CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 18 dicembre 2012
757.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Commissioni Riunite (I e II)
COMUNICATO
Pag. 8

UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI

  Martedì 18 dicembre 2012.

  L'ufficio di presidenza si è riunito dalle 12.05 alle 12.10 e dalle 12.40 alle 12.50.

ATTI DEL GOVERNO

  Martedì 18 dicembre 2012. — Presidenza del presidente della II Commissione Giulia BONGIORNO. – Intervengono i sottosegretari di Stato per la giustizia Antonino Gullo e per l'interno Saverio Ruperto.

  La seduta comincia alle 12.10.

Schema di decreto legislativo recante testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi.
Atto n. 521.

(Esame e rinvio).

  Le Commissioni iniziano l'esame dello schema di decreto legislativo.

  Jole SANTELLI (PdL), relatore per la I Commissione, ricorda che lo schema di decreto legislativo in esame – che reca il testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi – è stato adottato dal Governo in attuazione della delega legislativa disposta dall'articolo 1, commi 63-65, della legge n. 190 del 2012.
  Avverte che, dopo aver illustrato il contenuto del provvedimento, svolgerà alcune osservazioni critiche che si riserva di approfondire in vista della predisposizione, d'intesa con la relatrice per la II Commissione, della proposta di parere.
  L'articolo 1 – che dà attuazione all'articolo 1, comma 64, lettere a) e b), della legge delega – dispone che chi è stato condannato con sentenza passata in giudicato per taluni elencati delitti non può candidarsi alla Camera o al Senato e non può comunque ricoprire la carica di deputato e di senatore.Pag. 9
  In particolare, sono individuate tre diverse ipotesi: la prima ipotesi è quella della condanna a pena detentiva superiore a 2 anni di reclusione per i delitti – consumati o tentati – previsti dall'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater del codice di procedura penale. In questo lo schema in esame riproduce il principio affermato dalla lettera a) della legge delega, con l'unica precisazione che i delitti possono essere sia tentati che consumati. I delitti in questione sono quelli di grave allarme sociale per i quali il legislatore ha attribuito le funzioni di pubblico ministero al pubblico ministero presso il tribunale capoluogo del distretto di corte d'appello (la cosiddetta procura distrettuale). In particolare, l'articolo 51, comma 3-bis, richiama i delitti, consumati o tentati, di associazione mafiosa e di associazione a delinquere finalizzata alla tratta di esseri umani, alla commissione di delitti a sfondo sessuale in danno di minori, alla contraffazione e di commercializzazione di prodotti con segni falsi, al traffico illecito di sostanze stupefacenti o al contrabbando di tabacchi lavorati esteri, nonché i delitti di tratta di esseri umani, di sequestro di persona a scopo di estorsione e di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti. L'articolo 51, comma 3-quater, riguarda invece i delitti aventi finalità di terrorismo.
  La seconda ipotesi è quella di condanna a pena detentiva superiore a 2 anni di reclusione per delitti consumati o tentati contro la pubblica amministrazione di cui agli articoli 341-335-bis del codice penale. Anche queste cause di incandidabilità sono previste direttamente dalla legge delega (lettera b), le cui disposizioni lo schema in esame riproduce, con l'unica precisazione, anche in tal caso, che i delitti possono essere sia tentati che consumati.
  La terza ipotesi è quella di condanna a pena detentiva superiore a 2 anni di reclusione per i delitti non colposi – consumati o tentati – per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a 4 anni. Al riguardo va detto che la delega prevede che non siano temporaneamente candidabili a deputati o a senatori coloro che abbiano riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per altri delitti – rispetto a quelli dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione – per i quali la legge preveda una pena detentiva superiore nel massimo a tre anni. Il Governo ha attuato questo principio prevedendo la incandidabilità in caso di condanna per «delitti per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a 4 anni».
  Nella relazione illustrativa si dà conto della scelta operata, che si basa sul presupposto che la delega abbia riconosciuto un ampio margine di discrezionalità e si sia limitata a fissare il limite di pena edittale massima al di sotto del quale l'incandidabilità non può operare. Precisa inoltre la relazione illustrativa che il «criterio della pena non inferiore nel massimo a quattro anni di reclusione è stato selezionato in considerazione del fatto che, in base alle vigenti disposizioni, esso comprende le fattispecie criminose più gravi, per le quali, ad esempio, è anche possibile applicare la custodia cautelare in carcere». Sottolinea poi la relazione che è del tutto indifferente che nella concreta fattispecie sia stata disposta o meno la custodia cautelare.
  Come detto, la clausola di incandidabilità generale di cui a questa terza ipotesi riguarda in ogni caso i delitti non colposi.
  Quanto ai parametri per stabilire l'entità della pena massima astrattamente irrogabile, lo schema in esame rinvia all'articolo 278 del codice di procedura penale, in tema di determinazione della pena ai fini dell'applicazione delle misure cautelari.
  Non è possibile in questa sede dare conto di tutti i delitti non colposi puniti con la reclusione non inferiore nel massimo a 4 anni, i quali danno luogo alla incandidabilità, e di tutti quelli puniti con reclusione di durata inferiore, per i quali si rinvia alla documentazione predisposta dal Servizio studi.
  L'articolo 2 dello schema di decreto reca disposizioni relative all'accertamento dell'incandidabilità. È previsto che all'accertamento di una ipotesi di incandidabilità Pag. 10consegua la cancellazione dalla lista dei candidati. In particolare, l'accertamento è svolto in occasione della presentazione delle liste ed entro il termine di ammissione delle medesime dall'Ufficio centrale circoscrizionale per la Camera, dall'Ufficio elettorale regionale per il Senato e dall'Ufficio centrale per la circoscrizione estero per deputati e senatori candidati nella circoscrizione estero. L'accertamento avviene sulla base di una autocertificazione del candidato attestante l'insussistenza dell'incandidabilità conseguente a sentenza definitiva di condanna. Non è espressamente prevista una sanzione in caso di false attestazioni. Gli uffici elettorali accertano l'incandidabilità anche d'ufficio sulla base di atti o documenti di cui vengano comunque in possesso comprovanti la limitazione del diritto di elettorato passivo.
  Per i ricorsi contro le decisioni relative all'accertamento dell'incandidabilità, si fa rinvio all'articolo 23 del testo unico per l'elezione della Camera, che prevede che contro le decisioni di eliminazione di liste o di candidati, i delegati di lista possono, entro 48 ore dalla comunicazione, ricorrere all'Ufficio centrale nazionale. Il ricorso deve essere depositato entro detto termine, a pena di decadenza, nella Cancelleria dell'Ufficio centrale circoscrizionale. Il predetto Ufficio, nella stessa giornata, trasmette, a mezzo di corriere speciale, all'Ufficio centrale nazionale, il ricorso con le proprie deduzioni. L'Ufficio centrale nazionale decide nei due giorni successivi. Le decisioni sono comunicate nelle 24 ore ai ricorrenti ed agli Uffici centrali circoscrizionali.
  Vengono poi regolati i casi in cui la incandidabilità sia sopravvenuta (ossia la sentenza di condanna passa in giudicato dopo il termine di presentazione delle liste) oppure sia stata accertata solo successivamente alla fase di controllo sulla presentazione delle liste (nel senso che l'incandidabilità, già sussistente al momento della presentazione delle liste, non sia stata rilevata dall'ufficio elettorale). In questi casi, l'ufficio elettorale competente procede alla dichiarazione di mancata proclamazione nei confronti del soggetto incandidabile.
  L'articolo 3 disciplina l'incandidabilità sopravvenuta nel corso del mandato elettivo parlamentare, prevedendo che in tal caso la Camera di appartenenza delibera in sede di verifica dei poteri, a norma dell'articolo 66 della Costituzione, il quale prevede che ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità.
  Le sentenze definitive di condanna che comportano l'incandidabilità emesse nei confronti di parlamentari in carica sono immediatamente comunicate alla Camera di appartenenza, a cura del pubblico ministero presso il giudice competente per l'esecuzione.
