Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Bilancio dello Stato
Altri Autori: Servizio Studi - Dipartimento bilancio , Servizio Commissioni
Titolo: Doc. 240 - Determinazione dei fabbisogni standard di comuni, città metropolitane e province
Riferimenti:
SCH.DEC 240/XVI     
Serie: Note di verifica    Numero: 222
Data: 24/09/2010
Descrittori:
AREE METROPOLITANE   COMUNI
FINANZA LOCALE   PROVINCE
Organi della Camera: I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni
V-Bilancio, Tesoro e programmazione

 

Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Atti del Governo

Determinazione dei fabbisogni standard di comuni, città metropolitane e province

Schema di D.Lgs. n. 240

(artt. 2, 11, co. 1, lettera b), 13, co. 1, lettere c) e d), 21, co. 1, lettere c) ed e), 2, 3 e 4,
e 22, co. 2, L n. 42/2009)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

n. 216

Edizione provvisoria

 

14 settembre 2010

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Bilancio

( 066760-9932 – * st_bilancio@camera.it

Ha partecipato alla redazione del dossier il:

Servizio Bilancio dello Stato

Nota di verifica - dossier n. 222

( 066760-2174 / 066760-9455 – * bs_segreteria@camera.it

 

§       Le schede di lettura sono state redatte dal Servizio Studi.

§       Le parti relative ai profili di carattere finanziario sono state curate dal Servizio Bilancio dello Stato, nonché dalla Segreteria della V Commissione per quanto concerne le coperture.

 

 

I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

File: BI0303.doc


INDICE

Schede di lettura

§      Quadro di sintesi............................................................................................ 3

§      Articolo 1 (Oggetto)........................................................................................ 9

§      Articolo 2 (Funzioni fondamentali e classificazione delle relative spese).... 15

§      Articolo 3 (Metodologia per la determinazione dei fabbisogni standard)..... 20

§      Articolo 4 (Procedimento di determinazione dei fabbisogni standard)......... 22

§      Articolo 5 (Pubblicazione dei fabbisogni standard)...................................... 29

§      Articolo 6 (Gradualità)................................................................................... 31

§      Articolo 7 (Revisione a regime dei fabbisogni standard)............................. 35

§      Articolo 8 (Disposizioni finali ed entrata in vigore)........................................ 37

 

 


Schede di lettura


Quadro di sintesi

Lo schema di decreto legislativo in esame è diretto a disciplinare la determinazione del fabbisogno standard di Comuni, Città metropolitane e Province, al fine di assicurare un graduale e definitivo superamento nei loro riguardi del criterio della spesa storica.

 

Il superamento graduale, per tutti i livelli di governo, del criterio della spesa storica della spesa, da realizzare assicurando nel contempo un’adeguata autonomia di entrata e di spesa agli enti territoriali e garantendo loro la massima responsabilizzazione amministrativa, finanziaria e contabile, in un’ottica di lealtà istituzionale fra tutti i livelli di governo e concorso di tutte le amministrazioni pubbliche al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, costituisce uno dei principi-guida fondamentali cui si ispira il modello di federalismo fiscale delineato dalla legge delega n. 42 di attuazione dell’articolo 119 della Costituzione.

 

Il provvedimento in esame, pur richiamando in premessa una serie di articoli della legge delega relativi al complesso delle modalità di finanziamento delle funzioni di Comuni, Città metropolitane e Province, si limita a disciplinare i soggetti abilitati ed il percorso metodologico e procedurale da intraprendere ai fini della determinazione dei fabbisogni standard, i quali saranno oggetto di analisi da parte della Società per gli studi di settore (Sose Spa), appositamente delegata all’esercizio di tale funzione, mentre la loro puntuale definizione per ciascun Comune e Provincia è demandata ad appositi Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, da adottare sentita la Conferenza Stato-Città e autonomie locali, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri.

 

I principi e criteri direttivi della legge delega cui fa riferimento il preambolo dello schema di decreto sono i seguenti:

§      art. 2, comma 2, lettera f), ai sensi del quale ai decreti legislativi è demandata la “determinazione del costo e del fabbisogno standard quale costo e fabbisogno che, valorizzando l’efficienza e l’efficacia, costituisce l’indicatore rispetto al quale comparare e valutare l’azione pubblica”, nonché la “definizione degli obiettivi di servizio cui devono tendere le amministrazioni regionali e locali nell’esercizio delle funzioni riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni o alle funzioni fondamentali di cui all’ articolo 117, secondo comma, lettere m) e p), della Costituzione”;

§      art. 11, comma 1, lettera b), in base al quale i decreti legislativi dovranno definire le modalità per cui il finanziamento delle spese relative a comuni, province e città metropolitane riconducibili alle funzioni fondamentali - ai sensi dell’ articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, come individuate dalla legislazione statale - e dei livelli essenziali delle prestazioni eventualmente da esse implicate avvenga “in modo da garantirne il finanziamento integrale in base al fabbisogno standard”, da assicurareattraverso tributi propri, compartecipazioni al gettito di tributi erariali e regionali e addizionali a tali tributi - la cui “manovrabilità” dovrà essere stabilita “tenendo conto della dimensione demografica dei comuni per fasce – nonché dal fondo perequativo;

§      art. 13, comma 1, lettera c), ai sensi del quale i decreti legislativi, con riferimento all’entità e al riparto dei fondi perequativi per gli enti locali, dovranno essere adottati assicurando che la ripartizione del fondo perequativo tra i singoli enti, per la parte afferente alle funzioni fondamentali come individuate dalla legislazione statale, avvenga in base a:

-       un “indicatore di fabbisogno finanziario calcolato come differenza tra il valore standardizzato della spesa corrente al netto degli interessi e il valore standardizzato del gettito dei tributi ed entrate proprie di applicazione generale”;

-       indicatori di fabbisogno di infrastrutture”, in coerenza con la programmazione regionale di settore, per il finanziamento della spesa in conto capitale, tenendo conto dell’entità dei finanziamenti dell’Unione europea di carattere infrastrutturale ricevuti dagli enti locali e del vincolo di addizionalità cui questi sono soggetti.

§      art. 13, comma 1, lettera d), ai sensi del quale i decreti legislativi, sempre con riferimento all’entità e al riparto dei fondi perequativi per gli enti locali, dovranno definire modalità per cui la “spesa corrente standardizzata” è computata, ai fini di cui alla precedente lettera c), sulla base di una “quota uniforme per abitante, corretta per tenere conto della diversità della spesa in relazione all’ampiezza demografica, alle caratteristiche territoriali, con particolare riferimento alla presenza di zone montane, alle caratteristiche demografiche, sociali e produttive dei diversi enti”. La medesima lettera d) precisa altresì che il peso delle caratteristiche individuali dei singoli enti nella determinazione del fabbisogno è determinato con tecniche statistiche, utilizzando i dati di spesa storica dei singoli enti, tenendo conto anche della spesa relativa a servizi esternalizzati o svolti in forma associata;

§      art. 21, comma 1, lettere c) e d), ai sensi del quale in sede di prima applicazione, i decreti legislativi recano norme transitorie per gli enti locali volte:

-        a considerare, nel processo di determinazione del fabbisogno standard, “l’esigenza di riequilibrio delle risorse in favore degli enti locali sottodotati in termini di trasferimenti erariali ai sensi della normativa vigente rispetto a quelli sovra dotati”;

-       a determinare dei fondi perequativi di comuni e province in misura uguale, per ciascun livello di governo, alla differenza fra i trasferimenti statali da sopprimere destinati al finanziamento delle spese di comuni e province, e le maggiori entrate spettanti in luogo di tali trasferimenti ai comuni ed alle province, ai sensi dell’ articolo 12 della legge delega, tenendo conto dei princìpi previsti dall’articolo 2, comma 2, lettera m), numeri 1) e 2), della medesima legge relativamente al superamento del criterio della spesa storica (superamento graduale, per tutti i livelli istituzionali, di tale criterio a favore del fabbisogno standard per il finanziamento dei livelli essenziali e delle funzioni fondamentali e della perequazione della capacità fiscale per le altre funzioni);

§      art. 21, commi 2, 3 e 4, che recano l’individuazione provvisoria delle funzioni di comuni e province da considerare in sede di prima applicazione della delega, in particolare ai fini della determinazione dell’entità e del riparto dei fondi perequativi degli enti locali in base al fabbisogno standard o alla capacità fiscale;

§      art. 22, comma 2, ai sensi del quale nella fase transitoria, al fine del recupero del deficit infrastrutturale, ivi compreso quello riguardante il trasporto pubblico locale e i collegamenti con le isole, debbono essere individuati interventi finalizzati agli obiettivi di cui all’articolo 119, quinto comma, della Costituzione, che tengano conto anche della virtuosità degli enti nell’adeguamento al processo di convergenza ai costi o al fabbisogno standard; tali interventi, da effettuare nelle aree sottoutilizzate, sono individuati nel programma da inserire nel Documento di programmazione economico-finanziaria (ora divenuto, ai sensi della nuova legge di contabilità e finanza pubblica n. 196 del 2009, Decisione di finanza pubblica).

 

Alla luce di tali criteri direttivi si osserva, in via preliminare, come il contenuto dispositivo dello schema in esame:

§      non rechi una puntuale determinazione dei fabbisogni standard, come previsto dal citato criterio di cui all’art. 2, comma 2, lett. f), bensì si limiti a dettare norme volte a disciplinare il metodo (articolo 3) e le procedure (articolo 4) attraverso i quali i fabbisogni standard saranno oggetto di definizione da parte della Società per gli studi di settore (SOSE Spa), cui è demandato l’esercizio di tale funzione anche sulla base dell’Accordo siglato tra Ministero dell’economia, ANCI e UPI nel luglio scorso, le cui determinazioni saranno successivamente recepite con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentita la Conferenza Stato-Città e autonomie locali;

§      non contenga alcuna indicazione né in ordine agli obiettivi di servizio inerenti alle funzioni fondamentali degli enti locali, né in relazione ai livelli essenziali delle prestazioni eventualmente ad esse sottese;

§      rinvii, per la completa attuazione dei principi e criteri direttivi della determinazione del fabbisogno standard, a provvedimenti di rango inferiore nel sistema delle fonti normative (quali il DPCM), senza alcuna determinazione del termine per la loro adozione, realizzando in tal modo una dequalificazione della fonte disposta non dalla legge di delega, ma dal medesimo decreto delegato.

In linea generale si rileva altresì come in base allo schema di decreto non risulti esplicitato se i fabbisogni standard debbano essere calcolati per singolo bene o servizio prodotto, oppure per ciascuna funzione o, al limite, per il complesso della spesa primaria di ciascun comune e provincia.

La finalità di efficientamento della spesa nella produzione dei servizi, assieme ai criteri di premialità previsti per gli enti virtuosi anche in termini di livello e qualità dei servizi contenuti nella legge delega dovrebbero presupporre l’adozione di modalità di calcolo dei fabbisogni per ciascuna funzione di bilancio, ciò anche al fine di consentire l’individuazione degli ambiti dove emergano livelli di spesa al di fuori degli standard. Tale approccio potrebbe essere desunto anche dalla disciplina transitoria di cui all’articolo 6 dello schema di decreto, che prevede un percorso graduale di adozione del fabbisogno standard da riferire a blocchi di funzioni fondamentali. L’aggiornamento periodico dei fabbisogni, da realizzare al massimo ogni tre anni, dovrebbe così garantire un processo dinamico di efficientamento di ogni ente locale, il quale sarebbe invitato, come si legge nella relazione di accompagnamento, a “saltare in alto quanto salta la media degli enti più efficienti a lui simili”.

