Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento istituzioni
Titolo: Ricongiungimento familiare - Schema di D.Lgs. n. 3 - (art. 1, co. 3 e 5, L. 62/2005)
Riferimenti:
SCH.DEC 3/XVI     
Serie: Atti del Governo    Numero: 4
Data: 10/06/2008
Descrittori:
FAMIGLIA   IMMIGRAZIONE
STRANIERI     
Organi della Camera: I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni


Camera dei deputati

XV LEGISLATURA

 

SERVIZIO STUDI

 

Atti del Governo

Ricongiungimento familiare

Schema di D.Lgs. n. 3

(art. 1, co. 3 e 5, L. 62/2005)

 

 

 

 

n. 4

 

 

10 giugno 2008

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DIPARTIMENTO istituzioni

SIWEB

 

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File: ac0096.doc

 

 


INDICE

Schede di lettura

Il quadro normativo  3

Lo schema di decreto legislativo  6

§      D.P.R. 5 gennaio 1967, n. 200. Disposizioni sulle funzioni e sui poteri consolari. (art. 49)19

§      D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286. Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero. (artt. 29-33)21

§      D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394. Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell'art. 1, comma 6, del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (art. 2)29

§      L. 18 aprile 2005, n. 62. Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2004 (art. 1)31

§      Ministero degli affari esteri – Nota n. 306/504236 del 22 dicembre 2005, Test volontari del DNA quale strumento di ultima istanza per il riconoscimento del rapporto di parentela ai fini del ri-congiungimento familiare – collaborazione con l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni34

§      D.Lgs. 8 gennaio 2007, n. 5. Attuazione della direttiva 2003/86/CE relativa al diritto di ricongiungimento familiare.39

Normativa comunitaria

§      Dir. 22 settembre 2003, n. 2003/86/CE. Direttiva del Consiglio relativa al diritto al ricongiungimento familiare.47

Documentazione

§      Ministero dell’Interno, 1° Rapporto sugli immigrati in Italia, dicembre 2007 (stralcio)63

 

 


Schede di lettura

 


Il quadro normativo

Il testo unico delle leggi sull’immigrazione del 1998[1] disciplina sia il diritto dell’immigrazione in senso stretto, ossia l’insieme delle regole e delle procedure relative alla gestione complessiva dei flussi migratori, sia il diritto all’integrazione, consistente nella predisposizione degli strumenti idonei per garantire anche agli stranieri, per quanto è possibile, gli stessi diritti dei cittadini, per rimuovere gli ostacoli all’effettivo esercizio di tali diritti e per favorire la loro integrazione nella società.

Una disposizione di carattere generale è rinvenibile nell’art. 40, co. 1-bis, introdotto dalla L. 189/2002, che circoscrive l’accesso alle misure di integrazione sociale agli stranieri regolari.

Il testo unico appresta, agli artt. 28 e seguenti, una specifica tutela del diritto dello straniero, regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato, a mantenere l’unità del suo nucleo familiare, prevedendo la possibilità del ricongiungimento, allorché ricorrano le condizioni di cui all’art. 29, a favore di talune categorie di familiari. Specifiche disposizioni del testo unico (artt. 31-33) prendono poi in esame la tutela dei minori, il cui prioritario interesse deve sorreggere tutti i provvedimenti amministrativi e giurisdizionali in materia di diritto all’unità familiare.

Nella XV legislatura la disciplina sul ricongiungimento è stata adeguata alla normativa comunitaria ad opera del D.Lgs. 5/2007, di recepimento della direttiva 2003/86/CE[2].

 

Il diritto a mantenere o a riacquistare l’unità familiare nei confronti dei familiari stranieri è riconosciuto dall’art. 28 agli stranieri in possesso di un titolo legale di permanenza in Italia, ovvero: permesso di soggiorno CE di lungo periodo (che ha durata indeterminata) o permesso di soggiorno di durata non inferiore a un anno, rilasciato per lavoro subordinato o autonomo, per asilo, per studio, per motivi religiosi, o per motivi familiari.

L’art. 29 individua le categorie di soggetti per i quali lo straniero regolarmente soggiornante può avanzare richiesta di ricongiungimento familiare e i requisiti necessari perché il questore possa rilasciare il relativo nulla osta (consistenti nella disponibilità di un reddito sufficiente al sostentamento e di un alloggio idoneo). Tali requisiti non sono richiesti nel caso di rifugiato.

Per quanto riguarda il primo profilo, il ricongiungimento può riguardare:

§      il coniuge;

§      i figli minori;

§      i figli maggiorenni, ma solo se a carico e se non possono provvedere a loro stessi per motivi di salute;

§      i genitori a carico che non dispongono di un adeguato sostentamento in patria.

Con riguardo al secondo profilo, lo straniero che richiede il ricongiungimento deve dimostrare la disponibilità:

§         di un alloggio che soddisfi determinati requisiti di idoneità;

§         di un reddito annuo derivante da fonti lecite sufficiente al sostentamento del nucleo familiare ampliato a seguito del ricongiungimento.

A condizione che ricorrano i requisiti di disponibilità di alloggio e di reddito appena illustrati, si consente l’ingresso al seguito dello straniero titolare di permesso di soggiorno, dei familiari con i quali è possibile attuare il ricongiungimento.

È consentito inoltre l’ingresso, per ricongiungimento, al figlio minore regolarmente soggiornante in Italia, del genitore naturale che dimostri, entro un anno dall’ingresso in Italia, il possesso dei requisiti logistici e reddituali di cui sopra, salvo che si tratti di straniero già espulso o del quale sia segnalato come necessario il respingimento (ai sensi dell’art. 4, co. 6 del Testo unico).

Le competenze in materia di nulla osta al ricongiungimento familiare sono conferite allo sportello unico per l’immigrazione.

Sotto il profilo processuale, il testo unico affida al tribunale in composizione monocratica la giurisdizione sui ricorsi avverso il diniego di nulla osta al ricongiungimento familiare e, in generale, contro tutti i provvedimenti in materia di diritto all’unità familiare (art. 30, co. 6 T.U.).

 

Si individua, inoltre (art. 30) una particolare categoria di permesso di soggiorno rilasciato per motivi familiari alle categorie di soggetti espressamente individuate e con durata identica a quella del permesso di soggiorno del familiare in possesso dei requisiti per il ricongiungimento.

 

Il permesso di soggiorno per motivi familiari è rilasciato:

§         allo straniero che ha fatto ingresso in Italia con visto di ingresso per ricongiungimento familiare, ovvero con visto di ingresso al seguito del proprio familiare nei casi previsti dall’articolo 29, ovvero con visto di ingresso per ricongiungimento al figlio minore;

§         agli stranieri regolarmente soggiornanti ad altro titolo da almeno un anno che abbiano contratto matrimonio nel territorio dello Stato con cittadini italiani o di uno Stato membro dell’Unione europea, ovvero con cittadini stranieri regolarmente soggiornanti[3];

§         al familiare straniero regolarmente soggiornante, in possesso dei requisiti per il ricongiungimento con il cittadino italiano o di uno Stato membro dell’Unione europea residenti in Italia, ovvero con straniero regolarmente soggiornante in Italia. In tal caso il permesso del familiare è convertito in permesso di soggiorno per motivi familiari. La conversione può essere richiesta entro un anno dalla data di scadenza del titolo di soggiorno originariamente posseduto dal familiare. Qualora detto cittadino sia un rifugiato si prescinde dal possesso di un valido permesso di soggiorno da parte del familiare;

§         al genitore straniero, anche naturale, di minore italiano residente in Italia. In tal caso il permesso di soggiorno per motivi familiari è rilasciato anche a prescindere dal possesso di un valido titolo di soggiorno, a condizione che il genitore richiedente non sia stato privato della potestà genitoriale secondo la legge italiana.

 

Il permesso di soggiorno per motivi familiari consente l’accesso ai servizi assistenziali, l’iscrizione a corsi di studio o di formazione professionale, l’iscrizione nelle liste di collocamento, lo svolgimento di lavoro subordinato o autonomo.

Le disposizioni a favore dei minori (artt. 31-33) prevedono forme di facilitazione all’ingresso dei medesimi nel territorio nazionale, consistenti nella loro iscrizione automatica nel permesso o nella carta di soggiorno di uno o entrambi i genitori (se conviventi e regolarmente soggiornanti) fino al compimento del quattordicesimo anno di età. Al medesimo minore verrà in seguito rilasciato un permesso di soggiorno per motivi familiari, valido fino al raggiungimento della maggiore età, e che potrà essere successivamente riconvertito in altra categoria di permesso.

Si prevede, inoltre, la possibilità di concedere anche ai minori stranieri di cui non sono stati rintracciati i genitori (i cosiddetti minori non accompagnati) il permesso di soggiorno per motivi familiari, a condizione che siano ammessi per un periodo di almeno due anni in un progetto di integrazione gestito da enti autorizzati.

Per far fronte alle diverse esigenze collegate alla presenza dei minori, l’art. 33 del testo unico ha istituito il Comitato per i minori stranieri, originariamente operante presso la Presidenza del Consiglio, ed oggi presso il Ministero della solidarietà sociale.

 

Il Comitato, disciplinato dal decreto del Presidente del Consiglio 535/1999[4], svolge compiti di vigilanza e coordinamento sulle modalità di soggiorno dei minori stranieri temporaneamente ammessi sul territorio dello Stato e di tutela dei relativi diritti.

Lo schema di decreto legislativo

Lo schema di decreto legislativo, che consta di un solo articolo, reca modifiche ed integrazioni al decreto legislativo n. 5 dell’8 gennaio 2007 in materia di attuazione della direttiva 2003/86/CE relativa al diritto di ricongiungimento familiare.

 

Lo schema di decreto è adottato in virtù della norma di delega conferita al Governo nell’art. 1, comma 5, della L. 62/2005 (legge comunitaria 2004)[5]; ai sensi del quale entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi di cui agli allegati A e B della medesima legge comunitaria, il Governo può emanare disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi stessi. Nel caso di specie, la delega per l’adozione di disposizioni integrative e correttive scadrà il 15 agosto 2008.

 

In realtà, lo schema – nella sua formulazione letterale – non modifica il D.Lgs. 5/2007, ma interviene sul testo unico in materia di immigrazione (D.Lgs. 286/1998), ed in particolare sull’art. 29, che il D.Lgs. 5/2007 aveva interamente riformulato, in qualche caso ripristinando il testo previgente.

Oggetto dell’intervento è, in primo luogo, il comma 1 dell’art. 29, che indica i familiari nei confronti dei quali lo straniero regolarmente presente in Italia può chiedere il ricongiungimento. Mentre le categorie di familiari oggetto del ricongiungimento rimangono le stesse, vengono individuati ulteriori requisiti per l’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare.

Inoltre, viene previsto il ricorso all’esame del DNA per l’accertamento del rapporto di parentela.

 

Come si legge nella relazione sull’Analisi di impatto della regolamentazione che accompagna lo schema, l’intervento normativo agisce “in senso restrittivo sui presupposti dell’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare”, allo scopo di “circoscrivere e rendere più rigorose le condizioni per l’esercizio” di tale diritto[6].

 

Ai fini di un puntuale esame delle novità introdotte dallo schema e, più in generale, dell’evoluzione normativa sulla materia, il testo a fronte che segue pone a confronto il vigente art. 29, co. 1, del testo unico sull’immigrazione (D.Lgs. 286/1998), frutto delle modifiche apportate per recepire la normativa comunitaria ad opera del D.Lgs. 5/2007 (colonna 3) con il testo dello schema in esame (colonna 4), nonché con il testo originario del D.Lgs. 286/1998 (colonna 1) e con il testo modificato dalla L. 189/2002, la cosiddetta “legge Bossi-Fini” (colonna 2).

 

Testo originario

Testo modificato dalla L. 189/2002

Testo modificato dal D.Lgs. 5/2007, attualmente in vigore

Testo modificato dallo schema di D.Lgs.

Art. 29.
Ricongiungimento familiare.

Art. 29.
Ricongiungimento familiare.

Art. 29.
Ricongiungimento familiare.

Art. 29.
Ricongiungimento familiare.

1. Lo straniero può chiedere il ricongiungimento per i seguenti familiari:

1. Lo straniero può chiedere il ricongiungimento per i seguenti familiari:

1. Lo straniero può chiedere il ricongiungimento per i seguenti familiari:

1. Lo straniero può chiedere il ricongiungimento per i seguenti familiari:

a) coniuge non legalmente separato;

a) coniuge non legalmente separato;

a) coniuge;

a) coniuge non legalmente separato e di età non inferiore ai diciotto anni;

b) figli minori a carico, anche del coniuge o nati fuori del matrimonio, non coniugati ovvero legalmente separati, a condizione che l’altro genitore, qualora esistente, abbia dato il suo consenso;

b) figli minori a carico, anche del coniuge o nati fuori del matrimonio, non coniugati ovvero legalmente separati, a condizione che l’altro genitore, qualora esistente, abbia dato il suo consenso;

b) figli minori, anche del coniuge o nati fuori del matrimonio, non coniugati, a condizione che l’altro genitore, qualora esistente, abbia dato il suo consenso;

b) figli minori, anche del coniuge o nati fuori del matrimonio, non coniugati, a condizione che l’altro genitore, qualora esistente, abbia dato il suo consenso;

 

b-bis) figli maggiorenni a carico, qualora non possano per ragioni oggettive provvedere al proprio sostentamento a causa del loro stato di salute che comporti invalidità totale;

c) figli maggiorenni a carico, qualora permanentemente non possano provvedere alle proprie indispensabili esigenze di vita in ragione del loro stato di salute;

c) figli maggiorenni non coniugati a carico, qualora per ragioni oggettive non possano provvedere alle proprie indispensabili esigenze di vita in ragione del loro stato di salute che comporti invalidità totale;

c) genitori a carico;

c) genitori a carico qualora non abbiano altri figli nel Paese di origine o di provenienza ovvero genitori ultrasessantacinquenni qualora gli altri figli siano impossibilitati al loro sostentamento per documentati gravi motivi di salute;

d) genitori a carico che non dispongano di un adeguato sostegno familiare nel Paese di origine o di provenienza.

d) genitori a carico, qualora non abbiano altri figli nel Paese di origine o di provenienza, ovvero genitori ultrasessantacinquenni qualora gli altri figli siano impossibilitati al loro sostentamento per documentati, gravi motivi di salute.

d) parenti entro il terzo grado, a carico, inabili al lavoro, secondo la legislazione italiana.

d) [lettera abrogata dall’art. 23, co. 1, L. 189/2002].

