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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 27 di lunedì 3 giugno 2013

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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LAURA BOLDRINI

  La seduta comincia alle 14,10.

  ANNA MARGHERITA MIOTTO, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 28 maggio 2013.
  (È approvato).

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Angelino Alfano, Alfreider, Amici, Archi, Baretta, Berretta, Bocci, Borletti Dell'Acqua, Bray, Brunetta, Caparini, Capezzone, Carrozza, Casero, Cirielli, D'Alia, Dambruoso, De Girolamo, Dell'Aringa, Dellai, Fassina, Ferranti, Fontanelli, Formisano, Fraccaro, Franceschini, Alberto Giorgetti, Kyenge, Legnini, Letta, Lupi, Merlo, Migliore, Orlando, Pisicchio, Pistelli, Rigoni, Santelli e Speranza sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
  Pertanto i deputati in missione sono complessivamente quarantatré, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

  Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione delle mozioni Speranza ed altri n. 1-00039, Binetti ed altri n. 1-00036, Locatelli ed altri n. 1-00040, Brunetta ed altri n. 1-00041, Migliore ed altri n. 1-00043 e Mucci ed altri n. 1-00042 concernenti iniziative volte al contrasto di ogni forma di violenza nei confronti delle donne (ore 14,15).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Speranza ed altri n. 1-00039 (Nuova formulazione), Binetti ed altri n. 1-00036 (Nuova formulazione), Locatelli ed altri 1-00040 (Nuova formulazione), Brunetta ed altri n. 1-00041 (Nuova formulazione), Migliore ed altri n. 1-00043 (Nuova formulazione) e Mucci ed altri n. 1-00042 (Nuova formulazione) concernenti iniziative volte al contrasto di ogni forma di violenza nei confronti delle donne (Vedi l'allegato A – Mozioni).
  Lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 30 maggio 2013.
  Avverto che è stata altresì presentata la mozione Rondini ed altri n. 1-00063 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente. Il relativo testo è in distribuzione (Vedi l'allegato A – Mozioni).

(Discussione sulle linee generali)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  È iscritta a parlare la deputata Fabrizia Giuliani, che illustrerà anche la mozione Speranza ed altri n. 1-00039 (Nuova formulazione), di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

  FABRIZIA GIULIANI. Gentile Presidente, onorevoli colleghi, la scorsa settimana Pag. 2abbiamo discusso e approvato la ratifica della Convenzione di Istanbul, nella quale il Consiglio d'Europa ha stabilito le linee di indirizzo sulla prevenzione e la lotta contro la violenza e la violenza domestica. Nella discussione e nel voto si è espresso un intento di condivisione importante. In questo dato io leggo la comprensione del rilievo politico e civile della lotta al femminicidio.
  Io credo che con questa discussione noi segniamo un altro passo significativo. Abbiamo la traduzione sul piano nazionale delle politiche d'attuazione che le linee stabilite a Istanbul richiedono. Considero questo atto come un atto di responsabilità ed auspico che prosegua con lo stesso spirito di condivisione. Non ripeto quanto già abbiamo affermato nella seduta dedicata alla ratifica. Richiamo solo il punto che a me pare più rilevante sotto il profilo giuridico e soprattutto sotto il profilo politico, ossia il nesso, tutt'altro che neutrale, tra godimento dei diritti umani, pienezza della cittadinanza e qualità dello spazio democratico.
  Lo sviluppo della cittadinanza femminile – e lei lo sa molto bene perché lo ha ripetuto molte volte – è il risultato di una storia complessa, segnata da una progressione di conquiste e di diritti, civili e politici, ma proprio la storia europea ci racconta come l'esercizio di questa cittadinanza, se la intendiamo nel suo significato più ricco, non sia da intendersi solo come mera fruizione di diritti, ma come intervento attivo nelle scelte e negli orientamenti civili, a cominciare dalla consapevolezza e dalla lotta per la loro piena applicazione.
  È in questa prospettiva che si deve guardare per comprendere il percorso compiuto in Europa per il contrasto alla violenza sulle donne e così, a mio avviso, si deve agire.
  Si deve agire a livello nazionale per individuare linee di intervento. Il percorso del Consiglio d'Europa mostra infatti che, nonostante una ricca e articolata produzione di studi, ricerche, poi tradotte in risoluzioni e raccomandazioni, ciascun Paese e segnatamente il nostro Paese, segnatamente l'Italia, sia ancora segnata dalla difficoltà, quando non dall'incapacità, di incidere su una effettiva regressione del fenomeno. La Convenzione che fa seguito alla raccomandazione del Consiglio d'Europa del 2002, dove si delinea un primo importante atto di analisi e definizione del fenomeno, introducendo un approccio globale e trasversale, è il primo strumento vincolante per gli Stati aderenti.
  Qui si stabilisce con nettezza la correlazione tra l'atto violento nelle diverse forme che può assumere e l'essere una donna o il diventare una donna della vittima. Si esplicita insomma con grande chiarezza e forza il ruolo giocato dalle forme di complicità culturale, di tolleranza diffusa verso forme di abuso e sopraffazione, complicità che si traduce praticamente in assenza di riconoscimento e di difesa. La questione del riconoscimento io credo sia un punto davvero cruciale. Le conquiste di cittadinanza che ho prima evocato raccontano come sia stato accidentato il cammino che ha portato il diritto a rispettare sino in fondo l'integrità, la dignità e la libertà delle donne. Sono conquiste recenti. È qui che dobbiamo guardare per comprendere quanto sia ancora difficile riconoscere la violenza quando si presenta nell'esperienza quotidiana di ogni donna, anche oggi che le donne sono più forti nei livelli di istruzione e più indipendenti. L'esperienza della Gran Bretagna, cui so che lei ha dedicato grande attenzione, segnala molto nettamente questo punto. Se vogliamo individuare linee di indirizzo per la nostra azione di contrasto a livello nazionale, come Partito Democratico noi pensiamo che si debba partire da qui. Vado veloce: prevenzione, quindi media, stereotipi, politiche di uguaglianza di genere, educazione. Questo il terreno della prevenzione: l'educazione, è una parola chiave. Cito un famoso autore italiano: se educate un uomo, educate una singola persona; se educate una donna, educate un'intera nazione.
  Protezione: qui è strategico il ruolo della formazione professionale. Lo Stato Pag. 3deve assicurare la formazione di figure professionali in grado di affrontare il fenomeno in tutti gli aspetti coinvolti. Figure che si occupino delle vittime e degli autori dei maltrattamenti. Occorre prevenire sulle donne ma soprattutto sugli uomini come autori dei maltrattamenti per prevenire il fenomeno della vittimizzazione secondaria.
  Cooperazione coordinata interistituzionale per consentire una gestione globale adeguata e ovviamente – e questo è il punto chiave – chiediamo di individuare tutte le risorse economiche e finanziarie atte a ripristinare il Fondo contro la violenza delle donne, finalizzato proprio all'informazione, alla prevenzione, alla sensibilizzazione nei confronti del fenomeno nonché al sostegno finanziario dei centri antiviolenza e delle case-rifugio. E poi il monitoraggio: gli operatori del settore insistono da tempo su questo. Occorre consentire di istituire in tempi rapidi un osservatorio permanente sulla violenza contro le donne nel quale convergano flussi stabili di dati sulla violenza provenienti da vari Ministeri, dall'ISTAT, dai centri antiviolenza, insomma da soggetti che sono pubblici e privati. Affrontare in modo efficace e condiviso la lotta contro la violenza è una battaglia di civiltà. Ma io credo soprattutto che è una responsabilità di tutti, donne e uomini; se non vogliamo più vedere invocati i sentimenti o le passioni per coprire gli abusi è tempo di prendercela, questa responsabilità, tutti insieme (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Binetti, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00036 (Nuova formulazione). Ne ha facoltà.

  PAOLA BINETTI. Signor Presidente, Ministro, colleghi, colleghe, è la terza volta, nell'arco di dieci giorni, che in quest'Aula parliamo di violenza contro le donne e probabilmente non sarà neppure l'ultima, se davvero vogliamo arrivare ad approvare un disegno di legge contro la violenza femminile nell'arco di questa legislatura.
  Pochi giorni fa, il Ministro per le pari opportunità, la nostra Ministra presente in questo momento in Aula, ha risposto ad una mia interpellanza su questo stesso tema. Lunedì scorso è iniziato il dibattito che ha accompagnato l'approvazione della legge di ratifica della Convenzione di Istanbul, conclusasi martedì con un consenso unanime, e oggi sono in discussione le nostre mozioni. Mi sarei aspettata di trovare la mia mozione al primo posto, perché, come fanno fede le date che sono riportate nel fascicolo, è stata presentata il 14 maggio, mentre quella del collega Speranza il 15 maggio. Ho pensato che fosse un piccolo sgambetto maschile ad una mozione che aveva una prima firma femminile.
  Comunque, queste nostre mozioni che sono oggi in discussione rivelano l'interesse che c’è per questo tema. Ogni gruppo ne ha presentata una per contrastare la violenza femminile fino alla sua forma più grave: l'uccisione della donna, il cosiddetto femminicidio. Un omicidio che, spesso, ha come causa futili motivi e, come mezzi, va dalle percosse dirette all'uso dell'arma da fuoco, con una violenza senza limiti che sorprende e sconcerta. Cause e modalità che da sole basterebbero per chiedere un inasprimento delle pene forte e deciso.
  Nell'analizzare il fenomeno della violenza alle donne, infatti, si deve tener conto che il più delle volte non si tratta solo di un'aggressione individuale, ma che ci troviamo innanzi ad un fenomeno di dimensioni sociali a cui concorrono moltissime cause; un fenomeno a carattere trasversale che colpisce tutti i ceti e gli ambienti socio-economici e, spesso, ha la sua insorgenza proprio nella famiglia. Circostanza questa che mi colpisce particolarmente, perché, se è vero che non è certo la prima volta che l'Italia si trova a dover affrontare pesanti crisi economiche, tutti concordano, però, nel dire che, in passato, una delle forze, forse la principale su cui gli italiani hanno sempre potuto contare per ricostruire una società migliore, è stata la famiglia, un'istituzione in cui la solidarietà interna ha attutito e contrastato la durezza delle condizioni esterne.Pag. 4
  Oggi la violenza al suo interno segnala che alcuni membri della famiglia non sono più in grado di sostenere il peso delle sconfitte individuali e degli smottamenti sociali; e crescono anche fenomeni di violenza estrema che mostrano sempre più frequenti casi di femminicidio e, purtroppo, funestano le pagine dei giornali. Sempre più spesso, la violenza morale, psicologica e fisica, anche di natura sessuale, da parte del partner, è un modo di riappropriarsi di un ruolo gerarchicamente dominante che si ritiene perduto. Alla base di questi atti di violenza vi è, quindi, un fenomeno culturale che le disposizioni legislative, comprese quelle penali, non possono contrastare in maniera decisiva.
  L'importanza della prevenzione è fondamentale. La violenza contro le donne, per essere combattuta concretamente ed efficacemente, ha bisogno di un cambiamento culturale nel rapporto tra i sessi. In questo campo, un ruolo importante può essere svolto dalla scuola con iniziative di sensibilizzazione e di formazione e promozione della soggettività femminile. È di oggi, su tutti i giornali, la notizia che il Ministro della cultura inglese ha inviato a tutti i genitori una sorta di istruzioni per l'uso su come implementare i processi di empowerment nelle figlie femmine, perché sappiano e possano in qualche modo farsi carico anche della dignità del loro ruolo.
  Oggi, la violenza contro le donne, per essere combattuta concretamente ed efficacemente, ha quindi bisogno di un cambiamento culturale, perché non sempre lo Stato è in grado di prevenire, proteggere e tutelare la vita delle donne che vivono forme diverse di discriminazione e di violenza durante la loro vita. Le cifre lasciano sgomenti e la settimana scorsa abbiamo avuto una sequenza lunga di narrazioni, soprattutto, se teniamo conto, per lo meno non dimentichiamo, che, dall'inizio dell'anno ad oggi, sono state almeno 50 le vittime di questo drammatico omicidio e la cosa più grave, come è stato detto, è che il 70 per cento di loro aveva denunciato – in questo caso, possiamo dire aveva avuto il coraggio di denunciare – il proprio assassino per stalking, maltrattamenti e abusi.
  Ciò che emerge e fa più orrore è che il maggior numero di violenze sessuali è messo in atto da un uomo che la donna conosce. Di solito, infatti, i responsabili di questi reati sono persone che dichiarano di amare le loro donne: mariti lasciati, fidanzati traditi, che non accettano la fine di una storia. È la difficile linea di separazione tra la violenza individuale e una violenza sociale e culturale di un Paese che, in qualche modo, considera la donna oggetto, possesso e non soggetto a pari dignità, un interlocutore pari da poter guardare negli occhi. Tutto ciò indipendentemente da caratteristiche come l'età, la nazionalità, lo status sociale, il carattere, l'istruzione e l'occupazione.
  Per farsi un'idea più chiara di questo fenomeno, che sembra essere in ascesa, occorre aggiungere anche i tentati femminicidi, che erano fino a pochi giorni fa almeno 40, e dei quali meno notizia giunge fino a noi.
  Sono dati parziali, ma sono anche dati reali, anche perché si nota una maggiore attenzione della stampa verso il fenomeno del femminicidio; ed appare chiaramente come si stia cercando però di evitare, fortunatamente, la solita etichetta di «omicidio passionale», che non descrive adeguatamente una situazione di microviolenza del quotidiano, caratterizzata da maltrattamenti ripetuti. Il femminicidio è infatti raramente frutto di un accesso d'ira incontrollata, e costituisce piuttosto l'ultimo scalino di una lunga escalation. Questa escalation può essere smontata prima che raggiunga il suo apice: va denunciata prima, va evidenziata prima; e va denunciata soprattutto con una sorta di sanzione sociale, con quello sguardo che non si rende mai complice, che non giustifica, che non minimizza, ma che sa dare il giusto peso alle parole, ai gesti.
  Di fatto comincia con una forma di potere e di controllo che si esprime attraverso atti o minacce di sopruso fisico, psicologico, sessuale, economico persecutorio contro le donne in quanto donne, per Pag. 5mantenerle in una condizione di inferiorità nei rapporti privati (la coppia, la famiglia) o pubblici (il lavoro, la scuola, la collettività). Ognuno di questi abusi costituisce una forma di violenza che va tenuta sotto controllo, a prescindere dal fatto che sia punita dalla legge come reato o che sia accettata e considerata quasi come una forma di normalizzazione di gioco dei ruoli nella società di appartenenza.
  La prevenzione di questi delitti è necessaria e praticabile, e richiede una tipologia di interventi diversificati a seconda della situazione concreta in cui vive la donna, della sua autonomia economica, la presenza o meno di figli, della sua capacità di reagire con energia o della sua tendenza invece a subire passivamente le situazioni.
  La prevenzione si può realizzare offrendo una protezione sempre maggiore e sempre più qualificata alle donne che vivono situazioni di violenza o che sono in situazioni di degrado, prima che si giunga a conseguenze irreparabili; ma è di fondamentale importanza la formazione di tutti i soggetti che lavorano a contatto con le vittime di violenza, perché non accada che una donna violentata sia successivamente violentata ancora, quando va a denunciare o quando si presenta in un processo: ogni rievocazione della violenza subita è un'ennesima forma di violenza che la donna subisce.
  Nonostante il riconoscimento di fondamentali diritti civili, sociali e culturali a favore delle donne, la violenza fisica e sessuale è quindi ancora oggi una delle forme di violazione dei diritti umani più gravi e più diffuse nel mondo: combattere con forza ogni atteggiamento e comportamento che tenda a tollerare, giustificare o ignorare la violenza commessa contro le donne è un'assoluta priorità di ogni livello di governo. Devo anche dire, per l'esperienza che ho, che non ho mai trovato un Governo più sensibile di questo a tale tema, anche forse grazie alla collaborazione del Presidente stesso della Camera.
  Si deve porre fine all'umiliazione ed alla frustrazione delle donne che combattono per il riconoscimento dei propri diritti e di quelli dei propri figli, vagando da una sede all'altra a seconda delle diverse competenze territoriali dei giudici.

  PRESIDENTE. La invito a concludere.

  PAOLA BINETTI. Secondo l'Helsinki Foundation for Human Rights serve un'attività di osservazione condotta per un periodo prolungato di tempo, in maniera costante o intermittente, in modo tale da determinare quali azioni future vadano intraprese per contrastare efficacemente questo fenomeno. La violenza maschile sulle donne non può più essere considerata una questione esclusivamente privata, non avrebbe mai dovuto esserlo: è una questione politica, perché si tratta di un fenomeno con una sua pericolosità sociale che riguarda tutta la società.
  Chiedo l'autorizzazione al Presidente di poter consegnare la relazione soprattutto nella seconda parte, in cui sono contenute le misure di contrasto. Abbiamo infatti cercato di organizzare le misure di contrasto secondo una logica multitasking: trattandosi di un fenomeno multidimensionale, ogni dimensione richiede specifiche misure di contrasto, ed è questo quello che vorrei veramente che risultasse comunque agli atti.
  Signor Presidente, chiedo quindi che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative del mio intervento. (La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti).

  PRESIDENTE. Onorevole Binetti, vorrei dirle che non c’è stato lo sgarbo maschile: l'onorevole Speranza ci aveva mandato una lettera prima ancora dell'approvazione del provvedimento di ratifica della Convenzione di Istanbul, e dunque avevo chiesto di rimandare la mozione a dopo tale approvazione. Aveva quindi già inviato la mozione prima ancora: per questo l'abbiamo messa prima nell'ordine, non perché ci fosse stato un tentativo di imporre...

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  PAOLA BINETTI. Signor Presidente, il mio era un po’ uno scherzo. Facevano fede le date che sono riportate comunque sul testo, stia tranquilla.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Pia Elda Locatelli, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00040 (Nuova formulazione). Ne ha facoltà.

  PIA ELDA LOCATELLI. Signora Presidente, oggi continuiamo la discussione della scorsa settimana, durante la quale ho constatato – e lo dico senza presunzione – che ci sono alcuni concetti da chiarire riferiti al tragico fenomeno della violenza. Forse, la necessità del chiarimento è originata dalla difficoltà a far capire, oltre che la drammaticità, anche la complessità del tema della violenza contro le donne. Forse, abbiamo parlato molto tra noi donne e troppo poco con gli uomini, ma il tema della violenza riguarda donne e uomini.
  Si è parlato, in alcuni casi, infatti, di violenza sessuale, come se essa contenesse tutte le forme di violenza, ma quella sessuale è solo una delle molte forme. C’è la violenza fisica, la violenza economica, psicologica e anche quella sessuale, fuori e dentro casa: anche quella sessuale, ma non è l'unica. E se non chiariamo questo concetto rischiamo di perdere di vista le cause profonde della violenza, che sono radicate nelle relazioni di potere storicamente ineguali tra uomini e donne e nella discriminazione sistemica basata sul genere e sul pregiudizio culturale della superiorità del maschio rispetto alla donna (ce lo dice l'ONU).
  È, invece, cultura alquanto diffusa nel nostro Paese che la violenza alle donne sia originata dalla liberalizzazione dei costumi degli ultimi decenni. «Se l’è cercata» si sente ancora dire, il che è una sorta di continuum logico rispetto al fatto che fino a trent'anni fa avevamo leggi che giudicavano con indulgenza gli uomini che uccidevano le donne per difendere l'onor proprio.
  Dobbiamo dire un «basta» deciso a tutto ciò, perché cambiare si può, come dimostrano alcuni esempi. Ho imparato dall'ex Primo Ministro spagnolo Zapatero il termine «machismo criminal» quando aprì la sua campagna elettorale, nella primavera del 2004, con un impegno preciso: la prima del suo gabinetto sarebbe stata una legge integrale sulla violenza contro le donne. In quella settimana ben cinque donne erano state ammazzate e, rispondendo alla conferenza dei vescovi spagnoli, che avevano attribuito quelle morti alla liberalizzazione dei costumi, egli disse che si trattava, appunto, di machismo criminal. La prima legge del suo gabinetto fu una legge integral, la cui implementazione diminuì la violenza contro le donne sensibilmente.
  Così come hanno fatto in Gran Bretagna, dove la violenza domestica è diminuita del 60 per cento, grazie ad un lavoro coordinato tra attori pubblici, privati, società civile, ONG, come ci ha raccontato la baronessa Scotland, che abbiamo incontrato la settimana scorsa qui alla Camera per la sua iniziativa, Presidente.
  Cambiare è possibile. Bisogna volerlo con determinazione, nella consapevolezza che le politiche di contrasto non possono essere a costo zero. E ce lo dicono le donne della rete Dire, della Convenzione No More, dei tanti centri antiviolenza, la cui azione viene rallentata da una cronica mancanza di fondi. Della loro collaborazione e consulenza, signora Ministra, abbiamo bisogno per implementare la Convenzione di Istanbul, per farla vivere, per non fare che sia una sola operazione di facciata.
  Prima di concludere e per la terza volta in una settimana, richiamo l'attenzione sulla Nota a verbale che il nostro Governo ha depositato all'atto della firma della Convenzione di Istanbul, prendendo le distanze dal termine «genere». Qualche collega ha detto che la parola «genere» non esiste da noi, in quanto le leggi italiane parlano di uomo e donna, di sesso femminile e maschile o che – altra affermazione – non si sentiva il bisogno di introdurre il concetto di genere in un Pag. 7Trattato in cui al centro dell'attenzione c’è la donna, in evidente e chiara contrapposizione con il maschio.
  Io trovo, al contrario, che il concetto di genere ci aiuta a capire a fondo anche il concetto di violenza contro le donne, perché si riferisce a ruoli e comportamenti socialmente costruiti, che una determinata società considera appropriati per donne e uomini.
  Ma se concordiamo che le cause della violenza contro le donne sono radicate nelle relazioni di potere storicamente ineguali tra uomini e donne e sul pregiudizio culturale della superiorità del maschio rispetto alla femmina, non possiamo espellere il concetto di genere dal nostro ragionamento. Al contrario, dobbiamo farvi ricorso per amore di chiarezza (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Calabria, che illustrerà anche la mozione Brunetta n. 1-00041 (Nuova formulazione) di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