 

E’ utile, infine, ricordare come nell’impianto complessivo della delega uno specifico ruolo di analisi e monitoraggio nella materia in esame sia assegnato alla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica – allo stato non ancora istituita – cui è demandato, tra l’altro, il compito di assicurare la verifica periodica del funzionamento del nuovo ordinamento finanziario di comuni, province, città metropolitane, nonché la verifica delle relazioni finanziarie tra i livelli diversi di governo e l’adeguatezza delle risorse finanziarie di ciascun livello di governo rispetto alle funzioni svolte. La Conferenza si avvale della Commissione tecnica paritetica quale segreteria tecnica per lo svolgimento delle attività istruttorie e di supporto necessarie e a tali fini l’articolo 5 della legge n. 42 prevede altresì l’istituzione di una “banca dati comprendente indicatori di costo, di copertura e di qualità dei servizi, utilizzati per definire i costi e i fabbisogni standard e gli obiettivi di servizio”, nonché per valutare il grado di raggiungimento degli obiettivi di servizio medesimi.

 

A tale ultimo riguardo, si ricorda che la Conferenza è chiamata anche a verificare periodicamente la realizzazione del percorso di convergenza ai costi e ai fabbisogni standard, nonché agli obiettivi di servizio, percorso previsto dall’articolo 18 della medesima legge delega e le cui misure di attuazione dovrebbero essere indicate, ai sensi dell’articolo 10 della nuova legge di contabilità e di finanza pubblica n. 196 del 2009, nello schema di Decisione di finanza pubblica che il Governo è chiamato a trasmettere alle Camere entro il 15 settembre di ciascun anno.

Da ultimo, si segnala che sulla questione dei fabbisogni standard di Province e Comuni è intervenuta anche la Relazione governativa sul finanziamento degli enti territoriali, trasmessa alle Camere il 30 giugno scorso ai sensi dell’articolo2, comma 6, della legge delega sul federalismo fiscale.

 

In tale Relazione si evidenzia come l’ipotesi di pervenire arrivare alla determinazione dei fabbisogni standard attraverso il coinvolgimento della metodologia già applicata da tempo per gli studi di settore - e quindi attraverso l’azione operativa della Società per gli studi di settore, che gestisce una banca dati estesa su circa 25.000 variabili, su cui effettua controlli di coerenza – sia stata intrapresa in quanto tale metodologia, basata peraltro su forti elementi di accompagnamento e condivisione tra le parti, se debitamente strutturata e mirata riguardo all’ambito dei fabbisogni standard, appare in grado di riuscire dove “nel passato hanno ripetutamente fallito le formule calate dall’alto”.

 

In particolare, la Relazione sottolinea che “le esperienze del passato dimostrano infatti che questo metodo non ha funzionato. Lo dimostrano in particolare i fallimenti della legge n. 85/1995 sul finanziamento di Comuni e Province, che cercò di introdurre il cd. “fabbisogno teorico standardizzato” calcolato con parametri predeterminati; ancora il fallimento del decreto n. 244/1997, rimasto inapplicato; infine il fallimento, rispetto alle Regioni, del D.Lgs. n. 56/2000”. Tali esperienze dimostrano, ad avviso del Governo,                 “ la necessità di cambiare metodo, perché la elaborazione di standard o di formule di attribuzione dei finanziamenti, per quanto valida e astrattamente condivisibile in linea di principio, alla prova dei fatti si è sempre dimostrata inadeguata per definire la varietà delle situazioni e per attivare processi di razionalizzazione della spesa”, ciò in quanto “le formule calate dall’alto, per quanto evolute, danno subito una cifra ipotetica, ma per questo non sempre una cifra davvero realistica e perciò utilizzabile”.

E’ sulla base di tali considerazioni che il Governo, sia nella predetta Relazione, sia nella relazione di accompagnamento allo schema di decreto in esame, sottolinea come non sia “una cifra, ma piuttosto un metodo, la formula necessaria per la determinazione dei fabbisogni standard”.

Secondo l’impostazione del Governo, le due metodologie tradizionali, ossia il metodo delle determinanti e quello della Representative Expenditure System (RES), sebbene possano fornire utili indicazioni sulla entità dei possibili risparmi, non sembrano poter risolvere i problemi riscontrati in passato, anche considerato il tasso di arbitrarietà implicito nella scelta dei fattori determinanti, mentre l’applicazione della metodologia degli studi di settore consentirebbe di superare alcuni dei limiti dei metodi tradizionali.

In particolare, gli studi di settore si prefiggono l’obiettivo di determinare i livelli presuntivi di ricavo, considerati coerenti con un livello accettabile di compliance fiscale, partendo da una situazione di fatto, come rilevata dai dati contabili e strutturali delle imprese raccolti attraverso appositi questionari. Traslando questa metodologia nel campo del federalismo fiscale, l’obiettivo diviene la determinazione dei livelli presuntivi di fabbisogno finanziario da considerare coerenti con un livello accettabile di efficienza, partendo non solo dai dati contabili, ma anche dagli aspetti strutturali dei servizi erogati. Ciò consentirebbe, ad avviso del Governo, di superare il problema dell’attendibilità dei dati contabili degli enti locali. Tra i principali punti di forza della metodologia proposta, vengono annoverati:

§      la condivisione delle scelte tecniche nelle diverse fasi della procedura di definizione degli standard, che consentirebbe di assicurare una notevole solidità, di tipo politico-istituzionale, al processo di costruzione del federalismo;

§      l’avvio di un processo di graduale miglioramento dell’efficienza degli enti locali, da realizzare attraverso una rideterminazione periodica degli standard al fine di tener conto dei cambiamenti nel contesto di riferimento, nonché delle innovazioni nelle tecniche di produzione dei servizi.

 


 

Articolo 1
(Oggetto)

 


1. Il presente decreto è diretto a disciplinare la determinazione del fabbi­sogno standard per Comuni e Province, al fine di assicurare un graduale e definitivo superamento nei loro riguardi del criterio della spesa storica.

2. I fabbisogni standard determinati secondo le modalità stabilite dal presente decreto costituiscono il riferimento cui rapportare progressivamente nella fase transitoria, e successivamente a regime, il finanziamento integrale della spesa relati­va alle funzioni fondamentali e ai livelli essenziali delle prestazioni eventualmente da esse implicate.

3. Fermi restando i vincoli stabiliti con il patto di stabilità interno, dal presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato oltre a quelli stabiliti dalla legislazione vigente.


 

 

L’articolo 1 specifica le finalità dello schema di decreto legislativo in esame, diretto a disciplinare la determinazione dei fabbisogni standarddi Comuni e Province, che costituiscono i nuovi parametri cui ancorare il finanziamento delle spese fondamentali degli enti locali, al fine di assicurare un graduale e definitivo superamento del criterio della spesa storica.

 

Il superamento graduale, per tutti i livelli di governo, del criterio della spesa storica costituisce uno dei punti cardine del nuovo assetto dei rapporti economico-finanziari tra lo Stato e le autonomie territoriali delineato dalla legge delega n. 42/2009 di attuazione del federalismo fiscale, incentrato sull’abbandono del sistema di finanza derivata e sull’attribuzione di una maggiore autonomia di entrata e di spesa a comuni, province, città metropolitane e regioni, nel rispetto dei principi di solidarietà e di coesione sociale.

I criteri generali di delega recati dalla legge n. 42/2009 prevedono il superamento del criterio della spesa storica in favore di nuovi parametri ai quali ancorare il finanziamento delle spese degli enti territoriali, che sono il “fabbisogno standard”, per il finanziamento delle funzioni fondamentali, e la “perequazione della capacità fiscale”, per il finanziamento delle altre funzioni.

 

Ai fini della individuazione dei fabbisogni standard, i principi e criteri direttivi della legge delega demandano ai decreti legislativi attuativi:

§      la “determinazione del costo e del fabbisogno standard quale costo e fabbisogno che, valorizzando l’efficienza e l’efficacia, costituisce l’indicatore rispetto al quale comparare e valutare l’azione pubblica” (art. 2, comma 2, lett. f) della legge n. 42/2009) espressamente considerato nella premessa dello schema in esame tra quelli cui lo schema medesimo si propone di dare attuazione;

§      il passaggio dal sistema dei trasferimenti fondato sulla spesa storica a quello dell’attribuzione di risorse basate sull’individuazione dei fabbisogni standard necessari a garantire sull'intero territorio nazionale il finanziamento integrale dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali e delle funzioni fondamentali degli enti locali (art. 2, comma 2, lett. m), punto 1), della legge n. 42/2009, peraltro non riportato nella premessa dello schema.

 

Con riferimento specifico alle regioni, il comma 6 del medesimo articolo 2 della legge delega prevede altresì l’adozione di un apposito decreto legislativo che disciplini la determinazione dei costi e dei fabbisogni standard sulla base dei livelli essenziali delle prestazioni[1].

 

Si osserva, in via preliminare, come il contenuto dispositivo dello schema in esame non rechi una puntuale determinazione dei fabbisogni standard, come previsto dal criterio di delega di cui all’art. 2, comma 2, lett. f), bensì si limiti a dettare norme volte a disciplinare il metodo (articolo 3) e le procedure (articolo 4) attraverso i quali i fabbisogni standard saranno oggetto di definizione da parte della Società per gli studi di settore (SOSE Spa), appositamente abilitata all’esercizio di tale funzione anche sulla base dell’Accordo siglato tra Ministero dell’economia, ANCI e UPI nel luglio scorso, le cui determinazioni saranno successivamente recepite con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentita la Conferenza Stato-Città e autonomie locali.

 

Il comma 2 afferma che i fabbisogni standard, come determinati in base alle modalità stabilite dallo schema medesimo (cfr. i successivi articoli), costituiscono il parametro di riferimento cui rapportare progressivamente nella fase transitoria, e poi a regime, il finanziamento integrale della spesa relativa alle funzioni fondamentali ed ai livelli essenziali delle prestazioni eventualmente da esse implicate.

 

Tale disposizione risulta in linea con l’impianto generale della legge delega che, nel definire i principi fondamentali del sistema di finanziamento delle autonomie territoriali, distingue tra le spese connesse alle funzioni corrispondenti ai livelli essenziali delle prestazioni, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m) della Costituzione e quelle inerenti le funzioni fondamentali degli enti locali di cui all’art. 117, secondo comma, lett. p) Cost. - per le quali si prevede l’integrale finanziamento in base al fabbisogno standard– e le altre funzioni, per le quali si prevede la perequazione delle capacità fiscali.

Per quanto concerne gli enti locali, ai sensi dell’articolo 11, comma 1, lettera b) della legge n. 42/2009, richiamato nella premessa dello schema, il finanziamento integrale delle funzioni fondamentali con riferimento al fabbisogno standard è assicurato, in via prioritaria, dai tributi propri, dalle compartecipazioni al gettito di tributi erariali e regionali e dalle addizionali a tributi erariali e regionali[2] nonché dall’intervento del fondo perequativo[3].

Per il finanziamento delle spese relative alle funzioni "non fondamentali",per le qualinon è stabilito il finanziamento integrale, l’articolo 11, comma 1, lettera c) ne prevede il finanziamento con i tributi propri, con le compartecipazioni al gettito di tributi e con le risorse provenienti dal fondo perequativo, il cui intervento è riferito espressamente alla capacità fiscale per abitante.

