ATTO CAMERA

MOZIONE 1/01011

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 16
Seduta di annuncio: 622 del 17/04/2012
Abbinamenti
Atto 1/00896 abbinato in data 20/06/2012
Atto 1/00901 abbinato in data 20/06/2012
Atto 1/00910 abbinato in data 20/06/2012
Atto 1/00911 abbinato in data 20/06/2012
Atto 1/00913 abbinato in data 20/06/2012
Atto 1/00916 abbinato in data 20/06/2012
Atto 1/00924 abbinato in data 20/06/2012
Atto 1/00929 abbinato in data 20/06/2012
Atto 1/00948 abbinato in data 20/06/2012
Atto 1/00970 abbinato in data 20/06/2012
Atto 1/01060 abbinato in data 20/06/2012
Atto 6/00110 abbinato in data 20/06/2012
Firmatari
Primo firmatario: OSSORIO GIUSEPPE
Gruppo: MISTO-REPUBBLICANI-AZIONISTI
Data firma: 17/04/2012
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
NUCARA FRANCESCO MISTO-REPUBBLICANI-AZIONISTI 17/04/2012
BRUGGER SIEGFRIED MISTO-MINORANZE LINGUISTICHE 17/04/2012


Stato iter:
20/06/2012
Partecipanti allo svolgimento/discussione
INTERVENTO GOVERNO 20/06/2012
Resoconto POLILLO GIANFRANCO SOTTOSEGRETARIO DI STATO - (ECONOMIA E FINANZE)
 
INTERVENTO PARLAMENTARE 20/06/2012
Resoconto COMPAGNON ANGELO UNIONE DI CENTRO PER IL TERZO POLO
Resoconto GIACHETTI ROBERTO PARTITO DEMOCRATICO
Resoconto MONTAGNOLI ALESSANDRO LEGA NORD PADANIA
Fasi iter:

ATTO MODIFICATO IL 28/05/2012

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 20/06/2012

DISCUSSIONE IL 20/06/2012

RITIRATO IL 20/06/2012

CONCLUSO IL 20/06/2012

Atto Camera

Mozione 1-01011
presentata da
GIUSEPPE OSSORIO
testo di
martedì 17 aprile 2012, seduta n.622

La Camera,

premesso che:

in questi ultimi mesi il nostro Paese affronta una crisi economica di portata continentale e mondiale. La crisi, nata come finanziaria, si è presto rivelata molto più profonda, mostrando in poco tempo la sua natura economica e produttiva; il rischio reale è che possa sfociare in una crisi anche sociale. Anche per evitare questa possibile quanto pericolosa degenerazione è nato il Governo del senatore Monti, la cui genesi è stata accompagnata dalla maturata consapevolezza del baratro che anche il nostro Paese aveva ed ha di fronte a sé. Un baratro in cui non si può cadere perché in tal caso l'Italia trascinerebbe con sé l'intera Europa, una nuova realtà ma fondamentale per il mantenimento degli equilibri mondiali;

la globalizzazione ha posto e pone di fronte alla consapevolezza che il destino dell'Italia è legato indissolubilmente a quello degli altri Paesi. Le decisioni che si prendono in ogni singolo Paese hanno oggi ripercussioni ed effetti su realtà che fino a pochi anni fa si potevano considerare molto più distanti di quanto non siano oggi. Questa consapevolezza, è bene sottolinearlo, aumenta e deve aumentare il grado di responsabilità di chi è chiamato a decidere;

ebbene, l'attuale Governo sta agendo su più fronti, consapevole che il tempo è un fattore determinante della sua azione. In pochi mesi ha affrontato liberalizzazioni, semplificazioni, riforma del sistema pensionistico, ora quella del mercato del lavoro. Su quest'ultima è in corso un confronto necessario. Si tratta di provvedimenti che sono destinati a lasciare il segno nel tessuto sociale del nostro Paese; tanto più sarà profondo tale segno, tanto più sarà dimostrata l'efficacia delle scelte fatte;