  Se l'accertamento dell'incandidabilità interviene nella fase di convalida degli eletti, la Camera interessata, anche nelle more di conclusione di tale fase, procede immediatamente alla deliberazione sulla mancata convalida.
  Nel caso in cui rimanga vacante un seggio, la Camera interessata, in sede di convalida del subentrante, verifica per quest'ultimo l'assenza delle condizioni soggettive di incandidabilità.
  L'articolo 4 prevede che non possono essere candidati e non possono comunque ricoprire la carica di membro del Parlamento europeo spettante all'Italia coloro che si trovano nelle condizioni di incandidabilità previste dall'articolo 1 per le cariche di deputato e senatore. La disciplina ricalca, con i necessari adattamenti, quella prevista per le elezioni politiche nazionali.
  In particolare, ai ricorsi contro le decisioni dell'Ufficio centrale circoscrizionale relative all'accertamento dell'incandidabilità, si applica l'articolo 129 del cosiddetto codice del processo amministrativo (di cui al decreto legislativo n. 104 del 2010), il quale disciplina la tutela giurisdizionale anticipata – ossia la possibilità di ricorrere immediatamente, senza attendere l'esito delle elezioni, avverso i provvedimenti del procedimento elettorale preparatorio Pag. 11– per le elezioni europee, regionali ed amministrative, limitandola ai soli provvedimenti immediatamente lesivi del diritto del ricorrente a partecipare al procedimento elettorale. Il codice del processo amministrativo prevede una procedura estremamente rapida, con forme semplificate, sia in primo grado davanti al TAR che in secondo grado innanzi Consiglio di Stato, al fine di consentire che il giudizio si concluda con il minor intralcio possibile per lo svolgimento delle elezioni.
  La incandidabilità sopravvenuta o accertata successivamente alla data di proclamazione viene rilevata dall'ufficio elettorale nazionale, che – come si desume anche dalla relazione introduttiva – delibera la decadenza dalla carica. La dichiarazione di decadenza è immediatamente comunicata dal Presidente dell'ufficio elettorale nazionale alla segreteria del Parlamento europeo.
  L'articolo 6 disciplina il divieto di assumere e svolgere incarichi di Governo a livello nazionale per coloro che si trovano nelle condizioni di incandidabilità per le cariche di deputato e senatore. Per la individuazione degli incarichi di Governo si fa riferimento alla cosiddetta legge sul conflitto di interessi (n. 215 del 2004), che considera incarichi di governo quelli del Presidente del Consiglio dei ministri; dei ministri; dei viceministri e sottosegretari di Stato; e dei commissari straordinari del Governo, ai sensi dell'articolo 11 della legge n. 400 del 1988.
  A tal fine coloro che assumono incarichi di Governo hanno l'obbligo di dichiarare di non trovarsi in alcuna delle citate condizioni di incandidabilità. Per il Presidente del Consiglio ed i ministri, la dichiarazione è rimessa al Presidente della Repubblica, prima dell'assunzione delle funzioni. Per i viceministri, i sottosegretari e i commissari straordinari la dichiarazione è resa al Presidente del Consiglio.
  Ai fini previsti dall'articolo in esame, le sentenze definitive di condanna che comportano l'incandidabilità sono immediatamente comunicate, a cura del pubblico ministero presso il giudice competente per l'esecuzione, alla Presidenza della Repubblica e alla Presidenza del Consiglio. Le predette sentenze determinano la decadenza di diritto dalla carica ricoperta, la quale è dichiarata dal Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio, o, in caso di decadenza del Presidente del Consiglio, su proposta del Ministro dell'interno.
  Restano ferme le incompatibilità previste da altre disposizioni di legge per i titolari di cariche di governo.
  L'articolo 7 elenca le cause – quasi esclusivamente di natura penale – che impediscono la candidabilità in ambito regionale alla carica di consigliere regionale e di Presidente della giunta regionale, di assessore regionale e di amministratore e componente degli organi della unità sanitarie locali. Va detto che la norma di delega fa riferimento agli organi politici di vertice delle regioni: espressione che è stata interpretata come riferita agli organi esecutivi. Il Governo – armonizzando la normativa vigente – ha ritenuto di ricomprendervi anche i vertici delle unità sanitarie locali, attualmente richiamati dall'articolo 15 della legge 19 marzo 1990, n. 55.
  L'elenco delle cause di incandidabilità riprende la disciplina di cui all'articolo 15 della legge n. 55 del 1990. Lo schema di decreto legislativo aggiunge alle cause di incandidabilità anche la condanna definitiva per i delitti, consumati o tentati, previsti dall'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale, di cui si è detto. Si tratta della condanna per delitti di grave allarme sociale relativi fattispecie prevalentemente di natura associativa, i quali sono previsti espressamente dalla norma di delega per l'incandidabilità in Parlamento: nelle elezioni per la Camera dei deputati e il Senato però questa condanna determina incandidabilità solo se la pena detentiva concretamente irrogata dalla sentenza è alla reclusione superiore a 2 anni. Nelle regioni è sufficiente la condanna, a prescindere dall'entità della pena.
  Il comma 2 dell'articolo 7 estende l'applicazione delle disposizioni in materia di incandidabilità per le cariche elettive e di governo regionali a qualsiasi incarico la Pag. 12cui elezione o nomina sia di competenza degli organi di governo della Regione. Il comma 3 disciplina gli effetti dell'illegittima elezione o nomina di un soggetto che si trova in una delle condizioni che determina l'incandidabilità e sanziona espressamente con la nullità l'elezione o nomina del candidato che si trova in una delle suddette condizioni. All'organo che ha convalidato l'elezione o deliberato la nomina del soggetto incandidabile, e cioè lo stesso Consiglio regionale contestualmente eletto, è attribuito l'obbligo di provvedere alla revoca di esse.
  L'articolo 8 stabilisce che, in presenza di alcuni presupposti, coloro che ricoprono le cariche indicate dall'articolo 7, comma 1, sono sospesi dalla carica. In particolare, la sospensione discende dalla condanna non definitiva per alcuni dei delitti che comportano l'incandidabilità; ma anche dalla condanna in primo grado confermata dal giudice dell'appello ad una pena non inferiore a 2 anni di reclusione per un delitto non colposo, nonché dalla applicazione con provvedimento non definitivo di una misura di prevenzione antimafia. Ulteriori ipotesi di sospensione dalla carica sono previste in caso di applicazione di una misura coercitiva.
  Viene poi riprodotto nello schema di testo unico in esame il contenuto del comma 4-bis dell'articolo 15 della legge n. 55 del 1990, con riguardo alla disciplina sugli effetti della sospensione, con riguardo al computo del numero legale nell'organo collegiale cui appartiene il soggetto sospeso e con riguardo alla determinazione dei quorum e delle maggioranze qualificate. Parimenti, viene riprodotto il contenuto dell'articolo 15, comma 4-bis, della legge 55 del 1990, dove fissa in generale in 18 mesi il periodo massimo di sospensione. La sospensione è prorogata di 12 mesi allorché, entro il primo termine, venga rigettata l'impugnazione proposta dall'interessato avverso la sentenza dichiarativa della responsabilità penale. Ove nell'arco del periodo predetto intervenga una sentenza d'appello, il decorso del primo termine si interrompe ed inizia a decorrere un termine nuovo (12 mesi).
  Ancora, viene riprodotto il contenuto dell'articolo 15, comma 4-quater della legge n. 55 del 1990 con riguardo alla cessazione della sospensione nel caso in cui venga meno l'efficacia della misura coercitiva ovvero venga emessa sentenza anche non definitiva di non luogo a procedere, di proscioglimento, di assoluzione o provvedimento di revoca della misura di prevenzione.
  Infine, viene riprodotto il comma 4-quinquies dell'articolo 15 della legge 55 del 1990, che disciplina la decadenza di diritto dalle cariche a decorrere dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna o dalla data in cui diviene definitivo il provvedimento che applica la misura di prevenzione.
  L'articolo 9 dispone la disciplina dell'accertamento delle condizioni di incandidabilità effettuata dagli uffici elettorali regionali in occasione della presentazione delle liste per l'elezione del presidente della regione e dei consiglieri regionali. Al riguardo la disciplina vigente in materia – contenuta nella legge 108 del 1968 – risulta modificata in modo non testuale, per quanto riguarda l'accertamento dell'incandidabilità. L'articolo 9 della legge n. 108 del 1968 infatti prevede che la dichiarazione del candidato di non trovarsi in alcuna delle ipotesi di incandidabilità debba essere contenuta nella dichiarazione di accettazione della candidatura. Secondo la nuova disciplina l'insussistenza delle cause di incandidabilità deve essere invece oggetto di un'autonoma dichiarazione sostitutiva (cosiddetta autocertificazione).
