ex articolo 709-bis, c.p.c.), si prevede che, qualora alla data di instaurazione del giudizio di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio sia ancora pendente il giudizio di separazione con riguardo alle domande accessorie, la causa è assegnata al giudice della separazione personale. La ratio della norma è di consentire che lo stesso giudice della separazione, che già conosce le questioni personali ed economiche relative ai coniugi, sia chiamato a conoscere anche della causa di divorzio relativa ai medesimi soggetti: causa che presenterà questioni analoghe, se non identiche.
  L'ultimo periodo dell'articolo 1 riduce a sei mesi il periodo di separazione ininterrotta dei coniugi che permette la proposizione della domanda di divorzio nel caso in cui la separazione sia consensuale.
  Si ricorda che l'articolo 711 c.p.c., in relazione alla separazione consensuale, fa riferimento sia all'ipotesi in cui il ricorso sia presentato da entrambi i coniugi (primo comma) sia a quello in cui sia presentato da uno solo (secondo comma). Si è quindi previsto che il termine di sei mesi decorra dalla data di deposito (qualora il ricorso sia presentato da entrambi i coniugi) ovvero dalla data della notificazione del ricorso, qualora esso sia presentato da uno solo dei coniugi.
  Si ha quindi, complessivamente, sia per la separazione giudiziale che per quella consensuale, non solo una riduzione del termine per la presentazione della domanda di divorzio (da 3 anni a 1 anno, nel primo caso, e da 3 anni a 6 mesi, nel secondo), ma anche un'anticipazione del relativo dies a quo, che secondo la disciplina vigente decorre dalla comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale.
  Nella scelta del nuovo dies a quo si è tenuto conto dell'interesse del coniuge convenuto o, comunque, del coniuge che non ha assunto l'iniziativa della separazione, a conoscere quantomeno l'esistenza della domanda di separazione.
  Nel caso della separazione consensuale, se il ricorso è presentato da entrambi i Pag. 54coniugi, entrambi hanno assunto, congiuntamente e consapevolmente, l'iniziativa di separarsi e, quindi, il dies a quo può decorrere dalla data di deposito del ricorso, non sussistendo l'esigenza di garantire a uno dei due coniugi la conoscenza dell'iniziativa di separarsi assunta dall'altro. Quando il ricorso è presentato da uno solo dei coniugi, si è invece preferito far decorrere il termine dalla notificazione all'altro coniuge del ricorso stesso e del decreto che fissa la data dell'udienza presidenziale, anche tenendo conto del fatto che nel ricorso presentato da uno solo dei coniugi possono essere contenute le modalità, eventualmente già concordate, della separazione, ma è comunque sufficiente l'asserzione che si è raggiunto l’ accordo o che si ritiene che esso possa essere raggiunto.
  Nella separazione giudiziale, proprio in considerazione della sua natura «contenziosa» e dell'esistenza di un coniuge «convenuto» in senso tecnico, il dies a quo decorre dalla notificazione della domanda. Si è ritenuto, infatti, eccessivo far decorrere il termine dalla data di deposito del ricorso, poiché in quel momento il coniuge che subisce l'iniziativa giudiziale potrebbe non essere a conoscenza di tale iniziativa.
  Nel corso dell'esame in Commissione e, in particolare, all'esito delle audizioni svolte, si è optato per una formulazione che non prevedesse alcuna differenziazione del termine in questione in relazione alla presenza o meno di figli minori.
  In caso di separazione giudiziale non è sembrato utile prevedere un termine più ampio in presenza di figli minori. Trattandosi, infatti, di una forma di separazione caratterizzata spesso da accesa conflittualità e da rarissimi casi di riconciliazione, si è ritenuto che la riduzione del termine per la proposizione della domanda di divorzio da tre anni ad un anno potesse tradursi in una complessiva riduzione del periodo conflittuale e, quindi, in un «minor danno» per i figli minori.
  Nel testo base adottato dalla Commissione, infatti, solo nel caso di separazione consensuale si prevedeva che, in presenza di figli minori, il termine potesse essere più lungo (sia pure di poco: dodici mesi anziché nove mesi). Hanno finito, tuttavia, per prevalere altre e più convincenti argomentazioni che hanno indotto la Commissione a superare quella formulazione e a prevedere un termine unico ulteriormente abbreviato (sei mesi) e indipendente dalla presenza di figli minori.