rigore e sviluppo sono i riferimenti cardine su cui si sta muovendo l'azione riformatrice. Ma se per ciò che attiene al rigore l'intervento legislativo e normativo può certo considerarsi direttamente efficace, per quanto riguarda lo sviluppo la sua efficacia non può essere considerata altrettanto diretta. L'intervento normativo nell'ottica del rilancio dello sviluppo può, cioè, essere certamente utile, ma come premessa, come fattore agevolativo e semplificativo, non certo come fattore determinante. Lo sviluppo non si può creare per decreto, sono le forze produttive del Paese a poterlo determinare, ma queste vanno messe nelle condizioni adeguate per farlo; questo è il compito della politica e delle istituzioni che la rappresentano;

in questo senso molto c'è da fare, se il rigore voluto e perseguito sta producendo effetti avvertiti quotidianamente dai cittadini italiani, ebbene le scelte propedeutiche al rilancio del Paese devono avere la stessa efficacia, devono essere avvertite nella stessa maniera dai nostri concittadini;

la pubblica amministrazione riveste in questo quadro un ruolo centrale; può e deve essere considerata come uno strumento fondamentale per il rilancio del sistema economico italiano; può essere il volano della ripresa;

invece, uno dei principali ostacoli sulla strada del possibile rilancio del Paese è rappresentato proprio dal ritardo cronico dei pagamenti delle amministrazioni pubbliche, una situazione questa non più sostenibile. Attualmente la realizzazione di importanti opere pubbliche, necessarie per ammodernare il Paese e riprendere il ciclo dello sviluppo economico, sono a rischio per il blocco della liquidità dell'amministrazione pubblica;

investire nel rilancio delle opere pubbliche rappresenta un'opzione non di secondo piano per il rilancio dell'economia e della produttività del sistema Italia, ma, di fatto, questa possibilità viene resa impraticabile;

gli enti locali in Lombardia pagano mediamente in 120 giorni, in Campania pagano con 365 giorni di ritardo, in Calabria addirittura si raggiunge il tetto di ben 600 giorni. Bisogna, però, tener conto che vi sono pure al Nord realtà in cui è ben evidente questa patologia del rapporto fra le imprese fornitrici di beni e servizi e gli enti locali. Ottenere una commessa per un'impresa privata in queste condizioni può rappresentare una vera e propria iattura per il proprio conto economico;

questa situazione tiene lontani gli investimenti pubblici e privati da un'area come quella del Mezzogiorno, che, non va sottaciuto, rappresenta un mercato di consumo per le imprese del Nord e potrebbe diventare un'area strategica per il rilancio dell'economia dell'intero Paese;

il rilancio degli investimenti infrastrutturali al Sud e nelle altre aree depresse del Paese rappresenta un'opportunità che deve essere colta, anche perché una scelta del genere contribuirebbe a sviluppare sul territorio quella serie di piccole e medie imprese private che potrebbero ridare, con la loro stessa esistenza, linfa all'intero Meridione e non solo;

lo Stato, le regioni e gli enti locali possono rappresentare un'opzione in più, uno strumento importante, attraverso i loro investimenti, per veicolare, diffondere e invogliare l'iniziativa privata sul territorio. Nell'interesse, si badi bene, non solo delle aree eventualmente interessate, ma dell'intero sistema Paese e delle aziende non solo locali che potrebbero essere coinvolte in un piano nazionale di investimenti sul territorio;

fino a qualche anno fa le regioni riuscivano a pagare i fornitori di beni e servizi con più tempestività, perché potevano utilizzare i fondi di riequilibrio o, comunque, ricorrevano con maggiore possibilità all'indebitamento. Entrambe le ipotesi oggi non sono più percorribili. Inoltre, è necessario tenere conto del vincolo imposto dal patto di stabilità. In virtù proprio del patto di stabilità, si è di fronte ad una situazione particolare per la quale alcune regioni, pur avendo risorse disponibili, non possono utilizzarle, mentre altre non hanno praticamente denaro in cassa. Dunque, in una situazione di crisi come quella attuale, esistono risorse che di fatto si rendono indisponibili;

di fronte a questa situazione i Repubblicani Azionisti hanno proposto la necessità di discutere nelle sedi opportune l'ipotesi che le risorse finanziarie inutilizzate possano essere rimesse in circolo con l'istituzione di un fondo di garanzia, attraverso il quale il Governo sia garante dei pagamenti anche delle autonomie locali;

