CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 8 settembre 2011
528.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Finanze (VI)
COMUNICATO
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SEDE CONSULTIVA

Giovedì 8 settembre 2011. - Presidenza del vicepresidente Cosimo VENTUCCI. - Interviene il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze Bruno Cesario.

La seduta comincia alle 15.50.

DL 138/11: Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo. Delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari.
C. 4612 Governo, approvato dal Senato.
(Parere alla V Commissione).
(Esame, ai sensi dell'articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria, e conclusione - Parere favorevole).

La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

Cosimo VENTUCCI, presidente, rileva come la Commissione sia chiamata ad esaminare in sede consultiva, ai sensi del'articolo 73, comma 1-bis del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria, ai fini dell'espressione del parere alla Commissione Bilancio, il disegno di legge C. 4612, approvato dal Senato, di conversione del decreto-legge n. 138 del 2011, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo. Delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari.
A tale riguardo informa che la discussione sul provvedimento in Assemblea sarà avviata alle ore 15 di lunedì 12 settembre prossimo. In tale contesto evidenzia pertanto come, anche sulla base di quanto convenuto in occasione della riunione di ieri dell'ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, della Commissione, l'esame in sede consultiva sul provvedimento si concentrerà nella seduta odierna.

Gianluca FORCOLIN (LNP), relatore, illustrando il contenuto del provvedimento, evidenzia come esso tocchi un ambito molto ampio di materie e sia stato modificato in termini significativi nel corso dell'esame al Senato.
Esso si articola in quattro Titoli, recanti, rispettivamente: disposizioni per la stabilizzazione finanziaria (Titolo I); liberalizzazioni,

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privatizzazioni ed altre misure per lo sviluppo (Titolo II); misure a sostegno dell'occupazione (Titolo III); misure di riduzione degli apparati istituzionali (Titolo IV).
Il provvedimento è finalizzato, nel suo complesso, a fronteggiare la crisi economica internazionale e a realizzare, nel quadro delle attuali gravi turbolenze sui mercati dei titoli del debito pubblico, gli obiettivi di stabilizzazione della finanza pubblica concordati in sede europea, rafforzando, per gli anni 2012 e 2013, le misure di riduzione dell'indebitamento netto già adottate con il decreto-legge n. 98 del 2011, consentendo in tal modo di giungere al pareggio di bilancio già nel 2013.
Al contempo il decreto-legge reca una serie di norme, principalmente orientate dai principi di liberalizzazione, di semplificazione e di apertura concorrenziale dei mercati, volte a facilitare il rilancio dell'attività economica, nella consapevolezza che, oltre ai positivi effetti costituii in sé da una maggiore crescita del PIL, il ripristino di più favorevoli condizioni di sviluppo possa costituire un elemento decisivo per la stessa stabilizzazione dei conti pubblici.
Per quanto riguarda specificamente gli ambiti di competenza della Commissione Finanze, segnala in primo luogo l'articolo 1, al comma 6, il quale modifica i commi 1-ter e 1-quater dell'articolo 40 del decreto-legge n. 98 del 2011 anticipando, rispettivamente, al 30 settembre 2012 e a decorrere dal 2013 gli effetti finanziari ivi previsti.
Al riguardo ricorda che il predetto comma 1-ter dell'articolo 40 del decreto-legge n. 98 ha disposto la riduzione del 5 per cento nel 2013 e del 20 per cento a decorrere dal 2014 dei regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale riportati nell'allegato C-bis al decreto-legge n. 98.
Per i casi nei quali tale riduzione non sia suscettibile di diretta ed immediata applicazione, con uno o più decreti del Ministro dell'economia e delle finanze sono stabilite le modalità tecniche per l'attuazione con riferimento ai singoli regimi interessati.
Il comma 6 aggiunge, inoltre, al citato comma 1-ter una sorta di clausola di salvaguardia, ai sensi della quale, al fine di garantire i predetti effetti finanziari, in alternativa, anche parziale, alla riduzioni citate, può essere disposta, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, la rimodulazione delle aliquote delle imposte indirette, inclusa l'accisa.
Il comma 10, modificando l'articolo 6, commi 1 e 2, del decreto legislativo n. 68 del 2011, anticipa all'anno 2012 la possibilità per le regioni di modificare l'aliquota di base dell'addizionale regionale all'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF).
Per effetto delle modifiche apportate all'articolo 6, comma 1, le regioni a statuto ordinario possono con propria legge aumentare o diminuire l'aliquota dell'addizionale regionale all'IRPEF di base, a decorrere dal 2012 (in luogo del 2013).
La novella rimodula inoltre gli incrementi che possono essere apportati, nel tempo, alle aliquote di base. In particolare, l'incremento non può essere superiore:
a) allo 0,5 per cento, per gli anni 2012 e 2013 (anziché per il solo 2013);
b) all'1,1 per cento, per l'anno 2014;
c) al 2,1 per cento, a decorrere dall'anno 2015.

