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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 12 di lunedì 6 maggio 2013

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROBERTO GIACHETTI

  La seduta comincia alle 15.

  CLAUDIA MANNINO, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 30 aprile 2013.
  (È approvato).

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Alfreider, Carrozza, Luigi Di Maio, Formisano, Merlo, Orlando, Pisicchio e Vezzali sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
  Pertanto i deputati in missione sono complessivamente dieci, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

  Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Annunzio della nomina di sottosegretari di Stato.

  PRESIDENTE. Comunico che il Presidente del Consiglio dei ministri ha inviato, in data 3 maggio scorso, la seguente lettera:
  «Onorevole Presidente,
   informo la Signoria Vostra che il Presidente della Repubblica, con proprio decreto in data odierna, adottato su mia proposta, sentito il Consiglio dei ministri, ha nominato i seguenti Sottosegretari di Stato:
    alla Presidenza del Consiglio dei ministri:
     onorevole dottoressa Sesa Amici; onorevole Michaela Biancofiore; dottoressa Sabrina De Camillis; ingegnere Walter Ferrazza; onorevole avvocato Giovanni Legnini; signor Gianfranco Miccichè;
    agli Affari esteri: onorevole dottor Bruno Archi; dottoressa Marta Dassù; signor Mario Giro; onorevole dottor Lapo Pistelli;
    all'Interno: onorevole dottore Gianpiero Bocci; senatore dottor Filippo Bubbico; dottor Domenico Manzione;
    alla Giustizia: onorevole avvocato Giuseppe Berretta; dottor Cosimo Maria Ferri;
    alla Difesa: onorevole dottor Gioacchino Alfano; senatore professoressa Roberta Pinotti;
    all'Economia e alle finanze: onorevole Pier Paolo Baretta – che salutiamo, essendo in Aula in questo momento – onorevole dottor Luigi Casero; onorevole dottor Stefano Fassina; onorevole dottor Alberto Giorgetti;
    allo Sviluppo economico: dottor Carlo Calenda; professor Antonio Catricalà; professor Claudio De Vincenti; senatrice dottoressa Simona Vicari;
    alle Politiche agricole, alimentari e forestali: onorevole Giuseppe Castiglione; dottor Maurizio Martina; all'Ambiente e alla tutela del territorio e del mare: signor Marco Flavio Cirillo;Pag. 2
    alle Infrastrutture e ai trasporti: dottor Erasmo De Angelis; dottor Vincenzo De Luca; signor Rocco Girlanda;

  al Lavoro e alle politiche sociali:
   onorevole dottor Carlo Dell'Aringa; senatrice professoressa Maria Cecilia Guerra; onorevole dottoressa Jole Santelli;
  all'Istruzione, all'università e alla ricerca: dottor Gianluca Galletti; dottor Marco Rossi Doria; dottor Gabriele Toccafondi;

  ai Beni e alle attività culturali:
   onorevole dottoressa Ilaria Carla Maria Borletti Dell'Acqua; dottoressa Simonetta Giordani;

  alla Salute: signor Paolo Fadda;

  firmato: Enrico Letta».

Annunzio delle dimissioni di un Segretario di Presidenza della Camera.

  PRESIDENTE. Comunico che il Segretario di Presidenza Gianpiero Bocci, in data 3 maggio scorso, ha inviato la seguente lettera:
  «Gentile Presidente, a seguito della mia nomina a sottosegretario di Stato per l'Interno, desidero rassegnare le mie dimissioni da segretario di Presidenza. Lascio questo incarico non senza un certo rammarico, avendolo ricoperto con impegno e dedizione anche nella precedente legislatura.
  Mi consenta di cogliere l'occasione non solo per ringraziare i colleghi della fiducia che hanno voluto accordarmi, ma anche per ringraziare il personale della Camera, il cui prezioso lavoro al servizio delle istituzioni ho avuto modo di osservare da vicino e di apprezzare in questi anni.
  Con i migliori saluti,
  firmato: Gianpiero Bocci».

Modifica nella composizione della Giunta per il Regolamento.

  PRESIDENTE. Comunico che il Presidente della Camera ha chiamato il deputato Gregorio Gitti a far parte della Giunta per il Regolamento, ai sensi dell'articolo 16, comma 1, del Regolamento, in sostituzione del deputato Gaetano Piepoli, dimissionario.

Discussione del Documento di economia e finanza 2013 (Doc. LVII, n. 1) (ore 15,10).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del Documento di economia e finanza 2013.
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 16 aprile 2013.
  Ricordo che, analogamente a quanto avvenuto lo scorso anno, il procedimento si svolgerà secondo le modalità previste all'articolo 118-bis, del Regolamento, in base a quanto stabilito nel parere della Giunta per il Regolamento del 14 luglio 2010.
  In particolare, ai sensi del comma 2 dello stesso articolo 118-bis, le risoluzioni riferite allo schema del Documento di economia e finanza devono essere presentate nel corso della discussione.

(Discussione – Doc. LVII, n. 1)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

  FABRIZIO SACCOMANNI, Ministro dell'economia e delle finanze. Buonasera. Onorevoli deputati, il Documento di economia e finanza 2013, che il Parlamento si appresta ad esaminare, contiene le linee guida indicate nella precedente legislatura, che il nuovo Governo intende perseguire in continuità con il consolidamento finanziario, in un'ottica di rilancio del Paese. Dal Documento si evince come il processo Pag. 3di riconduzione dei conti pubblici su un percorso sostenibile si è in gran parte completato con successo, pure in presenza di un elevato livello del debito pubblico; al contempo si evidenzia come le prospettive di crescita dell'economia italiana risultino incerte e comunque fortemente influenzate dagli sviluppi della crisi che coinvolge l'intera Europa e dall'evoluzione dello scenario economico internazionale.
  La Commissione europea ha preso atto dell'efficacia della politica di consolidamento portata avanti dal Governo in questi ultimi due anni; le previsioni rilasciate lo scorso 3 maggio stimano un'evoluzione della finanza pubblica che vede un indebitamento netto inferiore al limite del 3 per cento ed un saldo strutturale al netto della componente ciclica e delle una tantum, che si avvicina al pareggio nei prossimi anni. L'approvazione del Documento a saldi invariati consentirà l'uscita dell'Italia dalla procedura europea di disavanzo eccessivo permettendo spazi di flessibilità al Governo per finanziare la strategia su cui questo Parlamento ha posto la fiducia; con l'avallo del Parlamento verrebbe, inoltre, riconosciuto il percorso di risanamento e la credibilità che l'Italia ha faticosamente riguadagnato nei mercati, così come testimoniato anche dalla riduzione dello spread. L'approvazione del Documento di economia e finanza non significa però non cambiare le strategie di policy, al contrario si tratta di indicare una continuità di azione riformista; mantenendo la giusta attenzione ai saldi strutturali, sarà possibile prevedere una modifica del profilo tendenziale che includa le priorità annunciate dal Governo. Il Presidente del Consiglio dei ministri ha già indicato un ampio programma di interventi prioritari per rilanciare la crescita dell'economia e dell'occupazione; su queste priorità il Governo ha avviato i necessari approfondimenti per dare attuazione alle linee programmatiche indicate.
  Nell'immediato si dovrà provvedere alla copertura idonea alla sospensione della rata dell'IMU prevista per giugno, preservando le esigenze di bilancio comunali, questo tempo darà al Governo l'opportunità di valutare, e al Parlamento e agli enti territoriali, la definizione più appropriata dell'imposizione sulla casa in un'ottica di maggiore equità e di rilancio economico e produttivo.
  L'approvazione del DEF è un primo tassello del mosaico, che sarà seguito a breve da un provvedimento specifico per tener conto delle priorità che sono state indicate dal Presidente del Consiglio.
  Un altro aspetto prioritario che dovrà essere affrontato, e su cui il Presidente del Consiglio stesso ha rinnovato la sua attenzione, è quello che riguarda l'occupazione, in particolare quella giovanile. Nel decreto d'urgenza successivo al Documento di economia e finanza dovranno trovare spazio anche il rifinanziamento della cassa integrazione in deroga e, se possibile, alcune prime misure a sostegno dell'occupazione giovanile.
  Ricordo che recentemente il Consiglio europeo ha approvato la strategia cosiddetta di ius guarantee ovvero la garanzia per i giovani che dal 2014 permetterebbe di mettere in campo un'azione congiunta, nazionale ed europea, per il sostegno dell'occupazione giovanile. I margini di flessibilità ci permetterebbero di sbloccare dal Patto di stabilità interno risorse importanti per il rilancio e il sostegno dell'occupazione e di anticipare temporalmente i nostri partner europei.
  L'uscita dalla procedura di disavanzo eccessivo, in sostanza, che dovrebbe seguire all'approvazione del DEF, permetterà anche di poter negoziare a livello europeo margini di flessibilità che potranno essere utilizzati per favorire il raggiungimento degli obiettivi prioritari nazionali ed europei.
  Concludo questo mio breve intervento chiedendo, pertanto, al Parlamento di condividere con il Governo il percorso delineato, nel cui ambito l'approvazione del DEF costituisce il primo passo.
  Nel tempo più breve possibile il Governo si impegna a presentare un aggiornamento del Documento con una verifica dei saldi e delle coperture alla luce delle misure varate d'urgenza, ed eventualmente un paragrafo integrativo al Programma Pag. 4nazionale di riforma che delinei la strategia di medio periodo condivisa con questo Parlamento.

  PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il relatore per la maggioranza, deputato Giampaolo Galli.

  GIAMPAOLO GALLI, Relatore per la maggioranza. Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, successivamente alla presentazione del DEF da parte del precedente Governo abbiamo votato la fiducia al nuovo Governo Letta. Fin dalle comunicazioni rese dal Presidente del Consiglio il Governo ha individuato alcune linee di intervento, sulle quali dovrà concentrarsi l'azione del Governo, che sono state ulteriormente dal signor Ministro dell'economia e delle finanze, or ora, specificate.
  Al di là delle singole iniziative prospettate, il Presidente Letta ha sottolineato in primo luogo come di solo risanamento l'Italia muore: senza crescita e senza coesione l'Italia è perduta. E tuttavia, l'impegno del Governo per far ripartire l'economia dovrà essere sostenuto dall'architrave dell'impegno ad essere seri e credibili sul risanamento e sulla tenuta dei conti pubblici. Come ha detto lo stesso Presidente del Consiglio, abbiamo accumulato in passato un debito pubblico che grava come una macina sulle generazioni presenti e future, e che rischia di schiacciare per sempre le prospettive economiche del Paese.
  In questo quadro, condividiamo l'invito che ci ha fatto già il Presidente del Consiglio e che ci ha ripetuto qui il Ministro dell'economia e delle finanze al mantenimento degli impegni presi con il Documento di economia e finanza, necessari ad uscire quanto prima dalla procedura di disavanzo eccessivo, anche al fine di recuperare margini di manovra all'interno dei vincoli europei che vogliamo rispettare. Vi è quindi in sostanza una procedura in due stadi: un primo stadio in cui approviamo i saldi di finanza pubblica previsti nel DEF, ed un secondo momento nel quale, come ci è stato ora confermato, il Governo sottoporrà alla Camera un nuovo Documento nel quale verranno assunti a pieno titolo gli obiettivi strategici già enunciati dal Presidente del Consiglio.
  Le emergenze e le urgenze di questo Paese sono tantissime. Il Ministro ne ha ricordate alcune, io vorrei fare un elenco di questioni delle quali sicuramente discuteremo in Aula: la cassa integrazione in deroga, IMU, IVA, Tares, tasse sul lavoro, in particolare riguardo all'occupazione dei giovani, esodati, ampliamento dei margini per i pagamenti della pubblica amministrazione, anche se possibile attraverso un accorto utilizzo della Cassa depositi e prestiti, i precari della pubblica amministrazione, reddito di inserimento. Di tutte queste questioni – e di quant'altre i colleghi vorranno sollevare – io credo discuteremo a breve, quando disporremo dell'aggiornamento da parte del Governo che ci è stato prospettato ancora adesso dal Ministro, io spero fra pochi giorni. Gli orientamenti del Governo, ed espressi dal Ministro in una specifica audizione, sono stati condivisi nell'ambito della Commissione speciale.
  Un percorso in due stadi – anche se due stadi in successione rapida l'uno rispetto all'altro – è necessario, perché altrimenti fino conclusione dell'iter di approvazione del Documento di aggiornamento che ci sottoporrà il nuovo Governo, in Europa e sui mercati rimarrebbe uno stato di incertezza riguardo alle intenzioni dell'Italia e di questo Parlamento; e nelle condizioni in cui siamo, dal punto di vista del debito pubblico, non ci possiamo permettere incertezze.
  Approvare i saldi che ci sono stati prospettati è necessario per uscire dalla procedura di disavanzo eccessivo: come è già stato ricordato, questo passaggio è importante, sia perché schiude margini di flessibilità in ordine agli investimenti pubblici e al Patto di stabilità interno, e sia perché aiuterà a rafforzare la fiducia dei risparmiatori e dei mercati, e dunque a consolidare la riduzione, cui già abbiamo assistito, dei tassi di interesse sul nostro debito pubblico.Pag. 5
  A sua volta, il rafforzamento della fiducia è condizione necessaria ancorché, di per sé, evidentemente non sufficiente per la ripresa dell'economia reale. Senza fiducia non vi è ripresa; senza fiducia, per quanto utili e ingegnosi strumenti si possano mettere in campo, le nostre piccole e medie imprese continueranno ad avere difficoltà di accesso al credito. Non si capirebbe, altrimenti, per quale motivo basti attraversare il confine e andare in Austria, ad esempio, per trovare credito abbondante a buon mercato. Senza fiducia, è difficile immaginare che le imprese tornino ad investire e le famiglie a spendere.
  Dopo più di un decennio di graduale riduzione, il nostro debito pubblico è tornato a salire negli ultimi anni per effetto della recessione. Dobbiamo assolutamente invertire questa tendenza, dobbiamo rendere credibile una prospettiva di riduzione, sia pure graduale, ma di riduzione, negli anni prossimi. Se non lo facessimo, si diffonderebbe tra gli operatori e nelle persone la convinzione, o l'opinione, che lo Stato italiano non sarà in grado di far fronte alle proprie obbligazioni, il che sarebbe gravissimo. Questo è il motivo per il quale, mentre mettiamo in atto politiche per la crescita, che sono essenziali, non possiamo abbassare la guardia sul fronte del risanamento. L'alto livello a cui è giunto il nostro debito pubblico per via di una vicenda pluridecennale rappresenta una pesante ipoteca sul presente e il futuro della società e, ovviamente, dell'economia italiana.
  Comprendo l'indignazione dei più giovani, che non hanno colpe, condivido la loro indignazione, capisco che si possa legittimamente parlare di un fallimento delle classi dirigenti che si sono succedute negli ultimi decenni, ma non abbiamo scorciatoie. L'unica via è quella di tenere i conti in ordine, con un consistente avanzo primario anno dopo anno, e di dismettere asset pubblici, cosa che è prevista, e in misura ragguardevole nel Documento che stiamo considerando (l'1 per cento circa del PIL ogni anno). Nel fare questa scelta, implicitamente, ma con grande evidenza e determinazione, diciamo a noi stessi, ai mercati e al mondo «no» a soluzioni di finanza straordinaria, quali conversioni forzose, o imposte patrimoniali una tantum, che pure sono state avanzate, o addirittura presentate come inevitabili da persone, anche molto autorevoli, negli ultimi tempi. Soluzioni di questa natura sono già state sperimentate nel lontano passato anche in Italia: una di esse è quella dell'imposta patrimoniale e ha un padre nobile, John Maynard Keynes, che la suggerì, anche sotto il profilo morale, come la migliore soluzione al problema dei debiti del primo dopoguerra.
  Il punto che vorrei sottolineare è che, nelle condizioni di oggi, soluzioni di questa natura sarebbero peggiori del male che si vuole curare, perché il debito pubblico è detenuto da milioni di persone, nonché da banche ed istituzioni finanziare che, a loro volta, gestiscono i risparmi della quasi totalità della popolazione. In una società di massa, sotto il profilo non solo dei consumi, ma anche del risparmio, soluzioni di finanza straordinaria non risolverebbero il problema del debito e provocherebbero un dramma sociale di proporzioni bibliche.
  Consapevole di questo, oltre che delle conseguenze negative sull'autorevolezza internazionale dell'Italia, un italiano che sapeva ben calibrare le parole, Guido Carli, all'inizio degli anni Ottanta, definì il debito, che pure allora era molto più basso di oggi, una sciagura nazionale.
   Dunque, i conti vanno tenuti in ordine, non perché ce lo chiede l'Europa, ma perché è un interesse nostro. Ciò non toglie – e vorrei ribadirlo qui con forza – che, come ha detto il Presidente del Consiglio, si debba chiedere all'Europa di fare di più per la crescita. Dobbiamo chiedere che si dia seguito al Growth Compact, che deve assumere la stessa importanza del Fiscal Compact. Dobbiamo chiedere che si proceda sulla via, già tracciata, dell'unione bancaria. Forse non è nell'interesse di altri Paesi, ma è certamente nell'interesse della casa comune europea e, se i nostri destini sono ormai inestricabilmente intrecciati, Pag. 6l'ottica in cui si devono affrontare i problemi è senz'altro quella del bene comune.
  Nell'affrontare questo tema dobbiamo essere consapevoli che per far prevalere il bene comune dobbiamo dimostrare di volere il bene comune. Se dessimo ai nostri partner europei l'impressione che agiamo per interessi esclusivamente nazionali o, addirittura, contro i loro interessi, non otterremmo nulla.
  Si sente spesso dire – e lo abbiamo sentito anche in quest'Aula, in altre circostanze – che oggi vi sarebbe un contrasto fra i popoli da un lato, che chiedono politiche per la crescita, e un’élite tecnocratica, in Europa, che vuole il rigore. Purtroppo, non è così. Sarebbe tutto semplice se fosse così. In punto di fatto la realtà è diversa. La realtà, con la quale dobbiamo fare i conti, è che ci sono divisioni e interessi divergenti fra i popoli. La Germania, ad esempio, non ha un problema di disoccupazione, che oggi è assai più bassa che prima della crisi del 2008. Il problema percepito dagli elettori tedeschi, almeno sino ad oggi, non è la recessione ma la paura di nuove tasse che si rendessero necessarie per aiutare altri Paesi europei a uscire dalla crisi. Germania e Italia sono due grandi democrazie, i loro popoli devono rispettarsi reciprocamente. È dannoso alimentare atteggiamenti di criminalizzazione nei confronti di popoli o di leadership di altri Paesi, così come è dannoso l'atteggiamento di chi, in Germania, in Finlandia o in altri Paesi che non hanno sentito il morso della crisi, alimenta sentimenti negativi nei confronti nostri e di altri Paesi in difficoltà. Per questi motivi è oggi particolarmente importante far prevalere il senso del bene comune, che vuol dire anche attenersi alle regole della casa comune come, con opportuno scrupolo, stanno facendo il Presidente del Consiglio e lei stesso, signor Ministro dell'economia.
  Autorevoli economisti e commentatori ci propongono di andare un po’ oltre a quell'obiettivo del 3 per cento nel 2013 assumendo, nel contempo, l'impegno a rientrare con tagli alla spesa, spesso assai «draconiani» – diciamo – nelle concezioni, negli anni successivi.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LAURA BOLDRINI (ore 15,25)

  GIAMPAOLO GALLI. Al di là della logica economica c’è la considerazione che usciremmo dalle regole europee e senza l’«ancora europea» non è chiaro da dove potremmo attingere la credibilità necessaria per assumere impegni cogenti di rientro nel medio termine, credibilità che è bene scarso non per quello che è successo di recente ma per una vicenda storica lunga, quella vicenda che ci ha portato al debito pubblico che abbiamo.
  Coerentemente con i metodi di calcolo adottati in sede europea, il DEF offre indicatori utili per valutare seriamente il grado di restrittività della politica di bilancio. Se si guarda ai saldi nominali, ossia non corretti per il ciclo, nel 2013 non vi sarebbe alcuna restrizione della politica di bilancio (3 per cento nel 2012; 2,9 per cento nel 2013). Le cose cambiano, ma solo leggermente, se si guarda ai saldi corretti per il ciclo. Il giudizio che credo si possa dare è che siamo di fronte a un grado, nel 2013, di restrizione moderato, che si realizzerebbe a legislazione vigente. È evidente che si tratta di un obiettivo ambizioso, alla luce della difficile situazione economica e sociale dell'Italia, ma è un obiettivo alla nostra portata e, in ogni caso, un obiettivo che legittima l'affermazione che è finita, comunque, la fase acuta dell'austerità e siamo, piuttosto, in una fase di rigorosa manutenzione dei conti.
  Proseguendo nella stessa politica negli anni successivi, il debito inizierebbe a ridursi leggermente solo nel 2014 e nel 2015. Il debito risulterebbe, invece, ancora in leggero aumento anche nel 2014, qualora si realizzassero le previsioni – meno positive per quello che riguarda la crescita – rese note dalla Commissione europea venerdì scorso. Quale che sia il giudizio che si dà su questi dati, essi mostrano Pag. 7come siamo su un crinale molto sottile e di questo dobbiamo tenere conto, con grande senso di responsabilità, nell'assumere le decisioni difficili che ci spettano.
  L'altro giorno in quest'Aula sono state ricordate le parole pronunciate da Aldo Moro nel 1978, per convincere il gruppo della Democrazia Cristiana a dar vita al Governo della solidarietà nazionale.
  Chi ha vissuto quegli anni ricorda la situazione terribile dell'Italia: terrorismo, tensioni sociali, proteste, inflazione, crisi economica e finanziaria, prestiti di emergenza dal Fondo monetario ed altre istituzioni internazionali, misure molto pesanti di risanamento. A volte si dice che nella stagione della solidarietà nazionale per accontentare tutti si lasciarono andare i conti pubblici. Non è vero, com’è stato autorevolmente documentato, i guai erano stati fatti negli anni precedenti e sarebbero stati replicati in quelli successivi. Pur fra mille polemiche e in condizioni politiche straordinariamente complesse, il fatto di sostenere uno stesso Governo indusse tutti i maggiori partiti ad una comune assunzione di responsabilità. A questa assunzione di responsabilità siamo chiamati oggi ancora una volta dalle condizioni oggettive del Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

In morte del senatore a vita Giulio Andreotti.

  PRESIDENTE. Colleghi, come sapete, nella giornata odierna è scomparso, all'età di novantaquattro anni, il senatore a vita Giulio Andreotti (Il Presidente si leva in piedi e, con lei, l'intera Assemblea e i membri del Governo). Giulio Andreotti è stato un protagonista di primo piano della storia italiana e uno degli esponenti politici più noti nello scenario internazionale: deputato dell'Assemblea costituente nel 1946, sempre rieletto alla Camera dei deputati, fino alla nomina a senatore a vita nel 1991, sette volte Presidente del consiglio, ha ricoperto incarichi prestigiosi nel Governo nazionale. A nome di tutta l'Assemblea, della quale è stato membro per così lunghi anni, e a nome mio personale, rivolgo ai familiari del senatore Andreotti le più sentite condoglianze. La Presidenza della Camera si riserva di individuare le forme e i modi più appropriati per commemorare in maniera adeguata la figura dell'illustre parlamentare scomparso. Invito l'Assemblea ad osservare un minuto di silenzio (L'Assemblea osserva un minuto di silenzio).
  Ha chiesto di parlare il Ministro per i rapporti con il Parlamento, Dario Franceschini. Ne ha facoltà.

  DARIO FRANCESCHINI, Ministro per i rapporti con il Parlamento ed il coordinamento dell'attività di Governo. Signor Presidente, solo per dire che il Governo si associa alle sue parole. Come ha ricordato, l'onorevole senatore Andreotti ha avuto più volte il ruolo di Presidente del consiglio, ha guidato molti dicasteri ed è una delle figure più rilevanti della storia repubblicana. Credo che il ricordo in Aula che lei ha annunciato sarà l'occasione anche per ricordare fino in fondo l'importanza che ha avuto. Come sempre, il tempo, più è la distanza e più consente di valutare una persona con la maggiore serenità possibile e credo che il ricordo sarà l'occasione per ricordare tutti insieme quello che l'onorevole Andreotti è stato per la storia italiana.

Si riprende la discussione (ore 15,33).

(Ripresa discussione – Doc. LVII, n. 1)

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore per la maggioranza, deputato Maurizio Bernardo.

  MAURIZIO BERNARDO, Relatore per la maggioranza. Signor Presidente, signori Ministri, colleghi del Governo. Il Documento di economia e finanza, oggetto dei nostri lavori, dobbiamo ricordarlo, è stato approvato dal precedente Governo.

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROBERTO GIACHETTI (ore 15,34)

  MAURIZIO BERNARDO, Relatore per la maggioranza. Un Governo dimissionario che si apprestava a passare le consegne in concomitanza con la conclusione della legislatura. Da questo punto di vista, è comprensibile che il respiro assunto dal Documento si caratterizzi per questa contestualizzazione istituzionale.
  D'altro canto, il Documento ripercorre anche il contesto macroeconomico nel quale si colloca, un contesto dominato dal protrarsi del rallentamento dell'economia a livello globale, che ha interessato anche l'esercizio 2012 e che ha comportato una revisione al ribasso delle previsioni, pure per l'anno 2013.
  L'Eurozona, purtroppo, non fa eccezione; anzi, si assiste ad un progressivo ridimensionamento delle stime di crescita in tutti gli Stati dell'Unione europea, compreso il nostro Paese. Ritengo per questo di sottolineare in termini positivi la pressante capacità di risposta che la BCE continua a mettere in campo per stabilizzare l'Eurozona, a partire dalle condizioni del credito.
  La recente riduzione del tasso di interesse di riferimento si innesta all'interno di una politica monetaria accomodante e di più larghe prospettive. La Banca centrale europea, infatti, ha preso questa decisione accompagnandola con il mantenimento, almeno fino al 2014, di aste a rubinetto e formulando un auspicio sul mercato delle cartolarizzazioni.
  Inoltre, come ha riconosciuto recentemente il presidente Draghi, il programma di acquisti straordinari lanciato nel 2012 sui titoli di Stato a breve termine ha contribuito enormemente ad abbassare i rendimenti sui titoli sovrani dei Paesi periferici, nonché a riportare la calma sui mercati finanziari.
  L'obiettivo di fondo è la rivitalizzazione del mercato del credito, incentivando le banche ad essere più attive e a spingere sui volumi a beneficio delle imprese, e in particolare delle piccole e medie imprese, in relazione alla presumibile riduzione dei ricavi unitari da intermediazione derivanti dall'abbassamento dei tassi e da una prospettiva addirittura di tassi nominali negativi sui depositi delle banche presso la BCE. La partita della crescita è comunque una partita che non si può perdere e ciascun attore, istituzionale e non, deve giocare la propria parte perché si possa avere un successo duraturo e non effimero.
  Per quanto attiene nello specifico il nostro Paese, occorre scontare i risultati economici e finanziari del 2012. Infatti, le previsioni sia per l'esercizio in corso che, più in generale, per il periodo considerato dal DEF risentono delle criticità di contesto e della impostazione delle recenti manovre di correzione dei conti pubblici, essenzialmente improntate sul rigore e sull'austerità.
  Nell'ultima Relazione al Parlamento il PIL 2013 è stato rivisto al ribasso e la disoccupazione al rialzo. Sempre nell'aggiornamento al DEF dello scorso settembre il rapporto debito/PIL relativo al 2013 era stimato al 117,9 per cento, mentre la relazione al Parlamento lo ha rivisto in rialzo al 126,9 per cento.
  Da ultimo, e direi non certo per importanza, le entrate tributarie sono state riviste al ribasso, da 514 miliardi a 477 miliardi di euro, con conseguente impatto negativo sugli interessi passivi e peggioramento dell'indebitamento netto (da meno 1,8 per cento a meno 2,9 per cento). È un limite che io credo dobbiamo considerare invalicabile ai fini della chiusura della procedura di infrazione comunitaria e che credo ci porti a ben sperare, visti i tempi, anche ravvicinati, verso cui ci stiamo avvicinando e ci auguriamo, credo tutti, anche, ovviamente, in termini positivi.
  Le necessità di consolidamento dei conti pubblici hanno determinato manovre imponenti sia sul versante delle entrate, registrando un record in termini di pressione fiscale (44 per cento, in consistente aumento rispetto al 42,6 per cento del 2011), sia sul versante delle spese, perseguendo Pag. 9la logica dei tagli lineari, che hanno mortificato anche le amministrazioni virtuose.
  Ora che il pareggio di bilancio in termini strutturali può considerarsi un obiettivo conseguito, si tratta di spingere finalmente sulla crescita con politiche che promuovano lo sviluppo, anticicliche, basate sul riordino della fiscalità e sulla regolazione dei flussi finanziari tra amministrazione centrale e amministrazioni territoriali, all'insegna della responsabilità e dell'autonomia, completando quel processo di decentramento delle decisioni in un quadro ordinato e coordinato da finanza pubblica.
  Occorre interrompere la logica della spending review declinata con la modalità dei tagli lineari, per avviare una selezione della spesa che aggredisca quelle improduttive a favore degli investimenti e premi, come dicevo prima, le amministrazioni virtuose.
  Il quadro macroeconomico e le previsioni contenute nel DEF, nonostante gli elementi di contesto che ho evidenziato prima, consentono di prospettare a breve, quindi, quella conclusione positiva della procedura di infrazione e poi immaginare anche un percorso che possa portarci ad affrontare altri argomenti. Si tratta quindi di cogliere tutti i risultati possibili di questo consolidamento, intraprendendo politiche di selezione della spesa pubblica, per privilegiare la virtuosità a scapito dei tagli lineari e gli investimenti a scapito delle spese correnti improduttive.
  I margini finanziari che si recupereranno dovranno essere orientati all'alleggerimento del peso del fisco, che attualmente opprime le imprese e le famiglie. Bene è che quindi si parli anche di riforma del fisco da qui a breve. Il percorso di riordino dei conti pubblici interno si deve completare con il lavoro che il Paese, stimolando gli altri partner europei, deve continuare a svolgere sul versante comunitario, ai fini, così, di rendere concreti gli effetti e gli obiettivi del Patto per la crescita e l'occupazione. Io credo anche in un rapporto differente nei confronti dell'Unione europea, così come leggiamo anche di altri Paesi che ottengono dei successi che sono sotto gli occhi di tutti, e voglio quindi a questo punto ricordare che il Governo che è nato alcune settimane fa, la maggioranza che lo sostiene, una maggioranza ampia, possa avere degli obiettivi ambiziosi: l'integrazione delle disponibilità finanziarie per gli ammortizzatori sociali in deroga, la sospensione dell'IMU sulla prima casa ai fini di un organico riordino dell'imposizione sugli immobili, la soluzione al previsto incremento dell'IVA, il pagamento di tutti i crediti vantati dalle imprese verso la pubblica amministrazione. E questi sono alcuni degli argomenti. Ricordiamo anche che non meno urgenti sono capitoli relativi anche a un riordino istituzionale e quello che riguarda la semplificazione dei livelli e dei processi decisionali da perseguire con modifiche normative sia che si tratti di rango ordinario che di rango costituzionale. Penso ad esempio alla riforma del Patto di stabilità interno, la lotta all'evasione fiscale, nel prosieguo di cose, quindi, già avvenute nel corso della legislatura scorsa e dei Governo precedenti – mi riferisco al Governo Berlusconi e al Governo Monti –, la gestione efficiente del patrimonio pubblico, una nuova politica per le imprese e la politica anche per un welfare che ponga la persona al centro.
  Bisogna aprire una fase nuova così da rendere duraturo lo sviluppo e il rilancio dell'economia ed innescare quindi un circolo virtuoso che permetta di impostare correzioni del rapporto deficit/PIL, lavorando finalmente sul denominatore che cresce.
  Avviandomi alla conclusione, occorre costruire un percorso che permetta di caratterizzare il nuovo Esecutivo e la nuova legislatura conferendo un respiro nuovo al Programma di stabilità e al Programma nazionale di riforma che ponga al centro della propria azione la crescita, il sostegno alla domanda interna, il rilancio della fiducia e del credito e il completamento delle infrastrutture strategiche, lo sviluppo dell'occupazione e la sostenibilità fiscale entro un quadro di Pag. 10equilibrio dei conti pubblici e di rispetto degli impegni assunti a livello europeo.
  Concludo quindi dicendo che, nel riferimento di prima al Governo che nasce e alla maggioranza che lo sostiene, ci sono dei punti prioritari. Sappiamo che oggi nel Documento di economia e finanza avevamo una scadenza qualche settimana fa. Concessa ovviamente la dilazione dei tempi rispetto alla formazione del Governo, l'intesa è quella di andare a rientrare dall'infrazione in Europa per potere affrontare quegli argomenti che ho ricordato prima e quei temi che sono salienti per un Governo che possa avere la giusta stabilità e dare delle risposte positive a questo Paese che ne ha bisogno.

  PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il relatore di minoranza, deputato Sebastiano Barbanti.

  SEBASTIANO BARBANTI, Relatore di minoranza. Signor Presidente, signor Ministro, colleghi deputati, come è evidente a tutti, il DEF presentato risulta essere un documento deludente. È ormai privo di significato, anche alla luce delle parole pronunciate dal nuovo Presidente del Consiglio nel discorso del suo insediamento. Esso fa semplicemente una fotografia di ciò che è accaduto nell'ultimo anno e viene presentato, nel rispetto delle scadenze del Semestre europeo, con il solo scopo di perseguire l'obiettivo di pareggio di bilancio in termini strutturali, confermando come uniche direttrici di azione le miopi regole previste dal Patto di stabilità e dal fiscal compact.
  La situazione in cui si trovava l'Italia a fine 2011, determinata dall'inettitudine di una politica economica che si è alternata solo formalmente al Governo nel nostro Paese, ci ha portato sull'orlo del baratro, marginalizzando la nostra economia rispetto ad altri Paesi anche dell'area euro e contrassegnandola da una totale assenza di un qualsiasi progetto di politica industriale e, in più, appesantita da un fardello fiscale iniquo, che ha colpito esclusivamente le fasce sociali ed economiche più deboli della popolazione.
  Scelte inique, quindi, che hanno lasciato del tutto inalterati i privilegi di classi parassitarie ed improduttive, mettendo in dubbio nel contempo diritti civili e sociali, acquisiti con dure lotte e sacrificati sull'altare del peggior liberismo monetarista. Si è abbandonata tutta quella parte di popolo italiano – e parlo di pensionati, di disoccupati, di esodati, di esuberati e di lavoratori di ogni classe sociale – che nessuna parte ha avuto nel tracollo del Paese, mentre il grande capitale economico-finanziario di natura speculativa è stato lasciato indenne insieme a tutti quegli infedeli uomini delle istituzioni che lo hanno agevolato nella sua opera demolitrice dello Stato sociale.
  I dati e le previsioni del DEF 2013 confermano l'insostenibilità della linea di austerità cieca dell'Eurozona e la necessità di mutare radicalmente le politiche fino ad oggi intraprese. Tali politiche hanno conseguenze enormemente depressive sui Paesi con alto livello di debito pubblico. Per realizzare in questo scenario il pareggio di bilancio si sono immaginate politiche che registrino elevati avanzi primari del bilancio pubblico, da ricercarsi attraverso un aumento indiscriminato della pressione fiscale, sia per i privati sia per le imprese, ed una serie di scellerati tagli lineari sulle pubbliche amministrazioni, che hanno causato un notevole decadimento nel livello dei servizi offerti ai contribuenti. Gli unici effetti ottenuti sono stati quelli relativi ad una caduta della domanda interna dei consumi, della produttività ed una conseguente deflazione salariale.
  Ancora oggi si rileva la carenza di risorse da destinare ad alcuni interventi urgenti e necessari per i prossimi mesi, non finanziati in occasione dell'approvazione della legge di stabilità 2013, tra i quali figurano il finanziamento della cassa integrazione in deroga, l'erogazione di prestazioni pensionistiche agli esodati salvaguardati, il rifinanziamento del credito di imposta del 55 per cento per le ristrutturazioni ecosostenibili, nonché l'estensione oltre il 2014 dei pagamenti dei debiti Pag. 11ancora pendenti delle pubbliche amministrazioni verso le imprese (solo per citarne alcuni).
  La crisi in atto è stata battezzata come crisi del debito. Quotidianamente i mass media ci informano che la stabilità finanziaria dell'Europa passa attraverso il controllo e la riduzione dei debiti sovrani degli Stati membri. In questa direzione andrebbero sia l'obbligo del pareggio di bilancio, peraltro costituzionalizzato, sia le clausole del fiscal compact appena richiamate. L'impianto così precostituito risulta un'enorme contraddizione: si strangola l'economia reale con misure di austerità per uscire dalla crisi del debito e nello stesso tempo quest'ultimo lievita a dismisura, anche per effetto delle stesse strategie volte a ridurne la consistenza.
  L'economista e Premio Nobel Paul Krugman ritiene addirittura che l'inserimento in Costituzione del vincolo di pareggio di bilancio possa apportare alla dissoluzione dello Stato sociale. È facile constatare la veridicità di tale affermazione dando uno sguardo alla nostra nazione: oltre 3 milioni di italiani vivono nella povertà assoluta, il 17 per cento degli italiani ha un reddito al di sotto della soglia di povertà, un giovane su tre è senza lavoro e gli altri due sono precari e soggetti a dumping salariale.
  La riforma del lavoro, che doveva aumentare la flessibilità e ridurre la segmentazione, ha generato il precariato. Le politiche di sviluppo nazionale per l'imprenditoria avrebbero dovuto favorire l'innovazione e l'internazionalizzazione e invece hanno causato soltanto delocalizzazione e disoccupazione. La riforma delle pensioni che, a detta del precedente Governo, ha reso il sistema presidenziale italiano uno dei più sostenibili in Europa, ha tuttavia creato la categoria degli esodati. Se inoltre rileviamo che la metà della ricchezza è in mano a soltanto il 10 per cento della popolazione, appare evidente come la cosiddetta «forbice sociale» si sia ulteriormente allargata.
  Addirittura l'FMI esorta l'Europa a non nascondere la testa sotto la sabbia: è in gioco la stabilità sociale; l'Italia deve prendere atto che la strategia della compressione accelerata del deficit non sta funzionando, a meno che l'obiettivo nascosto non sia appunto quello della distruzione progressiva dello Stato sociale. Già, mera distruzione dello Stato sociale, poiché né il drastico prolungamento dell'età pensionabile, né le cosiddette «liberalizzazioni», né il tentativo di abolire l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori hanno nulla a che vedere, a conti fatti, con la riduzione del debito pubblico italiano. La programmazione della politica economica e finanziaria e gli obiettivi di finanza pubblica che vuole perseguire il MoVimento 5 Stelle per il benessere dell'Italia e la tutela del suo popolo non sono quelli che ha perseguito il passato Governo né quelli dei precedenti; e ciò proprio per quell'idea di Europa che deve avere come sua prima missione quella di realizzare la pace e la felicità dei popoli.
  In risposta all'eclatante fallimento del sistema di austerità occorre porre in essere una differente politica europea, attraverso l'attuazione di misure anticicliche, anche per il tramite della rinegoziazione del Trattato di Maastricht e del fiscal compact, al fine di rilanciare una nuova Europa. In tale prospettiva si dovrebbe anche considerare una parziale europeizzazione del debito, che miri a rafforzare ancor di più l'unione dei vari Stati. Essere antieuropeisti significa essere fuori dalla storia, ma soprattutto essere fuori dal futuro. Noi vogliamo esserne parte, nella convinzione che dalla crisi economica, finanziaria e sociale se ne esce soltanto se si resta uniti; l'alternativa è un'Europa distrutta da populismi e da forme di dissenso sociale, che potranno raggiungere toni particolarmente estremi e con ripercussioni molto gravi sull'ordine pubblico: la Grecia è solo un primo, seppur timido, esempio.
  Va ridefinito, quindi, il ruolo della BCE: occorrerebbe una diversa mission per la Banca centrale europea, che dovrebbe diventare prestatore di ultima istanza per i diversi debiti pubblici statali ed inserire tra i suoi obiettivi il perseguimento della piena occupazione nonché Pag. 12finanziare direttamente gli investimenti produttivi e la riconversione ecosostenibile del nostro sistema produttivo. Si dovrebbero adottare politiche industriali di tipo nuovo, su scala europea e nazionale, da alimentare attraverso il rafforzamento del ruolo della Banca europea degli investimenti; va attuata una riforma dei sistemi finanziari, a partire dalla separazione delle attività bancarie, commerciali e di investimento e, all'interno di questa, va improntato un sistema fiscale e di controllo diversificato, con il fine di incentivare il finanziamento dell'economia reale e non di quella finanziaria.
  Sono ormai anni che sentiamo promesse su promesse, dogmi sui vincoli di bilancio, di risanamento dei conti, di rapporto deficit-PIL, di spread, di debito pubblico, di tagli alla spesa dell'amministrazione, di diktat che arrivano dall'Europa e che vorrebbero trasformare il nostro amato Paese in una equazione matematica, in nome di una asserita quanto indimostrata scientificità dell'economia, che è una disciplina sociale. Ma cosa misurano esattamente questi numeri che ci vengono continuamente propinati ? In che cosa stanno trasformando il nostro Paese ? Forse che la vita degli esseri umani vale meno di una relazione matematica che dice che non si può sforare il deficit del 3 per cento ? Quanto valgono quelle vite umane ridotte a un numero ? E la vita di quelle persone che si sono suicidate perché gli è stata negata ogni dignità umana quanto vale ?
  Qualche tempo fa Pertini diceva: «La libertà senza giustizia sociale può essere anche una conquista vana». Si può considerare veramente libero un uomo che ha fame, che è nella miseria, che non ha un lavoro, che è umiliato perché non sa come mantenere i suoi figli ed educarli ? Questo non è un uomo libero e noi non vogliamo più uomini schiavi; noi non vogliamo più che gli uomini siano privati della loro dignità. Ecco perché si dovrebbe ripensare l'intero sistema di welfare, ponendo al centro dell'impianto un reddito di cittadinanza, un reddito di dignità che sia di ausilio nella vita di ogni cittadino, sia nel momento dell'entrata nel mondo del lavoro sia nel momento di crisi della piccola e media impresa; ed invece, ad oggi, la risposta data con le politiche di austerity è che quelle vite valgono zero. Finché la politica e l'economia preferiranno rispettare dei numeri, dei dogmi contabili piuttosto che dei principi di umanità, quelle vite valgono nulla. E vale zero, per questi vincoli, il coraggio di quei ragazzi, magari nati in condizioni disagiate ma che non chinano la testa, che non si arrendono alla delinquenza o all'ignoranza, ma si rimboccano le maniche, lavorando di giorno e studiando di notte, perché, come diceva Peppino Di Vittorio, vogliono capire cosa dicono quei libri dove stanno scritte le leggi.
  Leggi che dovrebbero fare dell'Italia un Paese di cui si sia orgogliosi di vivere e fieri di vivere, un Paese in cui ci si senta protetti dallo Stato e non un Paese che assomiglia ad un futuro cimitero abitato da disperati a cui, in nome del bilancio, è stata tolta ogni possibilità di riscatto. La disperazione più grande che possa impadronirsi di una società è il dubbio che essere onesti sia inutile. Questo lo diceva Corrado Alvaro. Noi non vogliamo vivere in una società disperata. È necessario quindi dare un nuovo e forte impulso al senso di onestà. L'onestà deve tornare di moda. La legge anticorruzione deve essere rivista, reintroducendo il reato di falso in bilancio e frode fiscale, riportando all'originaria formulazione il reato di concussione, introducendo il reato di autoriciclaggio, prevedendo norme che impediscano alla criminalità organizzata di condizionare la competizione elettorale, aumentando i termini di prescrizione per i reati di particolare gravità e in particolare per i reati contro la pubblica amministrazione.
  E vale zero anche il coraggio e l'impegno di tutti quegli imprenditori che hanno rischiato tutto quello che avevano per realizzare la loro idea e il loro progetto, per contribuire allo sviluppo del nostro Paese e che adesso devono assistere inermi al fallimento della loro azienda perché lo Stato non vuole pagare quanto loro giustamente Pag. 13dovuto, in nome di patti mai firmati detti di stabilità. Sono le azioni ed il lavoro degli uomini e delle imprese che danno valore al denaro, non asettici parametri.
  Che Stato è uno Stato che dice che non ci sono più numeri per ripagare il sacrosanto lavoro che è stato fatto dai suoi cittadini ? Che forza ha uno Stato che si inchina miseramente all'ideologia di vincoli contabili che generano solo miseria sociale ? Che dignità ha un Paese che toglie speranza al suo popolo ? Va allora urgentemente realizzata una banca nazionale di investimenti dedicati alle piccole e medie imprese e ai liberi professionisti, alla quale questi possano attingere a tassi agevolati in situazione di gravi crisi di mercato e credit crunch.
  È necessario altresì consentire al Mezzogiorno di Italia di liberarsi dalla mala politica e dalla criminalità organizzata – molte volte sono una cosa sola – favorendo investimenti stabili nel territorio e trasformando il Sud nel motore del rilancio dell'Italia, punto di snodo di una nuova politica europea che riconsideri fra i suoi interessi di intervento anche i popoli del sud del Mediterraneo e del mondo.
  Di cosa è espressione una politica che trascura di accrescere la cultura, l'istruzione e la civiltà del suo popolo ? La politica e l'economia sono state trasformate in un'arma di morte, in un ricettacolo di numeri, di vincoli e di parametri che non hanno più nessun legame con la realtà, con il diritto di ogni persona a vivere un'esistenza libera e dignitosa. Chi osanna il rispetto dei vincoli non è più in grado di vedere la bellezza della vita, non è più in grado di difenderla, non è più in grado di fare politiche che mirino a come espanderla ed accrescerla, non è più in grado di fare leggi che difendano a spada tratta la cultura e l'istruzione dei giovani come un bene fondamentale per costruire la speranza del futuro. Sa solo tagliare i fondi alla scuola, alla ricerca, all'università per celebrare la ragione ignobile dei numeri contabili. E così assistiamo alla perdita di solidi valori e sani principi da parte delle nuove generazioni, con evidenti ricadute negative sul benessere sociale. Persino la figura del nonno, che all'interno della famiglia aveva questo delicato ed importantissimo ruolo pedagogico, è diventata una specie in via di estinzione per colpa della scellerata riforma delle pensioni, che vorremmo rivisitare nell'ottica di garantire il diritto alla pensione a tutti i lavoratori in un'età dignitosa. La solidarietà che ci ha consentito di ricostruire l'Italia nel dopoguerra deve essere il valore sul quale costruire un nuovo senso di comunità e di Stato, ed in questo la politica ha il compito di dare il buon esempio, tagliando i suoi costi ed abbattendo gli sprechi e i privilegi, avvicinandosi insomma al cittadino.
  Invece di idolatrare la contabilità della morte, noi vogliamo fare leggi e politiche che si occupino dell'economia della vita, vogliamo misurare quel benessere equo e sostenibile che darà valore alla qualità dell'educazione di un essere umano anche se non farà mai crescere il PIL e prima di esso il portafoglio dei soliti noti. E se proprio dobbiamo mettere dei vincoli, mettiamo dei vincoli di umanità, dei vincoli di dignità della persona umana sotto i quali non si può scendere, introduciamo delle procedure di infrazione che colpiscano tutti coloro che con dolo hanno approvato leggi di bilancio che hanno determinato disastri economici contrari ai diritti universali dell'uomo. Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell'impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro e alla protezione contro la disoccupazione. Ogni individuo che lavora ha diritto ad una remunerazione equa e soddisfacente che assicura a lui stesso e alla sua famiglia un'esistenza conforme alla dignità umana. Ogni individuo ha diritto ad uno Stato cui stia a cuore il futuro del suo popolo e che si adoperi con tutte le sue forze per ripudiare i vincoli che generano morte e miseria e che propugni invece l'economia della vita.
  Vorremmo, quindi, che il nuovo Governo prenda in considerazione di apportare delle note al DEF sulla scorta delle Pag. 14nostre osservazioni (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle e di deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Busin. Ne ha facoltà.

  FILIPPO BUSIN. Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, la situazione quale traspare dal Documento di economia e finanza 2013, su cui oggi siamo chiamati a confrontarci, ci mette di fronte a responsabilità e scelte decisive per la nostra sopravvivenza e per quella delle generazioni che verranno. Si tratta di situazione particolarmente difficile, delicata e complessa. Emergono tuttavia dei dati sul cui significato si registra ormai e finalmente una generale convergenza di opinioni.
  Vorrei soffermarmi in questa prospettiva e nel tentativo di essere il più possibile schematico ed efficace su tre fondamentali questioni. La prima concerne gli effetti delle politiche di austerity a livello europeo. Mi pare difficile non essere d'accordo con il Presidente Barroso, il quale lo scorso 22 aprile ha lapidariamente affermato che le politiche di austerità fiscale hanno raggiunto il limite di praticabilità per la crescente opposizione dei Paesi periferici colpiti da durissima recessione. In Spagna – sono dati del 25 aprile scorso – si registra il 27 per cento di disoccupati; la percentuale sale al 50 per cento tra i giovani. In Francia i disoccupati sono 4 milioni. In Italia più di un milione di persone hanno perso il lavoro negli ultimi 12 mesi. Bastano questi pochi ed emblematici dati a sancire la definitiva crisi di un modello che non poteva che fallire in quanto fondato sull'idea – vera e propria presunzione fatale – secondo la quale limiti e vincoli uguali per tutti, imposti dal centro, provochino virtuosi processi di allineamento di realtà economiche tra loro quanto mai differenti. Queste realtà, proprio per la loro disomogeneità, richiederebbero approcci differenziati e continui aggiustamenti ad hoc in ragione dei cambiamenti nel frattempo intervenuti. Del resto è sotto gli occhi di tutti che le quattro regole di Maastricht applicate rigidamente e arricchitesi nel tempo di ulteriori limitazioni e procedure di controllo e sanzioni in caso di sforamento – dal patto di stabilità al fiscal compact fino al six pack e al two pack – hanno contribuito a mettere in amministrazione controllata, per così dire, quattro Paesi dell'Unione europea su ventisette (Irlanda, Portogallo, Grecia e Cipro), a mettere sotto osservazione preoccupata altri due (la Spagna e la Slovenia), a creare notevoli problemi ad altri undici, tra cui Francia e l'ex-rigorista Olanda, anch'essi considerati problematici e quindi monitorati per eccesso di deficit. La conseguenza – lo stiamo vedendo in questi giorni – non può essere che la concessione di deroghe ai tempi di raggiungimento degli obiettivi di rientro dal deficit. Si arriva, cioè, ex post alla personalizzazione della terapia a fronte della presa d'atto che la cura, quale risulta dal protocollo adottato, non solo non migliora lo stato del paziente ma rischia di farlo morire.
  La seconda questione riguarda gli effetti delle politiche di austerity nel nostro Paese. L'Italia, nel contesto descritto, si presenta come uno dei Paesi più virtuosi e diligenti nel rispettare i vincoli che sono imposti dall'Unione. È vero che lo stock di debito pubblico è cresciuto del 20 per cento dal 2008 al 2012 ma meno di quanto accaduto in Germania e Francia. Nello stesso periodo la media dell'Unione è stata del 32 per cento. In Spagna è raddoppiato e in Portogallo è cresciuto dell'80 per cento. A conferma della virtuosità italiana stanno i seguenti dati. Nel 2012 il saldo primario del bilancio, al netto della spesa per interessi e corretto dagli effetti del ciclo, è risultato il migliore tra i Paesi avanzati. La spesa pubblica è diminuita, sia per quel che riguarda gli stipendi dei dipendenti pubblici, sia per quel che concerne la spesa sanitaria e in tal senso sono inequivocabili i dati del DEF. La spesa pensionistica, anche se in continua crescita, pare essere sotto controllo.
  Se però analizziamo gli effetti sull'economia reale di un'applicazione così diligente delle politiche di austerity arriviamo Pag. 15al quadro estremamente preoccupante riportato dal DEF. PIL 2012 in contrazione del 2,4 per cento: è tornato, cioè, a livelli inferiori a quelli registrati nell'anno della crisi del 2009. La domanda interna meno 4,8 per cento; settore delle costruzioni meno 6,2 per cento, in calo per il quinto anno consecutivo; cassa integrazione vicino al record storico del 2010 con circa un miliardo di ore richieste; tasso di disoccupazione in crescita a quasi il 12 per cento; tasso di inattivi all'11,6 per cento, percentuale tripla rispetto alla media europea. Ma anche sul fronte dei parametri di bilancio cominciano a manifestarsi effetti controproducenti: il rapporto debito-PIL, nel 2013, è previsto al 130,4 per cento, tanto da far sorgere il dubbio che non sia tanto l'eccesso di debito, oltre la famigerata soglia del 90 per cento sul PIL, a generare bassa crescita o recessione, quanto piuttosto quest'ultima a peggiorare l'indicatore. In definitiva e riepilogando, il rispetto dei limiti estremi di bilancio imposti dall'Unione, ottenuti soprattutto con un inasprimento della pressione fiscale, ha dato origine alla riduzione di consumi e investimenti innescando una spirale che mette a rischio la possibilità di crescita e la conseguente stabilizzazione dello stock del debito nel medio termine.
  Noi crediamo che si è oramai prossimi al punto di non ritorno, e l'impennata di chiusure e fallimenti di imprese – sono 30 mila come saldo negativo fra aperture e chiusure nei primi tre mesi del 2013 – ne costituisce la più eloquente conferma. Il rischio è quello dell'isteresi, a voler utilizzare un termine ben noto ai fisici, o ereditarietà, un danno economico permanente non rimediabile neanche nel momento in cui si verifichi un ciclo economico favorevole di piena ripresa. Diversa è la dinamica di quei Paesi – e il pensiero corre agli Stati Uniti d'America e al Giappone, entrambi con un debito di gran lunga superiore al 100 per cento del PIL – che hanno potuto attuare, in momenti di crisi, politiche espansive, soprattutto dal lato monetario, e di sostegno al credito. I recentissimi dati sulla diminuzione della disoccupazione negli Stati Uniti sono lì a dimostrare che occorre cambiare registro mettendo al centro l'impresa e il lavoro i quali, se definitivamente perduti, non tornano più, privando il Paese del proprio futuro.
  Valutiamo pertanto doverosa l'urgenza con cui si è finalmente sbloccata la restituzione dei crediti alle imprese con il decreto-legge n. 35 del 2013, anche se auspichiamo la velocizzazione del pagamento dei debiti, la semplificazione delle procedure e, comunque, uno stanziamento più generoso, sotto forma di allentamento del Patto di stabilità, agli enti periferici virtuosi che, pagati i debiti, hanno già a disposizione le risorse per avviare nuovi investimenti.
  La terza questione attiene alla variabile fiscale. Nella logica fin qui evidenziata, riteniamo impraticabile qualsivoglia strategia che si fondi sull'incremento della pressione fiscale. Anche dal DEF risulta che si sono raggiunti limiti intollerabili: 44 per cento del PIL nel 2012 con un'incidenza sui redditi di impresa vicina al 68 per cento, il valore più elevato fra i Paesi dell'OCSE. Il punto è ormai condiviso, non solo dalle organizzazioni datoriali, il che è perfino ovvio, ma anche – e questo segna un importante cambio di passo – dalle organizzazioni sindacali. Il DEF dà la misura che le risorse per poter intervenire sono veramente limitate e, allora, si concentrino i possibili interventi su azioni rivolte a ridurre il cuneo fiscale e, per quanto possibile, quell'imposta gravemente iniqua che è l'IRAP, il che, peraltro, è previsto dal PNR laddove si ipotizza di consentire la detrazione dell'intero costo del lavoro dalla base imponibile.
  In questo contesto, occorre prendere posizione sulla prospettata abolizione dell'IMU sulla prima casa. In una situazione come quella attuale di elevatissima pressione fiscale, si fatica a non vedere con favore l'eliminazione di un tributo, oltretutto di carattere patrimoniale, che, quindi, prescinde dall'effettivo reddito a disposizione dei contribuenti. Non si trascuri, però, l'assoluta necessità, da parte dei comuni, di poter disporre di tributi propri e ciò in quanto, a differenza della Pag. 16finanza derivata, questi garantiscono entrate certe nell'ammontare e nei tempi di incasso consentendo alle autonomie di poter calibrare la politica fiscale alle esigenze del territorio amministrato. Non si trascuri di evidenziare che l'abolizione dell'IMU prima casa, genera un corto circuito dal punto di vista democratico atteso che, eliminandola, l'imposizione locale finirebbe per essere imperniata sui non residenti, generando un sistema che costituisce una perfetta antitesi dell'impostazione federalista.
  Vogliamo, infine, evidenziare che oggi chi supporta il peso maggiore dell'IMU sono le imprese che, oltretutto, non possono nemmeno dedurre l'IMU dalla base imponibile su cui si calcola l'imposta del reddito e che, quindi, viene corrisposta su un imponibile che, per la parte corrispondente all'IMU, è perfino immaginario. Noi crediamo che in questa prospettiva sarebbe opportuno ripensare l'intero tributo fortemente sperequato dal lato delle imprese e ciò anche riprendendo alcuni tentativi di introduzione di una sorta di service tax cui il Governo Berlusconi si era dedicato prima di lasciare il campo al Governo tecnico. Si potrebbe così anche ripensare alla tanto discussa Tares, soprattutto per la componente collegata ai servizi indivisibili di dubbia legittimità costituzionale, il cui gettito è previsto in un miliardo di euro circa all'anno.
  Mi accingo alle conclusioni. Oltre a quanto sinteticamente detto sugli interventi in materia fiscale, riteniamo si debba adeguatamente evidenziare che dal circolo vizioso tra debito pubblico, che compromette la crescita, e assenza di sviluppo, che alimenta a sua volta il debito pubblico, si può uscire con un cambio culturale collettivo, che metta al centro l'impresa e chi ci lavora.
  Ma, data per acquisita l'impossibilità di agire sul versante dell'imposizione fiscale e il permanere di vincoli di bilancio, se pur si auspica allentati, dove si trovano le risorse necessarie ? La risposta è difficilissima, non c’è dubbio; ma noi continuiamo a credere che si renda più che mai necessario il completamento della riforma federalista, cui è stata data attuazione con i decreti emanati in sede di svolgimento della legge delega n. 42 del 2009. Tra questi, decisiva è l'applicazione del decreto sui fabbisogni e i costi standard, il quale porterebbe un risparmio stimato nell'ordine di 20-30 miliardi all'anno. Questa sembra, alla Lega Nord, la strada da percorrere con rinnovata decisione.

  PRESIDENTE. Prima di dare la parola all'onorevole Causi, pregherei di lasciare libero il banco del Governo; a chi non è rappresentante del Governo, ovviamente.
  È iscritto a parlare l'onorevole Causi. Ne ha facoltà.