una proposta avanzata anche in virtù della consapevolezza che il Governo ha da poco messo a disposizione ben 1 miliardo di euro al di fuori del patto di stabilità e sta lavorando per diminuire l'incidenza dei vincoli esistenti, scelta questa che comporta la spesa di ingenti risorse economiche; di fronte a tale impegno, pensare di rendere utilizzabili risorse attualmente rese indisponibili appare vieppiù necessario;

una necessità ancora più evidente; in una fase come quella attuale, nella quale anche il sistema bancario mostra evidenti segnali di difficoltà e l'accesso al credito diventa sempre più difficile, l'azione della pubblica amministrazione, come detto, può diventare una valvola di stabilità fondamentale. Essa può ridare ossigeno a moltissime imprese di tutto il Paese del Sud e forse e soprattutto del Nord;

in occasione di un dibattito in Assemblea, il rappresentante del Governo ha ricordato i numerosi interventi effettuati negli ultimi anni, per cercare di risolvere la criticità del ritardo dei pagamenti: dall'articolo 9 del decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78, al più recente articolo 13, comma 1, della legge 12 novembre 2011, n. 183, sino alla previsione di una disciplina da definire con un decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza unificata. Per quanto utili e necessari gli interventi citati non sono risultati risolutivi, almeno non così sono stati percepiti ed avvertiti;

una consapevolezza questa che aumenta di fronte alla drammatica carenza di liquidità cui sono sottoposte le piccole e medie imprese del Paese, che rappresentano, come è noto, la spina dorsale del sistema produttivo italiano;

in Italia l'iniziativa imprenditoriale, infatti, non manca: il numero di aziende che il Paese vanta è pari a 3,8 milioni; è quasi il doppio di quelle che si possono contare nella locomotiva d'Europa, ovvero in Germania (2 milioni e 38 mila). Ma quasi il 95 per cento delle imprese italiane ha una dimensione ridotta con un numero di dipendenti inferiore a dieci. In particolare, in Italia su un totale di 3.849.258 di imprese, il 94,5 per cento è costituito da micro imprese, il 4,9 per cento da piccole, lo 0,5 da medie e solo lo 0,1 per cento da grandi;

il credit crunch a cui sono sottoposte le piccole e medie imprese produce un avvitamento finanziario che danneggia non solo la fisiologia interna delle piccole e medie imprese, ma la natura stessa del sistema imprenditoriale italiano;

di fronte a questa situazione, se lo statuto dei lavoratori nel 1970 ha avuto il merito di socializzare l'impresa, oggi appare necessario ribadire e rinsaldare il ruolo sociale degli istituti bancari, la cui attività resta sì fondamentale per l'economia moderna, ma deve mantenere la qualità basilare di servizio;

nell'ultima indagine trimestrale, condotta dalla Banca d'Italia, è quasi raddoppiata, al 28,6 per cento dal 15,2 per cento della precedente inchiesta, la quota delle imprese per le quali le condizioni di accesso al credito sono peggiorate;

le ragioni di queste difficoltà sono principalmente di due tipi. In primo luogo, c'è da parte delle banche un problema di liquidità, soprattutto per quanto riguarda gli impieghi a medio termine, posto che le banche si trovano di fronte all'esigenza di garantire la copertura delle operazioni correnti e devono ridurre gli spazi per i finanziamenti alle imprese; in secondo luogo, c'è un problema di costi. Per le banche è sempre più oneroso aumentare la propria raccolta e ottenere capitali per il forte rialzo dei tassi di interesse sui titoli di Stato italiani;

di fronte a questa situazione sono proprio le piccole e medie imprese a rischiare maggiormente, perché il sistema bancario continua ad essere fortemente impegnato verso i grandi gruppi, anche loro spesso in difficoltà;

le imprese, quindi, hanno di fronte un credito difficile e più caro proprio in un momento in cui sarebbero invece necessari forti investimenti per rinnovare gli impianti e accrescere la competitività;

va ricordato che il 21 dicembre 2011 le banche europee hanno ottenuto circa 500 miliardi di euro di nuovi fondi, in occasione della prima asta di rifinanziamento organizzata dalla Banca centrale europea, allo scopo di fronteggiare il credit crunch; di queste risorse, gli istituti italiani hanno ricevuto 116 miliardi di euro al tasso dell'1 per cento;

