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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 190 di venerdì 14 marzo 2014

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARINA SERENI

  La seduta comincia alle 9.

  ANNA MARGHERITA MIOTTO, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.
  (È approvato).

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Gioacchino Alfano, Alfreider, Amendola, Amici, Baretta, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Boccia, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Bressa, Brunetta, Casero, Cicchitto, Cirielli, De Girolamo, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Epifani, Ferranti, Fico, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Lorenzin, Lotti, Giorgia Meloni, Merlo, Mogherini, Gianluca Pini, Pisicchio, Ravetto, Rughetti, Sani, Scalfarotto, Schullian, Speranza, Tabacci, Valeria Valente, Vito e Zanetti sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
  I deputati in missione sono complessivamente settantotto, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

  Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Annunzio di petizioni.

  PRESIDENTE. Invito la deputata segretario di Presidenza a dare lettura delle petizioni pervenute, che saranno trasmesse alle sottoindicate Commissioni.

  ANNA MARGHERITA MIOTTO, Segretario, legge:
  FRANCESCO DI PASQUALE, da Cancello e Arnone (Caserta), chiede:
   l'istituzione di giornate celebrative di valori civili, culturali e sociali (561)alla I Commissione (Affari costituzionali);
   l'istituzione di una Commissione di inchiesta sui crimini commessi dopo la seconda guerra mondiale (562) – alla I Commissione (Affari costituzionali);
   nuove norme in materia di crimini contro l'umanità (563) - alla II Commissione (Giustizia);
  MORENO SGARALLINO, da Terracina (Latina), chiede:
   interventi straordinari di manutenzione della rete stradale (564) – alla VIII Commissione (Ambiente);
   nuove norme in materia di canone di abbonamento alla RAI (565) – alla IX Commissione (Trasporti);Pag. 2
   norme per il corretto smaltimento dei rifiuti prodotti nel corso della navigazione o raccolti durante la pesca (566) – alla VIII Commissione (Ambiente);
  MARINO SAVINA, da Roma, chiede:
   l'istituzione di una Commissione di inchiesta sull'impiego del personale della protezione civile e della Croce Rossa in occasione di recenti calamità naturali (567) – alla VIII Commissione (Ambiente);
   l'istituzione di una Commissione di inchiesta sulle modalità di determinazione dei prezzi dei prodotti petroliferi (568) – alla X Commissione (Attività produttive);
  MATTEO LA CARA, da Vercelli, chiede che il possesso dei requisiti dei candidati alle elezioni sia verificato da appositi organismi antimafia istituiti presso le prefetture (569) – alla I Commissione (Affari costituzionali);
  FABRIZIO LADI BUCCIOLINI, da Frenieres Sur Bex (Svizzera), chiede modifiche alle norme concernenti la soglia oltre la quale i tassi di interesse sui finanziamenti bancari sono considerati usurari (570) – alla VI Commissione (Finanze);
  EDMONDO CESARONI, da Roma, chiede:
   misure per contrastare la microcriminalità e l'accattonaggio (571) – alla II Commissione (Giustizia);
   interventi per promuovere l'impiego degli immigrati nel lavoro agricolo (572) – alla I Commissione (Affari costituzionali);
   nuove norme in materia di prostituzione (573) – alla II Commissione (Giustizia);
   misure per contrastare il gioco d'azzardo (574) – alla VI Commissione (Finanze);
   interventi per ridurre i costi dell'assicurazione obbligatoria, del bollo auto e dei passaggi di proprietà dei veicoli a motore (575) – alla VI Commissione (Finanze);
   iniziative in ricordo delle vittime civili causate dagli alleati nel corso della Seconda guerra mondiale (576) – alla IV Commissione (Difesa);
   l'inasprimento della tassazione sul possesso di opere d'arte e altri beni di lusso (577) – alla VI Commissione (Finanze);
  FRANCESCANTONIO GENUA, da Seminara (Reggio Calabria), chiede nuove norme in materia di riscatto previdenziale dei periodi di congedo parentale e di quelli relativi al corso di laurea (578)alla XI Commissione (Lavoro);
  EUGENIO NACCARATO, da Cosenza, e moltissimi altri cittadini chiedono modifiche alla legge n. 247 del 2013, recante nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense, in tema di requisiti per l'esercizio della professione (579) – alla II Commissione (Giustizia);
  SALVATORE ACANFORA, da Roma, chiede:
   norme per il riconoscimento delle unioni civili e dei diritti delle coppie omosessuali (580) - alla II Commissione (Giustizia);
   interventi per la salvaguardia e la valorizzazione della reggia di Caserta (581) - alla VII Commissione (Cultura);
   la riduzione dei pedaggi autostradali (582) – alla VIII Commissione (Ambiente);
   l'introduzione del quoziente familiare (583) – alla VI Commissione (Finanze);
  FRANCESCO DE GHANTUZ CUBBE, da Roma, chiede l'introduzione dell'istituto del plebiscito per l'approvazione diretta, da parte dei cittadini, della Costituzione, delle norme costituzionali e delle leggi di maggiore importanza (584) – alla I Commissione (Affari costituzionali);
  EDOARDO RINALDI, da Roma, chiede nuove norme costituzionali in materia di funzioni del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, ai fini del superamento del bicameralismo perfetto, Pag. 3nonché modifiche alle relative modalità di elezione (585) – alla I Commissione (Affari costituzionali);
  VALERIO FEDERICO, da Ispra (Varese), e altri cittadini chiedono la completa cessione delle azioni bancarie in possesso delle fondazioni di origine bancaria, ai fini di una radicale separazione tra banche e fondazioni (586) – alla VI Commissione (Finanze).

Svolgimento di interpellanze urgenti
(ore 9,10).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze urgenti.

(Iniziative di competenza volte a contrastare le pratiche di commercializzazione di gameti o di embrioni e la surrogazione di maternità – n. 2-00439)

  PRESIDENTE. Passiamo alla prima interpellanza urgente all'ordine del giorno Roccella n. 2-00439, concernente iniziative di competenza volte a contrastare le pratiche di commercializzazione di gameti o di embrioni e la surrogazione di maternità (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo alla deputata Roccella se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  EUGENIA ROCCELLA. Signora Presidente, sono sempre più numerosi i casi, che emergono anche dalla cronaca, di coppie o anche singoli italiani che si rivolgono all'estero per accedere a queste pratiche di fecondazione assistita, che prevedono un contratto di utero in affitto. Si chiama anche in altri modi: si chiama maternità surrogata, gestazione per conto terzi, si chiama con definizioni che cercano di mascherare la natura essenziale del contratto, che è appunto un affitto e quindi il modo di trattare le donne che si prestano a questa pratica è un modo sostanzialmente di sfruttamento commerciale.
  La donna è utilizzata come un contenitore, come qualcuno che deve sfornare un prodotto per coppie benestanti, che sostanzialmente approfittano di una condizione di indigenza, di una condizione di bisogno che porta queste donne a prestare il loro corpo, proprio perché vivono evidentemente una condizione di bisogno ultimo, perché soltanto quando non c’è nessun'altra fonte possibile di reddito si è disponibili ad una pratica di questo genere, che è una pratica profondamente umiliante e che colpisce al cuore la natura femminile. Il fatto di portare nel proprio corpo per nove mesi un bambino e poi cederlo ad altri è evidentemente qualcosa che ferisce profondamente una donna.
  Queste pratiche sono vietate in molti Paesi, sono esplicitamente vietate nel nostro Paese dalla legge n. 40 del 2004. In alcuni Paesi i Governi sono tornati indietro, per esempio in Inghilterra, dopo che i bambini nati da queste pratiche hanno disperatamente cercato di risalire alle proprie origini. Ogni bambino ha diritto a sapere chi sono sua madre e suo padre, ha diritto a conoscere le proprie origini e questo, naturalmente, è un modo invece per mascherarle. Tra l'altro è un diritto che serve anche alle persone, ormai, dal punto di vista sanitario: conoscere i propri ascendenti spesso è importante anche per la propria salute, per gestire la propria salute.
  Il giro d'affari intorno a questa pratica è un giro d'affari enorme. C’è un cosiddetto turismo procreativo che porta flussi di persone da un Paese all'altro e non soltanto da Paesi dove questa pratica o altre pratiche, come la compravendita di ovociti, sono vietate, ad altri Paesi in cui sono permesse, ma anche semplicemente da Paesi in cui sono permesse, come l'America, come gli Stati Uniti, a Paesi in cui sono permesse ma sono più a basso costo, cioè dove le donne sono più povere e quindi più esposte ad uno sfruttamento, dove i loro diritti sono meno riconosciuti, dove quindi i contratti possono rasentare il contratto di schiavitù, cioè contratti molto onerosi, molto pesanti per una donna.Pag. 4
  Tutto questo in Italia sta entrando attraverso – come posso dire ? – una tolleranza di fatto. È evidente che i bambini nati da queste pratiche vanno tutelati.
  Noi abbiamo una legislazione, anche attraverso provvedimenti recenti, che tutela in modo assoluto, equipara i bambini nati fuori dal matrimonio a quelli nati all'interno del matrimonio e tutela l'infanzia in modo veramente molto garantista. Questo non vuol dire, però, accettare queste pratiche, che sono, come ripeto, contro normative internazionali, non vuol dire accettare di far entrare queste pratiche in Italia in modo surrettizio.
  C’è una risoluzione europea, per esempio, ma ci sono altre risoluzioni internazionali che condannano queste pratiche. Bisogna, secondo me, fare qualcosa, bisogna anticipare la possibilità che invece queste pratiche man mano nella prassi siano considerate sufficientemente accessibili, normali, qualcosa che non è condannato dalla legge e che non è condannato da un senso di civiltà. Bisogna giocare d'anticipo e bisogna fare qualcosa.
  Noi chiediamo, i firmatari di questa interpellanza chiedono che cosa il Governo intenda fare per consentire che queste pratiche vengano fermate, perché la legge italiana e le risoluzioni internazionali ed europee che condannano la pratica dell'utero in affitto siano rispettate.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la salute, Vito De Filippo, ha facoltà di rispondere.

  VITO DE FILIPPO, Sottosegretario di Stato per la salute. Signor Presidente, onorevoli, com’è noto agli onorevoli interpellanti, l'Italia in materia è conforme ai pronunciamenti internazionali: Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, in particolare agli articoli 1, 4 e 5; Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia, specificamente all'articolo 7, che recita: «Il bambino dovrà essere registrato immediatamente dopo la nascita e avrà diritto a un nome, ad acquisire una nazionalità e, nella misura del possibile, a conoscere ed essere accudito dai suoi genitori»; Convenzione sui diritti dell'uomo e la biomedicina, nota come Convenzione di Oviedo, del Consiglio d'Europa che, all'articolo 21, considera contrario alla dignità umana il trarre profitto dalla vendita del corpo umano e delle sue parti, e ritiene che i bambini abbiano il diritto a essere accuditi dai propri genitori, e comunque a conoscere le proprie origini; articolo 7 della Convenzione sull'infanzia. Si può anche ritrovare questo principio nella Convenzione europea sull'adozione dei minori, quella del 2008, all'articolo 22, comma 3, che dispone che le autorità competenti possano, in alcune circostanze, dare la prevalenza al diritto del minore a conoscere le proprie origini rispetto al diritto all'anonimato dei suoi genitori biologici.
  Le disposizioni di riferimento per la tematica in esame sono contenute, come ha citato l'onorevole Roccella, nella legge n. 40 del 2004, che, come è noto, sanziona la maternità surrogata, anche con sanzioni economicamente molto consistenti, all'articolo 12, comma 6, così come la fecondazione eterologa, all'articolo 12, comma 1, e, allo stesso modo, sanziona coloro che applicano la fecondazione assistita a coppie i cui componenti non siano entrambi viventi o uno dei cui componenti sia minorenne ovvero che siano composte da soggetti dello stesso sesso o non coniugati o non conviventi (articolo 12, comma 2).
  La legislazione italiana prevede, inoltre, che la madre legale del bambino sia colei che lo ha partorito. Allo stesso tempo, per ciò che riguarda organi, cellule e tessuti umani destinati a uso clinico, il quadro normativo italiano prevede la totale gratuità. Lo dispone la legge n. 91 del 1999 e il decreto legislativo n. 191 del 2007, articolo 12, comma 1, conferma questa disposizione, escludendo anche forme di rimborso spese e consentendo eventualmente assenze giustificate dal lavoro in forma del tutto analoga a quanto avviene per la donazione del sangue e degli organi. A tale proposito ricordiamo anche la risoluzione del Parlamento europeo del 10 marzo 2005, in cui si condanna il commercio Pag. 5degli ovociti umani, considerata una forma di sfruttamento commerciale della maternità.
  Alla luce di queste ampie considerazioni internazionali e anche della legislazione nazionale che abbiamo reso, emerge che il nostro ordinamento vieta assolutamente i percorsi della cosiddetta maternità surrogata. Pertanto, i medesimi non sono praticabili nel nostro Paese in nessuna forma e, come abbiamo ricordato, sono duramente sanzionati.
  Va anche detto che risultano casi in cui coppie italiane hanno intrapreso detti percorsi all'estero, in Paesi dove tale pratica è consentita o tollerata, incorrendo spesso in pesanti problemi legali una volta tornati in patria con il bambino nato in tali circostanze.
  Il Ministero della salute ha fatto propria la risoluzione del Parlamento europeo del 5 aprile 2011, ricordata anche dagli interpellanti, su priorità e definizione di un nuovo quadro politico dell'Unione europea in materia di lotta alla violenza contro le donne, in particolare laddove si condanna la pratica della maternità surrogata e si riconosce «il grave problema della surrogazione di maternità, che costituisce uno sfruttamento del corpo e degli organi riproduttivi femminili», rilevando che «le donne e i bambini sono soggetti alle medesime forme di sfruttamento e possono essere considerati merci sul mercato internazionale della riproduzione, e che i nuovi regimi riproduttivi, come la surrogazione di maternità, incrementano la tratta di donne e bambini nonché le adozioni illegali transnazionali».
  Da ultimo, è intenzione di questo Ministero rassicurare gli onorevoli interpellanti che il nostro impegno continuerà e sarà volto a informare e sensibilizzare i cittadini sul fenomeno della «maternità surrogata», chiarendo che si tratta di sfruttamento nei confronti delle donne che vengono coinvolte in tali percorsi e indotte a condurre una gravidanza a pagamento e a consegnare il neonato ai committenti. Il Ministero si impegna quindi, nell'ambito delle proprie competenze e in coerenza con la tradizione anche solidaristica del nostro Paese, a combattere ogni forma di sfruttamento del corpo umano e delle sue parti, con particolare attenzione per la procreazione umana, dove donne e bambini possono diventare sicuramente soggetti vulnerabili.

  PRESIDENTE. La deputata Roccella ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

  EUGENIA ROCCELLA. Signor Presidente, ringrazio il sottosegretario De Filippo e sono assolutamente soddisfatta della sua risposta. Tuttavia, vorrei ricordare che la pratica dell'utero in affitto, come anche quella della compravendita degli ovociti, non riguarda soltanto la legge n. 40 e la procreazione assistita. È qualcosa che riguarda nuove forme di commercializzazione e sfruttamento del corpo e, in particolare, del corpo femminile. Penso alla ragazzina sedicenne indiana che è morta di recente dopo che, per la terza volta, aveva venduto i propri ovociti. Si parla sempre di ovodonazione ma si sa che, in realtà, l'ovodonazione non esiste. Si tratta anche qui sempre di compravendita, perché nessuna donna si sottopone ad un pesante trattamento ormonale e ad un prelievo chirurgico di ovociti se non perché è in condizione di bisogno, perché c’è un pagamento, magari in forma mascherata, ma c’è un pagamento di questa pratica.
  La legge n. 40, tra l'altro, saggiamente non punisce le coppie, non punisce le persone che ricorrono a questo metodo o ad altri metodi contro la stessa legge, punisce, come il sottosegretario ha ricordato, chi realizza, organizza e pubblicizza la commercializzazione di gameti, embrioni e la surrogazione di maternità. Però, io la vedo sempre molto poco applicata. Ogni volta che emerge un caso di cronaca di questo genere non mi sembra che ci siano poi modalità di applicazione della legge per quanto riguarda le sanzioni.
  Io credo, quindi, che ci sia bisogno di una sorveglianza più complessiva nei confronti Pag. 6di queste pratiche perché si tratta di forme di sfruttamento. Noi abbiamo anche qui – il sottosegretario l'ha ricordato – una tradizione che ritengo veramente unica, una tradizione solidaristica per quanto riguarda la conservazione di cellule e tessuti, il sangue. Tra l'altro, è presente un volontariato diffuso che è una risorsa preziosa di questo Paese in questo campo. Dobbiamo mantenere questa risorsa, dobbiamo mantenere questa tradizione, e credo che ci sia bisogno del contributo non soltanto del Ministero della salute ma anche, ad esempio, del Ministero degli affari esteri, nonché di altri Ministeri per una sorveglianza più complessiva e un'azione forse più incisiva.

(Iniziative di competenza volte a garantire il rispetto della normativa sull'interruzione volontaria della gravidanza, in particolare in considerazione di un gravissimo episodio verificatosi all'ospedale Sandro Pertini di Roma – n. 2-00449)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Nicchi n. 2-00449, concernente iniziative di competenza volte a garantire il rispetto della normativa sull'interruzione volontaria della gravidanza, in particolare in considerazione di un gravissimo episodio verificatosi all'ospedale Sandro Pertini di Roma (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo alla deputata Nicchi se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  MARISA NICCHI. Signor Presidente, il quotidiano la Repubblica dell'11 marzo scorso ha riportato una drammatica intervista a una donna affetta da una malattia genetica costretta ad abortire al quinto mese di gravidanza. Per responsabilità della legge n. 40 del 2004 sulla procreazione assistita, la donna, pur avendo una «malattia genetica trasmissibile rara e terribile», ma essendo non sterile, non aveva potuto accedere alla fecondazione assistita e alla diagnosi pre-impianto. Così, lei, rimasta incinta, quando ha scoperto che la bambina che aspettava era gravemente malata, senza speranza, ha deciso di abortire al quinto mese: è un aborto terapeutico, al quinto mese è praticamente un parto.
  La donna ha raccontato il suo calvario e lo voglio riproporre in quest'Aula perché non ci può essere una distanza tra ciò che viene fuori e quello di cui quest'Aula discute, e lo racconto nuovamente, il suo calvario: la sua ginecologa è obiettrice e rifiuta il ricovero; riesce, dopo tentativi, ad essere ricoverata al Pertini, dove comincia il travaglio che dura quindici ore, ma nel frattempo il turno è cambiato e comincia il turno dei non obiettori. La donna racconta di essere rimasta sola, solo con il marito che la assiste, e poi di essere stata costretta a partorire dentro il bagno dell'ospedale, mentre, stravolta dal dolore, entravano rappresentanti dei movimenti antiabortisti: io direi un caso di segregazione di coscienza.
  Ci saranno accertamenti delle responsabilità, di tutte le responsabilità, anche quelle penali, che riguarderanno sia i singoli sanitari, sia la struttura sanitaria. Però, io credo che questo caso ci riproponga due temi: primo, siamo di fronte agli effetti drammatici di una legge – come quella n. 40 del 2004 – proibizionista per il diritto alla salute delle donne, in questo caso evidente; secondo, siamo di fronte ad uno Stato – il nostro – che non garantisce un servizio sanitario adeguato e non garantisce l'applicazione della legge n. 194 del 1978 sull'interruzione volontaria della gravidanza.
  La relazione sullo stato di attuazione della legge dice, sottosegretario, che in Italia ben il 70 per cento dei ginecologi del servizio pubblico è obiettore di coscienza: sette ginecologi su dieci lo sono, il 20 per cento in più di obiezioni in trent'anni. Ed è noto che la realtà è già «molto», sarebbe già questo «parecchio» per allarmarci, ma sappiamo, per di più, che la realtà è ben più grave di quella che riesce a esprimersi nei dati ufficiali. Più associazioni hanno raccontato che facendo una raccolta dei dati struttura per struttura, in modo volontario, la percentuale delle obiezioni di Pag. 7coscienza in Italia sale al 91 per cento, e questo risultato porta all'allungamento delle liste di attesa per chi desidera interrompere una gravidanza, con il rischio di complicazioni ben più elevato.
  Però, il Ministero della salute, sempre nella relazione, arriva ad affermare – questo lo voglio sottolineare – che il numero dei medici non obiettori è congruo rispetto al numero complessivo degli aborti: una media settimanale di 1,7 aborti per ciascun obiettore; si sbandiera un tasso medio dimezzato, ma l'entusiasmo è freddato, sottosegretario, dal Comitato europeo dei diritti sociali, organismo del Consiglio d'Europa, che ha condannato, proprio l'8 marzo, il nostro Paese per la violazione della legge n. 194 del 1978, in particolare per l'elevato numero di obiettori di coscienza. Insomma, l'interruzione volontaria di gravidanza in Italia è solo sulla carta e in molte regioni non è applicata.
  Allora, gli interpellanti le chiedono, innanzitutto, quali iniziative intenda adottare per verificare il caso che è successo, che è stato raccontato, per verificare quali sono le disfunzioni, le ragioni inaccettabili di questo caso; in secondo luogo, come garantire, fin da subito, il pieno rispetto della legge n. 194, laddove dice che gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenute, in ogni caso, ad assicurare l'espletamento degli interventi di interruzione di gravidanza. Le chiediamo inoltre se il Governo non intenda prevedere che in caso di omissione da parte di regioni inadempienti, e sono diverse, si possa utilizzare il potere sostitutivo dello Stato sancito dall'articolo 120 della Costituzione.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la salute, De Filippo, ha facoltà di rispondere.