  ANNAGRAZIA CALABRIA. Signora Presidente, onorevole Ministro, onorevoli colleghi, la violenza contro le donne è un fenomeno che ha assunto negli ultimi decenni una visibilità sempre più crescente, suscitando una progressiva attenzione, fino a diventare una priorità di azione sia a livello internazionale che nell'ambito delle agende dei Governi nazionali e locali.
  L'istanza del rispetto dei diritti umani, all'interno della quale è stato posto il tema della violenza contro le donne, è riconosciuta dai massimi organismi internazionali fin dal 1948, anno della Dichiarazione universale dei diritti umani. Questo tema è stato progressivamente integrato nell'agenda delle Nazioni Unite attraverso una lunga serie di raccomandazioni e iniziative.
  Si tratta di una piaga mondiale ancora non sufficientemente riconosciuta e codificata. In Europa, come nel nostro Paese, la quasi totalità dei casi di violenza non è denunciata non solo per timore del giudizio altrui o del proprio persecutore, ma anche perché le donne hanno difficoltà a riconoscere la violenza subita come elemento estraneo al rapporto di coppia e come violazione dei propri diritti e della propria libertà personale.
  Si sviluppa soprattutto nell'ambito dei rapporti familiari e coinvolge donne di ogni estrazione sociale e di ogni livello culturale, provocando danni fisici e gravi conseguenze sulla salute mentale e comportando – vorrei sottolinearlo – alti costi socio-economici alla comunità.
  I dati che ormai tutti conosciamo mostrano una situazione preoccupante in cui i luoghi più familiari diventano anche quelli del rischio più elevato. Le donne continuano a subire nel silenzio, con poche via d'uscita, sole di fronte ad un quotidiano pesante che difficilmente lascia via di fuga.
  La complessità della materia ha portato molti Paesi ad elaborare delle vere e proprie strategie di prevenzione e assistenza alle vittime da affiancare alle misure di carattere giudiziario. Anche l'Italia, che da tempo ha una rete di antiviolenza nazionale supportata dal numero di pubblica utilità – lo vorrei ricordare – 1522, possiede una vasta e articolata normativa in materia e si è dotata del primo piano nazionale contro la violenza di genere, lo stalking.
  Nel nostro Paese dunque sono state numerose le modifiche normative volte alla tutela delle donne e dei minori vittime di violenza sessuale o familiare e, proprio nei giorni scorsi, abbiamo assistito alla discussione sulla ratifica della Convenzione di Istanbul contro la violenza, che ha visto, con mia grandissima soddisfazione, l'approvazione unanime di quest'Aula. La Convenzione si pone come ulteriore motore propulsore per l'attuazione di iniziative sociali e normative e per il sostegno e l'attivazione di indagini sul tema, le cui evidenze forniranno dati ed elementi utili a definire il contesto in cui sviluppare azioni di prevenzione e contrasto alla violenza di genere nel territorio italiano.Pag. 8
  La Convenzione di Istanbul, infatti, è il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante che si prefigge di creare un quadro giuridico completo per proteggere le donne contro qualsiasi forma di violenza, grazie a misure di prevenzione, di tutela in sede giudiziaria e di sostegno alle vittime e, ove si riconosce esplicitamente la violenza sulle donne quale violazione dei diritti umani e forma di discriminazione, obbligherà lo Stato italiano ad adottare specifiche misure legislative per contrastare l'allarmante fenomeno. Tale fenomeno nel nostro Paese ha dei dati sconcertanti: dal 2005 al 2012 sono stati 903 i casi di donne uccise da uomini e gli assassini sono uomini, nella maggior parte dei casi appartenenti al nucleo familiare, alla cerchia degli affetti più vicini.
  Questi numeri sottolineano l'ampiezza del fenomeno e il suo profondo radicamento soprattutto nella cultura del nostro Paese, nella vita delle famiglie e nella mentalità della gente. Si tratta, peraltro, di dati relativi, poiché la prima caratteristica che accomuna le diverse forme di violenza è quella dell'omertà. La violenza non è denunciata, il sommerso resta molto alto. Casi di violenza da una persona che non sia il partner raggiungono circa il 96 per cento, contro il 93 per cento dei casi di violenza da parte dei partner. Pertanto, sono poche le vittime che hanno denunciato la violenza domestica, il 7,5 per cento, di cui solo il 27,9 per cento aveva accusato un partner, mentre l'8,3 per cento ha avuto un partner condannato.
  Nel 2,6 per cento dei casi il processo è ancora in corso.
  La violenza commessa dai partner nell'ambito della famiglia (cosiddetta violenza domestica) mostra le caratteristiche di un insieme di comportamenti che tendono a stabilire e mantenere il controllo sulle donne e a volte sui bambini. Queste sono le strategie reali che mirano a esercitare un potere sull'altra persona, utilizzando tipi differenti di comportamento: distruggere le sue cose, uccidere gli animali che appartengono a lei, denigrare il suo comportamento e il modo di essere, manifestare gelosia immotivata, attuare forme di controllo o imporre limitazioni che portano all'isolamento sociale. L'autore crea, quindi, un clima di tensione costante, paura e minaccia in cui l'esercizio di violenza fisica o violenza sessuale può verificarsi anche sporadicamente, per dare invece spazio all'altrettanto efficace violenza psicologica.
  In più, dobbiamo considerare la veloce diffusione dei social network e delle chat-line, che non è stata accompagnata da nuove regole per garantire chi vi accede. Tra i rischi che la maggior parte dei navigatori ignora alcuni sono legati alla privacy. In Internet, infatti, non esiste il diritto all'oblio: ogni dato – una foto, una frase, il numero di telefono – una volta inserito non può essere cancellato definitivamente dalla rete, perché chiunque può averne fatto una copia o più copie per utilizzarle altrove. E se ci sono terze persone viene violata anche la loro privacy. Sul server di un motore di ricerca, oppure di un social network, inoltre, vengono conservati i dati personali dell'utente anche dopo che questo li ha cancellati.
  Vorrei, inoltre, porre all'attenzione dell'Aula il dramma delle donne provenienti nel nostro Paese come sfollate. L'80 per cento dei rifugiati del mondo è costituito, secondo una stima dell'UNHCR, da donne con i loro bambini. Nonostante questo, le donne sono una minoranza dei richiedenti asilo nei Paesi industrializzati dell'emisfero nord a causa della difficoltà di movimento e della difficoltà di accedere alle risorse necessarie per chiedere asilo. In fuga da Paesi in guerra o da aree di crisi, portano segni di abuso che in molti casi le hanno colpite proprio in quanto donne: in un gran numero di conflitti si è infatti manifestata violenza di genere, paragonabile alla violenza etnica nella misura in cui sceglie le sue vittime e le forme di abuso sulla base delle caratteristiche di identità. Una reale arma da guerra, la violenza contro le donne diventa un mezzo per raggiungere obiettivi militari, come la pulizia etnica e la diffusione del terrore tra la popolazione, o di logorare la resistenza delle comunità, di intimidire o estorcere informazioni, o un modo per Pag. 9«premiare» i combattenti. Spesso questa violenza «viaggia» con le donne immigrate, per essere perpetrata anche nel nostro Paese, da aguzzini italiani o stranieri.
  In definitiva, le cause della violenza sono dunque da ricercare su diversi fronti, culturale, innanzitutto, perché c’è qualcosa di sbagliato, ma quasi ancestrale, nel pensare che una donna possa essere oggetto di proprietà di un uomo e, più ancora, di un vero e proprio possesso; ed è per questo che è importante concordare i messaggi da veicolare al fine di sensibilizzare l'opinione pubblica sulla necessità di contrastare attivamente la violenza sulle donne.

  PRESIDENTE. La invito a concludere.

  ANNAGRAZIA CALABRIA. È necessario – e concludo – agire partendo dall'istruzione, dalla scuola, prima e primaria fonte di formazione, e individuare adeguate misure di sostegno alle vittime, allo scopo di promuoverne l’empowerment.
  È indispensabile arrivare al raggiungimento dell'uguaglianza de jure e de facto, ma nulla sarà efficace ed adeguato se non si arriverà alla piena equiparazione dei diritti tra uomini e donne, non sulla carta, ma nell'intimo pensare di ciascuno di noi, donne e uomini.
  Ed è proprio alle donne di questo emiciclo che mi rivolgo, alle tante colleghe che giornalmente combattono sul proprio territorio il fenomeno della discriminazione di genere e delle violenze. A tutte voi dico: nessuna di noi può andare avanti fino a quando alcune di noi resteranno indietro.
  Per tali motivi, auspichiamo che il Governo si impegni sul fronte della piena attuazione dei diritti della donna al fine di pervenire alla completa eradicazione del fenomeno della violenza.
  Chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento (La Presidenza lo consente sulla base dei criteri costantemente seguiti).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Piazzoni, che illustrerà anche la mozione Migliore n. 1-00043 (Nuova formulazione), di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

  ILEANA CATHIA PIAZZONI. Signora Presidente, colleghi deputati, signori del Governo, quest'Aula ha discusso a lungo del tema della violenza sulle donne in occasione della ratifica della Convenzione di Istanbul, un'approvazione avvenuta all'unanimità e salutata con un applauso convinto e sentito.
  Non vorremmo, però, che quel voto e quell'applauso possano renderci soddisfatti e farci dimenticare che, in attesa dell'entrata in vigore della Convenzione di Istanbul, si può e si deve agire subito con provvedimenti specifici, accompagnandoli con risorse adeguate. La mozione del gruppo di Sinistra Ecologia Libertà vuole, appunto, impegnare il Governo a procedere rapidamente, perché i contenuti del dibattito svolto sulla violenza contro le donne e quelli della Convenzione di Istanbul siano focalizzati in specifici e concreti obiettivi di intervento.
  Chiediamo, innanzitutto, che si provveda all'attuazione delle osservazioni conclusive del 2011 del Comitato per l'eliminazione della discriminazione nei confronti delle donne, nonché delle raccomandazioni della relatrice speciale dell'ONU, perché l'Italia dovrà presentare all'ONU i risultati del lavoro svolto. Credo sia bene chiarire che l'attuazione di quelle raccomandazioni avrebbe nel nostro Paese l'impatto di una vera e propria rivoluzione, che va dal cambiamento del welfare al mercato del lavoro, alla radicale modifica di leggi che rappresentano «archeologia legale» in merito alla condizione femminile: regole, come quella del testo unico di pubblica sicurezza, che prevede il dovere del tentativo di conciliazione extragiudiziale dei dissidi privati, che stanno ancora dentro una visione privatistica della risoluzione dei conflitti tra uomini e donne.
  Chiediamo, poi, l'istituzione di un osservatorio nazionale che coinvolga le associazioni e i movimenti che si occupano da anni di violenza di genere, a cominciare Pag. 10da quelli riuniti nella Convenzione No More, nonché dei centri antiviolenza. Ci preme qui ricordare che, ad oggi, non si è riusciti a dotare le varie amministrazioni statali, dai pronto soccorso alle forze all'ordine, dalla magistratura ai centri antiviolenza, di un meccanismo che renda possibile la raccolta omogenea di dati sul fenomeno. Basta un adeguato stanziamento di risorse per renderlo possibile, non possiamo più aspettare.
  Chiediamo, poi, al Governo di impegnarsi a verificare l'efficacia e l'attuazione del piano nazionale contro la violenza subito, prima della scadenza, proprio per poter essere in tempo a modificare gli aspetti che si fossero rivelati inefficaci, integrandolo con risorse o modifiche alla luce dell'esplosione del fenomeno del femminicidio.
  È necessario, poi, che il Governo si impegni a introdurre nelle scuole di ogni ordine e grado specifici corsi di sensibilizzazione sulla parità di genere e sull'affettività, impegnandosi, più in generale, all'eliminazione degli stereotipi patriarcali nel sistema scolastico e ad assicurare che le questioni relative alla parità di genere divengano una componente integrale, sostanziale e obbligatoria della formazione di tutti gli insegnanti, a tutti i livelli, e del sistema dei libri di testo.
  Il fondamento sessista su cui si fondano i saperi trasmessi va molto al di là di quello che può essere individuato dal sentire comune. Pensate a questo meraviglioso dipinto di Sartorio, che illustra il ratto delle Sabine. A prescindere dalla fondatezza storica di quello che fu uno stupro di gruppo, vi invito a leggere in proposito le pagine di Tito Livio per comprendere quale idea della donna sia stata trasmessa attraverso i secoli.
  Altro atto fondamentale su cui chiediamo al Governo un intervento immediato è quello di estendere l'accesso al gratuito patrocinio, senza limiti reddituali, a tutte le vittime di reati che costituiscano forme di violenza di genere, e non solo quelli a sfondo sessuale, come l'attuale normativa prevede.
  Infine, per poter cambiare concretamente da subito, bisogna intervenire sul livello territoriale, l'unico che può davvero costruire una rete sociosanitaria efficiente, collegata con le forze dell'ordine. Questa rete è l'unica che può creare quel clima di relazioni che consenta alle donne non solo di trovare il coraggio di denunciare, ma anche di poter ricostruire la propria vita in un contesto dove i valori dell'amicizia, della comprensione, del rispetto e della solidarietà prendano il posto della violenza travestita da amore.
  È indispensabile, quindi, intervenire sui finanziamenti e sulle linee guida per i piani sociali di zona, dove i centri e le reti di prevenzione, le case rifugio, nonché la protezione e il sostegno alle donne vittime di violenza devono entrare nei livelli essenziali, ma, soprattutto, che le regioni, e quindi i distretti sociosanitari, ricevano le risorse necessarie, perché sarebbe troppo facile, signore e signori Ministri, scaricare la responsabilità sui livelli di governo inferiori.
  Il nostro sistema di welfare, e soprattutto quello locale, subisce da anni una continua contrazione di risorse. I fondi per le politiche sociali sono stati praticamente azzerati. Come si può dire di volere una società in cui le donne abbiano pari opportunità e in cui la violenza sia sconfitta, e, contemporaneamente, creare le condizioni perché le persone, le donne in particolare, vengano lasciate completamente sole di fronte ai drammi di una società in via di disgregazione sotto i colpi della più grande crisi economica e sociale di tutti i tempi ?
  Coerenza, vi chiediamo coerenza. Questo Governo, sostenuto da una strana maggioranza, abbia almeno l'ambizione di intervenire sulle questioni su cui nessuno ormai osa più dubitare della necessità e urgenza, non in modo formale, ma in modo sostanziale !
  Ci appelliamo in particolare, alle Ministre donne. Sappiate mettere fine alla distanza tra le parole e i fatti, e da noi avrete tutto il sostegno necessario per cambiare questo Paese. Grazie (Applausi Pag. 11dei deputati dei gruppi Sinistra Ecologia Libertà, Partito Democratico e MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Mara Mucci, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00042 (Nuova formulazione). Ne ha facoltà.

  MARA MUCCI. Gentile Presidente, deputate e deputati, siamo qui oggi in quest'Aula per discutere le mozioni contro il femmicidio.
  Solo una settimana fa, a due anni dalla sigla a Istanbul, eravamo qui per la ratifica della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne. Quest'Aula ha detto sì, all'unanimità. Con 545 voti la Camera ha detto sì al contrasto di ogni forma di violenza fisica, psicologica ed economica sulle donne, dai maltrattamenti in famiglia alle molestie sessuali sui luoghi di lavoro, dai matrimoni forzati alle mutilazioni genitali. Ha detto si all'impegno, a tutti livelli, sulla prevenzione, eliminando ogni forma di discriminazione e promuovendo la concreta parità tra i sessi, rafforzando l'autonomia e l'autodeterminazione delle donne, consapevoli finalmente che la violazione di genere sia un atto discriminatorio che colpisce le donne e le riconduce ad una posizione di inferiorità e di dipendenza, negando così i diritti umani e le libertà fondamentali.
  Ora il provvedimento passa al Senato e ci aspettiamo che anche lì immediatamente venga approvato all'unanimità. Abbiamo già perso troppo tempo. E come se non bastasse, occorre che ancora cinque Stati ratifichino questo trattato affinché la Convenzione diventi esecutiva.
  E intanto le donne continuano ad essere maltrattate ed uccise, nell'incapacità di trovare risposte adeguate da parte di quegli operatori sanitari, delle forze dell'ordine, di quei magistrati che dovrebbero fornire la loro protezione. Ed è inutile che continuiamo a riempirci la bocca con il bollettino di guerra delle donne uccise da quegli uomini con cui avevano deciso di vivere o che avevano deciso di lasciare, perché noi, a partire da quei numeri, già da tempo avremmo dovuto chiederci: cosa siamo stati in grado di fare con le leggi esistenti per cercare di prevenire almeno una di quelle uccisioni ? Perché lo sappiamo che la maggior parte dei femminicidi è preceduta da denunce, ingressi al Pronto soccorso. Si tratta di morti annunciate. L'unico modo per vincere la violenza è parlare perché il nemico da combattere è il silenzio, il silenzio delle istituzioni che non tutelano, il silenzio di chi sa, ma fa finta di non sapere, il silenzio della vergogna, il silenzio dei referti sbagliati. La vergogna: molte donne non denunciano le violenze perché si vergognano. Umiliazione, insulti, violenze verbali, lividi e fratture. E questa donne, vittime, sopportano e, come ci ha insegnato la millenaria cultura patriarcale di sottomissione, di dipendenza, non possono che pensare che dipenda da loro, che sono loro le sbagliate. Nel nostro Paese troppe poche donne considerano la violenza subita in famiglia un reato. Per la maggior parte è semplicemente qualcosa di sbagliato, è solo qualcosa che è accaduto e così le violenze perpetuate dal coniuge o dall'ex, non vengono mai denunciate. Molte di quelle che hanno trovato la forza di ribellarsi hanno confidato che malmenate, pestate, legate, vicine alla morte, pregavano che questa arrivasse e che quella enorme sofferenza finisse. Perché la violenza ti penetra, ti trasforma, ma soprattutto ti toglie la dignità. Allora che senso ha la vita ?
  Vorrei parlare delle ferite dell'anima, delle cicatrici che la violenza lascia dentro e che purtroppo segnano tutta la vita, se si ha la fortuna di rimanere vive. Parlo di fortuna, perché molte, pur denunciando, non sono state sufficientemente difese dagli organi competenti, così sono state uccise, così sono state indotte a suicidarsi per la vergogna. Il femminicidio è solo l'ultimo atto dei maltrattamenti e atti persecutori contro le donne, bambine di qualsiasi livello sociale, culturale ed economico.
  Questa cultura, fatta di pregiudizi e stereotipi sul ruolo della donna autorizza la violenza e questo è un fallimento soprattutto Pag. 12delle istituzioni e siamo noi a doverci vergognare. Dobbiamo una volta per tutte capire che difendere la parità tra uomini e donne significa difendere la democrazia che è alla base della nostra società. Non solo le donne, ma soprattutto gli uomini devono farsi garanti dell'uguaglianza economica e sociale, compiendo così una vera e propria rivoluzione culturale che assicuri una parità di opportunità tra uomini e donne. Anche se però vorrei sottolineare che la violenza sulle donne non è settoriale: colpisce tutti i ceti sociali e colpisce anche le donne ricche con un forte livello di scolarizzazione e di autonomia. Dobbiamo impegnarci affinché le donne, al pari degli uomini, abbiano la stessa possibilità di accedere ai più alti livelli di istruzione, di rappresentanza politica e di posizioni apicali. È per questo che non servono altre leggi.
  Cominciamo a reperire i dati, a indagare nel profondo ciò che è avvenuto finora. Cominciamo a rompere il silenzio raccontando che cosa non ha funzionato fino ad oggi con le leggi esistenti nella protezione di queste centinaia di donne che ogni anno vengono uccise dagli uomini per aver scelto la libertà dal loro controllo. Quante sono state le denunce presentate da donne nei confronti di uomini per maltrattamento ? Quante le lesioni ? Qual è la relazione tra autore e vittima ? Quanti procedimenti sono stati archiviati ? Quanti sono arrivati a condanne ? Quante volte è stata chiesta una misura cautelare ? Quante volte è stata adottata ? È stata efficace ad evitare la rivittimizzazione della donna oppure è stata violata ? Quante donne sono state uccise mentre erano in corso le indagini o i processi nei confronti del loro aggressore ? Una donna di città trova la stessa protezione di una donna che vive isolata in montagna, di una donna disabile, di una straniera irregolare ? La vita di una donna che abita in una città del nord viene protetta come quella di una che abita in un piccolo paese del sud ? Se noi vogliamo abbattere quella conta delle morti, se noi vogliamo cambiare le leggi, cambiarle in meglio per le donne, questa realtà non possiamo non conoscerla. Partiamo da qui. Noi abbiamo il potere di fare queste domande e di ottenere queste e tante altre risposte.
  È per questo che non si può aspettare, dobbiamo mettere in agenda l'immediata istituzione di una Commissione bicamerale di inchiesta sulla violenza maschile sulle donne, perché ora più che mai abbiamo il dovere di capire qual è la reale situazione delle donne che subiscono violenza in questo Paese. Abbiamo il dovere di raccogliere i dati da ogni singola istituzione che interviene a loro protezione. Abbiamo il dovere di guardare di persona quei fascicoli relativi ai femminicidi, capire dove abbiamo sbagliato, ascoltare le associazioni e le esperte, farci spiegare le critiche puntuali che si sono mosse nel rapporto ombra e che pure l'ONU ha condiviso e decidere insieme come superare questi ostacoli che oggi a troppe donne impediscono il godimento pieno del diritto alla vita e all'integrità psicofisica, a partire dagli ostacoli economici legati a una modalità di finanziamento totalmente inadeguata ai centri antiviolenza.
  Come donna e come parlamentare del MoVimento 5 Stelle, chiedo che il Governo si impegni per riconoscimento dei diritti umani delle donne, promuovendo un cambiamento prima di tutto culturale riconoscendo che la libertà di scelta delle donne, la loro integrità psicofisica sono valori assoluti, che vanno riconosciuti senza lasciare spazio a compromessi di tipo morale o religioso. Il cambiamento culturale deve inoltre necessariamente passare anche attraverso una analisi della nostra società e di come i media si esprimono nel contesto sociale, ponendo vincoli precisi e sanzionando chi mostra un'immagine della donna poco rispettosa. I nostri figli crescono con esempi sbagliati, la velina, un messaggio pubblicitario che esalta solo la bellezza fisica mostrando la donna alla stregua di un oggetto, attraverso le nudità troppo esposte, ponendo l'accento su una sessualità eccessiva. Ed invece dovremmo puntare a dare alle nuove generazioni esempi diversi, esaltando le diversità come opportunità, inoculando nelle persone il concetto di rispetto degli altri, dalle religioni, Pag. 13al colore, alla carnagione, dal genere all'orientamento sessuale, il tutto partendo dalla scuola, con percorsi periodici che includano discussioni sulla tematica della violenza alle donne, sul rispetto dell'altro e sull'approccio tra ragazzi, agevolando la creazione di spazi di approfondimento affinché si possano affrontare temi come l'uguaglianza e la violenza di genere, perché se all'interno della famiglia non se ne parla, la scuola ha il dovere di indirizzare e far riflettere tutti, anche chi viene da un contesto problematico e vi cresce all'interno.
  Inoltre auspico una celere istituzione di una commissione bicamerale di inchiesta sulla violenza maschile sulle donne in Italia, perché per legiferare bisogna conoscere a fondo la situazione del fenomeno, con dati certi ed attuali. Ed infine auspichiamo e chiediamo un rinnovo del Piano nazionale antiviolenza, che inglobi i principi ispiratori della Convenzione di Istanbul, con particolare attenzione ai temi più urgenti ovvero la raccolta dati e il loro monitoraggio – gli ultimi dati statistici sono quelli dell'ISTAT del 2006 – il sostegno soprattutto economico ai centri antiviolenza, la rete tra i centri antiviolenza e istituzioni preposte alla tutela, quindi: enti locali, forze dell'ordine, consultori, ospedali, servizi sociali e socio sanitari, nonché il coinvolgimento diretto dei centri antiviolenza con maggiore esperienza nel campo, nella redazione del Piano antiviolenza 2013-2016 (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Nicola Molteni, che illustrerà anche la mozione Rondini n. 1-00063, di cui è cofirmatario.