la Banca centrale europea ha più volte dichiarato che tali risorse sono vincolate allo scopo di offrire credito all'economia reale, in modo da permettere alle banche di avere più liquidità da poter mettere a disposizione, in particolare, delle imprese. Questa scelta è stata dettata dalla consapevolezza che il rilancio dello sviluppo del sistema non può che essere collegato alla capacità effettiva di credito, che gli istituti bancari dovrebbero concedere alle imprese, in particolare a quelle piccole e medie;

senza il rafforzamento delle linee di credito appare, infatti, estremamente complicato ipotizzare che si possa davvero procedere ad un rilancio dello sviluppo del sistema, per il quale, specie in Italia, il ruolo delle piccole imprese è determinante, sia in termine di produzione che di impiego di forza lavoro;

la mancanza di liquidità è, dunque, la ragione principale del ristagno dell'economia ed è l'obiettivo principale da perseguire se si vuole rilanciare il sistema Italia. Le cause principali di questa carenza sono evidentemente, da un lato, la mancanza di credito alle imprese da parte del sistema bancario, dall'altro la mancanza di investimenti pubblici in settori strategici e il patologico quanto insostenibile ritardo dei pagamenti da parte della pubblica amministrazione a tutti i suoi livelli;

recentemente il Governo ha predisposto un decreto ministeriale con specifico riguardo proprio alla compensazione dei crediti delle imprese nei confronti della pubblica amministrazione. Una decisione questa assolutamente condivisibile. Però, il testo in questione prevede che questa misura di compensazione non si attui in quelle regioni sottoposte a piani di rientro oppure che siano state commissariate, regioni prevalentemente del Mezzogiorno, dove la crisi economica è sempre più forte. Si tratta, evidentemente, di una scelta non condivisibile ed estremamente grave, perché produrrebbe effetti direttamente contrari agli obiettivi che si vogliono raggiungere;

si tratterebbe, qualora confermata, di una scelta evidentemente discriminatoria che scarica sulle aziende e sulle imprese colpe e responsabilità che non hanno e di cui non possono pagare il prezzo;
l'origine di tale eventuale, inaccettabile ed insostenibile discriminazione non è da addebitare ad una scelta o a un errore del Governo. Il problema è, invece, originato dai vincoli di una direttiva europea, che, difatti, escluderebbero dalle compensazioni le regioni che già hanno usufruito del piano di rientro, per ristabilire l'equilibrio economico-finanziario,
impegna il Governo:
ad intervenire, nel rispetto delle proprie ed altrui competenze, affinché l'ipotesi avanzata di rendere disponibili le risorse attualmente inutilizzate, da parte di alcune regioni, attraverso la creazione di un fondo nazionale per garantire i pagamenti delle pubbliche amministrazioni ed anche delle autonomie locali, fondo di cui il Governo nazionale sia gestore e garante, possa essere discussa e vagliata come eventuale risorsa aggiuntiva per risolvere il problema cronico dei ritardi dei pagamenti e contribuire così al rilancio del sistema nel suo complesso;

ad istituire nel più breve tempo possibile un tavolo permanente con i rappresentanti dell'Associazione bancaria italiana, della Banca d'Italia, delle principali associazioni di categoria e dei consumatori, al fine di avanzare proposte operative per il sostegno del credito a favore delle imprese e delle famiglie;

ad intervenire, nei limiti delle proprie competenze, affinché i prestiti che la Banca centrale europea ha messo a disposizione delle banche siano effettivamente utilizzati per sostenere l'accesso al credito per le imprese;

ad assumere iniziative, anche di carattere normativo, affinché sia possibile per i creditori della pubblica amministrazione richiedere alle amministrazioni debitrici la certificazione delle somme dovute e, quindi, nel caso, cedere il relativo credito ad un istituto bancario che ne assuma la piena titolarità;
ad intervenire nelle sedi europee competenti affinché si adottino provvedimenti mirati a garantire effettivamente l'accesso al credito per imprese e famiglie;

a chiarire quale siano le soluzioni tecnico-normative che il Governo intende adottare, per rimuovere un vincolo che creerebbe un'inaccettabile discriminazione ed estendere, quindi, i benefici delle compensazioni a tutte quelle regioni, che sono prevalentemente del Sud, che ne resterebbero escluse pur avendone più bisogno.
(1-01011) «Ossorio, Nucara, Brugger».