  VITO DE FILIPPO, Sottosegretario di Stato per la salute. Signora Presidente, onorevoli deputati, in merito all'interpellanza in esame, che è stata poc'anzi descritta anche con particolare pathos dall'onorevole Nicchi, a cui si risponde a seguito di delega della Presidenza del Consiglio dei ministri, vorrei ricapitolare velocemente alcune disposizioni che sono a conforto di una risposta che in conclusione proverà a dare anche elementi più puntuali sul caso sollevato. Occorre considerare che l'Italia rientra tra i Paesi che hanno definito, con una normativa meno restrittiva, l'utilizzo del diritto di obiezione di coscienza.
  Pertanto, l'articolo 9 della legge n. 194 del 1978, ampiamente citata, dispone che gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate, in ogni caso, assicurino l'espletamento delle procedure previste dall'articolo 7 e l'effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8. Lo stesso articolo 9 della legge n. 194 stabilisce che l'obiezione di coscienza non può essere invocata dal personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie quando, data la particolarità delle circostanze, il loro personale intervento è indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo. Citerei anche il codice deontologico della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri che, all'articolo 22, «Autonomia e responsabilità diagnostico-terapeutica», precisa: «Il medico al quale vengano richieste prestazioni che contrastino con la coscienza o con il suo convincimento clinico, può rifiutare la propria opera, a meno che questo comportamento non sia di grave e immediato nocumento per la salute della persona assistita e deve fornire al cittadino ogni utile informazione e chiarimento».
  Occorre, quindi, rispettare il diritto all'obiezione di coscienza in campo medico e paramedico, e garantire la sua completa fruizione, senza che vi sia alcuna discriminazione o penalizzazione nei confronti delle donne. Compete alle regioni, come è noto, e alle loro aziende sanitarie adottare misure utili alla tutela delle donne, controllando e garantendo l'attuazione della vigente normativa, anche attraverso la mobilità del personale, come è stato più volte precisato anche dal citato articolo 9.
  Segnalo che è stato istituito, la collega lo sa, ne abbiamo parlato anche in Commissione, Pag. 8presso il Ministero della salute il tavolo tecnico per la piena «applicazione della legge n. 194 del 1978 sull'intero territorio nazionale»; al riguardo, l'acquisizione dei dati sull'interruzione volontaria di gravidanza e sul numero di obiettori presenti nelle strutture di ricovero e nei consultori familiari sta per essere ultimata, e i risultati di questo monitoraggio, assolutamente necessario – condivido le preoccupazioni della collega –, verranno inseriti nella prossima specifica relazione che il Ministro della salute, come è noto, annualmente invia al Parlamento sullo stato di attuazione della legge n. 194.
  La promozione e la tutela della salute della donna sono l'obiettivo strategico anche del Progetto Obiettivo Materno Infantile e dell'accordo Stato-regioni del 16 dicembre 2010 relativo alle Linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo.
  Lo stesso accordo delinea il consultorio familiare come un importante strumento per attuare gli interventi previsti a tutela della salute della donna.
  Nell'organizzazione sanitaria regionale, i consultori sono integrati nella rete dei servizi sanitari a livello di distretto sanitario, quale sede di coordinamento, così dovrebbe essere, delle attività territoriali delle aziende sanitarie locali, nell'ambito dell'organizzazione dei dipartimenti dell'area materno-infantile. Per prevenire l'interruzione volontaria di gravidanza sono opportuni programmi mirati ad aumentare le conoscenze di tutte le donne sulla loro salute riproduttiva, implementati dalle aziende sanitarie, anche attraverso i consultori familiari.
  Per quanto riguarda il caso avvenuto presso l'ospedale Sandro Pertini di Roma, il Ministro ha già trasmesso una nota di richiesta informazioni alla regione Lazio, con la quale si chiede, in particolare, di sapere se siano state intraprese da parte della stessa regione azioni tese ad accertare che: nelle strutture sanitarie regionali preposte sia assicurato l'espletamento delle procedure previste dalla legge n. 194 del 1978 per l'effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza, e con quali modalità la regione controlla e garantisce l'attuazione di tali procedure da parte delle strutture sanitarie, con particolare riferimento a quanto previsto dall'articolo 9 della legge n. 194 del 1978; se sia stato promosso l'aggiornamento del personale sanitario relativamente a quanto stabilito dalla legge n. 194 del 1978.
  Per quanto attiene agli aspetti di competenza regionale, si comunica che il direttore generale della ASL RM/B, in seguito alla richiesta di notizie da parte della regione, interpellata dal Ministero per rispondere all'atto ispettivo in esame, ha trasmesso la relazione predisposta dal direttore dell'unità di ostetricia e ginecologia dell'ospedale Sandro Pertini, nella quale si evince che la paziente si è ricoverata, cito: «con diagnosi di cromosomopatia fetale e per interruzione volontaria della gravidanza.» Al ricovero segue, cito: «il pronto avvio della terapia farmacologica per l'induzione al travaglio di parto. Viene anche praticata terapia antalgica come di consueto. Il travaglio abortivo viene controllato dal personale di turno che ha l'obbligo dell'assistenza anche se obiettore di coscienza. Nel pomeriggio inoltrato viene applicato l'elastomero per terapia antalgica di supporto.».
  Sono testuali citazioni di una relazione che ovviamente è possibile consultare per via documentale ed è nella nostra disponibilità.
  Nel turno notturno – è sempre una citazione di questa relazione dell'ASL – è presente un medico che non ha sollevato obiezione di coscienza e fa parte dell’equipe per le interruzioni volontarie di gravidanza. La paziente – ulteriore citazione – : «alle ore 3.45 espelle il feto di sesso femminile nella stanza di degenza (...) avvenendo il tutto in poche frazioni di minuto e il personale ostetrico di turno provvede ad accompagnare la paziente in sala parto per il secondamento». Il medico sopra citato «provvede alla revisione della cavità uterina ed alle procedure assistenziali come di consueto».Pag. 9
  La relazione sottolinea, infine, che: «Quanto apparso sugli organi di stampa, ovvero la mancata assistenza per la carenza di personale non obiettore, non corrisponde a quanto accaduto perché il personale presente era comunque non obiettore di coscienza e chiunque in turno provvede all'assistenza della paziente ricoverata indipendentemente dalle motivazioni che hanno determinato il ricovero. La rapidità della fase espulsiva fetale, a sedici settimane, è un evento assai comune e questo può aver determinato la non presenza del personale – è sempre una citazione della relazione – ostetrico di turno nel momento finale del travaglio ed è comunque sopraggiunto – secondo questa relazione – con tempestività alla chiamata della paziente».
  È evidente che questa differenza di ricostruzione dell'evento sarà sicuramente soggetta a verifiche anche di altri organi dello Stato. In merito all'episodio in questione, comunque, la ASL RM/B ha istituito un'apposita commissione, al fine di accertare l'intera vicenda, e ci preoccuperemo, se sarà necessario, di avere anche gli elementi finali del lavoro di questa commissione.
  Com’è noto alla collega, abbiamo discusso qualche giorno fa in Commissione una risoluzione riguardante la relazione annuale sullo stato di attuazione della legge n. 194 del 1978; è una materia che credo necessiti, anche secondo lo spirito dell'interpellanza, di essere ulteriormente accertata e verificata in un lavoro che io spero potremo fare in maniera più stringente tra regioni e Ministero della salute per garantire, nella prospettiva ancora ampiamente attuale della legge n. 194 del 1978, sia la tutela della maternità sia anche una legittima possibilità di interruzione volontaria di gravidanza.

  PRESIDENTE. La deputata Nicchi ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

  MARISA NICCHI. Signor Presidente, sottosegretario, sul caso che è stato sollevato naturalmente noi ci auguriamo che tutte le versioni vengano accertate e che ci sia la verità, perché non è possibile pensare che nel nostro Paese possano minimamente accadere casi di questo tipo, che ci ricordano certamente Paesi meno avanzati, direi da terzomondismo, una forma di barbarie che noi non vogliamo si ripeta e che quindi, se le versioni verranno accertate, siamo ben contenti di capire qual è la situazione che si è determinata.
  Comunque, l'occasione di questa discussione ci fa dire che in fondo, anche ascoltando le sue osservazioni e i suoi impegni, non siamo ancora all'altezza della situazione drammatica che stiamo riscontrando nel nostro Paese sull'abnorme uso dell'obiezione di coscienza, che è un fatto inquietante, non solo perché ce lo ricorda la sentenza della Consiglio d'Europa.
  Allora, l'obiezione di coscienza ha delle ricadute negative sulla vita delle donne, sul loro diritto alla scelta e sulla loro salute, e anche ricadute su tutto il personale non obiettore che sulle proprie spalle porta avanti un servizio. Io colgo anche l'occasione per ringraziare tutti quei medici non obiettori che, malgrado mettano a repentaglio la carriera, svolgano lavori più deprofessionalizzati, più ghettizzati, più marginalizzati, più discriminati, continuano il loro lavoro per applicare la legge n. 194 del 1978 e affermare un diritto, perché quello che è il diritto di un singolo non può diventare il diritto all'obiezione di un'intera struttura sanitaria. È questo il problema, su cui noi non sentiamo un allarme e una volontà di intervento forte che non rimandi, che non sia di routine.
  Siamo di fronte ad una regressione pericolosa nel nostro Paese perché le donne che vogliano interrompere una gravidanza spesso sono costrette a migrare, anche all'estero, tra regione e regione, all'interno di strutture della stessa regione. Ci sono problemi di vulnerabilità di una parte di donne, come quelle immigrate, è stato evidenziato nei lavori della Commissione che il sottosegretario ha citato; e credo che noi possiamo dire che non siamo immuni dall'aver combattuto e debellato l'aborto clandestino o comunque Pag. 10forme di pratica illegali. Ci sono dei fondati sospetti che queste pratiche continuino e questo ci deve allarmare perché, se mettiamo insieme il dato della diminuzione degli aborti al fatto che aumenta l'obiezione di coscienza (e, sottosegretario, lei sa anche che c’è stata una politica di tagli fortissimi ai servizi pubblici e di prevenzione), se dunque noi mettiamo insieme meno aborti, più obiezione di coscienza e meno servizi, ci chiediamo se questo sospetto di pratiche illegali, che sono contro la salute delle donne, non sia fondato. I dati su questo fenomeno non sono aggiornati, sono vecchi. Non c’è una volontà di capire, di andare oltre la realtà apparente dei numeri.
  Allora, c’è stato un impegno, che in questo Parlamento l'11 giugno 2013 il Ministro si è assunto, quello di costruire questo tavolo. Per ora, ha prodotto poco. Mi auguro che anche su questo il Governo Renzi possa dare una svolta e imprimere delle scadenze precise, come è stile di questo Governo. Noi rivendichiamo tre obiettivi su cui il lavoro dei tavoli potrebbe essere efficace, per affrontare la drammaticità della situazione che noi abbiamo qui evidenziato.
  Il primo punto è che si dia un segno di investire di più sui servizi territoriali e sui consultori, che sono attualmente sul piano quantitativo e – dico brevemente – qualitativamente inadeguati. In secondo luogo, occorre generalizzare la possibilità per tutte le donne di scegliere l'aborto farmacologico, in day hospital. Ci sono regioni virtuose. Io provengo dalla Toscana, che ha deciso addirittura di proporre e dare questa possibilità, mettendo insieme ospedali e servizi territoriali, che naturalmente devono essere riqualificati. In terzo luogo – e questo è il punto più significativo –, occorre un'azione forte sulle regioni. I tavoli non sono dei banchetti di nozze. I tavoli con le regioni, per assicurare l'applicazione della legge n. 194, devono essere diretti con una forte volontà politica, perché le regioni sono le principali responsabili della non applicazione di questa legge. Non tutte sono sullo stesso piano, però siamo mediamente insoddisfatti, con punte inaccettabili di regioni in cui la legge n. 194 non viene applicata per niente.
  Allora, le dico questo: se il Governo, in caso di disavanzo economico, commissaria le regioni, credo che noi dobbiamo introdurre un altro criterio, ossia se le regioni non assicurano e non garantiscono diritti come questo, cioè quello di decidere della propria maternità, se si desidera o non si desidera una gravidanza, allora si deve, anche in quel caso, obbligare le regioni, utilizzando anche dei poteri particolari dello Stato, perché, insieme all'obbligo del ripiano dei bilanci, ci sia l'obbligo dell'affermazione dei diritti.

(Intendimenti del Governo in merito all'impugnazione dei documenti di bilancio per l'anno 2014 dell'Assemblea regionale siciliana – n. 2-00408)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Brunetta n. 2-00408, concernente intendimenti del Governo in merito all'impugnazione dei documenti di bilancio per l'anno 2014 dell'Assemblea regionale siciliana (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo al deputato Francesco Saverio Romano se intenda illustrare l'interpellanza, di cui è cofirmatario, o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  FRANCESCO SAVERIO ROMANO. Signor Presidente, l'Assemblea regionale siciliana, la regione siciliana, gode di ampia autonomia legislativa. Questa ampia autonomia trova un limite previsto dalla nostra Costituzione ed esercitato dal commissario dello Stato che, all'uopo, esamina la legislazione regionale e fa un esame di quelle norme che possono essere impugnate – in questo caso così è stato – davanti alla Corte costituzionale. In questo caso, però, per la prima volta, il Commissario dello Stato si è spinto ad impugnare delle norme che, nella loro complessità, prevedevano le entrate del bilancio regionale.Pag. 11
  L'Assemblea regionale, per la verità, non si è peritata nemmeno di approvare i cosiddetti «spostamenti di bilancio in dodicesimi», cioè quelli che avrebbero consentito ancora oggi...perché questa interpellanza, nonostante sia urgente, è datata da qualche settimana, ma ancora oggi, dicevo, la regione siciliana non ha un nuovo bilancio, in seguito alla promulgazione della legge di bilancio in cui gli articoli impugnati sono stati espunti.
  Nel momento in cui questa stessa legge di bilancio è stata promulgata, il presidente della regione si è lasciato andare in dichiarazioni veementi e pesantissime, con accuse rilevantissime nei confronti del Commissario dello Stato, affermando anche di aver concordato quel bilancio con il Ministro per gli affari regionali e con gli uffici dello Stato. Ora, quello che è accaduto è veramente grave ed è grave ancor di più nel momento in cui la regione siciliana oggi si trova ancora senza bilancio, perché non si è provveduto alla nuova stesura e all'approvazione in seguito a quell'impugnativa e alla conseguente promulgazione.
  Quindi, noi chiediamo di conoscere quale sia l'intendimento del Governo, perché ravvisiamo anche una violazione dell'articolo dello statuto che prevede la procedura di scioglimento della regione nel momento in cui vi siano reiterate violazioni dello statuto. Quella della mancata legge di bilancio a noi sembra una violazione gravissima. Se così non è, se ha ragione il presidente Crocetta, noi ci aspettiamo di capire cosa intende fare il Governo nei confronti di un organo che lo rappresenta nella regione stessa, appunto il commissario dello Stato.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la salute, Vito De Filippo, ha facoltà di rispondere.

  VITO DE FILIPPO, Sottosegretario di Stato per la salute. Signor Presidente, onorevoli colleghi, con l'atto di sindacato ispettivo che è stato descritto ed esposto, annunciato nella seduta dell'11 febbraio scorso, l'onorevole interpellante chiede notizie in merito all'impugnativa da parte del Commissario dello Stato presso la regione Sicilia del 23 gennaio 2014, per l'ipotesi di violazione degli articoli 3, 81, 97, 117 e 120 della Costituzione, di numerosi articoli del disegno di legge regionale n. 670 del 15 gennaio 2014, dal titolo «Disposizioni programmatiche e correttive per l'anno 2014. Legge di stabilità regionale».
  Indubbiamente, i rilievi formulati dal Commissario sono numerosi e rilevanti, assistiti da un'estesa motivazione, e toccano molti aspetti del predetto disegno di legge, dalle modalità di copertura finanziaria delle spese alla contestata vicenda dei cosiddetti residui attivi.
  Il Commissario nella sua impugnativa, in particolare, ha ricordato che la Corte dei conti nel giudizio di parificazione del rendiconto 2011, procedura introdotta da poco nella legislazione statale, aveva analizzato la patologica situazione del continuo e progressivo espandersi del volume dei residui attivi, pari a 15 miliardi di euro, di cui una quota consistente formatasi antecedentemente all'anno 2001, evidenziando come poste di dubbia esigibilità influivano sul risultato di amministrazione, fornendo una copertura non idonea al volume di spesa così alimentato.
  In questa situazione l'amministrazione regionale ha preannunciato nel DPEF, approvato dalla Giunta il 22 luglio 2013, un piano di riordino della normativa finalizzato al contenimento delle spese correnti, parzialmente concretizzato nella legge di stabilità.
  Nella piena consapevolezza della gravità dei rilevi del Commissario e comunque della necessità di supportare l'amministrazione regionale al fine di accelerare e rafforzare il risanamento della finanza dell'ente senza pregiudicare opportunità di sviluppo e occupazione, il Ministro per gli affari regionali e le autonomie ha promosso l'avvio di iniziative di dialogo, collaborazione e chiarimento tra Stato e regione. Si è quindi svolto, con il coordinamento del Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie, un incontro tecnico, Pag. 12in data 30 gennaio ultimo scorso, tra i rappresentanti dei Dicasteri interessati e quelli della regione siciliana.
  L'approfondimento delle disposizioni oggetto di impugnativa ha consentito la formazione di un parere tecnico condiviso in ordine ai singoli aspetti da emendare; la regione si è quindi impegnata a rinunciare ad alcune norme del disegno di legge, a riformularne altre in relazione ai rilievi del Commissario, a chiarire la portata interpretativa di alcune disposizioni e a proseguire in un rapporto di collaborazione con lo Stato su un percorso di risanamento del bilancio.
  Come richiesto dalla regione, i lavori del tavolo tecnico stanno proseguendo, anche in forma bilaterale, per verificare ed approfondire elementi tecnici in relazione ad un nuovo disegno di legge regionale che recepisca le soluzioni concordate, con particolare riguardo alle problematiche connesse all'attuazione della nuova disciplina in materia di contabilità regionale, dettata dal decreto legislativo n. 118 del 2011.
  Nel tavolo è stato approfondito il problema dei residui attivi, che non riguarda, per la verità, soltanto la regione siciliana, rilevando la necessità di un rigoroso accertamento della loro esigibilità. Per i residui di dubbia esigibilità è stata prospettata un'ipotesi di soluzione della questione, che potrebbe prevedere l'istituzione di un fondo decennale di ammortamento, secondo i termini da esaminare proprio in sede di tavolo tecnico.
  In relazione ai quesiti finali dell'onorevole interpellante, nell'impugnativa del Commissario non si fa cenno ad un eventuale avvio di procedure di scioglimento dell'assemblea regionale siciliana. Questa è la risposta che il Ministero, per il mio tramite, mi consente di offrire all'interpellante.