Il comma 11, primo periodo, prevede la cessazione, dal 2012, della sospensione (prevista dall'articolo 1, comma 7, del decreto-legge n. 93 del 2008 il quale, a decorrere dal 29 maggio 2008) del potere, in capo ai comuni, di deliberare aumenti dell'aliquota dell'addizionale comunale all'IRPEF.
Il secondo periodo del comma abroga inoltre l'articolo 5 del decreto legislativo n. 23 del 2011, in materia di federalismo fiscale municipale, il quale prevedeva la graduale cessazione del blocco degli aumenti

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dell'addizionale comunale IRPEF, facendo salve tuttavia le deliberazioni dei comuni già adottate nella vigenza dello stesso articolo 5.
Il comma 12 prevede, ai primi due periodi, la possibilità che l'importo della manovra a carico degli enti territoriali - prevista dal comma 8 dell'articolo in esame per l'anno 2012 (per 6 miliardi di euro per l'anno 2012 e 3,2 miliardi per l'anno 2013, ripartiti in maniera differenziata tra regioni a statuto ordinario, regioni a statuto speciale e province autonome di Trento e di Bolzano, province e comuni con popolazione superiore ai 5.000 abitanti) - possa essere complessivamente ridotto di un importo che, a seguito delle modifiche apportate al provvedimento durante l'esame al Senato, può arrivare alla totalità delle maggiori entrate previste dall'articolo 7, comma 6, del decreto-legge (il quale prevede l'estensione e l'innalzamento temporaneo dell'aliquota dell'addizionale IRES per i soggetti operanti nel settore energetico, introdotta dall'articolo 81, commi da 16 a 18, del decreto-legge n. 112 del 2008).
Detta riduzione verrà ripartita tra i comparti interessati con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con la Conferenza unificata.
I periodi dal terzo al quinto del comma 12 recano invece modifiche all'imposta provinciale di trascrizione.
Tali disposizioni in sostanza anticipano alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto gli effetti dell'articolo 17, comma 6, del decreto legislativo n. 68 del 2011 (in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di costi e fabbisogni standard nel settore sanitario), semplificando gli adempimenti a carico del legislatore, il quale affidava infatti a un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze la modifica delle misure dell'imposta provinciale di trascrizione, in modo tale da sopprimere la previsione specifica relativa alla tariffa per gli atti soggetti a IVA e, conseguentemente, rideterminare la relativa misura dell'imposta secondo i criteri vigenti per gli atti non soggetti ad IVA.
Per effetto delle modifiche in commento, anche in assenza di decreto ministeriale, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge la parte della tariffa relativa agli atti soggetti a IVA verrà soppressa. Ciò comporta - come precisato dalla relazione tecnica - che la tassazione degli atti soggetti ad IVA avverrà, anziché secondo una tariffa in somma fissa (150,81 euro), in misura modulata sulla base delle caratteristiche di potenza e portata dei veicoli soggetti ad immatricolazione.
I commi da 12-bis a 12-quater, inseriti durante l'esame del provvedimento al Senato, recano disposizioni volte complessivamente ad incentivare la partecipazione dei comuni all'attività di accertamento tributario.
In particolare, il comma 12-bis attribuisce ai comuni, per il triennio 2012-2014, l'intero ammontare del maggior gettito ottenuto a seguito dell'intervento degli stessi nell'attività di accertamento, riconosciuta agli enti locali ai sensi dell'articolo 1, comma 1, del decreto-legge n. 203 del 2005, anche se si tratta di somme riscosse a titolo non definitivo e fermo restando il successivo recupero delle stesse ove rimborsate ai contribuenti a qualunque titolo.
Al riguardo ricorda che tale quota è stata recentemente innalzata (dal 33 al 50 per cento) dall'articolo 2, comma 10, lettera b) del decreto legislativo n. 23 del 2011, in materia di federalismo municipale.
Il comma 12-ter, integrando il dettato dell'articolo 44 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, modifica le norme che regolano le modalità di partecipazione dei comuni all'accertamento delle imposte sui redditi, al fine di rafforzare gli strumenti a disposizione dei predetti enti, in particolare i poteri dei Consigli tributari.
Nel dettaglio, la lettera a) del comma 12-ter novella il secondo comma dell'articolo 44, prevedendo che l'Agenzia delle Entrate deve mettere a disposizione anche dei Consigli tributari, e non solo dei comuni, le dichiarazioni delle persone fisiche contribuenti in essi residenti. Inoltre, gli