  In particolare, si è ritenuto che neanche nella separazione consensuale l'estensione del periodo di separazione (qui inteso quale presupposto processuale per la proposizione della domanda di divorzio) possa in alcun modo giovare ai figli minori, poiché il «periodo della lotta giuridica» fra i genitori è sempre troppo lungo per i figli. Si è, inoltre, osservato come l'interesse del minore nel contesto della crisi di coppia sia già ampiamente tutelato del nostro ordinamento giuridico, soprattutto dopo l'entrata in vigore della legge n. 54 del 2006 sull'affido condiviso, che tende a garantire il diritto alla bigenitorialità dei minori e a delimitare la conflittualità delle coppie nel momento della crisi coniugale, dettando una disciplina unica circa la sorte dei figli nella crisi familiare e mettendo, quindi, in discussione il doppio binario tra disciplina della separazione e disciplina del divorzio. Vi è poi la legge n. 219 del 2012, con il successivo decreto legislativo n. 154 del 2013, che recano una storica riforma della filiazione, parificando ad ogni effetto la condizione dei figli nati nel matrimonio e quella dei figli nati fuori dal matrimonio Anche in questo contesto la disciplina della crisi di coppia è trattata, in via unitaria, con riguardo all'affidamento, al mantenimento e alla frequentazione dei figli, per i genitori coniugati, per i genitori non coniugati ma conviventi more uxorio e per i genitori non conviventi.
  L'articolo 2 integra la formulazione dell'articolo 189 delle disposizioni di attuazione del codice processuale civile, in base al quale l'ordinanza presidenziale conserva la sua efficacia anche dopo l'estinzione del processo finché non sia sostituita con altro provvedimento emesso dal presidente o dal giudice istruttore, a Pag. 55seguito di nuova presentazione di ricorso per separazione personale dei coniugi.
  Nella pratica può accadere, infatti, che il presidente del tribunale, nell'adottare i provvedimenti provvisori, stabilisca un regime della separazione ritenuto soddisfacente o almeno accettabile dai coniugi. Non è infrequente, allora, che i coniugi trascurino di costituirsi o comunque di comparire alle udienze, lasciando che il giudizio entri nella fase di quiescenza che conduce all'estinzione.
  La ratio del citato articolo 189, secondo comma, è dunque nel senso di consentire che il regime di separazione provvisoria possa protrarsi indefinitamente. In caso di estinzione del processo, infatti, l'ordinanza emessa dal presidente del tribunale ai sensi dell'articolo 708 c.p.c. può conservare i propri effetti per un tempo indefinito, finché, in seguito a nuova presentazione del ricorso per separazione personale, l'ordinanza medesima non sia sostituita da altro provvedimento emesso dal giudice della separazione, che preveda lo stesso o un diverso regolamento dei rapporti tra i coniugi.
  La modifica introdotta prevede che tale ordinanza, emessa nell'ambito della fase presidenziale del giudizio di separazione personale tra i coniugi e caratterizzata dalla permanenza degli effetti in caso di estinzione del giudizio medesimo, possa essere sostituita (oltre che da un provvedimento emesso dal giudice della separazione in seguito a presentazione di un nuovo ricorso per separazione personale) anche da un provvedimento del giudice del divorzio, in seguito alla presentazione di ricorso per la cessazione degli effetti civili o per lo scioglimento del matrimonio.
  Sebbene si tratti di ipotesi residuali, la disposizione che si intende introdurre è destinata ad avere rilievo nei casi in cui il giudizio di separazione si estingua per inattività delle parti dopo che sia stata pronunciata già una sentenza di separazione sullo status.
  L'articolo 3 del provvedimento modifica l'articolo 191 del codice civile, relativo allo scioglimento della comunione dei beni tra i coniugi.
  Tale disposizione prevede la separazione personale come uno dei motivi di scioglimento della comunione, il cui momento effettivo si verifica «ex nunc», secondo la giurisprudenza costante, solo con il passaggio in giudicato della sentenza di separazione.
  Tale previsione non è risultata adeguata alla realtà quotidiana, poiché la permanenza degli effetti patrimoniali della comunione legale difficilmente si concilia con l'interruzione della convivenza. Si ricorda, infatti, che la cessazione della convivenza, ancorché autorizzata con i provvedimenti provvisori adottati a norma dell'articolo 708, terzo comma, c.p.c., non osta a che i beni successivamente acquistati dai coniugi medesimi ricadano nella comunione legale, ai sensi della disciplina specificamente prevista dal codice civile.
  L'articolo 2 integra la formulazione del comma 2 dell'articolo 191 c.c. anticipando lo scioglimento della comunione dei beni al momento in cui il presidente del tribunale, in sede di udienza di comparizione, autorizza i coniugi a vivere separati; ovvero alla data di sottoscrizione del verbale di separazione consensuale, se omologato.
  È poi aggiunta allo stesso comma 2 una disposizione di natura procedurale secondo cui devono essere comunicate all'ufficiale dello stato civile, per l'annotazione sull'atto di matrimonio, la domanda di separazione (se i coniugi sono in comunione dei beni) e l'ordinanza del presidente del tribunale che autorizza i coniugi a vivere separati.