  Si dispone la cancellazione da parte degli uffici preposti all'esame delle liste dei nomi dei candidati per i quali manchi la dichiarazione sostitutiva o per i quali la condizione di incandidabilità venga comunque accertata tramite atti o documenti di cui l'ufficio sia in possesso.
  Si prevede – e questo costituisce un elemento di novità rispetto alla disciplina vigente – che per i ricorsi contro le decisioni dell'Ufficio centrale circoscrizionale relative all'accertamento dell'incandidabilità, si applica l'articolo 129 del cd. codice del processo amministrativo, di cui Pag. 13si è detto. Attualmente, contro le decisioni di cancellazione dalle liste per incandidabilità, così come per tutte le altre cause di cancellazione di liste o candidati, l'articolo 10 della legge 108 prevede il ricorso, entro 24 ore dalla comunicazione, all'Ufficio centrale regionale.
  Viene infine riprodotta la disciplina vigente in materia di incandidabilità sopravvenuta o accertata successivamente alle operazioni di esame delle liste, ma antecedentemente alla proclamazione. Essa viene rilevata dagli uffici preposti alla proclamazione degli eletti.
  L'articolo 10, comma 1, che ricalca il contenuto dell'articolo 7, comma 1, dedicato alle cariche regionali, elenca le cause – anch'esse quasi esclusivamente di natura penale – che impediscono la candidabilità alle elezioni provinciali, comunali e circoscrizionali, nonché di ricoprire le relative cariche di governo o in enti collegati agli enti locali.
  Le cariche elencate nello schema di decreto legislativo riproducono integralmente l'elenco già contenuto nella legge delega e nell'articolo 58, comma 1, del testo unico degli enti locali. Rispetto alla disciplina vigente, lo schema di decreto legislativo inserisce tra le cause di incandidabilità la condanna definitiva per i delitti, consumati o tentati, previsti dall'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale, di cui si è detto.
  L'applicazione delle disposizioni in materia di incandidabilità per le cariche elettive e di governo regionali viene estesa a qualsiasi incarico la cui elezione o nomina sia di competenza degli organi di governo locali. Vengono anche in questo caso disciplinati gli effetti dell'illegittima elezione di un soggetto che si trova in una delle condizioni che determina l'incandidabilità e sanziona espressamente con la nullità l'elezione o nomina del candidato che si trova in una delle suddette condizioni. All'organo che ha convalidato l'elezione o deliberato la nomina del soggetto incandidabile, è attribuito l'obbligo di provvedere alla revoca di esse.
  L'articolo 11 riprende quanto attualmente previsto dall'articolo 59 del testo unico sugli enti locali in tema di sospensione e decadenza di diritto. In particolare, il comma 1 stabilisce che coloro che ricoprono le cariche indicate dall'articolo 10, comma 1, sono sospesi di diritto in presenza di determinati presupposti. Il primo presupposto è la condanna non definitiva per alcuni dei delitti che determinano l'incandidabilità. Un secondo presupposto è la condanna in primo grado confermata dal giudice dell'appello per la stessa imputazione del primo grado ad una pena non inferiore a 2 anni di reclusione per un delitto non colposo. Un terzo presupposto è la applicazione con provvedimento non definitivo di una misura di prevenzione antimafia disciplinata dal Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione (decreto-legislativo n. 159 del 2011), cui lo schema di decreto legislativo fa riferimento.
  Il comma 2 aggiunge ulteriori ipotesi di sospensione dalla carica in caso di applicazione di una misura coercitiva custodiale (parliamo di custodia cautelare in carcere, di arresti domiciliari e di custodia in luogo di cura) e di applicazione della misura del divieto di dimora, se tale divieto riguarda la sede dove si svolge il mandato elettorale.
  I commi da 3 a 9 dell'articolo 11 riproducono testualmente i commi da 2 a 8 dell'articolo 59 del testo unico degli enti locali. In particolare, il comma 3 riproduce il comma 2 dell'articolo 59 del testo unico, che regola gli effetti della sospensione riferimento al computo al fine della verifica del numero legale e per la determinazione di quorum o maggioranze qualificate.
  Il comma 4 riproduce il comma 3 dell'articolo 59 del testo unico, che fissa in generale in 18 mesi il periodo massimo di sospensione. La sospensione è prorogata di 12 mesi allorché, entro il primo termine, venga rigettata l'impugnazione proposta dall'interessato avverso la sentenza dichiarativa della responsabilità penale. Ove dunque nell'arco del periodo predetto intervenga una sentenza d'appello, il decorso Pag. 14del primo termine si interrompe ed inizia a decorrere un termine nuovo (12 mesi).
  Il comma 5 riproduce il comma 4 dell'articolo 59 del testo unico, in relazione al procedimento che porta alla sospensione di diritto dalla carica. Il comma 6 riproduce il comma 5 dell'articolo 59 del testo unico, che regola la cessazione della sospensione, e la pubblicazione del relativo provvedimento, nel caso in cui venga meno l'efficacia della misura coercitiva ovvero venga emessa sentenza anche non definitiva di non luogo a procedere, di proscioglimento, di assoluzione o provvedimento di revoca della misura di prevenzione.
  Il comma 7 riproduce il comma 6 dell'articolo 59 del testo unico, con riguardo alla decadenza di diritto dalle cariche a decorrere dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna o dalla data in cui diviene definitivo il provvedimento che applica la misura di prevenzione
  I commi 8 e 9 riproducono i commi 7 e 8 dell'articolo 59 del testo unico, con riferimento alla necessità di verificare che non ricorrano pericoli di infiltrazione di tipo mafioso nei servizi degli enti locali qualora siano stati emessi provvedimenti di sospensione o decadenza di pubblici ufficiali degli enti medesimi. In tali casi è demandata al prefetto la possibilità di acquisire dati e documenti presso gli enti interessati.
  Una copia dei provvedimenti di sospensione, in caso di necessità di accertamenti sulle infiltrazione mafiose è trasmessa al Ministro dell'interno (comma 9).
  L'articolo 12 dispone la disciplina dell'accertamento delle condizioni di incandidabilità effettuata dagli uffici preposti all'esame delle liste dei candidati in occasione della presentazione delle liste per l'elezione del presidente della provincia, del sindaco, del presidente della circoscrizione e dei consiglieri provinciali, comunali e circoscrizionali.
  Si dispone la cancellazione da parte degli uffici preposti all'esame delle liste dei nomi dei candidati per i quali manchi la dichiarazione sostitutiva o per i quali venga accertata comunque tramite atti o documenti di cui l'ufficio sia in possesso la condizione di incandidabilità.
  Si prevede che per i ricorsi contro le decisioni degli uffici elettorali preposti all'esame delle liste, relative all'accertamento dell'incandidabilità, si applica l'articolo 129 del cosiddetto codice del processo amministrativo, di cui si è detto.
  Infine viene disciplinata l'ipotesi di incandidabilità sopravvenuta o accertata successivamente alle operazioni di esame delle liste, ma antecedentemente alla proclamazione. Essa viene rilevata dagli uffici preposti alla proclamazione degli eletti.
  L'articolo 13 riguarda la durata dell'incandidabilità. La legge di delega rimette al legislatore delegato la previsione della durata dell'incandidabilità. Lo schema prevede che l'incandidabilità alla carica di deputato, senatore e membro del Parlamento europeo spettante all'Italia, derivante da sentenza definitiva di condanna, decorre dalla data del passaggio in giudicato della sentenza stessa e ha effetto per un periodo corrispondente al doppio della durata della pena accessoria dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici comminata dal giudice. È in ogni caso stabilita una durata minima di sei anni per l'incandidabilità, anche in assenza della pena accessoria.
  Il comma 2 prevede che il divieto di assumere e svolgere incarichi di governo nazionale, derivante da sentenza di condanna definitiva, opera con la medesima decorrenza e per la stessa durata prevista per l'incandidabilità alla carica di parlamentare nazionale ed europeo.