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Uffici dell'Agenzia delle Entrate, prima della emissione degli avvisi di accertamento sintetico (ai sensi dell'articolo 38, quarto comma e seguenti del medesimo decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973), inviano una segnalazione ai Consigli tributari, oltre che ai comuni, di domicilio fiscale dei soggetti passivi.
La lettera b) novella il terzo comma dell'articolo 44, prevedendo che anche il Consiglio tributario, oltre al comune di domicilio fiscale del contribuente e il consorzio cui partecipa l'ente territoriale, è tenuto a segnalare all'Amministrazione finanziaria qualsiasi integrazione degli elementi contenuti nelle dichiarazioni presentate dalle persone fisiche, indicando dati, fatti ed elementi rilevanti e fornendo ogni idonea documentazione atta a comprovarla.
La lettera c) novella il quarto comma dell'articolo 44, prevedendo che anche il Consiglio tributario, oltre che il comune, con riferimento agli accertamenti segnalati dall'Agenzia delle entrate, comunichi - entro sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione - ogni elemento in suo possesso utile alla determinazione del reddito complessivo.
La lettera d) modifica il quinto comma dell'articolo 44, attribuendo anche al Consiglio tributario, e non al solo comune, il potere di richiedere dati e notizie alle amministrazioni ed enti pubblici (i quali hanno l'obbligo di rispondere gratuitamente) per i predetti adempimenti di segnalazione e comunicazione nei confronti dell'Agenzia delle Entrate previsti dal terzo e quarto comma dell'articolo 44.
La lettera e) aggiunge un comma alla fine dell'articolo 44, con il quale si demanda a un decreto del presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con la Conferenza Stato-Città ed autonomie locali, la determinazione di criteri e modalità per la pubblicazione, sul sito del comune, dei dati aggregati relativi alle dichiarazioni dei contribuenti residenti, anche con riferimento a determinate categorie di contribuenti ovvero di reddito.
Con il medesimo decreto sono altresì individuati gli ulteriori dati che l'Agenzia delle entrate mette a disposizione dei Comuni e dei Consigli tributari per favorire la partecipazione all'attività di accertamento, nonché le modalità di trasmissione idonee a garantire la necessaria riservatezza.
Il comma 12-quater condiziona l'applicazione di alcune disposizioni che attribuiscono risorse ai Comuni all'istituzione dei Consigli tributari entro il 31 dicembre 2011.
Si tratta, nel dettaglio:
delle disposizioni di cui al comma 12, primo periodo, del decreto-legge, le quali prevedono la possibilità di ridurre le misure previste a carico degli enti territoriali dal nuovo patto di stabilità interno, per effetto delle maggiori entrate recate dalle modifiche alla disciplina dell'addizionale IRES per i soggetti operanti nel settore energetico, di cui all'articolo 7 del provvedimento in esame;
delle norme di cui al sopra illustrato comma 12-bis, le quali attribuiscono ai comuni, per il triennio 2012-2014, l'intero ammontare del maggior gettito ottenuto a seguito dell'intervento degli stessi nell'attività di accertamento, in luogo del cinquanta per cento delle somme riscosse.