 

L’ammontare della spesa per le funzioni fondamenti dovrà essere stabilito attraverso il calcolo del fabbisogno standard, che rappresenta, secondo le indicazioni del Governo, il parametro idoneo a superare le distorsioni insite nel modello attuale, quello della spesa storica, e a garantire il rafforzamento dell’efficienza delle amministrazioni locali.

 

In merito allanozione di "fabbisogno standard" – quale criterio cui ancorare il finanziamento integrale dei livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali degli enti locali – va rilevato che, secondo la formulazione espressa nell’articolo 8, comma 1, lettera g) della legge n. 42/2009, relativa al finanziamento delle regioni, questo sembrerebbe corrispondere a quello di "fabbisogno corrispondente ai LEP (o alle funzioni fondamentali, nel caso degli enti locali) valutati” ai costi standard, da erogare in condizioni di efficienza e di appropriatezza su tutto il territorio nazionale

 

In questa sede si può rilevare come sulla definizione di fabbisogno standard si innestino diversi concetti che spaziano dal concetto di spesa efficiente a quello di esborso necessario o ottimale, passando per quello di livello minimo o essenziale della prestazione, pure citato dal comma 2 dell’articolo in esame.

A seconda del concetto adottato, si giunge ad una diversa valutazione di tale definizione.

Ad esempio, il fabbisogno standard inteso come livello ottimale di un servizio valutato a costi standard – inteso, cioè, come espressione delle esigenze della collettività rispetto alla quantità erogata di un servizio, valutandone il suo costo in modo uniforme lungo il territorio, salvo tener conto di fattori oggettivi che giustificano eventuali scostamenti – si pone in netta contrapposizione con la definizione di fabbisogno standard quale livello della spesa di un servizio storicamente osservata, ma valutata a costi standard o medi.

Nel primo caso, infatti, sia il livello del servizio quanto il suo costo sono sottoposti a stima e sottratti alla discrezionalità; nel secondo caso, sia il livello del servizio che il suo costo dipendono dalla storia e dalla discrezionalità[4].

 

In questo quadro, il compito conferito alla SOSE S.p.a. dall’articolo 4 di predisporre le metodologie necessarie per l’individuazione dei fabbisogni standard e di determinarne i valori con tecniche statistiche che diano rilievo alle caratteristiche individuali dei Comuni e delle Province andrebbe valutato in relazione ai principi espressi in merito dalla norma di delega. Sul punto, si rinvia anche alle osservazioni formulate con riferimento all’articolo 4.

 

Il comma 3 dispone la clausola di invarianza finanziaria, stabilendo che, fermi restando i vincoli del patto di stabilità interno[5], dal provvedimento in esame non devono derivare nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato, oltre a quelli stabiliti dalla legislazione vigente.

Profili finanziari

ARTICOLO 1, comma 3

La relazione tecnica afferma che il processo di determinazione dei fabbisogni standard, essendo volto all’efficientamento della spesa degli enti locali non dovrà condurre, sul complesso degli enti, ad un incremento della spesa complessiva del comparto, come sancito esplicitamente dal comma 3 dell’articolo 1.

 

In merito ai profili finanziari, si rileva che il rispetto della clausola di neutralità finanziaria di cui all’articolo 1, comma 3, potrà essere verificato solo al termine della procedura di determinazione dei fabbisogni standard, come suggerisce, lo stesso comma 1 del successivo articolo 6 del provvedimento, che condiziona l’adozione del DPCM, contenente la nota metodologica relativa alla procedura di calcolo ed i singoli fabbisogni standard individuati per ciascun Comune e Provincia, alla previa verifica da parte del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato.

Si rileva in proposito che, trattandosi di un atto di normativa secondaria, tale procedura di verifica appare risolversi esclusivamente in ambito governativo, dal momento che le norme in esame non dispongono espressamente alcun obbligo di preliminare trasmissione dell’atto alle Commissioni parlamentari competenti per le conseguenze finanziarie, né il provvedimento può ritenersi sottoposto agli obblighi di redazione della relazione tecnica e di esame parlamentare di cui all’articolo 2, comma 3, della legge n. 42 del 2009, che riguardano i soli schemi di decreti legislativi attuativi della riforma.

Con riferimento alla clausola di neutralità finanziaria, si segnala che essa fa salvi i soli oneri già previsti dalla legislazione vigente: andrebbe precisato se detta clausola, oltre ad escludere effetti finanziari negativi ascrivibili alle norme in esame, debba intendersi preclusiva anche di eventuali effetti finanziari di risparmio. In proposito si ritiene utile svolgere alcune considerazioni.

La stessa legge 42/09 prevede che, all’inizio della fase transitoria, l’ammontare delle risorse attualmente erogate agli enti locali per il finanziamento delle funzioni fondamentali non debba subire decurtazioni. Ciò in quanto è previsto che il passaggio al finanziamento sulla base dei costi standard avvenga gradualmente in 5 anni, a partire dal finanziamento basato sulla spesa storica.

In proposito si ricorda che la Relazione concernente il quadro generale di finanziamento degli enti territoriali quantifica l’ammontare dei trasferimenti dal bilancio dello Stato ritenuti fiscalizzabili, con un elevato margine di sicurezza, per il complesso di province e comuni in circa 13.800 milioni[6]. Tuttavia la relazione non fornisce una ripartizione delle risorse destinate a finanziare le funzioni fondamentali rispetto a quelle destinate alle funzioni non fondamentali.

La mancata previsione di risparmi anche al termine del processo di transizione sembra implicare che la spesa storica debba considerarsi come un parametro vincolante nella determinazione della metodologia e nella procedura di prima individuazione dei fabbisogni standard. Ciò significa che tale metodologia, nell’ambito di comparti di enti locali, omogenei in base alle caratteristiche demografiche, territoriali, sociali, dovrebbe individuare valori medi di livelli essenziali delle prestazioni e di costi, nell’ambito di un campo di variazione in cui tali variabili assumono i valori quali-quantitativi dei servizi effettivamente riscontrabili nella realtà odierna. In merito, andrebbe chiarito se tale procedimento consenta anche una individuazione teorica ex ante dei fabbisogni fisici e qualitativi ritenuti necessari per un efficace ed efficiente espletamento di funzioni socialmente fondamentali ovvero di standard di servizio ottimali, a fronte di specifici diritti riconosciuti ai cittadini.

Una graduale approssimazione a tali livelli avverrà, con un periodo di transizione superiore ai 5 anni, mediante la progressiva rideterminazione dei fabbisogni standard con cadenza triennale. Andrebbe in proposito chiarito se, in relazione a tale revisione, sussista la possibilità che, successivamente al predetto periodo, possano realizzarsi risparmi rispetto alla spesa storica, precisando, in tal caso, l’eventuale destinazione dei medesimi.

Si segnala, infine, che la clausola di neutralità finanziaria di cui al comma 3 dell’articolo 1 fa salvi i vincoli imposti dal patto di stabilità interno. Occorre, tuttavia, ricordare che la normativa vigente ha fissato le regole di tale patto a tutto il 2011. Pertanto i vincoli che regoleranno la gestione della finanza locale nel periodo di transizione e di progressiva entrata a regime del criterio dei fabbisogni standard rappresentano attualmente una variabile non determinata nell’ambito del sistema complessivo che si va delineando.

 


 

Articolo 2
(Funzioni fondamentali e classificazione delle relative spese)

 


1. Ai fini del presente decreto, fino all’entrata in vigore della legge statale di individuazione delle funzioni fondamentali di Comuni, Città metropolitane e Province, le funzioni fondamentali e i relativi servizi presi in considerazione in via provvisoria, ai sensi dell’articolo 21 della legge 5 maggio 2009, n. 42, sono:

a) per i Comuni:

1) le funzioni generali di ammini­strazione, di gestione e di controllo;

2) le funzioni di polizia locale;

3) le funzioni di istruzione pubblica, ivi compresi i servizi per gli asili nido e quelli di assistenza scolastica e refezione, nonché l’edilizia scolastica;

4) le funzioni nel campo della viabilità e dei trasporti;

5) le funzioni riguardanti la gestione del territorio e dell’ambiente, fatta ecce­zione per il servizio di edilizia residenziale pubblica e locale e piani di edilizia nonché per il servizio idrico integrato;

6) le funzioni nel settore sociale.

b) per le Province:

1) le funzioni generali di ammini­strazione, di gestione e di controllo;

2) le funzioni di istruzione pubblica, ivi compresa l’edilizia scolastica;

3) le funzioni nel campo dei trasporti;

4) le funzioni riguardanti la gestione del territorio;

5) le funzioni nel campo della tutela ambientale;

6) le funzioni nel campo dello sviluppo economico relative ai servizi del mercato del lavoro.


 

 

L’articolo 2 individua le funzioni fondamentali individuate per i Comuni e le Province ai sensi dell’articolo 21 della legge di delega, che detta le norme transitorie in materia di finanziamento delle funzioni degli enti locali.

Si tratta di una disciplina provvisoria – come precisato dalla stessa disposizione in commento – in attesa dell’entrata in vigore della legge statale che individuerà in via stabile le funzioni fondamentali degli enti locali ai sensi dell’articolo 117, comma secondo, lettera p), della Costituzione.

 

L’articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione individua, tra le materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato, le funzioni fondamentali di comuni, province, e città metropolitane, accanto alla legislazione elettorale e alla disciplina degli organi di governo degli enti locali.

L’attuazione del dettato costituzionale è stata tentata una prima volta con la legge n. 131 del 2003[7] che recava la delega, mai esercitata, «per l’individuazione delle funzioni fondamentali, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, essenziali per il funzionamento di Comuni, Province e Città metropolitane nonché per il soddisfacimento di bisogni primari delle comunità di riferimento» (art. 2).

Più di recente, nel corso dell’attuale legislatura, il Governo ha presentato un ampio disegno di legge volto a modificare la disciplina degli enti locali ed a delegare il Governo per l’adozione di una “Carta delle autonomie locali”, dove raccogliere e coordinare le disposizioni in materia, che prevede anche l’individuazione delle funzioni fondamentali degli enti locali secondo il dettato costituzionale. Tale ddl è stato approvato in prima lettura dalla Camera (A.C. 3118) ed è ora all’esame del Senato (A.S. 2259).

 

Peraltro, la definizione delle funzioni fondamentali degli enti locali risulta rilevante ai fini del federalismo fiscale.

Infatti, l’art. 119, comma quarto, Cost. stabilisce che le risorse degli enti locali (e delle regioni) – ossia tributi ed entrate proprie, compartecipazioni al gettito erariale e fondo perequativo – devono consentire il finanziamento integrale delle “funzioni pubbliche loro attribuite”. L’individuazione di tali funzioni appare, pertanto, un passaggio necessario per la valutazione dell’entità delle risorse finanziarie da attribuire alle autonomie locali.

L’importanza dell’individuazione delle funzioni territoriali è confermata dalla legge n. 42 del 2009[8], di attuazione dell’art. 119 Cost. Tale legge, nell’indicare i princìpi e i criteri direttivi della delega relativa al finanziamento delle funzioni di comuni, province e città metropolitane (art. 11, co. 1, lett. a)), prevede una classificazione delle spese degli enti locali ripartite in:

-        spese riconducibili alle funzioni fondamentali individuate dalla legislazione statale;

-        spese relative alle altre funzioni;

-        spese finanziate con contributi speciali.