  Il comma 3 prevede l'aumento di un terzo della durata dell'incandidabilità alle cariche elettive e del divieto di assunzione delle cariche governative per il caso in cui il delitto che determina l'incandidabilità o il divieto sia commesso con abuso dei poteri o in violazione dei doveri connessi al mandato elettivo o all'incarico governativo.
  L'articolo 14 estende l'applicazione delle disposizioni in materia di incandidabilità Pag. 15previste dallo schema di decreto in esame alle regioni a statuto speciale e alle province autonome.
  L'articolo 15, in attuazione del principio di delega di cui al comma 64 della norma di delega prevede che le ipotesi di incandidabilità stabilite dal provvedimento, oltre che in relazione alle condanne definitive, valgano anche per le sentenze di condanna pronunciate a seguito di patteggiamento ex articolo 444 del codice di procedura penale. La previsione riprende l'analogo contenuto dell'articolo 1-bis della legge 55 del 1990 relativo alle ipotesi d'incandidabilità alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali.
  In attuazione del principio di delega di cui all'articolo 1, comma 64, lett. e), il comma 2 dispone che l'incandidabilità disciplinata dallo schema di decreto in esame produce i suoi effetti indipendentemente dalla concomitanza con la limitazione del diritto di elettorato attivo e passivo derivante dall'applicazione della pena accessoria dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici; nonché dall'applicazione, in forza di provvedimenti definitivi, di una delle misure di prevenzione o di sicurezza che comportano la perdita dell'elettorato attivo (e quindi anche passivo) ai sensi dell'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 223 del 1967, ossia la misura di prevenzione della sorveglianza speciale della pubblica sicurezza; e le misure di sicurezza detentive, libertà vigilata, divieto di soggiorno in uno o più comuni o in una o più province, a norma dell'articolo 215 del codice penale.
  Il comma 3 individua la sentenza di riabilitazione del condannato come unica causa di estinzione anticipata dell'incandidabilità disciplinata dallo schema di decreto legislativo. La sentenza comporta, quindi, la cessazione dell'incandidabilità per il tempo residuo. L'eventuale revoca della sentenza di riabilitazione comporta il ripristino dell'incandidabilità per il periodo di tempo residuo.
  Il comma 4 dell'articolo 15, infine, disciplina l'estinzione dell'incandidabilità in relazione alla speciale riabilitazione «antimafia» di cui all'articolo 70 del cosiddetto Codice antimafia. Detta riabilitazione estingue l'incandidabilità derivante dall'applicazione di una misura di prevenzione antimafia definitiva da parte del tribunale in quanto indiziati di appartenere ad associazione di tipo mafioso e di una serie di ulteriori reati associativi.
  L'articolo 16 detta norme transitorie per l'applicazione della nuova disciplina delle incandidabilità. In particolare, per le cause di incandidabilità alla carica di deputato e senatore e di membro del Parlamento Europeo (capo I), per quelle ostative dell'assunzione e dello svolgimento di incarichi di governo (capo II), nonché per le sole nuove ipotesi di incandidabilità alle elezioni regionali e negli enti locali (capi III e IV), il patteggiamento equivale a condanna solo per le sentenze pronunciate dopo l'entrata in vigore del decreto legislativo in esame.
  Le procedure dettate dallo schema in esame per l'accertamento dell'incandidabilità nella fase di ammissione delle candidature, per la mancata proclamazione, per i ricorsi e la dichiarazione per incompatibilità sopravvenuta si applicano anche alle incandidabilità (non derivanti da condanne penali) di cui agli articoli 143, comma 111, e 248, comma 5, del testo unico. Il riferimento è, rispettivamente, agli amministratori responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento dei consigli comunali e provinciali per infiltrazioni mafiose nonché agli amministratori che la Corte dei conti ha riconosciuto, anche in primo grado, responsabili di aver contribuito al dissesto finanziario degli enti locali con condotte, dolose o gravemente colpose, sia omissive che commissive.
  L'articolo 17 dispone le abrogazioni e l'articolo 18 stabilisce che le disposizioni del decreto in esame entrano in vigore il giorno successivo alla loro pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
  Passando quindi alle osservazioni critiche sul testo in esame, esprime l'avviso che l'articolo 1, comma 1, lettera b) – dove si prevede che siano incandidabili al Parlamento nazionale coloro che hanno riportato Pag. 16condanne definitive superiori a due anni di reclusione per delitti non colposi consumati o tentati per i quali sia prevista «la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni» – si discosti dalla disposizione di delega, la quale prevedeva che il Governo potesse prevedere l'incandidabilità per coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori ai due anni di reclusione per delitti per i quali la legge preveda «una pena detentiva superiore nel massimo a tre anni». Più in generale, ritiene discutibile la scelta del Governo di non individuare sulla base del contenuto i singoli reati per i quali deve essere prevista la incandidabilità, laddove questa era l'indicazione data dalla disposizione di delega.
  Un altro punto critico del testo in esame è rappresentato, a suo avviso, dall'articolo 2, comma 2, dall'articolo 5, comma 2, dall'articolo 9, comma 2, e dall'articolo 12, comma 2, che, con formulazione identica, consentono agli organi di volta in volta competenti per l'accertamento delle incandidabilità relative alle elezioni per il Parlamento nazionale, per il Parlamento europeo, per le regioni e per gli enti locali, di accertare d'ufficio la incandidabilità di soggetti presenti nelle liste anche sulla base di non meglio individuati «atti o documenti comunque in possesso dell'ufficio». Ritiene che, pur salvaguardando il potere degli organi competenti di procedere ad accertamenti d'ufficio che prescindano dalle autocertificazioni dei candidati, occorrerebbe precisare meglio quali siano gli atti e i documenti che possono essere considerati attendibili ai fini dell'accertamento della sussistenza di causa di incandidabilità.
  Ritiene, poi, che l'articolo 2, comma 4, dovrebbe essere rivisto, atteso che, una volta completate le operazioni di verifica della ammissibilità delle liste dei candidati e delle relative candidabilità ai sensi del comma 2, non possano più essere l'ufficio centrale circoscrizionale, per la Camera, l'ufficio elettorale regionale, per il Senato, e l'ufficio centrale per la circoscrizione estero a gestire l'eventuale incandidabilità sopravvenuta. Analoghe considerazioni possono svolgersi con riferimento agli articoli 5, comma 5, 9, comma 4, e 12, comma 4.
  Evidenzia, ancora, che l'articolo 13, comma 3 – che prevede che la durata della incandidabilità sia aumentata di un terzo quando il delitto che determina la incandidabilità sia stato commesso con abuso di poteri o in violazione dei doveri connessi al mandato elettivo o all'incarico di Governo – non sembra avere un fondamento nella disposizione di delega, che non prevede «aggravanti» di questo tipo.
  Esprime, infine, il timore che l'articolo 16, comma 2, possa essere interpretato nel senso che la causa di incandidabilità di cui all'articolo 143, comma 11, del testo unico degli enti locali – che riguarda gli amministratori locali responsabili di condotte che danno causa allo scioglimento di consigli locali in conseguenza di fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso o similare – sia compresa tra le cause di incandidabilità generali previste dal decreto in esame per le elezioni politiche, europee, regionali e locali. Ricorda che queste ultime incandidabilità valgono su tutto il territorio nazionale, laddove il predetto comma 11 individua una causa di incandidabilità limitata alle sole elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, che si svolgono nella regione nel cui territorio si trova l'ente locale interessato dallo scioglimento e limitatamente al primo turno elettorale successivo allo scioglimento stesso. A suo avviso, una tale interpretazione, con la quale le incandidabilità in questione vengano estese alle elezioni su tutto il territorio nazionale, non avrebbe fondamento nella disposizione di delega. Fa presente, tra l'altro, che non appare opportuno disporre la incandidabilità su tutto il territorio nazionale di soggetti che non sono stati colpiti da sentenza di condanna o da misure di prevenzione, ma sono semplicemente menzionati nella relazione prefettizia predisposta ai fini dello scioglimento dei consigli locali per infiltrazione mafiosa ai sensi del comma 3 del citato articolo 143.