La maggior parte delle disposizioni rilevanti per i profili di competenza della Commissione Finanze sono contenuti nell'articolo 2.
I commi 1 e 2 intervengono sulla disciplina del cosiddetto «contributo di solidarietà».
Il comma 1, modificato nel corso dell'esame del provvedimento al Senato, conferma l'applicabilità del cosiddetto «contributo di solidarietà» sugli emolumenti dei dipendenti pubblici dall'articolo 2, comma 9 del decreto-legge n. 78 del 2010 e sui trattamenti pensionistici dall'articolo 18, comma 22-bis, del decreto-legge n. 98 del 2011.
Il comma 2, anch'esso modificato dal Senato, istituisce, a decorrere dal 1o gennaio 2011 e fino al 31 dicembre 2013, un

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contributo di solidarietà sul reddito complessivo determinato a fini IRPEF di importo superiore a 300.000 euro lordi annui, di ammontare pari al 3 per cento della parte eccedente il predetto importo.
Ai fini della verifica del superamento del predetto limite di 300.000 euro concorrono anche i redditi da lavoro dipendente dei dipendenti pubblici e i trattamenti pensionistici di cui, rispettivamente, ai richiamati articolo 9, comma 2, del decreto-legge n. 78 del 2010 e articolo 18, comma 22-bis, del decreto-legge n.98 del 2011, ancorché al lordo delle riduzioni e del contributo perequativo ivi previsti.
Ai fini del superamento della predetta soglia, i redditi dei dipendenti pubblici e i trattamenti pensionistici già assoggettati a riduzione ai sensi del decreto-legge n. 78 e del decreto-legge n. 98 saranno valutati nel computo al lordo delle riduzioni.
Tuttavia, la norma precisa che il contributo di solidarietà non colpirà la parte dei redditi da lavoro dipendente di natura pubblica o da pensione già soggetta alle precedenti riduzioni, ma solo la parte dei redditi avente natura diversa.
Si stabilisce inoltre che il contributo di solidarietà è deducibile dal reddito complessivo e che, per quanto riguarda l'accertamento, la riscossione e il contenzioso riguardante il contributo di solidarietà, si applicano le vigenti norme in materia di imposte sui redditi.
La norma demanda a un decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare entro il 30 settembre 2011, le modalità di attuazione delle disposizioni, garantendo l'assenza di oneri per il bilancio dello Stato e assicurando il coordinamento tra le disposizioni contenute nel presente articolo e quelle, sopra citate, in materia di riduzione degli emolumenti dei dipendenti pubblici e dei trattamenti pensionistici.
Si affida altresì a un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministero dell'economia e delle finanze, la possibilità di prorogare l'efficacia delle disposizioni di cui al comma 1-bis anche per gli anni successivi al 2013, fino al raggiungimento del pareggio di bilancio.
I commi da 2-bis a 2-quater, introdotti nel corso dell'esame al Senato, provvedono ad aumentare dal 20 al 21 per cento della base imponibile l'aliquota ordinaria dell'imposta sul valore aggiunto (IVA).
In particolare, la lettera a) sostituisce il primo comma dell'articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, stabilendo la nuova misura dell'aliquota dell'imposta al 21 per cento.
La lettera b), mediante la sostituzione del comma 2 dell'articolo 27 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, reca le modalità di calcolo per i contribuenti non soggetti all'obbligo di emettere fattura ai sensi dell'articolo 22 del medesimo decreto del Presidente della Repubblica n. 633, vale a dire commercianti al minuto ed esercenti attività assimilate.
Ai sensi del comma 2-ter, la nuova disciplina si applica alle operazioni effettuate a partire dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge.
In base al comma 2-quater sono escluse dall'applicazione dell'aumento dell'aliquota IVA le operazioni effettuate nei confronti dello Stato e degli enti ed istituti indicati all'articolo 6, quinto comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 633, per le quali fino al giorno precedente la data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto sia stata emessa e registrata la fattura, sebbene al medesimo giorno il corrispettivo non sia stato pagato.
Il comma 3 attribuisce all'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (AAMS) un'ampia potestà nell'emanazione di disposizioni in materia di giochi pubblici, dirette ad assicurare maggiori entrate; viene altresì attribuito al Direttore generale dell'AAMS il potere di proporre al Ministro dell'economia e delle finanze l'aumento dell'aliquota di base dell'imposta di consumo sulle sigarette.
In dettaglio, il primo periodo del comma prevede che, entro il 12 ottobre