  NICOLA MOLTENI. Grazie Presidente. Mi fa particolarmente piacere intervenire per la seconda volta nell'arco di una settimana sul tema del contrasto alla violenza nei confronti delle donne e mi fa piacere, in modo particolare, da uomo, intervenire per l'ennesima volta.
  Illustrerò la mozione presentata dal gruppo della Lega Nord e Autonomie a prima firma Rondini, consapevole che il dibattito – e da questo punto di vista ringraziamo il Presidente – è stato, sia la settimana scorsa che, mi auguro, questa settimana, un dibattito importante, serio, che tocca un tema che ci vede particolarmente coinvolti, e rispetto al quale la sensibilità da parte del gruppo della Lega Nord e Autonomie sarà una sensibilità caratterizzata da particolare attenzione e propositiva per quanto riguarda le soluzioni che – ci auguriamo – il Governo possa adottare.
  Già la settimana scorsa, intervenendo in merito alla ratifica della Convenzione di Istanbul, all'interno della quale vi erano principi, valori, scopi e finalità assolutamente condivisi, abbiamo chiesto che tali principi e tali valori non rimanessero delle mere enunciazioni, pur lodevoli, di principio, ma si tramutassero poi in una seria politica di applicazione nazionale da parte del Governo. E quindi l'invito che ovviamente rivolgo al Ministro, al Governo e al sottosegretario, è quello di dare pronta e immediata applicazione a tutte le richieste che, ovviamente, sono contenute nella nostra mozione, ma anche nelle mozioni dei colleghi, sia per quanto riguarda l'aspetto della prevenzione – di cui si è accennato e di cui faremo esplicito riferimento anche noi all'interno della nostra mozione – sia per quanto riguarda l'altro aspetto, a nostro avviso particolarmente importante, che è quello delle sanzioni, che è quello della repressione, che è l'aspetto punitivo che per noi ha e deve avere un'incidenza particolarmente significativa, soprattutto – e lo dico – alla luce degli avvenimenti di cronaca che quotidianamente si verificano.
  Proprio la settimana scorsa abbiamo ricordato che il Ministro ha partecipato ai funerali della povera Fabiana: io credo che eventi così drammatici, eventi così bestiali per la crudeltà e l'accanimento con cui sono stati esercitati, meritano, anche da un punto di vista giudiziario, anche e soprattutto da una punto di vista giudiziario, penale, punitivo e sanzionatorio, la massima severità e la massima rigidità. Ben consapevoli del fatto che il nostro sistema ordinamentale penale da questo Pag. 14punto di vista è all'avanguardia rispetto ad altri Paesi, il problema non si pone solo ed esclusivamente con riferimento alla sussistenza di determinati reati, sebbene noi all'interno della mozione citiamo la necessità di poter introdurre il reato di femminicidio proprio per potenziare ulteriormente l'aspetto punitivo. Ma siamo assolutamente consapevoli del fatto che oggi il problema si pone rispetto non al legislatore – che ovviamente deve innovare e migliorare la parte ordinamentale e penale – ma rispetto a coloro i quali sono chiamati quotidianamente a dover applicare le norme che sono presenti nel nostro sistema ordinamentale, e mi riferisco, in modo particolare, alla magistratura. Quindi ad un'applicazione certa, ad un'applicazione efficace del sistema penale, proprio per dare delle risposte, anche di natura repressiva, anche di natura punitiva, verso fatti talmente acclarati e talmente drammatici rispetto ai quali la sanzione deve essere applicata nelle forme più gravi e nelle forme più severe, proprio per dare, anche rispetto all'opinione pubblica, un segnale di particolare attenzione.
  Nel nostro Paese – come abbiamo già avuto modo di dire – se da un lato negli ultimi dieci anni il numero complessivo degli omicidi è diminuito, il numero degli omicidi perpetrati nei confronti delle donne è invece aumentato in maniera allarmante. I dati del 2012 indicano che in Italia si sono registrate più di 120 vittime e nella maggior parte dei casi gli autori di questi delitti sono legati alle vittime da un rapporto parentale; tant’è che opportunamente all'interno della ratifica della Convenzione di Istanbul veniva introdotto – ed è stato introdotto – il concetto di violenza domestica, proprio perché la stragrande maggioranza di questi reati commessi nei confronti delle donne – e non solo è nei confronti delle donne, ma principalmente nei confronti delle donne – vengono commessi proprio all'interno degli ambiti familiari, dove i figli e i minori spesso sono vittime anch'essi di questi reati o, quantomeno, purtroppo, partecipano alla visione di scene efferate che ovviamente non fanno nemmeno bene alla crescita dei minori stessi.
  Pertanto noi crediamo che è opportuno e assolutamente necessario dover introdurre il reato di femminicidio.
  Il termine è nato per indicare gli omicidi della donna in quanto donna, ovvero la maggior parte degli omicidi di donne e bambini. Si tratta di omicidi di donne commessi da partner o ex partner, ma anche di ragazze uccise dai padri che non accettano le decisioni e l'emancipazione delle proprie figlie. La dimensione e la specificità del fenomeno sembrano giustificare l'esigenza dell'introduzione nel codice penale italiano di una fattispecie di reato ad hoc.
  La circostanza per cui i delitti sono perpetrati, nella maggior parte dei casi, da un uomo che ha o ha avuto una relazione di affetto o conoscenza con la donna, esplicita una dimensione sociale della violenza, ancor più preoccupante per il fatto che le mura domestiche sono spesso la scena del crimine e che gli assassini, nella maggioranza dei casi, sono legati alle vittime da rapporti coniugali o genitoriali.
  Sappiamo benissimo come il nostro Paese, nell'arco di questi anni, abbia ratificato più di una convenzione, quindi dimostrandosi particolarmente attento e sensibile a politiche comuni, anche con organismi europei da un lato ed internazionali dall'altro: nel 1985 la Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna adottato dall'Assemblea generale dell'ONU nel 1979, in cui ci si è impegnati ad adottare misure adeguate per garantire pari opportunità a donne e uomini in ambito sia pubblico sia privato; la Dichiarazione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite sull'eliminazione delle violenze contro le donne nel 1993 e la IV Conferenza mondiale delle Nazioni Unite nel 1995, in cui è stata definita la violenza di genere come il manifestarsi delle relazioni di potere storicamente ineguali fra uomini e donne. La denuncia del fenomeno è entrata con forza nelle sedi istituzionali, ed anche il Parlamento europeo ed il Consiglio d'Europa Pag. 15hanno preso posizioni ufficiali di condanna contro la violenza sulle donne.
  Nel nostro Paese, nonostante l'entità drammaticamente allarmante del fenomeno del femminicidio, non esiste una commissione preposta all'analisi ed al monitoraggio dei dati relativi alla violenza contro le donne, e questa lacuna si somma ad altre problematiche, rispetto alle quali ovviamente invitiamo il Governo ad attivarsi immediatamente per porvi rimedio. In modo particolare le risorse del fondo antiviolenza sono piuttosto esigue e non sono stati programmati interventi ordinari o straordinari in grado di fare fronte a questo fenomeno dilagante, ivi compresa una legge organica che stabilisca i termini dell'intervento nei casi di violenza familiare e che metta pertanto a disposizione le risorse necessarie. Pertanto riteniamo che il tema della prevenzione da un lato e il tema della protezione umanitaria nei confronti delle donne dall'altro lato, il tema della sensibilizzazione, il tema dell'informazione, attraverso tutto quanto serva a portare a conoscenza la necessità che nei confronti della donna vi sia rispetto e mantenimento della dignità e dell'integrità, la necessità di svolgere e sviluppare politiche educative, partendo in modo particolare dalle scuole e quindi intervenendo non solo sul piano economico, ma anche e soprattutto su un piano di natura culturale, la necessità di poter formare quelle figure professionali necessarie per poter dare attività di sostegno ed aiuto nei confronti delle donne, ovviamente per noi rappresentano una priorità.
  Siamo assolutamente consapevoli che per poter applicare misure di questo tipo servono fondi, per cui l'invito e l'auspicio, vista la sensibilità da parte del Ministro e del Governo, sarà ovviamente – e quindi la richiesta che noi formuliamo è evidentemente quella – di potersi attivare affinché queste risorse, per poter continuare a finanziare ad esempio i centri antiviolenza o le case-rifugio che funzionano, funzionano bene e rappresentano un ristoro importante in modo particolare nei confronti delle vittime di questi reati odiosi, rappresentano una necessità rispetto alla quale noi ci attendiamo, da parte del Governo, una risposta positiva. Già nelle more del dibattito sulla Convenzione di Istanbul abbiamo impegnato il Governo in tal senso.
  Questa mozione, e queste mozioni, rappresentano e vogliono essere un'ulteriore forma di stimolo nei confronti del Governo affinché si possa attivare in tal senso. Importante, fondamentale è la parte di natura preventiva, rispetto a cui uno sviluppo di politiche culturali in tal senso diventa necessario ed urgente.
  È fondamentale – come dicevo all'inizio del mio intervento – anche la parte di natura repressiva, punitiva e sanzionatoria.
  La violenza sessuale nei confronti delle donne rappresenta una fattispecie, non è sicuramente l'unica fattispecie di violenza nei confronti delle donne; voglio ricordare come questo Parlamento nella passata legislatura si è attivato in maniera meritevole, con il consenso e con la disponibilità da parte di tutte le forze politiche nell'approvazione di un disegno di legge, a prima firma Lussana, che prevedeva nuove disposizioni in materia di violenza sessuale, con un lavoro importante svolto, tra l'altro, all'interno della Commissione giustizia. Tra l'altro, voglio ricordare che la Commissione giustizia, presieduta dalla collega Ferranti, ha avviato un'indagine conoscitiva importante sul fenomeno della violenza nei confronti delle donne: un'indagine che credo aiuterà a raccogliere tutto il materiale normativo e penale in materia di violenza nei confronti delle donne. Io credo che, all'interno di questa indagine, vi sia la necessità, e da parte del Governo, e da parte delle forze politiche, di riprendere in considerazione seriamente il disegno di legge Lussana.
  Noi abbiamo già presentato e stiamo ripresentando questa proposta di legge, dove, evidentemente, la funzione repressiva – con un importante aumento delle pene che inevitabilmente determina un allungamento dei termini di prescrizione e, quindi, più tempo per poter indagare e per poter giungere a sentenze certe – rappresenta la parte fondamentale, l'architrave Pag. 16di questa proposta di legge, dove, ovviamente, noi crediamo che, nei confronti di soggetti che si macchiano di reati tanti bestiali, non vi debbano essere – come spesso capita e come spesso ci tocca a leggere – quei benefici e quelle misure premiali, che, in situazioni come queste, risultano decisamente stonati.
  Al tempo stesso tempo – come ho ricordato la settimana scorsa e come faccio nuovamente oggi, perché credo che, quando il Parlamento si caratterizzi per aspetti importanti, sia giusto dare al Parlamento, a quest'Aula, il valore degli atti che vengono approvati – voglio ricordare l'introduzione del reato di stalking, ossia l'articolo 612-bis del codice penale, approvato sempre nella passata legislatura da parte di una convergenza unitaria, da parte di tutto il Parlamento: credo che sia stata un'altra conquista democratica e di civiltà importante per questo Parlamento. Si tratta di un reato odioso, un reato i cui casi sono in continuo aumento. Anche in questo caso le sanzioni penali, le minime e le massime, sono assolutamente idonee, da sei mesi a quattro anni; il problema risiede sempre nell'applicazione, nell'effettività e nell'efficacia di questa normativa.
  E proprio perché l'introduzione dell'articolo 612-bis è stata una conquista importante, votata dal Parlamento all'unanimità, utilizzo quest'altro momento per ricordare – così come ho già avuto modo di fare durante la dichiarazione di voto sull'approvazione della ratifica della Convenzione di Istanbul – che presso la Commissione giustizia della Camera è in discussione – e il Presidente della Camera e il presidente della Commissione giustizia lo sanno benissimo – un disegno di legge che mira ad affrontare il problema del sovraffollamento delle carceri: un disegno di legge sull'applicazione delle misure alternative al carcere e dell'istituto della messa alla prova. Ebbene, siccome questo disegno di legge prevede, per i reati con pena fino a quattro anni, particolari meccanismi non automatici, ma discrezionali, da parte del magistrato nell'applicazione del carcere e delle sanzioni detentive da un lato, o delle pene alternative al carcere dall'altro lato, io voglio ricordare che tra i reati con pena massima non superiore a quattro anni vi è anche il reato di stalking. Per cui mi auguro – e lo dico fuori da ogni tipo di strumentalizzazione politica, su questi temi la strumentalizzazione politica non serve – che questo Parlamento, che quest'Aula, nel momento in cui saranno chiamati ad affrontare quel disegno di legge, e credo che ciò avverrà tra non molto tempo, mantengano quella coerenza e quella sensibilità che ha dimostrato in questi dibattiti, ossia in quello sulla Convenzione di Istanbul e in quello su queste mozioni.
  Sarebbe veramente spiacevole – e noi ovviamente non mancheremo di ricordarlo in quell'occasione all'Aula – che, da un lato, si chiedono politiche di severità, di repressione e di efficacia sanzionatoria e punitiva della legge nei confronti di chi si macchia del reato di stalking, e poi ci troveremo o ci troveremmo a dover prevedere, per coloro i quali commettono reati di stalking, misure meno aggravate semplicemente per affrontare un tema che è un tema sicuramente problematico, cioè il tema del sovraffollamento delle carceri. Tuttavia mi auguro che la coerenza che abbiamo dimostrato oggi e che stiamo dimostrando oggi venga dimostrata anche in quel momento.
  Concludo dicendo che crediamo che il tema della violenza nei confronti delle donne sia un tema centrale. Bene ha fatto il Presidente a porre immediatamente l'attenzione su esso con la ratifica da un lato e con la calendarizzazione di questa mozione dall'altro lato. Sicuramente da parte del gruppo della Lega Nord ci sarà la giusta attenzione, la giusta sensibilità, la giusta coerenza e mi auguro che la coerenza che abbiamo dimostrato noi in questi anni possa essere la coerenza di tutto il Parlamento.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Michela Marzano. Ne ha facoltà.

  MICHELA MARZANO. Signora Presidente, onorevoli colleghe, onorevoli colleghi, oggi vorrei cominciare con una citazione Pag. 17da Italo Calvino: «L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno e farlo durare, e dargli spazio».
  Nell'inferno delle violenze contro le donne che abitiamo tutti i giorni, non possiamo limitarci ad accettarlo diventandone parte fino al punto di non vederlo più. Dobbiamo combatterlo e dobbiamo farlo da un punto di vista non solo personale, ma anche istituzionale. Dobbiamo combatterlo e dobbiamo farlo non solo proteggendo le vittime e punendo i colpevoli ma anche e soprattutto attraverso la cultura e la forza della ragion critica. Quel pensiero critico che, come ci hanno insegnato tra gli altri Theodor Adorno e Hannah Arendt, permette di fare a pezzi i pregiudizi, gli errori, i compromessi, le scuse, l'oscurantismo, i ritardi, le ingiurie, la banalità, in una parola, le radici della violenza. Solo il pensiero critico permette di riconoscere chi e che cosa in mezzo all'inferno – per riprendere Calvino – non è inferno.
  La violenza non la si può eliminare del tutto, l'ho già detto la settimana scorsa, qui in Aula. Però, la si può contenere e prevenire e per farlo abbiamo uno strumento importantissimo: l'educazione. Educazione, educazione e ancora educazione: dobbiamo far capire a tutti e tutte, fin da piccoli, che il proprio valore è intrinseco e non strumentale, che ogni persona, a differenza delle cose che hanno un prezzo, non ha mai un prezzo, ma una dignità e che la dignità non dipende da quello che gli altri pensano di noi, da quello che gli altri ci dicono, da quello che gli altri ci fanno. Questo è lo spirito critico che dobbiamo far crescere nelle future generazioni. Fino a quando una donna crescerà convinta che il proprio valore dipende dallo sguardo che gli uomini portano su di lei e dai giudizi che piovono sul proprio comportamento, ebbene la donna non saprà che la dipendenza che la lega ad un uomo è la stessa dipendenza che ci lega tutti ai nostri simili e che dipendere non vuol dire assoggettarsi e che l'assoggettamento rende schiavi, e concludo.
  Étienne de la Boétie, l'amico di Montaigne, ci ha spiegato i meccanismi della servitù volontaria: ogni essere umano aspira alla libertà, ma chi non ha mai conosciuto la libertà come fa a capire che la propria condizione di schiavitù non è frutto della necessità o della natura, ma solo quello della dominazione violenta e ingiustificata altrui ? Non si può combattere la violenza se non si educano le ragazze alla consapevolezza del proprio valore e della propria libertà, esattamente come non si può combattere la violenza se non si educano i ragazzi alla consapevolezza del valore delle libertà altrui.
  Educare, educare, ancora educare, modificando i manuali scolastici e formando gli educatori: tutto parte da lì, nonostante il disprezzo attuale per la cultura, ingolfati come siamo in un mondo del fare, che, senza pensiero, è solo un agitarsi cieco e sordo a ciò che ci rende umani (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Giammanco. Ne ha facoltà.