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  Donatella FERRANTI (PD), relatore per la II Commissione, preannuncia che quale relatrice per la Commissione giustizia si soffermerà sulle parti del testo attinenti più da vicino alle competenze della medesima. In particolare, si tratta delle disposizioni dello schema che rinviano a norme del codice penale o del codice di procedura penale ovvero che ne richiamano la loro applicazione.
  Le disposizioni più rilevanti in tal senso sono in primo luogo quelle che prevedono i reati dalla cui condanna definitiva derivi l'incandidabilità alle elezioni politiche (articolo 1), regionali (articolo 7) e elezioni provinciali, comunali e circoscrizionali (articolo 10). A queste disposizioni si aggiungono quelle sul patteggiamento, le pene accessorie e la riabilitazione (articolo 15) nonché le rispettive disposizioni transitorie e finali (articolo 16).
  Ricorda, anche se non ve ne sarebbe bisogno, che il compito del Parlamento in questo momento dell’iter legislativo non è quello di valutare se la nuova disciplina dell'incandidabilità sia sufficientemente rigorosa, quanto piuttosto di verificare se lo schema di decreto rispetti i principi e criteri direttivi stabiliti da una legge, che peraltro è stata approvata pressoché all'unanimità dal Parlamento. Tale compito è particolarmente delicato laddove il legislatore delegato abbia utilizzato un certo margine di discrezionalità nell'attuare i principi e criteri direttivi di delega. In questo caso occorrerà valutare se le disposizioni dello schema di decreto siano rimaste comunque nell'alveo della delega. Questa verifica dovrà essere compiuta alla luce dei principi costituzionali i quali servono a meglio individuare l'esatta portata dello specifico principio e criterio direttivo di delega, ma non a mutarne il contenuto qualora il principio o il criterio di delega non sembri conforme al dettato costituzionale. Il legislatore delegato può fare ricorso ad una interpretazione estensiva dei principi e criteri di delega che sia costituzionalmente orientata, ma non può sanare l'eventuale incostituzionalità dei medesimi riscrivendoli sostanzialmente.
  Per quanto attiene alle disposizioni di maggiore rilevanza per la Commissione giustizia, l'articolo 1 individua i delitti dalla cui condanna definitiva derivi l'incandidabilità per le elezioni politiche. Sul punto la delega (articolo 1, comma 64, lettere a) e b)) individua tre diversi gruppi di reati, la cui condanna definitive a pena superiore a due anni di reclusione comporta incandidabilità per le elezioni politiche: 1) delitti previsti dall'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater del codice di procedura penale (cosiddetti delitti distrettuali); 2) delitti previsti nel libro secondo, titolo II, capo I, del codice penale (Delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione); 3) ulteriori delitti per i quali la legge preveda una pena edittale a cui pena detentiva superiore nel massimo a tre anni.
  Il Governo nell'attuare i predetti principi ha effettuato delle scelte sulla base di una interpretazione dei medesimi che tenesse conto dei principi costituzionali ed impedisse, secondo una interpretazione strettamente letterale del principio di delega, una sostanziale incostituzionalità delle norme del decreto legislativo.
  In primo luogo, l'incandidabilità si è ritenuta riferita ai soli ai delitti non colposi Nella relazione del Governo si legge che si tratta di una «scelta costituzionalmente necessaria in quanto garantisce la conformità della nuova disciplina ai principi di ragionevolezza e proporzionalità più volte richiamati dalla Corte costituzionale in relazione alle cause di limitazione del diritto di elettorato passivo».
  Altra scelta fatta è stata quella di far riferimento nell'articolo l dello schema anche ai delitti tentati oltre che a quelli consumati, sia pure che la legge delega faccia riferimento genericamente ai delitti senza operare alcuna distinzione. Tale scelta pare obbligata alla luce dei principi generali.
  Altra scelta fatta dal Governo, ma in questo caso si tratta di una questione attinente alla tecnica legislativa, è stata quella di non elencare nominativamente tutti delitti la cui condanna sarebbe ostativa alla candidabilità, quanto piuttosto di Pag. 18adottare la tecnica del rinvio da norma a norma in maniera tale da non rendere necessario una modifica al decreto legislativo ogni qualvolta dovesse essere introdotto nell'ordinamento un nuovo reato riconducibile alle categorie cosiddette ostative. In tal modo, agli effetti della incandidabilità, le nuove norme funzioneranno come «adattatore permanente», per utilizzare il termine adottato dal Governo nella relazione.
  La quarta scelta fatta dal Governo, relativa al terzo gruppo di reati ostativi alla candidabilità, è quella maggiormente delicata, in quanto è stata fatta sulla base di un ragionamento sicuramente più complesso giuridicamente rispetto a quelli che hanno portato alle prime tre scelte.
  Ricorda sul punto che la lettera b) del comma 64 dell'articolo 1 della legge n. 190 del 2012 prevede, infine come clausola di chiusura, che non sono candidabili coloro che abbiano riportato una a condanna a pena superiore a due anni di reclusione per i delitti per i quali la legge preveda una pena edittale a cui pena detentiva superiore nel massimo a tre anni. Il Governo, alla lettera c) del comma 1, ha individuato questa terza categoria ostativa facendo riferimento ai delitti non colposi, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, determinata ai sensi dell'articolo 278 del codice di procedura penale.
  Nella relazione si giustifica questa scelta rilevando che sul punto la delega ha riconosciuto al legislatore delegato «un ampio margine di discrezionalità limitato soltanto dal richiamo, quale parametro-soglia, a reati la cui pena edittale risulta essere sintomatica di una certa gravità e allarme sociale (“pena detentiva superiore nel massimo a tre anni”)». Per questa ragione, «per evitare esclusioni (o inclusioni) irragionevoli che avrebbero potuto determinare la violazione del principio di eguaglianza (articolo 3 Cost.)», si è ritenuto di fare riferimento ai delitti non colposi, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni. Si tratta dei reati che l'ordinamento riconosce già gravi in quanto solo per essi è possibile la custodia cautelare. Il Governo ha quindi ritenuto di utilizzare un parametro di pericolosità del reato già previsto ad altri fini dalla legge, al quale, almeno espressamente, non è fatto riferimento nella legge delega. Nella relazione del Governo si legge che «il criterio adottato è in linea con la direttiva contenuta nella legge delega, che indica soltanto il limite di pena edittale al di sotto del quale l'incandidabilità non può operare, rimettendo, così, al legislatore delegato la facoltà di fissare limiti di pena eventualmente più elevati».
  Questi limiti sono stati fissati utilizzando il parametro di pericolosità della custodia cautelare. In questo modo, a parere del Governo, si è operata «una selezione ragionevole dei casi nei quali la commissione di un reato deve essere ostativa alla candidabilità del colpevole coerentemente con il principio di ragionevolezza e proporzionalità immanente ad ogni limitazione all'elettorato passivo, secondo l'insegnamento della Corte costituzionale (sentenza del 6 febbraio 2009, n. 27)», secondo il quale «il diritto di elettorato passivo può essere compresso solo in vista di esigenze costituzionalmente rilevanti e che l'eleggibilità costituisce la regola, mentre l'ineleggibilità l'eccezione (sentenze n. 25 del 2008, n. 306 e n. 220 del 2003)».
  Può essere utile, al fine di valutare la fondatezza della scelta del Governo, tenere conto che secondo questi la soluzione proposta consentirebbe «di ovviare al problema della sostanziale attribuzione, nel caso si fosse agganciata l'ineleggibilità alla sola irrogazione di una pena non inferiore ad un certo numero di anni di reclusione, a prescindere dal tipo di reato commesso, alla autorità giudiziaria del potere discrezionale di far derivare dalla sentenza di condanna la stessa ineleggibilità come avviene per l'interdizione dai pubblici uffici: soluzione sicuramente inopportuna in termini costituzionali relativi alla separazione dei poteri e alle immunità spettanti al mandato parlamentare». È stata fatta quindi una scelta discrezionale che deve Pag. 19essere verificata dalle Commissioni riunite non tanto sotto il profilo dell'opportunità quanto piuttosto dei limiti della discrezionalità, valutando se questi siano stati superati.
  L'articolo 7 si riferisce alla incandidabilità alle elezioni regionali ed alle cariche di presidente della giunta regionale, assessore e consigliere regionale, amministratore e componente degli organi comunque denominati delle unità sanitarie locali. Lo schema di decreto, nell'attuare l'articolo l, comma 64, lettera i) della legge di delega n. 190 del 2012, opera da una parte la trasposizione nell'emanando testo unico della normativa già in vigore e, dall'altro, interviene ad armonizzare il regime delle incandidabilità regionali con le scelte imposte dal legislatore delegante con riferimento alle cariche elettive nazionali. Su tale punto la delega è stata alquanto laconica limitandosi a prevedere che siano individuate le ipotesi di incandidabilità alle elezioni regionali e di divieto di ricoprire cariche negli organi politici di vertice delle regioni, conseguenti a sentenze definitive di condanna.
  In sostanza, si è ritenuto di integrare la disciplina già in vigore (articolo 15 della legge n. 55 del 1990, come modificato dalla legge 18 gennaio 1992, n. 16) integrandola con il rinvio ai delitti previsti dall'articolo 51, comma 3-bis e 3-quater ed ampliando il catalogo dei delitti contra la Pubblica Amministrazione alla luce delle modifiche apportate al codice penale dalla stessa legge n. 190 del 2012, senza però il richiamo al limite della pena in concreto erogata (superiore a due anni), stabilita invece per l'incandidabilità dei parlamentari nazionali. Il Governo precisa che «Tale opzione tiene conto che, ad ordinamento vigente, le incandidabilità regionali di cui ai delitti previsti dalle lettere a) e b) del citato articolo 15 della legge n. 55 del 1990 (associazione di stampo mafioso, associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, fabbricazione, importazione, esportazione, vendita o cessione di armi, munizioni o materie esplodenti, delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione) scattano con il passaggio in giudicato della sentenza di condanna, indipendentemente dalla pena in concreto erogata.
  Sempre al fine di non rendere meno rigorosa la normativa vigente, si prevede che rimangono ferme, inoltre, le cause di incandidabilità connesse a sentenze definitive alla pena della reclusione superiore a sei mesi per uno o più delitti commessi con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti una pubblica funzione e a pene non inferiori a due anni di reclusione per delitto non colposo.
  Si è operato nello stesso modo per le incandidabilità alle elezioni provinciali, comunali e circoscrizionali: la normativa vigente è stata integrata con l'introduzione di ulteriori ipotesi di incandidabilità per delitti di grave allarme sociale in coerenza con le scelte operate sul livello politico nazionale e regionale.
  L'articolo 10, quindi, riproduce sostanzialmente l'articolo 58 del testo unico enti locali e ne amplia le ipotesi di incandidabilità con il richiamo ai delitti di grave allarme sociale indicati all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, e ai delitti contro la Pubblica Amministrazione come modificati dalla legge n. 190 del 2012.
  L'articolo 15, in attuazione del principio di delega di cui all'articolo 1, comma 64, lett. d), dispone, al comma l, che tutte le ipotesi di incandidabilità disciplinate dal testo unico operano anche nel caso di patteggiamento ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale. Tale principio è, peraltro, già applicato nelle vigente disciplina per le elezioni regionali e locali.
  Il comma 3 fissa il principio che la riabilitazione, ex articolo 178 del codice di procedura penale, è l'unica causa di estinzione anticipata dell'incandidabilità.
  Altra scelta operata dal Governo che non trova espressamente riscontro nella delega, ma che, secondo il Governo, sarebbe comunque riconducibile alla delega stessa, sulla base di una interpretazione della stessa alla luce dei principi costituzionali, è stata effettuata in merito alla previsione di una fase transitoria relativamente al patteggiamento.Pag. 20
  L'articolo 16, stabilisce, al comma 1, che il principio in base al quale il patteggiamento equivale a condanna si applica solo per le sentenze pronunciate successivamente all'entrata in vigore del testo unico, con riferimento alle incandidabilità disciplinate ex novo (quindi per tutte quelle previste per deputati e senatori e per quelle che si aggiungono a livello regionale e locale). Questa regola non vale per le sentenze di condanna definitive e non è espressamente prevista dalla delega né sono esplicitate le ragioni nella relazione. Segnalo che da dichiarazioni alla stampa rilasciate da Ministro della giustizia, professoressa Paola Severino, si risulterebbe che secondo il Governo «Il criterio della ostatività o il criterio della ineleggibilità non può valere per i patteggiamenti passati perché ritornerebbe a carico dell'imputato in maniera irrazionale». Secondo il ministro, l'incandidabilità prevista dall'attuazione della delega «in nessun caso può essere determinata da un patteggiamento intervenuto prima dell'entrata in vigore della nuova disciplina. (...) Chi decide di patteggiare invece di percorrere la strada del processo ordinario al momento della decisione deve essere messo nelle condizioni di conoscere quali saranno le conseguenze della sua scelta. Si tratta di un criterio scelto sulla base della ragionevolezza».
  Ritiene che il ragionamento svolto dal Ministro possa valere per il patteggiamento relativo a condanne inferiori a due anni, ma non anche per il cosiddetto patteggiamento allargato, in quanto in tal caso saranno applicabili anche delle pene accessorie della cui applicazione non è dato di conoscere da parte dell'imputato nel momento in cui decide di chiedere il patteggiamento.
  Si sono volute specificamente riportare le dichiarazioni del ministro in quanto si tratta di un passaggio delicato dello schema di decreto, i quanto rimane comunque il fatto che la delega sul punto è silente. Ora occorre stabilire se questo silenzio sia il risultato di una scelta (poco importa ai fini dell'esercizio della delega quanto consapevole) del legislatore delegante, nel qual caso la norma transitoria sarebbe un eccesso di delega, salvo il caso in caso in sia riconducibile a principi costituzionali, nel qual caso non rincorerebbe alcun eccesso di delega.
  Al comma 2, si prevede l'estensione della disciplina procedurale recata dal presente testo unico con riferimento all'accertamento dell'incandidabilità, preesistente o sopravvenuta, anche alle incandidabilità, non derivanti da sentenza penale di condanna, disciplinate dagli articoli 143, comma 11, e 248, comma 5, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 e che, per carenza di delega, rimangono nell'originaria sede normativa. Si tratta, in particolare dell'incandidabilità per gli amministratori responsabili di condotte che hanno dato causa allo scioglimento per infiltrazioni mafiose, limitate alle elezioni regionali e locali ed al primo turno elettorale successivo allo scioglimento stesso, nonché dell'incandidabilità ad ogni livello di governo, per un periodo di dieci anni, dei sindaci e dei presidenti di provincia riconosciuti dalla Corte dei Conti, anche in primo grado, responsabili di aver contribuito o determinato il dissesto finanziario dell'ente. In merito a quest'ultima disposizione richiama le considerazioni della relatrice per la I Commissione, che dichiara di condividere.