  PRESIDENTE. Il deputato Francesco Saverio Romano ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

  FRANCESCO SAVERIO ROMANO. Signor Presidente, sono assolutamente insoddisfatto, perché il Governo, che sta promuovendo iniziative di dialogo istituzionale con la regione siciliana – e questo è giusto e doveroso –, non può sottrarsi ad un esame di quella che è una violazione dello statuto così come evidenziata da un organo del Governo qual è il Commissario dello Stato. E poiché il presidente della regione ha accompagnato la promulgazione di quel bilancio, così come espunto dalle norme impugnate dal Commissario dello Stato, con accuse pesantissime e gravissime nei confronti del Commissario stesso, delle due l'una: o il Governo intende difendere l'operato del Commissario dello Stato e, quindi, di un suo organo, avviando una procedura che sanzioni anche l'iniziativa del governo regionale, diversamente, deve dire con molta chiarezza che intende prendere le distanze, così come sta facendo, dal Commissario dello Stato. Perché avviare un tavolo di confronto è corretto istituzionalmente, ma noi siamo in presenza di una vacatio normativa che attiene ad uno strumento importante e vitale per ogni organo, così come per l'organo della regione siciliana e per il governo, nel momento in cui questo deve affrontare delle spese e deve poter affrontare quelle spese con delle coperture di bilancio che oggi non ha.
  Il problema non è soltanto contabile, perché incide oggi sul pagamento degli stipendi; il problema incide oggi sul pagamento dei fornitori; il problema incide oggi sulle famiglie siciliane che, a causa di questo bilancio, si trovano sul lastrico; intere famiglie non hanno lo stipendio da diversi mesi, i fornitori non vengono pagati da diversi mesi. E, ancora oggi – sono trascorse quattro settimane dalla presentazione della nostra interpellanza urgente –, il bilancio non è nemmeno approdato in giunta di governo.
  Allora, noi siamo insoddisfatti perché il Governo non intende assumersi una sua responsabilità: sfugge, scappa, fa in modo che un suo organo periferico, ma importantissimo, evidenzi quelle che sono le lacune, le falle di un governo che sta disastrando la Sicilia, ma, allo stesso Pag. 13tempo, non ha il coraggio di difenderlo, di tutelarlo nel suo operato e cerca di mettere la polvere sotto il tappeto.
  Purtroppo, ci rivedremo e rivedremo, perché sono convinto che non riuscirete – Governo nazionale e governo regionale – a trovare una soluzione. È quasi impossibile nel momento in cui con queste ristrettezze economiche bisogna coprire gli sperperi che ancora vengono fatti in quella regione, che non si ha il coraggio di evidenziare.
  Quindi, la nostra insoddisfazione è anche motivo di grande tristezza, perché sappiamo che, comunque, questo conto non lo paga Crocetta, non lo paga il governo regionale, ma purtroppo, questo conto lo pagano i siciliani.

(Chiarimenti in merito alla dismissione di tre edifici storici da parte dell'Università Ca’ Foscari di Venezia – n. 2-00447)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Giancarlo Giorgetti n. 2-00447, concernente chiarimenti in merito alla dismissione di tre edifici storici da parte dell'Università Ca’ Foscari di Venezia (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo al deputato Prataviera se intenda illustrare l'interpellanza, di cui è cofirmatario, o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  EMANUELE PRATAVIERA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signori sottosegretari, intendo esporre l'interpellanza e la questione, una questione delicatissima dal mio personale punto di vista, su cui è stata posta un'attenzione che, anche agli occhi dell'opinione pubblica, è sembrata a tratti «sfuggevole», probabilmente perché di difficile comprensione o perché forse non si è voluto fare piena luce su questo fatto.
  Mi accingo brevemente a spiegare l'oggetto di questa interpellanza. Il professor Carlo Carraro – rettore dell'università Ca’ Foscari di Venezia, uno degli atenei più prestigiosi d'Italia e d'Europa, con sedi sparse per il centro di Venezia – sta completando la cessione di tre palazzi storici, sedi della facoltà di lingue. La nuova sede prevista sarà Ca’ Sagredo, un edificio del 1957, meglio conosciuta come l'ex palazzina dell'Enel. Troppo dispersive, secondo il rettore, le sedi di Ca’ Bembo, nel sestiere di Dorsoduro o Ca’ Cappello sul Canal Grande, e di palazzo Cosulich, alle Zattere, affacciati sul canale della Giudecca, che però impongono agli studenti continui spostamenti da una sede all'altra per poter assistere alle lezioni della facoltà.
  All'inizio doveva essere una permuta (tre palazzi contro uno della stessa metratura complessiva), ma la soprintendenza ha osservato che un bene di valore storico-artistico può essere permutato solo con un bene di pregio maggiore – e non è questo il caso –, altrimenti può essere venduto. Infatti, i manager dell'università hanno optato per la vendita, modificando il primo accordo; la parola «permuta» è diventata «cessione», ma la sostanza resta immutata: tre palazzi di grande pregio in cambio di uno modesto, più un'integrazione in denaro.
  La decisione ha scatenato non solo vibranti proteste, come era prevedibile, ma addirittura tafferugli, oggetto di probabili denunce. Ma, malgrado una lettera di contestazione anche di 116 docenti e la reprimenda della soprintendenza, il professor Carraro ha dichiarato di non recedere dalla sua decisione, senza fornire ulteriori particolari sulla trattativa. A nulla sono valse le contestazioni di uno schieramento politico molto ampio, che va da Italia Nostra al Pdl, soprattutto perché l'ex palazzina Enel ha un valore massimo di 15 milioni di euro, meno della metà del prezzo ufficializzato.
  Il rettore ha invocato la legge sulla privacy – e qui ironicamente metterei qualche «puntino esclamativo» – per una transazione da 35 milioni di euro che dovrebbe comportare, ad avviso dell'interpellante, una procedura di evidenza pubblica, magari un'asta al miglior prezzo, ma probabilmente, anzi quasi sicuramente, non sarà così.Pag. 14
  Il partner dello scambio – permuta o vendita che sia – rimane quello individuato fin dall'inizio, a luglio del 2012. L'affare dovrà essere concluso entro marzo 2014 – quindi tra poco – come impone il verbale del luglio 2013. Ad approvare l'accordo è stato il consiglio di amministrazione di Ca’ Foscari, un organo nominato dal rettore, che annovera tra i componenti Domenico Siniscalco, di Morgan Stanley e Assogestioni, e Andrea Valmarana, rampollo di un'antica famiglia vicentina, con incarichi nella 21 Investimenti di Alessandro Benetton, nella Save di Enrico Marchi – che per chi non lo sapesse è la società che gestisce l'aeroporto di Venezia – e nella finanziaria Est Capital di Gianfranco Mossetto.
  Ora le chiedo veramente attenzione, signor sottosegretario. Non è del tutto chiaro chi però sia la controparte. Formalmente, la futura sede cafoscarina, futura sede dell'università, per chi non fosse veneziano, è di proprietà di Risparmio Immobiliare Uno Energia, un fondo chiuso quotato in borsa, con quote da 80 milioni di euro e un portafoglio di dieci immobili, comprati in parte dalle dismissioni dell'Enel in tutta Italia.
  I sottoscrittori del fondo, però, sono ignoti. Non si sa chi sia il sottoscrittore del fondo. La gestione del portafoglio, sotto la vigilanza della Banca d'Italia, è affidata a PensPlan Invest, controllata in maggioranza dalla regione Trentino-Alto Adige e per il resto da banche locali. Inoltre, il patrimonio del fondo si è formato ai prezzi massimi della bolla immobiliare, tra il 2004 e il 2007, con un ampio ricorso ai finanziamenti bancari. Risparmio Immobiliare Uno Energia è gravato da quasi 100 milioni di euro – 100 milioni di euro ! – di ipoteche con Unicredit e la Sparkasse di Bolzano, tanto che, per vendere Ca’ Sagredo, il fondo si è dovuto impegnare a trasferire l'ipoteca sulla palazzina ad altri beni di sua proprietà.
  Il sospetto, infatti, è che i tre palazzi dell'università vengano rapidamente rivenduti dal fondo, per uscire dall’impasse con le banche creditrici, e messi a disposizione di iniziative turistiche. E qui viene il bello, perché, quando un soggetto deve vendere, vende al miglior offerente, e siamo a Venezia. Per evitare questa possibilità, è stato chiesto al sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, e alla sua giunta di bloccare eventuali cambi di destinazione di uso. Ma il rischio c’è: oramai i russi e gli emiri – e prova ne è, qualche mese fa, la missione del Governo – sono il miraggio che tiene in piedi una città che cerca disperatamente un'alternativa al turismo che la sta massacrando, il turismo low cost, il turismo «mordi e fuggi», il turismo «prendo tutto e non lascio nulla». Per non parlare di Yuri Korablin, che ha comprato il Venezia calcio e vorrebbe costruire uno stadio e un casinò nuovo, accanto all'aeroporto di Tessera: speculazioni sulla storia millenaria della nostra capitale. E, ripeto, la nostra capitale, quella veneta.
  L'amministrazione di Ca’ Foscari dovrà gravarsi di altri 7,6 milioni di euro, fra spese di ristrutturazione (4,7 milioni di euro), di trasloco (1,2 milioni di euro) e le tasse relative. La valutazione di Ca’ Sagredo (33,7 milioni di euro) è stata firmata dall'Agenzia delle entrate, che ha anche convalidato la perizia sui tre palazzi di Ca’ Foscari (35,2 milioni di euro). Il risultato indica che un metro quadrato in centro a Venezia vale poco più di 5 mila euro, e non importa se l'edificio è del 1957 o di quattro secoli prima – quattro secoli prima ! – con l'affaccio sul Canal Grande, non su un canale maleodorante in giro per la laguna.
  Per sostenere la cessione, Carraro ha invocato la riduzione dei costi che garantirebbe la sede unica all'ex ENEL e le plusvalenze patrimoniali emergenti per 25 milioni di euro. L'effetto combinato dei due fattori salverebbe i conti dell'università lagunare per almeno un triennio, queste le tesi. Ma, a guardare i bilanci depositati – se si vuole fare i ragionieri – sul sito cafoscarino, non sembra tirare aria di crisi sull'ateneo veneziano. Nell'ultimo esercizio disponibile, l'università vanta un patrimonio netto di 112 milioni di euro, proventi operativi in crescita a quota 142 milioni di euro ed un utile di Pag. 15esercizio di 19 milioni di euro, contro i 14 milioni di euro del 2011. Quindi, si tratta di un esercizio più che virtuoso.
  Gli studenti e i professori, sostenuti da una raccolta di migliaia di firme internazionali – e vorrei ribadire questo aspetto: migliaia di firma sostenute non solo da studenti, ma anche dai professori –, hanno argomentato che l'ex sede dell'ENEL è insufficiente per ospitare l'accentramento dalle tre sedi in via di cessione.
  Quindi, chiedo al MIUR e al MEF se i Ministri e il Governo siano a conoscenza della situazione che vi ho appena descritto e se, pertanto, intendano approfondire, per quanto di propria competenza ovviamente, le decisioni che hanno generato la stima finanziaria delle tre sedi universitarie di grande pregio storico-architettonico, che appare, per usare un termine eufemistico, fortemente inadeguata.

  PRESIDENTE. Prima di dare la parola al sottosegretario Toccafondi, salutiamo gli alunni e le alunne della scuola elementare San Francesco d'Assisi, di Roma, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune. Buongiorno, bambini e ragazzi (Applausi).
  Il sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca, Gabriele Toccafondi, ha facoltà di rispondere.

  GABRIELE TOCCAFONDI, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. Signor Presidente, sulla questione esposta dagli onorevoli interpellanti il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha provveduto ad effettuare i necessari approfondimenti presso l'università Ca’ Foscari di Venezia, la quale ha illustrato le ragioni delle scelte effettuate e la procedura amministrativa che è stata seguita.
  Secondo quanto è stato illustrato dalla predetta università, la cessione degli immobili di Ca’ Cappello, Ca’ Bembo e Palazzo Cosulich e lo spostamento delle strutture didattiche e amministrative presso la nuova sede produrrà significativi vantaggi in termini di razionalizzazione dell'esercizio delle attività amministrative dell'ateneo, i cui uffici, al momento collocati in tre diversi palazzi, verrebbero riuniti nella nuova sede, e di miglioramento delle strutture dedicate alla didattica. Nei citati palazzi, non agevolmente collegati l'uno con l'altro, sono infatti collocati i due dipartimenti dell'area linguistica e ciò comporta inevitabili problemi di coordinamento tra le due strutture, soprattutto per quanto riguarda la biblioteca che, attualmente dislocata tra le varie sedi, con il trasferimento nel nuovo immobile, sarà interamente collocata in unico luogo, con conseguente facilitazione di accesso e di gestione.
  L'operazione risulterebbe altrettanto vantaggiosa sul piano dei costi di gestione a carico dell'università – questo è quanto illustrato dalla predetta università –, considerato che i tre palazzi dove sono attualmente collocati i dipartimenti dell'area linguistica necessitano di importanti interventi di riqualificazione e adeguamento alla normativa sulla sicurezza. Secondo quanto osservato dall'università, l'unificazione delle tre sedi consentirebbe un risparmio di circa 750 mila euro l'anno, oltre il risparmio dei costi di ristrutturazione e di messa a norma, stimati in circa 11.800.000 euro.
  Per quanto riguarda la procedura amministrativa, l'università ha riferito che l'operazione è stata approvata all'unanimità dal consiglio di amministrazione dopo aver acquisito tutti i permessi e le autorizzazioni necessarie. In particolare, l'alienazione degli immobili di Ca’ Cappello, Ca’ Bembo e Palazzo Cosulich è stata autorizzata dalla Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Veneto con alcune prescrizioni in ordine alle misure di conservazione, di utilizzo e di destinazione del bene. Anche il Ministero dell'economia e delle finanze si è pronunciato in senso favorevole all'alienazione con l'approvazione del piano triennale degli investimenti, con decreto del 20 luglio 2012.
  Relativamente alla stima degli immobili, l'ateneo si è attenuto al valore indicato dall'Agenzia delle entrate, che si è Pag. 16pronunciata sul valore di mercato dell'immobile da acquisire e ha espresso il parere di congruità sulla stima dei tre immobili oggetto delle cessione, che è stata effettuata da un professionista incaricato dall'ateneo.
  Posso assicurare gli onorevoli interpellanti che il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca sta prestando la massima attenzione sulla vicenda e che non mancherà di effettuare gli interventi consentiti nell'ambito delle proprie competenze e nel rispetto dell'autonomia universitaria, qualora gli approfondimenti in corso ne dovessero far emergere le condizioni.

  PRESIDENTE. Il deputato Prataviera ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

  EMANUELE PRATAVIERA. Signora Presidente, signor sottosegretario, io sono soddisfatto solamente per l'ultima parte della sua risposta. La ringrazio per l'attenzione che il Ministero presterà allo sviluppo di questa vicenda, ma ritengo che un'operazione così complessa e complicata debba tenere in considerazione molti più aspetti.
  È vero che, quando si tratta di razionalizzazione e di ottimizzazione delle risorse a disposizione, del budget e così via, si opera veramente in una chiave positiva, però è anche vero che, se questi risparmi di gestione non ricadono in termini positivi sugli studenti (quindi il diritto allo studio) o sulla qualità dell'offerta formativa, poi quando non si giustificheranno – io non ho gli strumenti ovviamente per poter fare questo tipo di valutazione adesso, ma credo che nessuno li possa avere –, se non si va in questa direzione, probabilmente la cessione di 3 palazzi storici (3 palazzi storici, non 3 palazzi qualsiasi), in un'area così delicata da un punto di vista storico-paesaggistico e di fondamentale importanza come Venezia...
  L'università serve anche a tenere vivo il centro, a mantenere quei palazzi. L'università è anche un mezzo per poter tramandare la storia millenaria della città e, ovviamente, affascinare ancora gli studenti e i turisti. Questo anche perché Venezia si sta interrogando su quale debba essere il proprio futuro. È un dibattito che dura da qualche decennio, e credo che se il mio territorio, dal quale io provengo, vuole continuare a pesare, ovviamente deve investire su ciò che ha, e non lasciarlo alla gestione di qualcun altro. È per questo che Venezia ha sempre avuto questa università come punto fondamentale e importantissimo all'interno della propria vita, e non vorremmo che un po’ alla volta questo patrimonio se ne andasse lasciando liberi quegli immobili al mercato, con la possibilità poi che tutto possa essere fatto all'interno di quelle stanze.
  Questa è la nostra preoccupazione, una preoccupazione che, come ho avuto modo poc'anzi di rappresentarle, è condivisa da migliaia di persone sparse in giro per il mondo, da 116 docenti di quell'ateneo, una cifra, quindi, credo anche abbastanza considerevole. Probabilmente, percorsi come questi dovrebbero essere più collegiali e meno verticistici. Ripeto, apprezzo molto quando un ente pubblico o parapubblico, come l'università, si muove per l'ottimizzazione delle risorse, si muove per l'efficientamento delle proprie strutture, ma se poi questo tipo di operazione non ha nessuna ricaduta positiva, se non quella logistica, non ci soddisfa. Capiamoci bene, chi sceglie di andare a studiare a Venezia, lo fa perché è a Venezia e accetta il fatto di doversi anche spostare da un'aula all'altra. Le posso assicurare che non sono un ex studente di Cà Foscari, ma dell'università di Padova, e anche a Padova ci si spostava e ci si sposta regolarmente da un palazzo ad un altro, anche distante qualche chilometro, per fare lezione. Non è questo il disagio. Non credo nella scusa del mancato coordinamento tra poli nel 2014, quando riusciamo a fare tutto telematicamente. C’è il telefono, c’è Internet, ci sono i cellulari, ci sono le e-mail, c’è Skype, si riesce a fare tutto tranquillamente anche se in sedi diverse. L'importante è non perdere la linea dell'orizzonte. L'importante è capire bene dove si vuole andare. E se si vuole andare in una direzione che Pag. 17è quella di continuare a mercificare tutto ciò che è all'interno delle isole di Venezia, allora andiamo in senso contrario a quello che vorremmo. Siccome tutto è politica, soprattutto questa è politica, la vera politica, cioè capire dove si vuole andare, non bisogna lasciare soli gli operatori periferici dello Stato, come possono essere le università, libere di fare ciò che vogliono. Credo che la politica in senso alto, nel senso più filosofico del termine, debba vedere all'interno di queste realtà.
  Quindi, mi rassicura in parte la sua disponibilità a continuare a seguire la questione. La continueremo a seguire anche noi perché, come ho avuto modo di esporle prima, alcuni punti ci lasciano un po’ perplessi. Buon lavoro.