  GABRIELLA GIAMMANCO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, Ministro, a distanza di una settimana esatta dalla ratifica da parte di questo ramo del Parlamento della Convenzione di Istanbul, il nostro impegno per la lotta e per la prevenzione di ogni forma di violenza nei confronti delle donne continua in modo più che mai convinto e incisivo. Lo dobbiamo alle tante vittime di femminicidio, oltre trenta dall'inizio di quest'anno; lo dobbiamo alle giovanissime Fabiana Luzzi, Chiara Di Vita, Ilaria Leone, Alessandra Iacullo, solo per citarne qualcuna. Per tutte loro non ci fermiamo e non abbassiamo la guardia su quella che ormai si Pag. 18configura come una vera e propria emergenza sociale dei nostri tempi, un'emergenza alla quale bisogna dare risposte concrete e immediate.
  Vogliamo tenere alto livello di attenzione su tutte le forme di violenza e di discriminazione di genere che sono in grado di annullare la donna nella sua identità e nella sua libertà, e non soltanto fisicamente, ma anche nella sua dimensione psicologica e sociale, nell'ambito privato come nella partecipazione alla vita pubblica. I delitti di donne, infatti, sono molto spesso delitti annunciati, perché, in molti casi, sono preceduti da anni di minacce e di violenze di ogni tipo. Il Popolo della Libertà vuole, quindi, proseguire quel cammino di civiltà che la storia ci impone; molto è stato fatto, ma oggi vogliamo mettere un altro tassello al complesso lavoro ancora da fare, per mettere in campo le più moderne ed efficaci politiche di prevenzione e di promozione di una cultura del rispetto tra i generi.
  La violenza fisica e sessuale è ancora una delle forme di violazione dei diritti umani più grave e più diffusa nel mondo: per questo è necessario mettere in campo ogni azione che possa portare a compimento un processo di elaborazione collettiva dell'agghiacciante fenomeno della violenza di genere. Un processo che chiama in causa non solo la pluralità dei soggetti coinvolti per il suo contrasto – mi riferisco a istituzioni, operatori antiviolenza, magistrati, personale sanitario e scolastico –, ma alla società civile tutta, perché ciò che principalmente serve è una rivoluzione culturale che possa permeare la società nel suo complesso.
  I dati rilevati da svariate ricerche sul femminicidio dimostrano che lo stato d'allerta su tale fenomeno deve rimanere alto. Il rapporto ombra elaborato dalla piattaforma «Lavori in corsa: 30 anni Committee on the elimination of discrimination against women», presentato lo scorso anno proprio qui, alla Camera dei deputati, riferisce che la violenza maschile è la prima causa di morte per le donne tra i 16 e i 44 anni, in Europa e nel mondo, e in Italia più che altrove. Gli studi compiuti negli ultimi dieci anni, poi, dimostrano che la violenza contro le donne è una piaga diffusa in ogni tipo di società, nei Paesi industrializzati come in quelli in via di sviluppo, mentre gli aggressori e le loro vittime appartengono a tutte le fasce anagrafiche e fanno parte di tutte le classi sociali.
  Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, almeno una donna su cinque ha subìto abusi fisici o sessuali da parte di un uomo nel corso della sua vita: il rischio maggiore proviene dai familiari, mariti, padri o uomini, che, comunque, fanno parte della cerchia degli affetti più vicini. La violenza domestica è quella più diffusa: in Italia il 68 per cento delle violenze avvengono in casa e i due terzi delle vittime subisce più episodi di violenza nel tempo. Il dato più sconvolgente è che nella quasi totalità dei casi, ovvero per il 93 per cento, le vittime non denunciano le violenze subite, fatto ancora più allarmante se si pensa che molte di queste ogni giorno rischiano la vita, in quanto il legame tra l'omicidio e le violenze pregresse sulla vittima è molto frequente.
  Infatti nel 40 per cento dei casi la vittima ha subito violenze fisiche, psicologiche e sessuali prima di essere uccisa.
  Un'idea della pervasività del fenomeno e del suo dilagare ce la dà la crudezza dei numeri: 2.061 – sì, avete capito bene: 2.061 – sono gli omicidi di donne tra il 2000 e il 2011, come rileva l'indagine dell'Eures in collaborazione con l'ANSA sul femminicidio in Italia nell'ultimo decennio. Una cifra che lascia senza parole, ancor più se si pensa che nel 2011 le 160 donne assassinate, di cui 84 uccise per mano del partner o dell'ex, hanno rappresentato quasi il 40 per cento del totale degli omicidi in Italia.
  Come ricordato, si tratta spesso di drammi familiari consumati tra le pareti domestiche, in cui ad essere stravolta per sempre non è solo la vita della vittima e del suo carnefice, ma anche quella di tanti piccoli indifesi. Penso alla percentuale altissima di donne e madri che ha subito violenza: nel 2012 l'82 per cento delle vittime ha figli, la maggior parte di loro Pag. 19minorenni; figli costretti a vivere in un inferno, ad assistere per anni a ripetute violenze in famiglia e da cui saranno segnati per sempre. Tutto questo per dire che l'ampiezza del fenomeno ed il suo radicamento a ogni livello della società esige un profondo cambiamento delle mentalità di chi considera ancora la donna una essere fragile, sul quale poter infierire.
  La mozione presentata dal Popolo della Libertà impegna quindi il Governo a proseguire con ancora maggiore efficacia l'opera di contrasto a ogni forma di violenza contro le donne, in primis predisponendo ogni iniziativa legislativa volta ad adeguare l'ordinamento interno alle prescrizioni contenute nella Convenzione di Istanbul, che presto riceverà il via libera anche dal Senato.
  È inoltre di fondamentale importanza agire sul piano della tutela e dell'assistenza alle vittime di violenza, dando piena attuazione al Piano nazionale contro la violenza di genere e lo stalking, potenziandone i servizi e garantendone le necessarie risorse economiche per renderlo ancora più efficiente.
  Le donne non devono sentirsi sole, ma supportate nel loro cammino di coraggio e di riscatto. È quanto mai necessario creare una rete organica attraverso la collaborazione e la cooperazione tra soggetti pubblici e privati, tra comuni e associazioni, sportelli antiviolenza, forze dell'ordine, servizi sociali, che possa davvero offrire loro supporto in tutto il territorio nazionale.
  Altro tema fondamentale in questo contesto è sicuramente quello della prevenzione, che può essere portato avanti lavorando per la diffusione della cultura del rispetto, della dignità e della libertà delle donne. Noi del Popolo della Libertà abbiamo scelto di porre l'accento su due tra i più importanti agenti di socializzazione nell'età formativa, i media e la scuola. È importante che i programmi scolastici promuovano campagne di sensibilizzazione contro la discriminazione di genere e il femminicidio, con la trattazione di temi come la parità tra i sessi ed il reciproco rispetto.
  Altro aspetto da non trascurare è quello della responsabilità dei media e dell'informazione nella rappresentazione stereotipata e sessista della donna che troppo spesso propongono. Si tratta di una donna oggetto, senza talento, subordinata alla figura maschile: ben poca visibilità invece si dà a donne che hanno successo nella ricerca scientifica, nell'imprenditoria, nella medicina, nella cultura. È necessario che le redazioni di giornali, radio e TV, oltre che i pubblicitari, promuovano il rispetto della dignità delle donne e della soggettività femminile.
  Un passo avanti importante verso il rispetto dei nostri diritti sarebbe sicuramente quello di cambiare il modo in cui veniamo raccontate. Molto spesso, poi, vengono descritte...

  PRESIDENTE. La invito a concludere.

  GABRIELLA GIAMMANCO. Scusi, Presidente, sto per finire.
  L'impegno delle istituzioni, quindi, oltre a combattere il femminicidio nelle aule dei tribunali grazie agli strumenti della giustizia e ad una legislazione attenta e moderna, dev'essere quello di portare al centro del dibattito la soggettività delle donne e la tutela della loro libertà.
  Con questa mozione quindi il Popolo della Libertà ancora una volta ribadisce il suo «no» convinto alla violenza, a qualsiasi forma di violenza, rivendicando giustizia per tutte le donne che ogni giorno soffrono in silenzio. Possiamo e dobbiamo aiutare queste donne: lo dobbiamo fare anche per dare una risposta alle famiglie di chi purtroppo oggi non c’è più, e per dare ai nostri figli una società più umana e più giusta. La lotta al fenomeno del femminicidio non è una questione ideologica né politica né religiosa, né tanto meno un argomento connesso alle tematiche femministe: è semplicemente – ma proprio per questo ancora più fondamentalmente – una battaglia di civiltà che coinvolge in egual modo uomini e donne, e Pag. 20sulla quale si misura il grado di evoluzione di un Paese (Applausi dei deputati del gruppo Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Lara Ricciatti. Ne ha facoltà.

  LARA RICCIATTI. Signora Presidente, onorevoli colleghe ed onorevoli colleghi, quando ci arrivano i dati delle rilevazioni Istat, pensiamo sempre che quelle cifre raccontino una storia ben lontana dalla nostra quotidianità. Dietro i numeri, però, si nascondono violenze e scene di ordinaria follia che possono riguardare tutte come, ad esempio, il tentato stupro di venerdì notte di una ragazza spagnola presente in Italia mentre faceva l'Erasmus, in una spiaggia di Porto Sant'Elpidio, nelle Marche. Le Nazioni Unite, non a caso, affermano che il fenomeno del femminicidio e della violenza sulle donne sono una vera e propria emergenza nazionale. E la politica, allora, non può più abdicare alla propria funzione o avere momenti di esitazione, ritagliandosi un banale ruolo di commentatrice dei fatti di cronaca nera. È giunto il momento di dare delle risposte cercando, soprattutto, di prevenire questa piaga sociale. Lo si deve, innanzitutto, a chi è già stata vittima e lo si deve anche ad una società che non può più immaginare l'essere donna come una subordinata culturale.
  Una settimana fa quest'Aula ha votato all'unanimità la Convenzione di Istanbul, che crea nel diritto internazionale un quadro giuridico di riferimento completo per combattere la violenza contro le donne. E se, da un lato, a livello internazionale possiamo sollecitare la ratifica, dall'altro qui in Italia sono ancora tante le misure che possono essere adottate e possono essere adottate subito, immediatamente, partendo dall'attuazione delle raccomandazioni riportate nel rapporto relativo alla missione in Italia della relatrice speciale ONU contro la violenza sulle donne. È indispensabile che il Paese – nessuno escluso – prenda atto che fra le tante emergenze qui c’è anche questa. Per questo diventa prioritario istituire un Osservatorio nazionale in tema di violenza di genere, coinvolgendo e non lasciando mai più soli, come talvolta è stato fatto finora, le associazioni e i movimenti che si occupano da anni del tema. Vorremmo che tutta quest'Aula ringraziasse chi nel tempo e – diciamocelo – in maniera a volte troppo solitaria e nell'indifferenza collettiva si è occupato di questa vile e triste turpitudine.
  È, inoltre, utile incentivare i ruoli e il radicamento sul territorio dei centri antiviolenza. Prevediamo anche stabili e adeguati finanziamenti, decidendo attraverso l'azione più nobile che è quella del fare politica e, quindi, decidere politicamente che, nonostante la crisi economica, non taglieremo quei fondi ma, anzi, ne stanzieremo di nuovi e in maniera continuativa. Inoltre, è importante sensibilizzare sulla cultura di genere. Per far sì che in futuro questi episodi non accadano mai più, è necessario iniziare da subito, educando le nostre bambine e i nostri bambini, sin dalle scuole materne, all'affettività e alla parità di genere. Crescere e ricevere in maniera continuativa questi insegnamenti significherebbe già attuare una rivoluzione culturale basata sul rispetto.
  Da ottobre 2011, è attivo un Piano nazionale contro la violenza di genere e lo stalking e l'intento è quello di coinvolgere tutti i livelli di governo interessati nell'attuazione di azioni concrete nei settori socioculturali, sanitari, economici, giudiziari e legislativi. A quasi due anni di distanza bisogna verificarne l'efficacia e l'attuazione, perché se, da una parte, si è prevista una raccolta dati strutturata, che ha fornito informazioni sul fenomeno seguendone le evoluzioni, dall'altra, dobbiamo rilevare che il fenomeno deve essere prevenuto con una fortissima sensibilizzazione dell'opinione pubblica. Le campagne di comunicazione, sia sulla violenza nei confronti delle donne sia sullo stalking, servono per dare un'informazione capillare ed il numero di pubblica utilità, il 1522, è indubbiamente utile. Ma dobbiamo Pag. 21soprattutto, dati i numeri che ci giungono, immaginare una revisione e un rilancio del Piano nazionale.
  Alle donne che subiscono violenze dobbiamo dire che non devono più avere paura, che devono denunciare, che lo Stato non le lascerà sole. Guardate, ogni volta che una vittima decide di non denunciare il proprio aggressore lo Stato perde. Significa che le nostre leggi, le nostre proposte, non sono servite a niente, perché in quei casi vince la paura, il senso di impotenza, la sfiducia nella giustizia e verso le istituzioni. Per invertire questa rotta dobbiamo garantire la protezione della donna vittima di violenza e la persecuzione del persecutore. Per fare questo dobbiamo prevedere l'accesso al patrocinio gratuito per le parti offese, senza limitazioni reddituali. Dobbiamo prevedere adeguati stanziamenti per i centri e le reti di prevenzione, per le case-rifugio. Insomma, proteggere e sostenere le vittime in ogni passaggio. Dobbiamo intervenire con azioni mirate sugli offender, promuovendo dei cambiamenti culturali nella nostra società, fino ad arrivare alla completa eliminazione di tutti i pregiudizi basati sull'idea di inferiorità della donna.
  Rispetto a questo, in un contesto di promozione di una cultura differente, per utilizzare le belle parole della Presidente della Camera, cui riconosciamo la maternità della volontà politica e istituzionale di rispondere a questi vili episodi, bisogna porre al centro dell'attenzione il principio dell'uguaglianza di genere, sfatando alcuni miti, iniziando a condannare l'uso e abuso smodato che si fa del corpo delle donne in questa società. Troppo spesso le donne sono messe in vetrina e il corpo mercificato nelle pubblicità. Ci siamo abituati a guardare con indifferenza e quasi con disarmante normalità la messa in vendita delle donne e del loro corpo. E soprattutto tutto ciò è stato coperto da un assordante silenzio condito da un pregiudizio culturale in cui la banalità è diventata consuetudine. È dall'unione – attenzione – di questi fattori che nasce il germe di un terreno fertile per il femminicidio. È per questo che avanziamo proposte e sollecitiamo il Governo a passare dalle seppur nobili enunciazioni ai fatti. Noi di SEL ci saremo e non faremo mancare i nostri contributi. Oggi abbiamo presentato una mozione e dalle nostre proposte si può immaginare di costruire una rifondazione dei valori sociali e culturali di un Paese che decide di chiudere una parentesi già troppo lunga e protratta nel tempo, che ha visto la donna troppe volte oggetto e poche volte come valore aggiunto di una società che ha bisogno di una declinazione femminile della vita (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato De Maria. Ne ha facoltà.

  ANDREA DE MARIA. Signor Presidente, colleghi, penso sia molto importante il fatto che questa nostra Aula discuta così presto, a una settimana dal voto sulla ratifica della Convenzione di Istanbul, queste cinque mozioni che sono state presentate contro il femminicidio. È molto importante perché si conferma un impegno forte e convinto di questa Assemblea contro ogni forma di violenza e di sopruso sulle donne. Penso che questo impegno sia significativo prima di tutto per questo. Poi, certo, si dovrà tradurre in atti legislativi e si dovrà tradurre anche nella capacità di trovare le risorse finanziarie per rendere cogenti quegli atti amministrativi, ma soprattutto questa Assemblea, che rappresenta l'Italia, anche oggi, anche con questo dibattito, dà un messaggio al Paese.
  Come ha detto molto bene la collega Giuliani, quando ha illustrato la mozione del Partito Democratico (noi abbiamo molto insistito perché fosse calendarizzata in tempi così brevi), diciamo oggi all'Italia che questa per noi è una grande priorità politica e che quest'Aula nel suo insieme – auspico che domani arriveremo ad una modalità unitaria per concludere i nostri lavori – indica nel contrasto al femminicidio una delle sue grandi priorità d'iniziativa. Ciò può essere molto importante anche perché tutta la filiera degli organi amministrativi e istituzionali dello Stato sia fortemente impegnata in questa direzione. Pag. 22Noi nella nostra mozione, per esempio, sottolineiamo l'importanza che nelle questure e nei commissariati vi sia personale dedicato per quando arrivano le vittime di questi reati e che sia stato sottoposto anche ad opportuni percorsi formativi oppure indichiamo nei pronti soccorsi la necessità di avere sedi di servizi specifici a disposizione delle donne che abbiano subito violenza. Quindi, vi è l'impegno di quest'Aula per rendere più forte l'iniziativa di tutta la filiera istituzionale, però ovviamente questo è solo un aspetto di quella che deve essere prima di tutto una battaglia culturale. L'ho detto anche in occasione della ratifica della Convenzione di Istanbul: è una battaglia culturale che prima di tutto riguarda noi uomini. E riguarda la capacità di far sentire l'isolamento e il contrasto a tutti gli uomini che commettono atti di violenza, di intolleranza e di sopraffazione verso le donne. Questo spetta prima di tutto a noi uomini con gli altri uomini che conosciamo, con gli amici, con i parenti, con i vicini.
  Anche l'indifferenza è un gravissimo errore, anche l'indifferenza aiuta la violenza, aiuta il femminicidio e aiuta le sopraffazioni. Quindi, occorre una grande mobilitazione che deve riguardare tutta la società italiana e che appunto in particolare riguarda la cultura maschile, la capacità degli uomini di riconoscere dignità e rispetto alla donna, di non vedere la donna come un proprio possesso, ma come un cittadino, una persona che ha parità di diritti e di dignità e, come tale, di riconoscerne fino in fondo i diritti. Ricordo che nella Convenzione di Istanbul molto giustamente la violenza contro le donne e il femminicidio vengono indicati come gravissime violazioni dei diritti umani.
  Quindi, alle colleghe donne che hanno lavorato a questa mozione e che hanno lavorato alla ratifica della Convenzione di Istanbul credo debba andare il ringraziamento nostro e di tutta l'Aula.

  PRESIDENTE. La prego di concludere.

  ANDREA DE MARIA. Ai colleghi uomini – sto terminando, signor Presidente – invece dico che davvero dobbiamo sentire questa battaglia fino in fondo come nostra e dobbiamo aiutare a far sì che tutta questa Assemblea, come abbiamo fatto la settimana scorsa e come stiamo facendo oggi, ne faccia un tratto fondamentale del suo lavoro e della sua iniziativa (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Scopelliti. Ne ha facoltà.

  ROSANNA SCOPELLITI. Signora Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi presenti e, purtroppo, assenti, dal 1993, con la Dichiarazione delle Nazioni Unite sull'eliminazione della violenza contro le donne, la violenza contro le donne è riconosciuta come un vero e proprio crimine di genere, nonché violazione fondamentale dei diritti umani. Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, almeno una donna su cinque nel mondo è stata vittima di abusi fisici o sessuali nel corso della sua vita.
  Statistiche della Banca mondiale segnalano che, per le donne tra i 15 e i 44 anni, il rischio di subire violenze domestiche o stupri è maggiore del rischio di cancro, incidenti o malaria e il numero maggiore è formato da violenze perpetrate da familiari, mariti, padri o persone appartenenti all’entourage della vittima: vicini di casa, conoscenti stretti e colleghi di lavoro o di studio.
  Secondo un'indagine ISTAT, in Italia sono 6 milioni 743 mila le donne che, tra i 16 e i 70 anni, hanno subito violenza fisica o sessuale nel corso della loro vita. Tra le varie forme di violenza figurano le molestie insistenti e gli atti persecutori, meglio conosciuti come stalking. Questo, secondo i dati raccolti, è stato anticamera per il 40 per cento dei reati di natura sessuale.
  Come sottolineato nel 2009 dalla mozione presentata dal gruppo del Popolo della Libertà, l'introduzione nell'ordinamento giuridico italiano del reato di stalking è stata una chiara dimostrazione dell'attenzione del Governo e del Parlamento Pag. 23all'individuazione di strategie di contrasto, di prevenzione della violenza e di reinserimento delle vittime di tale reato. Lo stesso decreto-legge che ha introdotto il reato di stalking ha, inoltre, previsto ulteriori interventi in materia di violenza sessuale, con una strategia di contrasto delineata su base nazionale con l'obiettivo di mettere in rete l'esperienza dei centri antiviolenza nelle regioni italiane, del numero verde 1522 e le professionalità delle forze dell'ordine.
  Da ultimo, proprio la scorsa settimana, il 28 maggio, la Camera dei deputati ha approvato la legge di ratifica della cosiddetta Convenzione di Istanbul, ove si afferma un principio di portata storica: la violenza contro le donne è una violazione dei diritti umani, è una forma di discriminazione. Al di là della normativa, però, mi preme oggi sottolineare i fatti, i crudi fatti di cronaca che lasciano sgomenti per l'efferatezza con la quale sono compiuti.
  Colgo perciò l'occasione per rammentare a tutti, e perché resti anche negli atti della Camera, quanto accaduto a Corigliano Calabro il 27 maggio scorso: l'uccisione della giovanissima Fabiana Luzzi, la studentessa vittima della cieca violenza di un fidanzato che, al culmine di una lite, le ha sferrato contro decine di coltellate, per poi bruciarla viva.
  Quel ragazzo, appena diciassettenne, ha impedito a Fabiana di diventare donna, di piangere, di ridere, di innamorarsi... – scusatemi – ...di sbagliare e di crescere (Applausi). Vorrei, però, rammentare che i valori più elevati di violenza contro le donne non si registrano in aree più o meno circoscritte del sud del Paese, ma, al contrario, nel centro-nord e nelle grandi città, dove la donna ha maggiori opportunità di autonomia e di indipendenza.
  Non sono mai stata tenera con la Calabria, quella terra che a mio padre e ad altri servitori dello Stato ha dato la vita e anche la morte. Ebbene, da giovane donna e da calabrese dico qui che, se è inqualificabile e imperdonabile quella violenza che ha strappato alla propria famiglia una ragazza di 16 anni, ancor di più lo è etichettare, com’è stato fatto, la Calabria e il Mezzogiorno come terre irrimediabilmente affette da subcultura e omertà: avventarsi come gli avvoltoi su un dramma come quello della giovane Fabiana e alzarsi sulla punta dei piedi per apparire più alte non è un grande esempio di emancipazione e riscatto morale e culturale.
  Di parole se ne fanno spesso tante, troppe, e spesso la realtà è molto più complessa di come viene descritta. Con ciò voglio dire che i problemi non vanno solo evidenziati, ma affrontati con determinazione. Ebbene, non è ammissibile che una donna possa subire continue percosse o forme di stalking dal marito, che una dipendente rinunci volontariamente al proprio posto di lavoro per non subire ricatti sessuali in un'Italia dove, giova ricordarlo, riesce a lavorare solo meno del 50 per cento delle donne.
  Così come non è ammissibile che i media e l'industria del marketing, in assenza di una specifica regolamentazione, continuino a mercificare il corpo della donna, privando di fatto il genere femminile di ogni dignità, merito, ruolo nella società e riconducendolo subdolamente alla sola categoria dell'effimera apparenza.
  E a proposito di regolamentazione, concludo questo mio intervento con le parole di Tina Lagostena Bassi, cui va il mio e il nostro ricordo, nell'appassionata arringa resa celebre dal documentario «Processo per stupro», trasmesso dalla RAI nel 1979, un processo, come purtroppo altri ne verranno, dove le parti sembravano essersi invertite e le vittime trasformate in imputati. Dice l'avvocato: « La difesa è sacra, ma nessuno di noi avvocati si sognerebbe di impostare una difesa per rapina così come si imposta un processo per violenza carnale. Nessuno direbbe nel caso di quattro rapinatori che con la violenza entrano in una gioielleria: “Vabbè, dite che però il gioielliere ha un passato poco chiaro, che è un usuraio e che evade le tasse !”». Ecco, laddove non arriva l'etica, deve poter arrivare la politica, perché per garantire giustizia alla vittima, è ancora oggi umiliante il fatto che si perseveri, finanche nelle aule di tribunale Pag. 24e nelle cronache, a violare la sua sfera intima, fino addirittura, in molti casi, a screditare la donna e privarla di dignità e credibilità (Applausi).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Simona Flavia Malpezzi. Ne ha facoltà.