  MARCO CAUSI. Signor Presidente, il nuovo Governo, quindi, oggi, ci comunica che è sua intenzione portare in quest'Aula, fra qualche settimana, una relazione aggiuntiva di aggiornamento del testo del DEF, all'interno di un quadro finanziario definito e concordato con l'Unione europea, e tenendo conto di qualche ulteriore margine di flessibilità che, sembra di capire, si potrebbe ottenere con una trattativa da avviare nei prossimi giorni.
  Oggi, quindi, ci aspetta una discussione ancora transitoria, ma è importante che il Parlamento approvi in questa forma il DEF per poter permettere il pieno svolgimento della procedura ascendente che, sulla base di questo documento, permetta al Governo di lavorare nelle sedi comunitarie. È importante anche per definire gli indirizzi del nuovo Governo nelle prossime cruciali settimane di lavoro; colgo l'occasione per salutare il Ministro Saccomanni, i sottosegretari e i Viceministri che, con lui, oggi, fanno l'esordio in quest'Aula.
  Leggendo il testo attuale del DEF, sembrano necessari aggiornamenti in tre direzioni. Primo: sugli aspetti interpretativi della situazione macroeconomica internazionale ed interna; secondo: sulla valutazione della possibilità di ridefinire il percorso verso gli obiettivi a medio termine della finanza pubblica; terzo: sulla trasformazione delle linee programmatiche del nuovo Governo, così come contenute nel discorso del Presidente Enrico Letta, in Pag. 17un'agenda a medio termine che precisi le priorità, le quantificazioni e i cronoprogrammi, da un lato sulle emergenze e, dall'altro lato, su alcune idee, sembra di capire, relative a provvedimenti shock per l'economia, che possono, quindi, sortire degli effetti anche immediati, e anche intervenendo, come il Ministro ha confermato, sull'esistente PNR.
  Per quanto riguarda la situazione internazionale, tutti hanno ripreso a crescere più dell'Europa. Probabilmente c’è un motivo per questo: certo, l'Europa ha di fronte un «tornante» storico di tipo strutturale, ma resta forte il dubbio che le politiche europee non siano state, e non siano ancora, all'altezza delle sfide, né di quelle strutturali né di quelle congiunturali. Anche le interpretazioni ufficiali europee non sono del tutto convincenti. Il problema dell'Europa è stato visto prevalentemente come un problema di debito e, in particolare, come un problema concentrato nei Paesi ad alto debito. Siamo proprio sicuri che sia così ?
  Nel suo insieme, l'Europa è un'area meno indebitata del Giappone e degli Stati Uniti; certamente, per i Paesi ad alto debito non si può derogare al rigore, poiché i Paesi ad alto debito sono fragili e devono perseguire la possibilità di mantenere l'accesso ai mercati. Ma, in realtà, se guardiamo alla crisi del 2011 – all'apice della crisi del 2011 –, come, poi, ha correttamente interpretato il Presidente Draghi, quella che è emersa è una componente di rischio sistemico percepita dai mercati in merito alla stessa sopravvivenza della moneta unica, e che, quindi, andava al di là del comportamento e della situazione di squilibrio dei singoli Paesi. Ed è proprio sull'evidenziazione di questa componente di rischio sistemico, che il Presidente Draghi è riuscito a sconfiggere la resistenza culturale, affinché la Banca centrale europea avesse, cominciasse ad avere, delle politiche più aggressive.
  Ma l'altro elemento di difficoltà culturale dell'impianto europeo è che l'Europa continua a pensare, come unico motore della sua crescita, alle esportazioni, sposando un modello sostanzialmente mercantilista, che pone così l'Europa in conflitto con tutte le altre aree del mondo e che non valorizza le potenzialità interne di un mercato unico che, per dimensioni demografiche e per livelli di sviluppo, è il più vasto del pianeta. Queste interpretazioni vanno coraggiosamente rimesse in discussione con un ampio dibattito culturale e politico, e io auspico che il nuovo Governo possa avere il coraggio di dire qualcosa in merito. C’è bisogno di più Europa e di un'Europa che abbia come obiettivo la crescita e l'occupazione. C’è bisogno, ad esempio, di politiche monetarie che riescano finalmente ad avere effetti simmetrici ed omogenei fra i diversi sistemi dell'area euro. Bene, quindi, le decisioni importanti del vertice di giugno del 2012; bene l'unione unione bancaria, che deve marciare il più velocemente possibile; bene tutto quello che ha fatto la BCE; bene anche le ultime decisioni, potenzialmente positive per le piccole e medie imprese italiane, su cui lavorare in fretta; ma non possiamo a lungo permetterci una politica monetaria che non riesca ad avere effetti simmetrici sui diversi Paesi. So bene che questa non è materia dei Governi né dei Parlamenti, vista l'indipendenza della Banca centrale, ma è necessaria un'iniziativa politica e culturale che crei consenso e condivisione in Europa, a favore di una politica monetaria attenta non solo ai prezzi e alla stabilità finanziaria ma anche alle condizioni dell'economia reale.
  Vanno poi rafforzate le politiche europee di contrasto alla disoccupazione, in particolare giovanile, con meccanismi in questo caso asimmetrici, e cioè più incisivi nei Paesi a più elevato tasso di disoccupazione. Va rafforzato il ruolo del Fondo sociale europeo, e il nuovo Governo italiano deve schierare con decisione l'Italia, il nostro Paese, dalla parte delle proposte del Parlamento europeo, al confronto con i Governi e con la Commissione, sul futuro progetto di bilancio dell'Unione.
  Attenzione, però, le critiche all'attuale impianto delle politiche europee non devono essere confuse con impostazioni che indulgono a interpretazioni frettolose e superficiali. Non sono convincenti, anzi, Pag. 18sono controproducenti, le posizioni di ripiegamento nazionalistico. È sensato criticare la Germania per la sua tradizione culturale mercantilista e per il fatto che in un modo inerziale, e non molto attento, si pensi di estendere all'intera Europa questa tradizione, ma è altrettanto sensato ricordare che la Germania è oggi un Paese di riferimento, benchmark, in Europa per un federalismo funzionante, una transizione tecnologica ed industriale di successo, un buon funzionamento della macchina statale, diritti civili più avanzati dei nostri.
  È chiaro che un'Europa regolata in modo così inefficiente dai Trattati vigenti sembra affrontare problemi che non sono catalogabili solo nei tradizionali schemi politici destra-sinistra, ma acquisiscono anche una natura geopolitica; ma non è certo con il richiamo nazionalistico e protezionistico che riusciremo a risolverli. Se davvero vogliamo un'Europa federale e un bilancio federale, e anche qualche strumento di condivisione dei rischi connessi ai debiti sovrani esistenti, non possiamo non dare in cambio qualche cessione di sovranità in materia di programmazione e di controllo dei bilanci pubblici nazionali, e cioè non possiamo non rafforzare il percorso stabilito dalle nuove regole di coordinamento dei bilanci pubblici.
  Seconda questione politica rilevante è l'interpretazione della nostra situazione attuale sul piano interno. È chiaro che l'approfondimento della decisione italiana nei mesi terminali del 2012 e ancora nei mesi iniziali del 2013, deriva da una sottovalutazione dell'impatto, in termini produttivi, delle politiche di restrizione attuate a partire dal, e lungo tutto il 2011. Tuttavia, non credo che noi possiamo essere soddisfatti di una visione soltanto congiunturale di questa fase così acuta della crisi italiana, perché fattori congiunturali si sommano con fattori strutturali ed entrambi vanno aggrediti con adeguate politiche. Tuttavia, nella relazione di aggiornamento del DEF, certamente il Governo dovrà approfondire alcune divergenze che emergono fra le stime di questo DEF e le stime dei servizi della Commissione europea, soprattutto in merito alle prospettive per il 2014, dove sia in termini di PIL e sia in termini di indicatori di finanza pubblica, emergono degli scostamenti preoccupanti.
  Un'altra questione rilevante è quella della ricontrattazione dei tempi degli obiettivi di finanza pubblica.
  Nella fase attuale, questi obiettivi di finanza pubblica, lo voglio ricordare a tutti noi, visto che siamo per gran parte di questo Parlamento, come dire, nel pieno di un esercizio anche di serietà e di serenità, gli attuali obiettivi di finanza pubblica furono contrattati, fra il marzo e il settembre 2011, dall'allora Governo Berlusconi, e il Governo Monti, che è venuto, dopo li ha soltanto attuati.
  Nella fase attuale, bene fa il Governo a chiedere un mandato per la loro ricontrattazione, almeno per le spese per gli investimenti, sulla base della nuova solidità strutturale del bilancio italiano, e sulla base anche del fatto che la recessione italiana ha effetti sistemici preoccupanti per l'intera Europa. Attenzione però, perché siamo in mare aperto: l'obiettivo dell'uscita dalla procedura per deficit eccessivo, che è l'architrave del DEF predisposto dal precedente Governo, e il cui percorso è stato positivamente confermato dai recenti dati dell'Unione europea, non comporta in automatico nessuna premialità e nessun margine di flessibilità; si tratta di impostare una trattativa politica e di essere, come sistema Paese, sufficientemente credibili e autorevoli per spuntare un risultato, come ha fatto la Francia, ma nulla va dato per scontato.
  Il terzo ambito di aggiornamento del DEF e del Programma nazionale di riforme, è da vedere in relazione al programma del nuovo Governo; l'agenda che il Presidente Letta ha esposto in quest'Aula, è un agenda a medio termine, e questo lo ritengo un fatto positivo; quest'agenda però va resa operativa e da questo punto di vista credo che sia importante il metodo, prima ancora e non soltanto dei contenuti. L'agenda del Governo Letta va messa in opera con contestualità delle misure, su cui non si può agire considerandole una per una; questa Pag. 19contestualità può trovare una sua coerenza complessiva proprio nella relazione di aggiornamento che verrà presentata tra qualche settimana, rimandando i successivi decreti attuativi soltanto alla predisposizione di un quadro coerente da un punto di vista programmatico. E da questo punto di vista voglio ricordare che le emergenze sono tante, le annuncio soltanto: cassa integrazione, esodati, contratti di servizio con la pubblica amministrazione, precariato nella pubblica amministrazione, piano straordinario per l'occupazione giovanile, IMU, Tares, meno IVA, riduzione delle tasse sul lavoro almeno per i nuovi assunti; quindi l'insieme di questo pacchetto potrà trovare coerenza se affrontato non una cosa per volta, come se fossero foglie di carciofo, ma dentro una coerenza complessiva che potrà trovare un'adeguata sede programmatica nella relazione di aggiustamento.
  Concludo l'intervento, Presidente, concentrandomi poi, all'interno di tutte queste vicende, soltanto sulla vicenda relativa all'IMU. Il Partito Democratico ritiene un aggiornamento dell'IMU possibile; possibile un ripensamento dell'IMU sulle prime case, escluse forse quello di maggior pregio, tant’è vero che questi temi erano contenuti in tutti i programmi dei partiti e dei movimenti che si sono presentati alle elezioni. L'IMU ha molti difetti: ad esempio è stata difficile la coabitazione tra Stato e comuni nella gestione di quest'imposta; ancora, i valori catastali su cui si basa l'IMU sono fortemente inefficienti in Italia a causa della mancata riforma del catasto – e da questo punto di vista ricordo al Governo che trova già, praticamente quasi approvato, il testo di un disegno di legge delega fiscale approvato all'unanimità dalla Camera e approvato all'unanimità dalla Commissione finanze del Senato, dentro cui, tra varie altre cose, c’è anche un progetto di riforma del catasto, e questo, anche secondo la relazione dei dieci saggi, è una delle cose che si potrebbero cambiare abbastanza velocemente – ; in più, colpa dell'IMU è stata aver stabilito la detrazione sulla prima casa troppo rigida, uguale per tutti a livello nazionale, anche tornando indietro rispetto agli spazi di autonomia che i regolamenti comunali sull'ICI avevano prima; e infine un difetto dell'IMU è il trattamento non differenziato fra gli appartamenti in affitto e le case a disposizione, anche alla luce delle modifiche IRPEF, anche perché non ci dimentichiamo, ed è stato spesso dimenticato nel dibattito, che per gli affitti è entrata in vigore la cedolare secca – che peraltro non ha avuto gli sperati esiti in termini di emersione – mentre per la case a disposizione l'IMU ha conglobato anche la precedente quota IRPEF che si pagava su quelle case, e con tale conglobamento dell'IMU, per questi contribuenti c’è stato un risparmio di 1,6 miliardi. Non va però dimenticato che sul piano della struttura del sistema fiscale, un'imposta locale basata in modo diretto e indiretto sugli spazi occupati e sul loro valore, esiste in tutti i Paesi avanzati.
  Sul piano del federalismo, e quindi di coniugare autonomia e responsabilità degli enti locali e dei comuni, è indispensabile che sussista un'imposta comunale e anzi sarebbe importante averne una sola: una sola imposta per i comuni e una sola imposta per le regioni, anche rimettendo mani e completando il processo di attuazione del federalismo fiscale. Ma poi non dimentichiamo che, sul piano della progressività e degli effetti redistributivi, l'imposta sul possesso degli immobili ha impatti positivi, anche, se è reale e non personale, come dimostrano tutti i dati. Ad esempio, il 70 per cento del gettito dell'IMU viene dal 20 per cento delle case di maggior pregio e, quindi, sul piano del disegno di politica economica, tutti gli osservatori e le istituzioni internazionali concordano nel suggerire all'Italia di ridurre le tasse sul lavoro e l'impresa e, invece, eventualmente, agire sul patrimonio e sui consumi.
  Concludo: in ogni caso, il Governo potrà elaborare una proposta che, superando i difetti dell'IMU, soprattutto sulla prima casa, sia coerente con gli obiettivi redistributivi e allocativi che questa imposta raggiunge.Pag. 20
  In conclusione, è apprezzabile che, nelle dichiarazioni programmatiche del Presidente Enrico Letta, molti temi sollevati abbiano come riferimento il medio periodo e non soltanto l'emergenza. L'auspicio è che, da oggi a qualche settimana, superata la negativa fase di incertezza seguita allo stallo conseguente al risultato elettorale, il nuovo Governo possa, nella relazione di aggiornamento del DEF, indicare la strada per l'attuazione del suo impegnativo programma (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Marcon. Ne ha facoltà, per dieci minuti.

  GIULIO MARCON. Signor Presidente, signori del Governo, colleghi deputati, il DEF che discutiamo oggi è un Documento sostanzialmente inservibile. È solo l'atto testamentario e il sigillo di un Governo che non c’è più. I conti sono in gran parte da rivedere, le stime sono gonfiate, non c’è un'agenda di priorità per il futuro e il programma nazionale di riforma, essenzialmente senza indicazioni, contiene solo l'elencazione delle misure in corso.
  Inoltre, il DEF da approvare è sopravanzato dagli eventi, con le proposte del nuovo Governo di superamento dell'IMU e di cancellazione del previsto aumento dell'IVA e, quindi, i conti del DEF vanno radicalmente rivisti: servono per queste misure dagli otto ai dieci miliardi di euro, che ancora non si sa bene come verranno trovati. Bisognerà aspettare l'annunciato decreto e la Nota di aggiornamento del Governo, prevista nelle prossime settimane per capire come verranno applicate e coperte queste misure e per vedere nella sostanza qual è il vero DEF e quali sono gli indirizzi di politica economica del Governo nei prossimi mesi.
  Il DEF che stiamo discutendo è quindi un DEF per buona parte – direi – finto, a partire dalle stime. La stima di un impatto di crescita del 3,9 per cento del PIL sul lungo periodo, grazie alle misure del Governo precedente, dalla riforma Fornero al decreto-legge sulle liberalizzazioni, è assolutamente non solo ottimistica, ma velleitaria. La stima di un aumento del PIL dello 0,5 per cento, grazie al decreto-legge che sblocca i pagamenti della pubblica amministrazione alle imprese, è irrealistica e anche l'ISTAT ci ha detto che non può avvalorarla.
  E comunque, nonostante queste stime ottimistiche sul PIL, quello che è certo è che la disoccupazione, anche per il DEF del 2013, non calerà nei prossimi anni. Proprio oggi l'ISTAT ci ricorda che, dal 2012 al 2014, la disoccupazione aumenterà dell'1,2 per cento.
  Il lavoro non c’è in questo DEF e gli effetti della riforma Fornero sono magrissimi, anzi sono negativi. È aumentata la precarietà e cresciuta la disoccupazione e, anche se verrà approvato con un voto tecnico o politico che sia, che sostanzialmente rinvia la vera discussione alla Nota di aggiornamento, questo DEF è da bocciare e per noi è da rinviare al mittente.
  Nel DEF c’è la riproposizione delle politiche seguite dal Governo Monti nei suoi 17 mesi di lavoro: la riforma Fornero, le grandi opere, le liberalizzazioni dei servizi pubblici, la riforma pensionistica, l'alienazione del patrimonio pubblico e la fotografia scattata nel DEF del Governo Monti – e che questo Governo fa propria – è la rivendicazione di politiche sbagliate, che noi rifiutiamo: quella dell'austerità, della rinuncia alla crescita, della mortificazione all'equità sociale. Il programma nazionale di riforma, oltre ad essere sostanzialmente una scatola vuota, contiene, altresì, una serie di obiettivi modestissimi rispetto al Piano Europa 2020. Ricordo questi obiettivi, come quelli relativi alla riduzione del tasso di disoccupazione, l'abbandono scolastico, l'aumento di investimenti nella ricerca e le energie rinnovabili.
  E anche se questi obiettivi venissero realizzati non ci farebbero allontanare dalla posizione di fanalino di coda dei Paesi europei.
  Nel DEF si insiste a mettere l'accento sulla tenuta dei conti, che poi significa tagli alla spesa e in questi anni abbiamo visto quali sono stati i tagli: tagli alle pensioni, alla sanità, alla scuola e al sociale. Pag. 21Ma perché nel DEF non c’è mai una parola sulla riduzione di quelle spese, come la spesa militare, come la cancellazione del programma dei caccia bombardieri F-35 ? Perché non c’è un accenno ai risparmi che potremmo avere cancellando alcune inutili grandi opere, come la TAV, oppure tagliando i finanziamenti alla scuole private, oppure introducendo l’open source nella pubblica amministrazione ?
  Ma, se il DEF in discussione è una sorta di sigillo su questi mesi di Governo Monti, non è detto, a nostro giudizio, che il nuovo Governo, nella sua ispirazione di fondo, se ne discosti molto, come ha fatto intendere il Ministro Saccomanni sia nell'audizione al Senato, il 2 maggio scorso, sia nel suo breve intervento di oggi. Forse si potranno trovare delle risorse per dare seguito alle promesse del Primo Ministro Letta, ma il rigore sulla spesa – cioè, nuovi tagli – non sembra venir meno. E, quindi, ad eccezione delle misure su IVA e IMU, la nuova Nota di aggiornamento non è detto che porti altre variazioni significative, se non qualche nuovo e reiterato decalogo di buone intenzioni.
  E sull'IMU noi diciamo che va sicuramente abolita per le classi di reddito medio-basse, ma è sbagliato non colpire i grandi patrimoni immobiliari e non applicare il principio della progressività nell'imposizione fiscale sugli immobili. E, poi, bisogna farsi carico di quello che succederà agli enti locali. Non si può tagliare l'IMU e poi lasciare i cittadini e gli enti locali senza risorse e senza i servizi fondamentali.
  Particolarmente grave nel DEF è la delineazione, come dicevo prima, degli obiettivi modestissimi per il Programma Europa 2020. Noi ci poniamo sempre il problema delle regole per il fiscal compact, per la finanza pubblica, ma mai ci poniamo il problema delle regole, quelle che l'Europa ci chiede, per la riduzione della disoccupazione, per l'occupazione femminile, per la riduzione del tasso di abbandono scolastico, per le rinnovabili. E, quindi, è di un altro DEF quello di cui noi abbiamo bisogno: non quello dell'isteria e dell'austerità, ma del sostegno alla domanda e alla crescita. Non dobbiamo strozzare gli enti locali, ma permettere loro di spendere i soldi che hanno e investirli per i servizi ai cittadini e per migliorare la qualità della vita sui territori. Non dobbiamo ostinarci nello spendere vagonate di soldi per inutili grandi opere, ma dobbiamo investire nelle piccole opere: la messa in sicurezza delle scuole, il riassetto idrogeologico del territorio, la riqualificazione delle periferie delle città, la manutenzione delle coste. Non ci servono altre social card, bonus bebè o crediti per i nuovi nati, ma abbiamo bisogno di asili nido pubblici, del reddito di cittadinanza e di introdurre i livelli essenziali di assistenza per i diritti sociali. Non abbiamo bisogno di 46 forme di lavoro atipico, ma di creare lavoro con gli investimenti, i diritti, le politiche attive.
  Tutto questo nel DEF 2013 non c’è, ma è quello di cui noi avremmo bisogno e, soprattutto, quello di cui avrebbe bisogno l'Italia. Abbiamo bisogno certamente di soldi per fare tutto questo. Intanto con i risparmi e i tagli alla spesa – quella militare e delle grandi opere – e poi andandoli a prendere dove ci sono, nei grandi patrimoni, nelle rendite, nei paradisi fiscali. E abbiamo sicuramente bisogno di applicare meglio quella che nel DEF è ricordata come una tassa importante, la Tobin tax, ma che nella sua attuale versione è solamente un pannicello caldo, perché non potrà essere applicata ai derivati e a una gran parte dei guadagni azionari e dei mercati finanziari nel nostro Paese.
  Ecco perché noi chiediamo al Governo una discontinuità con le politiche di questi mesi, che hanno impoverito il Paese e indebolito l'economia. Senza questo cambiamento il nostro giudizio non potrà che continuare ad essere negativo. Non ci sarà nessuna crescita ed equità per il Paese, ma solo stagnazione e depressione economica. Abbiamo bisogno di politiche vere del cambiamento, per il cambiamento economico e sociale del nostro Paese e abbiamo bisogno, come dicevo prima, di una discontinuità Pag. 22reale con le politiche seguite fino a oggi. Ecco le ragioni del nostro giudizio negativo ed ecco la richiesta di una nuova politica economica per far uscire il Paese dalla crisi (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Paolo Tancredi. Ne ha facoltà, per dieci minuti.

  PAOLO TANCREDI. Signor Presidente, colleghi, Ministro, per il terzo anno il Parlamento affronta il Documento di economia e finanza in questa forma, che risponde ai vincoli della nuova legge di contabilità nazionale ed è inserito perfettamente e incastrato all'interno del Semestre europeo e delle procedure europee. Da qui esso risente naturalmente della situazione politica contingente, come è stato ampiamente detto, che condiziona soprattutto il Piano nazionale di riforme, strumento fondamentale all'interno della logica del Semestre europeo. Forse nelle prime tre formulazioni del DEF presentato al Parlamento dal Governo italiano non era ancora stata colta la potenzialità di questo strumento. Quest'anno senz'altro non poteva essere colta, perché è stato formulato da un Governo dimissionario, che non aveva la possibilità di fare una programmazione e di sostanziarla nel medio periodo. Il Presidente del Consiglio però, negli indirizzi programmatici, ha evidenziato alcuni punti su cui il Governo vorrà insistere nelle prossime settimane e il Ministro, molto opportunamente, ci ha assicurato che a breve ci sarà un aggiornamento dell'intero Documento e, in particolare, ritengo, del Piano nazionale di riforme che – ripeto – è fondamentale nella strategia di programmazione della Commissione europea.
  Il Programma di stabilità, che è la prima parte del Documento di economia e finanza, ci descrive – ahimè – una situazione dell'economia mondiale che è tuttora in uno stato di grande difficoltà e di rallentamento della crescita a tutte le latitudini, ma con uno squilibrio notevole tra i Paesi emergenti, che continuano comunque a crescere a ritmi sostenuti, e le economie più mature, che invece sono in forte rallentamento, quando non in recessione. E all'interno delle stesse economie mature abbiamo un differenziale forte fra l'Europa e il Giappone e gli Stati Uniti d'America, che stanno affrontando questo momento contingente, questo momento di crisi con politiche sostanzialmente di segno opposto, procicliche quelle europee e invece anticicliche le politiche monetarie ed economiche degli Stati Uniti e del Giappone. Ed è proprio per questo e per l'analisi di questa situazione all'interno dell'analisi dei conti macroeconomici che io non ritengo che l'approvazione di questo Documento di economia e finanza, per chi lo approva oggi, quindi il Parlamento, e per chi lo ha dovuto redigere, come il Governo, sia un esercizio né inutile né tantomeno dannoso, perché ci ricorda il percorso che abbiamo fatto fin qui insieme ai nostri partner europei. Probabilmente ci segnala gli errori che sono stati commessi da alcune politiche accentuate di rigore e ci indica le potenzialità che abbiamo e probabilmente la strada verso cui dobbiamo puntare.
  L'Italia, come è stato detto ampiamente sia dai relatori, che ringrazio, sia dagli interventi che mi hanno preceduto, recede, per quanto riguarda il prodotto interno lordo, più di quanto già previsto nel settembre dello scorso anno e recede più di altri partner europei importanti, più di Paesi paragonabili al nostro Paese nell'Eurozona. Questo, da una parte, dimostra che le politiche di rigore procicliche messe in atto dal Governo nel 2012 si sono ripercosse in maniera forte anche sull'economia del 2013, più di quanto forse si potesse immaginare, ma dimostra anche come il nostro Paese, al di là della situazione contingente, al di là della crisi e della recessione globale, che sicuramente sono l'elemento più condizionante nella dinamica dei conti pubblici italiani e dell'economia italiana, ha un gap di crescita e di produttività rispetto agli altri Paesi che questi ultimi anni non sono sicuramente riusciti a colmare.Pag. 23
  Ma se voi vedete la dinamica del nostro PIL negli ultimi 15 anni è una dinamica che ha uno scalino rispetto a Germania, Francia e Regno Unito che va da un punto a due punti; scalino che oggi rimane persistente anche in un momento di recessione e che si fa sentire ancora di più in questo momento.
  Tutte le grandezze macroeconomiche che compongono il prodotto interno lordo, ad eccezione delle esportazioni, che, invece, vedono una crescita, sono in forte contrazione nel 2012 e sono previste in contrazione anche nel 2013, con una previsione di un lieve andamento di ripresa a partire dal primo semestre del 2014.
  Vi sono dati molto preoccupanti. Tutti hanno parlato dei consumi interni, ma io credo che sia da mettere in rilievo, come, d'altronde, il Documento fa, una grandezza che, forse, è di piccolo impatto rispetto al PIL, ma che è un segnale molto forte. Pensate che dal 2011 al 2012 si sono ridotti a un decimo gli investimenti delle aziende straniere sul nostro territorio. È un fatto che, ripeto, costituisce un segnale terribile per la competitività che ha per gli investimenti il nostro Paese e che è quasi unico nell'Eurozona.
  Infatti, in Germania questo dato tiene, mentre, addirittura, è stato in aumento nel 2012, rispetto al 2011, lo stock di investimenti stranieri in Paesi paragonabili all'Italia come Regno Unito e Francia. Credo che dobbiamo porre attenzione su questo – naturalmente, non posso che essere sintetico su questo punto –, cioè sul problema della competitività e sul perché non siamo più in grado di attrarre gli investimenti stranieri, che crollano in stock. Voglio ricordare che già il livello del 2011 era un bassissimo livello: non arrivava nemmeno a 20 miliardi di euro e oggi siamo a cifre di ordine di grandezza inferiori.
  Naturalmente, le ripercussioni più tragiche sono sul mercato del lavoro, che vede una diminuzione del numero degli occupati e un aumento preoccupante del numero dei disoccupati. Non si può, però, trascurare, comunque, di sottolineare i risultati raggiunti nelle politiche di questi anni, soprattutto nelle politiche dei due Governi che hanno governato nella passata legislatura.
  L'uscita dalla procedura di infrazione è il dato più eclatante, ma noi, come si diceva poco fa, abbiamo delle performance sull'indebitamento netto che sono le migliori in Europa, abbiamo recuperato un avanzo primario che era un sogno fino a quattro o cinque anni fa, un avanzo primario che ci permette di guardare anche con maggiore ottimismo alla regola del debito e alla convergenza e alla sostenibilità del nostro debito nel medio e lungo periodo, abbiamo raggiunto il famoso pareggio strutturale, che oggi si discosta moltissimo da quello che è il dato dell'indebitamento netto per la differenza che vi è tra il PIL potenziale e il PIL effettivamente realizzato.
  Comunque, questi dati – il DEF ce lo dice – ci portano a una dinamica dei conti pubblici che ha raggiunto l'obiettivo della regola della spesa dell'Unione europea e che non è impossibile che raggiunga anche l'obiettivo della regola del debito. A questi livelli di crescita, il DEF indica come necessario un programma di privatizzazioni e di alienazioni del patrimonio pubblico pari all'1 per cento del prodotto interno lordo annuo, quindi 15-16 miliardi di euro annui, ma, con una dinamica del prodotto interno lordo più virtuosa, potrebbe portare gli attuali livelli di avanzo primario nel 2015 a rispettare la temutissima regola del debito.
  Voglio anche ricordare due cose: la prima è che comunque, come attenuante alla tagliola della regola del debito, esiste il tema dei fattori rilevanti introdotto dal Governo Berlusconi in sede europea; fattori rilevanti su cui il nostro Paese, per quanto riguarda il debito delle famiglie e la salute del sistema bancario, può vantare sicuramente dei numeri che possono correggere positivamente quella convergenza. Voglio poi dire che nel 2012 la performance sull'indebitamento netto è stata...

  PRESIDENTE. Onorevole Tancredi, le chiedo scusa, il gruppo ci aveva dato indicazione per lei di dieci minuti, che lei Pag. 24ha superato da un minuto. Ovviamente lei sta dentro il contingentamento e, se vuole, può parlare ancora.

  PAOLO TANCREDI. Un minuto, un minuto.

  PRESIDENTE. Benissimo.

  PAOLO TANCREDI. Solo per dire che la performance sull'indebitamento netto nel 2012 ha pesato di più sul versante delle entrate, con un punto e mezzo in più delle entrate, mentre c’è stato un aumento, a sua volta, della spesa dello 0,8 per cento, perciò il miglioramento sull'indebitamento netto è stato sbilanciato dal punto di vista delle entrate. Anche questa è una caratteristica che ha ripercussioni recessive, non c’è dubbio. Il percorso di efficientamento e di avvicinamento al pareggio di bilancio e miglioramento del saldo negli anni precedenti aveva avuto una uguale dinamica, essendoci stato però un maggiore sforzo, nei periodi del Governo Berlusconi, sulla diminuzione della spesa senz'altro rispetto all'aumento delle entrate. È questo il percorso che, credo, dobbiamo seguire, ma ritengo le dichiarazioni sia del Ministro che del Presidente Letta molto rassicuranti.
  In sostanza, il dato importante è che senza nessuna manovra correttiva, per il 2013 e il 2014 noi rimarremo su questi saldi di indebitamento netto, cosa fondamentale, anche se abbiamo posto, come maggioranza che appoggia il Governo, da più parti, alcuni problemi importanti che però attengono alle scelte politiche. E voglio anche rispondere a chi poco fa criticava e metteva un punto interrogativo su questo percorso: IMU prima casa, esodati, ammortizzatori in deroga, tutto questo vale meno di mezzo punto di PIL. Quindi credo che il problema sia da riportare ai suoi valori reali. Io voglio ricordare soltanto, Presidente, che noi abbiamo in questi anni – nel 2012, nel 2013 ancora e ancora è previsto nel 2014 – impegnato tre punti di PIL per i meccanismi di stabilità europea, lo European Stabiliy Mechanism (ESM) l'ultimo, che naturalmente intervengono a danno fatto. Io penso che ci vuole un impegno per, invece, prevenire.
  Chiudo dicendo solo sul Piano nazionale di riforma, che naturalmente è assolutamente interlocutorio rispetto anche alle dichiarazioni del Ministro, che però c’è un grande assente, come c’è un grande assente nel dibattito italiano, che è la politica energetica. Tutti d'accordo sul fatto che una politica industriale in questo Paese è utile e necessaria. Benissimo. Il capitolo dedicato alla politica energetica all'interno del Piano nazionale di riforma è assolutamente insufficiente e non traccia le linee di quella che deve essere la nuova politica energetica del nostro Paese dopo la bocciatura, sostanzialmente, del nucleare. Il capitolo sull'energia nel Piano nazionale di riforma assomiglia molto a un programma per le energie rinnovabili, ma nessuno può sostenere che le energie rinnovabili siano assorbenti di tutta la politica energetica di un Paese, ahimè lo sono per una piccolissima percentuale e non è possibile ignorare che bisogna, anche a favore delle politiche energetiche e dell'ambiente, lavorare sulla buona combinazione e il mix di entrambi i pilastri, cioè energia da fonti tradizionali e energia da fonti rinnovabili.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Alfonso Bonafede. Ne ha facoltà.