(Iniziative di competenza volte a garantire il rispetto di un contratto di compravendita tra l'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia e la società Sviluppo Pisa – n. 2-00450)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Fontanelli n. 2-00450, concernente iniziative di competenza volte a garantire il rispetto di un contratto di compravendita tra l'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia e la società Sviluppo Pisa (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo al deputato Fontanelli se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  PAOLO FONTANELLI. Signor Presidente, buongiorno e buon lavoro al sottosegretario Toccafondi.
  La questione che si pone con questa interpellanza è molto delimitata, precisa, ma anche di notevole rilievo. Infatti, si tratta di chiedere al Ministero, in quanto anche ente vigilante sull'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, il rispetto di un impegno contrattuale che l'INGV a suo tempo ha stabilito con un contratto preliminare firmato nel maggio 2009 relativo all'acquisizione di spazi, di un nuovo edificio, che viene realizzato dalla società Sviluppo Pisa, che praticamente è una società del comune di Pisa, a totale partecipazione pubblica di tale comune.
  Si tratta di un progetto importante per la città, che non riguarda solo il problema degli spazi, ma è qualcosa di più, perché si tratta di un piano di recupero e di trasformazione di un'area adiacente, vicina alla stazione ferroviaria, che ha la finalità di realizzare un nuovo terminal che integra il trasporto ferroviario con quello urbano, tra l'altro consentendo il recupero di spazi importanti legati alla fruizione e alla visibilità di un pezzo delle antiche mura medievali della città.
  In questo piano di recupero vi è la costruzione di un edificio, con la demolizione dei vecchi edifici e la costruzione con i medesimi volumi di uno nuovo, nel quale sono stati individuati spazi per funzioni prevalentemente pubbliche. Ci sarà la sede dei vigili urbani così come quella dell'azienda del trasporto e della mobilità e, in quel contesto, è stato stipulato questo contratto con l'INGV, che cercava una sede, perché aveva sedi disperse in città e aveva il problema di unificare le sue attività. Nacque da lì questa opportunità, quindi il contratto che impegna l'INGV ad avere questi spazi per un costo complessivo di 9 milioni e, alla firma di questo accordo, l'INGV propose, non dico pretese, ma sostanzialmente impose dei criteri anche tecnici, progettuali e costruttivi, trattandosi appunto di un ente che si occupa anche della prevenzione del rischio sismico, imponendo una serie di criteri che hanno sicuramente creato un'aggiunta di costi nella costruzione dell'edificio.
  L'edificio in costruzione è quasi ormai completato, quindi sarebbe già maturato un livello molto alto di impegno finanziario anche per l'INGV, senonché, ad un certo punto, l'INGV si è sottratto all'impegno del contratto preliminare dicendo che l'opera non era più collimante con le proprie esigenze e sostenendo che, attraverso la spending review, promossa dallo Stato, non avevano più nemmeno le risorse per poter far fronte ad un impegno di questo genere.Pag. 18
  Ciò, com’è evidente, ha già prodotto, ha già messo in atto un contenzioso, quindi ricorsi, un contenzioso assai serio. Il punto è che questa decisione è grave da parte dell'INGV perché mette in crisi un progetto che può ricadere pesantemente sul comune e sulla comunità pisana. Infatti, venendo meno questo impegno, non tiene più di fatto il progetto finanziario con cui è stata finanziata l'opera. Quindi, ciò andrebbe a scaricarsi, con un buco, un disequilibrio economico pesante, sulla Sviluppo Pisa e, quindi, in definitiva sul comune, che dovrà garantire l'equilibrio di tutta l'operazione.
  Quindi, c’è un danno in questo senso, ma ci può essere e ci sarà probabilmente un danno anche dal punto di vista economico che riguarderà lo stesso ente e, quindi, anche la finanza pubblica, se il contenzioso, come probabile – non è certo ma è probabile per tutta la documentazione che nessuno, nemmeno l'INGV, riesce a smentire, perché è sottoscritta, firmata e ben argomentata –, alla fine porterà al riconoscimento di un danno che dovrà essere pagato (purtroppo non sappiamo quando avverrà con i tempi del pronunciamento della giustizia).
  Quindi, si scarica sul futuro un costo economico di oggi in maniera del tutto immotivata, creando un danno doppio: immediato alla realtà del comune e in prospettiva anche alla finanza pubblica, alla finanza dello Stato, perché l'INGV vive sui finanziamenti che vengono da parte dello Stato.
  In questo senso, siccome la questione è diventata ormai di dominio pubblico e oggetto anche di discussione pubblica, ne ha discusso il consiglio comunale recentemente, il sindaco si è pronunciato più volte e, quindi, è diventato un tema abbastanza rilevante e caldo nella vita della città, mi è sembrato opportuno, attraverso questa interpellanza, chiedere al Governo, al Ministro e, quindi, al Ministero – il quale, in qualche modo, ha una funzione di vigilanza rispetto all'INGV, che ha una sua autonomia però risponde al Ministero – quali valutazioni e quali iniziative abbia intrapreso o intenda intraprendere – noi ci auguriamo che intraprenda e porti avanti – per cercare di risolvere tale questione, non attraverso il contenzioso, il che sarebbe dannoso, ma attraverso un recupero di impegno che possa, come dire, rimettere a posto la situazione, una situazione che davvero si va complicando, generando elementi negativi sia per il comune e la comunità locale, sia – credo – per la finanza dello Stato, attraverso gli impegni cui in futuro l'INGV può essere richiamato a rispondere dal contenzioso e, quindi, insomma riguarda soldi, anche questi, pubblici.
  Quindi, quello che chiedo in questo senso è capire in che modo il Ministero intenda muoversi per aprire la strada a un confronto che possa portare a una soluzione di questa situazione che adesso ha portato ad un contenzioso molto negativo e preoccupante.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca, Gabriele Toccafondi, ha facoltà di rispondere.

  GABRIELE TOCCAFONDI, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. Signor Presidente, devo prima di tutto sottolineare che la forma di vigilanza che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca esercita sull'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV) non prevede meccanismi di intervento su scelte, come quelle oggetto dell'interpellanza, che sono espressione dell'autonomia organizzativa, finanziaria e contabile che la legge riconosce all'ente in questione.
  Sulla vicenda illustrata sono stati effettuati necessari approfondimenti, dai quali è emerso che il rapporto negoziale tra l'Istituto e la società Sviluppo Pisa Srl è effettivamente iniziato il 14 maggio 2009, con la conclusione di un contratto preliminare per l'acquisto di una porzione di un edificio ancora da realizzare da destinare a sede dell'Istituto. L'accordo prevedeva un corrispettivo complessivo di 9 milioni di euro, da pagare secondo le scadenze legate allo stato di avanzamento dei lavori di realizzazione.Pag. 19
  Nel corso di tali lavori sono, poi, intervenute una serie di novità di carattere sia legislativo, che più strettamente economico, che hanno inciso sulle risorse a disposizione dell'Istituto, obbligando i nuovi organi decisionali a intervenire sull'operazione che era stata decisa nel corso della gestione precedente.
  In particolare, il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, ha imposto agli enti pubblici l'accorpamento del personale e la riduzione degli uffici; le risorse destinate al Fondo ordinario per il finanziamento degli enti e delle istituzioni di ricerca hanno subito, dal 2010 in poi, una forte riduzione e, rispetto al 2009, sono anche sensibilmente mutate verso il basso le condizioni di acquisto del mercato immobiliare.
  A seguito di tali circostanze l'Istituto ha, quindi, chiesto alla società Sviluppo Pisa Srl di rivedere le condizioni contrattuali dal punto di vista del costo complessivo e del volume dei locali da acquisire e, a fronte del rifiuto da parte della suddetta società, ha deciso di porre la questione davanti all'autorità giudiziaria, sul presupposto che il contratto preliminare del 2009 possa essere stato concluso in violazione della normativa sui contratti pubblici.
  L'esito della vicenda giudiziaria potrebbe effettivamente incidere negativamente sui bilanci e sull'attività dell'ente vigilato dal Ministero. Sulla vicenda si attendono, dunque, le decisioni dell'autorità giudiziaria al fine di ogni eventuale determinazione.

  PRESIDENTE. Il deputato Fontanelli ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

  PAOLO FONTANELLI. Signora Presidente, devo dichiarare che la risposta non è soddisfacente. Mi auguro e chiedo al Ministero, per quello che può fare, di agire per cercare di recuperare, anche perché a me non risulta una indisponibilità da parte di Sviluppo Pisa a discutere anche sulle ipotesi di una diminuzione di spazi e, quindi, anche, relativamente, dell'impegno economico.
  Mi risulta che ci sia questa disponibilità, ovviamente con certe proporzioni, relativamente al fatto che l'investimento è, di fatto, quasi completato e, quindi, c’è un'esposizione finanziaria di Sviluppo Pisa già concretizzata, per cui tale società ha il problema di ritrovare un equilibrio; credo comunque che vi sia questa disponibilità. Mi sembra che anche nelle posizioni assunte dal sindaco di Pisa sia chiaramente manifestata questa disponibilità, perché ovviamente si può trovare un punto di mediazione che possa ricomporre il rischio di contenzioso.
  Credo che in questo senso sia necessario adoperarsi perché è vero che l'INGV ha una sua autonomia, però vive di risorse pubbliche che vengono inserite nel bilancio dello Stato. Noi abbiamo, ormai, migliaia di contenziosi della Corte dei conti per un uso sbagliato della spesa pubblica che riguarda enti locali, regioni; ma io credo che ciò possa riguardare anche enti di questo genere e anche i soggetti che hanno, come dire, un qualche ruolo di vigilanza su tali enti. Perché poi qualcuno dovrà giustificare; se si fa un danno così rilevante e in sede di contenzioso viene riconosciuto che debba essere ripagato, non è perché si rimanda a quelli che vengono dopo di noi, fra due, tre o quattro anni, che il problema non esiste.
  Il problema c’è, è un problema di buona amministrazione, di correttezza dell'amministrazione. Quindi, io credo che con questo spirito vada posta la questione e credo che ovviamente debba esserci la necessaria disponibilità a mediare per trovare la soluzione.
  Capisco che ci siano stati anche dei cambiamenti, però sarebbe paradossale che, mentre si va avanti in un contenzioso, si dica che si aspetta il pronunciamento dell'autorità giudiziaria e allo stesso tempo lo stesso ente continui a pagare i soldi dell'affitto da altre parti con un contenzioso in corso. Contenzioso che, poi, può portare a pagare dopo per intero quei soldi, per cui si è speso alla fine ancora di più.
  Credo che su questo un supplemento di riflessione ci debba essere e, quindi, l'invito che rivolgo al sottosegretario è quello di provare a vedere di mettere in piedi Pag. 20rapidamente un confronto fra il comune, la società Sviluppo Pisa e INGV per vedere se è possibile trovare un punto di accordo e di intesa.

(Elementi ed iniziative in merito alla contaminazione delle acque potabili e al trattamento delle acque reflue urbane – n. 2-00452)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Daga n. 2-00452, concernente elementi ed iniziative in merito alla contaminazione delle acque potabili e al trattamento delle acque reflue urbane (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo alla deputata Daga se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  FEDERICA DAGA. Signora Presidente, questa interpellanza è conseguente a quella di venerdì scorso dove parlavamo di tariffa idrica nel rispetto del referendum del 2011; oggi interpelliamo il Ministero sulla qualità dell'acqua e sugli investimenti che sono stati effettuati negli anni. Quindi, vorrei cominciare la mia illustrazione parlando del principio di precauzione secondo l'Unione europea.
  Il principio di precauzione permette di reagire rapidamente di fronte ad un possibile pericolo per la salute umana, animale o vegetale oppure per la protezione dell'ambiente. Infatti, nel caso in cui dati scientifici non consentano una valutazione completa del rischio, il ricorso a questo principio consente, ad esempio, di impedire la distribuzione dei prodotti che possono essere pericolosi o di ritirarli dal mercato. Il principio di precauzione è citato nell'articolo 191 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, il suo scopo è garantire un alto livello di protezione dell'ambiente grazie a delle prese di posizione preventive in caso di rischio.
  Secondo la Commissione, il principio di precauzione può essere invocato quando un fenomeno, un prodotto o un processo può avere effetti potenzialmente pericolosi, individuati tramite una valutazione scientifica e obiettiva, se questa valutazione non consente di determinare il rischio con sufficiente certezza.
  Il ricorso al principio si iscrive pertanto nel quadro generale dell'analisi del rischio (che comprende, oltre la valutazione del rischio stesso, la gestione e la comunicazione del rischio) e più particolarmente nel quadro della gestione del rischio che corrisponde alla fase di presa di decisione.
  Il ricorso a questo principio è quindi giustificato solo quando riunisce tre condizioni, cioè: l'identificazione degli effetti potenzialmente negativi; la valutazione dei dati scientifici disponibili; l'ampiezza dell'incertezza scientifica.
  In base a quanto illustrato nell'interpellanza, posso affermare che quanto troppo spesso accade rispetto ai dati relativi alla qualità dell'acqua per uso potabile e umano rientra in queste tre condizioni. Quindi, i cittadini dovrebbero esserne informati e le istituzioni dovrebbero prendere drastiche misure e soprattutto dovrebbero essere fatti quegli investimenti opportuni.
  Lo stato di grave contaminazione dell'acqua, sia superficiale che sotterranea, nel nostro Paese, è fonte di estrema preoccupazione per gli abitanti dei luoghi coinvolti. Il 30 per cento delle falde risulta inquinato e molte sono a rischio a causa della presenza di industrie attive o dismesse inquinanti e per l'agricoltura intensiva, che rilasciano residui di fitofarmaci che si ritrovano nelle acque di moltissime regioni.
  Poche settimane fa è stata portata all'attenzione dei cittadini romani, e non solo, la questione legata alla contaminazione di arsenico nelle acque distribuite dall'Arsial nella zona a nord di Roma. Una contaminazione già nota da anni; infatti, da due anni nelle bollette dei cittadini si ritrova scritto che stanno pagando acqua non potabile, poi è arrivata l'ordinanza del sindaco di tre settimane fa che vieta addirittura qualsiasi tipo di uso umano per tutto il 2014.
  I cittadini e le amministrazioni comunali dell'ATO2, soprattutto nelle zone limitrofe a Roma, negli ultimi dieci anni Pag. 21hanno dovuto fare i conti con la qualità dell'acqua potabile – arsenico e fluoro in particolare –, con le tariffe e con il peggioramento progressivo dei servizi agli utenti e alla rete, per non parlare della gestione e delle inefficienze dei sistemi di depurazione, che abbiamo visto colpire anche i comuni del nord Italia.
  L'impegno dei gestori di ATO2 era quello di investire in innovazione, tecnologia e sicurezza per fornire acqua di buona qualità. Siamo sicuri che tutto questo sia stato fatto ? I cittadini stanno pagando in bolletta gli investimenti per depurazioni; ma dove sono stati indirizzati questi fondi ? Ce lo chiediamo.
  La scorsa settimana ci è stato risposto dalla sottosegretaria Velo che la contaminazione delle acque potabili in molti comuni italiani è in maggior parte di origine naturale, che i sindaci hanno provveduto a imporre divieti e limiti di prescrizione all'uso delle acque in caso di contaminazione, e dove la contaminazione riguarda tutta la falda si ricorre a forniture sostitutive. A tale proposito, le opere di risanamento di tal genere richiedono ingenti investimenti che allo stato non trovano adeguata copertura finanziaria e con tempi di attuazione di medio-lungo periodo.
  E, allora, mi domando se non sia grave che le quote di tariffa riferite ai servizi di pubblica fognatura e di depurazione siano dovute dagli utenti anche nel caso in cui manchino gli impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi. Il gestore è tenuto a versare i relativi proventi, che recupera tramite la tariffa e quindi dalla bolletta, a un fondo vincolato intestato all'autorità d'ambito, che lo mette a disposizione del gestore per l'attuazione degli interventi relativi alle reti di fognatura ed agli impianti di depurazione previsti dal piano d'ambito. Non è strano che tali interventi di fognatura e depurazione in molti comuni tuttora non siano stati effettuati ?
  Sempre il sottosegretario Velo, la scorsa settimana, aveva aggiunto che ci stava pensando l’Authority, a cui pare evidente che il Ministero dell'ambiente abbia ormai delegato tutto ciò che concerne la questione dell'acqua. Quindi l’Authority, dice il sottosegretario, ha avviato un'indagine conoscitiva in merito e attraverso la regolazione tariffaria ha introdotto meccanismi in grado di favorire gli investimenti necessari ad assicurare gli standard richiesti dalla normativa.
  La tariffa prevede già comunque una quota per gli investimenti effettuati e io aggiungo: basta che questi investimenti vengano effettivamente fatti. Basta che ai cittadini venga veramente data la corretta informazione che necessita questo tipo di problema.
  In varie regioni, tra cui il Lazio, c’è il concreto rischio di una procedura di infrazione europea. Abbiamo circa novanta comuni coinvolti, e ci appare quanto mai urgente conoscere quali sono le misure che il Governo intende adottare per evitare che questo accada, dopo dieci anni di deroghe ormai scadute.
  Cosa intende fare il Governo per evitare che un problema noto da decenni venga ancora definito «emergenza», come accade attualmente in molti comuni italiani e che, in tempo di crisi, comporta pesanti sanzioni anche pecuniarie ? Perché non si è stati in grado di approfittare delle leggi di delegazione europee per affrontare questo problema ?
  Che cosa c’è nell'acqua che arriva nei rubinetti di alcuni comuni italiani ? L'arsenico, per esempio. L'arsenico è un metalloide presente nell'ambiente in varie forme organiche e inorganiche, di origine sia naturale che antropica. Le forme inorganiche dell'arsenico sono assai più tossiche di quelle organiche, pertanto critiche per l'analisi del rischio. I principali effetti sulla salute umana associati all'ingestione a lungo termine sono: lesioni cutanee, tumori, effetti sullo sviluppo fetale e infantile, malattie cardiovascolari, anomalie nel metabolismo del glucosio e diabete.
  Negli acquiferi italiani la concentrazione di arsenico varia in funzione della struttura geologica e morfologica del territorio. Si legge nella nota informativa dell'Istituto superiore di sanità che in Italia particolare rilevanza nel contesto dei Pag. 22regimi di deroga ha riguardato, a tutt'oggi, il parametro arsenico, presente in acque di origine sotterranea in molte aree del Paese e generalmente ricondotto a contaminazione di natura geogenica.
  In passato, numerose regioni e molteplici comuni che si sono avvalsi dell'istituto delle deroghe, nell'ambito dei due successivi trienni 2003-2006-2009, quindi tre volte, sono rientrati nel valore limite dei 10 microgrammi/litro previsto dal decreto legislativo n. 31 del 2001, mentre per alcune aree più o meno vaste di quattro regioni (parliamo di Lombardia, Toscana, Lazio e Umbria) e delle province autonome di Trento e Bolzano è stato necessario ricorrere ad una terza deroga.
  Queste decisioni, implementate mediante normativa regionale, hanno coinvolto una popolazione totale di più di un milione di abitanti. È da sottolineare che un fondamentale vincolo che presiede la concessione di ogni provvedimento di deroga da parte della Comunità europea è l'implementazione delle azioni correttive elaborate da parte dei soggetti competenti sul territorio (nel nostro caso, i gestori idrici e le autorità d'ambito ottimale), sotto l'egida della regione, per il rientro in conformità delle acque secondo un rigoroso crono-programma, parte integrante della richiesta di deroga.
  Il mancato rientro nei regimi di deroga che riguarda centinaia di comuni italiani mette in luce alcuni evidenti limiti nella progettazione e attuazione dei piani di rientro. Siamo così in stato di emergenza.
  Inoltre, l'esperienza delle deroghe ha evidenziato in alcuni territori inadeguatezze sotto il profilo dell'informazione all'utenza. È una cosa gravissima questa, visto quanto ribadito dalla Convenzione di Aarhus che dice: «Per contribuire a tutelare il diritto di ogni persona, nelle generazioni presenti e future, a vivere in un ambiente atto ad assicurare la sua salute e il suo benessere, ciascuna parte garantisce il diritto di accesso alle informazioni, di partecipazione del pubblico ai processi decisionali e di accesso alla giustizia in materia ambientale».
  Se l'arsenico, per quanto dannoso, è presente nelle acque per cause naturali, lo stesso non è per i batteri che sono stati trovati nelle analisi della ASL Roma C – fuori Roma – che dovevano essere nulli. È un segnale evidente delle falle nel sistema di depurazione complessivo, non sono stati fatti quindi gli investimenti necessari.
  Per non parlare di quanto segnalato nella nostra interpellanza e nelle interrogazioni dei colleghi De Rosa e Alberti per quanto riguarda il caso del cromo esavalente nella provincia di Brescia o della condanna dell'Italia da parte della Corte europea rispetto al mancato trattamento delle acque reflue di moltissimi comuni italiani, sempre come segnalato nelle premesse dell'interpellanza in oggetto e della presenza di piombo e altri agenti contaminanti.
  Quindi, cosa chiediamo al Ministero competente ? Se sia effettuato un monitoraggio periodico della risorsa idrica, costante ed esteso a tutto il territorio nazionale, degli inquinanti comuni, quali arsenico, vanadio, fluoruri, come dichiarato dal decreto legislativo n. 31 del 2001; se le analisi siano state pubblicate, come previsto dalla normativa europea e nazionale; quali siano i dati attuali relativi ai 128 comuni ai quali nel 2010 la Commissione europea voleva negare la deroga ai limiti di potabilità; se il Ministro ritenga che sia stata data corretta informazione ai cittadini rispetto a questi dati; se il Governo abbia fornito il rendiconto triennale, che gli Stati membri sono tenuti a fornire alla Commissione europea, e quale sia il periodo di riferimento dell'ultimo rendiconto; se la task force istituita dal Ministero dell'ambiente nel dicembre 2013 si occuperà del monitoraggio dell'effettiva realizzazione degli investimenti necessari sia sul fronte della depurazione sia per quanto riguarda le infrastrutture di distribuzione della risorsa.
  Chiedo, inoltre, di quali elementi disponga circa le azioni poste in essere dai gestori idrici, autorità d'ambito e regioni, per il rientro in conformità delle acque secondo il cronoprogramma previsto, che è parte integrante delle deroghe, e quali Pag. 23iniziative urgenti intenda porre in essere, per la tutela della salute e dell'ambiente, per affrontare il problema messo in evidenza dal ricorso presentato dalla Commissione europea relativamente al trattamento delle acque reflue urbane.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare, Gabriele Toccafondi, ha facoltà di rispondere.