  SIMONA FLAVIA MALPEZZI. Signora Presidente, onorevoli colleghe, onorevoli colleghi, mentre noi qui, una settimana fa, votavamo la ratifica della Convenzione di Istanbul e ricordavamo anche la drammatica vicenda di Fabiana, l'ennesima vittima di femminicidio, giovanissima, adolescente, vittima di un altro adolescente, altri adolescenti venivano invece premiati dalla provincia di Milano per il concorso di cortometraggio «Rompere il silenzio. Stop alla violenza di genere», che ha visto protagonisti i centri di aggregazione giovanili e scuole superiori proprio della provincia.
  Al di là dell'orgoglio personale, perché i primi posti sono stati occupati dalle espressioni educative del territorio da cui provengo, l'Adda Martesana (al primo posto il Centro di aggregazione giovanile «Labirinto» di Cernusco, seguito dal «Nautilus» di Cassina e, a pari merito, il Liceo scientifico «Giordano Bruno» di Melzo e il Centro giovanile «Costellazioni Sirio» di Cologno Monzese), rimane il fatto che questi risultati sono il frutto delle buone politiche rivolte ai giovani, ma che non possono essere semplicemente lasciate alla buona volontà e alla caparbietà degli amministratori locali, che lottano quotidianamente perché non hanno fondi, ma che non tagliano di un euro le politiche giovanili, perché ci credono. Queste non devono essere le eccezioni, ma la norma !
  Ed ecco, noi, anche alla luce della ratifica della Convenzione di Istanbul, dobbiamo farci garanti di questa norma, dobbiamo impegnarci affinché vengano stanziati i finanziamenti per potenziare tutti i percorsi didattici di educazione alla relazione, ma anche di peer education, di quella educazione tra pari, o meglio, di quella prevenzione tra pari, che funziona perché i giovani hanno credibilità tra i giovani, perché queste attività educative mirano a potenziare nei pari le conoscenze, gli atteggiamenti, le competenze che consentono di compiere gesti responsabili e consapevoli.
  Tali progetti, però, funzionano solo se contestualizzati in una rete sociale e politica. Scuola, servizio sanitario, istituzioni locali svolgono un ruolo fondamentale e indispensabile. La pluralità di competenze necessarie diventa insostenibile se ne manca anche una sola e noi non possiamo permetterci che sia proprio lo Stato la parte mancante.
  È anche per questo che chiederò il patrocinio per il video vincitore del CAG «Labirinto» di Cernusco sul Naviglio – che poi è uno spot contro la violenza di genere – e lo chiederò alla Presidenza del Consiglio dei ministri, affinché questo cortometraggio possa circolare: sono i ragazzi che parlano ai ragazzi, sono i coetanei che parlano ai loro coetanei.
  Solo credendoci, investendo e collaborando, riusciremo a realizzare quella rivoluzione culturale che potrà scardinare quei retaggi di subalternità che ancora oggi – e ne abbiamo purtroppo gli esempi – rischiano di mascherare la violenza come gesto d'amore, giustificandola come forma di gelosia e quindi rendendola accettabile.
  I ragazzi della CAG «Labirinto» lo dicono chiaro nel loro video: «Chi ti ama, non ti mena». Grazie (Applausi).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Maietta. Ne ha facoltà.

  PASQUALE MAIETTA. Signor Presidente, gentili colleghe, gentili colleghi, la ratifica all'unanimità della Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne rappresenta un passo significativo per riaffermare una priorità del nostro tempo. Una priorità che è anche italiana e i più recenti episodi di cronaca sono lì a ricordarcelo con crudezza e disperazione.
  Ho chiesto al gruppo Fratelli d'Italia di poter svolgere questo intervento in sua Pag. 25rappresentanza per sottolineare come non sia un tema che riguarda solo le donne. La mia coscienza di uomo, e di figlio, marito, padre, impongono prima di tutto in capo agli uomini il dovere di prendere posizione intorno a un fenomeno dilagante, una emergenza nazionale.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARINA SERENI (ore 15,55).

  PASQUALE MAIETTA. «Un flagello mondiale», così la violenza sulle donne è stata definita da un recente rapporto dell'Organizzazione delle Nazioni Unite. Ebbene, oggi parliamo della violazione di diritti umani più diffusa e paradossalmente proprio per questo meno conosciuta nel mondo. Il motivo è semplice: quando ci si abitua alla violenza, la si sminuisce di importanza o, peggio, la si consacra dentro un contesto di usi e tradizioni popolari, si smette di riconoscerla e ovviamente di contrastarla.
  Nel recinto dei valori e dei principi stabiliti dalla Convenzione, l'Italia è oggi chiamata ad adottare le misure legislative necessarie per promuovere e tutelare il diritto degli individui, e segnatamente delle donne, di vivere liberi dalla violenza, sia nella vita pubblica che privata, eliminando ogni forma di discriminazione e promuovendo la concreta parità tra i sessi, rafforzando l'autonomia e l'autodeterminazione delle donne. Siamo convinti della necessità di introdurre una nuova materia obbligatoria nelle scuole per sensibilizzare la collettività al rispetto della dignità delle donne e prevenire ogni forma di discriminazione o femminicidio.
  Riteniamo necessario stanziare fondi adeguati per lo sviluppo di servizi idonei all'assistenza, competenti a ricevere denunce delle donne nonché per la formazione di personale qualificato in grado di recepire e gestire tali situazioni di emergenza.
  Chiediamo con forza l'inasprimento delle pene inserendo nel nostro codice la fattispecie penale del reato di stalking come elemento aggravante del femminicidio.
  Significativo, a tal proposito, è il dato secondo il quale il 15 cento dei femminicidi è preceduto da denunce per stalking; un persecutore su tre torna a colpire, ma ci vogliono almeno sei anni di tribunale per vedere uno stupratore in carcere e, se l'aggressore è minorenne, anche il processo si ferma persino quando si tratta di un branco a colpire (Corte di cassazione, 2011). La violenza è soprattutto vigliacca – lo sappiamo –, ha bisogno di sentirsi soccorsa dall'impunità per poter sopraffare le sue vittime.
  Ritengo molto importante che una grande capitale islamica come Istanbul abbia cullato la neonata Convenzione sui diritti e la sicurezza delle donne. Lo sottolineo perché occorrerà cancellare le attenuanti che spesso emergono nei processi, come la difesa dell'onore, le tradizioni culturali e religiose, soprattutto la presunta e quasi sempre inventata provocazione. Pochi giorni fa abbiamo dovuto leggere dell'ennesimo odioso episodio di discriminazione sessuale avvenuto a Jesolo in ordine alla decisione di non assumere donne come beach steward per evitare attriti con gli immigrati Islamici, i quali non tollerano di essere rimproverati dalle donne in ragione dei principi della religione musulmana. Ecco, non ho alcun timore reverenziale nell'affermare il diritto di ognuno a professare in Italia la propria religione, ma che sia chiaro: in Italia ognuno è anche tenuto a rispettare le leggi, le usanze e la cultura del popolo che li ospita.
  Custodisco per sempre nel cuore il ricordo di una ragazza il cui nome resterà iscritto nella storia moderna di questa nazione. Si chiamava Hina. Non c’è alcuna polemica politica o religiosa nelle mie parole, c’è soltanto la voglia di non dimenticare le parole del suo carnefice, suo padre: l'ho uccisa perché non diventasse come le altre, l'ho uccisa perché voleva essere libera.
  Di lei, del suo sorriso, come di Fabiana, resta la memoria che deve informare di sé ogni giorno che spenderemo per curare e prevenire la violenza sulle donne in ogni Pag. 26angolo del mondo. A partire dal nostro (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Antezza. Ne ha facoltà.

  MARIA ANTEZZA. Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, come è stato già ricordato, la scorsa settimana quest'Aula ha approvato la legge di ratifica della Convenzione di Istanbul per la prevenzione e il contrasto al femminicidio. È un passo importante – devo dire –, che è arrivato per l'impegno tenace della Presidenza e di tutte le forze politiche presenti in Parlamento, ma anche da parte di chi crede che la politica può contribuire in modo determinante a migliorare la società: una risposta sollecita di questo Parlamento contro il dilagare di una realtà spesso celata, non più accettabile, che continua purtroppo a fare troppe vittime. E – devo dire – è anche una sfida culturale che abbiamo lanciato per il bene del Paese.
  È una strage di donne che va avanti da anni: dal 2000 ad oggi sono oltre 2.200 le donne che sono morte perché vittime di uomini violenti. Si tratta di una violenza dell'intimità e non dell'estraneità: infatti, il 70 per cento circa degli omicidi è avvenuto all'interno della famiglia o di relazioni affettive. Inoltre, le donne vivono spesso questi drammi in solitudine e raramente trovano il coraggio di denunciare. Questo perché persiste la percezione che le risposte fornite dallo Stato non sono adeguate per garantire assistenza e protezione alle vittime e per perseguire per vie legali gli autori di tali crimini.
  Abbiamo anche detto che la violenza sulle donne non è un'emergenza, ma è un fenomeno strutturale in una società che pone uomini e donne in una relazione di disparità, di subalternità, di dominio e, quindi, occorre rilanciare una nuova stagione delle relazioni. È necessario non solo dare un forte segnale di rottura con un passato arcaico, dalle forti tradizioni patriarcali, che troppe disuguaglianze ha causato, ma occorre tenere presente anche la radice della moderna violenza, che sta nella fragilità dei ruoli e nella fragilità delle relazioni. Ancora non abbiamo conseguito una forma di relazione tra soggetti autonomi, che siano in grado di stare sullo stesso piano, su uno stesso piano di autonomia e di pari dignità.
  Per questo, dobbiamo cogliere l'occasione per fare un salto di qualità nella battaglia culturale e nell'assunzione di responsabilità da parte dello Stato, perché la violenza ha radici moderne e non è quindi frutto di arcaismi: un salto di qualità nell'azione politica perché c’è un salto di qualità nella violenza, non già azione residuale di un mondo arretrato, bensì una risposta nuova di una consapevolezza nuova delle donne rispetto ai loro diritti.
  Ma sappiamo anche che la violenza si contrasta con la rappresentanza appropriata delle donne in ogni ambito della società, con un uso non sessista delle immagini: a tal fine sarebbe utile l'adozione di un codice di autoregolamentazione dei media, un intervento fermo da parte delle istituzioni nei confronti degli uomini che commettono questo reato e di sostegno alle vittime.
  Penso che prevenzione e promozione della soggettività femminile, protezione delle vittime e punizione dei colpevoli devono essere le priorità dell'azione politica del Governo e del Parlamento. Dobbiamo da subito lavorare ad una legge organica, volta ad adeguare l'ordinamento interno alle prescrizioni contenute nella stessa Convenzione, prevedendo alcune misure volte innanzitutto a sensibilizzare l'opinione pubblica rispetto al fenomeno della violenza di genere. Così come credo che sia decisivo il ruolo di prevenzione che possono svolgere le scuole, quindi prevedendo l'inserimento nei programmi scolastici dell'educazione alla relazione; la previsione di nuclei specializzati nelle forze dell'ordine e nelle ASL e una specifica formazione di tutti gli operatori che vengono a contatto con le vittime di abusi.
  Così come credo che sia necessario un adeguato monitoraggio del fenomeno, attribuire all'ISTAT il compito di una rilevazione specifica, istituendo un apposito osservatorio sulla violenza. Così come Pag. 27serve un investimento certo e sicuro per sostenere il lavoro delle associazioni, delle case-rifugio, dei centri antiviolenza e potenziare anche le forme di assistenza e di sostegno medico, psicologico, legale ed economico alle donne vittime di violenza e ai loro figli, che molto spesso sono vittime di violenza assistita. Così come credo...

  PRESIDENTE. Deve concludere.

  MARIA ANTEZZA. Chiudo, Presidente. Così come credo che lo Stato italiano deve dare concreta attuazione alla direttiva 2004/80/CE del Consiglio dell'Unione europea, predisponendo un fondo di indennizzo per le vittime di reati sessuali.
  È un segnale chiaro che lo Stato italiano deve dare, è un segnale che lo Stato tutela la libertà delle donne, è un segnale che si combatte seriamente la violenza, senza attendere altro tempo, perché la violenza e le discriminazioni sono «ora e qui» per milioni di donne ed è il segnale che l'Italia non vuole essere posta ai margini del continente dei diritti delle donne, bensì riconquistare la testa delle battaglie per poterli affermare (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Sandra Savino. Ne ha facoltà, per cinque minuti.

  SANDRA SAVINO. Signora Presidente, onorevoli colleghi, onorevole Ministro, nel dibattito che afferisce alle dinamiche parlamentari di questa stagione politica, viene ribadito spesso il concetto di priorità, comprendendo in questa categoria primariamente provvedimenti di carattere economico. Ciò accade perché l'attualità ci consegna ogni giorno gli effetti della pesante crisi economica e internazionale che colpisce il nostro Paese, una crisi che si declina in storie drammatiche di imprenditori e lavoratori che mettono in luce con drammaticità un malessere molto esteso, al quale la politica è chiamata a dare una risposta.
  Ma in tema di priorità, la stessa attualità e la stessa drammaticità degli eventi rende indifferibile e urgente intervenire su un altro problema, che non fonda le sue radici nell'economia, ma su un piano culturale e sociale. Ritengo, infatti, essere moralmente obbligatorio parlare di priorità di intervento da parte del Parlamento, in un momento in cui assistiamo con sgomento alla mattanza ormai quotidiana di cui sono vittime le donne, una violenza odiosa e vigliacca, che non conosce confini geografici o di ordine sociale: non c’è il nord e il sud, così come non parliamo di episodi legati alle periferie o agli strati meno abbienti della popolazione.
  Si tratta di un male trasversale e per questo universale, che – lo ribadisco ancora una volta – è di fatto un'emergenza di fronte alla quale dobbiamo reagire. A conferma di ciò, oltre al numero dei crimini compiuti, vanno posti in evidenza almeno altri due aspetti ulteriormente inquietanti che vengono rappresentati dalle cronache: in primo luogo, vi è un’escalation nell'efferatezza delle violenze, che ci consegna uno scenario di grande preoccupazione sulla perdita di ogni sensibilità di fronte ai valori fondamentali dell'esistenza umana; secondariamente, ciò che colpisce è la giovane età dei protagonisti, che a volte, come è accaduto di recente, risultano essere addirittura minorenni. È un dato di ulteriore confronto, che ci presenta uno scenario disarmante sul piano della crescita morale dei giovani e delle assenze che hanno causato questo vuoto.
  Sulla base di queste premesse, e venendo incontro a quell'urgenza in termini di priorità, il documento che andremo a sottoporre alla votazione della Camera rappresenta non solo un segnale, ma un atto concreto, che mira a dare sostanza e concretezza ad una strategia costituita da due percorsi operativi.
  Il primo è quello della severità e dell'intransigenza che lo Stato deve avere di fronte a questi crimini: severità ed intransigenza non solo da parte del legislatore, ma soprattutto da chi è chiamato a giudicare e quindi a contrastare questi fenomeni, che non possono più essere trattati Pag. 28con quella leggerezza che purtroppo in passato, in qualche caso, è stata adoperata. Chi fa del male ad una donna deve sapere che dopo non ci saranno sconti morali o penali di alcun tipo. La fermezza non è certo l'unica arma di cui possiamo disporre, ma è complementare alla prevenzione, che è altrettanto fondamentale e che attiene ad un'azione di tipo culturale, sociale ed educativo, partendo magari dalle scuole, affinché nel percorso formativo vi siano occasioni per diffondere e rafforzare i valori del rispetto della soggettività femminile, comprendendo nella prevenzione ogni forma di discriminazione di genere che ancora connota ampi settori della nostra società.
  All'interno di questa strategia non vanno dimenticate le vittime, che spesso si ritrovano sole di fronte ai drammi di una separazione traumatica all'interno del nucleo familiare. Per questo, la mozione vuole comprendere anche quelle politiche di tutela e di assistenza alle donne che hanno subito soprusi e violenze, politiche che devono essere strettamente connesse al territorio e ai servizi erogati dagli enti locali.
  Concludo ribadendo un concetto, quello che attraverso questa mozione andiamo ad affrontare una priorità, un'emergenza della nostra società e di questo nostro tempo, un problema la cui soluzione impone un impegno costante e condiviso da tutte le forze politiche, un impegno che sono certa quest'Aula darà prova di assolvere (Applausi dei deputati del gruppo Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Piccoli Nardelli. Ne ha facoltà.

  FLAVIA PICCOLI NARDELLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, le diverse mozioni presentate rispecchiano più o meno fedelmente lo spirito che ha animato la discussione sfociata nell'approvazione plebiscitaria della Convenzione di Istanbul. Può sembrare, dunque, inutile o addirittura demagogico riprendere nuovamente il filo di quei discorsi. Dobbiamo, però, ricordare a noi stessi che oggi è nostro compito, come Parlamento, quello di definire i principi portanti su cui costruire una legge che renda attuabile quella Convenzione. Per fare questo, dobbiamo muoverci tenendo conto che parecchio è già stato fatto negli anni recenti. So bene che l'idea di una nuova legge si scontra con l'idea apparentemente più semplice di far funzionare meglio quelle che già ci sono. Eppure, resto convinta che vi sia bisogno di un testo di legge ad hoc, perché occorre sottolineare che è tutto il nostro Paese ad essere coinvolto, che lo Stato, su tutto il territorio nazionale, dal Nord al Sud, si riconosce allo stesso modo nell'urgenza e nella gravità di questo problema.
  Del resto, nonostante gli interventi legislativi fin qui predisposti, dobbiamo anche riconoscere che la situazione non solo non è migliorata, ma anzi apparentemente si è incrudelita. Dunque, sono anche altri i campi su cui dobbiamo muoverci e dobbiamo esserne molto consapevoli. Non occorre ricordare a questo Parlamento che le donne in Italia hanno cominciato a svolgere un ruolo politico riconosciuto solo a partire dal giugno del 1946, quando hanno ottenuto un suffragio realmente universale ed hanno partecipato alle votazioni per il referendum istituzionale e per l'Assemblea costituente. Ottennero quel diritto di voto per decisione delle due forze politiche popolari, la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista Italiano, che vollero investire sulla figura femminile. E fu nella Costituente che per la prima volta vennero affrontati una serie di problemi con un'ottica di impegno democratico, civile e politico, che permise di cogliere nuovi aspetti significativi, non solo nella storia delle donne, ma anche in quella politica e civile del nostro Paese.
  La forte attenzione riservata alla realtà civile e sociale italiana si ritrovò in altri momenti della nostra storia, per esempio quando Maria Eletta Martini e Nilde Iotti, per ricordare solo due fra le protagoniste di quella stagione, diedero un contributo essenziale alla costruzione della democrazia repubblicana, riuscendo a modificare il Pag. 29diritto di famiglia. Eravamo nel 1971 e solo nel 1981 – tardi, davvero molto tardi – venne abolito, come sappiamo, il delitto d'onore: decisione che trovò compimento nel 1996 con la legge contro la violenza sessuale. Vale la pena ricordarlo, Presidente, perché il nostro compito è rendere concreto l'impegno previsto dalla Convenzione di Istanbul, radicandolo nella nostra Costituzione e attuando quel «prevenire e proteggere» che ci è stato segnalato dagli organismi internazionali come un diritto ancora non compiutamente acquisito.