  Giulia BONGIORNO, presidente, secondo quanto stabilito nell'ambito della riunione congiunta degli Uffici di Presidenza, integrati dai rappresentanti dei gruppi, svoltasi prima della seduta, sospende la seduta per consentire ai gruppi di determinare, tenendo conto anche della complessità del testo secondo quanto emerso dalle relazioni appena svolte, i tempi d'esame del provvedimento.
  Avverte che la seduta riprenderà al termine della riunione congiunta degli Uffici di Presidenza, integrati dai rappresentanti dei gruppi.

  La seduta sospesa alle 12.40, riprende alle 12.50.

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  Roberto ZACCARIA (PD) intende soffermarsi sui profili di costituzionalità del provvedimento in esame. Prende atto di quanto evidenziato dalla collega Santelli nella propria relazione illustrativa al riguardo ma intende ricordare come, ad avviso della giurisprudenza costituzionale, la categoria della incandidabilità è riconducibile a quella più ampia dell'ineleggibilità, della quale costituisce una particolare specie, che incide sulla costituzione degli organi.
  La Corte Costituzionale ha dunque evidenziato la necessità di tre elementi essenziali: in primo luogo, le cause di ineleggibilità devono essere di stretta interpretazione, tenendo conto che l'articolo 51 della Costituzione assicura, in via generale, il diritto di elettorato passivo senza porre discriminazioni sostanziali tra cittadini (sentenze n. 25 del 2008, n. 288 del 2007 e n. 235 del 1988). Le disposizioni in materia devono poi ispirarsi ai criteri di proporzionalità e di ragionevolezza essendo ammissibili solo in presenza di situazioni peculiari ed in ogni caso per motivi adeguati e ragionevoli, finalizzati alla tutela di un interesse generale. (sentenze n. 306 del 2003 e n. 132 del 2001).
  Alla luce di tali elementi, ritiene che vadano valutati i profili problematici testè evidenziati dalla relatrice della I Commissione.
  Riguardo alle singole osservazioni evidenziate dalla relatrice, richiama in primo luogo la questione che attiene all'articolo 1, in cui una delle ipotesi previste è quella di condanna a pena detentiva superiore a due anni di reclusione per i delitti non colposi – consumati o tentati – per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni. Al riguardo, è stato detto che la delega prevede che non siano temporaneamente candidabili a deputati o a senatori coloro che abbiano riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per altri delitti – rispetto a quelli dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione – per i quali la legge preveda una pena detentiva superiore nel massimo a tre anni. Il Governo ha attuato questo principio prevedendo l'incandidabilità in caso di condanna per «delitti per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a 4 anni».
  A suo avviso, va evidenziato in proposito come vi sia stata un'attuazione del Governo in ogni caso restrittiva, che circoscrive le fattispecie e che non va in alcun modo oltre il perimetro fissato dalla legge delega, in piena sintonia con i requisiti individuati dalla giurisprudenza costituzionale testè richiamata.
  Riguardo alla questione sollevata dalla relatrice per la I Commissione con riferimento all'articolo 2, rileva come la previsione dell'accertamento d'ufficio – quale regola generale – fa comunque intendere che in capo ai soggetti in questione vi sono tutti gli strumenti per procedere all'accertamento della condanna. Si può al massimo chiedere di chiarire ulteriormente quali siano gli atti e i documenti che possono essere considerati attendibili ai fini dell'accertamento della sussistenza di una causa di incandidabilità, come prospettato dalla collega Santelli, ma ogni ulteriore rilievo sarebbe a suo avviso fragile essendo il testo comunque chiaro nelle disposizioni sostanziali.
  Riguardo alla disciplina l'incandidabilità sopravvenuta, ricorda come nel corso della XV legislatura la I Commissione abbia esaminato a lungo i progetti di legge in materia di conflitto di interessi e già in tale sede era emerso con chiarezza come debba agire l'organo parlamentare secondo le proprie regole, come afferma con chiarezza l'articolo 66 della Costituzione. Vi è quindi il massimo della garanzia e non elementi di debolezza.
  Con riferimento al rilievo della relatrice Santelli rispetto al fatto che sarebbe stato più opportuno procedere ad un elenco dei reati specifici, intende ricordare come più volte sia stata sottolineata l'importanza di individuare tipologie astratte, categorie generali, che consentono, in quanto tali, di assicurare una maggiore certezza.
  Infine, per quanto attiene ai rilievi che investono l'articolo 13, che riguarda la durata dell'incandidabilità, ritiene che sia stato pienamente applicato il principio di Pag. 22proporzionalità richiesto dalla Corte Costituzionale, prevedendo una distinzione calibrata e pienamente equilibrata.
  Evidenzia quindi come, nel complesso, il provvedimento in esame risulti rispondente rispetto alle previsioni della legge delega, diversamente da quanto avvenuto in altre occasioni. L'impianto è dunque solido, fermo restando che le Commissioni potranno richiamare l'attenzione del Governo su alcune questioni, più di dettaglio.