 

 

 

 

 

1-bis. Ove gli stati di cui al comma 1, lettere b), c) e d) non possano essere documentati in modo certo mediante certificati o attestazioni rilasciati da competenti autorità straniere, in ragione della mancanza di una autorità riconosciuta o comunque quando sussistano fondati dubbi sulla autenticità della predetta documentazione, le rappresentanze diplomatiche o consolari provvedono al rilascio di certificazioni, ai sensi dell’articolo 49 del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 200, sulla base dell’esame del DNA (acido desossiribonucleico), effettuato a spese degli interessati.

[…]

[…]

[…]

[…]

 

La lettera a)dell’art. 29, co. 1, nel testo vigente offre la possibilità di richiedere il ricongiungimento familiare per il coniuge senza condizioni. Lo schema in esame introduce, invece, due specifici requisiti per l’esercizio del ricongiungimento del coniuge: questi

§      non deve essere legalmente separato e

§      deve avere almeno diciotto anni.

Per quanto riguarda la prima condizione, viene ripristinata una disposizione presente nel testo originario dell’articolo, non modificato dalla L. 189/2002. Il D.Lgs. 5/2007 ha soppresso la condizione di non sussistenza della separazione legale, in considerazione del fatto che tale modifica “non amplia la platea dei destinatari della norma, ma si limita ad una modifica di carattere meramente formale, atteso che la condizione in parola corrisponde ad un istituto della disciplina del diritto matrimoniale italiano e non a quella dei Paesi di provenienza”[7].

Relativamente al requisito dell’età, la relazione illustrativa ne motiva l’introduzione con la necessità di “evitare matrimoni di comodo”.

La direttiva 2003/86/CE (art. 4, par. 1, lett. a)) prevede che gli Stati membri autorizzino l’ingresso e il soggiorno del coniuge del soggiornante, senza imporre specifiche limitazioni[8], salvo che in caso di matrimonio poligamo[9]. L’art. 4, par. 5, peraltro, “per assicurare una migliore integrazione ed evitare i matrimoni forzati” dà facoltà agli Stati membri di imporre un limite minimo di età per il soggiornante e il coniuge. Tale limite può essere al massimo pari a ventuno anni.

 

Si rileva, in proposito, che la legge italiana riconosce il principio secondo il quale le condizioni per contrarre il matrimonio sono regolate dalla legge nazionale di ciascun nubendo (L. 218/1995, art. 27)[10].

Per i cittadini italiani, la legge pone ai minorenni il divieto di contrarre matrimonio (art. 84, 1° co., c.c.). È, tuttavia, possibile, con provvedimento del tribunale, ammettere al matrimonio minori di almeno sedici anni (art. 84, 1° co., c.c.). Lo straniero è sottoposto ad alcune delle restrizioni alla libertà di contrarre matrimonio valide per i cittadini italiani (infermità di mente, libertà di stato ecc.), ma non anche al limite di età (art. 116, 2° co. c.c.). In attuazione del principio recato dalla L. 218/1995, lo straniero che vuole contrarre matrimonio deve presentare all’ufficiale di stato civile una dichiarazione dell’autorità competente del proprio Paese, dalle quali risulti l’assenza di impedimenti a contrarre matrimonio (art. 116, 1° co., c.c.).

Un limite di carattere generale è contenuto nella citata L. 218/1995, laddove fa salva la prevalenza delle norme italiane che, in considerazione del loro oggetto e del loro scopo, debbono essere applicate nonostante il richiamo alla legge straniera (art. 17). Tale limite è stato richiamato, tra l’altro, per impedire il matrimonio con infrasedicenni.

Si ricorda, inoltre, che è in vigore la Convenzione dell’ONU sulla libertà di contrarre matrimonio di New York del 10 dicembre 1962 che prevede, tra l’altro, l’obbligo di consenso esplicito per contrarre matrimonio e l’impegno da parte dei Paesi contraenti di stabilire nei propri ordinamenti norme relative all’età minima per contrarre matrimonio. L’Italia ha firmato, ma non ancora ratificato la Convenzione. È stata, invece, ratificata dal nostro Paese la Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne del 1979 di New York, che nega l’efficacia giuridica dei fidanzamenti e dei matrimoni tra fanciulli e impegna gli Stati firmatari a prendere tutte le misure necessarie, comprese le disposizioni legislative, al fine di fissare un’età minima per il matrimonio, rendendo obbligatoria l’iscrizione del matrimonio su un registro ufficiale (L. 132/1985, art. 16).

 

La lettera b)dell’art. 29, co. 1, del testo unico (relativa al ricongiungimento dei figli minori) non viene modificata dallo schema in esame.

È invece riformulata la successiva lettera c), concernente il ricongiungimento dei figli maggiorenni a carico. Innovando rispetto al testo vigente, si consente il ricongiungimento solo:

§         per i figli (maggiorenni a carico) non coniugati;

§         quando l’impossibilità di provvedere alle proprie indispensabili esigenze di vita sia dovuto a “ragioni oggettive” connesse a uno stato di salute che comporti invalidità totale (non è più espressamente richiesto, tuttavia, che tale impossibilità sia permanente).

L’art. 4, par. 2, lett. b), della direttiva dà facoltà agli Stati membri di autorizzare il ricongiungimento dei “figli adulti non coniugati del soggiornante o del suo coniuge, qualora obiettivamente non possano sovvenire alle proprie necessità in ragione del loro stato di salute”.

È infine riformulata la lettera d)dell’art. 29, co. 1, del testo unico, concernente il ricongiungimento dei genitori a carico. Il testo vigente lo consente quando essi “non dispongano di un adeguato sostegno familiare nel Paese di origine o di provenienza”, riproducendo così testualmente la formulazione adottata nella direttiva 2003/86/CE.

 

L’art. 4, par. 2, lett. a), della direttiva dà infatti facoltà agli Stati membri di autorizzare il ricongiungimento degli “ascendenti diretti di primo grado del soggiornante o del suo coniuge, quando sono a carico di questi ultimi e non dispongono di un adeguato sostegno familiare nel paese d’origine”.

 

Il testo proposto dallo schema in esame riproduce quello, più restrittivo, introdotto dalla “legge Bossi-Fini” e rimasto in vigore sino all’emanazione del D.Lgs. 5/2007. Ai sensi di tale testo, la possibilità di richiedere il ricongiungimento dei genitori è circoscritta al solo caso in cui questi non abbiano altri figli nel Paese di origine, o, se ultrassessantacinquenni, qualora gli altri figli non possano provvedere loro per documentati e gravi motivi di salute.

 

La Corte costituzionale (sent. 224/2005), giudicando della disciplina a suo tempo introdotta dalla L. 189/2002 (sul punto analoga, come si è detto, a quella in commento) ha escluso che essa costituisca un ostacolo all’esercizio del diritto inviolabile ad una vita familiare, osservando che tale diritto “deve ricevere la più ampia tutela con riferimento alla famiglia nucleare, eventualmente in formazione e, quindi, in relazione al ricongiungimento dello straniero con il coniuge e con i figli minori”, ma “non ha una estensione così ampia da ricomprendere tutte le ipotesi di ricongiungimento di figli maggiorenni e genitori, in quanto nel rapporto tra figli maggiorenni, ormai allontanatisi dal nucleo di origine, e genitori, l’unità familiare perde la caratteristica di diritto inviolabile costituzionalmente garantito, aprendosi contestualmente margini che consentono al legislatore di bilanciare ‘l’interesse all’affetto’ con altri interessi di rilievo”. In particolare, si ricorda nella sentenza come il legislatore possa legittimamente porre dei limiti all’accesso degli stranieri nel territorio nazionale effettuando un “corretto bilanciamento dei valori in gioco”, poiché sussiste in materia un’ampia discrezionalità legislativa limitata solo dal vincolo che le scelte non risultino manifestamente irragionevoli.

 

Lo schema di decreto legislativo in esame opera un’ulteriore modifica all’art. 29 del testo unico in materia di immigrazione, aggiungendo dopo il comma 1 un nuovo comma 1-bis.

Si premette che il vigente comma 7 dell’art. 29 prevede che, ottenuto il nulla osta al ricongiungimento familiare, il rilascio del visto di ingresso nei confronti di questi sia subordinato all’effettivo accertamento dell’autenticità, da parte dell’autorità consolare italiana, della documentazione comprovante i presupposti di parentela, coniugio, minore età o stato di salute.

Ai sensi della nuova disposizione introdotta dal comma 1-bis, la sussistenza dei rapporti di parentela che consentono il ricongiungimento (ai sensi delle lett. b), c) e d) del precedente co. 1), è certificata dalle medesime rappresentanze diplomatiche o consolari sulla base dell’esame del DNA, quando la documentazione rilasciata dalle competenti autorità straniere (manchi o) non offra certezze al riguardo: il che può avvenire a causa della mancanza, nel Paese in questione, di una autorità riconosciuta, ovvero quando “sussistano fondati dubbi” sull’autenticità della documentazione medesima.

L’esame del DNA è effettuato a spese degli interessati.

Va ricordato al riguardo che l’art. 2 del regolamento attuativo del testo unico (D.P.R. 394/1999[11]) dispone in via generale, al comma 2-bis[12], che gli stati, fatti e qualità personali relativi a cittadini stranieri, qualora non possano essere documentati “mediante certificati o attestazioni rilasciati da competenti autorità straniere, in ragione della mancanza di una autorità riconosciuta o della presunta inaffidabilità dei documenti”, sono certificati dalle rappresentanze diplomatiche o consolari “sulla base delle verifiche ritenute necessarie, effettuate a spese degli interessati”. Alla luce di tale disposizione regolamentare, si è affermata negli ultimi anni la possibilità, grazie alla collaborazione tra le rappresentanze diplomatico o consolari e l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), di fare ricorso al test del DNA, su base volontaria, da parte di tutti coloro che per vari motivi non possano produrre documentazione di stato civile considerata valida ai fini del ricongiungimento familiare[13].

Il comma in esame sembra voler esplicitare e attribuire forza di legge a tale prassi. Dalla sua formulazione sembra peraltro potersi desumere che l’esame del DNA, pur se non effettuabile coattivamente, si configuri al contempo come un obbligo per le autorità consolari e un onere per gli interessati, al cui adempimento è condizionata la certificazione del rapporto di parentela, in tutti i casi in cui la prova documentale manchi o sia ritenuta (dalle stesse autorità consolari) inidonea; e che restino pertanto escluse modalità di verifica alternative.

Nulla dispone, infine, il comma in esame in ordine agli obblighi di conservazione (o di distruzione) dei dati così raccolti, anche alla luce della disciplina vigente in materia di tutela della riservatezza dei dati personali.

 

Si segnala che, come precisato dalla lettera di accompagnamento, lo schema di decreto legislativo non è corredato del parere del Garante per la protezione dei dati personali, che il Governo si è riservato di trasmettere alle Camere non appena acquisito.

 

 


Normativa di riferimento

 


Normativa nazionale

 


 

Costituzione della Repubblica
(artt. 10, 76 e 87)

 

 

Art. 10

L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.

 

La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali.

 

Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge.

 

Non è ammessa l'estradizione dello straniero per reati politici [Cost. 26] (1).

 

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(1) La L.Cost. 21 giugno 1967, n. 1 ha disposto che l'ultimo comma dell'art. 10 non si applica ai delitti di genocidio.

 

 

Art. 76

L’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti.

 

Art. 87

 

Il Presidente della Repubblica è il capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale.

Può inviare messaggi alle Camere.

Indice le elezioni delle nuove Camere e ne fissa la prima riunione.

Autorizza la presentazione alle Camere dei disegni di legge di iniziativa del Governo.

Promulga le leggi ed emana i decreti aventi valore di legge e i regolamenti.

Indice il referendum popolare nei casi previsti dalla Costituzione.

Nomina, nei casi indicati dalla legge, i funzionari dello Stato.

Accredita e riceve i rappresentanti diplomatici, ratifica i trattati internazionali, previa, quando occorra, l’autorizzazione delle Camere.

Ha il comando delle Forze armate, presiede il Consiglio supremo di difesa costituito secondo la legge, dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere.

Presiede il Consiglio superiore della magistratura.

Può concedere grazia e commutare le pene.

Conferisce le onorificenze della Repubblica.

 


 

D.P.R. 5 gennaio 1967, n. 200.
Disposizioni sulle funzioni e sui poteri consolari.
(art. 49)

(1) (2)

 

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(1) Pubblicato nel Suppl. ord. alla Gazz. Uff. 19 aprile 1967, n. 98.

(2)  Con riferimento al presente provvedimento sono state emanate le seguenti circolari:

- Ministero affari esteri: Circ. 3 ottobre 1997, n. 9;

- Ministero per la pubblica istruzione: Circ. 15 luglio 1996, n. 345.

 

(omissis)

Capo VI

Attribuzioni di carattere amministrativo

 

Art. 49.

Certificati, legalizzazioni, vidimazioni.

L’autorità consolare:

 

rilascia certificati di esistenza in vita a cittadini; li rilascia anche a non cittadini quando debbano farne uso in Italia;

 

rilascia e vidima certificati di origine delle merci ed ogni altro certificato o documento previsto dalle leggi italiane o dalle convenzioni internazionali;

 

rilascia copia autentica degli atti da essa ricevuti o presso di essa depositati;

 

legalizza gli atti rilasciati o autenticati dalle autorità locali previa, ove possibile, legalizzazione delle competenti autorità locali, e quelli rilasciati o autenticati dalle autorità italiane previo accertamento che l’atto è stato legalizzato ai sensi dell’art. 11, secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 2 agosto 1957, n. 678;

 

può rilasciare attestazioni concernenti leggi e consuetudini vigenti in Italia o nello Stato di residenza;

 

può rilasciare certificati concernenti gli atti compiuti ed i fatti accertati nell’esercizio delle proprie funzioni;

 

può rilasciare e certificare traduzioni di atti dalla lingua italiana in quella dello Stato di residenza e viceversa.