 

In particolare, la legge n. 42 prevede l’integrale finanziamento delle spese riconducibili alle funzioni fondamentali, la cui individuazione è rinviata alla legislazione statale di attuazione dell’articolo 117, comma secondo, lett. p), mediante tributi propri, compartecipazioni e addizionali ai tributi erariali e regionali e fondo perequativo, che andranno a sostituire integralmente i trasferimenti statali. La garanzia del finanziamento integrale delle spese riconducibili alle funzioni fondamentali e dei livelli essenziali delle prestazioni da esse eventualmente implicate deve avvenire con modalità definite in base al “fabbisogno standard”, modalità che consente di superare il vigente criterio di finanziamento, basato sulla spesa storica (art. 11, co. 1, lett. b)).

La fase transitoria, riconducibile ad un periodo di cinque anni per consentire il superamento definitivo del criterio della spesa storica, è disciplinata dall’art. 21 della legge sul federalismo che contiene principi e criteri direttivi per l’attuazione con decreti legislativi da parte del governo. In particolare, l’art. 21, co. 1, lett. e), dispone che, fin tanto che non saranno in vigore le disposizioni concernenti le funzioni fondamentali, il finanziamento delle spese degli enti locali avviene sulla base di alcuni specifici criteri. In particolare:

-        il fabbisogno delle funzioni di comuni e province viene finanziato assumendo l’ipotesi che l’80 per cento delle spese sia considerato come riconducibile alle funzioni fondamentali e che il residuo 20 per cento si riferisca alle funzioni non fondamentali (punto 1);

-        l’80 per cento delle spese di comuni e province (cioè quelle di cui al punto 1), afferenti alle funzioni fondamentali, viene finanziato per mezzo delle entrate derivanti dall’autonomia finanziaria, comprese le compartecipazioni a tributi erariali, e dal fondo perequativo; il residuo 20 per cento delle spese di cui al punto 1, relative alle altre funzioni, è finanziato per mezzo delle entrate derivanti dall’autonomia finanziaria, comprese le compartecipazioni a tributi regionali, e dal fondo perequativo (punto 2).

-        a tal fine, il punto 3 prevede che venga preso a riferimento l’ultimo bilancio degli enti locali certificato a rendiconto, disponibile alla data di predisposizione degli schemi dei decreti legislativi attuativi della delega.

 

L’articolo in commento considera, in via transitoria, quali funzioni fondamentali dei comuni e delle province le funzioni già individuate in via provvisoria come tali dall’articolo 21, comma 3 e 4, della legge 5 maggio 2009, n. 42, con un’unica difformità.

 

Ancora per il periodo transitorio e ai soli fini della determinazione dell'entità e del riparto dei fondi perequativi degli enti locali, l’articolo 21, comma 2, prevede che nei decreti legislativi di attuazione siano provvisoriamente considerate, in sede di prima applicazione, ai fini del finanziamento integrale sulla base del fabbisogno standard, le funzioni individuate e quantificate dalle corrispondenti voci di spesa, sulla base dell'articolazione in funzioni e relativi servizi prevista dal regolamento sui modelli contabili degli enti locali di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 gennaio 1996, n. 194[9].

La classificazione delle spese, quale risulta dai modelli dei documenti contabili previsti dal DPCM 194/1996, per quanto fondata sul citato art. 21 della legge 42/2009, andrebbe valutata alla luce del criterio di delega dettato dalla lettera h) dell’art. 2 della legge 42/2009, ispirato al principio della revisione della contabilità locale: infatti la determinazione dei fabbisogni in base all’attuale classificazione potrebbe cristallizzare, almeno fino alla rideterminazione di cui all’art. 7 del provvedimento in esame, criteri e classificazioni contabili suscettibili di modifica in sede di attuazione della delega per quanto previsto dalla citata lettera h) dell’art. 2 della stessa legge 42/2009.

 

I successivi commi 3 e 4 recano, rispettivamente, per i comuni e per le province, un elenco provvisorio delle funzioni fondamentali da finanziare integralmente sulla base del fabbisogno standard, ai sensi del comma 2.

Per i comuni, le funzioni, e i relativi servizi, da considerare provvisoriamente quali funzioni fondamentali sono:

a)       funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo, nella misura complessiva del 70 per cento delle spese come certificate dall'ultimo conto del bilancio disponibile alla data di entrata in vigore della legge in esame;

b)       funzioni di polizia locale;

c)       funzioni di istruzione pubblica, compresi i servizi per gli asili nido e quelli di assistenza scolastica e refezione, nonché l'edilizia scolastica;

d)       funzioni nel campo della viabilità e dei trasporti;

e)       funzioni riguardanti la gestione del territorio e dell'ambiente, fatta eccezione per il servizio di edilizia residenziale pubblica e locale e piani di edilizia nonché per il servizio idrico integrato;

f)         funzioni del settore sociale.[10]

Rispetto alle funzioni individuate dal D.P.R. n. 194/1996 non risultano dunque comprese le funzioni relative ai seguenti ambiti: giustizia; cultura e beni culturali; settore sportivo e ricreativo; turismo; sviluppo economico; servizi produttivi (oltre alle funzioni concernenti edilizia residenziale pubblica e locale, piani di edilizia e servizio idrico integrato, espressamente escluse).

 

Per le province, le funzioni, e i relativi servizi, da considerare provvisoriamente quali funzioni fondamentali sono:

a)       funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo, nella misura complessiva del 70 per cento delle spese come certificate dall'ultimo conto del bilancio disponibile alla data di entrata in vigore della legge in esame;

b)       funzioni di istruzione pubblica, ivi compresa l'edilizia scolastica;

c)       funzioni nel campo dei trasporti;

d)       funzioni riguardanti la gestione del territorio;

e)       funzioni nel campo della tutela ambientale;

f)         funzioni nel campo dello sviluppo economico relative ai servizi del mercato del lavoro.

Rispetto alle funzioni individuate dal citato D.P.R. n. 194/1996 non risultano dunque comprese le funzioni relative ai seguenti ambiti: cultura e beni culturali; settore turistico, sportivo e ricreativo; settore sociale; sviluppo economico, relativamente ai servizi per l’agricoltura e per l’industria, il commercio e l’artigianato.

I decreti legislativi prevedono altresì che l'elenco provvisorio delle funzioni possa essere adeguato attraverso accordi tra Stato, regioni, province e comuni, da concludere in sede di Conferenza unificata (comma 5).

 

Rispetto all’elenco provvisorio delle funzioni fondamentali di cui alla legge n. 42, la disposizione in commento considera le funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo, sia dei comuni che delle province, nella misura piena, ossia senza il limite del 70 per cento delle spese come certificate nell’ultimo bilancio, previsto invece esplicitamente dall’art. 21, co. 3 e 4.

Pertanto, al pari di quanto stabilito dalla legge n. 42, le funzioni fondamentali sono individuate sulla base delle principali voci contabili dei bilanci degli enti locali, senza alcuna specificazione dei beni e dei servizi corrispondenti a ciascuna funzione. Né sono definiti gli obiettivi di servizio, che pure potrebbero essere implicati da talune funzioni, obiettivi la cui determinazione costituisce un criterio di delega stabilito dall’art. 2, lett. f) della legge 42/2009, ma non attuato dal provvedimento in esame.

In tale contesto, poi, non è chiara la ragione della difforme considerazione delle funzioni di amministrazione, di gestione e di controllo degli enti locali, operata dalla norma delegata rispetto alla norma di delega. Pertanto, sarebbe opportuno un chiarimento in merito da parte del Governo.

 


 

Articolo 3
(Metodologia per la determinazione dei fabbisogni standard)

 


1. Il fabbisogno standard, per ciascuna funzione fondamentale e i relativi servizi, tenuto conto delle specificità dei comparti dei Comuni e delle Province, è determinato attraverso:

a) l’individuazione dei modelli orga­nizzativi in relazione alla funzione fon­damentale e ai relativi servizi;

b) l’analisi dei costi finalizzata alla individuazione di quelli più significativi e alla determinazione degli intervalli di normalità;

c) l’individuazione di un modello di stima dei fabbisogni standard.


 

 

L’articolo definisce la metodologia attraverso la quale si perfeziona la definizione dei fabbisogni standard, per ciascuna funzione fondamentale e per i relativi servizi, considerata la specificità dei comparti dei Comuni e delle Province.

Tale metodologia, in particolare, presuppone:

a)  l’individuazione dei modelli organizzativi in relazione alla funzione fondamentale e ai relativi servizi.

La lettera sembra riferirsi all’individuazione delle forme giuridico - organizzative attraverso le quali vengono prestati i servizi connessi ad una data funzione fondamentale, in particolare, ad esempio, verificando se i suddetti servizi sono prodotti in house ovvero esternalizzati.

In effetti, nell’ambito dei criteri indicati per la individuazione dei fabbisogni standard da parte della Società per gli studi di settore – SOSE S.p.a., nell’articolo 4, lettera a), si stabilisce esplicitamente che per la determinazione dei valori di fabbisogno ci si basa sui dati di spesa storica tenendo “altresì conto della spesa relativa ai servizi esternalizzati o svolti in forma associata”;

b)  l’analisi dei costi finalizzata alla individuazione di quelli più significativi e alla determinazione degli intervalli di normalità

c)  l’individuazione di un modello di stima dei fabbisogni standard.

 

Si osserva che, tra i presupposti metodologici fissati dal legislatore delegato per la definizione dei fabbisogni standard, non compare alcun accenno all’analisi dei livelli essenziali delle prestazioni eventualmente connessi all’esercizio delle funzioni fondamentali.

Sul punto si richiama l’articolo 1, comma 2 dello schema di decreto in esame, il quale rapporta il finanziamento integrale delle spesa relativa alle funzioni fondamentali anche ai “livelli essenziali delle prestazioni eventualmente da essa implicate”, evidenziando in tal modo la correlazione esistente - ai fini della definizione di fabbisogni standard - tra spesa e livello essenziale della prestazione (cfr. sul punto, l’articolo 1 e, in ordine ai criteri di definizione del fabbisogno, l’articolo 4).

Profili finanziari

ARTICOLO 3

 

In merito ai profili finanziari, si osserva che la norma, nell’elencare i criteri dei quali occorre tenere conto in sede di determinazione del fabbisogno standard, non fornisce indicazioni su taluni aspetti suscettibili di incidere in modo significativo sulle modalità di finanziamento delle funzioni fondamentali degli enti locali.

A titolo esemplificativo, non è chiaro se il procedimento di quantificazione dei fabbisogni relativi a funzioni soggette a livelli essenziali delle prestazioni (LEP) sia differenziato rispetto a quello relativo alle altre funzioni. Nel caso specifico, infatti, la quantificazione non sembrerebbe potersi basare soltanto su una ricognizione della situazione esistente, dovendo commisurarsi anche ad un livello minimo di prestazioni fisiche che consenta il soddisfacimento di bisogni specificamente tutelati dall’ordinamento. D’altro canto, i criteri in base ai quali andrà valutato tale parametro di essenzialità potranno determinare differenze nella quantificazione delle risorse complessive e nella loro distribuzione territoriale.

Ad esempio, qualora il parametro dell’essenzialità sia interpretato su standard medio-alti delle prestazioni, potrebbe verificarsi un incremento delle esigenze di finanziamento nelle aree in cui tali standard non siano attualmente raggiunti. Viceversa, qualora tale parametro sia fissato a livello più basso, potrebbe venir meno il finanziamento di extra-prestazioni rese dalle amministrazioni che si collocano su standard più elevati.