  PRESIDENTE. La prego di concludere.

  FLAVIA PICCOLI NARDELLI. Ecco perché sono convinta che nell'impegno formativo, nella scuola, nell'insegnamento e in quel diritto di cittadinanza declinato in maniera aperta, noi riusciremo a cambiare le cose.
  Questi temi sono compresi nelle diverse mozioni – e chiudo subito, Presidente – che insistono sia sulla prevenzione, sia sui profili di riparazione della violenza. Ecco perché esprimo l'auspicio che le mozioni vengano unificate, che si lavori su questi nodi essenziali in modo organico, nello stesso spirito con cui in un passato non troppo lontano si è lavorato sui principi costituzionali fondanti la vita democratica del nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Rossomando. Ne ha facoltà. Quattro minuti anche per lei.

  ANNA ROSSOMANDO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la nostra mozione è un atto di iniziativa parlamentare, che discutiamo dopo l'approvazione dell'autorizzazione alla ratifica e all'esecuzione della Convenzione di Istanbul. Perché, quindi, tornare, a distanza di poco tempo, sul medesimo argomento ?
  Non solo perché lo riteniamo un argomento così importante, ma perché con questa mozione vogliamo sottolineare che in quanto parlamentari, come parlamentari, ci sentiamo impegnati, e impegnate, e vogliamo impegnare il Governo con azioni concrete e visibili su quei principi e su quelle azioni contenute nella Convenzione di Istanbul.
  Molto si è detto in questi giorni anche sull'onda dell'emozione e dello sgomento che gli ultimi fatti di cronaca ci hanno portato – ahimè – e continuano a portarci. Sappiamo quanto sono frequenti quelle ferite inferte a corpi di donne: sono ferite inferte a tutte le donne, vorrei dire a tutti gli uomini, alla comunità dei consociati di cui siamo parte e che andiamo a rappresentare.
  Quindi il senso della mozione è di andare oltre, è dare un significato allo sgomento che ci coglie e al quale non si riesce a fare l'abitudine, una lacerazione profonda che ci interroga sull'effettività dei traguardi e delle conquiste che un'era moderna di diritti, quale quella che indubbiamente viviamo, sembra averci consegnato. Se poi sia reale questa effettività, questo è l'interrogativo.
  Facendo seguito anche al dibattito che c’è stato durante la ratifica e l'approvazione della Convenzione, dico che non basta chiedere più norme incriminatrici. È necessario vedere dove e come funzionano, dove sono le lacune sugli elementi di protezione delle vittime. Non basta dire che forse l'istituto della famiglia è in crisi. Forse bisogna interrogarci di quale famiglia stiamo parlando, di qual è una famiglia adeguata ai cambiamenti della società, ed infine un interrogativo più pressante, che direi fa parte un po’ dell'era moderna, cioè qual è la dimensione privata e qual è la dimensione pubblica, soprattutto su fatti che nascono da una crisi e da una grande conflittualità nelle relazioni tra le persone. Quindi un fatto sicuramente privato. E noi, in molte situazioni, siamo per rispettare, come dire, il fatto che sia privato e l'inviolabilità di una sfera privata, ma questi fatti ci dicono che non è un fatto privato, non è un fatto che nasce e si esaurisce nella sfera individuale, è un fatto pubblico, perché coinvolge le comunità, perché nasce da modelli sociali e culturali, perché nasce dagli assetti di potere che influiscono sulle persone, ma Pag. 30che nascono dal modo in cui una società si configura e da come evolve. Per questo ci vogliono non solo riflessioni ma azioni pubbliche. Per questo parliamo di una grave violazione dei diritti umani e per questo individuiamo azioni molteplici di accelerazione dell'iniziativa normativa, di monitoraggio, di come le norme vengono applicate e quanto siano efficaci, di formazione e specializzazione presso le questure...

  PRESIDENTE. La prego di concludere.

  ANNA ROSSOMANDO. Concludo... di una diversa deontologia per quanto riguarda le pubblicità, per quanto riguarda i giornali, il sostegno ai centri antiviolenza. Concludo, signor Presidente: con questa mozione, come Parlamento, vogliamo assumere impegni concreti; vogliamo affermare che il diritto, la vita, il destino delle donne non sarà e non deve più essere quello di vittime, che la qualità della vita e la possibilità di realizzare le proprie aspirazioni, i sogni, di realizzarsi pienamente come persona noi le vogliamo vedere. Noi vogliamo vedere questo cambiamento, ci sentiamo chiamati a questa responsabilità e ci impegneremo perché questo cambiamento si verifichi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Palazzotto. Ne ha facoltà.

  ERASMO PALAZZOTTO. Signor Presidente, rappresentanti del Governo in Aula, colleghi deputati, è difficile intervenire su questo tema in questo momento, nel contesto in cui il Parlamento affronta questa discussione, fotografato dai numeri che ci consegnano il dovere di intervenire presto su un tema così importante come quello della violenza sulle donne nel nostro Paese. I dati forniti dall'ISTAT, più volte richiamati in quest'Aula, ci raccontano di un Paese in cui quasi 7 milioni di donne tra i sedici e i settant'anni, hanno subito violenza fisica o sessuale nel corso della loro vita e tra queste un milione è stato vittima di uno stupro o di un tentato stupro.
  Ci raccontano ancora di come queste forme di violenza avvengano spesso dentro le mura domestiche: il 14,3 per cento delle donne, infatti, ha subìto una violenza dal proprio partner o dal proprio ex. Ci raccontano di un Paese imbarbarito, in cui le pari opportunità riconosciute dalla nostra Costituzione, sono rimaste solo sulla carta. Nel fare questa discussione oggi noi, come classe dirigente, stiamo implicitamente riconoscendo le nostre mancanze. «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitano di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini», è scritto nell'articolo 3 della nostra Costituzione. Oggi, a 67 anni dalla nascita della nostra Repubblica, stiamo ancora discutendo di come garantirne piena applicazione.
  La violenza sulle donne affonda le sue radici dentro fenomeni culturali ed economici complessi, si fonda sul retaggio culturale di una società saldamente incardinata su un'idea di potere e di affermazione dell'uomo sulla donna. Così come ci fa notare anche la relatrice dell'ONU nel suo rapporto del 2012 relativo alla sua missione in Italia sul tema della violenza sulle donne: «Gli stereotipi di genere, che predeterminano i ruoli di uomini e donne nella società, sono profondamente radicati. Le donne portano un pesante fardello in termini di cura della casa, mentre il contributo degli uomini ad essa è tra i più bassi del mondo».
  Ma fa parte anche di un modello culturale moderno, che attraversa ogni aspetto della nostra vita associata e che trova la sua più alta rappresentazione nello stereotipo che si costruisce ogni giorno della donna attraverso i media e, in particolare, dalla televisione. Dal rapporto ombra della piattaforma sull'implementazione della Convenzione per l'eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW) in Italia, possiamo ottenere un quadro ancor più desolante sulla rappresentazione della donna nel nostro Paese. Nel 2006, il 53 per cento Pag. 31delle donne apparse in televisione non parlava, il restante 46 per cento era associato a temi quali il sesso, la moda, la bellezza; solo il 2 per cento delle donne apparse in tv, erano notate a proposito di questioni di impegno sociale e professionale.
  Ne emerge un quadro in cui la mercificazione del corpo delle donne è l'anticamera di un processo di oggettivizzazione della donna stessa, che diventa nell'immaginario collettivo dell'universo maschile, un bene di cui si può liberamente disporre, in senso figurato o anche fisico. Per non parlare, poi, della condizione della donna nel mercato del lavoro. Secondo i dati forniti dal Governo, le più alte posizioni manageriali nei settori pubblici e privati sono ancora dominate dagli uomini, anche nei luoghi di lavoro dove le donne costituiscono la maggioranza della forza lavoro. Questi dati raggiungono cifre preoccupanti quando ci spostiamo al Sud, nella mia terra, in Sicilia, dove lavora meno di una donna su due.
  Insomma, la battaglia contro la violenza sulle donne passa da un insieme di misure non solo legislative, che devono riguardare l'impegno tutto della politica in quella che è prima di tutto una battaglia culturale. Noi riteniamo che oltre alle misure previste dalla Convenzione di Istanbul appena ratificata da questo Parlamento, a quelle richiamate in tutte le mozioni presentate – dall'istituzione di un Osservatorio nazionale sulla violenza di genere, al finanziamento dei centri antiviolenza, all'introduzione di corsi nelle scuole sulla sensibilizzazione per la parità di genere, alla gratuità del patrocinio per chi è vittima di violenza sessuale –, serva anche un complesso di interventi che modifichi l'impianto culturale ed economico su cui affonda le radici il fenomeno complesso della violenza sulle donne. A cominciare dal ripristino della legge sulle «dimissioni in bianco», abrogata nella scorsa legislatura e che oggi rappresenta la forma più vistosa di discriminazione sociale ed economica delle donne in Italia (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).
  Ritengo che oggi ci siano le condizioni per avviare un percorso virtuoso che porti ad una nuova legislazione sulla materia che tuteli le donne da tutte le forme di violenza e di discriminazione, ma anche per favorire politiche di sensibilizzazione contro fenomeni stereotipati sul ruolo della donna nella società. Lo penso perché, finalmente, questo è diventato un dibattito pubblico nel nostro Paese e in questo Parlamento. Lo penso perché questo è il Parlamento con più donne nella storia della Repubblica. E su questo, Presidente, mi permetta una riflessione a titolo personale.
  Non sarà facile in Italia arrivare ad una società delle pari opportunità, se non ci sarà una piena assunzione di responsabilità maschile su questa vicenda. Le forme di violenza e di discriminazione delle donne sono un problema che riguarda prima di tutto gli uomini e il modello culturale che impongono a questo Paese, dimostrando una forma estrema di debolezza piuttosto che un'affermazione di forza. «Chi è nell'errore compensa con la violenza, ciò che gli manca, in verità, è la forza», diceva Goethe (Applausi dei deputati Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Chiara Scuvera. Ne ha facoltà.

  CHIARA SCUVERA. Signora Presidente, colleghe e colleghi, come premesso dall'onorevole Giuliani, con approvazione dell'autorizzazione alla ratifica e l'esecuzione della Convenzione di Istanbul, la Camera ha operato una vera e propria svolta politica per l'affermazione dei diritti umani, delle donne e dei minori.
  La gravità del femminicidio nel nostro Paese richiede però di anticipare, rispetto all'entrata in vigore, le azioni ivi previste; azioni enucleate anche nella mozione del Partito Democratico, la mozione Speranza ed altri n. 1-00039. Bisogna dare subito concretezza a quei principi, avviando il percorso per un sistema organico di norme e per un piano ed un fondo nazionale. Per conferire organicità, bisogna armonizzare le normative nazionali e regionali, Pag. 32nonché coordinare le competenze amministrative tra i diversi livelli di Governo.
  Credo che, per affrontare efficacemente questo tema, sia necessario dare centralità al principio di sussidiarietà, con particolare riferimento alle politiche sociali e sanitarie, valorizzando la sussidiarietà verticale e la sussidiarietà orizzontale, rappresentata dall'attività dei centri antiviolenza e delle case-rifugio. Ne abbiamo un esempio anche nel territorio pavese, col lavoro straordinario delle donne di Liberamente, seppur nell'esiziale scarsezza delle risorse.
  Abbiamo recentemente avviato il percorso sulle riforme istituzionali. Barbara Pollastrini sottolineava come la ratio debba essere modernizzare i poteri per realizzare i diritti: questa può essere l'occasione per conferire maggiore incisività al potere di indirizzo dello Stato sulla legislazione concorrente, quale quella sulla tutela sanitaria. Cosa dice per esempio lo Stato del fatto che la regione Lombardia ha approvato una legge contro la violenza sulle donne, legge approvata all'unanimità, una buona legge; e che questa legge è ancora priva di risorse ed è rimasta inattuata ? Perché non cominciamo a far funzionare gli strumenti già esistenti (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico) ? Solo se connotata da notevole concretezza e da coesione territoriale, la complessiva azione istituzionale sarà credibile e forte, e le donne che vivono nel buio saranno incoraggiate ad uscire dal silenzio (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Villecco Calipari. Ne ha facoltà, anche lei per quattro minuti.

  ROSA MARIA VILLECCO CALIPARI. Signora Presidente, credo che oggi sia una giornata importante, perché chi come me in questi anni ha visto più volte affrontare con stop and go questo tema, oggi vede finalmente una serie di mozioni presentate dalle varie forze politiche, che condividono almeno l'impianto dell'esigenza di dare risposte concrete al fenomeno strutturale della violenza contro le donne.
  La settimana scorsa abbiamo avuto un primo passo importante: la ratifica della Convenzione di Istanbul, vorrei ricordare firmata soltanto il 27 settembre 2012, dopo vari atti che il Parlamento, sia la Camera che il Senato, aveva approvato. Con la ratifica sono stati inoltre approvati la settimana scorsa anche alcuni ordini del giorno, accolti dal Governo; vorrei oggi risottolineare al Governo un'esigenza. Uno di questi ordini del giorno, che portava la mia prima firma, e di molti altri colleghi, non soltanto del Partito Democratico, sottopone al Governo l'importanza di prevedere il pieno recepimento nell'ordinamento nazionale delle direttive dell'Unione europea: la n. 29 del 2012 sul rafforzamento della posizione della vittima nel procedimento penale, la n. 99 del 2011 sull'ordine di protezione europea adottato a favore di vittime o potenziali vittime di reati.
  Vi è poi la n. 36 del 2011, concernente la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime; la n. 93 del 2011, relativa alla lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pornografia infantile; infine, la n. 80 del 2004, sull'indennizzo delle vittime da reato intenzionale e violento a cui, tra l'altro, bisogna ricorrere, perché c’è un problema da rivedere, cioè c’è bisogno di una profonda revisione. Allora, ribadisco la necessità di un impegno sinergico tra Governo e Parlamento, che sia, appunto, orientato a rafforzare l'azione di pieno recepimento di queste direttive, cosa che si può fare proprio nella prossima legge comunitaria, senza le quali la portata della Convenzione di Istanbul verrebbe fortemente depotenziata.
  Detto questo, che mi sembra uno dei punti, secondo me, da cui partire in questa azione di contrasto, l'obiettivo della nostra mozione è quello di sostenere l'adozione, da parte del Governo, di ogni iniziativa normativa volta ad adeguare il nostro ordinamento alle prescrizioni contenute sui grandi capitoli della Convenzione di Istanbul, nel rispetto delle sue linee fondamentali Pag. 33che per anni sono state dimenticate e progressivamente prosciugate, come prevenzione, protezione, repressione, monitoraggio e integrazione delle singole politiche.
  Ma non solo, perché il Parlamento chiede anche al Governo non solo di elaborare o di verificare la necessità di elaborare nuove norme, ma di mettere in campo politiche – buone politiche –, di trovare risorse e utilizzarle nella maniera più efficace ed efficiente possibile. Compiere un grande sforzo in tal senso secondo me significa voler veramente contrastare alla radice – concludo, Presidente – il fenomeno della violenza sulle donne nel nostro Paese. E in questo senso, credo che la necessità di un tavolo interministeriale, di cui facciano parte anche le associazioni che, per esempio, hanno stilato e redatto la Convenzione No More, sia un modo sinergico di mettere insieme attori istituzionali, società civile e persone o organizzazioni che hanno lavorato, in questi anni, contro il fenomeno della violenza sulle donne (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Roberta Agostini. Ne ha facoltà, anche lei per quattro minuti.

  ROBERTA AGOSTINI. Signor Presidente, colleghi, noi svolgiamo questa discussione oggi quasi proseguendo, in maniera ideale, il dibattito che ha poi portato all'approvazione all'unanimità della legge di ratifica della Convenzione di Istanbul (ricordo, 545 votanti e 545 «sì»). È la testimonianza del nostro impegno e della sensibilità di questo Parlamento, che dovrà vedere un seguito, io penso, oltre al dibattito e all'approvazione delle mozioni, in termini anche di fatti e di politiche concrete, politiche, risorse, iniziative a sostegno degli enti locali, a sostegno del lavoro delle associazioni sul territorio.
  Però, è anche molto importante che noi oggi discutiamo e assumiamo questi impegni, perché il rischio vero, io penso, sia quello un po’ di assuefarsi alla violenza, considerarla endemica, considerarla normale, considerarla ordinaria, quasi per il fatto che quasi ogni tre giorni una donna viene uccisa e leggiamo sui giornali cronache che ci restituiscono quasi l'immagine di una normalità. Ebbene, la violenza non è un fatto normale. Questo nostro impegno è anche l'esito, io penso, di un movimento delle donne che fuori e dentro le istituzioni, in modo carsico, in modo più pubblico ed evidente, sempre in modo plurale, spesso in modo trasversale, ha posto all'attenzione di un'opinione pubblica più vasta una lettura delle radici della violenza ed una consapevolezza della vastità e della pervasività del fenomeno.
  È vero – lo ricordava la collega prima di me – che sono passati più di 30 anni da quando, per la prima volta, una telecamera entrò in un'Aula nella quale si svolgeva un processo per stupro. Era il 1978 e il documentario ci mostra che a sedere sul banco degli imputati è proprio la donna che, a detta degli avvocati, con il suo comportamento avrebbe istigato la violenza. Ci sono volute le battaglie delle donne per cambiare e trasformare la violenza da delitto contro la morale a delitto contro la persona. Era il 1996 quando è stata approvata la legge (non è poi molto tempo fa). E ci sono voluti anni, dalla prima raccolta delle firme, fino a che il Parlamento approvasse in via definitiva quella legge.
  Oggi Michela Marzano ha ribadito che non è possibile forse eliminare del tutto la violenza, ma che è nostra responsabilità individuale e collettiva combatterla. Recalcati su la Repubblica qualche tempo fa ha scritto che la violenza non è una regressione dell'uomo all'animale, ma accompagna come un'ombra la storia dell'uomo, nasce dall'incapacità di accettare il proprio limite e il proprio fallimento, la ferita narcisistica subita dalla propria immagine, in una miscela esplosiva di narcisismo e di depressione; totalmente immersi in una cultura che insegue il nuovo e il successo, il ricorso alla violenza esorcizza vulnerabilità ed insufficienza. E la violenza allora non è che la punta dell’iceberg, è la manifestazione più evidente ed estrema che qualcosa di sbagliato c’è nelle relazioni Pag. 34tra uomini e donne, nel rapporto tra le identità più profonde di uomini e donne: un'incapacità maschile di accettare libertà e autonomia femminile, una rivendicazione femminile all'affermazione di sé in tutte le sfere della vita pubblica, che è – lo ricordiamo – una risorsa per la vita democratica, sociale ed economica del Paese e per la civiltà tutta nel nostro Paese. Allora la nostra responsabilità, della politica e delle istituzioni, deve partire da qui, da questa consapevolezza.
  Nella mozione che abbiamo presentato e nella Convenzione che abbiamo ratificato la scorsa settimana sono descritte azioni, misure e politiche di cui dovremmo dotarci, a partire dalla definizione di misure legislative che quelle politiche le prevedano: monitoraggio, prevenzione a partire dalle scuole, nei luoghi di lavoro, nelle famiglie; promozione del ruolo delle donne nella vita pubblica; accoglienza delle vittime; punizione dei colpevoli. Queste sono le azioni, queste sono le misure che dovremo mettere in campo dentro una strategia globale e complessiva nei prossimi mesi. Io penso che noi qui stiamo parlando di tutela di diritti, della violazione di diritti umani, ma stiamo anche compiendo un lavoro per rendere più ricchi, più aperti ed inclusivi il nostro Paese e la nostra democrazia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Mantero. Ne ha facoltà, per quattordici minuti al massimo.