 

(omissis)


 

D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286.
Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.
(artt. 29-33)

 

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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 18 agosto 1998, n. 191, S.O.

(omissis)

Art. 29. 

Ricongiungimento familiare.

1. Lo straniero può chiedere il ricongiungimento per i seguenti familiari:

a) coniuge;

b) figli minori, anche del coniuge o nati fuori del matrimonio, non coniugati a condizione che l’altro genitore, qualora esistente, abbia dato il suo consenso;

c) figli maggiorenni a carico qualora permanentemente non possano provvedere alle proprie indispensabili esigenze di vita in ragione del loro stato di salute;

d) genitori a carico che non dispongano di un adeguato sostegno familiare nel Paese di origine o di provenienza.

 

2. Ai fini del ricongiungimento si considerano minori i figli di età inferiore a diciotto anni al momento della presentazione dell’istanza di ricongiungimento. I minori adottati o affidati o sottoposti a tutela sono equiparati ai figli.

 

3. Salvo quanto previsto dall’articolo 29-bis, lo straniero che richiede il ricongiungimento deve dimostrare la disponibilità:

a) di un alloggio che rientri nei parametri minimi previsti dalla legge regionale per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica, ovvero che sia fornito dei requisiti di idoneità igienico-sanitaria accertati dall’Azienda unità sanitaria locale competente per territorio. Nel caso di un figlio di età inferiore agli anni quattordici al seguito di uno dei genitori, è sufficiente il consenso del titolare dell’alloggio nel quale il minore effettivamente dimorerà;

b) di un reddito minimo annuo derivante da fonti lecite non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale se si chiede il ricongiungimento di un solo familiare, al doppio dell’importo annuo dell’assegno sociale se si chiede il ricongiungimento di due o tre familiari, al triplo dell’importo annuo dell’assegno sociale se si chiede il ricongiungimento di quattro o più familiari. Per il ricongiungimento di due o più figli di età inferiore agli anni quattordici è richiesto, in ogni caso, un reddito minimo non inferiore al doppio dell’importo annuo dell’assegno sociale. Ai fini della determinazione del reddito si tiene conto anche del reddito annuo complessivo dei familiari conviventi con il richiedente.

 

4. È consentito l’ingresso, al seguito dello straniero titolare di carta di soggiorno o di un visto di ingresso per lavoro subordinato relativo a contratto di durata non inferiore a un anno, o per lavoro autonomo non occasionale, ovvero per studio o per motivi religiosi, dei familiari con i quali è possibile attuare il ricongiungimento, a condizione che ricorrano i requisiti di disponibilità di alloggio e di reddito di cui al comma 3.

 

5. Salvo quanto disposto dall’articolo 4, comma 6, è consentito l’ingresso, per ricongiungimento al figlio minore regolarmente soggiornante in Italia, del genitore naturale che dimostri, entro un anno dall’ingresso in Italia, il possesso dei requisiti di disponibilità di alloggio e di reddito di cui al comma 3.

 

6. Al familiare autorizzato all’ingresso ovvero alla permanenza sul territorio nazionale ai sensi dell’articolo 31, comma 3, è rilasciato, in deroga a quanto previsto dall’articolo 5, comma 3-bis, un permesso per assistenza minore, rinnovabile, di durata corrispondente a quella stabilita dal Tribunale per i minorenni. Il permesso di soggiorno consente di svolgere attività lavorativa ma non può essere convertito in permesso per motivi di lavoro.

 

7. La domanda di nulla osta al ricongiungimento familiare, corredata della documentazione relativa ai requisiti di cui al comma 3, è presentata allo sportello unico per l’immigrazione presso la prefettura-ufficio territoriale del governo competente per il luogo di dimora del richiedente, il quale ne rilascia copia contrassegnata con timbro datario e sigla del dipendente incaricato del ricevimento. L’ufficio, acquisito dalla questura il parere sulla insussistenza dei motivi ostativi all’ingresso dello straniero nel territorio nazionale, di cui all’articolo 4, comma 3, ultimo periodo, e verificata l’esistenza dei requisiti di cui al comma 3, rilascia il nulla osta ovvero un provvedimento di diniego dello stesso. Il rilascio del visto nei confronti del familiare per il quale è stato rilasciato il predetto nulla osta è subordinato all’effettivo accertamento dell’autenticità, da parte dell’autorità consolare italiana, della documentazione comprovante i presupposti di parentela, coniugio, minore età o stato di salute.

 

8. Trascorsi novanta giorni dalla richiesta del nulla osta, l’interessato può ottenere il visto di ingresso direttamente dalle rappresentanze diplomatiche e consolari italiane, dietro esibizione della copia degli atti contrassegnata dallo sportello unico per l’immigrazione, da cui risulti la data di presentazione della domanda e della relativa documentazione.

 

9. La richiesta di ricongiungimento familiare è respinta se è accertato che il matrimonio o l’adozione hanno avuto luogo allo scopo esclusivo di consentire all’interessato di entrare o soggiornare nel territorio dello Stato.

 

10. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano:

 

a) quando il soggiornante chiede il riconoscimento dello status di rifugiato e la sua domanda non è ancora stata oggetto di una decisione definitiva;

 

b) agli stranieri destinatari delle misure di protezione temporanea, disposte ai sensi del decreto legislativo 7 aprile 2003, n. 85, ovvero delle misure di cui all’articolo 20;

 

c) nelle ipotesi di cui all’articolo 5, comma 6 (237).

 

 

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 (237) Articolo prima modificato dal comma 1 dell’art. 23, L. 30 luglio 2002, n. 189 e poi così sostituito dalla lettera e) del comma 1 dell’art. 2, D.Lgs. 8 gennio 2007, n. 5.

 

Art. 29-bis.

Ricongiungimento familiare dei rifugiati.

1. Lo straniero al quale è stato riconosciuto lo status di rifugiato può richiedere il ricongiungimento familiare per le medesime categorie di familiari e con la stessa procedura di cui all’articolo 29. Non si applicano, in tal caso, le disposizioni di cui all’articolo 29, comma 3.

 

2. Qualora un rifugiato non possa fornire documenti ufficiali che provino i suoi vincoli familiari, in ragione del suo status, ovvero della mancanza di un’autorità riconosciuta o della presunta inaffidabilità dei documenti rilasciati dall’autorità locale, rilevata anche in sede di cooperazione consolare Schengen locale, ai sensi della decisione del Consiglio europeo del 22 dicembre 2003, le rappresentanze diplomatiche o consolari provvedono al rilascio di certificazioni, ai sensi dell’articolo 49 del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 200, sulla base delle verifiche ritenute necessarie, effettuate a spese degli interessati. Può essere fatto ricorso, altresì, ad altri mezzi atti a provare l’esistenza del vincolo familiare, tra cui elementi tratti da documenti rilasciati dagli organismi internazionali ritenuti idonei dal Ministero degli affari esteri. Il rigetto della domanda non può essere motivato unicamente dall’assenza di documenti probatori.

 

3. Se il rifugiato è un minore non accompagnato, è consentito l’ingresso ed il soggiorno, ai fini del ricongiungimento, degli ascendenti diretti di primo grado (239).

 

 

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(239) Articolo aggiunto dalla lettere f) del comma 1 dell’art. 2, D.Lgs. 8 gennaio 2007, n. 5.

 

 

Art. 30. 

Permesso di soggiorno per motivi familiari.

1. Fatti salvi i casi di rilascio o di rinnovo della carta di soggiorno, il permesso di soggiorno per motivi familiari è rilasciato:

a) allo straniero che ha fatto ingresso in Italia con visto di ingresso per ricongiungimento familiare, ovvero con visto di ingresso al seguito del proprio familiare nei casi previsti dall’articolo 29, ovvero con visto di ingresso per ricongiungimento al figlio minore;

b) agli stranieri regolarmente soggiornanti ad altro titolo da almeno un anno che abbiano contratto matrimonio nel territorio dello Stato con cittadini italiani o di uno Stato membro dell’Unione europea, ovvero con cittadini stranieri regolarmente soggiornanti;

c) al familiare straniero regolarmente soggiornante, in possesso dei requisiti per il ricongiungimento con il cittadino italiano o di uno Stato membro dell’Unione europea residenti in Italia, ovvero con straniero regolarmente soggiornante in Italia. In tal caso il permesso del familiare è convertito in permesso di soggiorno per motivi familiari. La conversione può essere richiesta entro un anno dalla data di scadenza del titolo di soggiorno originariamente posseduto dal familiare. Qualora detto cittadino sia un rifugiato si prescinde dal possesso di un valido permesso di soggiorno da parte del familiare;

d) al genitore straniero, anche naturale, di minore italiano residente in Italia. In tal caso il permesso di soggiorno per motivi familiari è rilasciato anche a prescindere dal possesso di un valido titolo di soggiorno, a condizione che il genitore richiedente non sia stato privato della potestà genitoriale secondo la legge italiana.

 

1-bis. Il permesso di soggiorno nei casi di cui al comma 1, lettera b), è immediatamente revocato qualora sia accertato che al matrimonio non è seguita l’effettiva convivenza salvo che dal matrimonio sia nata prole (240). La richiesta di rilascio o di rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero di cui al comma 1, lettera a), è rigettata e il permesso di soggiorno è revocato se è accertato che il matrimonio o l’adozione hanno avuto luogo allo scopo esclusivo di permettere all’interessato di soggiornare nel territorio dello Stato (241).

 

2. Il permesso di soggiorno per motivi familiari consente l’accesso ai servizi assistenziali, l’iscrizione a corsi di studio o di formazione professionale, l’iscrizione nelle liste di collocamento, lo svolgimento di lavoro subordinato o autonomo, fermi i requisiti minimi di età per lo svolgimento di attività di lavoro.

 

3. Il permesso di soggiorno per motivi familiari ha la stessa durata del permesso di soggiorno del familiare straniero in possesso dei requisiti per il ricongiungimento ai sensi dell’articolo 29 ed è rinnovabile insieme con quest’ultimo.

 

4. [Allo straniero che effettua il ricongiungimento con il cittadino italiano o di uno Stato membro dell’Unione europea è rilasciata una carta di soggiorno] (242).

 

5. In caso di morte del familiare in possesso dei requisiti per il ricongiungimento e in caso di separazione legale o di scioglimento del matrimonio o, per il figlio che non possa ottenere la carta di soggiorno, al compimento del diciottesimo anno di età, il permesso di soggiorno può essere convertito in permesso per lavoro subordinato, per lavoro autonomo o per studio, fermi i requisiti minimi di età per lo svolgimento di attività di lavoro (243).

 

6. Contro il diniego del nulla osta al ricongiungimento familiare e del permesso di soggiorno per motivi familiari, nonché contro gli altri provvedimenti dell’autorità amministrativa in materia di diritto all’unità familiare, l’interessato può presentare ricorso al pretore del luogo in cui risiede, il quale provvede, sentito l’interessato, nei modi di cui agli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile. Il decreto che accoglie il ricorso può disporre il rilascio del visto anche in assenza del nulla osta. Gli atti del procedimento sono esenti da imposta di bollo e di registro e da ogni altra tassa. L’onere derivante dall’applicazione del presente comma è valutato in lire 150 milioni annui a decorrere dall’anno 1998.

 

 

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(240)  Comma aggiunto dal comma 1 dell’art. 29, L. 30 luglio 2002, n. 189.

(241) Periodo aggiunto dalla lettera g) del comma 1 dell’art. 2, D.Lgs. 8 gennaio 2007, n. 5.

(242) Comma così modificato dall’art. 2, D.Lgs. 8 gennaio 2007, n. 3 e poi abrogato dall’art. 25, D.Lgs.6 febbraio 2007, n. 30.

(243)  Comma così modificato dal comma 1 dell’art. 24, L. 30 luglio 2002, n. 189.

 

Art. 31. 

Disposizioni a favore dei minori.

1. Il figlio minore della straniero con questi convivente e regolarmente soggiornante è iscritto nel permesso di soggiorno o nella carta di soggiorno di uno o di entrambi i genitori fino al compimento del quattordicesimo anno di età e segue la condizione giuridica del genitore con il quale convive, ovvero la più favorevole tra quelle dei genitori con cui convive. Fino al medesimo limite di età il minore che risulta affidato ai sensi dell’articolo 4 della legge 4 maggio 1983, n. 184, è iscritto nel permesso di soggiorno o nella carta di soggiorno dello straniero al quale è affidato e segue la condizione giuridica di quest’ultimo, se più favorevole. L’assenza occasionale e temporanea dal territorio dello Stato non esclude il requisito della convivenza e il rinnovo dell’iscrizione.

 

2. Al compimento del quattordicesimo anno di età al minore iscritto nel permesso di soggiorno o nella carta di soggiorno del genitore ovvero dello straniero affidatario è rilasciato un permesso di soggiorno per motivi familiari valido fino al compimento della maggiore età, ovvero una carta di soggiorno.

 

3. Il Tribunale per i minorenni, per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell’età e delle condizioni di salute del minore che si trova nel territorio italiano, può autorizzare l’ingresso o la permanenza del familiare, per un periodo di tempo determinato, anche in deroga alle altre disposizioni del presente testo unico. L’autorizzazione è revocata quando vengono a cessare i gravi motivi che ne giustificano il rilascio o per attività del familiare incompatibili con le esigenze del minore o con la permanenza in Italia. I provvedimenti sono comunicati alla rappresentanza diplomatica o consolare e al questore per gli adempimenti di rispettiva competenza.

 

4. Qualora ai sensi del presente testo unico debba essere disposta l’espulsione di un minore straniero il provvedimento è adottato, su richiesta del questore, dal Tribunale per i minorenni.

 

 

Art. 32. 

Disposizioni concernenti minori affidati al compimento della maggiore età.