  ALFONSO BONAFEDE. Grazie Presidente. Signori Ministri, colleghi deputati, c’è un momento in cui il dibattito che attiene al DEF deve necessariamente uscire da tecnicismi economici e finanziari, per ripartire da un punto di vista differente, totalmente calato in quelle dinamiche sociali in cui la vera priorità, prima ancora dell'economia, è rappresentata dal cittadino e dai suoi diritti.
  Mi riferisco ai temi indissolubilmente intrecciati degli affari costituzionali e della giustizia. È anche superfluo sottolineare l'importanza di un notevole e forte investimento, ormai improcrastinabile, di energie finanziarie, teso a migliorare sia l'assetto istituzionale e costituzionale del Pag. 25nostro Paese sia l'intero sistema giustizia. Ma ogni tipo di investimento sarà in partenza fallimentare, se non prenderà in considerazione le ricadute, prima di tutto sociali, degli interventi in questi due settori nevralgici, e sarà ancora più destinato a fallire, se non avrà come obiettivo finale il miglioramento della percezione che ogni cittadino ha delle istituzioni e della giustizia.
  In direzione diametralmente opposta si sono mossi i precedenti Governi, su direttrici in cui le priorità erano rappresentate da un lato dalla tutela degli interessi di pochi, pochissimi, addirittura di una persona, a scapito degli interessi generali e collettivi invocati dai cittadini, dall'altro lato da politiche di finta austerity nell'organizzazione della pubblica amministrazione (riduzione del personale e delle risorse, blocco del turnover, mobilità portata all'esasperazione), dietro cui si celava la vera esigenza di non toccare i poltronifici in cui ancora oggi si articola, purtroppo, l'organigramma statale (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
  L'esempio che ad ogni cittadino viene in mente è quello delle province, ma l'elenco è lunghissimo e riguarda una miriade di enti inutili, con cui gli interessi pubblici di tutti sono stati sostanzialmente asserviti agli interessi privati della solita partitocrazia. Le modalità con cui sono state portate avanti queste pseudopolitiche sono ancora più gravi, perché il legislatore, questo Parlamento, si è trasformato in una sorta di accumulatore compulsivo di leggi, decreti e regolamenti insensati e disordinatamente affastellati nel tempo. Il risultato ad oggi è drammatico. I cittadini non vedono nelle leggi nemmeno un barlume di giustizia e gli stessi operatori del diritto fanno fatica a districarsi in un universo giuridico totalmente privo di logica.
  Ciò è evidente a tutti, ma la classe politica che forma questo Governo finge che il problema sia contingente, finge di potere intervenire su alcuni aspetti, continuando a non delineare un quadro unitario ed organico di leggi e giustizia. E questo emerge in maniera preoccupante anche dall'analisi del DEF. Il discorso con cui il Presidente Letta ha chiesto la fiducia senza fare riferimento – tanto per fare alcuni esempi – alla necessità di leggi sui conflitti di interessi, sull'incandidabilità, sul falso in bilancio e sulla prescrizione dei reati è sconfortante. Non si può più fingere di poter parlare di giustizia e, ancor prima, di una società giusta senza affrontare questi problemi.
  Il MoVimento 5 Stelle farà opposizione, proponendo con determinazione alcune priorità già analiticamente indicate nella relazione di minoranza al DEF. Il divieto di cumulo di cariche elettive deve diventare la regola e non l'eccezione. L'elettore deve avere la certezza che la propria fiducia verrà riposta in capo ad amministratori che porteranno avanti e fino in fondo il proprio incarico. In un'ottica di allineamento con i Paesi del resto di Europa occorre abolire le province. Le materie di competenza di questi enti sarebbero riassorbite da comuni e regioni. Gli stessi comuni sotto i 5 mila abitanti dovranno essere accorpati. Bisognerà ripartire proprio dal contrasto serio e determinato ai conflitti d'interesse, bisognerà ripartire da un piano di efficientamento e riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, finalizzato ad alleggerirne il costo ed a migliorarne il servizio. I cittadini sono chiamati a pagare le tasse, ma non vedono più alcun riscontro nell'efficienza dei servizi offerti dalla pubblica amministrazione.
  Il dibattito sulla semplificazione amministrativa è in agenda ad oltre vent'anni senza alcun risultato. La semplificazione nei suoi molteplici aspetti è un fattore economico, è risparmio di tempi, di costi e di energie. Ma non solo. È uno degli elementi dello stato di salute interno di un Paese, valutato nelle tabelle dell'OCSE. Anche la corruzione è un parametro valutato nelle medesime tabelle quale disfattore economico e anche qui il nostro Paese si distingue per l'altissima incidenza di questa voce tabellare. Il legame del resto è inscindibile: in un Paese corrotto la produzione normativa e regolamentare è altissima. La perseverante elefantiasi burocratica Pag. 26non fa che dare manforte al malaffare ed all'irresponsabilità, nemiche numero uno dell'efficienza e della trasparenza.
  Le selezioni dei candidati ai vertici delle aziende pubbliche, i cui dirigenti godono di uno smisurato potere discrezionale, devono avvenire in maniera trasparente, rispettando la netta separazione tra politica e amministrazione.
  Le pubbliche amministrazioni continuano a pressare cittadini e imprese con la richiesta di esibizione di documenti, certificati e dati che dovrebbero o potrebbero acquisire altrove e in altro modo. Punto dirimente è che non vanno eliminate le certificazioni bensì il modo di acquisirle. Sul versante delle imprese, soprattutto delle piccole e medie imprese, occorre dare concreta attuazione al principio della proporzionalità tra l'onerosità degli adempimenti amministrativi e la dimensione delle imprese. Attualmente abbiamo una miriade di banche dati prive di coordinamento: il centro elaborazione dati del Viminale, il repertorio nazionale dei dati territoriali, l'anagrafe tributaria, il casellario giudiziale, la banca dati dei contratti pubblici nonché degli appalti pubblici, quelle degli istituti previdenziali, il registro delle imprese, e siamo solo all'inizio di un elenco sterminato. Abbiamo anche il codice dell'amministrazione digitale, ma c’è da chiedersi dove sia l'amministrazione digitale. Insomma dobbiamo ripartire da un assetto istituzionale e costituzionale a misura di uomo o meglio a misura di cittadino.
  Per quanto concerne la giustizia, la prima priorità è la lotta alla corruzione che, giova ricordarlo, rappresenta una tassa occulta di mille euro pro capite. Sarà necessario intervenire in tema di prescrizione dei reati, troppo breve soprattutto nelle fattispecie di reato dei cosiddetti colletti bianchi, puntando anche ad un inasprimento delle pene per reati propedeutici come il falso in bilancio e la frode fiscale. Sono tutti interventi che, oltre ad avere un ritorno economico importante e strategico per il Paese, riporteranno i cittadini a pensare ad uno Stato in cui la legge è davvero uguale per tutti, a prescindere dalle loro capacità economiche.
  Pietro Calamandrei sottolineava che «la legge è uguale per tutti» è una bella frase che rincuora il povero quando la vede scritta sopra le teste dei giudici sulla parete di fondo delle aule giudiziarie, ma quando si accorge che per invocare l'uguaglianza della legge a sua difesa è indispensabile l'aiuto di quella ricchezza che egli non ha, allora quella frase gli sembra una beffa alla sua miseria. Oggi non possiamo più permetterci che i cittadini siano ulteriormente beffati, ancor più nelle aule giudiziarie. La soglia di tolleranza del cittadino non ha più margini per sopportare leggi inique la cui violazione non trova nemmeno ristoro in quelle aule giudiziarie in cui i processi vengono congelati per anni. La durata irragionevole dei processi ha un costo annuo insormontabile, ma soprattutto rende il nostro Paese incivile agli occhi del mondo. Non sarà certo la miope soppressione delle sedi distaccate dei tribunali, voluta dal Governo Monti, a migliorare la situazione, anzi, rischierà soltanto di peggiorarla.
  Ogni cittadino dovrà avere la possibilità di ottenere giustizia anche nei confronti di colossi economici, sia pubblici che privati: a tal fine, sarà necessario introdurre la class action, un'azione di classe vera e non un brandello di tutela collettiva come quello che è stato introdotto in Italia nell'articolo 140-bis del codice del consumo i cui risultati sono stati totalmente, forse volutamente, fallimentari. Tutti i predetti interventi di carattere sostanziale dovranno collocarsi nel quadro di una semplificazione dei codici di procedura penale e civile. In quest'ultimo settore, i governi hanno cercato la semplificazione, paradossalmente, attraverso la moltiplicazione dei riti. Anche in questo caso si dovrà viaggiare in una direzione totalmente opposta.
  Un'ultima riflessione. Secondo una recente relazione del CNEL, i giudici italiani che operano nel settore civile hanno una capacità di definizione dei contenziosi altamente superiore alla media europea: ciò conferma, da un lato, la notevolissima Pag. 27qualità delle risorse umane ma, dall'altro lato, conferma anche che basterebbe semplicemente migliorare il sistema a livello strutturale. Sarà prezioso, in tal senso, il contributo che verrà dato dagli osservatori sulla giustizia spontaneamente nati in tutta Italia, i quali già individuano e promuovono in tutto il territorio le prassi giudiziarie virtuose.

  PRESIDENTE. La prego di concludere.

  ALFONSO BONAFEDE. Concludo. Il diritto, le leggi, le istituzioni, la giustizia, sono di tutti e le riforme dovranno essere progettate nell'interesse di tutti. A tal proposito, vorremmo che il Presidente Letta chiarisse se le sorti di questo Governo dipenderanno o meno dall'esito dei processi in capo al senatore Berlusconi. Una netta presa di posizione rappresenterebbe già un primo passo verso una dimensione politica ed istituzionale capace di distaccarsi, com’è giusto che sia, da vicende personali che hanno marchiato in maniera indelebile la vita politica negli ultimi venti anni. Ciascuno di noi, nell'operare per la realizzazione di uno Stato giusto, dovrà essere animato dalla convinzione che il sentimento di giustizia non è un concetto astratto ed elitario ma, come diceva Voltaire, è così onestamente connaturato all'umanità da sembrare indipendente da ogni legge, partito o religione (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Tinagli. Ne ha facoltà.

  IRENE TINAGLI. Signor Presidente, colleghi e signori del Governo, il documento economico-finanziario che siamo chiamati a discutere ci mostra un percorso che in quest'ultimo anno e mezzo ha consentito al nostro Paese di avviare un processo di profondo e necessario risanamento dei conti pubblici, così come già illustrato dal Ministro Saccomanni, ma soprattutto ci mostra un percorso di riforme importanti i cui effetti si esplicheranno inevitabilmente nel medio e lungo periodo, ma che da subito hanno segnato una discontinuità di metodo e di visione rispetto alle politiche del passato. Da questo punto di vista, il documento dà indicazioni su alcune priorità di intervento che sarebbe necessario perseguire anche per il futuro, priorità che nel dibattito di questi ultimi giorni purtroppo sembrano un po’ offuscate da slogan demagogici dai toni quasi pre-elettorali.
  La vera priorità del Paese è recuperare quella competitività che da anni è in declino e che ha segnato duramente la nostra economia reale. E lo vediamo da fenomeni come il crollo dell’export: nei dieci anni tra il 2001 e il 2011, la quota dell'Italia nel commercio mondiale è scesa di oltre il 20 per cento. Lo vediamo dalla mancanza di investimenti esteri: sono anni che da noi non investe quasi più nessuno, tant’è che lo stock degli investimenti nel nostro Paese è, dopo la Grecia, il più basso tra tutti i Paesi occidentali (15 per cento del PIL contro il 45 per cento della Spagna o il 35 per cento della Francia e così via). Lo si vede dall'aumento del costo del lavoro e di ciò che produciamo: nei dieci anni tra il 2000 e il 2010 il costo del lavoro per unità di prodotto è aumentato del 30 per cento, mentre è rimasto quasi invariato in Paesi come la Germania. E lo vediamo dalla stagnazione della produttività, che negli ultimi dieci anni è aumentata nella maggior parte dei Paesi europei tranne che da noi, dove è inchiodata ai livelli di dieci anni fa.
  Ecco è da qui che derivano la mancanza di crescita, di occupazione, la stagnazione dei salari reali ed è da qui che dobbiamo ripartire. Quindi, per recuperare competitività e produttività le linee prioritarie di azione, così come sono anche indicate nel documento che discutiamo, sono due: la prima è ridare ossigeno alle imprese e alle attività economiche e l'altra, di cui si parla pochissimo, investire sulla riqualificazione e su una migliore allocazione e riallocazione della nostra forza lavoro. Sulla prima parte, sul ridare ossigeno alle imprese, su questo fronte molte sono le iniziative avviate dal Governo uscente e illustrate nel documento e ne Pag. 28cito alcune delle più rilevanti. Innanzitutto, il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione verso le imprese: aver creato le condizioni nazionali e, soprattutto, europee per sbloccare questi pagamenti è un grandissimo risultato del Governo uscente e adesso è urgente presidiare i prossimi passi per far sì che questo provvedimento venga implementato in tempi rapidi e modalità snelle ed efficaci. Ridurre il costo del lavoro, a partire dall'IRAP: numerosi studi, tra cui uno pubblicato da alcuni ricercatori dell'OCSE, analizzano gli effetti di varie tipologie di tassazione sulla crescita; ebbene, tra tutte le tipologie di tassazione, quella che più blocca la crescita è proprio quella sulle imprese, seguita da quella sul reddito personale, seguita, poi, da quelle sui consumi e solo per ultimo troviamo quella sugli immobili.
  Non c’è bisogno di altre parole per capire quale sia la priorità quando si parla di riduzione delle tasse ed è questa la strada avviata dal Governo uscente e su cui dovremo continuare a lavorare. Quello che è stato fatto in quest'anno sono dei primi passi, ma comunque importanti, attraverso la modifica della disciplina dell'IRAP, che ha consentito la deducibilità integrale delle imposte dirette dell'IRAP calcolata sul costo del lavoro dipendente, l'aumento delle deduzioni per i piccoli contribuenti, la previsione per il futuro di un fondo di circa 700 milioni di euro per esentare dall'IRAP i lavoratori autonomi e i piccoli imprenditori, l'aumento delle deduzioni forfettarie sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti a tempo indeterminato, con deduzioni che per donne e giovani arrivano fino a 13.500 euro o anche a 21.000 euro nel sud, e, infine, l'importante provvedimento sulla detassazione dei premi di produttività, sostenuto da impegni di spesa di oltre 2 miliardi di euro da oggi al 2015.
  Oltre a questo, però, un altro punto importante di cui anche si parla poco è supportare la creazione di nuove imprese, e non solo cercare di tenere a galla quelle vecchie. Per la prima volta quest'anno è stato introdotto un quadro normativo organico per favorire la nascita di imprese innovative, con agevolazioni su adempimenti amministrativi, costi del lavoro, accesso al credito. Al 1o aprile 2013, a poche settimane dall'entrata in vigore di questa legge, erano iscritti al registro delle imprese oltre 500 start up innovative. Questo, credo, voglia dire pensare al futuro.
  E altri interventi sono stati avviati per la crescita delle imprese, dal Fondo rotativo per la internazionalizzazione, alla riorganizzazione dell'Istituto per il commercio estero che era stato eliminato dal Governo precedente, al Fondo nazionale per l'innovazione, nonché agli incentivi per il venture capital e così via.
  L'ultimo punto chiave sul fronte delle imprese e delle attività economiche è costituito dal tema delle semplificazioni che non sono cose astratte. Nel corso del 2012 si è avviato un processo importante misurando i costi amministrativi di 93 procedure burocratiche e avviando le relative semplificazioni. Ebbene, i costi accertati erano 30 miliardi e le semplificazioni avviate porteranno a regime circa 10 miliardi di risparmi, quasi il 30 per cento dei costi. Quindi dobbiamo assolutamente proseguire su questa strada. Sono queste le riforme, praticamente a costo zero, con il maggiore impatto sul quadro macroeconomico.
  E la seconda grande linea di priorità di azione assieme al rafforzamento del sistema produttivo è investire sulla riqualificazione della nostra forza lavoro. Abbiamo una delle forze lavoro meno qualificate del mondo sviluppato, persino tra i giovani. Nel 2012 solo il 21,7 per cento degli italiani tra i trenta e i trentaquattro anni era in possesso di una laurea. La media europea è del 35 per cento e la metà dei Paesi europei supera il 40. Senza contare che il 44 per cento della popolazione complessiva ha al massimo la licenza media inferiore. Questo si riflette in un basso livello di capitale umano delle nostre imprese ed anche delle nostre classi dirigenziali e imprenditoriali. Ed è questo uno dei maggiori freni per il nostro sviluppo. Quindi dobbiamo intervenire e proseguire alcune riforme importanti iniziate Pag. 29dal Governo uscente che è intervenuto su vari livelli, a partire dalla riqualificazione dei lavoratori in esubero che invece da anni lasciamo appesi a sussidi che garantiscono la sopravvivenza minima e che non danno futuro.
  La riforma del lavoro ha previsto importanti modifiche per collegare i nuovi ammortizzatori alle politiche attive per il lavoro e la formazione e ha previsto un incremento del Fondo sociale per l'occupazione e la formazione di un miliardo per quest'anno e un altro per l'anno prossimo, oltre ad avviare una riforma dei centri per l'impiego che ancora è in itinere. Ecco non lasciamo cadere queste importanti novità, non torniamo indietro ma lavoriamo per renderle pienamente funzionanti ed efficaci. Poi c’è la formazione professionale per i giovani che si affacciano sul mercato del lavoro e anche su questo fronte sono state avviate delle novità: le nuove norme sul tirocinio, il rafforzamento dell'apprendistato, l'attivazione di protocolli con le imprese. Anche su questo fronte la fine anticipata della legislatura ha lasciato in sospeso molte iniziative ma conto che il prossimo Governo possa intervenire e portare avanti con determinazione provvedimenti importanti per l'occupazione giovanile di questo Paese.
  E infine l'università e la ricerca: dopo anni e anni di incubazione, nel 2012 è stato reso operativo il sistema di valutazione nazionale, il passo fondamentale per il miglioramento qualitativo della nostra formazione universitaria e una migliore allocazione delle risorse. Certamente molti nodi restano ancora da sciogliere, molti aspetti saranno ancora da migliorare ma proprio per questo occorre presidiare e proseguire questo percorso dandogli una priorità assoluta.
  Proseguire le riforme non significa non avere attenzione per le emergenze sociali dell'oggi ma saperle inserire in un quadro di riforme che ponga le basi per il futuro. E questo è quello che si è cercato di fare tant’è che, nonostante le politiche di rigore, la spesa sociale non è diminuita ma si è cercato pian piano di ritararla, contenendo l'esplosione di spesa pensionistica degli ultimi anni che ha divorato tutto il resto e rafforzando le misure legate ad ammortizzatori sociali, indennità di disoccupazione, lotta alla povertà.
  Le prestazioni sociali in denaro diverse dalle pensioni sono aumentate del 2,1 per cento contro una diminuzione dello 0,7 registrata nel 2011. Cito interventi come il rifinanziamento del Fondo per la disabilità, azzerato dal Governo precedente; l'aumento del Fondo solidarietà per i mutui; le detrazioni per le famiglie con figli a carico; il rafforzamento della social card e molte altre ancora. Tutto questo, mentre si portavano avanti difficili riforme per il risanamento dei conti e questo crediamo sia il modo con cui è opportuno continuare a lavorare. È preoccupante che invece quello che si sente dire spesso in giro è annullare riforme, tornare indietro, anziché renderle più complete, incisive e migliori. Sembra che l'unica fretta di questi giorni per alcuni sia riavvolgere il nastro, immemori del burrone in cui il vecchio sistema ci aveva precipitato. Ma questo non può e non deve accadere. E noi di Scelta Civica per l'Italia lavoreremo per questo, per portare avanti questo processo e per non tornare indietro (Applausi dei deputati del gruppo Scelta Civica per l'Italia).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Borghesi. Ne ha facoltà.

  STEFANO BORGHESI. Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, è un DEF purtroppo molto debole quello con cui il nostro Paese si presenta quest'anno all'Unione europea che ci chiede un documento di programmazione nell'ambito della procedura del semestre europeo, ma anche davanti ai mercati, agli investitori internazionali e agli istituti che elaborano, a vario tipo stime, previsioni e giudizi dei quali il Paese subirà inevitabilmente le conseguenze. È un DEF debole perché completamente privo della parte programmatica, quella relativa alle politiche che si intendono predisporre per agire concretamente, che dovrebbe toccare tutti Pag. 30i settori sensibili, non solo i conti pubblici, ma materie urgenti quali l'occupazione, l'istruzione, l'energia. Politiche tanto più necessarie quanto più si sta aggravando la crisi economica che ci investe ormai da almeno cinque anni. La mancanza di contenuti programmatici di questo DEF è la conseguenza inevitabile di un lungo periodo di empasse politica che non è cominciata certo con gli esiti elettorali di febbraio. È un congelamento complessivo della possibilità per il nostro Paese di fare qualcosa che andasse incontro ai problemi concreti dei propri cittadini, iniziato con la forzatura dell'insediamento di un Governo tecnico programmato su un'agenda dettata dall'esterno che di fatto non ha risolto, ma anzi aggravato, i dati della crisi economica, lasciandoci oggi senza alcuna riforma di lungo periodo attuata né avviata, ma nemmeno suggerita dall'alto della competenza dei cosiddetti professori, lasciandoci semmai danni da riparare come la triste questione degli esodati.
  Oggi ci presentiamo, dunque, come Paese, ancora una volta in ritardo ed in affanno con l'unica fotografia della gravità della situazione nella quale dobbiamo agire. Un ritardo grave perché proprio ora l'atteggiamento in seno all'Unione europea pare scalfito nella sua rigidità rigoristica. Da più parti si fanno più pressanti le analisi che vedono, proprio nel rigore di bilancio, uno dei fattori di aggravamento della crisi e, anzi, il fattore che impedisce all'economia europea di agganciare una seppur tiepida ripresa che sta partendo negli Stati Uniti d'America dove, nel 2012, si è registrata una crescita del PIL del 2,2 per cento, associata ad una diminuzione della disoccupazione, e nelle economie emergenti, soprattutto Cina ed India. La stessa Commissione europea, nelle previsioni economiche di primavera, afferma che, dopo un 2012 di profonda recessione, si può ipotizzare una stabilizzazione dell'economia nell'area dell'Euro nel suo complesso nel primo semestre di quest'anno, ma la ripresa potrà affidarsi solo al commercio con l'estero perché la nostra domanda interna è crollata insieme alle importazioni ed i consumi sono stati ridotti ai minimi da politiche di contenimento della spesa, di rigore di bilancio e – aggiungiamo noi – da un atteggiamento punitivo verso alcuni Paesi europei che ha seminato sfiducia e per certi versi addirittura paura nel futuro dei cittadini, cittadini che sono allo stesso tempo i nostri imprenditori, i nostri lavoratori ed i nostri consumatori. Non sottovalutiamo questi fattori. È vero, seppur più volte paventato, il nostro Paese non è ancora entrato in nessun programma di prestito condizionato o sanzione da parte comunitaria, ma, a ben guardare i dati concreti, nel 2012 il nostro PIL nazionale è diminuito di più che nel resto dell'area Euro, anche rispetto a Paesi che, a differenza di noi, hanno già ammesso che non riusciranno a rispettare gli impegni assunti in termini di azzeramento del deficit e che per questo hanno chiesto alla Commissione europea un rinvio dei termini per raggiungerlo. In sostanza, hanno chiesto tempo, ma anche ossigeno per le proprie politiche interne. Non sappiamo ancora se la Commissione europea glielo concederà.
  Proprio oggi l'ISTAT ha confermato uno scenario se possibile ancora meno confortante rispetto a quello delineato dal documento che stiamo esaminando. Sul tema che oggi è più grave e delicato, quello della disoccupazione, non ci sono prospettive positive per tutto quest'anno e nemmeno per il prossimo. Fino al 2014 la disoccupazione aumenterà fino al 12,3 per cento dal già altissimo 11,9 per cento di quest'anno, un dato terribile dal punto di vista sociale che rischia di creare elementi di tensione pericolosi nel nostro Paese. L'istituto di statistica ribadisce ciò che è sotto i nostri occhi: il crollo della spesa delle famiglie a causa della contrazione dei redditi disponibili che ha impatto negativo sulla domanda interna e di conseguenza sul PIL.
  Naturalmente, la contrazione del reddito disponibile è dovuta non solo alla crisi occupazionale, ma anche alla stretta del credito imputabile al sistema bancario nel suo complesso. Il DEF stigmatizza la stretta creditizia come uno dei principali fattori della recrudescenza della crisi economica, Pag. 31ma non è sufficientemente coraggioso, a nostro avviso, nel riconoscere le dirette responsabilità del sistema bancario nelle sue scelte manageriali di impiego ed allocazione, limitandosi ad individuare in generiche tensioni sul mercato interbancario i fattori che hanno di fatto chiuso, anche per aziende sane, i rubinetti del credito, causando crisi produttive non motivate da inefficienze industriali, sfociate in crisi occupazionali e anche in gesti estremi da parte di un numero di piccoli imprenditori.
  Vorrei richiamare l'attenzione anche sul vistoso calo degli investimenti diretti esteri in Italia, ridottisi ad un terzo di quanto registrato dal 2011, portandosi via anche questo canale di immissione di fondi e di investimenti che dall'interno non arrivano più. È un dato vistoso che non ha corrispettivi negli altri maggiori Paesi dell'area euro e che può essere spiegato, in parte, anche con la scarsa attrattività del contesto nazionale non solo economico. La certezza del diritto, dei tempi e degli esiti delle procedure autorizzative e la sicurezza rispetto ad infiltrazioni criminose sono fattori determinanti quanto la redditività finanziaria degli investimenti. Sono tutti temi su cui il nuovo Premier si è impegnato e su cui aspettiamo proposte concrete che ci interessano particolarmente.
  Il dato, però, che continua a creare perplessità è relativo, invece, alla spesa pubblica: nel 2012 è diminuita del 2,9 per cento, la metà di quella delle famiglie. È un dato solo apparentemente positivo, ma, come ormai sappiamo, solo parzialmente risolutivo e dai risultati ancora incerti.

  PRESIDENTE. La invito a concludere.

  STEFANO BORGHESI. Il sistema di riduzione della spesa pubblica, basato esclusivamente su un concetto di tagli lineari combinato con un Patto di stabilità interno rigido e macchinoso, non ha prodotto un sistema positivo di riduzione degli sprechi e delle inefficienze, anzi, ha bloccato completamente gli investimenti e congelato i pagamenti della pubblica amministrazione, scaricando sul sistema privato i tagli al sistema pubblico, mettendo a rischio i servizi e minando, anche per il futuro, i corretti rapporti tra lo Stato acquirente ed i propri fornitori. Questa impostazione non ha avuto alcun beneficio dai due provvedimenti di spending review varati dal Governo Monti, ma, soprattutto, ha penalizzato indistintamente anche enti pubblici, soprattutto enti locali territoriali virtuosi che hanno amministrato bene le proprie risorse e hanno fatto una buona amministrazione, di cui abbiamo così bisogno.

  PRESIDENTE. Deve concludere.

  STEFANO BORGHESI. Dopo anni che se ne parla, il concetto di tagliare la spesa pubblica resta ancora quella frase che va bene per tutti i contesti, ma che non si realizza mai. Eppure esiste un modo, ed è stato messo a punto con un grande lavoro durante la scorsa legislatura: si chiama federalismo fiscale, nei suoi contenuti più caratterizzanti: applicazione dei fabbisogni standard per le pubbliche amministrazioni, applicazione dei costi standard negli acquisti. È una soluzione così appropriata che solo il pregiudizio contro il nostro contributo politico – pregiudizio del tutto irragionevole –, può averlo bloccato così a lungo.
  Il nuovo Premier, soprattutto su questi temi, dovrà dare risposte concrete, assumersi responsabilità ed impegni precisi che attendiamo di conoscere con impazienza; così come attendiamo con estremo interesse di conoscere le nuove misure, che dovrebbero modificare e rendere meno debole questo DEF, per capire quale rotta il nuovo Esecutivo intende seguire (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Damiano. Ne ha facoltà.

  CESARE DAMIANO. Signor Presidente, al termine di questa discussione noi voteremo una mozione, però non dobbiamo immaginare che si tratti di una discussione Pag. 32poco importante, perché darà un indirizzo, darà un'indicazione politicamente molto precisa. Sappiamo, al tempo stesso, che in questa discussione abbiamo un tracciato obbligatorio, un recinto da rispettare. La prima cosa è che il Documento di economia e finanza è stato fatto da un altro Governo.
  Il secondo punto è che noi dovremmo rispettare i saldi del 2013 e del 2014. Però, vi è un obiettivo, e l'obiettivo è molto importante: chiudere la procedura di disavanzo eccessivo. Di questa discussione vorrei ai colleghi parlamentari sottoporre un punto, quello che di solito c’è in una mozione, nella parte finale, e che impegna il Governo a realizzare determinati obiettivi. Sul rispetto dei saldi ho già detto, però la questione fondamentale è che noi impegneremo il Governo ad un aggiornamento di quel Documento con un obiettivo: attuare gli impegni che il Presidente del Consiglio ci ha annunciato nei suoi discorsi alla Camera, impegni sui quali Letta ha ottenuto la fiducia.
  Quindi, il punto politico fondamentale sul quale noi ci stiamo interrogando, è quali saranno i nuovi indirizzi di aggiornamento del Programma di stabilità e del Programma nazionale di riforma che presenteremo al Consiglio europeo. Da qui ricavo un punto, quello delle priorità. So che la maggioranza che si è formata ha al suo interno diverse sensibilità. Sarebbe grave che ci fossero diverse priorità, perché dovremmo trovare un accordo per il bene del Paese, soprattutto evitando di fare propaganda politica e concentrandoci su un'azione di Governo.
  C’è il tema dell'IMU: lo sapete e lo ripeto, per me questa non è una priorità; però capisco che in un accordo non si può solo ottenere quello che convince per la propria parte, bisogna tenere ovviamente un insieme. Il Presidente del Consiglio ha detto che la dobbiamo superare. Per me superare vuol dire sicuramente rimodulare, e parlo della prospettiva, perché sull'IMU – mi limito a dire questo – non capisco, cari colleghi, perché, ad esempio, noi che abbiamo un reddito alto non dovremmo pagarla sulla prima casa. Se non la paghiamo noi, se non la pagano gli italiani che hanno un reddito alto, noi togliamo reddito a chi non ha di che vivere. Noi dobbiamo badare a questo. Questa non è propaganda, questo è un dettato costituzionale, perché le imposte dovrebbero essere progressive. Ma soprattutto, se noi dovessimo impegnare una quantità smisurata di risorse per l'IMU, non avremmo le risorse per fare quello che ci sta più a cuore: l'occupazione, quella giovanile e non soltanto; la questione delle pensioni; le questioni degli ammortizzatori sociali. Quindi, si superi, si rimoduli, si faccia come aveva fatto il Governo Prodi al tempo dell'ICI, quando l'ICI non veniva pagata da chi aveva un reddito medio-basso, veniva pagata da chi aveva un reddito alto. Oppure, come ha suggerito Bonanni, segretario della CISL: se una persona ha una sola casa di proprietà e magari abita in quella casa, quella persona non paghi l'IMU, ma chi ha più di una proprietà immobiliare forse è tenuto a dare il suo contributo.
  Quali sono le priorità ? Per quel che mi riguarda, sicuramente noi dobbiamo risolvere immediatamente un problema in questa riscrittura a saldi invariati: la cassa integrazione in deroga. Abbiamo avuto modo tutti di sentire le parti sociali, del lavoro e dell'impresa, e la stima che facciamo è ormai una stima concreta: per il 2013 abbiamo bisogno di 1 miliardo e mezzo di euro. Questo è il concreto al quale dobbiamo dare una risposta e questa risorsa dovrà coprire la seconda parte dell'anno, perché le regioni hanno finito le risorse a disposizione. Se non si farà questa azione, oltre ai disoccupati, ai milioni di disoccupati, avremo altri 700 mila lavoratori senza reddito: una questione sociale insostenibile. Questa è una grande priorità per il Paese.
  La seconda questione è quella delle pensioni. Noi abbiamo avuto una riforma, purtroppo sbagliata, che ha tolto gradualità. Dobbiamo agire in due direzioni, lo ha detto anche il Presidente del Consiglio; la prima: noi dovremmo rifinanziare il fondo costituito con la vecchia legge di Pag. 33stabilità, e faccio una previsione secondo i vecchi dati della Ragioneria generale dello Stato.
  Se noi vogliamo mettere al riparo i lavoratori che cadranno nella trappola della mancanza di reddito a seguito di questa riforma delle pensioni da qui al 2015, una stima attendibile dice che serve una quantità di risorse dai due ai tre miliardi per coprire il fabbisogno fino al 2015. Se vogliamo introdurre invece, come io penso, accanto a questa misura, una misura di flessibilità, ad esempio reintroducendo quel principio in base al quale un lavoratore che ha 35 anni di contributi può scegliere, in una età compresa tra i 62 e i 70 anni, il momento che lui ritiene essere il migliore per sé e per la propria famiglia per andare in pensione – magari con una penalizzazione fino a 65 anni e con un incentivo dai 66 in su – questa sarebbe una misura di adeguamento strutturale del sistema, che introdurrebbe una flessibilità, una gradualità e che comporterebbe una modesta penalizzazione; dobbiamo contabilizzare i costi di un'operazione di questa natura su cui abbiamo già presentato una proposta di legge – alcuni parlamentari del Partito democratico – che va in questa direzione.
  Terza questione, il tema dell'occupazione: noi non possiamo pensare soltanto alla cassa integrazione, alla questione dei pensionati o dei pensionandi, ma dobbiamo pensare all'occupazione, all'occupazione giovanile, a coloro che perdono il lavoro e hanno 50 anni di età e non lo trovano, a quelli che, finita la mobilità, rimangono senza reddito. È possibile immaginare una misura di sostegno ? Io credo che, l'abbiamo già sperimentata nel passato: una misura potrebbe essere la diminuzione del cuneo fiscale, come fece il Governo Prodi, ma per tutta la platea degli occupati, vuol dire lo stock degli occupati a tempo indeterminato, vuol dire dieci milioni di persone, vuol dire un costo di circa 5 miliardi all'anno, ma non è questa la strada; si dice solo per coloro che verranno occupati: è una platea molto più piccola, è un costo molto più contenuto, ma si tratta anche qui di un costo che darebbe una scossa di convenienza all'impresa ad assumere stabilmente persone giovani o di 50 anni o in mobilità, reintroducendole nel circuito del mercato del lavoro.
  Infine, ultima questione, il tema degli ammortizzatori del mercato del lavoro; sul mercato del lavoro io non penso a nuove riforme – il Paese è stanco di riforme –, dobbiamo in qualche modo mettere mano a degli aggiustamenti, come sicuramente la misura sul contratto a tempo determinato, quel lungo intervallo tra un contratto e quello successivo può essere accorciata; sentiamo le parti sociali, il Governo si faccia promotore di un ascolto delle parti sociali, di chi rappresenta le imprese e il lavoro, che tutti i giorni vive nella quotidianità il dramma di una situazione concreta difficile da gestire, si stimoli un avviso comune delle parti sociali che trovi una traduzione legislativa. Ma sulla questione degli ammortizzatori, guardate, io la vedo così, a me piacerebbe fare questo ragionamento, ed ho concluso, nel tempo della crisi non ho trovato ragionevole...