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2011 (60 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto), l'AAMS possa, con propri decreti dirigenziali, emanare tutte le disposizioni in materia di giochi pubblici utili al fine di assicurare maggiori entrate.
A titolo esemplificativo la norma elenca una serie di ambiti in cui con i decreti emanati dall'AAMS sarà possibile dettare disposizioni, ossia:
l'introduzione di nuovi giochi;
l'indizione di nuove lotterie, anche ad estrazione istantanea;
l'adozione di nuove modalità di gioco del Lotto;
l'adozione di nuove modalità dei giochi numerici a totalizzazione nazionale;
la variazione dell'assegnazione della percentuale della posta di gioco a montepremi ovvero a vincite in denaro;
la variazione della misura del prelievo erariale unico (PREU);
la variazione della percentuale del compenso per le attività di gestione ovvero per quella dei punti vendita.

Il secondo periodo attribuisce invece al Direttore generale dell'AAMS il potere di proporre al Ministro dell'economia e delle finanze di disporre con propri decreti, entro il 31 dicembre 2011, l'aumento dell'aliquota di base dell'imposta di consumo sulle sigarette prevista dall'allegato I al decreto legislativo n. 504 del 1995. Tale proposta di aumento dovrà tenere conto anche dei provvedimenti di variazione delle tariffe dei prezzi di vendita al pubblico dei tabacchi lavorati eventualmente intervenuti.
L'ultimo periodo del comma quantifica le maggiori entrate che dovranno provenire dall'attuazione delle disposizioni sopra introdotte in 1.500 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2012, specificando altresì la loro integrale attribuzione al bilancio dello Stato.
Il comma 4 modifica l'articolo 49 del decreto legislativo n. 231 del 2007, riducendo da 5.000 a 2.500 euro la soglia massima per l'utilizzo del contante e dei titoli al portatore.
Al riguardo ricorda che la norma originaria dell'articolo 49 del decreto legislativo n. 231 del 2007 prevedeva quale limite di importo all'uso del contante - finalizzato al contrasto del riciclaggio e del terrorismo - la somma di 5.000 euro. Tale limite era stato elevato a 12.500 euro dall'articolo 32 del decreto legge n. 112 del 2009 e successivamente riportato a 5.000 euro dall'articolo 20 del decreto legge n. 78 del 2010.
Il comma 4-bis, introdotto nel corso dell'esame al Senato, prevede che le sanzioni per le violazioni delle disposizioni in tema di divieto dell'utilizzo del denaro contante e dei titoli al portatore (previste dall'articolo 58 del decreto legislativo n. 231 del 2007) non si applichino alle violazioni commesse dal 13 agosto (giorno di entrata in vigore del decreto-legge) al 31 agosto 2011 oltre la soglia massima modificata dal comma 4 (2.500 euro) ed entro la soglia precedentemente in vigore (5.000 euro).
La norma dispone, inoltre, che dal 1o settembre 2011 le sanzioni relative alle violazione dei limiti all'uso del contante e dei titoli al portatore, previste dal predetto articolo 58 del decreto legislativo n. 231, sono applicate attraverso gli uffici territoriali del Ministero dell'economia e delle finanze.
Sono altresì abrogati i commi 18 e 19 dell'articolo 49 del decreto legislativo n. 231, i quali prevedono limiti speciali al trasferimento di contante per il tramite di esercenti attività di prestazione di servizi di pagamento nella forma dell'incasso e trasferimento dei fondi nonché di agenti in attività finanziaria dei quali gli stessi esercenti si avvalgono (cosiddetti money transfer).
Il comma 5, aggiungendo due commi all'articolo 12 del decreto legislativo n. 471 del 1997, introduce una sanzione accessoria a carico dei professionisti iscritti ad albi ovvero ordini professionali ai quali siano state contestate reiterate violazioni dell'obbligo di emettere il documento certificativo