(Legge 6 marzo 1998, n. 40, art. 30)

1. Al compimento della maggiore età, allo straniero nei cui confronti sono state applicate le disposizioni di cui all’articolo 31, commi 1 e 2, e ai minori comunque affidati ai sensi dell’articolo 2 della legge 4 maggio 1983, n. 184, può essere rilasciato un permesso di soggiorno per motivi di studio di accesso al lavoro, di lavoro subordinato o autonomo, per esigenze sanitarie o di cura. Il permesso di soggiorno per accesso al lavoro prescinde dal possesso dei requisiti di cui all’articolo 23.

 

1-bis. Il permesso di soggiorno di cui al comma 1 può essere rilasciato per motivi di studio, di accesso al lavoro ovvero di lavoro subordinato o autonomo, al compimento della maggiore età, sempreché non sia intervenuta una decisione del Comitato per i minori stranieri di cui all’articolo 33, ai minori stranieri non accompagnati che siano stati ammessi per un periodo non inferiore a due anni in un progetto di integrazione sociale e civile gestito da un ente pubblico o privato che abbia rappresentanza nazionale e che comunque sia iscritto nel registro istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri ai sensi dell’articolo 52 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394 (246).

 

1-ter. L’ente gestore dei progetti deve garantire e provare con idonea documentazione, al momento del compimento della maggiore età del minore straniero di cui al comma 1-bis, che l’interessato si trova sul territorio nazionale da non meno di tre anni, che ha seguito il progetto per non meno di due anni, ha la disponibilità di un alloggio e frequenta corsi di studio ovvero svolge attività lavorativa retribuita nelle forme e con le modalità previste dalla legge italiana, ovvero è in possesso di contratto di lavoro anche se non ancora iniziato (247).

 

1-quater. Il numero dei permessi di soggiorno rilasciati ai sensi del presente articolo è portato in detrazione dalle quote di ingresso definite annualmente nei decreti di cui all’articolo 3, comma 4 (248).

 

 

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 (246)  Comma aggiunto dal comma 1 dell’art. 25, L. 30 luglio 2002, n. 189. Vedi, anche, l’art. 38 della stessa legge.

(247)  Comma aggiunto dal comma 1 dell’art. 25, L. 30 luglio 2002, n. 189. Vedi, anche, l’art. 38 della stessa legge.

(248)  Comma aggiunto dal comma 1 dell’art. 25, L. 30 luglio 2002, n. 189. Vedi, anche, l’art. 38 della stessa legge.

 

 

Art. 33. 

Comitato per i minori stranieri.

1. Al fine di vigilare sulle modalità di soggiorno dei minori stranieri temporaneamente ammessi sul territorio dello Stato e di coordinare le attività delle amministrazioni interessate è istituito, senza ulteriori oneri a carico del bilancio dello Stato, un Comitato presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri composto da rappresentanti dei Ministeri degli affari esteri, dell’interno e di grazia e giustizia, del Dipartimento per gli affari sociali della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nonché da due rappresentanti dell’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI), da un rappresentante dell’Unione province d’Italia (UPI) e da due rappresentanti di organizzazioni maggiormente rappresentative operanti nel settore dei problemi della famiglia.

 

2. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro da lui delegato, sentiti i Ministri degli affari esteri, dell’interno e di grazia e giustizia, sono definiti i compiti del Comitato di cui al comma 1, concernenti la tutela dei diritti dei minori stranieri in conformità alle previsioni della Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva ai sensi della legge 27 maggio 1991, n. 176. In particolare sono stabilite:

a) le regole e le modalità per l’ingresso ed il soggiorno nel territorio dello Stato dei minori stranieri in età superiore a sei anni, che entrano in Italia nell’ambito di programmi solidaristici di accoglienza temporanea promossi da enti, associazioni o famiglie italiane, nonché per l’affidamento temporaneo e per il rimpatrio dei medesimi;

b) le modalità di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati presenti nel territorio dello Stato, nell’ambito delle attività dei servizi sociali degli enti locali e i compiti di impulso e di raccordo del Comitato di cui al comma 1 con le amministrazioni interessate ai fini dell’accoglienza, del rimpatrio assistito e del ricongiungimento del minore con la sua famiglia nel Paese d’origine o in un Paese terzo (250).

 

2-bis. Il provvedimento di rimpatrio del minore straniero non accompagnato per le finalità di cui al comma 2, è adottato dal Comitato di cui al comma 1. Nel caso risulti instaurato nei confronti dello stesso minore un procedimento giurisdizionale, l’autorità giudiziaria rilascia il nulla osta, salvo che sussistano inderogabili esigenze processuali (251).

 

3. Il Comitato si avvale, per l’espletamento delle attività di competenza, del personale e dei mezzi in dotazione al Dipartimento degli affari sociali della Presidenza del Consiglio dei Ministri ed ha sede presso il Dipartimento medesimo (253).

 

 

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(250)  Comma così sostituito dall’art. 5, D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 113 (Gazz. Uff. 27 aprile 1999, n. 97). In attuazione di quanto disposto dal presente comma vedi il D.P.C.M. 9 dicembre 1999, n. 535.

(251)  Comma aggiunto dall’art. 5, D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 113 (Gazz. Uff. 27 aprile 1999, n. 97).

 (253) Vedi, anche, il D.P.R. 14 maggio 2007, n. 96.

 

 

 


 

D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394.
Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell'art. 1, comma 6, del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286
(art. 2)

 

 

(1) (2) (3)

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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 3 novembre 1999, n. 258, S.O.

(2)  Nel testo del presente decreto le parole: «Ministro o Ministero del lavoro e della previdenza sociale» e «Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per gli affari sociali» sono state sostituite dalle parole: «Ministro o Ministero del lavoro e delle politiche sociali.», ai sensi di quanto disposto dall'art. 47, D.P.R. 18 ottobre 2004, n. 334 (Gazz. Uff. 10 febbraio 2005, n. 33, S.O.).

(3)  Con riferimento al presente provvedimento sono state emanate le seguenti istruzioni:

- Ministero del lavoro e della previdenza sociale: Circ. 22 marzo 2000, n. 300/C/2000; Circ. 5 giugno 2000, n. 34/2000; Circ. 12 luglio 2000, n. 47/2000; Circ. 21 luglio 2000, n. 54/2000; Circ. 28 luglio 2000, n. 55/2000; Circ. 28 luglio 2000, n. 56/2000; Circ. 14 dicembre 2000, n. 89/2000; Circ. 6 marzo 2001, n. 29/2001; Nota 13 novembre 2002, n. 9551;

- Ministero del lavoro e delle politiche sociali: Circ. 18 giugno 2001, n. 62/2001; Lett.Circ. 23 maggio 2002, n. 1459; Circ. 11 febbraio 2005, n. 6/2005;

- Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato: Circ. 4 aprile 2000, n. 3484/C;

- Ministero dell'interno: Circ. 23 dicembre 1999, n. 300/C/227729/12/207; Circ. 22 marzo 2000, n. 300/C/2000; Circ. 4 luglio 2000, n. 300/C/2000/3623/A/12.229.52/1DIV; Circ. 25 marzo 2004, n. 400/A/2004/278/P/12.229.52; Circ. 30 maggio 2005;

- Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Nota 3 aprile 2003, n. 1576.

(omissis)

Art. 2

Rapporti con la pubblica amministrazione.

1. I cittadini stranieri regolarmente soggiornanti in Italia possono utilizzare le dichiarazioni sostitutive di cui all'articolo 46 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, limitatamente agli stati, fatti e qualità personali certificabili o attestabili da parte di soggetti pubblici o privati italiani, fatte salve le disposizioni del testo unico o del presente regolamento che prevedono l'esibizione o la produzione di specifici documenti (5).

 

2. Gli stati, fatti, e qualità personali diversi da quelli indicati nel comma 1, sono documentati mediante certificati o attestazioni rilasciati dalla competente autorità dello Stato estero, legalizzati ai sensi dell'articolo 49 del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 200, dalle autorità consolari italiane e corredati di traduzione in lingua italiana, di cui l'autorità consolare italiana attesta la conformità all'originale. Sono fatte salve le diverse disposizioni contenute nelle convenzioni internazionali in vigore per l'Italia. L'interessato deve essere informato che la produzione di atti o documenti non veritieri è prevista come reato dalla legge italiana e determina gli effetti di cui all'articolo 4, comma 2, del testo unico (6).

2-bis. Ove gli stati, fatti e qualità personali di cui al comma 1 non possono essere documentati mediante certificati o attestazioni rilasciati da competenti autorità straniere, in ragione della mancanza di una autorità riconosciuta o della presunta inaffidabilità dei documenti, rilasciati dall'autorità locale, rilevata anche in sede di cooperazione consolare Schengen locale, ai sensi della decisione del Consiglio europeo del 22 dicembre 2003, le rappresentanze diplomatiche o consolari provvedono al rilascio di certificazioni, ai sensi dell'articolo 49 del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 200, sulla base delle verifiche ritenute necessarie, effettuate a spese degli interessati (7).

 

 

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(5)  Comma così modificato dall'art. 2, D.P.R. 18 ottobre 2004, n. 334 (Gazz. Uff. 10 febbraio 2005, n. 33, S.O.).

(6)  Comma così sostituito dall'art. 2, D.P.R. 18 ottobre 2004, n. 334 (Gazz. Uff. 10 febbraio 2005, n. 33, S.O.).

(7)  Comma aggiunto dall'art. 2, D.P.R. 18 ottobre 2004, n. 334 (Gazz. Uff. 10 febbraio 2005, n. 33, S.O.).

(omissis)

 

 


 

L. 18 aprile 2005, n. 62.
Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2004
(art. 1)

(1)

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(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 27 aprile 2005, n. 96, S.O.

 

Capo I

Disposizioni generali sui procedimenti per l’adempimento degli obblighi comunitari

 

Art. 1

Delega al Governo per l’attuazione di direttive comunitarie.

1. Il Governo è delegato ad adottare, entro il termine di diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, i decreti legislativi recanti le norme occorrenti per dare attuazione alle direttive comprese negli elenchi di cui agli allegati A e B.

 

2. I decreti legislativi sono adottati, nel rispetto dell’articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro con competenza istituzionale prevalente per la materia, di concerto con i Ministri degli affari esteri, della giustizia, dell’economia e delle finanze e con gli altri Ministri interessati in relazione all’oggetto della direttiva.

 

3. Gli schemi dei decreti legislativi recanti attuazione delle direttive comprese nell’elenco di cui all’allegato B, nonché, qualora sia previsto il ricorso a sanzioni penali, quelli relativi all’attuazione delle direttive elencate nell’allegato A, sono trasmessi, dopo l’acquisizione degli altri pareri previsti dalla legge, alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica perché su di essi sia espresso il parere dei competenti organi parlamentari. Decorsi quaranta giorni dalla data di trasmissione, i decreti sono emanati anche in mancanza del parere. Qualora il termine per l’espressione del parere parlamentare di cui al presente comma, ovvero i diversi termini previsti dai commi 4 e 8, scadano nei trenta giorni che precedono la scadenza dei termini previsti ai commi 1 o 5 o successivamente, questi ultimi sono prorogati di novanta giorni.

 

4. Gli schemi dei decreti legislativi recanti attuazione della direttiva 2003/10/CE, della direttiva 2003/20/CE, della direttiva 2003/35/CE, della direttiva 2003/42/CE, della direttiva 2003/59/CE, della direttiva 2003/85/CE, della direttiva 2003/87/CE, della direttiva 2003/99/CE, della direttiva 2003/122/Euratom, della direttiva 2004/8/CE, della direttiva 2004/12/CE, della direttiva 2004/17/CE, della direttiva 2004/18/CE, della direttiva 2004/22/CE, della direttiva 2004/25/CE, della direttiva 2004/35/CE, della direttiva 2004/38/CE, della direttiva 2004/39/CE, della direttiva 2004/67/CE e della direttiva 2004/101/CE sono corredati della relazione tecnica di cui all’articolo 11-ter, comma 2, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni. Su di essi è richiesto anche il parere delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari. Il Governo, ove non intenda conformarsi alle condizioni formulate con riferimento all’esigenza di garantire il rispetto dell’articolo 81, quarto comma, della Costituzione, ritrasmette alle Camere i testi, corredati dei necessari elementi integrativi di informazione, per i pareri definitivi delle Commissioni competenti per i profili finanziari che devono essere espressi entro venti giorni.

 

5. Entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi di cui al comma 1, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi fissati dalla presente legge, il Governo può emanare, con la procedura indicata nei commi 2, 3 e 4, disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi emanati ai sensi del comma 1, fatto salvo quanto previsto dal comma 5-bis (2).

 

5-bis. Entro tre anni dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1, adottati per l’attuazione delle direttive 2004/39/CE, relativa ai mercati degli strumenti finanziari, e 2004/25/CE, concernente le offerte pubbliche di acquisto, il Governo, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi di cui all’articolo 2 e con la procedura prevista dal presente articolo, può emanare disposizioni integrative e correttive al fine di tenere conto delle eventuali disposizioni di attuazione adottate dalla Commissione europea secondo la procedura di cui, rispettivamente, all’articolo 64, paragrafo 2, della direttiva 2004/39/CE, e all’articolo 18, paragrafo 2, della direttiva 2004/25/CE (3).

 

6. In relazione a quanto disposto dall’articolo 117, quinto comma, della Costituzione, i decreti legislativi eventualmente adottati nelle materie di competenza legislativa delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano entrano in vigore, per le regioni e le province autonome nelle quali non sia ancora in vigore la propria normativa di attuazione, alla data di scadenza del termine stabilito per l’attuazione della normativa comunitaria e perdono comunque efficacia a decorrere dalla data di entrata in vigore della normativa di attuazione adottata da ciascuna regione e provincia autonoma nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e, nelle materie di competenza concorrente, dei princìpi fondamentali stabiliti dalla legislazione dello Stato. A tale fine i decreti legislativi recano l’esplicita indicazione della natura sostitutiva e cedevole delle disposizioni in essi contenute.