  PRESIDENTE. La invito a concludere.

  CESARE DAMIANO. ...avere una pensione che si allontana e ammortizzatori che diventano più corti, proporrei di fare in modo, ad esempio, di sospendere l'ingresso nell'assicurazione sociale per l'impiego introdotta dal ministro Fornero almeno fino al 2014; utilizziamo i vecchi ammortizzatori sociali, diamo risposte concrete di urgenza e di priorità al Paese, perché il Paese ha bisogno di queste risposte, altrimenti si alimenterebbe un'insostenibile tensione sociale di cui non possiamo essere in qualche modo inconsapevolmente o consapevolmente colpevoli. Grazie presidente (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Generoso Melilla. Ne ha facoltà.

  GENEROSO MELILLA. Signor Presidente, questo documento di economia e finanza è un manifesto ideologico che Pag. 34rappresenta la politica fallimentare che ha, purtroppo, aggravato nel nostro Paese la recessione economica che stiamo vivendo. L'ossessione feticista del rigore e del pareggio dei conti pubblici, considera subordinate e poco interessanti, la crescita e l'occupazione, e così l'Europa sta declinando.
  Europa significa anche crepuscolo, ma non dobbiamo vedervi il tramonto o la morte del grande progetto dell'unità europea: il crepuscolo può anche lasciare spazio al ritorno a sé, alla riflessione su se stessi e sull'idea originaria e lungimirante degli Stati uniti d'Europa di Altiero Spinelli, che ancora di più oggi ci appare convincente e realistica anche per sconfiggere il declino europeo. Ma se si lascia fare al pilota automatico, cioè all'insieme delle politiche sin qui seguite dall'Unione europea, aumenteranno solo la disoccupazione e le disuguaglianze, senza neanche risolvere il problema del deficit pubblico.
  Dagli Stati Uniti proprio in questi giorni ci giungono buone notizie: il tasso di disoccupazione è sceso al 7,5 per cento, cioè al livello del 2008. Hanno dato evidentemente buoni frutti gli stimoli pubblici all'economia dell'amministrazione Obama e della FED, quali il piano per le ristrutturazioni e la messa in sicurezza di decine di migliaia di scuole statunitensi, il piano per il ritorno produttivo dai paesi asiatici, il salvataggio dell'industria automobilistica. In Europa si parla invece solo di tagli e rientri dal disavanzo pubblico.
  In Italia negli ultimi due anni abbiamo avuto 208 miliardi di tagli e tasse, con le due manovre estive del Governo Berlusconi e le altre due del Governo Monti, e dal 2014 l'attuazione del fiscal compact prevede tagli per altri 40-50 miliardi di euro l'anno. Tutto ciò è insostenibile: se il Governo taglia la spesa e aumenta le tasse la domanda si riduce, la disoccupazione aumenta e anche le entrate dello Stato diminuiscono. Oggi è prioritario invece stimolare l'economia attraverso la spesa pubblica, per favorire la crescita e l'occupazione.
  Joseph Stieglitz, nel descrivere il prezzo della disuguaglianza prodotto dalla recessione, ha giustamente sostenuto che le politiche dell'austerità sono inefficaci, oltre che ingiuste, perché aumentano i redditi solo dell'1 per cento della popolazione, svuotano la classe media, aumentano l'area della povertà, accentuano i privilegi patrimoniali oltre che reddituali, dilatano a dismisura il disagio sociale, dall'emergenza abitativa alla demolizione della sicurezza sanitaria e previdenziale.
  Insomma, la mano invisibile di Adam Smith non funziona. Lo strapotere delle banche non ha generato benessere: anzi, i loro guadagni stratosferici non sono neanche lontanamente allineati ai ritorni sociali. Né possiamo pensare che nei tempi lunghi le cose potrebbero tornare a posto, perché come amava dire Keynes, «nel lungo periodo saremo tutti morti».
  Per questo occorre una nuova agenda economica e politica dell'Unione europea. In questo DEF non vi è traccia di alcun cambiamento, né tanto meno di alcuna consapevolezza dei guasti provocati dall'austerità. Il piano del lavoro della CGIL di alcuni mesi fa ha avanzato proposte serie, che condividiamo e che ci auguriamo siano riprese dal Presidente Letta, visto che il suo partito allora le condivideva. È necessaria in Italia una manovra di impianto esplicitamente keynesiano, con interventi sulla domanda effettiva, sostenendo investimenti e redditi da lavoro, consumi e beni collettivi. Pensiamo ad una politica industriale per riqualificare l'offerta del sistema economico e produttivo italiano, ad una politica fiscale e più in generale di distribuzione del reddito e della ricchezza, per sostenere lavoro e investimenti, agendo direttamente sulla domanda interna, nel segno nello sviluppo ecosostenibile e dell'equità.

  PRESIDENTE. La invito a concludere.

  GENEROSO MELILLA. Una politica sociale che rinnovi il welfare nel segno di nuove opportunità e di lotta alla povertà: c’è bisogno di un «progetto Italia» per lo sviluppo e l'innovazione, di un piano straordinario per l'occupazione. Per questo c’è bisogno di una svolta politica !Pag. 35
  Paolo Volponi ne Le mosche del capitale osserva un paesaggio italiano ancora bello e pingue, ma svagato e stracco, come se aspettasse una passata di peste e una notte da Medioevo.
  Ora ci siamo. La peste della recessione è arrivata, gettando da anni nella disperazione sociale l'Italia e tanta parte dell'Europa. Ma è possibile reagire e vincere, solo però se cambia la politica europea e del nostro Paese, come noi chiediamo (Applausi dei deputati dei gruppi Sinistra Ecologia Libertà e MoVimento 5 Stelle e di deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Pili. Ne ha facoltà.

  MAURO PILI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, gli interventi che mi hanno preceduto hanno messo in rilievo come questo documento, questo strumento di programmazione economico-finanziaria sia, di fatto, anacronistico. Mette in rilievo i due tempi su cui stiamo discutendo: da una parte, è un documento vecchio e datato, che prevede alcune strategie che sono oggi in netto contrasto con la nascita di questa maggioranza; è un documento fuori tempo su alcune questioni fondamentali tracciate nelle dichiarazioni programmatiche del Presidente del Consiglio, ma che individua alcuni temi che devono essere assolutamente messi in rilievo. È un documento economico-finanziario, di fatto, inutile perché è superato dalle determinazioni politiche che i maggiori partiti di questo Paese hanno messo in campo. È elaborato da un Governo che ha perso all'interno di questo Parlamento la fiducia di chi lo aveva sostenuto e, soprattutto, questo documento è fondato su un obiettivo di pseudo rigore che ha dimostrato, nei dati di bilancio ed economici, di aver perseguito un risultato decisamente fallimentare. Ha ottenuto risultati drammatici sul piano economico e finanziario, ma soprattutto danni drammatici sul piano sociale. È un DEF che ha dimostrato, nel suo diretto risultato, di non aver perseguito l'obiettivo principale e cioè l'abbattimento del debito pubblico e ha sostanzialmente, con i tagli lineari e con un'azione di pressione fiscale indebita, bloccato qualsiasi attività e prospettiva di crescita. È stato elaborato un DEF – quello che ha presentato il Governo Monti e che oggi discutiamo – che va in controtendenza con le strategie nuove di questo Parlamento. È un DEF – quello che purtroppo stiamo esaminando – che ha scelto di ribadire – perché questo è scritto nel documento economico-finanziario – quella nefasta scelta che riguarda l'istituzione e l'applicazione dell'IMU, a partire da quella sulla prima casa, che ha portato a tre ricadute fondamentali: in primo luogo, alla crescita della pressione fiscale nel nostro Paese, dalle famiglie più deboli a quelle medie, ad una riduzione del potere d'acquisto delle famiglie con meno consumi e conseguentemente meno produzione, con un effetto drammatico sul piano occupazionale, e che ha bloccato – elemento che deve farci riflettere – uno dei settori trainanti sul piano economico e occupazionale del nostro Paese, cioè quello dell'edilizia. Sono elementi che basterebbero da soli per rilevare l'inadeguatezza di questo strumento e di questo piano che, di fatto, è superato – lo ripeto – dai tempi e soprattutto superato nei contenuti strategici. Un DEF in contromano, che persegue ulteriormente la contrazione del prodotto interno lordo del nostro Paese – tutti i dati macroeconomici lo rilevano – e che iscrive ancora una pressione fiscale insostenibile, con una contrazione di consumi e, conseguentemente, di occupazione.
  Allora, messo da parte questo documento – qualcuno ha proposto altri rilievi critici, ma io non voglio andare oltre – mi permetto di dire che Draghi poco fa ha richiamato tutti noi, e lo dico perché il Ministro Saccomanni, nella sua introduzione a questo dibattito nella discussione sulle linee generali, ha ripreso il tema dell'IMU in maniera non chiara. Io lo voglio sottolineare: è un tema economico, non demagogico, non propagandistico, ma che ha una ricaduta fondamentale sull'economia e sulla socialità del nostro Paese. E Draghi poco fa ha detto: bisogna Pag. 36tagliare la pressione fiscale, bisogna intervenire sul debito pubblico, sul quale ancora noi non affrontiamo il tema nevralgico della vendita del patrimonio immobiliare, che consentirebbe in termini rapidi e immediati di affrontarlo in termini strutturali.
  E Draghi dice che bisogna creare urgentemente nuova occupazione attraverso il rilancio dell'economia. Ecco, per questo credo che vada ribadito, con forza, il concetto che l'IMU non è un'azione propagandistica, ma è un'azione che consentirebbe di rimettere in circolo subito 8 miliardi di euro, 4 miliardi da restituire e 4 miliardi che non verrebbero tolti al bilancio delle famiglie, quindi garantendo, di fatto, più consumi, più spese e, conseguentemente, anche più produzione e occupazione. È una chiave di volta che consentirebbe anche, colleghi, non al PdL, ma a questa istituzione, a questo Parlamento, di riprendere un minimo di credibilità nei confronti dei cittadini, dell'opinione pubblica, che vedrebbe in quella fiducia venuta meno, invece, una capacità, attraverso questo strumento, di entrare dentro le case e dentro le famiglie degli italiani.
  E poi il tema di Equitalia, che va affrontato con chiarezza, perché si tratta di un atteggiamento vessatorio che è anche incostituzionale, perché è detto in tutte le ultime sentenze, anche della Corte costituzionale, che chiedere tassi e aggi che sono decisamente superiori rispetto al costo della stessa riscossione è incostituzionale e va modificato.
  Ma, a questo aspetto di natura economica e strategica, mi consentirà il rappresentante del Governo di richiedere la sua attenzione, perché vi è un tema di incostituzionalità che credo debba essere rilevato e sul quale io pongo personalmente la mia questione di fiducia e, cioè, all'interno del DEF c’è l'allegato infrastrutturale che fa venire meno un concetto fondamentale, che è quello della coesione territoriale, del riequilibrio e, soprattutto, del rispetto dei pari diritti tra cittadini italiani e delle nostre regioni. C’è un'impostazione strategica sbagliata che è figlia del Governo Monti, e che ha voluto riprendere pedissequamente anche in questo caso le linee europee, violando quel principio di coesione nazionale che è previsto, appunto, nella Costituzione. Cosa voglio dire ? Voglio dire che c’è una sola regione che è stata tagliata ed è tagliata totalmente fuori dell'allegato infrastrutturale e strategico del nostro Paese. È la Sardegna, perché non fa parte – unica regione – dei quattro corridoi europei e quindi, conseguentemente, tagliata totalmente fuori, dimenticando non soltanto la questione territoriale regionale, ma strategica, europea e mediterranea che avrebbe visto certamente la Sardegna inquadrata in una logica euromediterranea, che guarda al canale tra Gibilterra e Suez, mettendoci nelle condizioni di avere quella che è stata definita per legge, per una legge dello Stato, piastra logistica euromediterranea. Aver cancellato, il precedente Governo, questa visione strategica del ruolo verso il Mediterraneo, verso quell'area geografica, cancellando, appunto, la piastra logistica euromediterranea significa aver abusato, sostanzialmente, di un processo importante di condivisione, sull'altro versante del Mediterraneo, di una strategia di sviluppo economico. È una posizione che non possiamo accettare e che non può essere accettata e io mi permetto di suggerire ai relatori e a coloro che stanno predisponendo – ho già trasmesso formalmente una nota aggiuntiva – di integrare, di ripristinare il diritto costituzionale alla coesione, all'inserimento nella strategia europea di una regione insulare, forse l'unica di fatto insulare e ultraperiferica come la Sardegna, che non può essere esclusa ed elusa dalle politiche del nostro Parlamento e del nostro Governo.
  È evidente che questo è un passaggio delicatissimo, onorevoli colleghi, e non vorrei che nessuno di voi scambiasse questo mio appello al riequilibrio, al rispetto delle pari dignità, delle pari condizioni, alla coesione territoriale, come una mera rivendicazione territoriale. Non concepiamo un Paese dove ci sono regioni locomotive e altre che sono vagoni. Il Paese rallenterebbe ulteriormente, il Paese Pag. 37non avrebbe quella coesione territoriale necessaria per rilanciarlo e per dare quelle prospettive di equità che sono necessarie alla Sardegna e al resto del Paese (Applausi dei deputati del gruppo Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Villarosa. Ne ha facoltà.

  ALESSIO MATTIA VILLAROSA. Signor Presidente, colleghi deputati, l'Italia sta via via perdendo la propria sovranità politica, economica e monetaria. L'Europa, negli ultimi tre anni, ha decisamente aumentato l'influenza verso il nostro Paese, tale da escludere la piena partecipazione alla vita politica del Parlamento e del Governo.
  L'approvazione del fiscal compact ha obbligato l'Italia alla modifica della nostra Costituzione, attuata mediante l'obbligo di inserimento del vincolo di bilancio sia a livello nazionale che territoriale. Vorrei ricordare a chi non ne è a conoscenza che di recente sono stati modificati ben quattro articoli: l'81, il 97, il 117 e il 119, articoli che hanno mutato nell'anima la nostra Costituzione. Ci domandiamo come mai non sia stato ancora modificato anche l'articolo 1 della nostra Costituzione, perché ormai l'Italia, viste le scelte dei Governi precedenti, non sembra più una Repubblica democratica fondata sul lavoro, ma bensì una Repubblica democratica fondata sul PIL. Gli indicatori utilizzati per perseguire le politiche economiche di un Paese non possono fondarsi sul PIL, sullo spread, sull'indebitamento netto, ma devono puntare sulla piena occupazione, al reale fabbisogno dei cittadini, all'inclusione sociale. Loro, i cittadini, sono gli unici nostri giudici. Noi dobbiamo portare a termine i loro interessi, loro sono i nostri datori di lavoro.
  L'informazione in Italia non ha favorito nessun dibattito sul fiscal compact, in altri Paesi invece l'ipotesi di inserire in Costituzione il pareggio di bilancio ha provocato un grande dibattito pubblico. Persino il Premier britannico, David Cameron, uomo di destra e sostenitore dell’austerity, l'ha criticata, parlando di proibire Keynes per legge, mentre negli Stati Uniti sono scesi in campo ben cinque premi Nobel per l'economia, considerandola estremamente improvvida e destinata a peggiorare le cose. Alla fine, la stessa amministrazione Obama ha cestinato la proposta, sostenuta invece dai repubblicani. Durante le votazioni parlamentari gran parte dei cittadini ne sa ancora ben poco, al massimo qualcuno ricorderà qualche TG, dove si dicevano cose di buonsenso come: i conti pubblici devono essere in ordine, non si può spendere più di quello che si incassa.
  In assenza di un'informazione corretta e di un dibattito pubblico, è difficile cogliere la natura deleteria e devastante di questa modifica costituzionale, che di fatto comporta l'impossibilità di promuovere politiche espansive nei momenti di crisi e recessione (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle), visto che il pareggio di bilancio viene calcolato su base annua e non su base pluriennale. Il MoVimento 5 Stelle non è contrario all'Unione europea, ma le regole vanno modificate spostando l'attenzione dalla mera programmazione basata sulla crescita economica verso una nuova modalità di pensiero incentrata sulla piena occupazione e sul pieno soddisfacimento dei diritti civili. Vorrei ricordarvi che non meno di cinque ore fa l'ISTAT ci informa che nel 2014 la disoccupazione si attesterà all'12,3 per cento.
  Ciò che vorremmo far notare sono le regole principe del Trattato, ovvero i cinque parametri di convergenza di Maastricht: rapporto tra deficit e PIL non superiore al 3 per cento, rapporto tra debito pubblico e PIL non superiore al 60 per cento, tasso di inflazione non superiore dell'1,5 per cento rispetto a quello dei tre Paesi più virtuosi, tasso di interesse a lungo termine non superiore del 2 per cento del tasso medio degli stessi tre Paesi, permanenza negli ultimi due anni nello SME senza fluttuazioni della moneta nazionale. Dov’è il principio di piena occupazione, dove è principio di welfare distribuito, Pag. 38perché non vengono menzionati (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) ?
  Il fiscal compact è la chiusura di un progetto iniziato quasi vent'anni fa mediante l'approvazione e successiva ratifica del Trattato di Maastricht. Lo stesso si fonda su principi economici e monetari, non prende in considerazione politiche che spingano verso la piena occupazione lavorativa e rende quei principi superiori rispetto ai principi ispiratori della nostra Costituzione italiana, la quale mette l'essere umano come valore centrale. Queste politiche in questi anni hanno causato un peggioramento delle condizioni di vita dei suoi abitanti in nome della politica monetaria e finanziaria, la perdita di democrazia e sovranità degli Stati nazionali, un aumento del malessere nel tessuto sociale, nelle fasce escluse per la diminuzione dei diritti e garanzie a causa delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni, della flessibilità del lavoro e della competizione globale.
  Pretendiamo la formulazione di nuovi Trattati che prevedano l'istituzione di principi fondamentali, come ad esempio quelli facilmente ritrovabili in Rete, quella Rete che spesso in quest'Aula ho sentito criticare, quella stessa Rete che sono i nostri cittadini, quella stessa Rete che molti vorrebbero dichiarare patrimonio dell'umanità è che voi invece denigrate (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
  Vi elenco alcuni dei punti che vorremmo venissero discussi e inseriti all'interno dei futuri trattati: i Paesi europei si devono unire in una federazione basata sul principio di solidarietà; il Parlamento europeo, legittimamente eletto, deve controllare il potere esecutivo; il Parlamento europeo deve controllare direttamente la BCE; la BCE deve essere prestatore di ultima istanza, e quindi garante del debito dei vari Paesi europei.
  Vogliamo una netta separazione tra banche commerciali e banche di investimento, politiche di forte contrasto alla speculazione finanziaria, la possibilità per i Paesi europei di spendere a deficit, eliminando immediatamente il fiscal compact, la riforma del sistema previdenziale e sanitario rieducativo, garantito direttamente dalla BCE per tutti, per tutti, e tarato su livelli di eccellenza, la garanzia del diritto alla casa, l'adozione di sistemi di responsabilità politica e di democrazia diretta, un forte decentramento del modello istituzionale, con particolare enfasi sul livello comunale.
  Chiediamo che vengano discussi questi punti perché le vostre scelte di politica economica hanno spinto nel 2011 e nel 2012 l'Italia verso un depauperamento pari a circa 50 miliardi di euro; 50 miliardi di euro destinati al MES, il famoso Meccanismo europeo di stabilità.
  Questa informazione la trovate a pagina 31 del DEF, è facilmente ritrovabile. In un momento in cui l'attuale Presidente del Consiglio si trova in grande difficoltà per trovare i 4 miliardi di euro di copertura finanziaria per l'eliminazione dell'IMU sulla prima casa, ci sembrano, queste, scelte scellerate, quali quelle di partecipare a tali accordi, e vi chiediamo un passo indietro.
  Accordi come quelli del MES che, tra l'altro, prevedono dei super poteri, come quelli descritti nell'articolo 32 dello stesso Trattato, che ora vi leggo: «I beni, le disponibilità e le proprietà del MES, ovunque si trovino e da chiunque siano detenute, godono dell'immunità da ogni forma di giurisdizione. I beni, le disponibilità e le proprietà del MES, ovunque si trovino e da chiunque siano detenute, non possono essere oggetto di perquisizione, sequestro, confisca, esproprio e di qualsiasi altra forma di sequestro o pignoramento derivanti da azioni esecutive, giudiziarie, amministrative o normative. Gli archivi del MES e tutti i documenti appartenenti al MES o da esso detenuti sono inviolabili. I locali del MES sono inviolabili. Tutti i beni, le disponibilità e le proprietà del MES sono esenti da restrizioni, regolamentazioni, controlli e moratorie di ogni genere. Il MES è esente da obblighi di autorizzazione o di licenza applicabili agli enti creditizi, ai prestatori di servizi di investimento o ad altre entità soggette ad Pag. 39autorizzazione o licenza o regolamentate secondo la legislazione applicabile in ciascuno dei suoi Stati membri».
  In ultima analisi, e concludo, vorrei consigliarvi di limitare la vostra supponenza e di iniziare ad ascoltare i cittadini. Noi li ascoltiamo giornalmente e vi possiamo assicurare che ciò che chiedono gli italiani non è l'eliminazione dell'IMU e neanche la legge elettorale, pur riconoscendone l'estrema importanza, sia loro che noi, ma ciò che chiedono realmente è un reddito certo, che gli permetta di vivere una vita dignitosa, quella stessa vita dignitosa che, negli ultimi 20 anni, voi, forze politiche che vi siete avvicendate alla guida di questo Paese, avete progressivamente distrutto (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Zanetti. Ne ha facoltà.

  ENRICO ZANETTI. Signor Presidente, colleghi, rappresentanti del Governo, lo stallo istituzionale durato circa due mesi ci porta oggi a discutere un documento economico-finanziario predisposto dal Governo uscente invece che da quello subentrato. Considerati i tanti condivisibili propositi enunciati dal nuovo Presidente del Consiglio dei ministri, è evidente che si renderà necessario quanto prima un aggiornamento della situazione, a cominciare dal Piano nazionale di riforma.
  Già da ora, tuttavia, possiamo valorizzare al meglio questo Documento, cogliendone gli spunti informativi che ci offre in modo puntuale e dettagliato. La prima realtà con cui bisogna confrontarsi è quella della pressione fiscale. Il DEF ci illustra come nel 2012 sia schizzata al 44,03 per cento e come nel 2013 e nel 2014 sia attesa rispettivamente al 44,4 e al 44,28 per cento: troppo elevata e insostenibile, ma, per ridurla, bisogna avere innanzitutto chiari i presupposti che l'hanno determinata.
  Diversamente si otterrà solo di creare i presupposti per aumentarla ancora di più in futuro. Questo livello di pressione fiscale è figlio delle mancate riforme strutturali, riforme che il nostro Paese ha rinviato fino a quando, a giugno 2011, la crisi, altrettanto strutturale, dei conti pubblici è esplosa in tutta la sua, sino ad allora negata, evidenza, rendendo a quel punto inevitabile il ricorso allo strumento di riequilibrio più tristemente immediato e facile, ossia l'aumento della pressione fiscale per aumentare le entrate di bilancio. Ed infatti, già nell'ultimo Documento economico e finanziario del Governo Berlusconi, approvato il 22 settembre 2011, dopo le due manovre estive e gli impegni assunti in sede europea, risultava prevista per il 2012 una pressione fiscale del 44,07, per il 2013 del 44,84 e per il 2014 del 44,83. Al Governo Monti possono dunque essere contestate alcune cose, ma certamente non quella di avere meramente attuato un incremento di pressione fiscale che, per ineluttabile necessità contingente, era già stato messo a bilancio pure da coloro che, per lo meno a parole, sono i primi nemici delle tasse. Anzi, a ben vedere il Governo Monti è riuscito ad reindirizzare gli impegni di bilancio verso una pressione fiscale leggermente inferiore a quella che gli era stata lasciata in eredità. Ci è riuscito grazie ad una politica di rigore sulla spesa che, soprattutto se l'obiettivo è – come deve essere – quello di ridurre la pressione fiscale, deve necessariamente proseguire e intensificarsi. Per il 2012 la minore spesa corrente a bilancio, rispetto a quella che si prevedeva nell'aggiornamento del DEF di settembre 2011, è di 13 miliardi. Sul 2013 questo differenziale sale a oltre 16 miliardi e sul 2014 arriva a superare i 23 miliardi.
  Appurato che l'aumento di pressione fiscale era, nell'immediato, considerato inevitabile da tutti, la discussione oggi deve concentrarsi più che altro sulla qualità della sua mera attuazione da parte del Governo Monti. Ciò non al fine di fare storia, ma al fine di cogliere i profili di priorità nel riassorbimento delle singole componenti che hanno concorso ad attuare questo aumento. Da questo punto di vista, l'introduzione dell'IMU e l'aumento dell'IVA, sono state scelte sicuramente preferibili agli aumenti dell'IRAP e delle Pag. 40imposte sui redditi di lavoro. Sfidiamo chiunque ad affermare che sarebbe stato meglio aumentare di 20 miliardi la tassazione diretta su imprese e lavoratori.
  Ebbene, non vale forse lo stesso ragionamento oggi che, grazie ai frutti del risanamento dei conti, si può cominciare a impostare una graduale riduzione della pressione fiscale ? Questo ovviamente non vuol dire rinunciare in assoluto a limature sull'IMU. Significa semmai avere chiaro, una volta per tutte, che nell'istante in cui si decidessero di veicolare a questo scopo non uno o due miliardi di risorse, ma 7 o 8 miliardi, si starà dicendo agli italiani non solo «Ti tolgo l'IMU sulla prima casa», ma anche «Non detasserò i redditi di lavoro degli under 30, non taglierò ulteriormente il cuneo fiscale, e forse, anche, non bloccherò definitivamente l'aumento dell'IVA». Perché l'unica alternativa per fare tutte queste cose insieme, invece che alcune prima e altre poi, è fare esplodere il deficit di bilancio. Un approccio che sappiamo avere ancora oggi estimatori trasversali, ma che costituisce l'origine dei problemi dei nostri conti pubblici, non il punto di arrivo della loro soluzione.
  Ecco che nell'impossibilità di fare tutto subito, l'ordine di priorità deve necessariamente essere quello della idoneità di una misura fiscale a impattare sulla crescita del PIL, proprio perché è con la crescita che si possono trovare le risorse per la copertura anche degli interventi che meno impattano su di esso in modo diretto.
  Noi auspichiamo che il Governo tenga bene a mente questo criterio nelle sue prossime scelte, contemperandolo solo ed esclusivamente con l'urgenza di dare sollievo anche alle famiglie più numerose e a quelle la cui prima casa è gravata da mutuo ipotecario, agendo sì, in questo caso e in questi limiti, prioritariamente sull'IMU. Così come auspichiamo che nel mantenere la barra dritta sul contenimento della spesa, il Governo sappia ottenere dall'Europa il via libera per aumentare di uno 0,5 per cento di PIL il deficit anche sul 2014, così da proseguire il piano straordinario di pagamenti dei debiti scaduti delle pubbliche amministrazioni nei confronti dei loro fornitori. I numeri del DEF evidenziano infatti come sul 2014 possa sicuramente esservi lo spazio non solo finanziario, ma anche economico, per ripetere l'operazione varata quest'anno dal Governo Monti.
  Altro punto molto importante è quello della lotta l'evasione fiscale. Nel DEF viene giustamente evidenziato il trend crescente del gettito annualmente recuperato dal 2006 in avanti. Questo importante risultato è stato però accompagnato da una eccessiva concentrazione di poteri in capo alla filiera Agenzia delle entrate – Equitalia, con quest'ultima che, sotto ogni punto di vista, è il braccio operativo della prima e dell'INPS, invece che del Ministero dell'economia.
  Oggi non si tratta certo di tornare indietro da un percorso, che deve anzi proseguire sul fronte del costante aumento del recupero di gettito dell'evasione fiscale, ma è necessario coniugare l'efficacia dell'azione con una ripartizione di ruoli, poteri e competenze che eviti il verificarsi di asperità eccessive e controproducenti nel rapporto con i cittadini, facendo talvolta deragliare l'efficienza nella ferocia.
  Quando si parla genericamente di necessità di riformare Equitalia, è in realtà di questo che si sta parlando: necessità di ricalibrare la macchina fiscale nel senso di una maggiore democraticità dei processi, rimettendo al centro del rapporto tra fisco e contribuente il Governo ed il Parlamento.
  Per una lotta all'evasione efficiente, senza essere feroce, e realmente al servizio dell'equità dei cittadini, ancor più serve che il suo intero gettito venga destinato alla riduzione delle imposte pagate dai cittadini onesti e non invece a copertura di impegni di spesa assunti contestualmente all'adozione di nuove norme antievasione.
  Il Governo Monti è stato il primo a spezzare il circolo vizioso di norme antievasione inserite con relative stime di gettito – stime invero sempre risultate poi aleatorie – poste a copertura di impegni di spesa assunti nell'ambito dei medesimi decreti che le introducevano. Tutti i Governi Pag. 41precedenti avevano sempre usato questa tecnica, generando così due gravi distorsioni.
  La prima. Non è mai stato possibile restituire ai cittadini le maggiori entrate derivanti dalla lotta all'evasione, per il semplice fatto che i Governi se le spendevano in bilancio prima ancora di incassarle, con buona pace del principio «pagare tutti per pagare meno».
  La seconda. Nell'istante in cui quelle maggiori entrate venivano già iscritte in bilancio, in un modo o nell'altro, bisognava cercare di reperirle trasformando così, nei fatti, il compito dell'amministrazione finanziaria da quello di che deve cercare gli evasori a quello di chi deve trovare gli evasori. E se gli evasori non li devi cercare, ma trovare, tendi a trovarli anche quando in realtà ti imbatti in contribuenti onesti.
  Molta parte dell'imbarbarimento del rapporto tra fisco e contribuente nasce da questo modo errato di concepire la lotta all'evasione, a sua volta frutto del modo errato di impostarla. Solo riportando la lotta all'evasione ad una battaglia di equità per i cittadini, invece che ad una guerra di gettito per le casse dello Stato, si potrà debellare questa piaga che danneggia l'intera economia del Paese. E solo dimostrando una pari attenzione e tensione nella lotta agli sprechi, alle inefficienze ed alla corruzione del settore pubblico, si potrà elevare la lotta all'evasione fiscale del settore privato da mera questione economica a vera e propria questione morale.
  Oggi questa simmetria non si vede affatto. Basti pensare agli accertamenti esecutivi anche in pendenza di giudizio, che nel nome della lotta all'evasione, senza se e senza ma, trasformano il cittadino in un presunto evasore, mentre nessuna esecutività in pendenza di giudizio sussiste per gli atti di contestazione di danno erariale che la Corte dei conti eleva nei confronti di politici, amministratori e dirigenti pubblici infedeli. Due pesi e due misure inaccettabili (Applausi dei deputati del gruppo Scelta Civica per l'Italia), perché la lotta all'evasione fiscale del settore privato e la lotta agli sprechi e alla corruzione del settore pubblico sono due facce della stessa medaglia, che vanno affrontate con armi simili o comunque non così palesemente sperequate, a danno del cittadino suddito ed a vantaggio del politico o burocrate sovrano.
  Questo approccio nella gestione del lato entrate e del lato uscite del bilancio dello Stato sarà decisivo per mantenere il necessario rigore ed incrementare al tempo stesso la percezione dell'equità ad esso connessa, consentendo così al Governo di seminare le riforme strutturali necessarie per la crescita su un terreno più solido e condiviso, riforme strutturali la cui finalizzazione è il motivo principale per cui Scelta Civica per l'Italia sostiene questo Governo.
  L'importante è avere chiaro non solo quali sono i molti ambiti su cui queste riforme devono svilupparsi, ma anche che cosa si intende per riforme strutturali. Per noi di Scelta Civica riformare non significa tirare semplicemente una riga. Troppo spesso nel nostro Paese le riforme, anche quando si è riusciti a farle, si sono tradotte nella più becera logica del «chi c’è c’è», disponendo esclusivamente per il futuro e lasciando intatto tutto il pregresso, al quale si trovava al momento del passaggio da un sistema all'altro. Lo si è fatto in previdenza, lo si è fatto nel mercato del lavoro, lo si è fatto altrove.