  Un'ultima integrazione al comma 2 dell'articolo 191 anticipa il momento della domanda di divisione dei beni. Attualmente, presupposto di tale domanda è la pronuncia definitiva di separazione sicché, prima di tale momento, manca il titolo per richiederla. La nuova disposizione prevede, invece, che la domanda di divisione della comunione può essere chiesta congiuntamente a quella di separazione o di divorzio.
  Tale ultima disposizione richiede probabilmente un'ulteriore riflessione.Pag. 56
  Sebbene essa sia stata formulata con l'intento di facilitare i coniugi che intendono separarsi e divorziare, tramite la trattazione congiunta della domanda di separazione o divorzio e della domanda di divisione della comunione legale (che presuppone il previo scioglimento della comunione medesima), occorre domandarsi se tale trattazione congiunta non sia contraria al principio di economia procedurale. Molto spesso, infatti, il giudizio di divisione richiede accertamenti complessi e adempimenti con tempi non facilmente preventivabili, come la vendita di immobili.
  L'articolo 4 del testo in esame detta una disciplina transitoria secondo cui la disciplina dell'articolo 1 del provvedimento (ovvero quella sulla riduzione dei tempi di proposizione della domanda di divorzio) si applica alle domande di divorzio proposte dopo la data di entrata in vigore del provvedimento in esame, anche in caso di pendenza alla stessa data del procedimento di separazione personale.
  Signor Presidente, onorevoli colleghi, permettetemi qualche considerazione su un provvedimento che considero molto importante, e che, personalmente, nella qualità di relatore e come Gruppo Forza Italia, ho intenzione di portare avanti con forza e determinazione.
  Come già accaduto nel corso dell'esame in Commissione Giustizia, nonché nel corso delle discussioni sul tema che hanno avuto luogo nelle passate legislature, su questo provvedimento ciascuno di noi potrebbe esprimere una sua opinione personale.
  Io vorrei invece invitare l'Aula e i parlamentari a riflettere esclusivamente e in maniera quanto più possibile oggettiva sul testo che è stato licenziato dalla Commissione giustizia e che è oggi all'esame dell'Aula, senza lasciarsi prendere in alcun modo da opinioni troppo personali sul concetto di matrimonio e sulla famiglia.
  Oggi infatti stiamo discutendo di un'altra vicenda: non di matrimonio e di famiglia, ma di rimedi e soluzioni, e di come facilitare la vita a chi non ha avuto un matrimonio «ideale», o semplicemente «normale», e che cerca una soluzione di vita che probabilmente si riflette anche su altre persone. Una proposta di legge di questo genere non solo non è contro il matrimonio, ma è addirittura a favore dello stesso perché agevola anche la ricostituzione di matrimoni possibili e futuri.
  Perché molto spesso ad attendere le sentenze di divorzio ci sono coppie che si sono già formate e che magari hanno figli, e che avrebbero anche diritto, in un uno Stato civile come l'Italia, a vedere che anche i loro problemi venissero affrontati con la dovuta sensibilità, ma anche con i tempi adeguati.
  La principale obiezione che ha interferito finora sulla modifica della legge del 1970 è stata quella secondo cui l'abbreviazione dei tempi di divorzio rende più fragile l'istituto familiare. In realtà c’è ormai la prova statistica che i tempi lunghi dello scioglimento del matrimonio alimentano il conflitto, più che la riscoperta di solidarietà tra i coniugi. È vero che sono tanti i casi in cui i coniugi tornano indietro sulla loro decisione, ma sono davvero pochissimi in confronto a centinaia di migliaia di casi che finiscono invece come iniziano, ovvero con la separazione, e cioè la cessazione del vincolo coniugale.
  Negli ultimi 20 anni la crescita dei divorzi, nonostante che le nostre norme siano tra le più restrittive d'Europa, è stata assolutamente costante.
  Se nel 1995 si verificavano 158 separazioni e 80 divorzi ogni mille matrimoni, nel 2008 si è arrivati a 286 separazioni e 179 divorzi, e nel 2011, gli ultimi dati ISTAT, parlano di 311 separazioni e 182 divorzi. Quindi, io non credo, e mi sembra che ci sia davvero la prova statistica, che la lungaggine dei tempi incida su un'inversione di tendenza relativa alle separazioni, che è legata a tutt'altri dati.
  Un altro dato statistico. Due giorni fa l'Eurispes ha diffuso un sondaggio in base al quale l'84 per cento degli italiani intervistati è favorevole alla riduzione dei tempi per chiedere il divorzio. Un orientamento stabile e radicato nel tempo, visto Pag. 57che nel 2012 il campione era dell'82,2 per cento, nel 2013 era dell'86,3 per cento, per poi attestarsi, quest'anno all'84 per cento.