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dei corrispettivi, consistente nella sospensione dell'iscrizione all'albo o all'ordine.
Nel dettaglio, si dispone la sanzione accessoria della sospensione dell'iscrizione all'albo o all'ordine professionale, per un periodo da tre giorni ad un mese, ove al professionista siano contestate, nell'arco di un quinquennio, quattro distinte violazioni dell'obbligo di emettere il documento certificativo dei corrispettivi, compiute in giorni diversi.
La sanzione è inasprita in caso di recidiva: in tal caso è disposta per un periodo da quindici giorni a sei mesi.
In deroga al principio (sancito dall'articolo 19, comma 7, del decreto legislativo n. 472 del 1997) secondo cui le sanzioni accessorie sono eseguite quando il provvedimento di irrogazione è divenuto definitivo, il provvedimento di sospensione è immediatamente esecutivo e gli atti di sospensione sono comunicati all'ordine professionale ovvero al soggetto competente alla tenuta dell'albo affinché ne sia data pubblicazione sul relativo sito internet.
Si prevede inoltre che la sanzione accessoria della sospensione sia disposta nei confronti di tutti gli associati qualora le violazioni siano commesse nell'esercizio dell'attività professionale in forma associata.
I commi 5-bis e 5-ter, aggiunti nel corso dell'esame del provvedimento al Senato, prevedono la possibilità per l'Agenzia delle entrate e le società del gruppo Equitalia e di Riscossione Sicilia di intervenire coattivamente per il recupero delle somme non riscosse con i condoni e le sanatorie previsti dalla legge finanziaria 2003.
In dettaglio, il comma 5-bis stabilisce che l'Agenzia delle entrate e le società del gruppo Equitalia e di Riscossione Sicilia debbano avviare, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame, una ricognizione dei contribuenti che si sono avvalsi dei condoni e delle sanatorie di cui alla legge n. 289 del 2002. Tale ricognizione è finalizzata al recupero al bilancio dello Stato delle somme dichiarate e non versate dai suddetti contribuenti, anche dopo l'iscrizione a ruolo e la notifica delle relative cartelle di pagamento.
Nei trenta giorni successivi all'avvio della suddetta ricognizione, le società citate sono tenute ad avviare nei confronti dei contribuenti interessati ogni azione coattiva necessaria per il recupero integrale delle somme dovute e non corrisposte, maggiorate degli interessi maturati.
L'azione coattiva può anche consistere nell'invio di un'intimazione a pagare quanto concordato e non versato alla prevista scadenza entro il termine inderogabile del 31 dicembre 2011.
Il comma 5-ter disciplina invece l'ipotesi del mancato pagamento delle somme dovute e iscritte a ruolo entro il suddetto termine del 31 dicembre 2011.
In tal caso è prevista:
l'applicazione di una sanzione pari al 50 per cento delle predette somme;
la sottoposizione a controllo, da parte dell'Agenzia delle entrate e della Guardia di Finanza entro il 31 dicembre 2012, della posizione del contribuente relativa a tutti i periodi di imposta successivi a quelli condonati, per i quali è ancora in corso il termine per l'accertamento. Tale controllo si estende, peraltro, anche alle attività svolte dal contribuente con identificativo fiscale diverso da quello indicato nelle dichiarazioni concernenti il condono.