  PRESIDENTE. La prego di concludere.

  ENRICO ZANETTI. Se questo Paese si rassegna ad essere una decadente caserma in cui lasciare albergare il principio del «chi prima arriva meglio alloggia», nessuna riforma strutturale potrà mai salvarlo. Per noi riformare significa far transitare una comunità nazionale da un modello, che evidentemente non funziona più bene o che comunque non risulta più sostenibile, ad un modello che possa funzionare meglio ed essere sostenibile per tutti, senza cittadini di serie A e di serie B.
  Bisogna passare dalla logica del diritto acquisito a quella del diritto sostenibile, in Pag. 42forza della quale l'unico diritto che può considerarsi acquisito è quello che può continuare ad essere acquisito anche da chi non ne è già titolare. Diversamente – vado a concludere – anche quando riusciremo a riformare un sistema contribuiremo soltanto a sfilacciare ancor di più quel senso di appartenenza ad una comunità nazionale, che costituisce il collante imprescindibile tra i cittadini e le generazioni.
  Riformare pensando a come costruire il futuro, non solo a come mettere in sicurezza il passato: questo è l'impegno e la passione riformista che ci anima e questo è uno dei principi cardine su cui imposteremo la nostra valutazione nell'aggiornamento del Piano nazionale di riforme che attendiamo presto da questo Governo (Applausi dei deputati del gruppo Scelta Civica per l'Italia).

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARINA SERENI (ore 18,05).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zan. Ne ha facoltà.

  ALESSANDRO ZAN. Signor Presidente, signori del Governo, onorevoli colleghi, penso sia chiaro a tutti che in questo Paese vi sia un'emergenza che spesso viene accantonata e di cui ci si accorge solo quando ci troviamo di fronte a situazioni che lo impongono all'attenzione di tutti. Stiamo parlando dell'emergenza ambientale che nel nostro Paese sta scoppiando accanto alle emergenze legate alla crisi economica ed alla crescente povertà. Eppure nel DEF quasi nulla viene detto per le politiche per la difesa del suolo e per la tutela del territorio, laddove la lotta al dissesto idrogeologico e la messa in sicurezza del nostro territorio, può e deve rappresentare la vera e grande opera pubblica di questo Paese. Pensiamo che solo nell'ultimo triennio lo Stato ha stanziato per 13 regioni circa un miliardo di euro per le emergenze causate da eventi calamitosi di natura idrogeologica, mentre per la prevenzione sono stati stanziati in dieci anni solo 2 miliardi di euro, laddove servirebbero 40 miliardi per interventi di sistemazione complessiva delle situazioni di dissesto su tutto il territorio nazionale. È ormai ineludibile l'avvio di un piano pluriennale per la messa in sicurezza del territorio, anche per le sue ricadute positive sull'economia e l'occupazione. Al contrario delle miriadi di opere infrastrutturali cui si è data finora priorità, il contrasto al dissesto idrogeologico rappresenta infatti l'unica opera pubblica diffusa su tutto il territorio nazionale, in grado di attivare da subito migliaia di cantieri, con evidenti ricadute positive sull'occupazione.
  Guardando poi al settore della green economy, questo si sta confermando un comparto a forte valenza anticiclica, capace più di altri di creare occupazione e ricchezza ed in grado di dare un contributo fondamentale ad uno sviluppo sostenibile della nostra economia. Sotto questo aspetto la vigente detrazione fiscale del 55 per cento delle spese per la riqualificazione energetica, misura introdotta nel 2007, lo vorrei ricordare, dal Governo Prodi, ha rappresentato uno dei più efficaci strumenti per promuovere l'efficienza energetica e lo sviluppo economico sostenibile nel sistema immobiliare italiano. Sono finora oltre un milione gli utenti che si sono avvalsi dell'ecobonus, attivando investimenti in efficienza energetica degli edifici per oltre 11 miliardi di euro. Occorre allora prorogare da subito l'attuale detrazione per gli interventi di riqualificazione e risparmio energetico che si è dimostrata una dei successi più significativi della green economy nel nostro Paese e un importante volano per la crescita ecosostenibile. Per queste ragioni la detrazione va mantenuta al 55 per cento e non ridotta al 36 per cento. Non va dimenticato poi il rifinanziamento del fondo rotativo per l'attuazione del Protocollo di Kyoto che sollecita tutti noi a misure per la riduzione delle immissioni di gas serra responsabili dei cambiamenti climatici. Affrontare l'emergenza ambientale è, e deve essere, la priorità del nostro Paese la cui sfida dovrà prevedere gli opportuni investimenti. Per l'immediato futuro sulle Pag. 43energie rinnovabili sarà utile orientare parte degli incentivi all'integrazione con la rete come le smart grids e i sistemi di accumulo, per evitare che l'energia prodotta venga sprecata. Il Governo dovrebbe anche individuare misure come il credito agevolato, i contratti di compravendita più adatti a tecnologie capital intensive, che favoriscano l'integrazione delle energie rinnovabili nel mercato. Inoltre crediamo che per sviluppare le energie rinnovabili oltre ad incentivarne la diffusione, occorre investire in ricerca ed innovazione e nel sostegno a filiere industriali nazionali, in modo che nuove tecnologie e miglioramenti di quelle esistenti siano il più possibile made in Italy, con la possibilità che si affermino anche sui mercati internazionali. Insomma l'asse di un piano per il lavoro deve consistere innanzitutto, come dicevo prima, nella messa in sicurezza del nostro territorio.
  Il Governo par voler puntare molto sulla creazione di posti di lavoro, soprattutto per i giovani, lo ribadiva poco fa il Ministro Saccomanni. Allora lo dimostri a partire da questo: la creazione di migliaia di cantieri diffusi per la messa in sicurezza del nostro territorio subito.
  Per concludere vorrei ricordare quanto detto dal Segretario generale dell'OCSE Gurria, pochi giorni fa in Italia, e cioè che per ridurre la tassazione su lavoro e imprese, al fine di favorire l'aumento del potere di acquisto e una maggiore occupazione, una parte di quella tassazione potrebbe essere ricavata dalle cosiddette «imposte verdi», ovvero quelle legate alle industrie che inquinano. Deve passare il principio che «chi inquina paga» e chi è invece virtuoso possa godere di detrazioni fiscali, legate agli investimenti produttivi per innovazioni in senso ecologico. Dobbiamo iniziare a porre l'ambiente all'interno delle scelte strategiche per il rilancio della nostra economia e dell'occupazione. Diciamo che i precedenti Governi Berlusconi e Monti, per usare un eufemismo, non hanno di certo brillato su questo terreno. Questo Governo, che riassume su di sé forze che fin qui hanno governato, non lascia molto sperare che vi possa essere un'inversione di tendenza. Per questo, Signori del Governo, saremo vigili e solleciteremo in ogni modo quei provvedimenti che possano finalmente rilanciare un'economia verde nel nostro Paese (Applausi dei deputati dei gruppi Sinistra Ecologia Libertà e MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fantinati. Ne ha facoltà.

  MATTIA FANTINATI. Signor Presidente, Ministri, colleghi deputati, il documento di economia e finanza per il 2013, analizzato senza pregiudizio nelle parti attinenti le attività produttive, è stato ritenuto lacunoso e insufficiente. Per quanto riguarda le misure di contrasto, la crisi delle PMI o addirittura il rilancio di esse, non si riscontra neppure l'ombra di vere misure concrete e immediatamente efficaci, volte, da un lato, ad arginare e mettere in sicurezza i bilanci delle stesse e, dall'altro, a rilanciarne la produttività cui è legata a filo doppio la ripresa del complessivo sistema economico nazionale.
  L'impressione è quella che si voglia arginare un fiume in piena con le mani. Se, già da oggi, non rendiamo incassabili tutti i 90-130 miliardi di euro di crediti vantati dalla PA, mediante la Cassa depositi e prestiti, se non togliamo l'IRAP, già da oggi, gradualmente, se non diamo delle modalità concrete di accesso al credito attraverso la Cassa depositi e prestiti, se non costringiamo con normative efficaci le banche a fare credito alle PMI, unitamente a delle politiche di completa defiscalizzazione e alle assunzioni entro i 35 anni, le PMI moriranno e la nazione con loro.
  Presidente, colleghi, parte di quanto scritto nel DEF è condivisibile, corretto, addirittura doveroso, nonostante molte delle misure universalmente riconosciute come giuste e necessarie debbano essere compiute da vent'anni senza alcun passo in avanti, come lo snellimento della burocrazia, l'informatizzazione o la semplificazione delle PA ed altre ancora. Su queste tematiche il MoVimento 5 Stelle si schiera completamente a favore; tuttavia, permettetemi di constatare la mancanza Pag. 44più grave registrata dal DEF, che riflette perfettamente come il mondo politico non abbia ancora capito la rivoluzione che sta avvenendo, il cambiamento richiesto dai cittadini, cioè un'adeguata impalcatura di copertura finanziaria, coerente con le misure da intraprendere, ben diverse da quelle esposte nel documento. Un'impalcatura che non può essere basata solo sull'indiscriminato aumento di un livello di tassazione ormai insopportabile né, Europa e mercati finanziari permettendo, sull'aumento del debito pubblico, giunto da tempo a livelli insostenibili.
  È sotto gli occhi di tutti che, nel primo caso, andiamo a massacrare un'economia già in ginocchio e, nel secondo, scarichiamo il costo di politiche inette ed ottuse degli ultimi vent'anni sulle future generazioni, che oggi ci stanno anche guardando, il nostro bene primario da preservare. La copertura adeguata deve provenire dalla liberalizzazione di risorse da decenni occultate e depredate dalla mala politica: corruzione, commistione di interessi pubblici e privati. La chiave di volta sta, quindi, nell'affiancare alle reali misure di crescita delle misure che il MoVimento 5 Stelle va gridando come indispensabili e da sempre, che sono: eliminazione dei costi iniqui e degli sprechi, dei privilegi della politica, in tutte le sue forme e livelli, e chi sostiene, come in tanti talk show, che sono una goccia nel mare del debito pubblico non capisce di cosa stiamo parlando.
  Il mio collega prima del MoVimento 5 Stelle le ha illustrate in modo abbastanza completo. Una reale ed efficace lotta all'evasione partendo da quella dei colletti bianchi; immediata definizione di una efficace legge anticorruzione, una efficace legge sul conflitto di interessi; tagli alle pensioni d'oro; aggiornamento del catasto entro sei mesi per rendere possibile l'eliminazione dell'IMU sulla prima casa e rivisitare la complessiva struttura delle imposte rendendola veramente equa e sostenibile. Utopia ? No, signor Presidente e colleghi, queste misure se immediatamente operative fornirebbero quell'ossigeno necessario alle PMI per lanciare la nostra economia. Rilanciare l'economia e renderla stabile significa soprattutto ridisegnare i nostri consumi, i nostri approvvigionamenti energetici.
  Deve nascere una nuova SEN che non sia un mero atto ministeriale privo di una norma legislativa che ne disciplini i provvedimenti di adozione, ma sia all'interno del Parlamento con il supporto di tutte le Commissioni necessarie. Oggi è palese che le rinnovabili stanno avendo un ruolo importante nella produzione di energia nazionale, considerando che a dicembre 2012 coprono più del 25 per cento di produzione elettrica. Le potenzialità di questo sistema energetico devono essere seguite e devono rappresentare un settore strategico per l'economia del Paese. Bisogna iniziare a riflettere investendo sulla ricerca, sul concetto di immagazzinamento dell'energia prodotta. È fondamentale in primis una netta riduzione dei consumi dato che più del 40 per cento è attribuibile al terziario (riscaldamento), riqualificando energicamente un panorama edilizio in maniera massiva, favorendo l'accesso al credito delle ESCO che possono sostenere gli investimenti e li possono realizzare senza oneri per l'utilizzatore.
  Parallelamente la produzione di energia si dovrebbe spostare su incentivi alla cogenerazione, partendo dagli edifici più energivori; chiusura delle centrali a carbone ed abbandono di qualsiasi velleità estrattiva in terraferma ed in mare; aumento dell'efficienza del parco tecnologico installato. La green economy, oltre che a portare benefici di efficientamento energetico, prospetta un indotto di 800 mila nuovi posti di lavoro favorendo il territorio e le PMI. Un altro settore significativo dell'economia del nostro Paese è senza dubbio il turismo con un peso che genera maggiore opportunità di lavoro rispetto ad altri settori industriali considerati prioritari. Anche se il nostro Paese si colloca al primo posto per numero di siti iscritti come patrimonio dell'umanità è valutato solo al settantaseiesimo posto, per quanto il Governo ritenga prioritaria l'industria turistica. Occorrono, invece, misure concrete Pag. 45volte a sviluppare un turismo di qualità responsabile e sostenibile che rispetti l'ambiente e le caratteristiche delle comunità locali, a favorire i processi di innovazione tecnologica e di riqualificazione del territorio e del capitale umano, a migliorare la competitività dell'offerta e la qualità del sistema, a promuovere un prodotto italiano unitario caratterizzato da molte specificità.
  Quando parliamo di PMI non possiamo non parlarne a livello globale: stakeholder e shareholder fanno parte di questo mondo e soprattutto il rapporto che si apre alle PMI e quindi l'imprenditore e il suo lavoratore. La visione del lavoro, come l'abbiamo noi del MoVimento Cinque Stelle, va assolutamente ripensata. Il lavoro deve smettere di essere indirizzato alla produzione di beni destinati all'obsolescenza programmata; deve smettere di non prendere in considerazione le conseguenze ambientali della produzione; deve smettere di essere un rischio per la salute dell'essere umano. Dobbiamo pensare a un mondo nuovo dove il progresso tecnologico sia al servizio degli uomini ed il tempo sia al centro dei fabbisogni primari: tempo inteso come qualità della vita, possibilità di vivere meglio (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
  Le riforme passate del lavoro e della previdenza, invece, hanno portato all'impoverimento e alla precarietà diffusa; alla creazione di nuove categorie di diversamente penalizzati: esodati, salvaguardati ed, infine, gli esuberati che si trovano in una situazione talmente diffusa che nessuno ne parla più. Crediamo quindi imprescindibile una più ampia riflessione su tutto il sistema lavoro e welfare per potere andare incontro alla necessità dei cittadini in maniera incisiva. Crediamo che il vero sostegno al reddito e alla dignità della persona deve passare attraverso un efficace riforma degli ammortizzatori sociali e la messa in atto di una riforma che istituisca un reddito vero di cittadinanza, abbinato ad un salario minimo garantito. Ricordiamo che l'Italia è tra quei pochi Paesi, insieme alla Grecia e all'Ungheria, a non disporre di un vero strumento capace di affrontare tutte le situazioni di bisogno mentre l'Europa stessa ci chiede di promuovere il rispetto della dignità umana e di lottare contro l'esclusione sociale.
  Il nostro obiettivo è quello di creare una rete di supporto dei cittadini volta a proteggere dall'emarginazione. In questo senso, un reddito di cittadinanza punta a tutelare la dignità di ognuno, offrendo anche il tempo per cercare un impiego consono alle proprie attitudini e alla propria formazione, favorendo così una flessibilità del lavoro scelta e non subita. Tra le questioni urgenti che secondo noi un Governo e un Parlamento di buon senso dovrebbero trattare, possiamo segnalare: limitare i superstipendi di manager in rapporto al salario dei propri dipendenti; reperire nuove risorse per rifinanziare la cassa integrazione in deroga che si sta esaurendo; in chiave inclusiva, riduzione dell'orario di lavoro settimanale dei contratti di lavoro dipendente; abrogare la legge Biagi promuovendo una semplificazione delle tipologie contrattuali; abrogare la riforma Fornero delle pensioni; considerare l'abbassamento dell'età pensionabile anche in riferimento ai lavori usuranti dal punto di vista psicofisico; valutare l'eliminazione dell'agenzia interinale in favore dei centri di impiego; incentivare gli investimenti nella sicurezza e, soprattutto, nella cultura della sicurezza dei diritti.
  Concludo, Presidente, illustri colleghi, Ministri: la ripresa economica non ha bisogno di grossi investimenti strutturali, ma di un concreto aiuto alle PMI, un investimento continuo sui nostri talenti sul territorio e sul benessere del lavoratore, una migliore gestione del fabbisogno energetico e la promozione del made in Italy. Quando si parla di made in Italy non si intende delocalizzazione, ma si intende una nostra rete di imprese che è fiera del proprio operato. Il made in Italy, talvolta usato inappropriatamente, ci ha fatto diventare grandi in tutto il mondo (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

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  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Marazziti. Ne ha facoltà.

  MARIO MARAZZITI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, il DEF, anche se manca l'accumulazione all'interno del documento per quel rilancio che tutti noi speriamo per l'Italia, mi sembra, a differenza del parere di altri colleghi, sia stato preparato, al contrario, con serietà dall'uscente Governo guidato da Mario Monti. Da parte mia, da parte nostra, va un ringraziamento per questo lavoro serio che mi sembra aver rispettato il Parlamento e il Governo entrante. Questo documento arriva dopo venti anni in cui la ricchezza si è concentrata e le fasce deboli sono diventate più deboli; venti anni in cui l'Italia è cresciuta meno dell'Europa. E questo è quello che oggi il Presidente Draghi ha raccontato qui a Roma. Noi abbiamo fortemente presente il disagio dei cittadini, degli italiani; personalmente, ho accolto tutte le parole che sono venute dai colleghi e anche alcune osservazioni che invitavano a non essere supponenti, ad ascoltare. Devo dire che, come molti colleghi, sono alla mia prima legislatura. Questo fatto personale sarebbe poco importante se non fosse che vengo da tutta una vita, non solo di ascolto, ma di sforzo di stare accanto e con la parte più debole del nostro Paese. Per questo motivo, ho scelto di essere qui in Parlamento con alcuni colleghi di Scelta Civica per l'Italia.
  Allora, questo testo si inserisce – e lo dico perché siamo alla ricerca di soluzioni in un tempo difficile – in una congiuntura non favorevole che non è solo italiana, ma europea. Nell'area Euro il PIL – non è l'unico indicatore – scende dello 0,3 per cento, a fronte di una crescita statunitense dell'1,9 per cento, del Giappone dell'1 per cento e della Cina dell'8 per cento. La disoccupazione americana dovrebbe scendere quest'anno al 7,6 per cento, quella europea al 12,2 per cento.
  Allora, la battaglia che abbiamo di fronte, colleghi e amici, è di provare, in un tempo difficile, a fare quello che l'Occidente finora non è riuscito a fare, cioè coniugare uguaglianza e crescita. Finora c’è stata uguaglianza senza crescita, e c’è stata crescita e maggiore ingiustizia sociale, poca accumulazione e debito; il liberismo e altri modi e altre ricette, ma che sono stati fallimentari, almeno per l'Italia e più per l'Italia che per il resto d'Europa.
  È un percorso stretto, tra libro dei sogni ed urgenze. Lo mostra il dibattito di questi giorni: parliamo dell'IMU, dell'abolizione o non abolizione dell'IMU, una riforma radicale e necessaria; al contrario, un'abolizione totale rischierebbe, a mio parere, di far rinunciare al 30 per cento delle entrate pagate dal 10 per cento più abbiente del Paese; e quel 30 per cento, quindi, graverebbe ancora di più sui più deboli. L'entità del dibattito – parliamo di 6 miliardi da trovare per questo – fa capire che i 40 miliardi per pagare i debiti della pubblica amministrazione – ultimo passo del Governo Monti uscente e su cui la Commissione speciale e questo Parlamento hanno lavorato con serietà a rendere possibile e applicabile subito (e stiamo, spero, per trasformarlo in legge) – sono molti di più di 6, e sappiamo che non bastano.
  Allora, io credo che l'occasione del DEF – e vado alla seconda e ultima parte del mio intervento – significa che stiamo iniziando una fase di aggiustamento strutturale che è possibile utilizzare per la crescita vera e per una maggiore giustizia sociale in Italia; ma dobbiamo fare delle cose. Da venti anni è cresciuta la parte improduttiva della nostra spesa pubblica: ai tagli della spending review occorre far seguire una fase di revisione qualitativa della spesa; i 110 miliardi della spesa sanitaria sono una spesa ingente, ma che non garantisce più un Servizio sanitario universale, per i ticket, per il costo diverso delle prestazioni e la qualità abnormemente diversa sul territorio nazionale.
  Per questo, Scelta Civica ritiene, non da oggi, che è necessario anche mettere mano al Titolo V della Costituzione, rivedere il ruolo delle regioni nella spesa sanitaria, per garantire uguaglianza tra i cittadini italiani, accorciare la distanza tra nord e Pag. 47sud, evitare gli sprechi, premiare le eccellenze. I 60 miliardi del welfare rappresentano ancora una spesa non coordinata tra INPS, Servizio sanitario nazionale e comuni. Ci troviamo a dover trovare i fondi per la cassa integrazione in deroga e subito a dover fare altre cose, non le cito perché le hanno dette i miei colleghi. Gli enormi sacrifici del 2012, però, portano, come già nel DEF è chiaro, a scarsa crescita, ma si può investire anche dismettendo e valorizzando il patrimonio pubblico non necessario per ridurre fino a 100 miliardi la massa di debito. Lo spread, che non è un'invenzione, oggi a 300, è una conquista, ma è ancora troppo alto perché le imprese possano avere accesso con facilità al credito, è ancora un peso del 3 per cento sul PIL. Per questo non possiamo permetterci di rompere l'equilibrio dei consuntivi di questo DEF. Ridurre la tassa dello spread è un tema dell'economia reale: lo dico non per rincorrere, almeno noi fuori dalla campagna elettorale, favole, mentre un Governo responsabile è chiamato alla responsabilità.
  Abbiamo ancora tasse troppo alte – l'ha detto anche il nostro collega Zanetti e l'hanno detto altri –, troppa evasione fiscale, una produttività troppo bassa per unità lavorativa: questo non può essere nascosto o dimenticato. Per questo, ogni euro recuperato dall'evasione fiscale, dall'elusione fiscale, deve andare direttamente ad abbattere le tasse di chi le paga, famiglie e imprese. Occorre riacquistare produttività. Molti parlano come se fosse ovvio rinegoziare con l'Europa più flessibilità. Il Patto euro plus contiene già due delle necessità italiane: interventi per stimolare la competitività e l'occupazione. Si può e si deve nei prossimi mesi creare le alleanze europee per un grande piano di sviluppo europeo, perché oggi c’è convergenza di interessi.
  Ma non riusciremo se non creiamo un piano speciale per il lavoro giovanile e per il lavoro della conoscenza detassato, se non c’è un piano di intervento ambizioso per portare dal 46 al 60 per cento, in questo quinquennio, il lavoro femminile, con una tassazione selettiva e incentivante, perché il secondo o terzo lavoro in famiglia è un potente elemento di stabilità sociale e un antidoto alla povertà. È per questo che il tema della maggiore compatibilità tra i tempi del lavoro e i tempi della famiglia, anche con congedi parentali fino a 18 anni inclusivi anche dei nonni tra i beneficiari, è elemento integrativo che apre alla sussidiarietà intelligente per lo sviluppo; è economia della vita, come sentivamo. Ma resta il grande problema della produttività del sistema italiano.

  PRESIDENTE. La prego di concludere.

  MARIO MARAZZITI. Vado a concludere. Per questo, nel ragionare sul DEF dobbiamo rivedere assieme il Programma nazionale di riforma, il PNR. Gli obiettivi «2020» vedono l'Italia talmente poco ambiziosa da delineare un quadro che, fossero stati anche raggiunti gli obiettivi fissati tre anni fa, fra 17 anni farebbe dell'Italia un fanalino di coda dell'Europa e del mondo occidentale. Allora chiediamo al nuovo Governo, pronti a sostenerlo in scelte coraggiose, un piano dell'energia che faccia crescere le fonti rinnovabili, differenziando le fonti ad un ritmo doppio rispetto a quello previsto; un piano di salvaguardia del territorio che sia collegato allo sviluppo del settore agroalimentare e turistico, dei beni culturali ed archeologici, un sistema tale da diventare un asset integrato di sviluppo del Paese.
  Il capitale umano è il nostro capitale, è la grande risorsa dell'Italia, come il territorio, ma occorre crederci. Allora, un'ultima proposta: chiediamo di ripensare il welfare e la sanità in maniera coraggiosa e creativa, capace di trasformare strettoie e fonti di spesa e bassa qualità di servizi alla persona in chance ed eccellenze italiane all'interno del mondo occidentale. C’è una rivoluzione culturale e strategica che si accompagna al DEF che significa anche coesione sociale, posti di lavoro, sviluppo, crescita della qualità della vita legata, per fare solo un esempio, alla condizione degli anziani. Un italiano su cinque ha più di 65 anni: ci sono tre persone con più di 65 anni ogni due Pag. 48giovani sotto i 15. Ciò è un successo dell'Italia, è una conferma della bella Italia, è la speranza di vita che si allunga.
  Abbiamo delle esperienze con un programma, «Viva gli anziani», nato all'indomani della grande crisi del caldo e delle morti incongrue degli anziani, dal 2003 sperimentato nel Lazio, in Piemonte e in Sicilia. Questo programma copre tutti gli anziani ultrasettantacinquenni, inverte la spesa da solo residenziale alla domiciliarità, crea i servizi di prossimità e fa servire e utilizzare tutto ciò che esiste mettendolo in rete. Esso costa mezzo euro al giorno. Applicato a tutta la popolazione del Lazio significa che con un giorno risparmiato in ospedale si fanno 1.600 giornate domiciliari per queste persone, si fa funzionare la sanità, si risanano i conti pubblici, si lotta contro la solitudine e l'anonimato, si può cambiare l'Italia (Applausi dei deputati del gruppo Scelta Civica per l'Italia).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Silvia Benedetti. Ne ha facoltà.