  GABRIELE TOCCAFONDI, Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare. Signor Presidente, per quanto indicato nell'interpellanza urgente presentata dall'onorevole Daga ed altri, inerente la presenza di inquinanti nelle acque, si rappresenta quanto segue. In ordine alla richiesta di notizie sull'effettuazione di un monitoraggio periodico della risorsa idrica, costante ed esteso a tutto il territorio nazionale, degli inquinanti comuni quali arsenico, vanadio, floruri, come dichiarato dal decreto legislativo n. 31 del 2001, si rappresenta che il decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modifiche ed integrazioni all'allegato 1 alla parte III, fissa, per tali sostanze presenti in acque superficiali destinate a scopi idropotabili, standard di qualità ambientale ricavati su base di criteri tossicologici e sulla base della comunità servita e ne prevede un monitoraggio più frequente rispetto al monitoraggio ordinario.
  Le regioni, sentite le autorità di bacino nell'ambito del proprio territorio, definiscono un programma di monitoraggio con l'obiettivo di stabilire un quadro generale coerente ed esauriente dello stato ecologico e chimico delle acque all'interno di ciascun bacino idrografico, ivi comprese le acque marino-costiere assegnate al distretto idrografico in cui ricade il medesimo bacino idrografico necessario alla predisposizione dei piani di gestione e dei piani di tutela delle acque.
  Per le acque sotterranee il decreto legislativo n. 30 del 2009, recante attuazione della direttiva n. 2006/118 relativa alla protezione delle acque sotterranee dall'inquinamento e dal deterioramento, fissa per le citate sostanze valori soglia necessari per definire lo stato chimico e ne prevede il monitoraggio, da effettuare secondo criteri e cadenze temporali ben stabilite. La rete di monitoraggio è progettata in modo da fornire una panoramica coerente e complessiva dello stato chimico delle acque sotterranee all'interno di ciascun bacino idrografico e fare rilevare eventuali tendenze antropiche ascendenti a lungo termine riguardo gli inquinanti.
  In ordine, poi, alla pubblicazione delle analisi secondo quanto previsto dal decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195, per l'accesso alle informazioni ambientali che non richiede l'obbligo della motivazione, come è confermato dall'articolo 3-sexies del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e secondo quanto stabilito dal decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, si fa presente che nell'ambito del SINTAI, sistema informativo nazionale per la tutela delle acque italiane dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici, con decreto 17 luglio 2009 è stato istituito il nodo nazionale WISE con l'obiettivo di raccogliere, elaborare e trasmettere alla Commissione europea i dati sulla caratterizzazione delle acque, sul monitoraggio e sullo stato di qualità delle acque conformemente al sistema informativo europeo. Il citato decreto è finalizzato all'individuazione ed allo scambio delle informazioni territoriali relative alla caratterizzazione, monitoraggio e classificazione delle acque superficiali e sotterranee. Al fine di assicurare la più ampia divulgazione sullo stato di qualità delle acque in territorio nazionale, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e l'ISPRA pubblicano, anche online sul sistema SINTAI, i risultati delle elaborazioni dei dati acquisiti.
  Riguardo ai dati attuali relativi ai 128 comuni a cui nel 2010 la Commissione europea voleva negare la deroga ai limiti di potabilità e di quali elementi disponga circa le azioni poste in essere dai gestori idrici, autorità d'ambito e regioni per il rientro in conformità delle acque secondo il rigoroso cronoprogramma parte integrante Pag. 24della deroga, il Ministero dell'ambiente è venuto a conoscenza dello stato di avanzamento dei lavori di messa in conformità delle acque, comunicato da parte dei competenti uffici della regione Lazio, in sede di Consiglio superiore di sanità (seduta del 21 ottobre 2013), secondo cui sono state concluse le opere finalizzate a mantenere la concentrazione di arsenico al di sotto dei limiti consentiti nelle acque dei territori non rientrati in conformità alla scadenza della terza deroga e sono in corso le azioni per assicurare il rientro in tutti i territori dei tenori di arsenico in acque destinate al consumo umano al di sotto del valore di parametro del decreto legislativo n. 31 del 2001.
  Per quanto attiene la task force istituita con il decreto ministeriale n. 358 del 13 dicembre 2013, vi è da dire che il decreto prevede che la stessa potenzi l'attività di studio a supporto delle attività di individuazione di strategie e priorità politiche del Ministro in tema di: correlazione tra pressioni ambientali legate al ciclo dei rifiuti e strumenti tariffari e impositivi; di valutazione di metodologie nazionali ed internazionali nel campo della fiscalità ambientale; di valutazione delle migliori pratiche in materia di sostenibilità energetica; di sostenibilità nell'uso delle risorse idriche e, infine, di modelli per la riduzione degli sprechi alimentari.
  Sulle richieste poi, di quali iniziative urgenti si intendano porre in essere, per la tutela dell'ambiente per affrontare il grave problema messo in evidenza dal ricorso presentato dalla Commissione europea contro l'Italia relativamente al trattamento delle acque reflue urbane, si rappresenta che il 23 gennaio 2014 si è svolta presso la Corte di giustizia europea l'udienza per la discussione orale della causa 85/13, avviata a marzo 2013, per mancato rispetto della direttiva 91/271/CEE, concernente il trattamento delle acque reflue urbane, in 50 agglomerati con carico generato maggiore di 10 mila abitanti equivalenti che scaricano in aree cosiddette sensibili. Si sottolinea che la procedura, avviata nel 2009, interessava inizialmente un totale di 525 agglomerati.
  L'analisi degli elementi forniti dal Ministero dell'ambiente ai competenti uffici della Commissione, contenuti nelle memorie difensive presentate dall'Avvocatura di Stato a maggio e luglio 2013, ha ridotto il numero degli agglomerati coinvolti agli attuali quarantuno e l'aggiornamento della loro situazione, svolta presso le regioni interessate a gennaio 2014 e presentata alla Commissione nel corso dell'udienza sopra citata, evidenzia che dieci agglomerati sono conformi ai requisiti della direttiva; quattordici agglomerati raggiungeranno la conformità entro il 2014 e diciassette agglomerati raggiungeranno la conformità successivamente al 2014.
  Sebbene nel quadro sopra descritto la prospettiva di una condanna sia pressoché certa, il trend positivo è stato apprezzato, in sede di udienza, dalla Commissione che ha invitato il Governo italiano a continuare nell'attività di impulso posto in essere nei confronti delle amministrazioni regionali interessate affinché, nel rispetto dei crono programmi comunicati, proseguano nella realizzazione e messa in opera degli interventi necessari per superare, in tempi ragionevoli, le criticità ancora esistenti in alcuni agglomerati.
  Il 19 luglio 2012 la Corte di giustizia europea ha emesso, nell'ambito della causa 565/10, sentenza di condanna per inadempimento della Repubblica italiana agli obblighi ad essa incombenti in forza degli articoli 3 (sistemi fognari), 4 (sistemi di trattamento) e 10 (trattamento non sufficiente del carico) della direttiva 91/271/CEE.
  La sentenza riguarda 109 agglomerati distribuiti in otto regioni con carico generato maggiore di 15 mila abitanti equivalenti che scaricano in aree normali.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha acquisito presso le amministrazioni regionali responsabili tutte le informazioni sullo stato di attuazione della direttiva, dando riscontro, ad ottobre 2012, alla richiesta della Commissione europea circa i provvedimenti adottati o da adottare per dare esecuzione alla sentenza.Pag. 25
  A novembre 2013, la Commissione europea comunica che alcuni degli agglomerati risultano conformi, pertanto permangono le criticità per complessivi 101 agglomerati coperti dalla sentenza della Corte. A dicembre 2013, il Ministero dell'ambiente ha trasmesso alla Commissione europea, sulla base di quanto comunicato dalle regioni, un aggiornamento sui suddetti 101 agglomerati, dal quale si evidenzia che molti di essi hanno raggiunto la conformità.
  Il contenzioso comunitario in argomento è all'attenzione del Ministro. La necessità di adottare iniziative per il superamento delle situazioni oggetto delle procedure di infrazione in funzione della tutela della risorsa idrica quale requisito indispensabile per garantire la fruizione degli usi legittimi delle acque, per assicurare la tutela delle biodiversità e per permettere l'esercizio di attività economiche che hanno bisogno di acqua pulita e di qualità adeguata, ha indotto il Ministero dell'ambiente, agli inizi del 2012, a svolgere con il Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica e le regioni del Mezzogiorno una ricognizione atta all'accertamento degli interventi prioritari ed urgenti in grado di risolvere, per ciascun agglomerato, la criticità che ha generato l'avvio del contenzioso.
  Detta ricognizione ha portato all'individuazione di 183 interventi nel settore fognario depurativo, di cui 121 specifici per la causa C-565/10 e 18 specifici per il parere motivato 2009/2034, recante: «Fondo per lo sviluppo e la coesione – Programmazione regionale. Assegnazione di risorse a interventi di rilevanza strategica regionale nel Mezzogiorno nei settori ambientali della depurazione delle acque e della bonifica di discariche», ha stanziato più di un miliardo e seicento milioni di euro. Da precisare che, coerentemente con gli obiettivi di urgenza e di accelerazione della spesa, le risorse assegnate saranno impegnate con atti giuridicamente vincolanti entro il termine del 30 giugno 2014.
  Gli interventi finanziati con la delibera in parola sono attuati mediante i cosiddetti «Accordi di programma quadro (APQ) rafforzati», che tutte le regioni del Mezzogiorno coinvolte hanno sottoscritto nel corso del 2013 e nell'ambito dei quali sono individuati i soggetti attuatori, gli indicatori di risultato e di realizzazione, i cronoprogrammi di attuazione e appaltabilità, i sistemi di verifica delle condizioni di sostenibilità finanziaria e gestionale e meccanismi sanzionatori a carico dei soggetti inadempienti.
  Inoltre, gli Accordi di programma quadro rafforzati prevedono che le regioni presentino al Ministero dell'ambiente i progetti posti a base di gara, prima dell'avvio delle procedure di aggiudicazione, per una verifica dell'efficienza e dell'efficacia del progetto stesso rispetto al conseguimento dell'obiettivo, ossia al superamento del contenzioso.
  Nel corso del 2013, l'Unità di verifica tecnica, appositamente costituita presso il Ministero dell'ambiente, ha analizzato un totale di 87 progetti inviati dalle regioni Puglia (20), Sardegna (15), e Sicilia (52); nessun progetto è stato inviato dalle regioni Basilicata, Calabria e Campania.
  Come spesso evidenziato dalle regioni, le difficoltà nel superare il contenzioso risiede soprattutto nella mancanza di finanziamento delle opere infrastrutturali. Consci della gravità della situazione, si è svolta a gennaio 2014, per le regioni del centro-nord, un'attività di ricognizione degli interventi e relativi fabbisogni nel settore fognario-depurativo che ha portato all'identificazione di 896 interventi, parte dei quali risolutivi del contenzioso in argomento, per un fabbisogno pari a circa un miliardo e ottocento milioni di euro.
  Si sta verificando la possibilità di trovare copertura finanziaria a tali interventi nella legge 27 dicembre 2013 (legge di stabilità 2014) che prevede, all'articolo 1, comma 112, l'istituzione di un apposito fondo (90 milioni di euro) nello stato di previsione del Ministero dell'ambiente per il finanziamento di un piano straordinario di tutela e gestione della risorsa idrica finalizzato prioritariamente a potenziare la capacità di depurazione dei reflui urbani; determina, all'articolo 1, comma 6, la dotazione aggiuntiva del Fondo per lo Pag. 26sviluppo e la coesione per il periodo di programmazione 2014-2020 in 54.810 milioni di euro; stabilisce, all'articolo 1, comma 7, che il Ministro per la coesione territoriale, d'intesa con i Ministri interessati, destini quota parte delle risorse di cui sopra al finanziamento degli interventi di messa in sicurezza del territorio, di bonifica dei siti di interesse nazionale e di altri interventi in materia di politiche ambientali.

  PRESIDENTE. Saluto le alunne e gli alunni dell'Istituto comprensivo statale Leone Tolstoj di Milano, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
  L'onorevole Daga ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