Si prevede altresì la proroga di un anno dei termini pendenti per l'accertamento ai fini IVA.
I commi da 6 a 12 dell'articolo 2 introducono, a decorrere dal 1o gennaio 2012, una revisione del sistema impositivo dei redditi di natura finanziaria al fine di unificare le attuali aliquote del 12,50 per cento e del 27 per cento, previste sui redditi di capitale e sui redditi diversi, ad un livello intermedio fissato al 20 per cento. Restano esclusi dall'ambito di applicazione della riforma, tra gli altri, i titoli di Stato ed equiparati, i titoli emessi da altri Stati (Paesi cosiddetti white list, vale a dire i Paesi che consentono un adeguato scambio di informazioni), i titoli

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di risparmio per l'economia meridionale, i piani di risparmio a lungo termine e le forme di previdenza complementare.
Più in dettaglio, il comma 6 fissa nella misura del 20 per cento l'ammontare delle ritenute e delle imposte sostitutive, ovunque ricorrano:
sugli interessi, premi e ogni altro provento di cui all'articolo 44 del decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986 (TUIR);
sui redditi diversi di cui all'articolo 67, comma 1, lettere da c-bis a c-quinquies del TUIR (plusvalenze).

Al riguardo ricorda che il previgente regime di tassazione delle cosiddette rendite finanziarie prevede l'applicazione di due aliquote impositive - pari al 12,50 per cento ed al 27 per cento - in relazione alle diverse tipologie di strumenti finanziari.
In particolare, i principali proventi sottoposti ad aliquota del 27 per cento sono i seguenti:
interessi maturati sui depositi bancari, postali e da certificati di deposito;
accettazioni bancarie;
titoli di emittenti privati con durata inferiore ai 18 mesi;
obbligazioni con rendimenti non allineati ai parametri di legge;
titoli atipici.

Viceversa i principali proventi sottoposti ad aliquota del 12,50 per cento sono riferiti ai seguenti strumenti:
titoli pubblici;
titoli obbligazionari o similari emessi da banche ed imprese private con durata superiore ai 18 mesi;
cambiali ed altri redditi di capitale;
proventi derivanti da partecipazione a fondi d'investimento e gestioni patrimoniali;
plusvalenze derivanti da partecipazioni azionarie non qualificate;
proventi derivanti da azioni e titoli similari.

Al riguardo rammenta che il riordino della tassazione dei redditi di natura finanziaria è previsto nel disegno di legge C. 4566, recante delega al Governo per la riforma fiscale e assistenziale, all'esame in sede referente da parte della Commissione.
Il comma 7 esclude dall'applicazione dell'aliquota del 20 per cento introdotta dal comma 6 le fattispecie ivi indicate nelle seguenti ipotesi:
a) obbligazioni e altri titoli di cui all'articolo 31 del decreto del Presidente della Repubblica n. 601 del 1973 in materia di agevolazioni tributarie ed equiparati (interessi, premi e altri frutti dei titoli del debito pubblico, dei buoni postali di risparmio, delle cartelle di credito comunale e provinciale emesse dalla Cassa depositi e prestiti e delle altre obbligazioni e titoli similari emessi da amministrazioni statali, anche con ordinamento autonomo, da regioni, province e comuni e da enti pubblici istituiti esclusivamente per l'adempimento di funzioni statali o per l'esercizio diretto di servizi pubblici in regime di monopolio);
b) obbligazioni emesse da altri Stati inclusi nella lista di cui al decreto emanato ai sensi dell'articolo 168-bis del TUIR (cosiddetti Paesi white list);
c) titoli di risparmio per l'economia meridionale di cui all'articolo 8, comma 4, del decreto-legge n. 70 del 2011;
d) piani di risparmio a lungo termine appositamente istituiti.