  SILVIA BENEDETTI. Signora Presidente, signori Ministri, colleghi deputati, il primo atto che il Governo porta all'esame del Parlamento è, ironia della sorte, anche l'ultimo atto dell'Esecutivo precedente. Il segno della continuità è esattamente tutto qui: le stesse forze politiche che hanno redatto il Documento di economia e finanza lo hanno illustrato in quest'Aula. Le scelte di politica economica di questo Governo sono scelte che, in tema di ambiente e territorio, percorrono la stessa identica strada dei Governi precedenti, pervicacemente ancorata al concetto di sviluppo come valore supremo; uno sviluppo che non tiene conto degli enormi danni che determina. Danni che colpiscono il nostro ambiente, la nostra salute, la qualità della nostra vita, il cui costo, che non viene contabilizzato nel bilancio dello Stato, graverà pesantemente anche sulle generazioni future. Uno degli aspetti su cui incide l'orientamento del Governo è il territorio, una risorsa non inesauribile e che andrebbe adeguatamente tutelata e salvaguardata.
  E territorio vuol dire, in primo luogo, agricoltura, sulla quale il DEF si limita ad una fotografia di quanto la Commissione europea destina al comparto agricoltura attraverso il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale. Occorre, a nostro avviso, rivedere le linee guida della politica agricola italiana, puntando sulle tipicità delle produzioni nazionali e rivedendo i rapporti con la politica comunitaria, che spesso ha disatteso le aspettative di rilancio del settore e di tutela di noi consumatori.
  Ad oggi, con l'allargamento dell'Unione europea ed il fenomeno della cosiddetta globalizzazione, la PAC ha mostrato tutta la sua inefficacia, sia in risposta alla crisi dei mercati e dei prezzi, sia in termini di aumento della competizione fra i vari produttori europei e non. La domanda di cibo è destinata ad aumentare del 40 per cento entro il 2050, secondo le stime fatte dalla Commissione europea, e sulla base di tali stime si orienteranno le future politiche comunitarie. Non possiamo permettere che il conseguente incremento della produzione possa intaccare la qualità della stessa; e la qualità della produzione si può ottenere solamente salvaguardando i prodotti locali, bandendo gli OGM e premiando le buone pratiche agricole nel rispetto dell'ambiente, riducendo al minimo l'utilizzo della chimica nel settore e coniugandola con una corretta educazione alimentare. Quello agricolo deve divenire un sistema sostenibile e volto al riciclo, alla conservazione del suolo e del paesaggio, a mitigare il rischio idrogeologico e ambientale: un compito che lo stesso agricoltore in quanto custode del territorio svolge praticamente da sempre.
  Potenziare o promuovere la banda larga è anche una necessità improcrastinabile per le stesse associazioni di categoria. Occorre salvaguardare i piccoli produttori, semplificando le procedure, garantendo i pagamenti in tempi certi, rivedendo i disciplinari per una chiara e trasparente etichettatura e tracciabilità dei prodotti, valorizzare la filiera corta e tutelare il vero made in Italy, nostro oro nazionale unitamente al turismo.Pag. 49
  Il sistema delle agroenergie è stato erroneamente interpretato e immotivatamente incentivato a discapito del corretto bilancio energetico-ambientale, e per questo riteniamo che siano assolutamente da evitare le culture dedicate. Occorre rimuovere il sistema dell'allevamento intensivo, mentre per il settore della pesca alcuni obiettivi sono: ripristinare gli stock ittici sovrasfruttati, applicare il divieto di rigetto in mare dei pesci non commercializzabili ed effettuare i controlli più stringenti sulle taglie minime del pescato.
  Altro settore cui rivolgere attenzione è l'ippica italiana, che da risorsa economica e culturale della nazione è oggi in ginocchio. È indispensabile inoltre effettuare un'indagine conoscitiva sulla fauna da tutelare e proteggere, e quella da tenere sotto controllo numerico, aggiornando anche le politiche sulla caccia, per cui l'Italia si trova in posizione sanzionatoria rispetto all'Unione europea.
  I boschi, che ricoprono un terzo della superficie dell'intera penisola, dovranno divenire risorsa, sviluppando collaborazioni pubblico-private per la realizzazione di infrastrutture a sostegno dell'ecoturismo, dell'economia verde con il recupero delle tradizioni locali.
  Altro obiettivo sarà promuovere quell'agricoltura detta sociale, fornendo servizi di assistenza a persone in condizione di disagio fisico, psichico in un contesto agricolo. Occorre inoltre promuovere una vera conversione della politica economica, puntando in modo netto sulla valorizzazione dell'economia verde, attraverso un più adeguato finanziamento del «Fondo Kyoto» e l'avvio di politiche incentivanti delle buone pratiche ambientali. Riteniamo necessario prorogare e rendere strutturali le detrazioni fiscali del 55 per cento per gli interventi di riqualificazione energetica degli edifici, per dare impulso in modo virtuoso al comparto edilizio, la cui funzione di traino per l'economia del Paese non può più essere legata alla devastazione del territorio.
  È opportuno promuovere una politica di gestione del territorio che anteponga la tutela del paesaggio e la difesa del suolo alle scelte di tipo speculativo, avviando programmi di riqualificazione urbana e di messa in sicurezza del territorio da rischi sismici e idrogeologici. In Italia esistono circa 320 opere pubbliche incompiute che hanno fortemente impattato sull'ambiente e sulle casse dello Stato: per cui va rivisto il piano delle stesse, per evitarne altre, come ad esempio la tratta Alta Velocità ferroviaria Torino-Lione, e l'ampliamento dell'aeroporto di Fiumicino.
  Puntiamo perciò ad una nuova visione che tenga conto delle vere priorità del Paese in tema di infrastrutture di pubblica utilità, e l'equilibrio modale del trasporto di merci e persone, attualmente eccessivamente sbilanciato a favore della gomma. Sistemazione ed efficientamento delle reti idriche, avvio di infrastrutture e programmi per lo sviluppo e la diffusione della mobilità sostenibile, potenziamento delle reti di trasporto pubblico. Riteniamo necessario tenere al di fuori del Patto di stabilità interno le aziende speciali e in house che gestiscono il servizio idrico integrato e gli altri servizi pubblici locali, per evitare di sottoporle ai vincoli di spesa, e permettere così di effettuare i corretti investimenti per la fornitura dei servizi alla collettività, che diversamente sarebbero prerogativa unica delle società private affidatarie degli stessi. Questo per lasciare all'ente locale libertà di scelta nel passare ad una gestione completamente pubblica e partecipativa dei servizi pubblici, come sancito dal risultato referendario del 2011.
  Occorre affrontare il problema della gestione dei rifiuti, rinunciando a strategie basate sul binomio discarica-combustione e puntando al recupero, non tanto dell'energia, quanto della materia, che dovrebbe essere recuperata e reinserita nel tessuto economico e produttivo del Paese, con maggiori benefici per occupazione, salute, ambiente, e minor carico contributivo per famiglie e imprese.
  È urgente sviluppare una politica energetica che punti chiaramente alla riduzione del consumo di combustibili fossili, all'affrancamento dalla dipendenza energetica dall'estero, alla sostenibilità economica, Pag. 50vietando incentivi economici a favore di lobby, mirando alla riduzione dell'inquinamento e dei conseguenti danni alla salute e all'ambiente, favorendo, quindi, i modelli di produzione energetica periferica, basati sulla valutazione precisa dei consumi e delle possibilità produttive locali. Tali procedure ottimizzeranno e ridurranno i costi, liberando risorse utili ad affrontare le criticità preesistenti, in particolare per quanto attiene le bonifiche dei siti di interesse nazionale, a partire dalla gravissima emergenza sanitaria e ambientale dell'ILVA di Taranto, per la quale è auspicabile un intervento immediato.
  In fatto di sanità, l'Italia è uno dei pochi Paesi con un sistema sanitario pubblico ad accesso universale, ma alcune questioni ne stanno minando alle basi l'universalità e l'omogeneità. In particolare, la devolution, che affida alle regioni l'assistenza sanitaria e il suo finanziamento, accentuando le differenze territoriali, e i finanziamenti riservati alla sanità privata e convenzionata, che sottraggono risorse e talenti al pubblico. La tendenza ad organizzare la sanità come un'azienda, fa prevalere gli obiettivi economici rispetto a quelli di salute e di qualità dei servizi e, se a questo fattore si aggiunge che la spesa sanitaria è stata fortemente penalizzata con l'ultimo decreto-legge del Governo, oggi risulta, più che mai, urgente un suo rifinanziamento, senza ovviamente prescindere da una sua generale riorganizzazione.
  Particolare riguardo va riservato all'attuazione di politiche finalizzate ad una diversa ripartizione delle voci di spesa dedicate ai tre tipi di prevenzione sanitaria. È necessario passare da una prevenzione secondaria, che comprende il maggior capitolo di spesa del sistema sanitario nazionale, ad un potenziamento della prevenzione primaria e della prevenzione terziaria, determinando così un necessario percorso di deospedalizzazione. La popolazione, infatti, necessita sempre di più di una continuità assistenziale, che oggi risulta essere fortemente deficitaria e aggravata da un sistema atto ad affrontare efficacemente l'acuzie, mettendone in secondo piano la prevenzione e la cronicità.
  Infine, è più che mai prioritario attuare una riforma della professione medica, al fine di garantire la separazione delle carriere dei medici pubblici e privati, ed è necessario anche implementare una metodologia atta ad individuare, con metodi meritocratici, i direttori generali delle aziende sanitarie.
  Le politiche sociali non hanno di certo avuto un trattamento migliore della sanità. Dal rapporto annuale dell'ISTAT, si evince che la povertà assoluta coinvolge circa 3,4 milioni di individui e gli atti del Governo, come la famigerata social card, sono l'esempio lampante dell'inadeguatezza dell'apporto statale. Sarebbe senz'altro più utile sostituire questo strumento, così come altre forme di sussidio non risolutive e inefficaci, con l'istituzione del reddito di cittadinanza, non come forma di assistenzialismo, ma come diritto fondamentale di ogni cittadino.
  Altrettanto rilevanti criticità riguardano la disabilità e la scarsa attenzione del Governo rivolta all'assistenza delle persone diversamente abili. Sarebbe auspicabile – come già accade in molti Paesi europei – che fosse riconosciuta la figura della caregiver familiare, riferendosi naturalmente a tutti i familiari che assistono un loro congiunto ammalato e/o disabile.
  Chiediamo azioni di riforma per intervenire con misure più incisive per contrastare la povertà, garantendo un rifinanziamento adeguato del Fondo per le politiche sociali e del Fondo per le non autosufficienze.
  Vorremmo poi riservare un capitolo di discussione ed approfondimento alla questione della tutela delle donne. È ormai ovvio che non ci si può soffermare sull'immagine della stessa nella pubblicità, ma che occorre attuare un serio cammino per garantire sicurezza e certezza di una reale tutela. Basti pensare che, solo nel 2012, i casi di femminicidio sono stati 124. È necessario agire in fretta ed è per questo che appoggiammo con forza e determinazione l'iniziativa della nostra collega di approvare la Convenzione di Istanbul sulla Pag. 51prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne. Ci aspettiamo in questo un impegno trasversale da parte di tutte le forze politiche (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Benamati. Ne ha facoltà.

  GIANLUCA BENAMATI. Signor Presidente, come è già stato detto, il documento che oggi discutiamo è un prodotto del Governo Monti in una fase in cui questo era dimissionario e in attesa di sostituzione.
  Il documento si caratterizza quindi più come una foto del presente, che come una vista sul futuro e, per questo, è forzatamente non ambizioso. Fra i punti qualificanti però – lo richiamo velocemente – del programma di stabilità, c’è la conferma dell'obiettivo del rientro della procedura di deficit eccessivo per il nostro Paese e la decisione di usare il margine dello 0,5 per cento sul deficit nel 2013 come quota parte dell'attivazione dei primi 40 miliardi di euro per il pagamento dei debiti pregressi della pubblica amministrazione.
  Purtroppo, nella parte che riguarda il Piano nazionale delle riforme, questa impostazione ha portato più ad un'analisi dello stato di attuazione delle riforme esistenti, cioè messe in cantiere nel 2012, che ad una prospettiva per l'avvenire. Tutto questo indica, come è già stato richiamato in più interventi, la necessità di una revisione di questo DEF, anche alla luce delle considerazioni del Presidente del Consiglio nelle sue dichiarazione alle Camere all'atto della fiducia. E in questo senso positivamente si muove la risoluzione che viene proposta al dibattito e che ha il merito di porre alcuni punti guida per la fase di revisione del Documento di economia e finanza. Positivo è senza dubbio che si riaffermi, nella risoluzione, il rispetto degli obiettivi di finanza pubblica che possono consentire, sperabilmente entro il mese di giugno, il rientro della procedura per disavanzo eccessivo, cosa che non è meramente formale – lo richiamo a molti colleghi – perché questo può da un lato liberare risorse aggiuntive, che possono essere importanti per politiche di sostegno al lavoro, allo stimolo alla domanda e di sostegno ai redditi ma, dall'altro, possono consentire di creare, in ambito europeo, un contesto meno aspro per politiche più articolate che combinino il rientro sostenibile del debito, con le necessarie riforme per rimuovere le barriere strutturali che da troppi anni caratterizzano il nostro Paese.
  In questo quadro, cari colleghi, io vorrei limitare il mio intervento soffermandomi sul tema delle riforme, perché se è vero che la barra deve essere tenuta ferma sulla stabilità della finanza pubblica, il raggiungimento stesso di questo obiettivo di stabilità non può prescindere da una politica di riforme e di rimozione dei nostri deficit strutturali. La situazione del Paese, dal punto di vista sociale, oggi è nota a tutti. Una disoccupazione superiore all'11 per cento, 4 milioni di poveri, una domanda interna che presenta la maggior contrazione del secondo dopoguerra. Questo è anche il risultato di un forte affanno del nostro sistema produttivo. Dai dati del Documento di economia e finanza emerge, con chiarezza, come la resistenza del nostro tessuto produttivo poggi principalmente sulle aziende che operano nel settore dell'esportazione, spesso preferibilmente verso i Paesi al di fuori dell'Unione europea, mentre una dinamica di scarsa crescita della produttività e una competitività insufficiente, permangono fra i principali fattori di svantaggio dell'Italia nella competizione globale. L'Italia, secondo le previsioni contenute in questo Documento, fatica e faticherà ad agganciare i segni di ripresa in atto in diverse parti del mondo, mentre permane molto distante il nostro Paese da alcuni degli obiettivi della Strategia «Europa 2020», almeno in termini di occupazione, di sostegno alla ricerca, di sviluppo e di riduzione della povertà. Bene, allora, le proposte del Presidente Letta su una revisione della riforma del mercato del lavoro, per un'accelerazione sull'occupazione giovanile e per un più motivato sostegno alla ricerca.Pag. 52
  Ma, accanto a questi, ci sono altri temi che sono e saranno determinanti nei prossimi mesi per la tenuta del nostro sistema produttivo. Il primo, già richiamato in alcuni interventi, è il tema del credito. Giovedì la Banca centrale europea ha deciso un ulteriore taglio di un quarto di punto sul costo del denaro, cosa che ho portato tale costo allo 0,5 per cento. La CGIA di Mestre ha valutato già un impatto positivo sui conti delle famiglie e delle imprese italiane per circa 3,6 miliardi. Quindi, un beneficio importante, ma che non ci può far dimenticare come l'enorme quantità di liquidità, che sino ad oggi è stata generata dalla BCE e resa disponibile agli istituto di credito europei, è spesso finita in depositi presso la stessa Banca o in investimenti in debiti sovrani. In marzo, dai dati de Il Sole 24 Ore, vediamo che le banche italiane hanno speso quasi 10 miliardi di euro in acquisto di titoli di Stato, ma solamente 1,9 miliardi in finanziamenti all'economia. Il flusso del credito nell'ultimo miglio fra la banca e l'azienda è il punto critico e non può essere solamente lasciata in carico a politiche della BCE la gestione di questa fase. L'abbattimento della diga, che non fa affluire liquidità all'economia reale, deve essere una priorità anche per il Governo.
  Altro punto sensibile è, come sempre, quello della pressione fiscale su famiglie ed imprese. Senza voler ripetere tutte le considerazioni già fatte, è però evidente che nel quadro di azioni che non conducano ad una rilassatezza generale dal punto di vista fiscale, si deve però mirare ad una depressurizzazione specifica in alcuni comparti dal punto di vista fiscale. Vanno bene quindi le politiche di revisione dell'IMU e quelle tese ad evitare aumenti dell'IVA, che comprimerebbe ancora i consumi e penalizzerebbero le fasce sociali più deboli, ma per un effetto importante sul sistema macroeconomico, l'intervento sul cuneo fiscale è e rimane quello più efficace e questo dovrebbe essere un punto di partenza.
  In termini di riforme di medio e lungo periodo, è anche indispensabile dare una nuova centralità al sistema della ricerca e alla formazione, come giustamente il Presidente Letta ha indicato. Questo senza dimenticare che qui non si tratta solo, pur doverosamente, di aumentare la spesa specifica di settore, ma anche di riqualificarla mediante interventi di riordino. Non richiamo solo l'esperienza non proprio felice della riforma Profumo, poi abortita, per gli enti di ricerca, o la gravissima crisi in cui versa l'ENEA. Si tratta di un progetto più ampio e ambizioso che mira a razionalizzare e ridisegnare i comparti e le linee di intervento del sistema ricerca, per un più proficuo supporto tecnico-scientifico al sistema delle aziende e per una politica sempre più aggressiva di diffusione dell'innovazione nel circuito produttivo, anche in considerazione del fatto che questo Paese dovrà prima o poi dotarsi di una coerente politica industriale, che da troppo tempo manca nel suo tessuto produttivo.
  Una attenzione particolare – è già stato richiamato – va posta sul fronte energetico, altro grande fattore di svantaggio per l'industria nazionale. Non si può continuare a competere globalmente con costi dell'energia più elevati anche del 30 per cento rispetto alle parallele situazioni europee. La strategia energetica nazionale è stata avviata dal precedente Governo: essa va attuata, costantemente monitorata nei suoi aspetti applicativi e valutata nei suoi risultati. La situazione ad oggi presenta segnali positivi ma molti problemi permangono. Ne cito alcuni: il peso della componente oneri generali, quindi non fiscali, della bolletta elettrica; la necessità di una vera logica di mercato nella fornitura dell'utenza di gas combustibili e carburanti e, nel caso dei carburanti, anche la pesantezza della componente fiscale. Sono temi che ho espresso in titoli, ma che vanno comunque seguiti e monitorati, perché sono centrali per lo sviluppo del sistema produttivo.
  È bene quindi che il Governo abbia deciso di provvedere al più presto ad una nota integrativa al Documento di economia e finanza, nota che, nel rispetto degli obiettivi di finanza pubblica, metta in luce le azioni che il Governo ha in animo di Pag. 53attuare per passare da una fase di consolidamento della situazione economica ad una fase di nuova crescita per il Paese. In questo – vorrei sottolineare – un posto importante, vorrei dire fondamentale, lo giocherà comunque l'intensificazione del processo delle riforme strutturali, che per il nostro Paese è un passo irrinunciabile.
  Concludendo, signora Presidente, signor Viceministro, in questi giorni abbiamo discusso molto dell'esperienza di grandi coalizioni in Europa, guardando spesso alla Germania; ebbene se una cosa possiamo apprendere subito dall'esperienza tedesca di una larga coalizione, è che quello è stato il periodo più fecondo in quel Paese per le riforme di sistema, quelle stesse riforme che permettono oggi alla Germania di primeggiare in campo economico. Io credo e penso che noi tutti non possiamo che augurarci che la stessa cosa, tutto questo, possa succedere anche da noi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Aiello. Ne ha facoltà.

  FERDINANDO AIELLO. Signor Presidente, cari colleghi deputati, vedete, non ho mai considerato un sacrificio risparmiare al prossimo un mio intervento, ma in questa occasione se rinunziassi a parlare sentirei di mancare ad un mio preciso dovere, cioè a quello di denunciare quello che è il grande assente del Documento di economia e finanza che oggi stiamo discutendo: il Mezzogiorno. Anche dal punto di vista strettamente terminologico la parola Mezzogiorno occorre una sola volta in questo Documento.
  Eppure è noto ai più che oggi l'Italia non riprenderà la via della crescita economica e sociale se il Mezzogiorno continuerà a permanere nelle condizioni attuali, caratterizzate da una preoccupante fase di rallentamento economico e di disagio sociale riassumibili nell'ampliamento del divario con il centro-nord, nella ripresa dell'emigrazione e in una sostanziale stasi di investimenti ed occupazione.
  È proprio il caso di dire che, se non riparte il sud, a farne le spese è l'economia dell'intero Paese. Infatti, le tendenze negative sono pari quasi al doppio della media nazionale, il che significa che, per generare crescita e sviluppo, bisogna invertire il ciclo negativo del Mezzogiorno. Gli ultimi dati forniti dal Censis avvalorano ancora di più questa analisi. Questi dati descrivono una situazione drammatica per il sud d'Italia, caratterizzata da un divario sempre più ampio con il nord. Nel Mezzogiorno, infatti, il PIL si è ridotto del 10 per cento in termini reali a fronte di una flessione del 5,7 per cento registrata dal centro-nord.
  Il rapporto Censis sottolinea, inoltre, come tra il 2008 e il 2012 dei 505 mila posti di lavoro persi in Italia il 60 per cento ha riguardato il Mezzogiorno, cioè più di 300 mila. Per quanto riguarda l'istruzione e la formazione, nonostante nel Mezzogiorno la spesa pubblica sia più alta di quella destinata al resto del Paese, il tasso di abbandono scolastico è del 21,2 per cento al sud e del 16 per cento al centro-nord. Infine, emerge dal rapporto che i giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano, non lavorano e non si formano sono molto più numerosi in tutte le regioni meridionali che nel resto dell'Italia.
  La loro incidenza media nel Mezzogiorno è infatti del 31,9 per cento, superando la media nazionale, che si attesta al 22,7 per cento. È una fase, inoltre, segnata dalle difficoltà delle istituzioni nel dare risposte a fondamentali diritti di cittadinanza e nel fornire servizi di base per cittadini e imprese. In particolare, l'indebolimento delle istituzioni locali rischia di compromettere anche l'azione di contrasto dello Stato contro la criminalità organizzata, proprio mentre il protagonismo delle forze economiche e sociali sta aprendo spazi importanti all'azione di tutela della legalità.
  Legalità, sviluppo, funzionamento delle istituzioni, inclusione sociale sono i nodi non aggirabili della crisi meridionale. Tutto ciò non lo trovo nel DEF. Per questo, l'agenda politica deve mettere in grande evidenza la ripresa di un'azione organica e programmata in favore del territorio del Meridione. I due settori da Pag. 54cui ripartire per affrontare la crisi sono l'istruzione e l'occupazione. Il dato che preoccupa maggiormente è quello dell'area dei più giovani del Paese.
  Non è un caso che superi il 35 per cento in Campania e in Sicilia, dove la deindustrializzazione è più forte e dove, a differenza della Puglia, non vi sono stati investimenti regionali su occupazione e sviluppo. Dare attuazione al Piano europeo «Garanzia Giovani», i comitati per l'attuazione del Piano del lavoro per creare occupazione e collegamento dell'utilizzo dei fondi strutturali al programma di azione nazionale su welfare, ambiente, energia e infrastrutture sono reali occasioni per rispondere all'emergenza sociale nel sud.
  Il Mezzogiorno necessita di formazione di quantità per competere ad armi pari con gli altri sistemi economici, ma, al tempo stesso, ha bisogno di formazione di qualità con riferimento alla formazione tecnica necessaria per l'adeguamento delle competenze dei lavoratori.
  Dall'altro, per l'alta formazione e la ricerca condotte nei centri di eccellenza del Meridione è necessaria l'innovazione della base produttiva. Per rendere concreta tale prospettiva, anche nel Mezzogiorno occorre sostenere un importante sforzo finanziario, sia nel campo della ricerca sia nel campo del sistema di istruzione e formazione. Occorrerà puntare ad un accrescimento diffuso delle competenze di base, adiuvando la politica della domanda nel sistema sociale e produttivo, e in particolare soddisfacendo la domanda di tecnici intermedi proveniente dalle imprese.
  Tali risorse potranno concorrere alla definizione di un sistema di alternanza in grado di migliorare l'integrazione tra scuola, formazione e lavoro. Sarà necessario definire progetti finalizzati al rientro nelle regioni di provenienza dei giovani ad alta ed altissima qualificazione universitaria e post-universitaria, contribuendo, in tal modo, ad invertire i consistenti flussi di emigrazione che coinvolgono in modo preoccupante le migliori energie intellettuali del Mezzogiorno e favorendo anche un ricambio della burocrazia nelle macchine delle istituzioni e degli enti locali.
  L'altro grande tema da affrontare per il rilancio del Mezzogiorno è la promozione di una efficace politica della sicurezza capace di supportare il protagonismo delle forze sociali che in questi mesi si va rafforzando nelle regioni meridionali. È necessario che l'azione di prevenzione ad opera delle forze dell'ordine sia accompagnata da azioni di miglioramento. Vedete, è poco il tempo per parlare di una questione così importante – concludo subito, Signor Presidente –, però io ho sul tavolo – noi commemoriamo giustamente tanti colleghi – un libro dell'onorevole Fausto Gullo, un grande meridionalista. Ed è attuale, Ministro Fassina, un suo intervento del 1957 che è quasi simile a quello che sto facendo qui. E nella sua commemorazione usciva fuori che Fausto Gullo era un grande meridionalista. Più a lungo possibile, non vorrei un giorno essere commemorato riportando all'origine le stesse parole che disse Gullo in tempi non sospetti. Questa aula deve discutere una volta per sempre – questo è il compito di questo Governo che noi non appoggiamo non votando questo DEF – della questione meridionale e del Mezzogiorno in termini reali e concreti, di quelle che sono le esigenze. Ormai è diventato uno status symbol parlare delle questioni meridionali, del Mezzogiorno, che è sulla bocca di tutti i politici, ma poi alla fine, nel concreto, non c’è nessuna azione che va a mirare o a riprendere le questioni che ho appena elencato nel mio breve intervento (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Luigi Gallo. Ne ha facoltà.

  LUIGI GALLO. Grazie Presidente. Signori Ministri, signori deputati, nonostante tutti i numeri, nonostante tutti i dati di fatto, nonostante le urla e la disperazione della popolazione, si persevera in una politica economica dettata da logiche che sono lontane anni luce dal perseguire il benessere di tutti i cittadini italiani. Le Pag. 55politiche economiche sino ad oggi adottate dal Governo «del partito unico», l'unico vero attore politico dell'ultimo ventennio in questo Paese, sono capaci di percorrere solo due direzioni: o tagliare i servizi dei cittadini o aumentare le tasse. Nient'altro che un suicidio assistito della nostra Italia. L'alternativa c’è: si possono aumentare i servizi ai cittadini «aggredendo» le rendite di posizione, eliminando le poltrone inutili, distribuendo i vantaggi offerti da una economia di mercato in ostaggio della corruzione e dei fili che legano molti dei politici di lungo corso, come voi, alle banche e alle poche aziende privilegiate del sistema economico italiano. Per questo non vi sono rimaste altro che le parole, per nascondere il grosso vuoto delle vostre proposte. Parole adoperate come armi, per confondere, per falsificare la realtà, per imbrogliare il cittadino, in sostanza. Parole che vogliono garantire un loop democratico, affinché i cambi di governo, i valzer dei nomi, le finte contrapposizioni mantengano sempre gli stessi interessi al potere. È per questo che chiamate riforme le operazioni di tagli alla spesa per pensioni, sanità, scuola, ricerca, università e servizi pubblici, pretendendo poi qualità ed efficienza che mai potremmo avere in questo modo. È come se volessimo insegnare a nuotare a un bambino facendolo allenare in uno stagno che abbiamo preventivamente prosciugato: probabilmente non diventerà né un campione olimpico ne imparerà mai a nuotare. Sotto il nome, anch'esso apparentemente positivo e nobilitante, di tirocinio noi leggiamo l'ennesimo attacco ai diritti e alla dignità del lavoro, mortificante per i giovani in quanto il tirocinio prevede una indennità di 300 euro mensili. Come fate a non provare vergogna nello scrivere queste cose, voi che non riuscite neanche a dimezzare le vostre indennità parlamentari (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) ?
  Ma la vera per la di saggezza, uno dei tanti salti carpiati nel Documento di economia e finanza, la ritroviamo quando, nell'affrontare il tema della disoccupazione giovanile in Italia, si afferma: l'Italia ha bisogno di investire nei suoi talenti e per questo la mobilità sociale e geografica diventano le migliori alleate non solo all'interno del Paese, ma anche e soprattutto nel più ampio orizzonte del mercato del lavoro europeo e globale. Fermo restando che la mobilità sociale è quanto di più auspicabile possa esserci, ci pare di intravedere nell'espressione «mobilità geografica» un invito, neanche troppo celato, ad andare all'estero ed a cercare fuori dell'Italia quell'occupazione che il nostro Paese non può più offrire.
  Mentre si costruisce un castello di carte con le parole, mentre si adoperano tutti gli strumenti della manipolazione per nascondere il corpo del reato, si procede al sistematico smantellamento del settore istruzione, ricerca e cultura per coltivare l'ignoranza, condannando i cittadini alla disoccupazione affinché diventino facile preda del clientelismo, della raccomandazione politica e del ricatto occupazionale, minando le libertà individuali e la costruzione di un pensiero critico e consapevole, tanto indispensabile in una democrazia matura.
  Nel 1990 l'Italia spendeva per la scuola il 10,3 per cento dell'intera spesa pubblica e dopo quasi un ventennio, nel 2008, sono stati sottratti alla scuola 80 miliardi di euro. Ma non bastava. Era necessario sferrare il colpo di grazia e nell'ultima legislatura si sono sottratti alla scuola 7,8 miliardi, personale giovane e di lungo corso ed ore del tempo scuola agli studenti italiani.
  Il Ministro Carrozza ha dichiarato di volere prevedere un piano pluriennale di esaurimento delle graduatorie per eliminare la precarietà dalla scuola, ma nel Documento di economia e finanza il problema del precariato scolastico ed universitario è affrontato molto superficialmente, senza la volontà di pervenire ad una soluzione definitiva. Non si è mai sottolineata a sufficienza con provvedimenti concreti l'importanza che gli investimenti nel settore istruzione, ricerca e cultura avrebbero non soltanto nel contesto sociale, ma anche in quello economico, soprattutto in un'ottica di medio e Pag. 56lungo periodo, perseguendo la qualità ed il raggiungimento degli standard europei.
  Non basta dichiarare che non ci saranno ulteriori tagli. La scarsa attenzione che il DEF riserva alla formazione mirata ad una valorizzazione del nostro ingente patrimonio artistico-culturale è il sintomo di una visione strategica miope, ancorata ancora a modelli economici che negli ultimi decenni, se non ve ne siete accorti, sono entrati in una profonda crisi sistemica, anche perché farciti di corruzione e carrozzoni di enti inutili, se non per gli interessi dei singoli referenti politici.
  La cultura è il nostro patrimonio artistico-culturale, è un traino per uno sviluppo sostenibile ed immateriale, che grazie ad un'alleanza strategica con le nuove tecnologie, con la rete – che voi tanto osteggiate – e con l'informatica, può aprire opportunità di slancio economico mai esplorate.
  Il 2,6 per cento della ricchezza nazionale è prodotta dal settore cultura, il fatturato è di 103 miliardi di euro e sono 150 mila gli occupati del comparto culturale. Nel rapporto Federculture emerge che lo Stato ha ridotto in una decina d'anni gli investimenti per circa 700 milioni di euro.
  Nonostante il nostro Paese abbia il maggior numero di siti dichiarati patrimonio dell'umanità, è solo al ventottesimo posto per competitività nel turismo. Programmare un serio piano di investimenti pluriennali per i beni culturali e adeguate politiche fiscali è la priorità. Inoltre vanno introdotte nuove regolamentazioni sulle licenze d'autore, che diano maggiori opportunità di lavoro e maggiori prodotti e servizi culturali, prendendo atto che la fruizione dei prodotti d'intrattenimento è ormai cambiata nelle abitudini dei cittadini.
  L'ex Presidente del Consiglio Monti nella premessa al DEF scrive: «formazione, ricerca e innovazione sono area di debolezza su cui concentrare gli sforzi». Le solite parole vuote, che non trovano corrispondenza nei fatti.
  Nel DEF si citano i 70 milioni di euro destinati ai progetti di ricerca di rilevante interesse nazionale (bando PRIN) e quelli per i giovani ricercatori (bando FIRB). Peccato che al solito si omette ancora il corpo del reato: un taglio di oltre il 70 per cento delle risorse rispetto a 6-7 anni fa.
  Nel Documento di economia e finanza mancano contenuti volti a risolvere le reali criticità della scuola pubblica alla luce dei pesanti tagli effettuati negli ultimi vent'anni. Mentre accade tutto ciò, dal 2000 al 2007 il finanziamento alle scuole private è triplicato, arrivando a cifre pari a 545 milioni circa, senza contare i fondi stanziati dalle regioni e dagli enti locali per i buoni scuola.
  Immediato deve essere il graduale spostamento delle risorse alla scuola pubblica, bloccando finanziamenti diretti e indiretti alle scuole private. I nostri ragazzi sono in pericolo. Il numero di 1.076 scuole con notevoli difficoltà di bilancio lo riteniamo fortemente sottostimato, considerando che avete continuato ad infierire con ulteriori tagli al Fondo MOF, fino al 2015.
  Si osserva, inoltre, che nel breve accenno che si fa alle misure adottate per la riqualificazione e l'efficientamento energetico degli edifici scolastici pubblici, nulla riguarda la messa in sicurezza delle infrastrutture a rischio sismico ed idrogeologico né l'adeguamento dei locali alle norme di sicurezza. Ma gli studenti sono in pericolo anche a causa di un fondo integrativo per il diritto allo studio che non viene stabilizzato, che resta insufficiente, che ha meccanismi restrittivi di definizione degli idonei.
  Il Presidente Letta nel suo discorso per la fiducia ha ripetuto la parola «giovani» per ben 14 volte. Alla luce dei fatti è stato solo un mero esercizio di retorica (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione...

  LUIGI GALLO. Mi scusi, Presidente, non ho concluso...

  PRESIDENTE. Mi scusi, aveva finito il tempo, però. La prego di concludere.

Pag. 57

  LUIGI GALLO. Concludo, signor Presidente. Con decreto ministeriale del 3 ottobre 2012 è stato varato un programma di edilizia scolastica che riguarda 989 edifici per un costo stimato complessivo di 111 milioni e 800 mila euro. Bene, si direbbe, se non fosse un programma ostaggio delle politiche di «rapina» al sud e alle isole – che in questi anni sono state foraggiate dalla Lega – che hanno ricevuto con questo decreto, isole e sud, appena il 3 per cento delle risorse. Si esprime forte disappunto sulle modalità di assegnazione dei fondi ai vari istituti, improntate sulla premialità nei confronti degli enti locali più efficienti e tempestivi, in luogo dell'effettiva gravità delle condizioni delle strutture. I cittadini non possono pagare per l'incapacità o l'inettitudine degli amministratori locali. Questa storia deve finire ! Bisogna inserire il principio di responsabilità economica di chi amministra. Le colpe dei politici non devono cadere più sulle spalle dei cittadini. Vogliamo una crescita qualitativa per i cittadini e per gli equilibri sociali ed ambientali, per la felicità della comunità, per la cultura di questo Paese. Dobbiamo decidere che direzione debba prendere il Paese: se vogliamo, in un'economia globale, competere spietatamente al ribasso sul tema dei diritti del lavoro, della deflazione salariale, dell'attacco all'ecosistema e ai beni comuni, come state facendo da anni con gli evidenti risultati, o competere investendo in innovazione, ricerca, formazione e cultura, come vuole il MoVimento 5 Stelle con la sua risoluzione di minoranza che domani vi invito a votare (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. Mi scuso, ma avevo interpretato l'applauso come una conclusione.
  Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione.