  MATTEO MANTERO. Signor Presidente, colleghi deputati, con la ratifica della Convenzione di Istanbul abbiamo mosso un importante primo passo verso il contrasto alla violenza sulle donne. Non possiamo però adesso fermarci ed aspettare che la Convenzione entri in vigore. È necessario che il nostro Paese adotti immediatamente provvedimenti adeguati. Ci riferiamo al Piano nazionale contro la violenza di genere e lo stalking, in scadenza proprio quest'anno. Chiediamo quindi che il Governo si attivi in tempi rapidi per il suo rinnovo e miglioramento, facendo propri i principi ispiratori della stessa Convenzione di Istanbul, che abbiamo ratificato la settimana scorsa.
  Riteniamo essenziale, a tal fine, il coinvolgimento diretto delle organizzazioni operanti del settore che fino ad oggi hanno colmato le lacune dello Stato, in particolare i centri antiviolenza sparsi in tutto il territorio nazionale, che con fatica da anni aiutano le donne vittime di violenza. Infatti, soltanto chi ha esperienza diretta del fenomeno può dettare le linee guida per affrontarlo in maniera adeguata ed efficace.
  Arriviamo a questa logica conclusione considerando gli scarsi risultati ottenuti dal piano precedente, riguardo ai quali abbiamo già chiesto chiarimenti con un'interrogazione a risposta scritta presentata il 10 aprile, alla quale ad oggi non abbiamo ancora ottenuto alcuna risposta. Segnaliamo in particolare l'urgenza di provvedere alla raccolta e al monitoraggio dei dati inerenti al fenomeno, al fine di ottenere uno studio attendibile ed ufficiale. È inoltre indispensabile ampliare e consolidare la rete nazionale che coinvolge da un lato i centri antiviolenza, che sono comunque pochi e poco uniformemente distribuiti sul territorio, e dall'altro istituzioni quali enti locali, forze dell'ordine, ospedali e servizi sociali. L'importanza di questa rete è evidente se si pensa che troppo spesso capita che una donna si rivolga alle forze dell'ordine senza che queste sappiano indirizzarla verso il percorso che coinvolge le istituzioni che ho citato prima.
  Oggi in quest'Aula e la settimana scorsa abbiamo ascoltato molti interventi condivisibili e spesso addirittura toccanti, però questi resteranno solamente belle parole a vuoto, se il Governo non si impegnerà in maniera seria e reale allo stanziamento di fondi adeguati ad intervenire. Il Governo decida in fretta quali sono le sue priorità, perché le nostre donne non possono più aspettare.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Iori. Ne ha facoltà, per quattro minuti.

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  VANNA IORI. Signor Presidente, le misure antiviolenza per punire gli aggressori e proteggere le vittime devono essere attuate con urgenza, come è stato sottolineato da molti interventi che mi hanno preceduto, ma non bisogna dimenticare che queste misure riguardano il dopo, quando un'altra donna è già stata uccisa o maltrattata. Quindi, non bastano, se non vengono affiancate da altrettanto urgenti e diffuse campagne di educazione e di prevenzione, campagne che devono entrare nelle case, che devono coinvolgere i media, innanzitutto, i genitori, gli insegnanti e tutti gli attori e gli ambiti della formazione. Infatti, le cifre impressionanti e i modi cruenti, le morti precedute quasi sempre da sevizie, sono solo la punta dell’iceberg, la parte visibile di tutto quell'orrore sommerso che lascia corpi femminili sfregiati, sfigurati, e non solo. Spesso il furore distruttivo non risparmia neppure i figli, vittime innocenti delle stragi familiari o spettatori pietrificati delle percosse. Prevenire significa, in concreto, intercettare il rischio di scivolamento nel circuito infernale, aiutando le donne, ammutolite per la paura o per la vergogna, a ritrovare le parole per dire.
  Occorrono, cioè, azioni di coaching e di accompagnamento formativo alla fiducia e al coraggio, azioni che possono essere attivate anche nei luoghi di lavoro e che diminuiscono i costi umani, sociali ed anche economici della violenza. Ma, ancor prima, sono necessarie pratiche educative, regole, vigilanza, vigilanza sul linguaggio della comunicazione pubblica e interventi, fin dall'infanzia, sull'uso delle parole, sulla grammatica, sui libri di testo, sui percorsi scolastici, seguendo almeno due obiettivi prioritari: l'educazione ai sentimenti e l'educazione alla corporeità.
  Se la maggior parte delle donne viene massacrata da un ex marito, un compagno, un amante, un «fidanzatino», come è stato definito il feroce assassino di Fabiana, comunque da un uomo che aveva un legame sentimentale con la vittima, sarà proprio da lì che bisognerà partire, ossia dai sentimenti. E non sto parlando di sentimentalismo, sia chiaro, ma sto cercando di parlare del diffuso analfabetismo sentimentale, dell'incapacità di riconoscere, di nominare e di esprimere consapevolmente i propri sentimenti. Uomini che ammazzano le loro donne confondono l'amore con il possesso e traducono la frustrazione per un rifiuto, la cosiddetta ferita narcisistica, in un'aggressione fisica, perché la dimensione della vita emotiva, trascurata, è affidata oggi soltanto alla TV dei reality, alle forme effimere che nulla hanno a che vedere con la consapevolezza di sé per la costruzione equilibrata della propria identità di genere e della relazione con l'alterità.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LAURA BOLDRINI (ore 16,40).

  VANNA IORI. Il secondo aspetto riguarda la questione del corpo delle donne e degli stereotipi che lo riducono a corpo-cosa, a oggetto da esibire e da vendere. Ricordiamo che il sesso a pagamento coinvolge 9 milioni di uomini, e anche qui non possiamo ignorare l'elevato numero di prostitute uccise, prevalentemente immigrate, clandestine, schiave, donne massacrate nel generale silenzio dei media. Non si accendono i riflettori: in genere, basta un trafiletto sui giornali, di loro non si sa nulla.

  PRESIDENTE. La prego di concludere.

  VANNA IORI. La loro vita è forse meno sacra, meno inviolabile di quella degli uomini ? Se questi sono gli uomini – concludo – dice il titolo del libro di Iacona, la questione allora non è solo femminile.
  Occorre che gli uomini sappiano spezzare quel silenzio complice che produce assuefazione alla violenza di pensiero e di parola, a quella banalità del male, come direbbe Hannah Arendt, che rende insensibili le coscienze. Solo così può essere possibile costruire nuove relazioni tra i generi, che, riconoscendo le rispettive fragilità, sappiano riscrivere nuovi codici relazionali, Pag. 36nuovi linguaggi e generare nuove forme di reciprocità (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Alessandra Moretti. Ne ha facoltà.

  ALESSANDRA MORETTI. Gentile Presidente, colleghe e colleghi, credo sia doveroso innanzitutto riconoscere a questo Parlamento, all'interno del quale, per la prima volta nella storia della Repubblica, vi è un alto numero di donne e di giovani, il merito di avere ratificato all'unanimità, come è stato giustamente più volte ricordato, la Convenzione di Istanbul, che obbliga gli Stati firmatari ad adottare norme e strumenti di contrasto sostanziali e processuali contro la violenza sulle donne.
  Purtroppo, dobbiamo anche constatare che, in una società del terzo millennio avanzata quale la nostra, la donna è soggetto giuridicamente e relazionalmente fragile, tanto da richiedere una tutela specifica di genere e dei suoi diritti fondamentali, segno evidente, questo, di quanto radicato e strutturale sia nel nostro Paese il fenomeno del femminicidio. Si tratta di un fenomeno complesso, che richiede necessariamente un approccio multidisciplinare, che coinvolga sia l'apparato giudiziario che le strutture socio-sanitarie, ma che promuova, primo fra tutti, un intervento educativo e di sensibilizzazione sociale, finalizzato a rimuovere gli stereotipi culturali di genere, così radicati nella nostra società, e a crescere una generazione di donne e di uomini forti di una coscienza che respinga come innaturale ogni forma di violenza maschile sulla donna.
  I dati sulle violenze perpetrate sulle donne sono tanto più allarmanti se si considera l'altissimo numero di mancate denunce; la famosa «cifra oscura» rappresenta la parte sommersa del grande iceberg, e ciò si verifica perché la violenza si realizza frequentemente all'interno della famiglia, istituzione protetta dall'ordinamento quale società naturale e perciò molto spesso impenetrabile e difficilmente conoscibile. Nell'ambito delle violenze domestiche, nel quale le vittime sono più di una, se si considera che alla violenza spesso assistono i figli della donna, si fa sempre più pressante l'esigenza di garantire un'alta professionalità nell'ambito della magistratura e nelle forze di polizia giudiziaria. Infatti, solo attraverso una formazione di personale idoneo, munito di preparazione specifica, sarà possibile realizzare una tutela piena ed effettiva. Sul punto è necessario sostenere con forza i centri antiviolenza, i cui operatori chiedono un albo specifico proprio per garantire competenza e professionalità anche in tale ambito.
  Lo svelamento della violenza rappresenta, infatti, un momento gravemente destabilizzante, che richiede una tutela pronta ed efficace, che, se non realizzata, determina quella che gli esperti chiamano la «patologia del segreto», un meccanismo sotteso ad ogni famiglia abusante o maltrattante che considera tale odioso reato come un affare di famiglia. Alla denuncia deve quindi seguire l'allontanamento immediato dell'autore della violenza e l'immediata attivazione del procedimento giudiziario, e ciò prima che la famiglia si riprenda il suo segreto, attraverso un meccanismo perverso di minacce e ricatti finalizzati a destabilizzare e minare la credibilità della donna.
  La complessità del fenomeno richiede quindi un intervento legislativo che si avvalga delle migliori esperienze, migliori esperti ed operatori del settore giudiziario, socio-sanitario ed educativo, proponendo così un approccio multidisciplinare, appunto, come richiedono le più recenti convenzioni internazionali.
  L'auspicio è che questo Parlamento sappia promuovere una stagione di impegno trasversale collettivo anche su questo tema, prendendo esempio da quanto riuscirono a fare le deputate di tutti i gruppi parlamentari nel 1996, le quali furono protagoniste della legge che decretò la violenza sessuale come reato contro la persona e non più contro la moralità pubblica e il buon costume, una conquista di grande valore per una civiltà democratica Pag. 37ed evoluta quale vuole essere la nostra. Lo dobbiamo a tutte le donne che hanno subito violenza, a tutte le donne di coraggio che in questi anni hanno combattuto l'omertà e che hanno promosso in Italia un movimento di resistenza culturale contro i soprusi e i maltrattamenti.
  Lo dobbiamo infine alle nostre figlie e ai nostri figli, perché abbiano l'opportunità di vivere in un Paese davvero libero e giusto (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Antimo Cesaro. Ne ha facoltà.

  ANTIMO CESARO. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, come ho già avuto modo di dire nel mio precedente intervento del 27 maggio scorso, immaginiamo le donne vittime della violenza sedute qui, in mezzo a noi, tra questi paludati scranni. Queste donne abusate, violentate nel corpo e, assai più di quanto si pensi, nell'animo, queste donne non chiedono vendetta, urlano piuttosto il loro inappagato desiderio di giustizia, che viene loro negata prima e troppo spesso anche dopo la violenza subita. È un desiderio di giustizia che si manifesta come acquisizione completa di un diritto di cittadinanza pieno, completo, indiscusso, de iure e de facto, che emancipi la donna in maniera definitiva da ogni forma di supposta subalternità, anche rispetto ad un obsoleto e strumentale concetto di onore, che non può più avere spazio nella nostra civiltà giuridica.
  In quest'ottica, a giusta ragione, la Convenzione di Istanbul incardina la violenza o la discriminazione di genere nell'ambito della violazione dei diritti umani e dei diritti fondamentali della persona. Ecco, è il valore pieno e assoluto della persona che va reso attuale e compiuto, alla luce dell'articolo 3 della Costituzione e nella prospettiva dei più recenti studi di filosofia del diritto e di filosofia politica che hanno sondato l'incredibile profondità del concetto. Ed è opportuno sottolineare che le forme di violenza di cui una donna può rimanere vittima sono odiosamente variegate: violenza sessuale, morale, economica, fisica, verbale, psicologica, violenza nelle forme di comunicazione.
  In questo ambito è veramente malinconicamente decadente l'immagine da cliché stereotipato di una donna oggetto, volgarmente esibita in forme di promozione pubblicitaria che, amplificando il principio di supposta supremazia del cosiddetto sesso forte, si esprimono in forme di machismo patetico e decadente.
  Anche in considerazione degli episodi di violenza recentemente accaduti, si può e si deve parlare di vera e propria emergenza. Non si può rimanere inerti a guardare, a deplorare, a compiangere, a stigmatizzare. Occorre agire. Si colmi il divario nell'accesso al lavoro tra uomini e donne, emergenza nell'emergenza. Non è possibile assuefarsi allo spettacolo di donne esposte sulle nostre strade, dopo essere state ridotte in schiavitù e avviate alla prostituzione.
  Occorre dare sostegno alle donne che subiscono violenza in famiglia, supporto legale, psicologico ed economico, affinché, per esempio, la preoccupazione di non poter sostenere economicamente i figli o la propria indipendenza non spinga al silenzio, all'omertà, alla paura muta.
  Si sanzionino pesantemente le pubblicità che, offendendo la dignità femminile, mercificano senza pudore il corpo delle donne. Si agisca sul piano culturale con una programmazione scolastica, già a partire dalla scuola dell'obbligo, che miri al superamento di ogni differenza di genere. Si presti, da parte delle forze dell'ordine, con la dovuta preparazione specifica da parte degli agenti dedicati, una maggiore attenzione alle denunce, anche con il supporto di qualificato personale socio-sanitario: denunce e grida di allarme troppo spesso ignorate e disattese, che poi sfociano in esiti, ahimè, tragici.
  Si tutelino, con tutta la delicatezza possibile, i minori costretti ad assistere a fenomeni di violenza, tanto più odiosi poiché consumati tra le mura domestiche.
  Si amplino le risorse a disposizione dei servizi sociali, rafforzando l'azione dei centri antiviolenza, per prevenire e contrastare Pag. 38questo fenomeno odioso, soprattutto incrementando la dotazione specifica dei piani sociali di zona, che costituiscono spesso l'unico presidio territoriale di prossimità al disagio sociale.
  Si sanzionino con severità, perché non ci sono attenuanti da invocare o giustificazioni a discarico, la violenza odiosa contro le donne; sia, anzi, considerata la violenza di genere un'aggravante vigliacca della condotta criminosa.
  Le mozioni a corredo della Convenzione di Istanbul mi sembra si muovano in questa direzione; speriamo che possano essere unificate, facendo sintesi tra gli interessanti spunti delle mozioni Binetti, Giuliani, Calabria e degli altri colleghi.
  Occorre vigilare, impegnarsi con provvedimenti concreti affinché la Convenzione, diventando al più presto esecutiva, non sia un domani da annoverare da parte degli storici del diritto tra i numerosi documenti internazionali ricchi soltanto di buoni principi e commendevoli speranze.
  È nostro dovere, onorevoli colleghi, far sì che questo non accada. È nostro dovere far sì che non ci sia un'Antigone, che rispetto alle leggi di una città non completamente accogliente e inclusiva, sia ancora costretta ad invocare concretezza e uguaglianza. (Applausi).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Paris. Ne ha facoltà.

  VALENTINA PARIS. Onorevoli colleghi, onorevoli colleghe, a distanza di soli sei giorni dalla ratifica della Convenzione di Istanbul siamo nuovamente impegnati a discutere per approvare una mozione contro il femminicidio che spinga il Governo ad adottare linee di intervento necessarie in materia di prevenzione, protezione, repressione e monitoraggio.
  Non siamo tanti, ma mi auguro che almeno oggi quello che riusciremo a far passare all'esterno sia il contenuto della discussione che stiamo tenendo e non il numero dei presenti. Perché io non credo che per tutte quelle donne che oggi stanno vivendo nelle loro famiglie e nelle loro case, troppe volte, queste paure, questo dolore sia importante, quanti qui abbiano questa sensibilità. È fondamentale sapere che noi andremo fino in fondo e che chi c’è non ha nessuna intenzione di mollare, perché abbiamo assunto un impegno e il nostro impegno è di non lasciarle più sole.
  Lo chiedo ai miei colleghi, perché quello che comunichiamo è fondamentale. È fondamentale dire che siamo impegnati – tutti i gruppi, partitici e politici, qui dentro, tutti in quanto istituzioni di questo Paese – ad essere vicini ai cittadini.
  Rispetto alle sei mozioni – io sono firmataria di quella del Partito Democratico –, mi farebbe piacere che le discussioni che svolgiamo in Aula potessero servire a integrare le nostre opinioni e ci aiutino ad addivenire a soluzioni unitarie che rafforzino le posizioni che dobbiamo assumere e gli impegni che chiediamo al Governo.
  Rispetto alla mozione a firma Speranza, presentata dal PD, mi preme sottolineare alcune cose, probabilmente ripetizioni rispetto a quanto detto da altri colleghi in precedenza. Sul primo rapporto ONU sul femminicidio, quello che si dice è che nel nostro Paese gli stereotipi di genere sono profondamente radicati e predeterminano i ruoli di uomini e donne nella società. Ma c’è un aspetto più grave, cioè che il 46 per cento delle donne appare associato a temi quali il sesso, la moda e la bellezza e solo il 2 per cento a questioni di impegno sociale e professionale.
  È un interrogativo che dovrebbe porsi per tutte le donne che sono qui oggi, che sono in gran numero – mi consentirete di dirlo –, soprattutto grazie allo sforzo del Partito Democratico, e che però hanno un dovere in più: far percepire il proprio ruolo all'esterno nella società, non come messe qui da qualcuno, ma perché portatrici di un'istanza di cambiamento alla quali tutte noi crediamo e che ci impegniamo a porre in essere quotidianamente.
  C’è un secondo aspetto della nostra mozione: a base della violenza di genere vi è la concezione di impari rapporti di Pag. 39potere fra uomini e donne; per questo, un'efficace lotta alla violenza non può prescindere dal coinvolgimento degli uomini, da un forte contrasto delle disuguaglianze economiche e sociali tra generi e da una vera e propria rivoluzione culturale sull'uguaglianza.
  Ebbene, è solo su questo punto che voglio concludere: noi abbiamo bisogno, a partire da quest'Aula, di riorganizzare una vera e propria riforma culturale.
  Quest'Aula, per la sua composizione, ha oggi il compito di praticare e scegliere azioni positive, che vadano oltre la retorica e si pongano l'obiettivo di ripensare proprio quei rapporti di potere tra uomini e donne. La violenza contro le donne, la violenza domestica, il femminicidio dei nostri giorni, che riguarda molto spesso giovani coppie e soprattutto giovani donne – e concludo, Presidente – impone a tutti noi, soggetti politici presenti in quest'aula, di ripensare e rivedere i modelli culturali che ciascuno ha messo in campo in questi anni.
  Tocca a noi, uomini e donne insieme, far vivere in quest'aula la differenza come valore del nostro tempo, superare quei modelli stereotipati di possesso, di dominio e di forza di un genere sull'altro. Siamo noi a dover concorrere, non per essere uguali, ma per batterci insieme perché ci siano pari opportunità e parità di diritti e di doveri per tutti, esaltando invece le nostre differenze come un'unica ricchezza di questo tempo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  Avverto che è stata presentata un'ulteriore nuova formulazione della mozione Mucci ed altri n. 1-00042: il relativo testo è in distribuzione.
  Avverto che, su richiesta del Governo, la replica della Ministra per le pari opportunità, lo sport e le politiche giovanili, Iosefa Idem, avrà luogo nella seduta di domani. In tale sede sarà altresì espresso il parere sugli atti di indirizzo presentati.
  Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Per la risposta ad uno strumento del sindacato ispettivo (ore 17).

  COLOMBA MONGIELLO. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  COLOMBA MONGIELLO. Signora Presidente, onorevoli colleghi, intervengo per sollecitare l'interrogazione n. 3-00089, riguardante la vicenda della donna saudita Suad, figlia di una nobile famiglia di Riyadh, che ha sposato un uomo italiano senza il consenso del padre. Per sfuggire alle leggi di quel Paese, che prevede la pena di morte in caso di matrimonio senza il consenso paterno, Suad ha utilizzato il passaporto britannico, essendo nata a Londra, per abbandonare il proprio Paese. Ora rischia l'estradizione. Suad, infatti, è stata fermata con ordine di cattura internazionale per falso documentale e messa all'obbligo di dimora come misura cautelare dal tribunale di Bologna. Suad sarebbe riuscita a fuggire solo dopo aver ottenuto il passaporto britannico, concessole perché nata a Londra, e utilizzando il passaporto di un'amica per lasciare l'Arabia Saudita, perché i cittadini sauditi possono varcare la frontiera solo con il passaporto ovviamente personale.
  Io chiedo – lo chiedo all'Aula e a lei Presidente e l'ho fatto anche con un'interrogazione al Ministro della giustizia –, proprio in considerazione del fatto che non esiste trattato di estradizione tra Italia e Arabia Saudita, se non sia il caso di intervenire e fermare questa ingiustizia, che ancora una volta viene perpetrata su una donna (Applausi).

  PRESIDENTE. C’è il Governo in aula. Sicuramente io avrei la risposta, ma non sta a me darla, quindi la lascio nelle mani del Governo.

Pag. 40

Ordine del giorno della seduta di domani.

  PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

  Martedì 4 giugno 2013, alle 10:

  1. – Informativa urgente del Governo sulla situazione dell'Ilva di Taranto.

  (ore 14, con votazioni non oltre le ore 17).

  2. – Seguito della discussione delle mozioni Speranza ed altri n. 1-00039, Binetti ed altri n. 1-00036, Locatelli ed altri n. 1-00040, Brunetta ed altri n. 1-00041, Migliore ed altri n. 1-00043, Mucci ed altri n. 1-00042, Rondini ed altri n. 1-00063 e Giorgia Meloni ed altri n. 1-00065 concernenti iniziative volte al contrasto di ogni forma di violenza nei confronti delle donne.

