MESSINA, DONADI, DI PIETRO, LEOLUCA ORLANDO, EVANGELISTI, BORGHESI, FAVIA, PALOMBA, DI STANISLAO, CAMBURSANO, BARBATO, ZAZZERA, PIFFARI, MONAI, CIMADORO, PALADINI, ANIELLO FORMISANO, MURA, PALAGIANO, DI GIUSEPPE, ROTA e PORCINO. -
Al Ministro dello sviluppo economico.
- Per sapere - premesso che:
sono state raccolte milioni di firme di cittadini da parte dei comitati che hanno promosso i quesiti referendari contro il nucleare, per l'acqua pubblica e per una legge uguale per tutti senza privilegi per la casta;
il Governo, ad avviso degli interroganti, ha tentato nei fatti in tutti i modi di ostacolare l'espressione della volontà dei cittadini tramite i referendum;
dopo che la Corte di Cassazione ha dato il via libera ai referendum, il Governo ha rifiutato di riunire in un unico giorno, l'election day, le elezioni amministrative con la consultazione referendaria, con un aggravio per la finanza pubblica di 300-400 milioni di euro che si potevano in tal modo risparmiare, ed ha rinviato il voto sui quesiti referendari all'ultimo week-end previsto dalla legge, il tutto al fine di rendere più difficile il raggiungimento del quorum per la validità della consultazione referendaria stessa;
il Governo ha poi provato ad evitare che si tenesse la consultazione referendaria in relazione ad almeno uno dei quesiti referendari, quello relativo al nucleare - il più sentito dall'opinione pubblica dopo il grave incidente alla centrale nucleare di Fukushima in Giappone - prima con una moratoria di un anno per l'attuazione del programma nucleare, poi con l'abrogazione rivelatasi, ad avviso degli interroganti, fittizia delle norme che reintroducevano la produzione di energia nucleare in Italia impedita nel nostro Paese dal referendum del 1987;
il Governo si è così spinto fino a promuovere una clamorosa abrogazione, con voto di fiducia, delle stesse norme che aveva fatto approvare nel 2009, sempre con voto di fiducia, con l'obiettivo di riportare il «nucleare» in Italia. La legge fatta approvare nel 2009 dal Governo aveva tentato di costringere le regioni ad accettare le centrali nucleari comunque, aveva cancellato ogni ruolo dei comuni e delle popolazioni locali ed aveva previsto la militarizzazione dei siti prescelti per evitare sul nascere, ad avviso degli interroganti, ogni forma di controllo democratico;
il ritorno al «nucleare» era stato pubblicizzato dal Governo come una scelta storica, una svolta. Eppure, anche la stragrande maggioranza dei candidati del centrodestra alle regionali del 2010 ha dichiarato che nel suo territorio non voleva centrali. Dopo Fukushima il peso dei contrari è ulteriormente cresciuto, come conferma il risultato del referendum in Sardegna (60 per cento di votanti e oltre il 97 per cento di contrari al nucleare);
senza dimenticare che proprio questo Governo, a giudizio degli interroganti, ha messo in difficoltà il settore delle fonti rinnovabili con l'inaccettabile decreto che ha emanato a marzo 2011 e non sufficientemente corretto con l'ultimo. Un settore che stava andando bene e recuperando ritardi è stato messo seriamente in difficoltà con una scelta, secondo gli interroganti, poco responsabile;
quello che agli interroganti appare un maldestro tentativo di fingere di abbandonare il «nucleare», tenendosi aperta una strada per tornare al «nucleare» in futuro, una volta calmate le acque, è stato respinto dalla stessa Corte di Cassazione che il 1
o giugno 2011 ha opportunamente trasferito il quesito sui commi 1 e 8 dell'articolo 5 del decreto-legge n. 34 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 75 del 2011;
in particolare, scrive la Suprema Corte, l'articolo 5, comma 1, del cosiddetto decreto-legge «omnibus» apre «nell'immediato al nucleare (solo apparentemente cancellato dalle dichiarate abbreviazioni contenute in un provvedimento che completa le sue stesse previsioni abrogative con una nuova disciplina che conserva e anzi amplia le prospettive e i modi di ricorso alle fonti nucleari di produzione energetica)»;
nelle dieci pagine di motivazione depositate all'ufficio centrale per il referendum i giudici sottolineano che sempre all'articolo 5 «la norma pone in essere il meccanismo di temporanea sospensione» che è in realtà «regolativa di un rinvio (non di una abrogazione o eliminazione della scelta nucleare) libero da qualsiasi vincolo temporale e rimette la ripresa del nucleare secondo quanto si afferma nel successivo comma 8 dell'articolo 5 ad un provvedimento adottabile dal Consiglio dei ministri entro il termine di 12 mesi. L'espressione »entro 12 mesi« è spazio di tempo che non a caso ripropone il tempo di moratoria contemplato dal decreto-legge modificato, rivelando con ciò una costanza di intenti energetici nuclearisti e di tempi di loro realizzazione»;
in altre parole con il decreto-legge «omnibus» convertito in legge «non si espunge il nucleare dalle scelte energetiche nuovamente disciplinate, che era e resta obiettivo della richiesta di referendum». Inoltre, sottolineano ancora i giudici: «Il riferimento generico, da parte del legislatore, alla necessità di diversificazione delle fonti di energia, include la scelta di fonti nucleari invece escluse dalla volontà referendaria»;
il Governo ha fatto a questo punto un ulteriore ricorso alla Corte costituzionale, sostenendo che non spetta all'ufficio centrale della Corte di Cassazione, ma semmai alla Corte costituzionale valutare la persistenza delle condizioni per consentire lo svolgimento del referendum, in presenza di una modifica legislativa;
l'Esecutivo ha operato affinché calasse quello che agli interroganti appare un vero e proprio silenzio dei media sulla consultazione referendaria. In particolare, le emittenti televisive Rai 1 e Canale 5 (quest'ultima un'emittente di proprietà del Presidente del Consiglio dei ministri) hanno fornito un'informazione pressoché nulla ai propri telespettatori sulla scadenza referendaria di domenica e lunedì prossimi;
il Presidente del Consiglio dei ministri, lunedì 6 giugno 2011, ha affermato in maniera, ad avviso degli interroganti, piuttosto ipocrita che «il Governo si astiene dal prendere qualsiasi posizione al riguardo e si adeguerà alla volontà dei cittadini» -:
se il Governo non intenda invitare pubblicamente, come sarebbe suo dovere, tutti i cittadini elettori a recarsi alle urne in massa per la consultazione referendaria di domenica 12 e lunedì 13 giugno 2011.
(3-01691)