  Tornando all'argomento principale, sicuramente non si può immaginare di far dipendere la solidarietà del rapporto tra due coniugi o addirittura la famiglia da elementi burocratici o, addirittura, costruttivi. Il divorzio lungo, tra l'altro, non giova sicuramente alle donne. In Italia mancano dati certi sulla connessione tra l’escalation dei femminicidi e le tensioni derivanti dalle liti giudiziarie sulla separazione, perché non è stata mai fatta un'analisi statistica di questo tipo, ma la cronaca ci rivela ogni giorno l'esistenza di collegamenti diretti tra lo scatenarsi di violenza e follia domestica e lo stress legato alle procedure di scioglimento del matrimonio. Molto più numerosi, drammatici e inquietanti, rispetto alle riconciliazioni eventualmente favorite dalla cosiddetta «riflessione costruttiva e distensiva» che alcuni legano ai 3 anni di separazione attuali per poter chiedere il divorzio. Riconciliazioni, peraltro, sempre possibili e mai impedite da tempi più o meno lunghi di questo procedimento.
  Oggi ci troviamo quindi davanti ad una scelta di civiltà, che incide sulla libertà dei cittadini, che facilita le loro scelte. Davanti a questa valutazione, è necessario capire fino in fondo quello che succede nelle cause di separazione e divorzio. Molto spesso le cause di separazione prima e di divorzio dopo hanno carattere afflittivo: l'obiettivo del legislatore, in questo contesto, in questo caso, deve essere quello di salvaguardare anche la dignità delle persone che si mettono in discussione chiedendo la separazione e poi il divorzio, facilitando un percorso non per farlo diventare semplice e banale, che porti velocemente allo scioglimento e alla cessazione degli effetti civili del matrimonio, ma per renderlo meno ipocrita, più rispondente alla realtà.
  Stiamo infatti discutendo di decisioni prese da persone che hanno già scelto il matrimonio, che hanno creduto nel matrimonio e che, evidentemente, hanno dovuto trarre la conclusione che la loro unione non è andata bene e che non è più possibile convivere e portare a termine questa esperienza sino alla fine, come magari avevano sperato.
  Con molta serenità chiedo quindi a tutti i colleghi di non ideologizzare in alcun modo questa discussione: non si tratta di un provvedimento contro o a favore della famiglia.
  In questo caso stiamo parlando semplicemente di un'abbreviazione dei termini utili. Dopo avere ottenuto una sentenza di separazione giudiziale o dopo avere ottenuto l'omologazione di una sentenza di separazione, chiediamo di abbreviare il termine previsto oggi. All'inizio era di cinque anni, dal 1987 è diventato di tre anni ed oggi noi pensiamo che sia arrivato il momento che diventi di un anno o, per la mediazione che è stata operata sulla separazione consensuale, di sei mesi. In tutto questo ha senso parlare di quanto si verifica nei tribunali italiani. Ha senso riflettere sul fatto che per ottenere una sentenza di separazione ci vogliono molto spesso un paio di anni. Ha senso anche riflettere sul fatto che l'anno di cui noi parliamo è un periodo minimo che molto spesso sarà superato dai fatti. Infatti, quando per ottenere una sentenza di separazione ci vogliono circa due anni, è chiaro che l'anno dalla comparizione davanti al presidente del tribunale è già trascorso da un pezzo, quando si può addivenire ad una richiesta di divorzio.
  Nella stessa direzione va anche un'altra modifica che viene introdotta dalla normativa oggi in discussione; far partire lo scioglimento della comunione dei beni parte non più dall'omologazione della separazione consensuale o dalla sentenza di separazione giudiziale, ma dal momento in cui il presidente del tribunale, in sede di udienza di comparizione, autorizza i coniugi a vivere separati, significa sollevare le parti in causa da una serie di discussioni, tamponando gli effetti dei provvedimenti provvisori, che molto spesso sono afflittivi per tutti, frutto di lungaggini anche giudiziarie e oggetto di speculazioni di varia natura.Pag. 58
  E allora entrambe le modifiche tendono in fondo principalmente, a mio parere, ad introdurre modifiche che sono in sintonia con il Paese, che sicuramente sono in sintonia anche con un'esigenza di civiltà che è maturata oramai stabilmente. Questo provvedimento è quindi un primo importante passo per prendere atto dell'evoluzione della legislazione e delle esigenze che via via sono emerse.
  Il Parlamento deve assumersi la responsabilità di discutere del tema fino in fondo, serenamente ma senza ipocrisie, anche alla luce della normativa europea, che crea situazioni di disparità: perché basta spostarsi di poco, basta andare in una delle nazioni vicine dove il divorzio è semplice, dalla Romania alla Francia, alla Germania, per ottenere, anche in pochi mesi, una sentenza di divorzio; ma per tutto questo ovviamente bisogna avere la possibilità economica e i mezzi per farlo. Allora in questo caso la «giustizia» è legata ad un fattore economico, assolutamente discriminatorio.