  3. – Discussione delle mozioni Airaudo, Castelli ed altri n. 1-00048, Costa ed altri n. 1-00033 e Allasia ed altri n. 1-00064 in merito alla realizzazione della nuova linea ferroviaria Torino-Lione (per la discussione sulle linee generali).

  La seduta termina alle 17,05.

TESTO INTEGRALE DEGLI INTERVENTI DELLE DEPUTATE PAOLA BINETTI E ANNAGRAZIA CALABRIA IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DELLE MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE VOLTE AL CONTRASTO DI OGNI FORMA DI VIOLENZA NEI CONFRONTI DELLE DONNE

  PAOLA BINETTI. È la terza volta nell'arco di 10 giorni che in questa aula parliamo di violenza contro le donne e probabilmente non sarà neppure l'ultima se davvero vogliamo arrivare ad approvare un ddl contro la violenza femminile nell'arco di questa legislatura.
  Pochi giorni fa il Ministro per le Pari opportunità, Josepha Idem, ha risposto ad una mia interpellanza su questo stesso tema. Lunedì scorso è iniziato il dibattito che ha accompagnato l'approvazione della legge di ratifica della Convenzione di Istanbul, concluso martedì con un consenso unanime. E oggi sono in discussione le nostre mozioni: ogni gruppo ne ha presentata una per contrastare la violenza femminile, fino alla sua forma più grave: l'uccisione della donna, il cosiddetto femminicidio. Un omicidio che spesso ha come causa «futili motivi» e come mezzi va dalle percussioni dirette all'uso del fuoco e delle armi da fuoco, con una violenza senza limiti, che sorprende e sconcerta. Cause e modalità che da sole basterebbero per chiedere un inasprimento delle pene forte e deciso.
  Nell'analizzare il fenomeno della violenza alle donne infatti si deve tenere conto che il più delle volte non si tratta solo di una aggressione individuale, ma che ci troviamo innanzi ad un fenomeno di dimensione sociale, a cui concorrono moltissime cause. Un fenomeno a carattere trasversale, che colpisce tutti i ceti e gli ambienti socio-economici e spesso ha la sua insorgenza proprio nella famiglia.
  Circostanza che mi colpisce particolarmente perché se è vero che non è certo la prima volta che l'Italia si trova a dover affrontare pesanti crisi economiche, tutti concordano, però, nel dire che in passato una delle forze – forse la principale – su cui gli italiani hanno sempre potuto contare per ricostruire una società migliore è stata la famiglia, un'istituzione in cui la solidarietà interna ha attutito e contrastato la durezza delle condizioni esterne. Oggi la violenza al suo interno segnala che alcuni membri della famiglia non sono più in grado di sostenere il peso delle sconfitte individuali e degli smottamenti sociali e crescono anche i fenomeni di violenza estrema come mostrano i sempre più frequenti casi di femminicidio che, purtroppo, funestano le pagine dei giornali. Sempre più spesso la violenza morale, psicologica o fisica, anche di natura sessuale, da parte del partner è un modo di Pag. 41riappropriarsi di un ruolo gerarchicamente dominante che si ritiene perduto.
  Alla base di questi atti di violenza vi è, quindi, un fenomeno culturale che le disposizioni legislative, comprese quelle penali, non possono contrastare in maniera decisiva. L'importanza della prevenzione è fondamentale. La violenza contro le donne per essere combattuta concretamente ed efficacemente ha bisogno di un cambiamento culturale nei rapporti tra i sessi. In questo campo un ruolo importante può essere svolto dalla scuola con iniziative di sensibilizzazione e formazione a promozione della soggettività femminile. Perché non sempre lo Stato è in grado di prevenire, proteggere e tutelare la vita delle donne, che vivono forme diverse di discriminazioni e di violenza durante la loro vita. Le cifre lasciano sgomenti se si tiene conto che dall'inizio dell'anno ad oggi sono state almeno 50 le vittime di questo drammatico omicidio e la cosa più grave è che il 70 per cento di loro aveva denunciato il proprio assassino per stalking, maltrattamenti e abusi.
  Ciò che emerge e fa più orrore è che il maggior numero di violenze sessuali è messo in atto da un uomo che la donna conosce; di solito, infatti, i responsabili di questi reati sono persone che dichiarano di «amare» le loro donne: mariti lasciati, fidanzati traditi, che non accettano la fine di una storia. E tutto ciò, indipendentemente da caratteristiche come l'età, la nazionalità, lo status sociale, il carattere, l'istruzione e l'occupazione. Per farsi una idea più chiara di questo fenomeno, che sembra essere in ascesa, occorre aggiungere anche i tentati femminicidi, che erano fino a pochi giorni fa almeno 47, oltre alle otto vittime, tra figli e altre persone.
  Sono dati parziali, ma sono anche dati reali, anche perché si nota una maggiore attenzione della stampa verso il fenomeno del femminicidio, e appare chiaramente come si stia cercando di evitare la solita etichetta di «omicidio passionale», che non descrive adeguatamente una situazione di micro violenze del quotidiano e caratterizzata da maltrattamenti ripetuti. Il femminicidio, infatti, raramente è frutto di un accesso d'ira incontrollata, costituisce piuttosto l'ultimo scalino di una lunga escalation. È sempre preceduto da altre forme di violenza sul corpo, la mente, l'emotività e gli affetti di una donna. Comincia con una forma di potere e controllo che si esprime attraverso atti o minacce di sopruso fisico, psicologico, sessuale, economico o persecutorio contro le donne in quanto donne, per mantenerle in una condizione di inferiorità nei rapporti privati (la coppia, la famiglia) e pubblici (il lavoro, la scuola, la collettività). Ognuno di questi abusi costituisce una forma di violenza che va tenuta sotto controllo, a prescindere dal fatto che sia punita dalla legge come reato e/o che sia accettato e considerato «normale» nella società di appartenenza.
  La prevenzione di questi delitti è necessaria e praticabile e richiede una tipologia di interventi diversificati a seconda della situazione concreta in cui vive la donna: dalla sua autonomia economica alla presenza o meno di figli, dalla sua capacità di reagire con energia alla sua tendenza, invece, a subire passivamente le situazioni.
  La prevenzione si può realizzare offrendo una protezione sempre maggiore e sempre più qualificata alle donne che vivono situazioni di violenza, prima che giunga a conseguenze irreparabili; ma è di fondamentale importanza la formazione di tutti i soggetti che lavorano a contatto con le vittime di violenza, per eliminare o per lo meno ridurre tutte quelle condizioni che sminuiscono e giustificano gli abusi, determinando una condizione di vittimizzazione secondaria ed aumentando il pericolo di ulteriori violenze.
  Nonostante il riconoscimento di fondamentali diritti civili, sociali e culturali a favore delle donne, la violenza fisica e sessuale è quindi, ancora oggi, una delle forme di violazione dei diritti umani più grave e più diffusa nel mondo; combattere con forza ogni atteggiamento e comportamento che tendono a tollerare, giustificare o ignorare la violenza commessa contro le donne è, pertanto, assoluta priorità di ogni livello di Governo.Pag. 42
  Infine, si deve porre fine all'umiliazione ed alla frustrazione delle donne che combattono per il riconoscimento dei propri diritti e di quelli dei propri figli, vagando da una sede all'altra a seconda delle diverse competenze territoriali dei diversi giudici. Secondo l'Helsinki foundation for human rights serve un'attività di osservazione condotta per un periodo prolungato di tempo, in maniera costante o intermittente in modo tale da determinare quali azioni future vadano intraprese, per contrastare efficacemente questo fenomeno. La violenza maschile sulle donne non può più essere considerata una questione esclusivamente privata; non avrebbe mai dovuto esserlo: è una questione politica perché si tratta di un fenomeno con una sua pericolosità sociale che riguarda tutta la società.
  Per questo chiediamo al Governo di:
   applicare la Convenzione di Istanbul nella sua completezza e per questo a monitorare con rinnovata sensibilità e lucidità la violenza sulle donne, considerandola come una priorità perché va contro i diritti umani di tutti;
   attuare politiche di supporto alla famiglia per contrastare i livelli di povertà e di disagio che hanno, nella donna, la principale vittima di un sistema sociale, in cui la disoccupazione genera frustrazione e degrado;
   sostenere l'inserimento professionale delle donne e la loro autonomia economica, in modo che possano interrompere prontamente rapporti caratterizzati da aggressività e da violenza domestica, senza dover temere per la loro successiva autonomia;
   riconoscere i centri anti violenza come nodi strategici di ogni politica e come parte integrante dei servizi da offrire sul territorio per accogliere donne vittime di violenza e, nel caso, i loro figli e, per questo, a garantire che siano affidati a personale altamente specializzato, oltre ai volontari;
   destinare alle sopracitate strutture maggiori risorse, attraverso finanziamenti regolari e continuati nel tempo, proprio per creare una rete di interventi sistematici che aiutino le donne nella fase acuta del distacco dal loro aggressore e accompagnarle successivamente in un itinerario di progressiva riconquista della propria autonomia, anche sul piano psicologico;
   rafforzare le reti di contrasto al fenomeno tra istituzioni e privato sociale qualificato, potenziando la capacità di ascolto e di pronto intervento, in modo da non lasciare le donne sole o in balia della potenziale violenza dell'uomo;
   promuovere una forte campagna di prevenzione e di sensibilizzazione culturale, debitamente pubblicizzata, che segnali fino a che punto la violenza è una piaga della società italiana e un fattore concreto di disgregazione familiare e sociale;
   favorire una corretta formazione di operatori sanitari, sociali, del diritto e dell'informazione, soprattutto per imparare a gestire i primi contatti con la vittima e aiutarla a raccontare in modo esaustivo ciò che le accade, perché troppo spesso appare impaurita, prigioniera di uno strano senso di protezione nei confronti del suo aguzzino e, quindi, reticente;
   assumere iniziative per prevedere che negli uffici giudiziari, nei pronto soccorso, eccetera, ci siano persone specializzate in modo che le donne possano superare la paura e sapere che è possibile sconfiggere e sopravvivere alla violenza, trasformando in denuncia anche gli sfoghi o le confidenze delle donne che giungono in questura accompagnate da amici o familiari, ma poi non sanno porre un punto fermo e decisivo alla loro condizione;
   assumere iniziative normative per un severo inasprimento delle pene previste per lo stalking, oltre ad una maggiore tempestività tra la denuncia del caso e la tutela del soggetto, per evitare che chi ha ricevuto una denuncia per stalking possa disporre di un'arma, prevedendo in tali casi la revoca delle relative licenze;Pag. 43
   istituire un tavolo interministeriale, con i Ministeri delle pari opportunità, salute, lavoro e welfare, istruzione, giustizia, immigrazione, eccetera al fine di affrontare il femminicidio da tutti i punti di vista, predisponendo anche progetti integrati che garantiscano una maggiore incisività nella prevenzione e nel contrasto al problema della violenza di genere.

  ANNAGRAZIA CALABRIA. Signora Presidente, Signor Onorevole Ministro, Onorevoli Colleghi !
  La violenza contro le donne è un fenomeno che ha assunto negli ultimi decenni una visibilità sempre più crescente, suscitando una progressiva attenzione fino a diventare una priorità di azione sia a livello internazionale che nell'ambito delle agende dei governi nazionali e locali.
  L'istanza del rispetto dei diritti umani, all'interno della quale è stato posto il tema della violenza contro le donne, è riconosciuta dai massimi organismi internazionali fin dal 1948, anno della Dichiarazione universale dei diritti umani. Questo tema è stato progressivamente integrato nell'agenda delle Nazioni Unite attraverso una lunga serie di raccomandazioni e iniziative.
  Si tratta di una piaga mondiale, ancora non sufficientemente riconosciuta e codificata. In Europa, come nel nostro Paese, la quasi totalità dei casi di violenza non è denunciata, non solo per timore del giudizio altrui o del proprio persecutore, ma anche perché le donne hanno difficoltà a riconoscere la violenza subita come elemento estraneo al rapporto di coppia e come violazione dei propri diritti e della propria libertà personale.
  Si sviluppa soprattutto nell'ambito dei rapporti familiari e coinvolge donne di ogni estrazione sociale e di ogni livello culturale, provocando danni fisici e gravi conseguenze sulla salute mentale e comportando – vorrei sottolinearlo – alti costi socio-economici alle comunità. I dati che ormai tutti conosciamo mostrano una situazione preoccupante, in cui i luoghi più familiari diventano anche quelli del rischio più elevato. Le donne continuano a subire nel silenzio, con poche vie di uscita, sole di fronte ad un quotidiano pesante che difficilmente lascia vie di fuga.
  La complessità della materia ha portato molti Paesi ad elaborare delle vere e proprie strategie di prevenzione ed assistenza alle vittime, da affiancare alle misure di carattere giudiziario. Anche l'Italia, che già da tempo ha una Rete di Antiviolenza Nazionale, supportata dal numero di pubblica utilità 1522, possiede una vasta ed articolata normativa in materia e si è dotata del primo Piano Nazionale Contro la Violenza di Genere e lo Stalking.
  Nel nostro Paese, dunque, sono state numerose le modifiche normative volte alla tutela delle donne e dei minori vittime di violenza sessuale o familiare e proprio nei giorni scorsi abbiamo assistito alla discussione sulla ratifica della Convenzione di Istanbul contro la violenza (ratifica che ha visto con una grandissima soddisfazione l'approvazione unanime di quest'Aula), Convenzione che si pone come ulteriore motore propulsore per l'attuazione di iniziative sociali e normative e per il sostegno e l'attivazione di indagini sul tema, le cui evidenze forniranno dati ed elementi utili a definire il contesto in cui sviluppare azioni di prevenzione e contrasto alla violenza di genere nel territorio italiano.
  La Convenzione di Istanbul, infatti, è il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante che si prefigge di creare un quadro giuridico completo per proteggere le donne contro qualsiasi forma di violenza, grazie a misure di prevenzione, di tutela in sede giudiziaria e di sostegno alle vittime e, ove si riconosce esplicitamente la violenza sulle donne quale violazione dei diritti umani e forma di discriminazione, obbligherà lo Stato italiano ad adottare specifiche misure legislative per contrastare l'allarmante fenomeno.
  Fenomeno che nel nostro Paese ha dei dati sconcertanti: dal 2005 al 2012, sono stati 903 i casi di donne uccise da uomini e gli assassini sono uomini, nella maggior parte dei casi appartenenti al nucleo familiare, alla cerchia degli affetti più vicini. Questi numeri sottolineano l'ampiezza del Pag. 44fenomeno e il suo profondo radicamento, soprattutto, nella cultura del nostro Paese, nella vita delle famiglie, nella mentalità della gente.
  Si tratta peraltro di dati relativi, poiché la prima caratteristica che accomuna le diverse forme di violenza è quella dell'omertà. La violenza non è denunciata. Il sommerso resta molto alto. Casi di violenza da una persona che non sia il partner raggiungono circa il 96 per cento contro il 93 per cento dei casi di violenza da parte dei partner. Pertanto solo poche vittime hanno denunciato la violenza domestica, il 7,5 per cento, di cui solo il 27,9 per cento aveva accusato un partner, mentre l'8,3 per cento ha avuto un partner condannato. Nel 2,6 per cento dei casi, il processo è ancora in corso.
  La violenza commessa dai partner nell'ambito della famiglia (o violenza domestica) mostra le caratteristiche di un insieme di comportamenti che tendono a stabilire e mantenere il controllo sulle donne e a volte sui bambini. Queste sono le strategie reali che mirano a esercitare un potere sull'altra persona, utilizzando tipi differenti di comportamento: distruggere le sue cose, uccidere gli animali che appartengono a lei, denigrare il suo comportamento ed il modo di essere, manifestare gelosia immotivata, attuare forme di controllo o imporre limitazioni che portano all'isolamento sociale. L'autore crea, quindi, un clima di tensione costante, paura e minaccia in cui l'esercizio di violenza fisica o violenza sessuale può verificarsi anche sporadicamente, per dare invece spazio all'altrettanto efficace violenza psicologica.
  In più, dobbiamo considerare la veloce diffusione dei social network, delle chat-line, diffusione che non è stata accompagnata da nuove regole per garantire chi vi accede. Tra i rischi che la maggior parte dei navigatori ignora alcuni sono legati alla privacy. In internet infatti non esiste il diritto all'oblio: ogni dato – una foto, una frase, il numero di telefono – una volta inserito non può essere cancellato definitivamente dalla rete perché chiunque può averne fatto una copia o più copie per utilizzarle altrove. E se ci sono terze persone viene violata anche la loro privacy. Sul server di un motore di ricerca, oppure di un social network, inoltre, vengono conservati i dati personali dell'utente anche dopo che questo li ha cancellati.
  Vorrei inoltre porre all'attenzione dell'Aula il dramma delle donne provenienti nel nostro Paese come sfollate. L'80 per cento dei rifugiati nel mondo sono, secondo una stima dell'UNHCR, donne con i loro bambini. Nonostante questo, le donne sono una minoranza dei richiedenti asilo nei paesi industrializzati dell'emisfero nord, a causa della difficoltà di movimento e della difficoltà di accedere alle risorse necessarie per chiedere asilo. In fuga da paesi in guerra o da aree di crisi portano segni di abuso che in molti casi le hanno colpite proprio in quanto donne: in un gran numero di conflitti si è infatti manifestata violenza di genere, paragonabile alla violenza etnica, nella misura in cui esso sceglie le sue vittime e le forme di abuso sulla base delle caratteristiche di identità. Una reale arma di guerra, la violenza contro le donne diventa un mezzo per raggiungere obiettivi militari, come la pulizia etnica e la diffusione del terrore tra la popolazione, o di logorare la resistenza delle comunità, di intimidire o estorcere informazioni o un modo per «premiare» i combattenti. Spesso questa violenza «viaggia» con le donne immigrate, per essere perpetrata anche nel nostro Paese, da aguzzini italiani o stranieri.
  In definitiva, le cause della violenza sono dunque da ricercare in diversi fronti. Culturale, innanzitutto. Perché c’è qualcosa di sbagliato ma quasi ancestrale nel pensare che una donna possa essere oggetto di proprietà di un uomo, e più ancora di vero e proprio possesso. Ed è per questo che è importante concordare i messaggi da veicolare al fine di sensibilizzare l'opinione pubblica sulla necessità di contrastare attivamente la violenza sulle donne e gli stereotipi ed i comportamenti che possono concorrere a causarla, in modo da potenziare l'efficacia della strategia stessa ma soprattutto così da promuovere Pag. 45una cultura di rispetto reciproco, coerente con i valori su cui si fonda il Nostro Paese.
  È necessario agire partendo dall'istruzione, dalla scuola: prima e primaria fonte di formazione. Compito delle istituzioni scolastiche è quello di diffondere la conoscenza dei diritti della persona, del rispetto verso gli altri e dell'educazione alla legalità e adoperarsi affinché fenomeni sempre più diffusi quali la violenza e il bullismo possano essere prevenuti e contrastati mediante un corretto percorso formativo.
  È poi necessario sostenere la crescita professionale e l'aggiornamento di chi opera nel settore, anche attraverso la previsione di percorsi formativi dedicati. Gli operatori di base, il personale di prima accoglienza negli ospedali o nei comandi di polizia, il personale giudiziario e scolastico, deve essere formato e pronto all'accoglienza, a scovare il non detto, ad aiutare in un delicatissimo percorso di dolore e presa di coscienza.
  È inoltre necessario uno sforzo comune per individuare adeguate misure di sostegno alle vittime, allo scopo di promuoverne l’empowerment, quali, ad esempio percorsi di reinserimento lavorativo, forme di congedo temporaneo dal lavoro, misure per garantire un alloggio temporaneo sicuro alle vittime e ai loro figli. Non dimentichiamo che molte volte non si denuncia il proprio aguzzino perché si ha la percezione di se stesse come ignoranti, bisognose di sostegno economico, senza prospettive e prive di autostima.
  In definitiva, è indispensabile che il fenomeno della violenza contro le donne non sia visto o percepito come un problema esclusivamente femminile, ma come un problema culturale che coinvolge l'intero Paese e che come tale deve essere affrontato. È indispensabile arrivare al raggiungimento dell'uguaglianza de iure e de facto, identificando e condannando tutte quelle microviolenze che, messe insieme nel quotidiano, giustificano una mentalità violenta. Gli assi strategici della politica nazionale devono essere molteplici innanzi ad un fenomeno che ha molteplici sfaccettature e molteplici esegesi, spaziando dalla prevenzione alla valutazione dell'impatto sociale, economico e culturale, dallo sviluppo di meccanismi di informazione e sensibilizzazione alla tutela delle vittime fino ad arrivare alle campagne di sensibilizzazione e informazione in materia di parità e lotta contro la discriminazione.
  Ma nulla sarà efficace ed adeguato se non si arriverà alla piena equiparazione dei diritti tra uomini e donne. Equiparazione non sulla carta, ma nell'intimo pensare di ciascuno di noi, donne e uomini. Ed è anzi proprio alle donne di questo Emiciclo che mi rivolgo, alle tante colleghe che giornalmente combattono sul proprio territorio il fenomeno della discriminazione di genere e delle violenze. A tutte voi dico: nessuna di noi può andare avanti fino a quando alcune di noi resteranno indietro.
  Per tali motivi, auspichiamo che il Governo si impegni sul fronte della piena attuazione dei diritti della donna al fine di pervenire alla completa eradicazione del fenomeno della violenza.