Analogamente, con riferimento agli standard di costo in base ai quali le prestazioni dovranno essere valutate, andrebbe precisato il significato del riferimento ad “intervalli di normalità” ed i criteri in base ai quali dovranno essere determinati detti intervalli. Da tali criteri potrebbero infatti derivare implicazioni, anche di carattere finanziario.

A titolo esemplificativo si citano alcune delle possibili modalità di determinazione dei predetti intervalli: ad esempio, potrebbe trattarsi di intervalli attorno ai valori medi di ciascuna classe di enti omogenei, ovvero di intervalli attorno ai valori medi degli enti più efficienti della medesima classe.

Il criterio adottato nella quantificazione risulterà suscettibile di incidere sia sull’ammontare complessivo del fabbisogno di risorse (tanto più elevato quanto più basso verrà fissato il livello standard di efficienza), sia sulla sua distribuzione territoriale: Nel caso di fissazione dei costi standard a livelli più alti rispetto a quelli sostenuti dalle amministrazioni più efficienti potrebbe determinarsi un proporzionale incremento delle risorse assegnate a queste ultime, i cui fabbisogni finanziari effettivi verrebbero calcolati in base a costi superiori rispetto a quelli da esse effettivamente sostenuti.

 


 

Articolo 4
(Procedimento di determinazione dei fabbisogni standard)

 


1. Il procedimento di determinazione del fabbisogno standard si articola nel seguente modo:

a) Società per gli studi di settore – Sose S.p.a. predispone le metodologie occor­renti alla individuazione dei fabbisogni standard e ne determina i valori con tecniche statistiche che danno rilievo alle caratteristiche individuali dei singoli Comuni e Province, utilizzando i dati di spesa storica e tenendo altresì conto della spesa relativa a servizi esternalizzati o svolti in forma associata, considerando una quota di spesa per abitante e tenendo conto della produttività e della diversità della spesa in relazione all’ampiezza demografica, alle caratteristiche territoriali, con particolare riferimento alla presenza di zone montane, alle caratteristiche demo­grafiche, sociali e produttive dei predetti diversi enti, al personale impiegato, alla efficienza, all’efficacia e alla qualità dei servizi erogati nonché al grado di soddisfazione degli utenti;

b) Società per gli studi di settore-Sose S.p.a. provvede al monitoraggio della fase applicativa e all’aggiornamento delle ela­borazioni relative alla determinazione dei fabbisogni standard;

c) ai fini di cui alle lettere a) e b), Società per gli studi di settore-Sose S.p.a. può predisporre appositi questionari funzionali a raccogliere i dati contabili e strutturali dai Comuni e dalle Province. Ove predisposti e somministrati, i Comuni e le Province restituiscono per via telematica, entro sessanta giorni dal loro ricevimento, i questionari compilati con i dati richiesti, sottoscritti dal legale rappresentante e dal responsabile econo­mico finanziario. La mancata restituzione, nel termine predetto, del questionario interamente compilato è sanzionato con il blocco, sino all’adempimento dell’obbligo di invio dei questionari, dei trasferimenti a qualunque titolo erogati al Comune o alla Provincia e la pubblicazione sul sito del Ministero dell’interno dell’ente inadem­piente. Agli stessi fini di cui alle lettere a) e b), anche il certificato di conto consuntivo di cui all’articolo 161 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, contiene i dati necessari per il calcolo del fabbisogno standard;

d) tenuto conto dell’accordo sancito il 15 luglio 2010, in sede di Conferenza Stato-Città ed autonomie locali, tra l’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani-ANCI e l’Unione delle Province d’Italia-UPI ed il Ministero dell’economia e delle finanze, per i compiti di cui alle lettere a), b) e c) del presente articolo, la Società per gli studi di settore-Sose S.p.a. si avvale della collaborazione scientifica dell’Istituto per la finanza e per l’economia locale-IFEL, in qualità di partner scientifico, che supporta la predetta società nella realizzazione di tutte le attività previste dal presente decreto. In particolare, IFEL fornisce analisi e studi in materia di contabilità e finanza locale e partecipa alla fase di predisposizione dei questionari e della loro somministrazione agli enti locali; concorre allo sviluppo della metodologia di calcolo dei fabbisogni standard, nonché alla valutazione dell’adeguatezza delle stime prodotte; partecipa all’analisi dei risultati; concorre al monitoraggio del processo di attuazione dei fabbisogni standard, nonché agli indicatori di fabbisogni fissati per i singoli enti. IFEL, inoltre, fornisce assistenza tecnica e formazione ai Comuni e alle Province;

e) le metodologie predisposte ai sensi della lettera a) sono sottoposte, per l’approvazione, alla Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale; in assenza di osservazioni, le metodologie si intendono approvate decorsi quindici giorni dal loro ricevimento. La Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale segue altresì il monitoraggio della fase applicativa e l’aggiornamento delle elaborazioni di cui alla lettera b). I risultati predisposti con le metodologie di elaborazione di cui alle lettere precedenti sono trasmessi dalla Società per gli studi settore-Sose S.p.a. ai Dipartimenti delle finanze e, successi­vamente, della Ragioneria generale dello Stato del Ministero dell’economia e delle finanze, nonché alla Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale.


 

 

L’articolo 4 delinea le modalità attraverso le quali si articola il procedimento di determinazione del fabbisogno standard da parte della Società per gli studi di settore – SOSE S.p.a.

Va rilevato che l’impegno del Ministero dell’economia di avvalersi della Società per gli studi di settore – SOSE S.p.a. non è esplicitato nello schema in esame ma risulta espresso nell’Accordo di mutua collaborazione per la determinazione dei fabbisogni standard siglato il 15 luglio 2010, in sede di Conferenza Stato–città ed autonomie locali, tra il Ministero dell’economia e delle finanze, l’ANCI e l’UPI. In tale accordo, il Governo si impegna altresì ad assicurare le iniziative necessarie ad assicurare a SOSE S.p.a. e all’IFEL - indicato nell’Accordo quale partner scientifico di supporto per l’elaborazione della metodologia necessaria per la determinazione dei fabbisogni standard – gli adeguamenti normativi e finanziari occorrenti per il perseguimento degli obietti dell’Accordo.

La scelta di avvalersi della SOSE S.p.a. per la costruzione dei fabbisogni standard è ampiamente motivata nella relazione illustrativa allo schema in esame, nella quale il Governo conferma, quale ipotesi innovativa per la determinazione dei fabbisogni, l’utilizzo della metodologia attualmente applicata per gli studi di settore.

 

La Società per gli studi di settore – SOSE S.p.a.

So.Se. è una società per azioni costituita ai sensi dell’articolo 10, comma 12 della legge 8 maggio 1998, n. 146 per l'affidamento, in concessione, della elaborazione degli Studi di Settore e di ogni altra attività di studio e ricerca in materia tributaria. Essa è partecipata dal Ministero dell'Economia e delle Finanze per l'89 per cento e della Banca d'Italia per l'11 per cento.

La società ha iniziato ad operare dal mese di marzo 2002, in forza di una convenzione della durata di nove anni con il Dipartimento delle Politiche fiscali del ministero dell’Economia e delle Finanze. La predetta convenzione ha affidato alla So.Se. il compito di svolgere tutte le attività relative alla costruzione, realizzazione e aggiornamento degli studi di settore, nonché ogni altra attività di supporto metodologico all’Amministrazione finanziaria in materia tributaria e di economia d’impresa.

 

Con riguardo alla metodologia di individuazione dei fabbisogni standard, si segnala che nella Relazione concernente il quadro generale di finanziamento degli enti locali, presentata dal Ministro dell’economia il 30 giugno 2010[11], già si accennava all’ipotesi di adottare,quale metodologia possibile per arrivare alla determinazione dei fabbisogni standard, la metodologia già applicata da tempo per gli studi di settore e di avvalersi, di conseguenza, della gestione operativa della SOSE S.p.a., società interamente pubblica[12] con una esperienza ormai decennale nell’applicazione delle suddette metodologie.

In particolare, nell’Approfondimento tecnico n. 4, relativo all’analisi delle metodologie per la determinazione dei fabbisogni standard di province e comuni, sono stati evidenziati i vantaggi che potrebbero derivare dall’utilizzo, ai fini della costruzione del federalismo fiscale, di una metodologia mutuata dai criteri di determinazione degli studi di settore. Tali vantaggi, ribaditi nella relazione illustrativa dello schema in esame, sono individuati, in particolare, nel fatto che la metodologia applicata agli studi di settore si basa sulla condivisione delle scelte tecniche nelle diverse fasi della procedura di costruzione dello studio di settore, mediante un confronto tra gli esperti di settore, avvalendosi della collaborazione dell’IFEL, nonché nel fatto che, mediante l’aggiornamento periodico degli studi di settore, si determina un graduale processo di miglioramento dell’efficienza degli enti locali (in campo fiscale, lo studio di settore determinerebbe, infatti, una progressiva emersione degli imponibili dichiarati). Tale aspetto, applicato al federalismo fiscale, consentirebbe di definire un processo di perseguimento dell’efficienza graduale, come obiettivo di medio-lungo periodo, e dinamico, che prevede una rideterminazione periodica degli standard al fine di tener conto dei cambiamenti nel contesto di riferimento nonché delle innovazioni nelle tecniche di produzione dei servizi.

In sostanza, così come gli studi di settore si prefiggono l’obiettivo di determinare i livelli presuntivi di ricavo, considerati coerenti con un livello accettabile di compliance fiscale, partendo da una situazione di fatto, come rilevata dai dati contabili e strutturali delle imprese raccolti attraverso appositi questionari, così, traslando questa metodologia nel campo del federalismo fiscale, l’obiettivo diviene – come riportato nella relazione illustrativa - la determinazione dei livelli presuntivi di fabbisogno finanziario da considerare coerenti con un livello accettabile di efficienza, partendo non solo dai dati contabili, ma anche dagli aspetti strutturali dei servizi erogati.

A ulteriore supporto di tale scelta, la Relazione ricorda, infine, come i precedenti tentativi legislativi di superamento del criterio della spesa storica per il finanziamento delle spese degli enti locali – criterio che presuppone la determinazione dei trasferimenti statali a favore dei singoli enti in misura pari alla spesa sostenuta l’anno precedente, aumentata di una certa percentuale fissa – messi in campo nel corso degli anni ’90 parallelamente al processo di rafforzamento dell’autonomia finanziaria locale siano, di fatto, falliti. In particolare, si ricorda il D.L. n. 41/1995 (c.d. manovra Dini), con il quale si è cercato di introdurre il cd. "fabbisogno teorico standardizzato" ai fini di una progressiva perequazione dei trasferimenti erariali tra gli enti, che metteva a confronto fabbisogni e risorse godute. L’applicazione del meccanismo di riequilibrio ivi previsto, criticato da una parte degli enti locali, è stato subito sospeso. Successivamente, con il decreto legislativo n. 244/1997 è stata impostata una nuova disciplina dei trasferimenti erariali che, in relazione all’ampliamento dell’autonomia impositiva, si caratterizzava per l'introduzione di un principio diretto a premiare, a fini di riequilibrio e perequazione dei finanziamenti ordinari da parte dello Stato, lo sforzo fiscale e tariffario. Anche tale sistema, tuttavia, non è mai stato applicato.