(Risoluzioni – Doc. LVII, n. 1)

  PRESIDENTE. Avverto che sono state presentate le risoluzioni Migliore ed altri n. 6-00004, Lombardi ed altri n. 6-00005, Speranza, Brunetta, Dellai e Pisicchio n. 6-00006, che sono in distribuzione (Vedi l'allegato ADoc. LVII, n. 1).

(Repliche dei relatori e del Governo – Doc. LVII, n. 1)

  PRESIDENTE. Il relatore di minoranza, deputato Sebastiano Barbanti, ha comunicato alla Presidenza che non intende intervenire in sede di replica.
  Ha facoltà di replicare il relatore per la maggioranza, onorevole Giampaolo Galli.

  GIAMPAOLO GALLI, Relatore per la maggioranza. Signor Presidente, molto brevemente ringrazio il Ministro Saccomanni per la sua presenza in Aula e il Viceministro Fassina. Non c’è modo di fare giustizia a questo dibattito molto ricco che c’è stato su un documento che peraltro non poteva e comunque non contiene quei progetti per la crescita, per gli investimenti, per l'occupazione che questa Aula ritiene necessari assieme e che noi riteniamo necessari assieme alle politiche di disciplina e di rigore del bilancio pubblico.
  Credo che – non possiamo che ribadirlo – il Parlamento debba impegnare il Governo a presentare al Consiglio europeo e alla Commissione europea il programma di stabilità e il programma nazionale di riforme, ma nell'ottica di assumere tutte le iniziative necessarie per far sì che vi sia una positiva conclusione della procedura di disavanzo eccessivo. In secondo luogo, noi riteniamo necessario e opportuno invitare il Governo a riconsiderare in tempi brevi l'intero quadro, soprattutto per quello che riguarda le riforme per la crescita, nel rispetto degli impegni europei e, per quanto riguarda i saldi di bilancio, individuando interventi prioritari e linee programmatiche lungo le linee già indicate dal Presidente del Consiglio dei ministri nelle sue comunicazioni alla Camera e sottoponendo tempestivamente tali nuovi indirizzi all'approvazione del Parlamento e, quindi, nuovamente alle istituzioni europee, al Consiglio europeo e alla Commissione europea.

Pag. 58

  PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore per la maggioranza, deputato Maurizio Bernardo.

  MAURIZIO BERNARDO, Relatore per la maggioranza. Signor Presidente, vorrei ringraziare anche il sottosegretario Baretta, che è stato altrettanto presente. Ci siamo messi d'accordo con l'onorevole Galli che lui avrebbe speso le parole per il Ministro e il Viceministro e io nei riguardi del sottosegretario Baretta, che conosco da tanti anni. Questa è la parte anche in funzione della rappresentatività delle formazioni a cui apparteniamo. Mi sono permesso di fare questa battuta per dire, con riferimento a ciò che ha affermato l'onorevole Galli, rispetto anche alle considerazioni, che abbiamo ascoltato questa sera, dei diversi colleghi che si sono succeduti, su argomenti certamente importanti e che riguardano il rilancio del Paese, che siamo convinti tutti. Come sappiamo, c'era una scadenza, per quanto non fosse di tipo ordinatorio, da parte dell'Europa nel provvedere ad approvare il Documento di economia e finanza, a mantenerlo in buona sostanza rispetto al Governo precedente; siamo in attesa di arrivare a scoprire, anche se gli elementi ci portano a pensare in positivo, che si arrivi alla chiusura dell'infrazione che riguarda il nostro Paese e ciò, qualora accadesse, sarebbe un merito che, io credo, va riconosciuto ai Governi precedenti. Pertanto, secondo me, dagli spunti offerti, e concludo, da quello anche dichiarato dal Presidente Letta e dalla maggioranza che sostiene questo Governo, sono convinto che, attraverso gli spunti e gli stimoli che sono venuti qui oggi, avremo modo di confrontarci e di dare risposte opportune e necessarie su argomenti davvero delicati. È per questo che andiamo in questa direzione, con l'impegno, da parte di ognuno di noi e di ogni formazione a cui apparteniamo, di entrare nel merito del programma nazionale di riforme che vada in questa direzione.

  PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il Ministro Saccomanni.
  Poiché, a norma dell'articolo 118-bis, comma 2, del Regolamento, si vota per prima la risoluzione accettata dal Governo, invito il rappresentante del Governo a dichiarare anche quale risoluzione intenda accettare. Ricordo che, in caso di approvazione della risoluzione accettata dal Governo, risulteranno precluse le altre risoluzioni presentate.

  FABRIZIO SACCOMANNI, Ministro dell'economia e delle finanze. Signor Presidente, mi scuso, prima di tutto, per essermi allontanato per parte del dibattito, perché, all'inizio del dibattito su questo Documento di economia e finanza, mi sono recato al Senato. Comunque, ho partecipato a gran parte del dibattito iniziale e sono al corrente delle proposte che sono state formulate, delle osservazioni. Devo dire che si è trattato di un dibattito estremamente ricco e stimolante e tutte le osservazioni e i suggerimenti che sono stati formulati saranno attentamente vagliati dal Governo e da me personalmente. Io credo che c’è sicuramente nelle finalità forse un consenso maggiore di quello che può apparire dal dibattito; naturalmente ci possono essere differenze riguardo ai tempi e ai modi dell'azione, che sono necessari per affrontare i gravi problemi che l'economia italiana e la società italiana devono affrontare.
  Parlando di tempi e di modi, direi che, come è stato affermato chiaramente dai relatori di maggioranza, Bernardo e Galli, ci troviamo in sostanza a chiedere al Parlamento di approvare una procedura in due tempi. Il primo tempo è quello dell'uscita dell'Italia dalla procedura di disavanzo eccessivo. Il secondo tempo è la predisposizione di una nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza che recepisca le linee programmatiche indicate dal Presidente del Consiglio nel discorso su cui ha ottenuto la fiducia del Parlamento. Naturalmente, in quel discorso sono indicate esigenze che richiedono azioni immediate per fronteggiare situazioni di emergenza, che non ho bisogno di ricordare qui, ma anche azioni di medio e lungo periodo che, naturalmente, Pag. 59implicano un'azione di riforma di carattere strutturale e che speriamo di avere il tempo di portare avanti. Quindi, da questo punto di vista, il DEF non è un documento privo di senso o di significato. La sua approvazione oggi fa fare un passo importante per la chiusura della procedura di disavanzo effettivo perché potrà essere presentato all'Unione europea, alla Commissione, con il testo della risoluzione che spero che il Parlamento approvi e, quindi, ciò ci consente di affrontare con maggiore fiducia la seconda fase dell'azione di Governo di cui daremo conto al Parlamento con la nota di aggiornamento.
  Detto tutto ciò brevemente, posso dire che il Governo accetta la risoluzione Speranza n. 6-00006.

  PRESIDENTE. Interrompiamo a questo punto l'esame del Documento di economia e finanza che riprenderà nella seduta di domani, martedì 7 maggio, a partire dalle ore 17 per lo svolgimento delle dichiarazioni di voto e della votazione sulla risoluzione accettata dal Governo.

Sui lavori della Camera.

  PRESIDENTE. Comunico che nell'odierna riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo, si è unanimemente convenuto che il disegno di legge n. 676 – Conversione in legge del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, recante disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali (da inviare al Senato – scadenza: 7 giugno 2013) sarà assegnato, in sede referente, alla Commissione bilancio oltre che alle Commissioni competenti per l'espressione del parere ed al Comitato per la legislazione, che si costituiranno nella giornata di domani. Conseguentemente viene meno la competenza della Commissione speciale.
  L'esame in Aula del citato disegno di legge avrà luogo a partire da martedì 14 maggio, anziché da lunedì 13 maggio come originariamente previsto.
  Le Commissioni competenti in sede consultiva dovranno esprimersi entro giovedì 9 maggio, alle ore 14. La Commissione bilancio dovrà concluderne l'esame entro lunedì 13 maggio.

Su un lutto del deputato Marco Miccoli.

  PRESIDENTE. Comunico che il collega Marco Miccoli è stato colpito da un grave lutto: la perdita della madre.
  Al collega la Presidenza della Camera ha già fatto pervenire le espressioni della più sentita partecipazione al suo dolore, che desidera ora rinnovare anche a nome dell'Assemblea.

Sull'ordine dei lavori (19,20).

  FRANCESCA BUSINAROLO. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  FRANCESCA BUSINAROLO. Gentile Presidente, gentili colleghi deputati, voglio ricordare che il giorno 30 aprile 2008, nella città di Verona, venne brutalmente ucciso Nicola Tommasoli, dalla cui morte sono ormai passati cinque anni. Nicola Tommasoli viveva a Santa Maria di Negrar, un paese vicino a Verona, faceva il grafico e aveva solo 29 anni. Venne ucciso, picchiato a morte in un vicoletto, vicino a Porta Leoni, nel centro storico di Verona, a meno di un chilometro in linea d'aria dall'Arena. Venne ucciso, per mano di cinque giovanissimi ai quali era stata rifiutata una sigaretta dalla stessa vittima. Oggi una lapide commemorativa di freddo marmo è l'unico segno di quanto è successo. Il comune ha fatto ripulire l'area dai fiori, dai messaggi e degli oggetti che tanti cittadini avevano lasciato come segno di partecipazione.
  In un clima di tensione sociale che ci turba notevolmente, chiediamo con forza che venga ricordato Nicola e tutti coloro che sono vittime quotidiane di una violenza mai giustificabile, vittime del concetto Pag. 60che il più forte ha il diritto di ferirti o addirittura di ucciderti. Siamo vicini alle famiglie in qualsiasi di questi tristi anniversari. Sosteniamo le forze dell'ordine che vigilano affinché questi episodi non si verifichino più. Al fine di continuare a tenere alta la guardia e a dare delle risposte immediate ad episodi come questi, è necessario cambiare in meglio la nostra società con il contributo e lo sforzo di tutte le parti politiche qui rappresentate. È morto un ragazzo giovanissimo e normalissimo direi anche, un giovane come tanti altri, un lavoratore e tutti i parlamentari del MoVimento 5 Stelle vogliono ricordare Nicola. Non dobbiamo dimenticare, ma richiamare alla memoria che solo un Paese civile, sicuro ed onesto potrà garantire un futuro dignitoso agli italiani (Applausi).

  PRESIDENTE. Ci associamo ovviamente come Presidenza a questo ricordo.

  DONATELLA AGOSTINELLI. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  DONATELLA AGOSTINELLI. Signor Presidente, colleghi deputati, il 9 maggio ricorreranno 2 anniversari. Ricordiamo, infatti, il 9 maggio del 1978 per l'omicidio di Aldo Moro e per l'omicidio di Giuseppe Impastato, meglio conosciuto con il nome di Peppino. L'assassinio dell'allora presidente della Democrazia Cristiana, da un lato, e l'assassinio di un giovane giornalista e militante di Democrazia Proletaria. Brigate Rosse da una parte, mafia dall'altra. Il corpo del primo fu trovato a Roma chiuso nel retro di un'auto, il secondo a Cinisi, Palermo, a brandelli, dilaniato da un'esplosione nei pressi dei binari della locale ferrovia. Vorrei in particolare oggi ricordare quest'ultima storia spesso passata in secondo piano, consumatasi senza il clamore dei fotografi se non addirittura offuscata da dicerie e congetture artatamente costruite, se è vero com’è vero che secondo la gente era morto pure quel terrorista comunista che la stava piazzando la bomba e che gli inquirenti allora decisero che quell'Impastato si era suicidato in un attentato. Peppino invece fu ucciso dalla mafia, quella mafia a cui era legata anche la sua stessa famiglia e che egli aveva combattuto con forti denunce dal tono sarcastico attraverso le frequenze di Radio Aut, emittente da lui stesso fondata nel 1976 e dalla quale condannava con coraggio gli affari sporchi delle cosche di Cinisi agli ordini del boss Gaetano Badalamenti ridicolizzando i personaggi espressione della commistione politico-mafiosa del suo paese. Solo nel 2002 Badalamenti viene condannato all'ergastolo per essere stato mandante dell'omicidio.
  Il nostro pensiero va anche alla coraggiosa madre Felicia e, con lei, a tutte le madri che dedicano la propria vita a difendere strenuamente il ricordo di un figlio. Noi del MoVimento 5 Stelle che nella figura di Peppino e nel suo coraggio troviamo esempio ne terremo vivo il ricordo, non solo perché siamo i rappresentanti di una comunità, ma in primo luogo perché siamo persone. Come lui non ci abitueremo all'omertà, agli intrecci politico-mafiosi e, soprattutto, a certa mafiosità nei comportamenti. Dobbiamo ribellarci prima di abituarci alle loro facce, prima di non accorgerci più di niente perché la mafia uccide, ma anche il silenzio, diceva Peppino. E vogliamo ricordarlo con le sue stesse parole sulla bellezza intesa in senso sostanziale, come un diverso modo per vedere le cose e per capire la realtà: «Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un'arma contro la rassegnazione, la paura e l'omertà». Grazie Peppino (Applausi).

  PRESIDENTE. L'applauso dei colleghi presenti credo sia sufficientemente indicativo della condivisione del ricordo che è stato fatto dalla deputata Agostinelli.

  CLAUDIA MANNINO. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

Pag. 61

  CLAUDIA MANNINO. Signor Presidente, colleghi deputati, signori Ministri, il MoVimento 5 Stelle oggi vuole dare un ultimo saluto ad una donna che ieri ci ha lasciato: Agnese Piraino Leto in Borsellino (Applausi). Una donna che nella sua vita ha sempre lottato a fianco del marito e, dopo la sua morte, nella ricerca della verità. Ci chiediamo oggi, a distanza di quasi ventuno anni, come sia possibile che anche questa ulteriore strage di Stato resti senza colpevoli, al di fuori di meri esecutori materiali.
  La vita e la morte di Agnese Borsellino, la sua ricerca per la verità sono uno schiaffo in faccia ai tanti sepolcri imbiancati che continuano a frequentare le Aule parlamentari e a condizionare la vita politica di questo Paese. Luciano Violante, Nicola Mancino, Luigi De Sena, protagonisti di amnesie ventennali: mentre in pubblico si manifestano come eroi dell'antimafia, oggi sono pronti a commemorarla, mentre, invece, i magistrati di Caltanissetta, che stanno faticosamente ricostruendo una verità difficile, ne sottolineano la mancanza di nitidezza, le contraddizioni e, nel caso di Luigi De Sena, già vicepresidente della Commissione antimafia, del tradimento delle aspettative dei giudici in termini di chiarezza sulle vicende legate alla strage di via d'Amelio.
  Ma oggi ricordiamo Agnese Borsellino, che ha fatto della sobrietà la linea guida della sua vita. Quindi, vorremmo concludere il nostro saluto con le parole di Agnese, che ricordano Paolo, e ci auguriamo che siano quotidianamente da monito sia per lo Stato sia per tutti noi. Agnese diceva: «Io e i miei figli siamo rimasti quello che eravamo. E io sono orgogliosa che tutti e tre abbiano percorso le loro strade senza trarre alcun beneficio dal nome pesante del padre. Di questo siamo grati a Paolo. Ci ha lasciato una grande lezione civile. Diceva che chiedere un favore vuol dire diventare debitore di chi te lo concede. Era così rigoroso e attento al senso del dovere che, alla fine della giornata, si chiedeva: ho meritato oggi lo stipendio dello Stato ?» (Applausi)

  WALTER RIZZETTO. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  WALTER RIZZETTO. Signor Presidente, gentili colleghi, pochi intimi, se devo dire la verità, la nuova formazione di Governo non ha ancora mosso i primi passi e siamo già qui a dover riprendere e sottolineare alcune dichiarazioni di intenti fatte a mezzo radio, per poi essere riportate dalla stampa, dal nuovo Ministro dello sviluppo economico, Zanonato Flavio.
  Il Ministro ha infatti dichiarato, in maniera a nostro avviso inappropriata, ad una trasmissione radiofonica che: «L'energia nucleare è una forma di energia, se si può gestire non è sbagliata di per sé». Ricordiamo al Ministro del Governo che durante i referendum abrogativi del 12 e 13 giugno 2011, circa 25 milioni e 600 mila italiani hanno votato «sì» all'abrogazione delle nuove norme (Applausi dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle e Sinistra Ecologia Libertà) che consentono la produzione nel territorio nazionale di energia elettrica nucleare. Chiediamo, quindi, a gran forza di rispettare la volontà popolare e di non fare dichiarazioni che, anche se in parte, riportino il tema sotto i riflettori. Il capitolo «energia nucleare» è infatti chiuso, almeno in questo Paese.
  All'avvio dei lavori del Ministero di sua pertinenza ci aspettavamo un incipit del tutto differente e vogliamo altresì ricordare a lei, Presidente, al Ministro Zanonato e ai gentili colleghi, quanto sia devastante l'utilizzo delle energie nucleari in termini di gestione dei costi...

  PRESIDENTE. Deputato Rizzetto, mi scusi. L'argomento da lei trattato è materia tipicamente di un'iniziativa di sindacato ispettivo. Prima che altri colleghi, che già vedo che mi guardano, me lo facciano notare, io sono costretta a dirle che questa non è una materia da trattare sull'ordine dei lavori. Quindi, la prego di chiudere l'intervento e di non ripetere...

  WALTER RIZZETTO. La ringrazio, procederemo a questo punto con un'interpellanza.Pag. 62
  Chiudo il mio intervento ricordando che oggi è il trentasettesimo anniversario del terremoto in Friuli.
  Con i suoi 4.827 chilometri è stato territorialmente il più vasto terremoto che sia mai avvenuto entro i confini dello Stato italiano, con 989 morti, 3.500 feriti, 100 mila senza tetto. Per noi friulani è molto importante ricordarlo. Onore, quindi, al popolo friulano e anche a tutti i popoli che hanno subito terremoti a tutti gli effetti e che, asciugata ogni lacrima e rimboccate le maniche, hanno voluto risorgere a tutti i costi (Applausi dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle e Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. Prima di dare la parola alla prossima deputata che ne ha fatto richiesta, vorrei ricordare che l'argomento degli interventi sull'ordine dei lavori è stato oggetto di una riflessione in sede di Conferenza dei presidenti di gruppo. Si è convenuto, con tutti i presidenti di gruppo presenti e consapevoli, che per mantenere questo diritto dei deputati e delle deputate, è bene che le questioni trattate siano effettivamente questioni da ordine dei lavori. Abbiamo escluso, come sanno bene i colleghi presidenti di gruppo, misure restrittive nel tempo e nelle modalità purché, appunto, le materie trattate siano tipicamente quelle dell'ordine dei lavori.

  GIULIA DI VITA. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  GIULIA DI VITA. Signor Presidente, mi sarebbe piaciuto parlare a tutti i colleghi deputati, ma evidentemente non è stato possibile. Abbiamo assistito con angoscia in questi ultimi giorni ad avvenimenti tragici, quali il femminicidio di tre giovani donne in sole ventiquattr'ore: un bollettino di guerra. Vogliamo innanzitutto stringerci attorno alle famiglie di Ilaria Leone, Chiara Divita, Alessandra Iacullo, Michela Fioretti, e di tutte le donne vittime di violenza che oggi sono in pericolo di vita. È a loro che va la nostra preoccupazione. Abbiamo appreso positivamente, nella scorsa seduta, la volontà da parte delle forze politiche di questo Parlamento e l'invito della Presidenza nella stessa direzione, di procedere con urgenza alla ratifica della Convenzione di Istanbul per il contrasto alla violenza sulle donne, ma questo non è che il primo passo. Il nostro Paese ha per troppo tempo sottovalutato il fenomeno, nonostante le sollecitazioni giunte perfino da parte dell'ONU, ed oggi ne paghiamo le amare conseguenze.
  La Convenzione di Istanbul prevede importanti misure di prevenzione, tutela e contrasto, da attuare al più presto. Non vorremmo ritrovarci di qui a poco davanti ad uno dei soliti fenomeni a cui gli italiani si sono abituati, ovvero ottenere adeguate normative, a volte all'avanguardia, che rimangono poi sulla carta. Non vorremmo, infatti, andare incontro allo stesso destino, ad esempio, della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, ratificata dall'Italia nel 2009, ma attuata ad oggi parzialmente e con risultati di molto al di sotto delle aspettative.
  Pertanto, auspichiamo che l'unione di intenti manifestata in quest'Aula possa perdurare fino all'adeguata attuazione dei propositi europei e al loro stesso superamento. Ciò si potrà ottenere soltanto ascoltando e coinvolgendo la società civile e le organizzazioni impegnate in prima linea a tutela delle donne e che fino ad oggi hanno colmato le lacune di uno Stato troppo assente. Infine, ci preme sottolineare che il fenomeno della violenza sulle donne non è una questione prettamente femminile: sono anche gli uomini, di questo Parlamento in primis, chiamati a farsene carico in nome di tutti gli uomini di questo Paese, degni compagni di vita, padri, fratelli, figli, amici, puntualmente mortificati da quegli stessi atti di violenza e a cui va la nostra piena solidarietà. Riteniamo, infatti, che solo dalla ricostruzione del rapporto uomo-donna possa rinascere quel senso di comunità che potrà essere, se noi lo vorremo, più efficace di qualunque legge (Applausi).

  ETTORE ROSATO. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

Pag. 63

  ETTORE ROSATO. Signor Presidente, oltre a rimarcare l'esigenza che tutti noi abbiamo, anche perché ho sentito degli interventi pregevoli da parte dei colleghi del gruppo MoVimento 5 Stelle, che hanno avuto anche il nostro applauso, di normare questa parte della seduta – credo di averlo detto in ogni occasione in cui siamo intervenuti e quindi mi appello alla decisione della Presidenza della Camera per fare un approfondimento su come vogliamo gestire quest'ora, affinché non diventi un'ora di dialogo libero –, intervengo per un richiamo ai sensi del Regolamento, adesso che abbiamo un Governo nuovo, rispetto a delle interrogazioni che ho presentato, naturalmente, in altri momenti.
  Abbiamo un Governo a pieno titolo, nel pieno dei suoi poteri; e intervengo per chiedere che vi sia una risposta urgente su temi che sono di particolare interesse in relazione a centinaia e migliaia di giovani che hanno vinto concorsi pubblici, in particolare nelle forze di polizia. Ricordo il concorso a 1886 posti di carabiniere, quello a 490 posti di maresciallo, ma anche quelli dei vigili del fuoco, della Guardia di finanza, dei poliziotti, dei VFP, cioè i militari volontari in ferma prefissata, che attendono di sapere se cominceranno a prendere servizio. In questi mesi di vacanza, dopo una lunga, lunghissima fase di silenzio del Governo Monti, dopo i tagli del Governo precedente, adesso aspettano che da parte di questo Governo vi sia una risposta certa. La pregherei quindi di chiedere al Governo di dare risposta ai numerosi documenti di sindacato ispettivo, che non solo, io ma tanti altri colleghi, abbiamo presentato sull'argomento (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  EMANUELE FIANO. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  EMANUELE FIANO. Signor Presidente, innanzi tutto il mio pensiero commosso va, nel giorno dei funerali di Agnese Borsellino, a questa figura di donna, che negli anni successivi all'assassinio di suo marito è sempre stata presente, però senza clamore, nel dibattito italiano sulle stragi e sui fatti di mafia. E contemporaneamente, oltre che a lei, il mio pensiero va a tutte le vittime a vario titolo, in questi decenni, della violenza della mafia, a tutti coloro che ancora, insieme a noi, non hanno conosciuto una verità definitiva sui mandanti e sugli assassini di quei terribili episodi, su quelle terribili pagine della nostra storia. E siccome ho sentito dalle parole di una collega che ha parlato prima citando anche esponenti del mio partito, che sarebbero tra coloro che invece non avrebbero ricercato la verità, ho voluto ribadire in Aula, con assoluta certezza, che questa verità noi la vogliamo tutta tutti fino in fondo, senza veli.
  Il secondo punto che volevo citare e sollevare nell'ordine dei lavori, come già in altri anni, è il seguente: il 29 aprile di tutti gli anni a Milano si commemora un barbaro omicidio, quello di Sergio Ramelli, che era un esponente del Fronte della gioventù, organizzazione giovanile del Movimento sociale italiano, ucciso a colpi di chiave inglese da un nucleo della sinistra extraparlamentare milanese nel 1975; un omicidio barbaro che non può non essere da tutti noi insieme condannato senza nessun tipo di sconto.
  E pur tuttavia devo rimarcare che da diversi anni tale cerimonia di commemorazione nella città di Milano si svolge con una parata militare, sostanzialmente, di molti gruppi ed esponenti dell'estrema destra italiana: una parata come se fossimo negli anni venti in Italia o negli anni trenta in Germania, addobbata con bandiere, con croci celtiche, centinaia e centinaia di saluti romani.
  Quest'anno, in particolare, ha partecipato a tale cerimonia un consigliere provinciale di Milano, Massimo Turci, già capogruppo del Popolo della libertà nel consiglio provinciale di Milano, appartenente adesso al gruppo dei Fratelli d'Italia, presidente della Commissione antimafia del consiglio provinciale di Milano. È lui che ha guidato l'organizzazione di questa marcia, che ha scandito il ritmo di questa marcia paramilitare e, secondo me, parafascista. Pag. 64Le cronache riportano che abbia detto (così affermano i giornali): «Camerati, noi abbiamo la capacità di resistere perché dal 1946 ad oggi siamo qui e siamo molti, ci siamo sempre: anche se cercano di fermarci con le botte, con le pistole, con le chiavi inglesi, con la stampa, con la legge, noi siamo qui». Il tutto scandito da numerosissimi saluti romani da lui guidati, e da molte bandiere che recano i simboli cari all'iconografia fascista del passato e del presente, che non è diversa, come qualcuno in Aula aveva detto.
  Chiedo al Governo di sapere se questo tipo di manifestazioni, se questo tipo di espressioni, se questo tipo di iconografia rispetti la XII Disposizione transitoria e finale della nostra Costituzione, che vieta la ricostituzione del partito fascista. Io penso che la calpesti (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, MoVimento 5 Stelle e Scelta Civica per l'Italia).

  PRESIDENTE. Naturalmente, anche per questo tema così importante è possibile interpellare il Governo attraverso atti di sindacato ispettivo.

  ROCCO BUTTIGLIONE. Signor Presidente, volevo semplicemente fare un richiamo al Regolamento e lei lo ha anticipato saggiamente con le cose che ha detto.
  Tuttavia, visto che ho la parola, vorrei ricordare che non è un reato avere un'opinione diversa da quella che ha ottenuto la maggioranza in un referendum e che dichiarare che l'energia nucleare è energia, è una cosa di una banalità sconcertante e, se questa energia potesse essere impiegata in condizioni di sicurezza, sarebbe una buona cosa poterla impiegare. Non mi pare che questo contraddica il risultato del referendum.
  Vorrei ricordare che esistono diversi tipi di energia nucleare e che si parla di una terza e di una quarta generazione di reattori nucleari. Vorrei ricordare che un grande scienziato italiano, il professor Rubbia, sta lavorando ai reattori al torio, che da tutti gli esperti del settore sono considerati sicurissimi e producono energia nucleare. Vorrei invitare a non demonizzare in modo improprio scelte complesse e difficili, le quali andrebbero affrontate con la necessaria preparazione e il necessario rispetto.

  PRESIDENTE. Mi permetto di dire al collega Buttiglione che, avendo fatto un richiamo al Regolamento, rischia di aprire lui un dibattito di merito, e non è questa la sede per aprire un dibattito di merito (Applausi dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle e Sinistra Ecologia Libertà) su una questione che è stata toccata e che io ho provveduto a ricordare al collega – mi pare Rizzetto – che poteva essere oggetto di un atto di sindacato ispettivo.
  Quindi, chiederei ai colleghi che avevano chiesto di parlare – se questo era il tema – di evitarlo perché concordo che non è questa la sede per una discussione sulla materia specifica.

  ANGELO TOFALO. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  ANGELO TOFALO. Signor Presidente, vorrei che fosse messo a verbale che è inaccettabile la richiesta del collega Rosato, perché è un limite alla democrazia, quindi se ha impegni, se ha cene, partite di calcetto, o di tennis, può anche andare via (Commenti dei deputati del gruppo Partito Democratico). Qui c’è un dibattito aperto. Questa è l'Aula, è la democrazia...

  PRESIDENTE. Deputato Tofalo, per favore. Non c’è bisogno di fare un dialogo. Lei parli con la Presidenza.

  ANGELO TOFALO. Signor Presidente, allora si rivolga al suo collega Rosato per riferire quanto ho detto e, soprattutto, quando gli altri colleghi parlano, chiunque sia, è inutile che vada in giro e stia al telefono: è quello che più disturba in Aula. Quindi, lo richiamo io ad un comportamento consono.

  PRESIDENTE. Deputato Tofalo, l'espressione delle opinioni in quest'Aula è Pag. 65garantita, per lei, come per il collega Rosato, che adesso ha chiesto la parola, immagino per fatto personale. Ne ha facoltà.

  ETTORE ROSATO. Signor Presidente, lo faccio con un po’ di amarezza perché io cerco di svolgere il mio lavoro nel rispetto degli altri gruppi, in particolare dei colleghi del MoVimento 5 Stelle. Credo che chi sta in quest'Aula abbia la cognizione chiara che il rispetto del Regolamento non aiuta solo me. Io non ho cene, non ho pranzi, sono qui volentieri, vi ascolto anche nei vostri interventi, come ascolto tutti i colleghi, apprezzo alcune cose, altre non le apprezzo, ma credo che il rispetto delle regole non stia nel vantaggio di una o dell'altra parte, ma stia nel vantaggio di tutti.
  Il normare e il rispettare quello che ci siamo sempre dati come regolamento rispetto all'utilizzo dell'ultima fase della seduta e l'utilizzarla in maniera conscia e utile è, secondo me, un punto di evidente equilibrio che sta anche nei rapporti tra maggioranza e opposizione.
  Come ho dimostrato anch'io, la fase finale della seduta può essere utile per richiamare atti di sindacato ispettivo a cui il Governo non dà risposta – e credo che questo Governo sarà come gli altri, che non brillerà per le risposte che arriveranno – può essere utile (come è stato fatto dal nostro gruppo e dal vostro gruppo) per commemorare momenti e fatti che risultano importanti, ma non può esser utilizzato per il nostro Regolamento – non per la volontà di Rosato – per fare il libero dibattito. Io ho richiamato la Presidenza al fatto che si affermi questo principio.
  Dopo di che, se lei vuole trasferire sul piano personale contro di me questa discussione, io non partecipo al suo gioco. Ritengo invece che sia utile che noi facciamo rispettare le regole perché, dalle regole, deriva una migliore qualità del lavoro di tutti quanti noi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È evidente che tutto il dibattito che si è svolto questa sera era nell'ambito del Regolamento, con tutte le sottolineature che sono state qui ricordate.

Ordine del giorno della seduta di domani.

  PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

  Martedì 7 maggio 2013, alle 17:
  Seguito della discussione del Documento di economia e finanza 2013 (doc. LVII, n. 1).

  La seduta termina alle 19,50.

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