 

7. Il Ministro per le politiche comunitarie, nel caso in cui una o più deleghe di cui al comma 1 non risulti ancora esercitata trascorsi quattro mesi dal termine previsto dalla direttiva per la sua attuazione, trasmette alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica una relazione che dia conto dei motivi addotti dai Ministri con competenza istituzionale prevalente per la materia a giustificazione del ritardo. Il Ministro per le politiche comunitarie ogni quattro mesi informa altresì la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica sullo stato di attuazione delle direttive da parte delle regioni e delle province autonome.

 

8. Il Governo, quando non intende conformarsi ai pareri parlamentari di cui al comma 3, relativi a sanzioni penali contenute negli schemi di decreti legislativi recanti attuazione delle direttive comprese negli allegati A e B, ritrasmette con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni i testi alla Camera dei deputati ed al Senato della Repubblica per il parere definitivo che deve essere espresso entro venti giorni.

 

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(2)  Comma così modificato dall’art. 16, L. 25 gennaio 2006, n. 29 - Legge comunitaria 2005.

(3)  Comma aggiunto dall’art. 16, L. 25 gennaio 2006, n. 29 - Legge comunitaria 2005.

(omissis)


Ministero degli affari esteri – Nota n. 306/504236 del 22 dicembre 2005, Test volontari del DNA quale strumento di ultima istanza per il riconoscimento del rapporto di parentela ai fini del ri-congiungimento familiare – collaborazione con l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni

 

MESSAGGIO

 

Mittente : DGIT – Centro Visti (Uff.VI)

 

Numero protocollo: 306/504236

Data: 22 dicembre 2005

Posizione: P.G.OIM-DNA

 

Oggetto/Sommario: Test volontari del DNA quale strumento di ultima istanza per il riconoscimento del rapporto di parentela ai fini del ricongiungimento familiare – collaborazione con l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni.

Riferimento:

Urgenza: ordinaria

Diffusione: limitata

Modalità: operativo

 

Redazione: Valore/Fransoni

Firma: Benedetti

 

Destinatario: ALLAMBA - ALLCONS

Visione: GABI-00; SEGR-CO; SEGR DG E SERVIZI; STAM 04; DGIT-00, 05

 

Destinatario Esterno MAE:MININTERNO DIP.P.S. DC Immigrazione e Polizia delle Frontiere; DIP.Libertà Civili e Immigrazione DC Politiche Immigrazione e Asilo

Visione esterno MAE:

 

Testo:

 

         Il riconoscimento del rapporto di parentela, in particolare tra genitori e figli, attestato mediante la validazione della documentazione di stato civile prodotta - ai fini del rilascio del nullaosta al ricongiungimento familiare da parte dello Sportello Unico - costituisce frequentemente per codeste Sedi un problema dai molteplici aspetti: le difficoltà possono infatti derivare dall’inesistenza di uffici anagrafe e relativi archivi, in particolare in remote aree rurali, dal persistere in vari Paesi di situazioni di conflitto, o ancora, quando si tratti di richiedenti asilo o rifugiati, dall’impossibilità di rivolgersi alle proprie autorità nazionali per motivi di sicurezza;  numerosissime, infine,  le difficoltà derivanti dalla produzione di documentazione di stato civile spesso insufficiente o inaffidabile, in particolare nei Paesi ad alto rischio migratorio.

 

         Nel caso specifico della Somalia, analoghi problemi, derivanti dal disfacimento dello Stato somalo e delle sue strutture - e quindi dalla mancanza di valida documentazione di stato civile - hanno trovato, come noto, una valida soluzione nella collaborazione tra le nostre Rappresentanze e l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni che, tramite il test del DNA è oggi in grado di fornire certezza - nei casi ove tale procedura sia applicabile - ai fini dell’attestazione del rapporto di parentela dei richiedenti il visto con i congiunti regolarmente soggiornanti nel nostro Paese. Tale collaborazione, che ha avuto inizio nel 2001 presso le Ambasciate di Nairobi ed Addis Abeba con lettera di incarico di questo Ministero all’OIM, si è estesa nel 2003 alle nostre Sedi in Arabia Saudita, Pakistan, Siria e Sudan e successivamente ad altre Rappresentanze presso le quali il problema dell’identificazione dei cittadini somali si era manifestato con maggiore intensità.

 

         Nell’aprile dello scorso anno, il Direttore dell’Ufficio Regionale per il Mediterraneo, e Capo Missione OIM in Italia, dott. Peter Schatzer, alla luce dei risultati positivi ottenuti grazie alla suddetta collaborazione, ha proposto, con una lettera indirizzata al Ministro degli Esteri, di estendere l’uso del test del DNA anche ai cittadini di altri Paesi, nei quali la documentazione di stato civile sia inesistente o inaffidabile, per consentire alle nostre Rappresentanze di disporre di un efficace strumento atto a soddisfare un diritto fondamentale garantito dalla Costituzione, contrastando efficacemente al contempo l’emigrazione clandestina.

 

L’entrata in vigore del DPR n.334/04, ha inoltre fornito con l’art.2-bis (particolarmente caldeggiato da questo Ministero), la necessaria base legale a tale estensione, laddove prevede che, “…in ragione della mancanza di un’autorità riconosciuta o della presunta inaffidabilità dei documenti, rilasciati dall’autorità locale, (…) le Rappresentanze diplomatiche o consolari provvedono al rilascio di certificazioni (…) sulla base delle verifiche ritenute necessarie, effettuate a spese degli interessati.”

 

Il suggerimento del Capo Missione dell’OIM ha pertanto incontrato il pieno favore di questa Amministrazione. Una lettera inviata in data 21 dicembre 2005 dall’On.Ministro al dottor Schatzer ha sancito la possibilità di fare ricorso al test del DNA, tramite gli uffici dell’Organizzazione stessa e su base esclusivamente volontaria, da parte di tutti coloro che per vari motivi non possano produrre documentazione di stato civile considerata valida ai fini del ricongiungimento familiare.

 

§§§

 

         Alla luce di quanto sopra, si forniscono qui di seguito elementi concernenti la metodologia cui codeste Rappresentanze dovranno rigorosamente attenersi nella trattazione di richieste da parte degli interessati di essere sottoposti all’esame del DNA ai fini dell’identificazione del rapporto di parentela con i congiunti residenti nel nostro Paese, qualora la documentazione presentata risulti carente o inaffidabile, e non sia pertanto possibile procedere alla prevista validazione:

 

A. PROCEDURA DA EFFETTUARE IN CASO DI PRESENZA DELLA MISSIONE OIM NEL PAESE DI ACCREDITAMENTO

 

1.     la Rappresentanza rilascia una lettera di accompagnamento, debitamente timbrata, ai diretti interessati e invia una copia della stessa alla Missione OIM in loco. Tale lettera dovrà contenere fotografia del richiedente e informazioni sullo stesso e sullo sponsor residente in Italia (All.1);

 

2.     gli interessati si recano presso la Missione dell’OIM, dove vengono registrati in apposite liste. Ciascun richiedente corrisponde all’OIM l’equivalente di US$90 per l’apertura e la gestione della pratica (costi di spedizione inclusi). Le liste suddette vengono inoltrate alla Missione OIM di Roma, che contatta il congiunto in Italia (sponsor). Gli sponsor e i richiedenti in loco sono identificati mediante un codice individuale, formato da tre lettere e tre cifre, per motivi di privacy;

 

3.     l’OIM effettua i prelievi (tampone boccale) del DNA prima agli sponsor in Italia e quindi ai richiedenti all’estero. I primi, cui spetta l’onere del pagamento degli esami, versano all’OIM di Roma €155 per ogni persona da sottoporre al test. I prelievi vengono solitamente effettuati, in Italia e all’estero, con cadenza settimanale;

 

4.     al momento del prelievo in Italia e nel Paese d’origine, l’OIM raccoglie il consenso informato di tutti gli interessati (ove necessario, anche quello del tutore di eventuali minori); i campioni prelevati nel Paese d’origine vengono inviati all’ufficio OIM di Roma, che a sua volta li inoltra ad un laboratorio medico specializzato di comprovata fiducia. Entro due settimane dal ricevimento dei campioni, l’OIM comunica i risultati ai diretti interessati ed alla Rappresentanza competente mediante e-mail,  attraverso l’invio di appositi moduli (All.2).

 

B. PROCEDURA DA EFFETTUARE IN CASO DI ASSENZA DELLA MISSIONE OIM NEL PAESE DI ACCREDITAMENTO

 

1.     la Rappresentanza inserisce in un’apposita lista (All.3) i dati relativi allo sponsor in Italia ed ai richiedenti in loco, attribuisce a ciascuno un codice alfa-numerico ed invia il tutto tramite e-mail all’OIM di Roma;

 

2.     effettuato il prelievo allo sponsor in Italia, l’OIM richiede alla Rappresentanza che la stessa procedura venga eseguita per gli interessati in loco. Tale prelievo (mediante tampone buccale) viene effettuato presso l’Ufficio Visti alla presenza di un funzionario dello stesso Ufficio e con l’aiuto di personale medico/paramedico a spese dell’OIM; al momento del prelievo l’Ufficio Visti compila l’apposito modulo (All.4) recante fotografia del singolo richiedente, e dichiarazione di consenso debitamente sottoscritta dall’interessato. Il campione prelevato ed il modulo vengono inviati all’OIM di Roma, a spese della stessa Organizzazione;

 

3.     la procedura si conclude come nell’ipotesi A.

 

Gli Uffici Visti di cui all’ipotesi B, sono pregati, ad ogni buon fine, di prendere contatto direttamente con la Dott.ssa Simona Moscarelli, dell’Ufficio OIM di Roma (Tel. 06-44231428; SMOSCARELLI@iom.int), per delucidazioni in merito ai dettagli concernenti le procedure summenzionate.

Tutte le comunicazioni avvengono mediante posta elettronica. L’intera procedura ha una durata media di poco più di un mese. Per informazioni sugli uffici OIM presenti nel mondo si prega di visitare il sito www.iom.int. Le relazioni tecniche originali ed i campioni del DNA vengono conservati presso gli Uffici OIM di Roma in modo tale da non dover ripetere l’esame nel caso di una successiva richiesta di ricongiungimento per un altro membro della famiglia.

 

Si ritiene che la collaborazione con l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, in un settore di particolare delicatezza quale quello dei ricongiungimenti familiari - che richiede il rispetto dei diritti soggettivi degli interessati insieme alla certezza del diritto degli stessi al ricongiungimento - potrà contribuire in maniera risolutiva al superamento dei maggiori ostacoli che a tutt’oggi spesso si frappongono ad una trattazione veloce e certa di gran parte delle richieste di visto per ricongiungimento familiare.

 

         Nel ribadire il carattere esclusivamente volontario del ricorso al test del DNA, si attira l’attenzione sul fatto che, alla luce del dettato dell’art.2-bis del DPR 334/2004 e della consolidata prassi in uso presso i Partners, esso va normalmente utilizzato come strumento di ultima istanza per accertare il rapporto di parentela, una volta esperiti i consueti controlli e verifiche a tal fine della documentazione presentata dal richiedente, inclusi quelli convenuti con le autorità locali e in sede di cooperazione consolare locale.

Resta inteso che, ove lo straniero, per abbreviare i tempi -talvolta assai lunghi- delle verifiche di cui sopra, desiderasse egli stesso effettuare il test del DNA, la Sede potrà naturalmente accogliere la richiesta.

 

Firma e funzione: Min.Plen. Adriano Benedetti, Direttore Generale per gli Italiani all’Estero e le Politiche Migratorie

 


 

D.Lgs. 8 gennaio 2007, n. 5.
Attuazione della direttiva 2003/86/CE relativa al diritto di ricongiungimento familiare.

 

 

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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 31 gennaio 2007, n. 25.

 

 

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

 

 

Visti gli articoli 76 e 87 della Costituzione;

 

Visto l’articolo 1, commi 1 e 3, della legge 18 aprile 2005, n. 62, recante disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2004;

 

Vista la direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare;

 

Visto il testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286;

 

Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 28 luglio 2006;

 

Acquisiti i pareri delle competenti Commissioni della Camera dei deputati;

 

Considerato che le competenti Commissioni del Senato della Repubblica non hanno espresso il parere nel termine di cui all’articolo 1, comma 3, della legge 18 aprile 2005, n. 62;

 

Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 1° dicembre 2006;

 

Sulla proposta del Ministro per le politiche europee e del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro degli affari esteri, il Ministro della giustizia, il Ministro dell’economia e delle finanze ed il Ministro per la famiglia;

 

 

Emana il seguente decreto legislativo:

 

Art. 1.

Finalità.

1. Il presente decreto legislativo stabilisce le condizioni per l’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare dei cittadini di Paesi terzi, legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato italiano, in applicazione della direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003.

 

 

Art. 2.

Modifiche al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.