 

Gli studi di settore

Gli studi di settore, introdotti dall’articolo 62-bis del decreto-legge 30 agosto 1993 n. 331 (convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 29 ottobre 1993, n. 427) sono strumenti diretti a facilitare la ricostruzione induttiva dei redditi d’impresa e di lavoro autonomo, attraverso la determinazione di funzioni di ricavo e compenso per gruppi omogenei di contribuenti operanti nello stesso settore di attività. Essi valutano la capacità di produrre ricavi o conseguire compensi dalle singole attività economiche e si avvalgono di un metodo informatizzato, elaborato su base statistica, che consente ai contribuenti il calcolo dei ricavi o dei compensi presunti dall’attività di ogni singola impresa o professionista (c.d. procedura di calcolo).

Gli studi sono realizzati tramite la raccolta sistematica di dati: sia quelli di carattere fiscale, sia quelli di tipo “strutturale” che caratterizzano l’attività e il contesto economico in cui questa si svolge. In particolare essi sono realizzati rilevando, per ogni singola attività economica, le relazioni esistenti tra le variabili contabili e quelle strutturali, sia interne (processo produttivo, area di vendita, ecc.) che esterne all’azienda o all’attività professionale. Essi tengono infatti conto delle caratteristiche dell’area territoriale e del contesto economico in cui opera l’azienda. La citata legge n. 146 del 1998 (articolo 10, comma 1) ha previsto espressamente che l’Amministrazione finanziaria possa effettuare accertamenti basati sugli studi di settore. Si tratta pertanto di una tipologia di accertamento ulteriore, che si aggiunge a quelle già previste dal D.P.R. n. 600 del 1973 e che con esse si raccorda. Ai sensi della normativa vigente, gli studi di settore sono approvati con decreti ministeriali e sono soggetti a revisione periodica.

Ai sensi della normativa vigente, gli studi di settore sono approvati con decreti ministeriali e sono soggetti a revisione periodica.

L’articolo 83, commi 19 e 20 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (convertito in legge, con modificazioni, dalla l. 6 agosto 2008, n. 133) ha previsto che, a decorrere dal 2009, gli studi di settore siano elaborati anche su base regionale o comunale, sentite anche le associazioni professionali e di categoria.

 

La procedura delineata dall’articolo 4 risulta così articolata:

-         alla SOSE S.p.a. spetta il compito di predisporre le metodologie necessarie per l’individuazione dei fabbisogni standard e di determinarne i valori con tecniche statistiche che diano rilievo alle caratteristiche individuali dei Comuni e delle Province. La Società utilizza a tal fine i dati di spesa storica, tenendo altresì conto della spesa relativa a servizi esternalizzati o svolti in forma associata, considerando una quota di spesa per abitante e tenendo conto della produttività e della diversità della spesa in relazione ai specifici fattori, espressamente indicati, quali l’ampiezza demografica, le caratteristiche territoriali, con particolare riferimento alla presenza di zone montane, le caratteristiche demografiche, sociali e produttive dei predetti diversi enti, il personale impiegato, nonché l’efficienza, l’efficacia e la qualità dei servizi erogati e il grado di soddisfazione degli utenti (lettera a)).

Si osserva che i criteri elencati dalla norma corrispondono, in sostanza, a quelli recati dalla legge delega per il calcolo della spesa corrente standardizzata ai fini del riparto dei fondi perequativi per la parte afferente alle funzioni fondamentali (articolo 13, lettera d), legge n. 42/2009).

In particolare, la norma richiamata, nel demandare ai decreti attuativi la definizione delle modalità, stabilisce che la spesa corrente standardizzata è calcolata appunto sulla base di una quota uniforme per abitante, corretta per “tenere conto della diversità della spesa in relazione all’ampiezza demografica, alle caratteristiche territoriali, con particolare riferimento alla presenza di zone montane, alle caratteristiche demografiche, sociali e produttive dei diversi enti”.

In aggiunta, vengono qui inseriti, ai fini della individuazione del fabbisogno standard, i fattori dell’efficienza, dell’efficacia, della qualità dei servizi erogati e del grado di soddisfazione degli utenti. Si segnala, inoltre, che il compito conferito alla SOSE S.p.a. di predisporre le metodologie necessarie per l’individuazione dei fabbisogni standard e di determinarne i valori con tecniche statistiche andrebbe valutato in relazione ai principi espressi dalla norma di delega che sembra demandare direttamente ai decreti delegati la determinazione del costo e del fabbisogno standard. Andrebbe, in particolare, valutata la congruità dei criteri previsti dalla lettera a) dell’articolo in esame con i criteri direttivi di delega forniti dall’art. 2, comma 2, lett. f) della legge n. 42/2009, che stabiliscono la determinazione del costo e del fabbisogno standard quale costo e fabbisogno che, valorizzando l’efficienza e l’efficacia, costituisca l’indicatore rispetto al quale comparare e valutare l’azione pubblica;

-         la SOSE S.p.a. provvede al monitoraggio della fase applicativa e all’aggiornamento delle elaborazioni relative alla determinazione dei fabbisogni standard (lettera b). Il monitoraggio della fase applicativa e l’aggiornamento delle elaborazioni è seguito anche dalla Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale (lettera e, secondo periodo);

-         ai fini della predisposizione delle metodologie e della determinazione dei valori dei fabbisogni standard, la SOSE può predisporre appositi questionari indirizzati agli enti locali, finalizzati a raccogliere dati contabili e strutturali che, qualora inviati, le Province ed i Comuni sono tenuti a restituire in via telematica, sottoscritti dal legale rappresentante e dal responsabile economico, entro 60 giorni dal ricevimento.

La mancata restituzione nel termine prescritto del questionario integralmente compilato è sanzionata con la sospensione dei trasferimenti a qualunque titolo spettanti agli enti, fino al regolare adempimento dell’obbligo di invio.

Le norme precisano, altresì, che anche il certificato di conto consuntivo di cui all’articolo 161 del D.Lgs. n. 267 del 2000, contiene i dati necessari per il calcolo del fabbisogno standard (lettera c).

In merito va osservato che la norma prevede soltanto la facoltà per la SOSE di predisporre appositi questionari indirizzati agli enti locali, finalizzati a raccogliere da Comuni e Province dati contabili e strutturali. In alternativa, la Società può far riferimento ai dati contenuti nel certificato di conto consuntivo, che, secondo il dettato della norma, “contiene i dati necessari per il calcolo del fabbisogno standard”.

Andrebbe pertanto meglio definito l’ambito operativo dei suddetti questionari e il contenuto dei dati che tramite essi si intende raccogliere.

Si osserva, infatti, quanto già rilevato sui presupposti metodologici, fissati nell’articolo 3, in merito alla mancanza di riferimenti inerenti all’analisi – ai fini della determinazione dei fabbisogni standard - dei livelli delle prestazioni connesse all’esercizio delle funzioni fondamentali;

-         per le sue attività, la Società per gli studi di settore – SOSE S.p.a. si avvale della collaborazione scientifica dell’Istituto per la finanza e l’economia locale – IFEL, in base all’accordo siglato il 15 luglio 2010, in sede di Conferenza Stato – città ed autonomie locali, con ANCI ed UPI. Tale istituto fornisce studi ed analisi in materia di contabilità e finanza locale, collabora nella fase di predisposizione e somministrazione dei questionari, concorre allo sviluppo della metodologia di calcolo dei fabbisogni standard e ne valuta l’adeguatezza; partecipa inoltre al monitoraggio del processo di applicazione dei suddetti fabbisogni e fornisce assistenza tecnica e formativa agli enti locali interessati (lettera d)).

Si segnala che il testo dell’accordo siglato il 15 luglio 2010 prevede che la mutua collaborazione fra l’ANCI, l’UPI e il Ministero dell’economia e delle finanze sia disciplinata entro il 31 dicembre 2010 attraverso un’apposita convenzione. Entro quindici giorni dalla data dell’accordo IFEL e SOSE S.p.a. concordano il piano operativo delle attività. E’ previsto, altresì, come già ricordato, che il Governo si impegni ad assicurare a SOSE S.p.a. ed IFEL gli adeguamenti normativi e finanziari occorrenti per il perseguimento degli obiettivi dell’accordo stesso;

-         le metodologie predisposte per l’individuazione dei fabbisogni standard, in base ai criteri indicati nella lettera a), sono sottoposte all’approvazione della Commissione tecnica paritetica per il federalismo fiscale. In assenza di osservazioni, le metodologie si intendono approvate decorsi quindici giorni dal loro ricevimento (lettera e, primo periodo).

-         i risultati predisposti con le metodologie approvate dalla Commissione tecnica paritetica sono trasmessi dalla SOSE S.p.a. ai Dipartimenti delle finanze e, successivamente, della Ragioneria generale dello Stato, nonché alla stessa Commissione tecnica paritetica per il federalismo fiscale.

 


 

Articolo 5
(Pubblicazione dei fabbisogni standard)

 


1. La nota metodologica relativa alla procedura di calcolo di cui agli articoli precedenti e il fabbisogno standard per ciascun Comune e Provincia sono adottati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentita la Conferenza Stato-Città e autonomie locali, previa loro verifica da parte del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato del Ministero dell’economia e delle finanze, ai fini del rispetto dell’articolo 1, comma 3, e deliberazione del Consiglio dei Ministri, nonché pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale.

2. Ciascun Comune e Provincia dà adeguata pubblicità sul proprio sito istituzionale del decreto di cui al comma 1, nonché attraverso le ulteriori forme di comunicazione del proprio bilancio.


 

 

Il comma 1 dell’articolo in esame demanda ad un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previa deliberazione da parte del Consiglio dei Ministri, sentita la Conferenza Stato-Città e autonomie locali, il compito di adottare:

§      la nota metodologica relativa alla procedura di calcolo di cui agli articoli precedenti;

§      il fabbisogno standard per ciascun Comune e Provincia.

 

Tale adozione deve avvenire dopo una verifica degli effetti finanziari da parte della Ragioneria generale dello Stato del Ministero dell’economia e delle finanze, volta d assicurare il rispetto della prescrizione, prevista all’articolo 1, comma 3, dello schema, che prevede che da esso non devono derivare nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato.

 

Viene infine prevista la pubblicazione dei DPCM sulla Gazzetta Ufficiale.

 

Si segnala che lo schema di D.P.C.M. recante la nota metodologica e la conseguente puntuale determinazione dei fabbisogni di ciascun ente locale non è sottoposto ad alcun vaglio di natura parlamentare.

Si rileva altresì che non essendo stabilito il termine finale di adozione del citato DPCM, occorre valutarne il profilo della conformità alla delega dal punto di vista del rispetto dei relativi tempi, essendo il principio della determinazione dei fabbisogni standard soggetto al vincolo temporale di 24 mesi per l’esercizio della delega.

Si richiama altresì quanto sopra già evidenziato in ordine al rinvio della puntuale determinazione dei fabbisogni standard a provvedimenti di rango inferiore nel sistema delle fonti normative (quali il DPCM), la quale appare configurare una dequalificazione della fonte disposta non dalla legge di delega, ma dal medesimo decreto delegato.

 

Il comma 2 dispone ulteriori forme di pubblicità, prevedendo che ciascun Comune e Provincia pubblichino adeguatamente i contenuti del DPCM sul proprio sito istituzionale e ne diano ulteriore comunicazione nel proprio bilancio secondo le forme previste.