  FEDERICA DAGA. Signor Presidente, la risposta non mi soddisfa per una serie di questioni. Intanto perché riteniamo assurdo che c’è sempre stato il pagamento da parte dei cittadini in tariffa per quelli che dovevano essere gli investimenti per la depurazione e, alla fine, non si sa dove siano finiti questi soldi e continuano a permanere gli stessi problemi.
  Il fatto è che i gestori avrebbero dovuto fare determinate azioni, che non hanno fatto nel tempo, e hanno comunque recepito dalle bollette tutta una serie di voci, che riguardano depurazione, fognatura e remunerazione del capitale investito. Qualcuno – ed è un privato azionista di un gestore idrico – un paio di anni fa diceva questo: a me interessa solo l'ultima riga del bilancio. Cioè l'utile.
  Il servizio al cittadino quando viene fatto ? Chi lo deve dare se c’è un contratto di servizio tra il comune ed il gestore ? Chi è che lo deve fare ? Ora la storia degli impianti dell'Arsial, per fare un esempio pratico e qui vicino, dura da più di sedici anni. Nel 1998 fu sottoscritto, tra la regione Lazio, i comuni di Roma e Fiumicino, l'Acea e l'Agenzia regionale per lo sviluppo e l'innovazione dell'agricoltura, un protocollo d'intesa, finalizzato al trasferimento degli acquedotti Arsial al piano di interventi di adeguamento degli stessi da parte di Acea Ato 2.
  A questo protocollo – quindi dopo sei anni – ne è stato fatto seguire un altro, nel 2004, dove si parlava di trenta giorni dalla sottoscrizione dell'intesa, entro i quali le due amministrazioni avrebbero preso in carico gli schemi acquedottistici con i relativi punti di approvvigionamento, che contestualmente sarebbero stati trasferiti ad Acea Ato 2 per manutenzione e gestione. Dal 2004 ad oggi sono passati dieci anni, quindi siamo a sedici anni nei quali non si è trovata una soluzione e per i quali adesso i cittadini non si possono nemmeno lavare.
  Gli acquedotti dell'Arsial quindi, dopo l'ordinanza del sindaco, per tutto il periodo del 2014, vengono dati adesso ad Acea Ato 2, che opererà il risanamento. Quindi da una malagestione pubblica si è passati alla privatizzazione del servizio in quelle zone. Si tratta delle due facce della stessa medaglia, perché noi parliamo anche del fatto della privatizzazione in sede di servizio idrico, del «guardiamo all'utile e non guardiamo al servizio del cittadino». Il meccanismo non è casuale, perché si smantella il pubblico per evidente incapacità. Lo si fa diventare incapace per spalancare le porte al privato, che diventa il salvatore in quel caso.
  Leggo un piccolo estratto da una sentenza del tribunale di Mantova dell'11 febbraio 2014, quindi di un mese fa: l'acqua potabile costituisce un servizio essenziale per la destinazione ad uso abitativo di un immobile; la sua assenza, ancorché sopravvenuta, ne limita le normali potenzialità di godimento e ne diminuisce la concreta utilizzabilità ad opera del conduttore.
  Cosa è successo ? È successo che con questo pronunciamento si è causato un precedente, per così dire, a livello nazionale e d'ora in poi chi affitta ad un inquilino dovrà controllare la salubrità dell'acqua utilizzata dall'inquilino stesso, pena la riduzione del canone di affitto. Infatti là il canone d'affitto è stato abbassato del 40 per cento – perché manca un servizio – fino all'avvenuta risoluzione del Pag. 27problema. Gli inquilini che hanno sollevato il problema si ritrovano appunto con un canone d'affitto inferiore del 40 per cento. Io vorrei fare un confronto con quanto è avvenuto a Mantova.
  Infatti, se il proprietario si deve accertare che vi sia acqua potabile nell'uso di un appartamento e gli viene abbassato l'affitto, il gestore del servizio idrico, che non adempie a quanto scritto nei contratti di servizio, si dovrebbe vedere abbassato il costo della bolletta nelle voci dove non è adempiente fino al graduale scioglimento del contratto tra il comune e il gestore. Quindi, diciamo che, allo stato attuale, mettere le mani nella gestione dell'acqua è un business garantito.
  E se ci preoccupiamo dell'arsenico nell'acqua di origine naturale, ci preoccupa anche il fatto che non siano state monitorate alcune zone in Italia nel corso del tempo, come la Terra dei fuochi, dove solo ora ci si preoccupa di bloccare la vendita dei prodotti agricoli che provengono da quelle terre che sono innaffiate con quelle acque. È proprio di questi giorni la notizia che, nei prossimi tre mesi, verranno effettuate analisi dettagliate per verificare se queste zone nascondono insidie tossiche o pericoli per la salute. Nel frattempo, è stata vietata la vendita dei prodotti ortofrutticoli dei terreni che hanno un rischio molto alto. Il divieto ora, ovviamente, entra subito in vigore, però, per molti anni, quei prodotti sono stati consumati dalla cittadinanza, non solo del luogo.
  Ed è accaduto anche a Bussi, dove ci ritroviamo con una delle più grandi discariche nascoste di sostanze tossiche e pericolose mai esistite in Italia e addirittura in Europa, dove la Solvay ha inquinato, per anni, le acque del fiume Pescara e tutto il territorio circostante, mentre i cittadini venivano lasciati all'oscuro.
  Io non ho avuto risposta sul fatto della pubblicità dei dati. Riascolterò l'intervento in modo da vedere se, effettivamente, mi è stato risposto o meno, ma non ho trovato riscontro ascoltando. E questi due sono soltanto un paio dei casi più grossi che continuamente vengono segnalati sui giornali nel tempo.
  La disponibilità all'accesso all'acqua potabile di buona qualità, all'acqua necessaria per il soddisfacimento di bisogni collettivi costituisce un diritto inviolabile dell'uomo, un diritto universale indivisibile, che si può annoverare tra quelli previsti dall'articolo 2 della Costituzione, così come i cittadini hanno diritto ad essere informati di ciò che succede nei tempi e con i metodi adeguati. Non è possibile, secondo noi, demandare tutto ad un’Authority, che è un garante terzo del mercato del servizio idrico. Dovrebbe essere il Governo – e ripeto, dovrebbe essere il Governo – a rappresentare e curare i propri cittadini, a farsi carico di monitorare e intervenire quanto prima, prima che vi sia qualsiasi ragionevole dubbio o preoccupazione di un rischio per la salute umana. Il Governo, attraverso il Ministero dell'ambiente, dovrebbe prendersi subito carico, riprendere in mano la questione della determinazione delle tariffe e il monitoraggio degli investimenti.
  Quindi, noi ci troviamo in una situazione dove, dopo dieci anni di deroghe europee, dopo dieci anni di introiti sicuri, tramite le bollette dell'acqua per la depurazione, ad esempio, dopo dieci anni di incasso di quel 7 per cento di remunerazione del capitale investito, che oltretutto abbiamo abrogato due anni fa con un referendum perché era riconducibile a mero profitto, dopo dieci anni, i gestori non hanno avuto la possibilità di utilizzare quei capitali per fornire il giusto servizio al cittadino. Capitali che sono stati anche messi da parte nell'autorità d'ambito, come previsto dalla tariffazione del Testo unico ambientale.
  Quindi, io penso che, a questo punto, sia meglio che venga data finalmente la reale possibilità di controllare e partecipare, da parte dei cittadini che vivono in un dato luogo, alle decisioni che si prendono sugli investimenti idrici di un dato luogo. Ritengo che sia meglio a questo punto ritornare a una gestione completamente pubblica, con società di diritto pubblico e non di diritto privato – quindi, aziende speciali di diritto pubblico –, che Pag. 28diano anche la possibilità di attivare processi partecipativi della cittadinanza locale.

(Misure a sostegno degli ex dipendenti di aziende sequestrate o confiscate alla criminalità organizzata, anche tramite l'utilizzo delle risorse del Fondo unico giustizia – n. 2-00281)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza Giammanco n. 2-00281, concernente misure a sostegno degli ex dipendenti di aziende sequestrate o confiscate alla criminalità organizzata, anche tramite l'utilizzo delle risorse del Fondo unico giustizia (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo alla deputata Giammanco se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  GABRIELLA GIAMMANCO. Signor Presidente, intendo illustrare l'interpellanza.
  Con la mia interpellanza vorrei portare all'attenzione di quest'Aula la drammatica situazione lavorativa degli ex dipendenti di aziende sequestrate o confiscate alla mafia, che si ritrovano improvvisamente licenziati o messi in cassa integrazione, quindi doppiamente vittime del sistema criminale.
  Nel nostro Paese, infatti, si stimano fino a 17 mila società sequestrate, con ben 80 mila persone a rischio di disoccupazione ed è un fenomeno che riguarda l'intera penisola, da nord a sud. Le regioni maggiormente colpite sono la Sicilia, dove addirittura le aziende ad essere vittime di questo odioso fenomeno sono il 37 per cento, la Campania con il 20 per cento, la Lombardia con il 12 per cento, la Calabria ed il Lazio. Tutti i settori produttivi ne sono coinvolti, in particolare alcuni comparti chiave per il nostro Paese, come il terziario, l'edilizia e l'agroalimentare.
  Per quanto riguarda invece i provvedimenti di confisca in via definitiva, secondo gli ultimi dati disponibili ed aggiornati al 31 dicembre del 2012, dall'entrata in vigore della legge Rognoni-La Torre del 1982, che ha introdotto il reato di associazione mafiosa, parliamo di 1.708 aziende, di cui 623 in Sicilia, 347 in Campania, 223 in Lombardia, 161 in Calabria, 140 nel Lazio e 131 in Puglia. Tutto questo a conferma del fatto che le organizzazioni mafiose investono sempre più i propri capitali di illecita provenienza non solo nel Mezzogiorno, dove la Sicilia è in testa, ahimè, alla classifica, ma anche nel centro e nel nord Italia.
  Dal 2008 in poi, grazie al riconosciuto impegno del Governo Berlusconi nella lotta a tutte le mafie, le confische sono aumentate del 70 per cento. Nel corso degli anni, infatti, è divenuta patrimonio diffuso la consapevolezza che un'efficace azione di contrasto al crimine, in particolare a quello organizzato di tipo mafioso, è possibile solo se all'azione repressiva classica si affianca un intervento patrimoniale diretto ad eliminare i profitti illecitamente accumulati, proprio allo scopo di restituirli alla collettività e porli alla base della costruzione di nuove relazioni economiche.
  Secondo il rapporto di SOS Impresa del 2011, i ricavi complessivi della «Mafia Spa» ammonterebbero a ben 138 miliardi di euro. Tuttavia, per troppo tempo, ci si è concentrati solo sul mero valore dei beni immobili, mentre, di recente, l'attenzione si è spostata anche verso il valore della prosecuzione dell'attività imprenditoriale e relativa conservazione di ricchezza sui territori e di posti di lavoro. Infatti – e sono certa ne converrete con me – la doverosa lotta ai patrimoni mafiosi dovrebbe cercare, per quanto possibile, di non avere un impatto negativo sull'occupazione e sull'economia dei territori.
  Dobbiamo, quindi, affrontare efficacemente la questione di un sistema antimafia che produce, sì, frutti sul piano della repressione e del recupero ad uso sociale dei beni, ma mostra evidenti carenze nell'attività di reinserimento produttivo delle imprese sequestrate e confiscate e, quindi, dei relativi dipendenti, occupati, lavoratori che appunto vi lavorano.Pag. 29
  Purtroppo, secondo le stime dell'Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati, oltre il 90 per cento delle imprese sequestrate alle mafie è destinato al fallimento, un dato allarmante, al quale contribuiscono fattori come la stretta creditizia, la perdita dei clienti e un'inefficienza della linea di commissariamento. Il provvedimento di sequestro ha infatti un effetto a dir poco disastroso sulle aziende: i dipendenti vanno in fibrillazione, temendo la perdita del proprio posto di lavoro, i clienti si allarmano e cercano di dirottare altrove i propri acquisti, i fornitori reclamano il saldo dei crediti e le banche sollecitano l'immediato rientro dei fidi concessi. Negli anni poi sono emerse anche diverse problematiche relative al dover definire con maggiore chiarezza il ruolo degli amministratori giudiziari, che, troppo spesso, hanno agito più come dei meri liquidatori che come manager capaci di tutelare i livelli occupazionali e la continuità aziendale.
  Per tutti questi motivi, la sfida che oggi dobbiamo prepararci ad affrontare è particolarmente complessa, ed è quella di contrapporre alla prepotenza mafiosa un'alternativa fatta di dignità, di lavoro e di sviluppo. È necessario trasformare ogni azienda sottratta alle mafie in una risorsa in grado di sostenere il Paese, specialmente in un momento di grande difficoltà economica e sociale come quello che stiamo vivendo. Certo non è semplice, ma lasciare tali aziende in uno stato di abbandono sarebbe solo un favore alla criminalità organizzata. Non è più possibile, nella lotta contro il malaffare, accumulare ulteriori ritardi. Ma, soprattutto, non è più possibile vivere in un Paese dove, in alcuni territori, i cittadini sono portati a pensare, paradossalmente e tristemente, che con la mafia si lavora e con lo Stato invece no. Se il 90 per cento di queste aziende è destinato a fallire, infatti, la situazione occupazionale che ne emerge è a dir poco devastante. Su 80 mila dipendenti coinvolti, circa 72 mila sono prossimi a perdere il proprio posto di lavoro.
  Proprio per questo chiedo e propongo al Governo di destinare una parte del Fondo unico giustizia gestito da Equitalia Giustizia a nuove iniziative produttive attivabili, appunto, da ex dipendenti di aziende sequestrate o confiscate alla criminalità organizzata. Uno strumento, a mio avviso, necessario per dare a questi lavoratori una prospettiva alternativa alla rassegnazione, ma, soprattutto, per dire loro che lo Stato gli è stato vicino ed è sempre e comunque promotore di legalità e anche di occupazione.
  I lavoratori e le lavoratrici di cui parliamo, infatti, sono sempre più spesso inconsapevoli della mafiosità del proprio datore di lavoro, ma rischiano di pagare con il licenziamento e la disoccupazione l'inadeguatezza delle istituzioni nel valorizzare l'enorme patrimonio economico costituito dalle aziende confiscate. E ciò avviene proprio in territori già fortemente condizionati dalla pervasività del fenomeno mafioso – abbiamo visto la Sicilia in testa – e dalla piaga della disoccupazione (sempre con la Sicilia in testa, purtroppo). L'intervento dello Stato, al contrario, dovrebbe garantire la sicurezza sociale e la certezza di un vero e serio percorso di emersione alla legalità. Bisognerebbe, insomma, contrapporre il lavoro legale allo sfruttamento e alla violenza delle mafie le quali, inquinando la nostra economia, arrecano un danno strutturale all'intero sistema Paese. Sottrarre un'impresa alla criminalità organizzata è, a tutti gli effetti, un vero e proprio atto di liberazione per il sistema produttivo che, sempre più, deve poter contare su imprese sane e competitive, capaci di contrastare ogni tentativo di infiltrazione delle economie criminali, ma anche per i lavoratori, che quel sistema produttivo sano deve saper tutelare e proteggere, senza mai abbandonarli al ricatto dei poteri criminali o alla disperazione della perdita del lavoro.
  Liberare l'economia è liberare il lavoro. Solo così l'azione antimafia può spezzare le radici dell'infiltrazione mafiosa nel sistema produttivo. Il sequestro delle aziende e la loro bonifica legale ed economica rappresenta, infatti, un momento cruciale per salvare dalla tirannia mafiosa i territori e le persone che vi lavorano. Pag. 30Proprio per questo, dobbiamo essere consapevoli che la lotta culturale, economica e repressiva alle mafie deve essere condotta con maggiore incisività, efficienza ed efficacia.
  Per tutti questi motivi sono, quindi, qui oggi, in quest'Aula, a chiedere con forza che non si abbandonino gli 80 mila e più dipendenti delle aziende sequestrate o confiscate alla mafia. Il percorso di liberazione dall'oppressione da parte della criminalità organizzata deve prevedere apposite tutele per i lavoratori e per le loro famiglie. Il lavoro è, infatti, una delle risposte principali allo strapotere mafioso. E non possiamo permettere che questi dipendenti rischino di perdere il proprio impiego senza offrire loro alcuna rete di protezione. In questo modo, infatti, li faremo pagare per colpe che non hanno commesso.
  Da qui – e concludo – la mia richiesta di destinare una parte del Fondo unico giustizia a nuove iniziative produttive di iniziativa, appunto, di ex dipendenti e di ex lavoratori di aziende sequestrate o confiscate alla criminalità organizzata.

  PRESIDENTE. La sottosegretaria di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Sesa Amici, ha facoltà di rispondere.

  SESA AMICI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, l'onorevole Giammanco ha illustrato, nella sua premessa, gli elementi anche di natura politica che stanno alla base della sua interpellanza urgente, in particolare il nesso che esiste con riferimento alla lotta alle questioni della mafia anche attraverso le normative della confisca e del sequestro dei beni alla criminalità organizzata, ma con un'attenzione particolare alle condizioni che ciò determina per i soggetti, lavoratori e lavoratrici, di quelle aziende. Mi pare che nella premessa esista una riflessione che va molto al di là dei quesiti posti nell'interpellanza. Io darò lettura della risposta, sapendo che gli argomenti che ha portato, a premessa dell'illustrazione, sono gli elementi che il Governo considera meritevoli non solo di attenzione, ma anche di sviluppo nel prosieguo della legislatura come elementi di risoluzione rispetto alle questioni poste nell'interpellanza urgente.
  Pur tuttavia, negli elementi stringenti che l'interpellante ha posto rispetto all'utilizzo del Fondo unico giustizia, vorrei ricordare che tale Fondo è stato introdotto con il decreto legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, successivamente perfezionata dal decreto-legge n. 143 del 2008, convertito, con modificazioni dalla legge n. 181 del 2008 che, tra l'altro, ne ha ampliato la fonte di alimentazione.
  In particolare, ai sensi dell'articolo 2, comma 2, del citato decreto-legge n. 143, presso il Fondo unico di giustizia affluiscono i proventi derivanti dai sequestri, dalle confische, dalle sanzioni amministrative, dai procedimenti civili e dai procedimenti fallimentari riconducibili a tre categorie di beni: denaro contante e titoli monetizzabili, beni immobili e aziende. Tuttavia, occorre evidenziare che soltanto la prima tipologia consente una diretta utilizzabilità, ma limitatamente alla parte relativa al denaro contante ed ai titoli monetizzabili derivanti da confische definitive e da una quota variabile tra il 20 ed il 30 per cento derivante invece dai sequestri. Ciò per motivi di necessaria cautela connessa alla potenziale revocabilità dei provvedimenti di sequestro o di confisca.
  La gestione del Fondo è affidata ad Equitalia Giustizia Spa, che versa annualmente al bilancio dello Stato le somme giacenti sul Fondo e gli utili di gestione (articolo 2, commi 3-6, decreto-legge n. 143 del 2008).
  L'articolo 2, comma 7, prevede che spetti al Presidente del Consiglio dei ministri determinare con proprio decreto, entro il 30 aprile di ogni anno, la destinazione delle risorse disponibili del Fondo unico di giustizia. Non meno di un terzo delle risorse deve essere destinato al Ministero dell'interno per le esigenze di tutela della sicurezza pubblica e del soccorso pubblico; non meno di un ulteriore terzo Pag. 31delle risorse deve essere destinato al funzionamento e al potenziamento degli uffici giudiziari e degli altri servizi istituzionali del Ministero della giustizia, e la parte rimanente, infine, dovrà confluire nelle entrate del bilancio statale.
  Il comma 7 del suddetto articolo 2 stabilisce, inoltre, che le quote minime di cui sopra, in caso di urgenti necessità derivanti da circostanze gravi ed eccezionali delle stesse amministrazioni, possono essere codificate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. La conseguente riassegnazione dei fondi viene effettuata con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze.
  Per completezza di informazione, si fa presente che le risorse del Fondo unico di giustizia, relative agli anni 2010, 2011, 2012 e 2013, sono state destinate alla riassegnazione nelle stesse percentuali: il 49 per cento al Ministero della giustizia, un altro 49 per cento al Ministero dell'interno e un 2 per cento al bilancio dello Stato.
  Inoltre, si rappresenta che, tramite il sistema delle comunicazioni obbligatorie gestito dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, è possibile monitorare le storie occupazionali (perché ristrette nell'ambito del lavoro dipendente e parasubordinato) dei soggetti lavoratori ex dipendenti di aziende sottoposte a sequestro o confisca. Affinché, tecnicamente, ciò sia garantito, è necessario possedere l'informazione relativa al codice identificativo di dette aziende, da cui è possibile risalire all'individuazione dei suoi occupati (dipendenti o parasubordinati), condizionatamente al fatto che questi lavoratori abbiano iniziato il rapporto di lavoro in data successiva al 1o marzo 2008 – data d'inizio del sistema informatico delle comunicazioni obbligatorie con obbligo di comunicazione dei movimenti relativi al lavoro dipendente e parasubordinato sul territorio nazionale da parte dei datori di lavoro o dei soggetti delegati – ovvero che, alla stessa data, abbiano lasciato traccia di eventuali variazioni del rapporto di lavoro sul sistema informatico delle comunicazioni obbligatorie.
  Proposte normative, volte ad una diversa riassegnazione delle risorse disponibili del Fondo unico di giustizia, richiedono un ampio e complesso approfondimento, nonché una valutazione di natura tecnica da parte del Ministero dell'economia e delle finanze, per le necessarie coperture di settori che vedrebbero ridurre gli originari stanziamenti.
  Le richieste espresse, però, dall'onorevole Giammanco, volte a garantire una tutela ai lavoratori delle aziende confiscate alla criminalità organizzata mediante l'utilizzo, fra l'altro, del Fondo unico di giustizia, sono largamente condivise dal Governo. In effetti, la Presidenza del Consiglio dei ministri ha già da tempo allo studio la formulazione di norme nell'ambito di un ampio ventaglio di misure orientate a contrastare la criminalità organizzata, secondo proprio quanto rappresentato dall'interpellante.
  La predisposizione di siffatte norme è in uno stadio molto avanzato: infatti, in data 23 gennaio, il Presidente del Consiglio ha presentato il rapporto contenente le linee guida di una moderna politica antimafia, redatto dalla commissione per l'elaborazione di proposte per la lotta, anche patrimoniale, alla criminalità, istituita con decreto del 7 giugno 2013 dal Presidente del Consiglio.
  Il Governo pone la massima attenzione alla soluzione della questione evidenziata dall'onorevole Giammanco e saranno poste in essere tutte le iniziative in grado di tutelare il settore dei lavoratori in questo delicato contesto istituzionale.