  Pierluigi MANTINI (UdCpTP) condivide le affermazioni del collega Zaccaria in merito alla costituzionalità dello schema di decreto rispetto ai principi di delega.
  Desidera fare due osservazioni. Per prima cosa rileva come l'ordinamento disegnato dallo schema di decreto disciplini più severamente di quanto è previsto per il Parlamento l'accesso alle cariche elettive nelle regioni e negli enti locali. È mantenuta, infatti, la norma della legge n. 55 del 1990 che dispone l'incandidabilità per coloro che sono stati condannati a una pena detentiva complessivamente superiore a sei mesi per reati contro la pubblica amministrazione. Se si vuole avanzare un rilievo di costituzionalità, si può quindi forse farlo con riferimento all'articolo 114 della Costituzione che mette sullo stesso piano Stato, regioni ed enti locali; di conseguenza, si può rilevare nello schema una diversità di trattamento nell'applicazione dell'articolo 51 della Costituzione in materia di accesso alle cariche elettive.
  Si può quasi affermare, quindi, che la legge attualmente vigente per regioni ed enti locali è più severa rispetto alle disposizioni dello schema di decreto in esame, senza arrivare a definire tale schema un provvedimento «buonista». Non comprende perciò le lamentele contro norme eccessivamente stringenti contenute nello schema di decreto in esame, perché non è così.
  Con riguardo al problema della decadenza dalla carica di parlamentare, osserva che non si tratta di una decadenza tout court ma di un'ipotesi che è lasciata alla valutazione delle Camere, superando in tal modo una possibile obiezione.
  Conclude con l'evidenziare che si possono senz'altro avanzare rilievi allo schema di decreto, ma è importante trovare una convergenza su un parere su una materia così delicata, dando così prova sia di comprensione della situazione attuale che di eticità.