 

 

Procedura per la determinazione dei fabbisogni standard

 

Casella di testo: IFEL 
collabora con Sose SpA come partner scientifico
Casella di testo: Predisposizione facoltativa di questionari per la raccolta dei dati contabili e strutturali di Comuni e province
Casella di testo: Sose SpA
-	predispone le metodologie per l’individuazione dei fabbisogni standard 
-	ne determina i valori con tecniche statistiche
- 	provvede al monitoraggio nella loro fase applicativa e al loro aggiornamento

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 


Articolo 6
(Gradualità)

 


1. L’anno 2012 è individuato quale anno di avvio della fase transitoria comportante il superamento del criterio della spesa storica.

2. La fase transitoria si struttura secondo la seguente modalità e tem­pistica:

a) nel 2011 il criterio dei fabbisogni standard è determinato riguardo ad almeno un terzo delle funzioni fondamen­tali di cui all’articolo 2, comma 1, lettere a) e b), del presente decreto, con un processo di gradualità diretto a garantire l’entrata a regime nell’arco del triennio successivo;

b) nel 2012 il criterio dei fabbisogni standard è determinato riguardo ad alme­no due terzi delle funzioni fondamentali di cui all’articolo 2, comma 1, lettere a) e b), del presente decreto, con un processo di gradualità diretto a garantire l’entrata a regime nell’arco del triennio successivo;

c) nel 2013 il criterio dei fabbisogni standard è determinato riguardo a tutte le funzioni fondamentali di cui all’articolo 2, comma 1, lettere a) e b), del presente decreto, con un processo di gradualità diretto a garantire l’entrata a regime nell’arco del triennio successivo.


 

 

L’articolo 6 delinea i tempi di avvio del periodo transitorio finalizzato al progressivo superamento del criterio della spesa storica nel finanziamento degli enti locali e della sua sostituzione con il criterio dei fabbisogni standard.

 

Sebbene non riceva esplicito richiamo all’interno della disposizione in esame, la fase transitoria trova il suo principio fondante, in primo luogo, nell’articolo 2, comma 2, lett. m) della legge n. 42/2009, il quale dispone che il superamento, per tutti i livelli istituzionali, del criterio della spesa storica sia graduale, nonché, con riferimento specifico agli enti del comparto locale, nell’articolo 21, comma 1, lett. e), il quale demanda al legislatore delegato la definizione di regole, tempi e modalità della fase transitoria in modo da garantire il superamento del criterio della spesa storica in un periodo di cinque anni, per le spese riconducibili all’esercizio delle funzioni fondamentali e per le altre spese.

Secondo le norme transitorie dettate dall’articolo 21, il superamento del criterio della spesa storica in favore del finanziamento dei fabbisogni standard dovrà realizzarsi in un periodo di cinque anni, a partire dal termine che verrà fissato dai decreti legislativi delegati.

Nel frattempo, e fino all’entrata in vigore delle norme di legge che provvederanno alla individuazione delle funzioni fondamentali, il finanziamento del fabbisogno degli enti locali verrà effettuato considerando l’80% delle spese come fondamentali e il restante 20% di esse come non fondamentali.

L’articolo 2 dello schema in esame reca, ai sensi dell’articolo 21 della legge delega n. 42/2009, un elenco, per i comuni e le province, delle funzioni da considerarsi, in via provvisoria, come fondamentali.

 

La norma in esame indica l’anno 2012 quale anno di avvio della fase transitoria comportante il superamento del criterio della spesa storica.

 

L’approccio che il legislatore delegato sembra adottare nel definire la fase transitoria consiste nell’applicazione progressiva del criterio del fabbisogno standard, quale parametro di riferimento per il finanziamento degli enti locali, ad un numero sempre maggiore di funzioni fondamentali.

 

Le fasi e la tempistica in cui si struttura la fase transitoria prevedono che nel 2011 il criterio dei fabbisogni standard sia determinato con riguardo ad almeno un terzo delle funzioni fondamentali per i Comuni e le Province, quali definite all’articolo 2, comma 1, dello schema in esame, con un processo di gradualità tale da garantire l’entrata a regime nel corso del triennio successivo.

 

Nel 2012 tale criterio è determinato con riguardo ad almeno due terzi delle suddette funzioni, anche in questo caso con un’entrata a regime nell’arco del triennio successivo.

 

Nel 2013 il criterio dei fabbisogni standard è determinato con riguardo a tutte le funzioni fondamentali, sempre con un processo di gradualità che, come nelle fasi precedenti, deve comunque assicurare l’entrata a regime nell’arco del triennio successivo.

 

In sostanza, nel periodo di transizione, la norma sembra indicare una sorta di “convivenza” tra il criterio della spesa storica e quello del fabbisogno standardizzato per il finanziamento dei vari gruppi di funzioni fondamentali.

La progressiva sostituzione del criterio della spesa storica in favore del fabbisogno standard dovrebbe inoltre comportare, secondo i principi del federalismo fiscale, una graduale sostituzione dei trasferimenti statali con entrate proprie.

 

Si ricorda, infatti, che l’attuazione del nuovo sistema di finanziamento delle spese degli enti locali determinerà la soppressione dei trasferimenti statali e regionali attualmente diretti al finanziamento degli enti locali. Dalla soppressione sono esclusi soltanto gli stanziamenti destinati agli interventi speciali ex art. 119, comma 5, Cost., alla costituzione dei fondi perequativi e quelli ancora in essere sulle rate di ammortamento dei mutui contratti dagli enti locali.

Ai sensi dell’articolo 21 della legge n. 42/2009, nella fase transitoria i decreti legislativi attuativi della delega dovranno fornire adeguata garanzia che la somma del gettito delle nuove entrate, derivanti dall’autonomia finanziaria e dai trasferimenti perequativi, sia, per il complesso dei comuni e delle province, corrispondente al valore dei trasferimenti che vengono soppressi, in maniera tale da garantire che nella fase di passaggio dal vecchio al nuovo sistema il comparto riceva, nel complesso, lo stesso ammontare di risorse di cui dispone nella situazione attuale. A parità di trasferimenti soppressi, l’entità del fondo perequativo dipende pertanto dalla quota di risorse proprie assegnate a ciascun comparto.

Nel processo di determinazione del fabbisogno standard, cui sarà ancorato nel nuovo sistema, il finanziamento delle funzioni, la norma transitoria sottolinea l’esigenza di un riequilibrio delle risorse tra gli enti che in base alla normativa vigente risultano sottodotati, in termini di trasferimenti erariali, ovvero sovradotati.

Infine, è previsto che, nella fase di transizione, i fondi perequativi siano quantificati, per ciascun livello di governo, in misura pari alla differenza tra i trasferimenti statali soppressi e le maggiori entrate derivanti dall’autonomia finanziaria, spettanti a comuni e province in sostituzione di tali trasferimenti.

Profili finanziari

ARTICOLI 6, 7

Gradualità della fase transitoria e revisione a regime dei fabbisogni standard

 

In merito ai profili finanziari, si evidenzia che l’articolo 6 del provvedimento delinea un percorso graduale di sostituzione, nell’arco di 5 anni, del criterio della spesa storica con quello dei fabbisogni standard e un successivo percorso di aggiornamento di questi ultimi. Tale processo di efficientamento sembrerebbe sottendere una parallela progressiva riduzione delle risorse necessarie al finanziamento delle funzioni fondamentali, a parità di livelli delle prestazioni. In assenza di un contestuale esame del provvedimento attuativo della l. 42/09 riguardante la sostituzione dei trasferimenti statali con ricorso alla fiscalizzazione, non è chiaro se potrà eventualmente determinarsi un disallineamento nel tempo delle risorse fiscali devolute agli enti locali (tendenzialmente crescenti per la naturale evoluzione delle basi imponibili) rispetto ai fabbisogni standard (potenzialmente decrescenti se il processo di riduzione dei costi non fosse controbilanciato da un incremento delle prestazioni per adeguamento ai LEP).

Nella Relazione concernente il quadro generale di finanziamento degli enti locali[13], si evidenzia che il raggiungimento dell’obiettivo di coincidenza tra “cosa amministrata” e “cosa tassata” nell’ambito del federalismo municipale e, per analogia, con riguardo all’autonomia finanziaria delle province, dovrebbe raggiungersi attraverso due fasi distinte: la prima, di attribuzione ai comuni della titolarità dei tributi statali inerenti al comparto territoriale ed immobiliare; la seconda di eventuale concentrazione, su iniziativa dei singoli comuni, dei tributi statali e municipali relativi al comparto immobiliare in un unico titolo di prelievo.

In base alle informazioni attualmente disponibili[14] circa il contenuto dello schema di decreto legislativo in materia di federalismo fiscale municipale - approvato, in esame preliminare, dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 4 agosto 2010 e trasmesso alle Regioni ed agli enti locali ai fini del conseguimento dell’intesa - la fiscalizzazione e l’adozione del criterio dei fabbisogni standard dovrebbero procedere, in una prima fase, di pari passo attraverso un percorso graduale che implichi, non già il passaggio agli enti locali della titolarità di tributi statali del comparto immobiliare esatti nei rispettivi territori, quanto piuttosto la devoluzione del gettito di alcuni tributi relativi a cespiti immobiliari. Qualora fosse prevista [15] la conservazione allo Stato di quote di compartecipazione a tale gettito, andrebbe chiarito se tale quota possa subire incrementi, in relazione alla riduzione dei fabbisogni finanziari conseguente al processo di adeguamento degli standard previsto dall’articolo in esame e se dette risorse aggiuntive possano essere eventualmente destinate al miglioramento dei saldi di finanza pubblica.

 


 

Articolo 7
(Revisione a regime dei fabbisogni standard)

 

1. Al fine di garantire continuità ed efficacia al processo di efficientamento dei servizi locali, i fabbisogni standard vengono rideterminati, con le modalità previste nel presente decreto, non oltre il terzo anno successivo alla loro precedente adozione.

2. Le relative determinazioni sono trasmesse, dal momento della sua istituzione, alla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica di cui all’articolo 5 della legge 5 maggio 2009, n. 42, che si avvale della Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale.

 

 

L’articolo 7, dispone, al comma 1, al fine di garantire continuità efficacia al processo di efficientamento dei servizi locali, che i fabbisogni standard vengano rideterminati – con le modalità previste dal decreto in esame - non oltre il terzo anno successivo alla loro precedente adozione.

 

Si ricorda che l’articolo 4 individua nella SOSE S.p.a il soggetto competente a predisporre le metodologie occorrenti alla individuazione dei fabbisogni standard e a determinarne i valori, nonché all’aggiornamento delle elaborazioni relative alla determinazione dei fabbisogni standard. La SOSE, nell’espletamento della sua attività, si avvale dell’Istituto per la finanza e per l’economia locale (IFEL), in qualità di partner scientifico.

La Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale verifica le metodologie per la determinazione dei fabbisogni e segue il monitoraggio della fase applicativa e l’aggiornamento delle elaborazioni.

L’articolo 5 dello schema di decreto in esame prevede che i fabbisogni standard per ciascun Comune e Provincia – una volta definiti con le modalità suddette – siano adottati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. E’ presumibile che anche la loro rideterminazione debba seguire la stessa procedura approvativa.

 

Il comma 2 dispone che le relative determinazioni siano trasmesse alla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica - dal momento della sua istituzione - di cui all’articolo 5 della legge 5 maggio 2009, n. 42, che si avvale della Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale.