1. Al testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modifiche:

a) all’articolo 4, comma 3, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Lo straniero per il quale è richiesto il ricongiungimento familiare, ai sensi dell’articolo 29, non è ammesso in Italia quando rappresenti una minaccia concreta e attuale per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato o di uno dei Paesi con i quali l’Italia abbia sottoscritto accordi per la soppressione dei controlli alle frontiere interne e la libera circolazione delle persone.»;

b) all’articolo 5, sono apportate le seguenti modificazioni:

1) al comma 5 è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Nell’adottare il provvedimento di rifiuto del rilascio, di revoca o di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, ai sensi dell’articolo 29, si tiene anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato e dell’esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d’origine, nonchè, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale.»;

2) dopo il comma 5 è inserito il seguente: «5-bis. Nel valutare la pericolosità dello straniero per l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato o di uno dei Paesi con i quali l’Italia abbia sottoscritto accordi per la soppressione dei controlli alle frontiere interne e la libera circolazione delle persone ai fini dell’adozione del provvedimento di revoca o di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi familiari, si tiene conto anche di eventuali condanne per i reati previsti dall’articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, ovvero per i reati di cui all’articolo 12, commi 1 e 3.»;

c) all’articolo 13 sono apportate le seguenti modificazioni:

1) dopo il comma 2 è inserito il seguente: «2-bis. Nell’adottare il provvedimento di espulsione ai sensi del comma 2, lettere a) e b), nei confronti dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, ai sensi dell’articolo 29, si tiene anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonchè dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d’origine.»;

2) al comma 13 è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «La disposizione di cui al primo periodo del presente comma non si applica nei confronti dello straniero già espulso ai sensi dell’articolo 13, comma 2, lettere a) e b), per il quale è stato autorizzato il ricongiungimento, ai sensi dell’articolo 29.»;

d) il comma 1 dell’articolo 28 è sostituito dal seguente: «1. Il diritto a mantenere o a riacquistare l’unità familiare nei confronti dei familiari stranieri è riconosciuto, alle condizioni previste dal presente testo unico, agli stranieri titolari di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore a un anno rilasciato per motivi di lavoro subordinato o autonomo, ovvero per asilo, per studio, per motivi religiosi o per motivi familiari.»;

e) l’articolo 29 è sostituito dal seguente:

«Art. 29 (Ricongiungimento familiare). - 1. Lo straniero può chiedere il ricongiungimento per i seguenti familiari:

a) coniuge;

b) figli minori, anche del coniuge o nati fuori del matrimonio, non coniugati a condizione che l’altro genitore, qualora esistente, abbia dato il suo consenso;

c) figli maggiorenni a carico qualora permanentemente non possano provvedere alle proprie indispensabili esigenze di vita in ragione del loro stato di salute;

d) genitori a carico che non dispongano di un adeguato sostegno familiare nel Paese di origine o di provenienza.

 

2. Ai fini del ricongiungimento si considerano minori i figli di età inferiore a diciotto anni al momento della presentazione dell’istanza di ricongiungimento. I minori adottati o affidati o sottoposti a tutela sono equiparati ai figli.

 

3. Salvo quanto previsto dall’articolo 29-bis, lo straniero che richiede il ricongiungimento deve dimostrare la disponibilità:

a) di un alloggio che rientri nei parametri minimi previsti dalla legge regionale per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica, ovvero che sia fornito dei requisiti di idoneità igienico-sanitaria accertati dall’Azienda unità sanitaria locale competente per territorio. Nel caso di un figlio di età inferiore agli anni quattordici al seguito di uno dei genitori, è sufficiente il consenso del titolare dell’alloggio nel quale il minore effettivamente dimorerà;

b) di un reddito minimo annuo derivante da fonti lecite non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale se si chiede il ricongiungimento di un solo familiare, al doppio dell’importo annuo dell’assegno sociale se si chiede il ricongiungimento di due o tre familiari, al triplo dell’importo annuo dell’assegno sociale se si chiede il ricongiungimento di quattro o più familiari. Per il ricongiungimento di due o più figli di età inferiore agli anni quattordici è richiesto, in ogni caso, un reddito minimo non inferiore al doppio dell’importo annuo dell’assegno sociale. Ai fini della determinazione del reddito si tiene conto anche del reddito annuo complessivo dei familiari conviventi con il richiedente.

 

4. È consentito l’ingresso, al seguito dello straniero titolare di carta di soggiorno o di un visto di ingresso per lavoro subordinato relativo a contratto di durata non inferiore a un anno, o per lavoro autonomo non occasionale, ovvero per studio o per motivi religiosi, dei familiari con i quali è possibile attuare il ricongiungimento, a condizione che ricorrano i requisiti di disponibilità di alloggio e di reddito di cui al comma 3.

 

5. Salvo quanto disposto dall’articolo 4, comma 6, è consentito l’ingresso, per ricongiungimento al figlio minore regolarmente soggiornante in Italia, del genitore naturale che dimostri, entro un anno dall’ingresso in Italia, il possesso dei requisiti di disponibilità di alloggio e di reddito di cui al comma 3.

 

6. Al familiare autorizzato all’ingresso ovvero alla permanenza sul territorio nazionale ai sensi dell’articolo 31, comma 3, è rilasciato, in deroga a quanto previsto dall’articolo 5, comma 3-bis, un permesso per assistenza minore, rinnovabile, di durata corrispondente a quella stabilita dal Tribunale per i minorenni. Il permesso di soggiorno consente di svolgere attività lavorativa ma non può essere convertito in permesso per motivi di lavoro.

 

7. La domanda di nulla osta al ricongiungimento familiare, corredata della documentazione relativa ai requisiti di cui al comma 3, è presentata allo sportello unico per l’immigrazione presso la prefettura-ufficio territoriale del governo competente per il luogo di dimora del richiedente, il quale ne rilascia copia contrassegnata con timbro datario e sigla del dipendente incaricato del ricevimento. L’ufficio, acquisito dalla questura il parere sulla insussistenza dei motivi ostativi all’ingresso dello straniero nel territorio nazionale, di cui all’articolo 4, comma 3, ultimo periodo, e verificata l’esistenza dei requisiti di cui al comma 3, rilascia il nulla osta ovvero un provvedimento di diniego dello stesso. Il rilascio del visto nei confronti del familiare per il quale è stato rilasciato il predetto nulla osta è subordinato all’effettivo accertamento dell’autenticità, da parte dell’autorità consolare italiana, della documentazione comprovante i presupposti di parentela, coniugio, minore età o stato di salute.

 

8. Trascorsi novanta giorni dalla richiesta del nulla osta, l’interessato può ottenere il visto di ingresso direttamente dalle rappresentanze diplomatiche e consolari italiane, dietro esibizione della copia degli atti contrassegnata dallo sportello unico per l’immigrazione, da cui risulti la data di presentazione della domanda e della relativa documentazione.

 

9. La richiesta di ricongiungimento familiare è respinta se è accertato che il matrimonio o l’adozione hanno avuto luogo allo scopo esclusivo di consentire all’interessato di entrare o soggiornare nel territorio dello Stato.

 

10. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano:

a) quando il soggiornante chiede il riconoscimento dello status di rifugiato e la sua domanda non è ancora stata oggetto di una decisione definitiva;

b) agli stranieri destinatari delle misure di protezione temporanea, disposte ai sensi del decreto legislativo 7 aprile 2003, n. 85, ovvero delle misure di cui all’articolo 20;

c) nelle ipotesi di cui all’articolo 5, comma 6.»;

f) dopo l’articolo 29 è inserito il seguente:

«Art. 29-bis (Ricongiungimento familiare dei rifugiati). - 1. Lo straniero al quale è stato riconosciuto lo status di rifugiato può richiedere il ricongiungimento familiare per le medesime categorie di familiari e con la stessa procedura di cui all’articolo 29. Non si applicano, in tal caso, le disposizioni di cui all’articolo 29, comma 3.

2. Qualora un rifugiato non possa fornire documenti ufficiali che provino i suoi vincoli familiari, in ragione del suo status, ovvero della mancanza di un’autorità riconosciuta o della presunta inaffidabilità dei documenti rilasciati dall’autorità locale, rilevata anche in sede di cooperazione consolare Schengen locale, ai sensi della decisione del Consiglio europeo del 22 dicembre 2003, le rappresentanze diplomatiche o consolari provvedono al rilascio di certificazioni, ai sensi dell’articolo 49 del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 200, sulla base delle verifiche ritenute necessarie, effettuate a spese degli interessati. Può essere fatto ricorso, altresì, ad altri mezzi atti a provare l’esistenza del vincolo familiare, tra cui elementi tratti da documenti rilasciati dagli organismi internazionali ritenuti idonei dal Ministero degli affari esteri. Il rigetto della domanda non può essere motivato unicamente dall’assenza di documenti probatori.

3. Se il rifugiato è un minore non accompagnato, è consentito l’ingresso ed il soggiorno, ai fini del ricongiungimento, degli ascendenti diretti di primo grado.»;

g) all’articolo 30, comma 1-bis, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «La richiesta di rilascio o di rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero di cui al comma 1, lettera a), è rigettata e il permesso di soggiorno è revocato se è accertato che il matrimonio o l’adozione hanno avuto luogo allo scopo esclusivo di permettere all’interessato di soggiornare nel territorio dello Stato.».

 

 

Art. 3.

Norma finanziaria.

1. Dall’attuazione del presente decreto legislativo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, nè minori entrate. Gli uffici interessati utilizzano le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili sulla base della legislazione vigente.

 

 

Art. 4.

Disposizione finale.

1. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto si procede, ai sensi dell’articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, all’emanazione delle norme di attuazione ed integrazione del presente decreto, nonchè alla revisione ed armonizzazione delle disposizioni contenute nel regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394.

 

 


 

Normativa comunitaria

 


 

 

Dir. 22 settembre 2003, n. 2003/86/CE.
Direttiva del Consiglio relativa al diritto al ricongiungimento familiare.

 

(1) (2)

 

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(1) Pubblicata nella G.U.U.E. 3 ottobre 2003, n. L 251. Entrata in vigore il 3 ottobre 2003.

(2)  Termine di recepimento: 3 ottobre 2005.

 

 

Il Consiglio dell’Unione europea,

 

visto il trattato che istituisce la Comunità europea e segnatamente l’articolo 63, paragrafo 3, lettera a),

vista la proposta della Commissione (3),

visto il parere del Parlamento europeo (4),

visto il parere del Comitato economico e sociale europeo (5),

visto il parere del Comitato delle regioni (6),

considerando quanto segue:

(1) Al fine di creare progressivamente uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, il trattato che istituisce la Comunità europea prevede, da una parte, l’adozione di misure finalizzate alla libera circolazione dei cittadini, congiuntamente a misure di accompagnamento relative al controllo delle frontiere esterne, all’asilo e all’immigrazione e, dall’altra, l’adozione di misure in materia di asilo, immigrazione e tutela dei diritti dei cittadini di paesi terzi.

(2) Le misure in materia di ricongiungimento familiare dovrebbero essere adottate in conformità con l’obbligo di protezione della famiglia e di rispetto della vita familiare che è consacrato in numerosi strumenti di diritto internazionale. La presente direttiva rispetta i diritti fondamentali ed i principi riconosciuti in particolare nell’articolo 8 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

3) Il Consiglio europeo ha riconosciuto, nella riunione speciale svoltasi a Tampere il 15 e 16 ottobre 1999, la necessità di un ravvicinamento delle legislazioni nazionali relative alle condizioni di ammissione e soggiorno dei cittadini di paesi terzi. In tale contesto esso ha affermato che l’Unione europea dovrebbe garantire un trattamento equo ai cittadini di paesi terzi che risiedono legalmente sul territorio degli Stati membri e che una politica più energica in materia d’integrazione dovrebbe proporsi di offrire loro diritti e doveri comparabili a quelli dei cittadini dell’Unione europea. Conseguentemente il Consiglio europeo ha chiesto al Consiglio di adottare rapidamente decisioni sulla base di proposte della Commissione. La necessità di raggiungere gli obiettivi definiti a Tampere è stata riaffermata dal Consiglio europeo di Laeken del 14 e 15 dicembre 2001.

(4) Il ricongiungimento familiare è uno strumento necessario per permettere la vita familiare. Esso contribuisce a creare una stabilità socioculturale che facilita l’integrazione dei cittadini di paesi terzi negli Stati membri, permettendo d’altra parte di promuovere la coesione economica e sociale, obiettivo fondamentale della Comunità, enunciato nel trattato.

(5) Gli Stati membri attuano le disposizioni della presente direttiva senza operare discriminazioni fondate su sesso, razza, colore della pelle, origine etnica o sociale, caratteristiche genetiche, lingua, religione e convinzioni personali, opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, appartenenza a una minoranza nazionale, censo, nascita, disabilità, età o tendenze sessuali.

(6) Al fine di assicurare la protezione della famiglia ed il mantenimento o la creazione della vita familiare è opportuno fissare, sulla base di criteri comuni, le condizioni materiali per l’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare.

(7) Gli Stati membri possono considerare che le disposizioni stabilite dalla presente direttiva si applichino anche ai familiari che arrivano insieme.

(8) La situazione dei rifugiati richiede un’attenzione particolare, in considerazione delle ragioni che hanno costretto queste persone a fuggire dal loro paese e che impediscono loro di vivere là una normale vita familiare. In considerazione di ciò, occorre prevedere condizioni più favorevoli per l’esercizio del loro diritto al ricongiungimento familiare.

(9) Il ricongiungimento familiare dovrebbe riguardare in ogni caso i membri della famiglia nucleare, cioè il coniuge e i figli minorenni.

(10) Dipende dagli Stati membri decidere se autorizzare la riunificazione familiare per parenti in linea diretta ascendente, figli maggiorenni non coniugati, partners non coniugati o la cui relazione sia registrata, nonché, in caso di matrimoni poligami, i figli minori di un altro coniuge. L’autorizzazione al ricongiungimento familiare concessa da uno Stato membro a tali persone non pregiudica la facoltà per gli Stati membri che non riconoscono l’esistenza di legami familiari nei casi contemplati dalla presente disposizione, di non concedere a dette persone il trattamento riservato ai familiari per quanto attiene al diritto di risiedere in un altro Stato membro, quale definito dalla pertinente legislazione comunitaria.

(11) Il diritto al ricongiungimento familiare dovrebbe essere esercitato nel necessario rispetto dei valori e dei principi riconosciuti dagli Stati membri, segnatamente qualora entrino in gioco diritti di donne e di minorenni. Tale rispetto giustifica che alle richieste di ricongiungimento familiare relative a famiglia poligama possono essere contrapposte misure restrittive.

(12) La possibilità di limitare il diritto al ricongiungimento familiare dei minori che abbiano superato i dodici anni e che non risiedono in via principale con il soggiornante intende tener conto della capacità di integrazione dei minori nei primi anni di vita e assicurare che essi acquisiscano a scuola l’istruzione e le competenze linguistiche necessarie.

(13) Occorre stabilire un sistema di regole procedurali che disciplinino l’esame della domanda di ricongiungimento familiare, nonché l’ingresso e il soggiorno dei membri della famiglia; tali procedure devono essere efficaci e gestibili rispetto al normale carico di lavoro delle amministrazioni degli Stati membri nonché trasparenti ed eque al fine di offrire agli interessati un livello adeguato di certezza del diritto.