  Enrico COSTA (PdL) preannuncia di svolgere un breve intervento che tiene conto in particolare delle relazioni svolte, riservandosi di intervenire in un altro momento dell'iter all'esito del dibattito che nel frattempo si sarà sviluppato.
  A suo parere la questione maggiormente rilevante sottolineata dalla relatrice, sia pure senza trarre le medesime condizioni, si riferisce all'attuazione del principio di delega relativo ai reati diversi da quelli richiamati dall'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale e dai reati contro la pubblica amministrazione. Si riferisce in particolare alla cosiddetta terza categoria dei delitti la cui condanna comporta l'incandidabilità. Ricorda che la legge delega ha fatto espressamente riferimento ad altri delitti puniti con la pena massima non inferiore a tre anni. Secondo alcuni in questo caso vi sarebbe un eccesso di delega da parte del legislatore delegato, il quale avrebbe ristretto il novero dei delitti dai quali scaturirebbe l'incandidabilità ai delitti puniti con la pena massima superiore a quattro anni. A suo parere tale interpretazione della delega non è corretta in quanto il principio dettato dal legislatore delegante è volto ad indicare al Governo la necessità di individuare reati specifici, la cui pena massima non può comunque essere inferiore a tre anni. Nel caso di specie il Governo ha effettuato la selezione utilizzando un parametro che, a suo parere, non è coerente con i principi di delega, in quanto ha fatto riferimento alla gravità del reato desumibile dall'entità della pena massima prevista dalla legge, la quale è stata a sua volta individuata in quattro anni, considerando reati pericolosi socialmente quelli per i quali è applicabile la misura cautelare personale. Pag. 23
  A suo parere il Governo avrebbe dovuto elencare i reati appartenenti alla cosiddetta terza categoria, tenendo conto che deve trattarsi comunque di reati incompatibili con l'esercizio delle funzioni pubbliche elettive. Nel caso in cui si dovesse ritenere impraticabile la via della elencazione specifica dei reati, si dovrebbe trovare un parametro dal quale sia desumibile la predetta incompatibilità, come ad esempio l'applicazione della aggravante relativa all'aver commesso il fatto con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o ad un pubblico servizio (articolo 61, comma 9 del codice penale).
  Per quanto attiene ai tempi di esame del provvedimento, ritiene che l'obiettivo delle Commissioni debba essere quello di approfondire tutte le questioni relative allo schema di decreto per comunque esprimere il parere in tempo utile in vista delle prossime scadenze elettorali. La circostanza che il suo gruppo intende esprimere un parere realmente costruttivo affinché possa essere emanato un decreto legislativo che non sia incongruo in alcuni suoi punti, che peraltro incidono direttamente sul diritto di elettorato passivo costituzionalmente garantito, non può essere letta come sintomo di un atteggiamento dilatorio, considerato che si intende esprimere il parere in maniera tale che la nuova disciplina delle incompatibilità possa essere applicata per le prossime elezioni.

  Jole SANTELLI (PdL), relatore per la I Commissione, prende atto di quanto emerso dal dibattito odierno evidenziando come – è noto a tutti – i tempi per approfondire ed esaminare le diverse questioni sono alquanto ristretti. Peraltro, vi è il dovere da parte delle Commissioni di porre la massima attenzione nella predisposizione del parere di competenza, approfondendo tutti i rilievi che saranno sollevati nel dibattito, che il Governo poi valuterà.

  Giulia BONGIORNO, presidente, dopo aver ricordato che, secondo quanto stabilito all'esito della riunione congiunta degli Uffici di Presidenza, integrati dai rappresentanti dei gruppi, nella seduta di domani i relatori presenteranno una proposta di parere, dichiara di essere sicura che le Commissioni riunite I e II siano in grado di esprimere il parere in tempi celeri proprio in ragione della competenza tecnico-giuridica dei propri componenti. Nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame alla seduta che si svolgerà domani.

  La seduta termina alle 13.30.