  PRESIDENTE. Prima di dare la parola alla collega Giammanco, salutiamo gli alunni e le alunne della scuola primaria parificata «La nave», di Forlì, che stanno assistendo ai nostri lavori dalla tribuna: i lavori dell'Aula oggi non sono dedicati allo svolgimento di votazioni, ma solo alle interpellanze urgenti, in cui i singoli deputati rivolgono le loro domande al Governo, che è tenuto a rispondere; per questo l'Aula è vuota, perché oggi non vi sono votazioni. Buona giornata a tutti voi.Pag. 32
  L'onorevole Giammanco ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

  GABRIELLA GIAMMANCO. Signor Presidente, ringrazio il sottosegretario Amici, naturalmente mi ritengo abbastanza soddisfatta per la risposta, se non altro perché il sottosegretario ha colto effettivamente lo spirito di questa interpellanza, che andava oltre la richiesta precipua dell'interpellanza stessa, ma chiedeva anche una riflessione da parte del Governo, che lei rappresenta, su questo aspetto drammatico, cioè sul futuro che vede questi lavoratori senza prospettive occupazionali quando lavorano o hanno lavorato in un'azienda sequestrata o confiscata alla mafia.
  Lei, sottosegretario, ha parlato della possibilità di approfondire in maniera ampia questa problematica, di un approfondimento anche da parte del Ministero dell'economia e delle finanze e, quindi, mi auguro che davvero questo approfondimento vi sia, perché lei ha già detto che il Fondo unico per la giustizia è suddiviso in varie voci, al momento. Però, credo che davvero si debba lavorare affinché, anche per dare un segnale simbolico a tutti quelli che sono vittime di questo triste fenomeno, vi sia una risposta da parte dello Stato e del Governo per tutelare in ogni modo, nel modo che possiamo e nel modo migliore possibile, questi lavoratori.
  Infatti, davvero io credo – e lo voglio sottolineare nuovamente – che l'idea, drammatica, che un'azienda funzioni se è nelle mani dei boss e della criminalità organizzata, e vada in rovina se non ci sono più questi personaggi, sia un'idea abominevole che dobbiamo contrastare in tutti i modi. Ritengo, quindi, che sia necessario che, oggi più che mai, non si abbandonino i dipendenti delle aziende sottratte alla criminalità organizzata, perché, intanto è necessario scalfire l'enorme potere economico delle mafie sui territori nazionali, ma questo è necessario anche per non creare ulteriori vittime tra i lavoratori, ulteriori vittime che queste mafie hanno già creato e che creerebbero, andando a colpire ulteriormente, in modo così drammatico, famiglie, lavoratori, figli.
  Dunque, io la ringrazio per questa risposta e mi auguro che davvero questo Governo possa fare qualcosa in tal senso.

(Elementi ed iniziative in relazione alla pubblicazione di tre opuscoli dal titolo «Educare alla diversità a scuola» e in ordine alla possibile sostituzione del direttore dell'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali – n. 2-00427)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza Gigli n. 2-00427, concernente elementi ed iniziative in relazione alla pubblicazione di tre opuscoli dal titolo «Educare alla diversità a scuola» e in ordine alla possibile sostituzione del direttore dell'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo al deputato Gigli se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  GIAN LUIGI GIGLI. Signora Presidente, intendo illustrarla e richiamare i precedenti di questa vicenda.
  Tutto nasce da notizie di stampa che, attorno alla metà di giugno, hanno informato l'opinione pubblica dell'avvenuta pubblicazione di tre opuscoli, appunto, dal titolo: «Educare alla diversità a scuola», opuscoli che sono stati prodotti da un istituto di carattere psicologico denominato Istituto Beck, la cui autorità scientifica è, peraltro, del tutto autoreferenziale, in collaborazione con l'UNAR, l'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, che afferisce al Dipartimento per le pari opportunità e dipende quindi dalla Presidenza del Consiglio dei ministri.
  Questi opuscoli sono stati pubblicati sotto l'egida, con il finanziamento e con il logo della Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per le pari opportunità. Il contenuto, pieno di buone intenzioni, aveva a che fare, ovviamente, con la prevenzione del bullismo, con la prevenzione dei pregiudizi, con la prevenzione Pag. 33della discriminazione legata all'orientamento sessuale nella scuola, e quant'altro. In realtà, le pari opportunità, secondo gli autori dei tre volumetti – come è stato poi possibile verificare nei mesi successivi, a partire dal sito dell'Istituto Beck – consisterebbero nell'insegnare a tutti gli alunni, dalle elementari alle superiori – e sono contento che siano usciti da poco i ragazzini che assistevano, prima, ai nostri lavori –, che la famiglia padre-madre-figli sarebbe solo uno stereotipo da pubblicità, forse quella della Barilla, non lo so, che i due generi maschio e femmina sono una astrazione culturale, che leggere romanzi in cui i protagonisti sono eterosessuali costituirebbe una violenza, che la religiosità è un disvalore ed è la fonte prima della omofobia – quindi, mettendo in contraddizione anche i convincimenti religiosi degli alunni –, fino ad arrivare, poi, al ridicolo di censurare le favole in quanto appiattite sulla presentazione di solo due sessi, e non già di sei generi come previsto dal politically correct o a proporre problemi di matematica che invece di partire dalla classica situazione: Giovanni va al mercato con la mamma e con il papà e compra 24 uova, dicono: Giovanni va al mercato con i due papà e compra 24 uova, per poi invitare lo studente a eseguire i relativi calcoli.
  Bene, questi tre opuscoli si collocano in continuità con precedenti iniziative a carattere, mi sia consentito il termine, rieducativo, prodotte dallo stesso UNAR e dirette, non solo alle scuole, ma anche ai professionisti dell'informazione, per esempio, e alle aziende, in prospettiva.
  Ma rimaniamo adesso al tema della scuola, che è stato già oggetto di una interpellanza precedente a firma anche del sottoscritto, in questa stessa Aula, il 17 gennaio del 2014, a cui rispose allora il sottosegretario di Stato Rossi Doria. Questa vicenda, però, attualmente è forse ancora più grave. È forse ancora più grave perché si è verificata sfuggendo, probabilmente, alle stesse intenzioni del Governo e finendo per costituire un vero e proprio arbitrio portato avanti dal funzionario responsabile, dal direttore generale dell'UNAR, tant’è che, come risulta dagli organi di stampa, sia il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per bocca del sottosegretario di allora, Toccafondi, sia lo stesso Viceministro con la delega per le pari opportunità di quel tempo, la Viceministro Maria Cecilia Guerra, avevano preso le distanze dall'iniziativa, dichiarando che essa, in buona sostanza, era stata condotta e portata avanti senza la loro approvazione e senza che venisse nemmeno coinvolto il comitato attuativo paritetico che il protocollo di intesa tra l'UNAR e il MIUR prevedeva prima che potesse essere dato corso alla pubblicazione di questo materiale.
  Quindi, il funzionario incaricato dell'iniziativa aveva in qualche modo scavalcato l'organo istituzionale, scavalcato i suoi referenti politici producendo delle iniziative di grande rilievo esterno che andavano a toccare corde estremamente sensibili dell'opinione pubblica e della responsabilità educativa delle famiglie, su temi complessi, che avrebbero meritato ben altro coinvolgimento e ben altra condivisione, senza preoccuparsi, appunto, nemmeno del raccordo necessario con il vertice istituzionale, con il vertice politico che, stando almeno agli organi di stampa, sarebbero stati tenuti del tutto all'oscuro della vicenda.
  In particolare il Viceministro Guerra dava notizia, appunto, di aver richiesto in qualche modo addirittura dei provvedimenti contro questo funzionario, provvedimenti evidentemente a carattere disciplinare.
  Queste vicende hanno avuto una grande eco sui giornali, sono stato oggetto di lettere da parte di genitori, di associazioni e hanno prodotto oggettivamente un danno di immagine alle istituzioni. Qualcuno se ne deve essere anche vergognato, perché, dopo un po’ di tempo, dopo il clamore suscitato, evidentemente su pressione – deduco io – della Presidenza del Consiglio dei ministri, il sito dell'Istituto Beck è stato oscurato e dei tre opuscoli è rimasta solo la traccia dei titoli, i contenuti sono, al momento, spariti.Pag. 34
  Bene, io chiedo, appunto, al sottosegretario Amici, a nome della Presidenza del Consiglio dei ministri, quali iniziative a tutela della istituzione la Presidenza del Consiglio dei ministri abbia portato avanti, anche per dar seguito a quanto richiesto dal Viceministro Guerra e, in particolare, se siano previste sanzioni per questo funzionario che arbitrariamente, ripeto, si è fatto carico di iniziative che non gli competevano in alcun modo.
  Voglio sapere in particolare, sarei lieto di sapere in particolare se sia stato rescisso in qualche modo il rapporto con l'Istituto Beck; quali iniziative il Governo intenda porre in essere per rivalersi anche del danno economico, oltre che di immagine, che si è prodotto; e, in particolare infine, se questo funzionario possa – come io ritengo, debba – essere rimosso dal suo incarico per queste gravi mancanze che evidentemente avevano una sola finalità: una finalità a carattere ideologico che si inscrive in un discorso molto più ampio, che è quello della famosa strategia nazionale per la lotta contro la discriminazione, a proposito di orientamento sessuale, della quale eventualmente riaccenneremo poi, nella replica. Ringrazio il sottosegretario per la risposta che vorrà darmi.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Sesa Amici, ha facoltà di rispondere.

  SESA AMICI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Nella prima parte della illustrazione dell'interpellanza dell'onorevole Gigli sono già contenute implicitamente una serie di risposte, e io ne darò lettura, circa gli avvenimenti riportati dalla stampa, in particolare al momento della presa di posizione anche dell'allora Viceministro Guerra, rispetto alle questioni da lei sottoposte.
  Io credo però che nella risposta che noi diamo a questa interpellanza vadano ribaditi alcuni punti che rimangono uno dei punti di strategia attuati attraverso una direttiva europea contro i fenomeni di razzismo e antidiscriminazione che mettono questo Governo, come il Governo passato, in una condizione di attuazione di politiche attive per costruire un clima nel Paese, come del resto in tutta Europa, di lotta contro la discriminazione, che rimane un punto decisivo anche del rispetto delle persone dentro un quadro di democrazia avanzata.
  È per questo che io vorrei ricordare all'onorevole Gigli che l'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali è stato istituito con funzioni di controllo e di garanzia della parità di trattamento e dell'operatività degli strumenti di tutela, presso il Dipartimento per le pari opportunità – Presidenza del consiglio dei Ministri, attraverso il decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215, recante «Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica», ed ha in primo luogo il compito di svolgere, in modo autonomo e imparziale, attività di promozione della parità e di rimozione di qualsiasi forma di discriminazione fondata sulla razza o sull'origine etnica.
  Le direttive generali per l'azione amministrativa degli anni 2012 e 2013 del Ministro del lavoro e delle politiche sociali con delega alle pari opportunità, pro tempore, del 31 maggio 2012 e del 16 aprile 2013, hanno previsto l'assegnazione all'UNAR, in linea con l'impegno assunto dall'Italia a partire dal 2012 con l'adesione al programma «Combattere le discriminazioni basate sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere», promosso dal Consiglio d'Europa in attuazione della raccomandazione adottata dal Comitato dei Ministri, di obiettivi operativi rilevanti in materia di prevenzione e contrasto delle discriminazioni basate sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere e in particolare la realizzazione di un Programma di prevenzione e contrasto delle discriminazioni basate sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere e promozione dell'inclusione sociale delle persone – dico la sigla – LGBT.
  L'elaborazione di questo Programma, successivamente denominato «Strategia Pag. 35nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere», adottato con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali con delega alle pari opportunità pro tempore il 16 aprile 2013, è avvenuta attraverso la collaborazione delle diverse realtà istituzionali, delle associazioni LGBT e delle parti sociali. Sulla base delle analisi delle maggiori criticità esistenti nell'ambito considerato, sono stati individuati i quattro settori strategici di intervento e i relativi obiettivi e misure specifiche da mettere in campo per promuovere la parità di trattamento delle persone LGBT, quali: educazione e istruzione, lavoro, sicurezza e carceri, media e comunicazione. Si rappresenta, in particolare, che l'asse strategico «Educazione e istruzione» costituisce uno degli assi prioritari della Strategia di cui trattasi, in quanto la scuola svolge un ruolo fondamentale nella prevenzione e nel contrasto delle discriminazioni e per la promozione dei diritti umani, in funzione di una società aperta e pienamente inclusiva.
  In attuazione del Protocollo d'intesa siglato nel 2009 tra il Ministro con delega alle pari opportunità pro tempore e il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca pro tempore, e successivamente rinnovato il 30 gennaio 2013, ogni anno si svolge la «Settimana nazionale contro ogni forma di violenza e discriminazione», che coinvolge gli studenti, i docenti e famiglie delle scuole di ogni ordine e grado del territorio nazionale in attività di sensibilizzazione, informazione e formazione, realizzata in collaborazione con le istituzioni scolastiche e le associazioni LGBT relative alla prevenzione e al contrasto di ogni forma di violenza e discriminazione, compresa quella fondata sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere, con particolare attenzione ai fenomeni di bullismo a sfondo omofobico o transfobico.
  Nell'ambito di tali azioni si colloca il progetto «Educare alla diversità a scuola», che è stato commissionato dall'UNAR nel dicembre del 2012 all'Istituto A.T. Beck, scuola di specializzazione di psicoterapia accreditata dal Ministero dell'istruzione dal 2004, allo scopo di elaborare uno strumento di conoscenza e di supporto specialistico per le scuole sulle delicate tematiche della prevenzione e del contrasto dell'omofobia e del bullismo a sfondo omofobico. Il materiale prodotto dal citato Istituto Beck non è stato diffuso presso gli istituti scolastici, in quanto tali documenti devono essere sottoposti ad una specifica valutazione da parte del Comitato attuativo paritetico di cui agli articoli 6 e 7 del suddetto Protocollo di intesa siglato il 30 gennaio 2013 tra il Dipartimento pari opportunità e il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Tale valutazione dovrà essere posta in essere nel corso della prossima riunione utile del citato Comitato attuativo paritetico che, stante la sua composizione, determinerà anche il coinvolgimento del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca.
  L'UNAR ha autorizzato una diffusione parziale degli strumenti informativi da parte dell'istituto Beck, consistente nella pubblicazione del materiale sul sito di detto istituto, per il cui accesso e visualizzazione è necessario acquisire un'apposita password (sono stati connessi n. 40 accessi).
  Il Viceministro pro tempore, con delega alle pari opportunità, ha stigmatizzato, mediante nota di demerito, tale parziale diffusione del materiale sul sito dell'istituto Beck, mediante nota di demerito appunto, nella consapevolezza della delicatezza dei temi trattati e del mancato rispetto della suddetta procedura di valutazione degli strumenti prodotti.
  Per quanto attiene alle eventuali censure analoghe a quella richieste dal Viceministro pro tempore, con delega alle pari opportunità, irrogate durante precedenti incarichi presso altri uffici governativi, allo stato attuale questa amministrazione non ne è informata. Sotto il profilo disciplinare, che è un'altra delle richieste poste dall'interpellante, occorre ricordare che, in base alla normativa vigente, la valutazione è rimessa ad uffici competenti.Pag. 36
  Per quanto riguarda la richiesta relativa alla revoca dell'incarico del responsabile dell'UNAR, occorre ricordare che, in base alla normativa vigente, per il mantenimento o la revoca degli incarichi sussistono uffici preposti a tale valutazione.
  L'autorizzazione alla realizzazione del progetto è gravata su un capitolo del bilancio della Presidenza del Consiglio dei Ministri cui confluiscono, in base alle leggi vigenti, le risorse del Fondo di rotazione.
  L'affidamento di disporre di servizi da parte dell'istituto Beck ha riguardato solamente il progetto «Educare alla diversità a scuola». Il Governo, tuttavia, è ben consapevole della delicatezza dei temi e dell'ambito – educazione scolastica – in cui si agisce. È intenzione, pertanto, dello stesso Governo assicurare, anche mediante le procedure individuate dal citato protocollo d'intesa del 30 gennaio 2013, un'attenta gestione delle tematiche in questione.