 

Si ricorda che la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica è un organismo, da istituirsi nell’ambito della Conferenza Unificata, di cui fanno parte i diversi livelli istituzionali di governo. La Conferenza si avvale della Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale quale segreteria tecnica per lo svolgimento delle attività istruttorie e di supporto necessarie alla sua attività (articolo 1, lett. g)).

Tra i compiti istituzionali, previsti dall’articolo 5 della legge n. 42/2009, vi è quello di proposta dei criteri per il corretto utilizzo dei fondi perequativi secondo principi di efficacia, efficienza e trasparenza, nonché di verifica della loro applicazione (comma 1, lett. b)), e quello di verificare periodicamente la realizzazione del percorso di convergenza ai costi e ai fabbisogni standard, nonché agli obiettivi di servizio (comma 1, lett.h))

A tali fini, è prevista l’istituzione di una banca dati comprendente indicatori di costo, di copertura e di qualità dei servizi, utilizzati per definire i costi e i fabbisogni standard e gli obiettivi di servizio nonché per valutare il grado di raggiungimento degli obiettivi di servizio (comma 1, lett.g)).

 

La disposizione dettata dal comma 2, che prevede la trasmissione delle rideterminazioni periodiche dei fabbisogni standard alla istituenda Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica appare conforme ai compiti istituzionali del suddetto organo, il quale, peraltro, – in base alla formulazione dell’articolo 4 – non sembra invece essere chiamato ad intervenire in sede di prima determinazione dei fabbisogni standard.

Le metodologie occorrenti alla individuazione dei fabbisogni standard predisposte dalla SOSE sono infatti sottoposte all’approvazione della Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale e non già alla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica.

La Commissione tecnica paritetica segue altresì il monitoraggio della fase applicativa e l’aggiornamento delle elaborazioni relative alla determinazione dei fabbisogni standard.

 


 

Articolo 8
(Disposizioni finali ed entrata in vigore)

 


1. I fabbisogni standard delle Città metropolitane, una volta costituite, sono determinati, relativamente alle funzioni fondamentali per esse individuate ai sensi dell’articolo 23, comma 5, lettere e) e f), della legge 5 maggio 2009, n. 42, e successive modificazioni, secondo le norme del presente decreto, in quanto compatibili.

2. La Società per gli studi di settore-Sose S.p.a. e l’Istituto per la finanza e per l’economia locale-IFEL provvedono alle attività di cui al presente decreto nell’ambito delle rispettive risorse.

3. Il presente decreto entro in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.


 

 

L’articolo 8, al comma 1, estende le modalità di individuazione dei fabbisogni standard recate dal provvedimento in esame, in quanto compatibili, alla determinazione dei fabbisogni standard delle Città metropolitane, una volta costituite, relativamente alle funzioni fondamentali per esse individuate dalla legge delega n. 42/2009.

 

L’articolo 23, comma 6 della citata legge n. 42/2009, prevede : alla lettera e) che ai soli fini delle disposizioni concernenti le spese e l’attribuzione delle risorse finanziarie alle città metropolitane, con riguardo alla popolazione e al territorio metropolitano, le funzioni fondamentali della provincia sono considerate, in via provvisoria, funzioni fondamentali della città metropolitana, con efficacia dalla data di insediamento dei suoi organi definitivi; alla lettera f) che, per le finalità di cui alla lettera e), siano altresì considerate funzioni fondamentali della città metropolitana, con riguardo alla popolazione e al territorio metropolitano:

1)       la pianificazione territoriale generale e delle reti infrastrutturali;

2)       la strutturazione di sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici;

3)       la promozione e il coordinamento dello sviluppo economico e sociale.

 

Con riferimento al comma 1, si osserva l’opportunità di correggere il richiamo normativo in esso contenuto posto che le funzioni fondamentali delle città metropolitane sono disciplinate dall’articolo 23, comma 6, lett. e) e f).

A questo proposito si ricorda che è attualmente all’esame parlamentare lo schema di decreto legislativo recante disposizioni di attuazione dell’articolo 24, legge n. 42/2009, in materia di ordinamento transitorio di Roma Capitale (Atto n. 241).

 

Il comma 2 prevede che la Società per gli studi di settore - SOSE S.p.a. e l’Istituto per la finanza e per l’economia locale (IFEL) provvedono - nell’ambito delle rispettive risorse - alle attività previste dal decreto.

 

Il comma 3 dispone in ordine all’entrata in vigore del provvedimento in esame, fissandola al giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

Profili finanziari

ARTICOLO 8, comma 2

Metodologia e procedimento di determinazione dei fabbisogni standard

 

In merito ai profili finanziari si rileva che la disposizione di cui all’articolo 8, comma 2, che impone alla Società per gli studi di settore ed all’Istituto per la finanza e per l’economia locale di provvedere alle attività loro assegnate dal provvedimento nell’ambito delle rispettive risorse, sembrerebbe non conforme al contenuto dell’accordo siglato il 15 luglio 2010, nel quale il Governo si impegna anche ad adottare le iniziative per assicurare gli adeguamenti finanziari necessari per il perseguimento degli obiettivi dell’accordo di mutua collaborazione per la determinazione dei fabbisogni standard.

In considerazione delle attività assegnate ai due soggetti coinvolti e della durata dell’impegno assunto dai medesimi, appare opportuno che il Governo fornisca elementi atti a suffragare che l’espletamento della procedura di individuazione dei fabbisogni standard non sia suscettibile di determinare , anche in futuro, nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

 

 


 

 



[1]     Si ricorda che, ai sensi dell’articolo 20, comma 2, della legge n. 42/2009, è la legge statale che stabilisce i livelli essenziali di assistenza e i livelli essenziali delle prestazioni; fino a loro nuova determinazione in virtù della legge statale, si considerano i livelli essenziali di assistenza e i livelli essenziali delle prestazioni quelli già fissati in base alla legislazione.

[2]     L’articolo 12 individua specificamente quali entrate dei comuni e delle province devono essere destinate, in via prioritaria, al finanziamento delle funzioni fondamentali: per icomuni è fatto riferimento al gettito della compartecipazione all’IVA, alla compartecipazione all’IRPEF e alla imposizione immobiliare, con esclusione dell'abitazione principale; per le province, al gettito di tributi relativi al trasporto su gomma e alla compartecipazione a un solo tributo erariale. E’ rimessa, invece, alla facoltà delle città metropolitane la scelta circa l’applicazione dei tributi in relazione al finanziamento delle spese fondamentali.

[3]     L’articolo 13 prevede l’istituzione di due fondi perequativi, uno a favore dei comuni, l’altro a favore delle province e delle città metropolitane, iscritti nel bilancio delle singole regioni ed alimentati attraverso un apposito fondo perequativo dello Stato. La dimensione del fondo perequativo è determinata, per ciascuna tipologia di ente, in misura pari alla differenza tra il totale dei fabbisogni standard per le funzioni fondamentali e il totale delle entrate standardizzate spettanti ai comuni e alle province, intendendosi come tali le entrate derivanti dai tributi propri valutati ad aliquota standard.

[4]     Sul punto si veda: IFEL, Rapporto 2008.

[5]     Si ricorda brevemente che il Patto di stabilità rappresenta lo strumento attraverso il quale gli enti territoriali partecipano alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica. Per il triennio 2009-2011, la disciplina del Patto di stabilità per gli enti locali è disciplinata dall’art. 77-bis del D.L. n. 112/2008, come successivamente modificato ed integrato, ed assume come obiettivo programmatico la riduzione del disavanzo finanziario.

      Per ciascun ente, l’obiettivo del Patto consiste nel raggiungimento, in ciascuno degli anni 2009, 2010 e 2011, di un saldo finanziario almeno pari a quello del 2007, corretto (vale a dire migliorato per gli enti in disavanzo, ovvero peggiorato per gli enti in avanzo) di una determinata misura, calcolata applicando al saldo dell’anno 2007 alcuni coefficienti. I coefficienti sono differenziati per i comuni e le province a seconda che l’ente locale sia un ente “virtuoso” o meno (cioè se abbia o meno rispettato il Patto di stabilità per l’anno 2007) e presenti, nel 2007, un saldo di bilancio positivo o negativo. Il mancato raggiungimento degli obiettivi posti dal Patto di stabilità interno comporta l’applicazione di una serie di misure sanzionatorie.

[6]     Il dato non tiene conto della riduzione dei trasferimenti disposta dal decreto legge n. 78 del 2010.

[7]     L. 5 giugno 2003, n. 131, Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3.

[8]     Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione.

[9]     D.P.R. 31 gennaio 1996, n. 194, Regolamento per l'approvazione dei modelli di cui all'art. 114 del D.Lgs. 25 febbraio 1995, n. 77, concernente l'ordinamento finanziario e contabile degli enti locali. In merito, si segnala che la stessa legge n. 42 contiene una delega al Governo – che non è stata ancora esercitata – per armonizzare i sistemi contabili e gli schemi di bilancio degli enti locali e i relativi termini di presentazione e approvazione, in funzione delle esigenze di programmazione, gestione e rendicontazione della finanza pubblica (articolo 2, co. 1). I principi e criteri generali della delega prevedono l’adozione di regole contabili uniformi e di un comune piano dei conti integrato; l’adozione di comuni schemi di bilancio articolati in missioni e programmi coerenti con la classificazione economica e funzionale individuata dagli appositi regolamenti comunitari in materia di contabilità nazionale e relativi conti satellite; l’adozione di un bilancio consolidato con le proprie aziende, società o altri organismi controllali, secondo uno schema comune; l’affiancamento, a fini conoscitivi, al sistema di contabilità finanziaria di un sistema e di schemi di contabilità economico-patrimoniale ispirati a comuni criteri di contabilizzazione; la raccordabilità dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio degli enti territoriali con quelli adottati in ambito europeo ai fini della procedura per i disavanzi eccessivi; la definizione di una tassonomia per la riclassificazione dei dati contabili e di bilancio per le amministrazioni pubbliche di cui alla presente legge tenute al regime di contabilità civilistica, ai fini del raccordo con le regole contabili uniformi; definizione di un sistema di indicatori di risultato semplici, misurabili e riferiti ai programmi del bilancio, costruiti secondo criteri e metodologie comuni ai diversi enti territoriali (art. 2, co. 2, lett. h), come modificato dalla L. n. 196/2009).

[10]    Si ricorda che nell’ambito della manovra economica per l’anno 2011 sono state introdotte alcune disposizioni (articolo 14, commi 25-31, D.L. 78/2010) che vincolano i comuni all’esercizio in forma associata delle funzioni fondamentali, per la cui individuazione si rinvia all’elenco di cui all’articolo 21, co. 3, della L. n. 42/2009.

[11]    Relazione concernente il quadro generale di finanziamento degli enti territoriali e ipotesi di definizione su base quantitativa della struttura fondamentale dei rapporti finanziari tra lo Stato, le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano e gli enti locali, con l’indicazione delle possibili distribuzioni delle risorse” (Doc. XXVII, n. 22).

[12]    La Società è per l’88 per cento di proprietà del MEF e, per la restante quota, di proprietà della Banca d’Italia. In base alle informazioni fornite nella Relazione, la società gestisce ed aggiorna circa 206 studi di settore, relativi a una platea di 3,5 milioni di contribuenti.

[13]    Presentata al Parlamento il 30 giugno 2010. Cfr. pag. 27 e seguenti.

[14]    Cfr. il comunicato del Consiglio dei ministri n. 104 del 4 agosto 2010.

[15]    Come risulta da alcune fonti di stampa.