(14) La riunificazione familiare può essere rifiutata per motivi debitamente giustificati. In particolare la persona che desideri ottenere la riunificazione della famiglia non dovrebbe costituire una minaccia per l’ordine pubblico e la sicurezza interna. Nella nozione di ordine pubblico può rientrare una condanna per aver commesso un reato grave. In tale contesto è da notare che nel concetto di ordine pubblico e di sicurezza pubblica possono rientrare pure casi in cui un cittadino di un paese terzo fa parte di un’organizzazione che sostiene il terrorismo internazionale, sostiene una siffatta organizzazione o nutre aspirazioni estremistiche.

(15) Dovrebbe essere incoraggiata l’integrazione dei familiari. A tal fine, dovrebbe essere loro attribuito, dopo un periodo di residenza nello Stato membro, uno statuto indipendente da quello del richiedente il ricongiungimento, in particolare in caso di rottura del matrimonio e della convivenza. Essi dovrebbero avere accesso all’istruzione, all’occupazione e alla formazione professionale allo stesso titolo che il richiedente il ricongiungimento alle pertinenti condizioni.

(16) Poiché gli scopi dell’azione proposta, cioè l’istituzione di un diritto al ricongiungimento familiare dei cittadini di paesi terzi che venga esercitato secondo modalità comuni, non possono essere realizzati in misura sufficiente dagli Stati membri e possono dunque, a causa delle dimensioni e degli effetti dell’intervento, essere realizzati meglio a livello comunitario, la Comunità può intervenire, in base al principio di sussidiarietà sancito dall’articolo 5 del trattato. La presente direttiva si limita a quanto è necessario per conseguire tali scopi in ottemperanza al principio di proporzionalità enunciato nello stesso articolo.

(17) A norma degli articoli 1 e 2 del protocollo sulla posizione del Regno Unito e dell’Irlanda, allegato al trattato sull’Unione europea ed al trattato che istituisce la Comunità europea, e senza pregiudizio dell’articolo 4 di detto protocollo, tali Stati membri non partecipano all’adozione della presente direttiva e non sono vincolati da essa, né sono soggetti alla sua applicazione.

(18) La Danimarca, a norma degli articoli 1 e 2 del protocollo sulla posizione della Danimarca allegata al trattato sull’Unione europea ed al trattato che istituisce la Comunità europea, non partecipa all’adozione della presente direttiva e non è vincolata, né è soggetta alla sua applicazione,

 

ha adottato la presente direttiva:

 

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(3)  Pubblicata nella G.U.C.E. 26 aprile 2000, n. C 116 E e G.U.C.E. 27 febbraio 2001, n. C 62 E.

(4)  Pubblicato nella G.U.C.E. 7 maggio 2001, n. C 135.

(5)  Pubblicato nella G.U.C.E. 18 luglio 2000, n. C 204.

(6)  Pubblicato nella G.U.U.E. 26 marzo 2003, n. C 73.

Capo I

 

Disposizioni generali

 

Articolo 1

 

Lo scopo della presente direttiva è quello di fissare le condizioni dell’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare di cui dispongono i cittadini di paesi terzi che risiedono legalmente nel territorio degli Stati membri.

 

Articolo 2

Ai fini della presente direttiva, si intende per:

a) «cittadino di un paese terzo»: chiunque non sia cittadino dell’Unione ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 1, del trattato;

b) «rifugiato»: il cittadino di un paese terzo o l’apolide cui sia riconosciuto lo status di rifugiato ai sensi della convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati del 28 luglio 1951, modificata dal protocollo di New York del 31 gennaio 1967; 

c) «soggiornante»: il cittadino di un paese terzo legalmente soggiornante in uno Stato membro che chiede o i cui familiari chiedono il ricongiungimento familiare;

d) «ricongiungimento familiare»: l’ingresso e il soggiorno in uno Stato membro dei familiari di un cittadino di un paese terzo che soggiorna legalmente in tale Stato membro, al fine di conservare l’unità familiare, indipendentemente dal fatto che il legame familiare sia anteriore;

e) «permesso di soggiorno»: un’autorizzazione rilasciata dalle autorità di uno Stato membro che consente ad un cittadino di un paese terzo di soggiornare legalmente sul proprio territorio, in conformità delle disposizioni dell’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), del regolamento (CE) n. 1030/2002 del Consiglio, del 13 giugno 2002, che istituisce un modello uniforme per i permessi di soggiorno rilasciati a cittadini di paesi terzi;

f) «minore non accompagnato»: il cittadino di paesi terzi o l’apolide d’età inferiore ai diciotto anni che giunga nel territorio dello Stato membro senza essere accompagnato da un adulto che ne sia responsabile in base alla legge o agli usi, fino a quando non sia effettivamente affidato ad un tale adulto, o il minore che viene abbandonato dopo essere entrato nel territorio degli Stati membri.

 

Articolo 3

1. La presente direttiva si applica quando il soggiornante è titolare di un permesso di soggiorno rilasciato da tale Stato membro per un periodo di validità pari o superiore a un anno, e ha una fondata prospettiva di ottenere il diritto di soggiornare in modo stabile, se i membri della sua famiglia sono cittadini di paesi terzi, indipendentemente dal loro status giuridico.

 

2. La presente direttiva non si applica quando il soggiornante:

a) chiede il riconoscimento dello status di rifugiato e la sua domanda non è ancora stata oggetto di una decisione definitiva;

b) è autorizzato a soggiornare in uno Stato membro in virtù di una protezione temporanea o ha chiesto l’autorizzazione a soggiornare per questo stesso motivo ed è in attesa di una decisione sul suo status;

c) è autorizzato a soggiornare in uno Stato membro in virtù di forme sussidiarie di protezione, conformemente agli obblighi internazionali, alle legislazioni nazionali o alle prassi degli Stati membri, o abbia richiesto l’autorizzazione a soggiornare per lo stesso motivo ed è in attesa di una decisione sul suo status.

 

3. La presente direttiva non si applica ai familiari di cittadini dell’Unione.

 

4. La presente direttiva fa salve le disposizioni più favorevoli contenute:

a) negli accordi bilaterali e multilaterali stipulati tra la Comunità o tra la Comunità e i suoi Stati membri, da una parte, e dei paesi terzi, dall’altra;

b) nella Carta sociale europea del 18 ottobre 1961, nella Carta sociale europea riveduta del 3 maggio 1987 e nella convenzione europea relativa allo status di lavoratore migrante del 24 novembre 1977.

 

5. La presente direttiva lascia impregiudicata la facoltà degli Stati membri di adottare o mantenere in vigore disposizioni più favorevoli.

 

Capo II

Familiari

 

Articolo 4

1. In virtù della presente direttiva e subordinatamente alle condizioni stabilite al capo IV e all’articolo 16, gli Stati membri autorizzano l’ingresso e il soggiorno dei seguenti familiari:

a) il coniuge del soggiornante;

b) i figli minorenni del soggiornante e del coniuge, compresi i figli adottati secondo una decisione presa dall’autorità competente dello Stato membro interessato o una decisione automaticamente applicabile in virtù di obblighi internazionali contratti dallo Stato membro o che deve essere riconosciuta conformemente a degli obblighi internazionali;

c) i figli minorenni, compresi quelli adottati, del soggiornante, quando quest’ultimo sia titolare dell’affidamento e responsabile del loro mantenimento. Gli Stati membri possono autorizzare il ricongiungimento dei figli affidati ad entrambi i genitori, a condizione che l’altro titolare dell’affidamento abbia dato il suo consenso;

d) i figli minorenni, compresi quelli adottati, del coniuge, quando quest’ultimo sia titolare dell’affidamento e responsabile del loro mantenimento. Gli Stati membri possono autorizzare il ricongiungimento dei figli affidati ad entrambi i genitori, a condizione che l’altro titolare dell’affidamento abbia dato il suo consenso.

 

I figli minorenni di cui al presente articolo devono avere un’età inferiore a quella in cui si diventa legalmente maggiorenni nello Stato membro interessato e non devono essere coniugati.

 

In deroga alla disposizione che precede, qualora un minore abbia superato i dodici anni e giunga in uno Stato membro indipendentemente dal resto della sua famiglia, quest’ultimo, prima di autorizzarne l’ingresso ed il soggiorno ai sensi della presente direttiva, può esaminare se siano soddisfatte le condizioni per la sua integrazione richieste dalla sua legislazione in vigore al momento dell’attuazione della presente direttiva.

 

2. In virtù della presente direttiva e fatto salvo il rispetto delle condizioni stabilite al capo IV, gli Stati membri possono, per via legislativa o regolamentare, autorizzare l’ingresso e il soggiorno dei seguenti familiari:

a) gli ascendenti diretti di primo grado del soggiornante o del suo coniuge, quando sono a carico di questi ultimi e non dispongono di un adeguato sostegno familiare nel paese d’origine;

b) i figli adulti non coniugati del soggiornante o del suo coniuge, qualora obiettivamente non possano sovvenire alle proprie necessità in ragione del loro stato di salute.

 

3. Gli Stati membri possono, per via legislativa o regolamentare, autorizzare l’ingresso e il soggiorno ai sensi della presente direttiva, fatto salvo il rispetto delle condizioni definite al capo IV, del partner non coniugato cittadino di un paese terzo che abbia una relazione stabile duratura debitamente comprovata con il soggiornante, o del cittadino di un paese terzo legato al soggiornante da una relazione formalmente registrata, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2, nonché dei figli minori non coniugati, anche adottati, di tali persone, come pure i figli adulti non coniugati di tali persone, qualora obiettivamente non possano sovvenire alle proprie necessità in ragione del loro stato di salute.

Gli Stati membri possono decidere, relativamente al ricongiungimento familiare, di riservare ai partner legati da una relazione formalmente registrata lo stesso trattamento previsto per i coniugi.

 

4. In caso di matrimonio poligamo, se il soggiornante ha già un coniuge convivente sul territorio di uno Stato membro, lo Stato membro interessato non autorizza il ricongiungimento familiare di un altro coniuge.

In deroga al paragrafo 1, lettera c), gli Stati membri possono limitare il ricongiungimento familiare dei figli minorenni del soggiornante e di un altro coniuge.

 

5. Per assicurare una migliore integrazione ed evitare i matrimoni forzati gli Stati membri possono imporre un limite minimo di età per il soggiornante e il coniuge, che può essere al massimo pari a ventuno anni, perché il ricongiungimento familiare possa aver luogo.

 

6. In deroga alla disposizione precedente gli Stati membri possono richiedere che le domande riguardanti il ricongiungimento familiare di figli minori debbano essere presentate prima del compimento del quindicesimo anno di età, secondo quanto previsto dalla loro legislazione in vigore al momento dell’attuazione della presente direttiva. Ove dette richieste vengano presentate oltre il quindicesimo anno di età, gli Stati membri che decidono di applicare la presente deroga autorizzano l’ingresso e il soggiorno di siffatti figli per motivi diversi dal ricongiungimento familiare.

 

 

Capo III

Presentazione ed esame della domanda

 

Articolo 5

1. Gli Stati membri determinano se, per esercitare il diritto al ricongiungimento familiare, la domanda di ingresso e di soggiorno debba essere presentata alle autorità competenti dello Stato membro interessato dal soggiornante o dal familiare o dai familiari.

 

2. La domanda è corredata dei documenti che comprovano i vincoli familiari ed il rispetto delle condizioni previste dagli articoli 4 e 6 e, nel caso siano applicabili, dagli articoli 7 e 8, e di copie autenticate dei documenti di viaggio del membro o dei familiari.

Ove opportuno, per ottenere la prova dell’esistenza di vincoli familiari, gli Stati membri possono convocare per colloqui il soggiornante e i suoi familiari e condurre altre indagini che ritengano necessarie.

Nell’esaminare una domanda concernente il partner non coniugato del soggiornante, gli Stati membri tengono conto, per stabilire se effettivamente esista un vincolo familiare, di elementi quali un figlio comune, una precedente coabitazione, la registrazione formale della relazione e altri elementi di prova affidabili.

 

3. La domanda è presentata ed esaminata quando i familiari soggiornano all’esterno del territorio dello Stato membro nel cui territorio risiede il soggiornante.

In deroga alla disposizione che precede, uno Stato membro può accettare, in determinate circostanze, che una domanda sia presentata quando i familiari si trovano già nel suo territorio.

 

4. Non appena possibile e comunque entro nove mesi dalla data di presentazione della domanda le autorità competenti dello Stato membro comunicano per iscritto alla persona che ha presentato la domanda la loro decisione.

In circostanze eccezionali dovute alla complessità della domanda da esaminare, il termine di cui al comma precedente può essere prorogato.

La decisione di rifiuto della domanda è debitamente motivata. Eventuali conseguenze della mancata decisione allo scadere del termine di cui al primo comma sono disciplinate dalla legislazione nazionale dello Stato membro interessato.

 

5. Nell’esame della domanda, gli Stati membri tengono nella dovuta considerazione l’interesse superiore dei minori.

 

 

Capo IV

 

Condizioni richieste per l’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare

 

Articolo 6

1. Gli Stati membri possono respingere una domanda di ingresso e soggiorno dei familiari per ragioni di ordine pubblico, di sicurezza pubblica o di sanità pubblica.

 

2. Gli Stati membri possono revocare o rifiutare di rinnovare il permesso di soggiorno di un familiare per ragioni di ordine pubblico, di sicurezza pubblica o di sanità pubblica.

Nell’adottare la pertinente decisione gli Stati membri tengono conto, oltre che dell’articolo 17, della gravità o del tipo di reato contro l’ordine pubblico o la sicurezza pubblica commesso da un familiare o dei pericoli rappresentati da questa persona.

 

3. L’insorgere di malattie o infermità dopo il rilascio del permesso di soggiorno non può di per sé giustificare il rifiuto di rinnovo del permesso di soggiorno o l’allontanamento dal territorio da parte dell’autorità competente dello Stato membro interessato.