  PRESIDENTE. Il deputato Gigli ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

  GIAN LUIGI GIGLI. Signor Presidente, la ringrazio sottosegretario Amici, ma la sua risposta non mi tranquillizza per niente, anche perché lei ha confermato, appunto, che questi punti sui quali adesso tornerò brevemente sono parte effettivamente di una strategia del Governo.
  È proprio questa strategia che mi preoccupa, perché questa strategia nazionale e il suo programma 2013-2015, in realtà, come dicevo, si propone di rieducare l'Italia, ma non a eliminare le discriminazioni. Su questo siamo tutti d'accordo: nessuno di noi vuole discriminare nessuno, nessuno di noi vuole esercitare violenza su nessuno. Quello che qui si contesta è che si vuole ricostruire, attraverso l'ideologia del gender, un'antropologia, una cultura che è fortemente contestata in questo Paese, di cui evidentemente il Governo si sente, invece, in dovere di fare azione di promozione.
  Avevo già richiamato in questa sede proprio la vicenda, per esempio, dei giornalisti, definendola un'iniziativa degna del Minculpop. Questa mattina io ero nel mio ufficio e ho sentito l'onorevole Roccella che interpellava il Governo riguardo al problema degli uteri in affitto, coppie italiane che vanno in Ucraina piuttosto che in India per utilizzare delle donne, con una mentalità neocolonialistica, appunto, a fare da incubatrici per figli prodotti in provetta. Ebbene, secondo il Minculpop dell'UNAR questo tipo di iniziativa adesso si deve chiamare non più «utero in affitto», che è «politically scorrect». Si deve chiamare «maternità per altri». Quindi, un'impresa estremamente altruistica, non neocolonialistica, e potremmo andare avanti con gli esempi.
  Veniamo alle aziende. Dobbiamo pensare al diversity management, alla certificazione gay friendly per le aziende, e chi si azzarda a promuovere – ripeto: vedi vicenda Barilla – altri modelli evidentemente rischia di finire nel tritacarne del boicottaggio o dell'insulto. Sono previste borse di lavoro – sono suggerite almeno – ed accesso al credito agevolato addirittura.
  Ora, qui non si tratta più di discriminazione, qui si sta promuovendo evidentemente un qualcosa che, però, nell'ambito dell'educazione risulta particolarmente pericoloso ed è in contrasto netto, evidentemente, con la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo innanzitutto, che all'articolo 18, come lei sa, prevede che i genitori hanno diritto di priorità nella istruzione da impartire ai propri figli e io non vorrei che a mio figlio venisse impartita quel tipo di educazione, se va nella scuola di Stato, come va.
  E andiamo avanti: evidentemente si sta andando oltre anche nella stessa Europa, la quale nella raccomandazione del 2010 del Consiglio dei Ministri del Consiglio d'Europa – tra l'altro il documento dell'UNAR è emanazione anche di questa raccomandazione – invita a tener conto del diritto dei genitori di curare l'educazione dei propri figli nel predisporre e attuare politiche scolastiche e piani di azione per promuovere l'uguaglianza. Quindi, la responsabilità della famiglia viene assolutamente prima.Pag. 37
  Ora, come dobbiamo valutare, viceversa, gli opuscoli del Ministero dell'istruzione – si intitolano: «Tante diversità, uguali diritti» – nei quali si dice che vengono accreditate presso il MIUR, in qualità di enti di formazione, le associazioni LGBT, viene prevista nei curricula scolastici l'integrazione delle materie antidiscriminatorie sui temi LGBT, vengono dati crediti sia agli studenti sia agli insegnanti e ai dirigenti sulle materie focalizzate appunto dalle associazioni LGBT, vengono predisposte e fornite bibliografie e filmografie su questi argomenti ?
  Evidentemente, stiamo parlando di qualcosa che ha a che fare, come dicevo prima, con un processo di rieducazione. Io non so, per esempio, se questi crediti siano stati concessi adesso anche per la tournée di un ex parlamentare di questa Camera, che sta girando come conferenziere nelle scuole italiane, per corsi di indottrinamento, oppure per iniziative come quelle richiamate nell'interpellanza immediatamente successiva a questa (che però ho appreso ora che è stata rinviata ad altra data), presentata dall'onorevole Pagano, che hanno coinvolto la scuola di Settimo Torinese con azioni di drammatizzazione degli studenti, su iniziativa appunto dell'insegnante, della serie: tra tutte le femmine si grida: «Sonia può amarmi» e tra i maschi: «Fabio può amarmi»; e a tutti quelli che dissentono si dice: siete dei veri egoisti e senza amore.
  Queste sono le iniziative che stanno adesso travalicando, travasandosi nelle nostre scuole.
  Allora, questo non c'entra nulla, secondo me, con quello che è il problema di combattere il bullismo e la discriminazione. Io credo che qui ci sia il progetto di rieducare un intero Paese, attraverso la scuola in particolare, ma anche attraverso i giornali e attraverso le aziende, a una visione del matrimonio e della verità antropologica sulla natura dei sessi e ad una visione della religione come principale istigatore della omofobia e, quindi, dei credenti tutti come possibili omofobi.
  Ora, se tutto questo poi venisse in futuro a combinarsi con la legge antiomofobia e, quindi, con il diritto poi di criticare eventualmente e di opporsi, come ci stiamo opponendo in questo momento a queste iniziative, allora noi avremmo finito per realizzare le condizioni ottimali per imporre, con questa azione concertata, una vera e propria ideologia, l'ideologia del gender, tagliando nel frattempo le gambe ad ogni possibile forma di resistenza innanzitutto culturale.
  È significativo – io riparto adesso dalle sue parole, che oggi gentilmente mi ha rivolto – che lei affermi che siano state coinvolte le parti sociali nella produzione di questo materiale. A me risulta, dalla pubblicazione almeno che ne è stata fatta sul sito dell'UNAR, che sono state coinvolte solo ventinove associazioni LGBT, tutte con nome, cognome ed indirizzo. Non è stata coinvolta nessuna associazione di familiari, non è stata coinvolta nessuna associazione di insegnanti, non è stata coinvolta nessuna associazione di studenti, non sono stati coinvolti certamente né sindacati né Confindustria, se per parti sociali intendeva questo.
  Il materiale peraltro non aveva una circolazione limitata. Io l'ho scaricato dal sito dell'Istituto Beck, non so in che forme, ma certamente non avevo nessuna password per visionare questo materiale.
  Quanto alla nota di demerito a cui lei ha fatto riferimento, confermando quello che sapevamo dal Viceministro Guerra, non ha però risposto se ci sia stata poi azione disciplinare o meno nei confronti di questo funzionario, che cosa la commissione disciplinare eventualmente interpellata, e se interpellata, abbia deciso al suo riguardo.
  Penso che lei questo intendesse come valutazione degli uffici competenti, però non mi ha detto qual è stata alla fine questa valutazione.
  Termino, dicendole che, evidentemente, al di là di questi rilievi che rischiano di rimanere solo formali e, peraltro, di insabbiarsi – questo è il mio timore – dietro la valutazione degli uffici competenti, io credo vi sia molto da preoccuparsi. E se l'azione di questo Governo dovesse continuare su questa strada, sarebbe per me Pag. 38personalmente, almeno, un motivo serio per ripensare il sostegno che, lealmente e convintamente, sto dando nell'azione parlamentare. Anche perché sarebbe necessario, in tutta coscienza, esercitare una resistenza culturale, arrivando fino a sabotare queste iniziative, che stanno prendendo piede, diffondendosi capillarmente in tutto il territorio nazionale; tenendo conto del fatto che, in questo Paese, la scuola è al 95 per cento una scuola di Stato, anche questo per scelta ideologica e, quindi, chi ci finisce dentro, se questo rientra nei curricula, se questo rientra nei crediti formativi, finisce per forza di cose per essere sottoposto ad un autentico lavaggio del cervello propagandato dalle associazioni LGBT. Noi con questo non vogliamo avere niente a che fare e mi auguro che il Governo voglia ripensare questa linea.

  PRESIDENTE. Saluto gli alunni e le alunne della Direzione didattica statale I Circolo «Luigi Settembrini» di Maddaloni, in provincia di Caserta, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
  Saluto altresì gli alunni e le alunne del II Circolo didattico della scuola «Santa Caterina» di Foligno, che è anche la mia città: se mi consentite, un saluto particolare a voi.
  Quest'Aula è vuota, ragazzi, perché oggi non ci sono votazioni e, quindi, i colleghi che sono stati qui questa mattina avevano delle domande da porre al Governo, che è qui rappresentato dalla sottosegretaria Amici: fanno le loro domande, il Governo risponde. Questa è l'ultima interpellanza che abbiamo, quindi, siete arrivati poco prima della chiusura dei lavori.

(Rinvio dell'interpellanza urgente Pagano – n. 2-00443)

  PRESIDENTE. Avverto che, su richiesta dei presentatori e con il consenso del Governo, lo svolgimento dell'interpellanza urgente Pagano n. 2-00443 è rinviato ad altra seduta.

(Chiarimenti in merito ad operazioni relative al transito di materiale presumibilmente radioattivo presso l'arsenale di La Spezia – n. 2-00448)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Migliore n. 2-00448, concernente chiarimenti in merito ad operazioni relative al transito di materiale presumibilmente radioattivo presso l'arsenale di La Spezia (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo al deputato Quaranta se intenda illustrare l'interpellanza di cui è cofirmatario o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  STEFANO QUARANTA. Signor Presidente, questa interpellanza, come si diceva, ha per oggetto il transito di materiale radioattivo dall'arsenale di La Spezia. Io credo che, per entrare nel merito di questa interpellanza, sia importante capire il contesto più generale e legare contesto, fatti e reazioni dell'opinione pubblica.
  Il tema riguarda il rapporto tra salute, ambiente e sicurezza dei cittadini e l'allarme sociale che, spesso, questi temi comportano se non c’è un'adeguata opera di informazione e di trasparenza. Tra l'altro, il contesto della mia regione, in questo momento, è particolarmente delicato, perché si sommano nel tempo, ormai diverse vicende che riguardano i temi dell'ambiente.
  Non penso solo alle note alluvioni di Genova e delle Cinque terre, al tema del dissesto idrogeologico, alla frana che, recentemente, fece deragliare il treno ad Andora, ma anche alla centrale elettrica a carbone «Tirreno Power» di Vado, su cui la magistratura è intervenuta, la centrale ENEL di La Spezia, che rischia di essere un caso anche questo, anche sulla base delle segnalazioni di molte associazioni ambientaliste, al tema più in generale dei rifiuti, della discarica di Pitelli e alle recenti rivelazioni di boss che paventano in Liguria una sorta di nuova «Terra dei fuochi». Insomma, la Liguria rischia di essere un po’ la terra dei veleni: la regione ha segnalato ben 122 siti da bonificare. Pag. 39C’è, poi, tutto il tema delle opere infrastrutturali, il rischio amianto, eccetera.
  Questo per dire che ciò che è successo la notte di lunedì 3 marzo è, appunto, da collocarsi in questo contesto.
  I fatti brevemente sono questi: una nave attracca al molo dell'arsenale di La Spezia ed imbarca un carico nella massima segretezza e con un eccezionale dispiegamento di forze e mezzi per garantire la sicurezza. La cosa avviene in una banchina che si trova di fronte al borgo di Marola, che è una frazione del comune di La Spezia, peraltro duramente penalizzato in questi anni proprio dalla presenza dell'arsenale, al punto di non avere più sostanzialmente un accesso diretto al mare, essendo proprio prospiciente e legato anche fisicamente in qualche modo all'arsenale.
  I cittadini si sono trovati di fronte ad uno spettacolo che era il seguente, senza alcuna informazione ovviamente: uomini al lavoro di notte con tute e maschere, tipo astronauti, per capirci, mezzi militari e vigili del fuoco. Il prefetto, sollecitato successivamente, pur a conoscenza dell'operazione, in una prima fase non ha ritenuto di comunicare alcunché e il Ministero della difesa ha dichiarato che questa era un'operazione che non li riguardava direttamente, ma che avevano messo a disposizione semplicemente l'area militare.
  Vi sono poi state successivamente, a commento dei fatti, le dichiarazioni del Ministro Orlando – che oltre che essere ex Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, è anche spezzino e quindi, per così dire, conoscitore del territorio ligure – il quale dichiara: bisogna avere il coraggio di guardare in faccia la realtà; in Italia molti siti, in cui sono stoccati i materiali nucleari, non ce la fanno più; i trasporti di scorie radioattive sono destinati a continuare. E ancora: ci sono stati casi in cui si sono evidenziate crepe e cedimenti, altri in cui si sono registrate fuoriuscite di sostanze radioattive. E ancora: i trasporti di materiale nucleare saranno sempre più frequenti.
  Quindi questo è un po’ il contesto. Allora io credo, noi crediamo, con questa interpellanza che occorra fare un'operazione di verità, che non può essere lasciata, a nostro giudizio, al lavoro encomiabile dei mezzi di informazione, e mi piace citare in questa circostanza il giornale della Liguria, Il Secolo XIX, che ha svolto un'operazione di trasparenza molto importante. Noi crediamo che le ragioni della sicurezza, che pure sono comprensibili in questo tipo di operazioni, non possano andare a discapito e non possano limitare le ragioni della trasparenza, soprattutto in circostanze come queste, dove i cittadini vedono con i loro occhi direttamente tutto ciò che succede, e naturalmente tutto ciò non può andare a discapito dei controlli e delle garanzie per la salute dei cittadini.
  Quindi abbiamo chiesto in quest'interpellanza di quale operazione esattamente si sia trattato, se si tratti di un caso isolato oppure se ci saranno altri casi di questo genere, da dove e per dove questi materiali saranno inviati, quali rischi appunto per la salute e per i cittadini e quali iniziative i ministri competenti intendano assumere per evitare che operazioni di questo genere abbiano rischi concreti e soprattutto si ingeneri quest'allarme sociale pubblico, che credo che sia l'ultima cosa che ci possiamo permettere in una fase come questa. Ringrazio fin d'ora la sottosegretaria per la risposta.

  PRESIDENTE. Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Sesa Amici, ha facoltà di rispondere.

  SESA AMICI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, l'operazione, alla quale fanno riferimento gli interpellanti e l'illustrazione del collega e di altri, ha interessato il territorio della provincia di La Spezia, dove è stato effettuato un trasporto stradale e marittimo di sostanze fissili non irraggiate per usi civili, provenienti da un deposito nazionale.
  Tali attività sono state seguite dalla Sogin Spa (Società gestione impianti nucleari), in base agli impegni presi dall'Italia Pag. 40in occasione del vertice sulla sicurezza nucleare, svoltosi a Seoul il 27 marzo 2012 per il trasporto di materiale sensibile nell'ambito dell'Accordo internazionale tra gli Stati Uniti e la Comunità europea dell'energia atomica (Euratom).
  Dagli accertamenti disposti è emerso che tali operazioni sono state effettuate nel massimo rispetto di tutte le prerogative di tutela per l'ambiente e per la sicurezza dei cittadini. L'ISPRA, Dipartimento nucleare, rischio tecnologico e industriale, organo competente del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ha svolto le attività di controllo derivanti dai compiti ad esso attribuiti dalla legislazione vigente, quale autorità nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione, con riferimento alle installazioni nucleari, alle materie nucleari ed alle sorgenti di radiazioni ionizzanti in genere.
  In particolare, i tecnici dell'ISPRA hanno verificato il rispetto degli elevatissimi standards di sicurezza prescritti nelle autorizzazioni e nelle pianificazioni predisposte in via generale dalla prefettura e pubblicate sul sito web istituzionale. Le attività di trasporto sono state effettuate da un vettore autorizzato ed il materiale è stato imbarcato per ragioni di sicurezza all'interno della base navale della marina militare su una nave mercantile attrezzata per questo tipo di trasporto. Le caratteristiche dei contenitori utilizzati, nonché le modalità di svolgimento delle attività di trasferimento, hanno reso nulla l'esposizione alle radiazioni ionizzanti nonché altamente improbabile il verificarsi di un incidente.
  Al riguardo l'ISPRA ha comunicato che sono stati effettuati rilievi radiometrici ambientali prima, durante e dopo le operazioni senza che venissero evidenziate anomalie. L'operazione è avvenuta nel totale rispetto della normativa nazionale ed internazionale in materia di sicurezza e protezione civile, in base ad un dispositivo che ha visto impiegate le forze di polizia, i vigili del fuoco, la Capitaneria di porto, con l'assistenza logistica della Marina militare.
  La prefettura, interessata in ragione dell'itinerario prescelto, ha assolto all'obbligo generale di adozione del piano di emergenza provinciale, previsto dal DPCM 10 febbraio 2006, recante le linee guida per assicurare la protezione della popolazione e dei beni dagli effetti dannosi derivanti da un incidente che si verifichi nel corso del trasporto di materie radioattive.
  Per quanto riguarda l'attività di informazione il richiamato DPCM prevede che la stessa venga effettuata nei confronti della popolazione effettivamente interessata dall'emergenza radiologica, soltanto nel caso di incidente durante il trasporto.
  Inoltre, è bene evidenziare che il trasporto è stato effettuato tenendo conto dei più recenti standard dell'Agenzia internazionale dell'energia atomica, inclusi gli elevati profili di riservatezza nella gestione delle informazioni. Tali cautele sono adottate al fine di prevenire ogni possibile azione illecita finalizzata all'appropriazione del materiale ovvero azioni di sabotaggio. Peraltro, la garanzia di un elevato livello di riservatezza costituisce anche uno dei requisiti richiesti dagli accordi internazionali stipulati per tali operazioni.
  Si assicura, pertanto, che nella circostanza sono state promosse tutte le iniziative utili affinché il trasporto venisse effettuato in regime di massima sicurezza e con l'adozione dei previsti dispositivi di prevenzione per la tutela della popolazione e del personale impiegato nei servizi di scorta e di sicurezza.

  PRESIDENTE. Il deputato Quaranta ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta.

  STEFANO QUARANTA. Signor Presidente, intanto ringrazio la sottosegretaria Amici, che è sempre molto puntuale nelle sue risposte. Io sono soddisfatto per la parte che concerne la sicurezza, nel senso che i livelli standard a cui faceva riferimento la sottosegretaria rassicurano, da questo punto di vista.
  Sono un po’ meno soddisfatto dal punto di vista dell'informazione. Infatti, Pag. 41vede, io capisco che ci sia un'esigenza legata alla sicurezza, però almeno subito dopo – mettiamola così – l'informazione dovrebbe essere totale, trasparente e approfondita. Dare la sensazione, invece, che non si vogliano dare delle informazioni, nemmeno subito dopo, quando le ragioni di sicurezza non sussistono più, rischia di essere davvero grave, perché ingenera questo allarme sociale che, per i tanti casi che le citavo prima, davvero crea un rapporto difficile tra istituzioni e cittadini.
  Mi permetto poi di aggiungere una cosa, soprattutto sulla base del ragionamento corretto, credo corretto – che faceva il Ministro Orlando. Se c’è poi un problema di carattere più generale, nazionale ? Io credo che su questi temi occorrerebbe fare un'operazione anche qui di trasparenza. Sarebbe importante che questo tema dello smaltimento delle scorie – adesso lo banalizzo un po’ in questi termini – diventasse davvero un tema nazionale, perché forse allora i cittadini capirebbero che si sta svolgendo comunque qualche cosa di importante per la sicurezza del nostro Paese e, quindi, anche i singoli casi non sarebbero vissuti come una vessazione per i singoli territori, ma come parte di un progetto che mette in sicurezza il territorio nazionale.
  Quindi, io penso che non si debba mai avere paura di dare informazioni, della trasparenza, dell'apertura massima nei confronti dei cittadini. E, quindi, invito, se non altro da questo punto di vista, a cambiare un pochino registro, perché questo episodio che abbiamo voluto segnalare non è stato condotto nella maniera più felice.

  PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze urgenti all'ordine del giorno.

Modifica nella composizione della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere.

  PRESIDENTE. Comunico che la Presidente della Camera ha chiamato a far parte della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, il deputato Gaetano Piepoli, in sostituzione del deputato Lorenzo Dellai, dimissionario.

Modifica nella composizione della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi.

  PRESIDENTE. Comunico che la Presidente della Camera ha chiamato a far parte della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi la deputata Lorenza Bonaccorsi, in sostituzione del deputato Pierdomenico Martino, dimissionario.

Ordine del giorno della prossima seduta.

  PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

  Lunedì 17 marzo 2014, alle 11:

  1. – Discussione del disegno di legge:
   S. 1254 – Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 23 gennaio 2014, n. 3, recante disposizioni temporanee e urgenti in materia di proroga degli automatismi stipendiali del personale della scuola (Approvato dal Senato) (C. 2157).
 — Relatori: Incerti, per la maggioranza; Chimienti, di minoranza.

  2. – Discussione del disegno di legge:
   Conversione in legge del decreto-legge 28 gennaio 2014, n. 4, recante disposizioni urgenti in materia di emersione e rientro di capitali detenuti all'estero, nonché altre disposizioni urgenti in materia tributaria e Pag. 42contributiva e di rinvio di termini relativi ad adempimenti tributari e contributivi (C. 2012-A).
  — Relatori: Sanga, per la maggioranza; Busin, di minoranza.

  3. – Discussione della proposta di legge:
   FIORONI ed altri: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro (C. 1843-A).
  — Relatore: Sisto.

  4. – Discussione delle mozioni Binetti, Balduzzi ed altri n. 1-00094, Dorina Bianchi ed altri n. 1-00281, Rondini ed altri n. 1-00373, Nicchi ed altri n. 1-00375, Palese e Fucci n. 1-00376, Lenzi ed altri n. 1-00377 e Silvia Giordano ed altri n. 1-00378 concernenti iniziative in materia di malattie rare.

  La seduta termina alle 12,10.

ERRATA CORRIGE

  Nel resoconto stenografico della seduta dell'11 marzo 2014:

   a pagina 133, seconda colonna, diciannovesima riga, il nome «STEFANO DAMBRUOSO» si intende sostituito dal seguente: «GIUSEPPE D'AMBROSIO».