 

 

Articolo 7

1. Al momento della presentazione della domanda di ricongiungimento familiare, lo Stato membro interessato può chiedere alla persona che ha presentato la richiesta di dimostrare che il soggiornante dispone:

a) di un alloggio considerato normale per una famiglia analoga nella stessa regione e che corrisponda alle norme generali di sicurezza e di salubrità in vigore nello Stato membro interessato;

b) di un’assicurazione contro le malattie che copra tutti i rischi di norma coperti per i cittadini dello Stato membro interessato, per se stesso e per i suoi familiari;

c) di risorse stabili e regolari sufficienti per mantenere se stesso e i suoi familiari senza ricorrere al sistema di assistenza sociale dello Stato membro interessato. Gli Stati membri valutano queste risorse rispetto alla loro natura e regolarità e possono tener conto della soglia minima delle retribuzioni e delle pensioni nazionali, nonché del numero di familiari.

 

2. Gli Stati membri possono chiedere ai cittadini di paesi terzi di soddisfare le misure di integrazione, conformemente alla legislazione nazionale.

In riferimento ai rifugiati e/o ai loro familiari di cui all’articolo 12, le misure di integrazione di cui al primo comma possono essere applicate soltanto dopo che alle persone interessate sia stato accordato il ricongiungimento familiare.

 

 

Articolo 8

Gli Stati membri possono esigere che il soggiornante, prima di farsi raggiungere dai suoi familiari, abbia soggiornato legalmente nel loro territorio per un periodo non superiore a due anni.

In deroga alla disposizione che precede, qualora, in materia di ricongiungimento familiare, la legislazione in vigore in uno Stato membro al momento dell’adozione della presente direttiva tenga conto della sua capacità di accoglienza, questo Stato membro può prevedere un periodo di attesa non superiore a tre anni tra la presentazione della domanda di ricongiungimento ed il rilascio del permesso di soggiorno ai familiari.

 

 

Capo V

Ricongiungimento familiare dei rifugiati

 

Articolo 9

1. Le disposizioni del presente capo si applicano al ricongiungimento familiare dei rifugiati riconosciuti dagli Stati membri.

 

2. Gli Stati membri possono limitare l’applicazione delle disposizioni del presente capo ai rifugiati i cui vincoli familiari siano anteriori al loro ingresso.

 

3. Il presente capo lascia impregiudicata qualsiasi norma che accordi lo status di rifugiati ai familiari.

 

 

Articolo 10

1. L’articolo 4 si applica alla definizione di familiari con l’eccezione del terzo comma del paragrafo 1 di tale articolo che non si applica ai figli dei rifugiati.

 

2. Gli Stati membri possono autorizzare il ricongiungimento di altri familiari non previsti all’articolo 4, qualora essi siano a carico del rifugiato.

 

3. Se il rifugiato è un minore non accompagnato, gli Stati membri:

a) autorizzano l’ingresso e il soggiorno ai fini del ricongiungimento familiare degli ascendenti diretti di primo grado, senza applicare le condizioni previste all’articolo 4, paragrafo 2, lettera a);

b) possono autorizzare l’ingresso e il soggiorno ai fini del ricongiungimento familiare del suo tutore legale o di altro familiare, quando il rifugiato non abbia ascendenti diretti o sia impossibile rintracciarli.

 

Articolo 11

1. Per quanto concerne la presentazione e l’esame delle domande si applicano le disposizioni dell’articolo 5, fatto salvo il paragrafo 2 del presente articolo.

 

2. Qualora un rifugiato non possa fornire documenti ufficiali che provino i suoi vincoli familiari, gli Stati membri tengono conto anche di altri mezzi idonei a provare l’esistenza di tali vincoli, da valutare conformemente alla legislazione nazionale. Il rigetto della domanda non può essere motivato unicamente dall’assenza di documenti probatori.

 

 

Articolo 12

1. In deroga all’articolo 7, gli Stati membri non chiedono al rifugiato, ad un suo familiare o ai suoi familiari di fornire, in merito alle domande relative ai familiari di cui all’articolo 4, paragrafo 1, la prova che il rifugiato soddisfa le condizioni stabilite nell’articolo 7.

Fatti salvi gli obblighi internazionali, se il ricongiungimento familiare è possibile in un paese terzo con il quale il soggiornante/familiare ha legami particolari, gli Stati membri possono chiedere la prova di cui al primo comma.

Gli Stati membri possono chiedere che il rifugiato soddisfi le condizioni di cui all’articolo 7, paragrafo 1, se la domanda di ricongiungimento familiare non è presentata entro tre mesi dalla concessione dello status di rifugiato.

 

2. In deroga all’articolo 8, gli Stati membri non esigono che il rifugiato, prima di farsi raggiungere dai suoi familiari, abbia soggiornato sul loro territorio per un certo periodo di tempo.

 

 

Capo VI

Ingresso e soggiorno dei familiari

 

Articolo 13

1. Una volta accettata la domanda di ricongiungimento familiare, lo Stato membro interessato autorizza l’ingresso del familiare o dei familiari. A tal fine, lo Stato membro interessato agevola il rilascio dei visti necessari per queste persone.

 

2. Lo Stato membro interessato rilascia ai familiari un primo permesso di soggiorno con un periodo di validità di almeno un anno. Questo permesso di soggiorno è rinnovabile.

 

3. Il periodo di validità dei permessi di soggiorno concessi al familiare o ai familiari non può in linea di principio andare oltre la data di scadenza del permesso di soggiorno del soggiornante.

 

 

Articolo 14

1. I familiari del soggiornante hanno diritto, come il soggiornante:

a) all’accesso all’istruzione;

b) all’accesso ad un’attività lavorativa dipendente o autonoma;

c) all’accesso all’orientamento, alla formazione, al perfezionamento e all’aggiornamento professionale.

 

2. Gli Stati membri possono decidere in base alla legislazione nazionale le condizioni alle quali i familiari possono esercitare un’attività lavorativa dipendente o autonoma. Tali condizioni fissano un termine che non può comunque eccedere dodici mesi, durante il quale gli Stati membri possono valutare la situazione del proprio mercato del lavoro prima di autorizzare i familiari ad esercitare un’attività dipendente o autonoma.

 

3. Gli Stati membri possono limitare l’accesso ad un’attività lavorativa dipendente o ad un’attività autonoma da parte degli ascendenti diretti di primo grado e dei figli maggiorenni non coniugati di cui all’articolo 4, paragrafo 2.

 

 

Articolo 15

1. Trascorso un periodo massimo di cinque anni di soggiorno e sempre che al familiare non sia stato rilasciato un permesso di soggiorno per motivi diversi dal ricongiungimento familiare, il coniuge o il partner non coniugato e il figlio diventato maggiorenne hanno diritto, previa domanda, ove richiesta, a un permesso di soggiorno autonomo, indipendente da quello del soggiornante.

 

Gli Stati membri possono limitare la concessione del permesso di soggiorno di cui al primo comma al solo coniuge o al partner non sposato in caso di rottura del vincolo familiare.

 

2. Gli Stati membri possono concedere un permesso di soggiorno autonomo ai figli adulti e agli ascendenti diretti di cui all’articolo 4, paragrafo 2.

 

3. In caso di vedovanza, divorzio, separazione o decesso di ascendenti o discendenti diretti di primo grado, un permesso di soggiorno autonomo può essere rilasciato, previa domanda, ove richiesta, alle persone entrate in virtù del ricongiungimento familiare. Gli Stati membri adottano disposizioni atte a garantire che un permesso di soggiorno autonomo sia rilasciato quando situazioni particolarmente difficili lo richiedano.

 

4. I requisiti relativi al rilascio e alla durata del permesso di soggiorno autonomo sono stabiliti dalla legislazione nazionale.

 

Capo VII

Sanzioni e mezzi di ricorso

 

Articolo 16

1. Gli Stati membri possono respingere la domanda d’ingresso e di soggiorno ai fini del ricongiungimento familiare o, se del caso, ritirare o rifiutare il rinnovo del permesso di soggiorno di un familiare in uno dei casi seguenti:

a) qualora le condizioni fissate dalla presente direttiva non siano, o non siano più, soddisfatte.

Nel rinnovare il permesso di soggiorno, qualora il soggiornante non abbia risorse sufficienti che gli consentano di non ricorrere al sistema di assistenza sociale dello Stato membro, di cui all’articolo 7, paragrafo 1, lettera c), lo Stato membro tiene conto del contributo dei familiari al reddito familiare;

b) qualora il soggiornante ed il suo familiare o i suoi familiari non abbiano o non abbiano più un vincolo coniugale o familiare effettivo;

c) qualora si constati che il soggiornante o il partner non coniugato è coniugato o ha una relazione stabile durevole con un’altra persona.

 

2. Gli Stati membri possono inoltre respingere la domanda d’ingresso e di soggiorno ai fini del ricongiungimento familiare, oppure ritirare o rifiutare il rinnovo del permesso di soggiorno dei familiari se è accertato che:

a) sono state utilizzate informazioni false o ingannevoli, sono stati utilizzati documenti falsi o falsificati, ovvero è stato fatto ricorso alla frode o ad altri mezzi illeciti;

b) il matrimonio, la relazione stabile o l’adozione hanno avuto luogo allo scopo esclusivo di permettere all’interessato di entrare o soggiornare in uno Stato membro.

Nel procedere ad una valutazione ai sensi della presente lettera, gli Stati membri possono tenere in particolare considerazione il fatto che il contratto di matrimonio, relazione stabile o adozione sia stato stipulato successivamente al rilascio del permesso di soggiorno al soggiornante.

 

3. Gli Stati membri possono ritirare o rifiutare di rinnovare il permesso di soggiorno di un familiare quando sia posto fine al soggiorno del soggiornante e il familiare non sia ancora titolare del diritto al permesso di soggiorno autonomo in virtù dell’articolo 15.

 

4. Gli Stati membri possono procedere a controlli e ispezioni specifici qualora esista una fondata presunzione di frode o di matrimonio, relazione stabile, o adozione fittizi come definiti al paragrafo 2. Controlli specifici possono essere effettuati anche in occasione del rinnovo del permesso di soggiorno dei familiari.

 

 

Articolo 17

In caso di rigetto di una domanda, di ritiro o di mancato rinnovo del permesso di soggiorno o di adozione di una misura di allontanamento nei confronti del soggiornante o dei suoi familiari, gli Stati membri prendono nella dovuta considerazione la natura e la solidità dei vincoli familiari della persona e la durata del suo soggiorno nello Stato membro, nonché l’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo paese d’origine.

 

 

Articolo 18

Gli Stati membri assicurano che il soggiornante e/o i suoi familiari abbiano diritto a proporre impugnativa in caso di rigetto della domanda di ricongiungimento familiare, di mancato rinnovo o di ritiro del permesso di soggiorno o di adozione di una misura di allontanamento.

 

Le modalità da seguire e la competenza a esercitare il diritto di cui al primo comma sono stabilite dagli Stati membri interessati.

 

 

Capo VIII

Disposizioni finali

 

Articolo 19

Periodicamente, e per la prima volta al più tardi entro il 3 ottobre 2007, la Commissione presenta al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione sull’applicazione negli Stati membri della presente direttiva e propone, se del caso, le modifiche necessarie. Queste proposte di modifica riguardino in via prioritaria le disposizioni di cui agli articoli 3, 4, 7, 8 e 13.

 

Articolo 20

 

Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 3 ottobre 2005. Essi ne informano immediatamente la Commissione.

 

Quando gli Stati membri adottano tali disposizioni, queste contengono un riferimento alla presente direttiva o sono corredate di un siffatto riferimento all’atto della pubblicazione ufficiale. Le modalità di tali riferimenti sono decise dagli Stati membri.

 

Articolo 21

La presente direttiva entra in vigore il giorno della pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea.

 

Articolo 22

Gli Stati membri sono destinatari della presente direttiva conformemente al trattato che istituisce la Comunità europea.

 

Fatto a Bruxelles, addì 22 settembre 2003.

 


Documentazione

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1]     D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico sull’immigrazione e sulla condizione dello straniero.

[2]     D.Lgs. 8 gennaio 2007, n. 5, Attuazione della direttiva 2003/86/CE relativa al diritto di ricongiungimento familiare. Per una analisi delle novità introdotte si può vedere la scheda sul Ricongiungimento familiare nel dossier del Servizio studi L’attività delle Commissioni nella XV legislatura. Commissione affari costituzionali, n. 1/1, Parte terza, maggio 2008 (http://documenti.camera.it/leg16/dossier/Testi/ac0001b2.htm).

[3]    In tale fattispecie, il permesso di soggiorno è immediatamente revocato qualora sia accertato che al matrimonio non è seguita l’effettiva convivenza salvo che dal matrimonio sia nata prole.

[4]     D.P.C.M. 9 dicembre 1999, n. 535, Regolamento concernente i compiti del Comitato per i minori stranieri, a norma dell’articolo 33, commi 2 e 2-bis, del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286.

[5]     L. 18 aprile 2005, n. 62, Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee.

[6]     Su presupposti diversi si basa l’intervento operato dal D.Lgs. 5/2007 volto ad incidere “su alcune condizioni che limitavano o appesantivano ingiustificatamente l’esercizio del diritto, anche perché rivelatasi di difficile accertamento nella prassi operativa, al fine di semplificare le relative procedure” (così la relazione illustrativa allo schema di decreto presentata al Parlamento: XV legislatura, Atto del Governo n. 18).

[7]     Si veda la citata relazione illustrativa allo schema di decreto.

[8]     È previsto inoltre, in via facoltativa e a determinate condizioni, il ricongiungimento del partner non coniugato (art. 4, par. 3).

[9]     L’art. 4, par. 4 non autorizza il ricongiungimento familiare di un altro coniuge se il soggiornante ha già un coniuge convivente sul territorio di uno Stato membro.

[10]    L. 31 maggio 1995, n. 218, Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato.

[11]    D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394, Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell'articolo 1, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.

[12]    Il co. 2-bis è stato aggiunto dall'art. 2 del D.P.R. 18 ottobre 2004, n. 334.

[13]    Sulla questione, si veda la nota del Ministero degli affari esteri (Centro Visti) n. 306/504236 del 22 dicembre 2005.