Al riguardo segnala che la possibilità di applicare ai piani di risparmio a lungo termine un'aliquota inferiore rispetto a quella del 20 per cento stabilita per le altre rendite finanziarie è prevista anche dal citato disegno di legge C. 4566, recante delega per la riforma fiscale.
Il comma 8 individua ulteriori ipotesi di esclusione. Si tratta in particolare delle seguenti attività finanziarie:

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a) gli interessi di cui all'articolo 26-quater, comma 8-bis, del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, corrisposti a soggetti non residenti (cui si applica una ritenuta del 5 per cento) a condizione che essi siano destinati a finanziare il pagamento di interessi e altri proventi su prestiti obbligazionari emessi dai percettori: a) negoziati in mercati regolamentati degli Stati membri dell'Unione europea e degli Stati aderenti all'Accordo sullo spazio economico europeo che sono inclusi nella cosiddetta white list; b) garantiti dai soggetti che effettuano le ritenute alla fonte che corrispondono gli interessi ovvero dalla società capogruppo controllante ovvero da altra società controllata dalla stessa controllante;
b) gli utili di cui all'articolo 27, comma 3-ter, del medesimo decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973 (ai quali si applica una ritenuta a titolo di imposta dell'1,375 per cento) corrisposti alle società e agli enti soggetti ad un'imposta sul reddito delle società negli Stati membri dell'Unione europea e negli Stati aderenti all'Accordo sullo spazio economico europeo che sono inclusi nella cosiddetta white list, ed ivi residenti, in relazione alle partecipazioni e agli strumenti finanziari emessi da società ed enti la cui remunerazione è costituita totalmente dalla partecipazione ai risultati economici della società emittente o di altre società appartenenti allo stesso gruppo o dell'affare in relazione al quale sono stati emessi i titoli e gli strumenti finanziari e ai contratti di associazione in partecipazione, non relativi a stabili organizzazioni nel territorio dello Stato;
c) il risultato netto maturato delle forme di previdenza complementare disciplinate dal decreto legislativo n. 252 del 2005 (ai quali si applica un'imposta sostitutiva dell'11 per cento).

I commi da 9 a 12 disciplinano la decorrenza dell'applicazione della nuova aliquota.
In particolare, il comma 9 prevede che l'aliquota del 20 per cento si applichi agli interessi, ai premi e ad ogni altro provento di cui all'articolo 44 del TUIR, divenuti esigibili e ai redditi diversi realizzati a decorrere dal 1o gennaio 2012.
Per quanto concerne i dividendi e proventi ad essi assimilati, ai sensi del comma 10, l'aliquota del 20 per cento si applica a quelli percepiti dal 1o gennaio 2012.
Per quanto concerne invece le obbligazioni e i titoli similari di cui all'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo n. 239 del 1996, in base al comma 11 l'aliquota del 20 per cento si applica agli interessi, ai premi e ad ogni altro provento delle obbligazioni e titoli similari, ed equiparati, emessi in Italia, percepiti da soggetti residenti nel territorio dello Stato (di cui all'articolo 44 del TUIR) maturati a partire dal 1o gennaio 2012.
Ai sensi del comma 12, per quanto concerne le gestioni individuali di portafoglio, l'aliquota del 20 per cento si applica sui risultati maturati a partire dal 1o gennaio 2012.
I commi 12-bis e 12-ter, aggiunti in occasione dell'esame del provvedimento al Senato, recano alcune modifiche alla disciplina tributaria concernente gli interventi di recupero del patrimonio edilizio di cui all'articolo 1 della legge n. 449 del 1997.
In dettaglio, il comma 12-bis, tramite una novella all'articolo 1, comma 7, della predetta legge n. 449, interviene sulla disciplina relativa agli interventi di recupero del patrimonio edilizio nell'ipotesi di vendita dell'unità immobiliare sulla quale sono stati realizzati detti interventi.
Per effetto di tale modifica, nel caso di vendita le previste detrazioni possono essere utilizzate dal venditore, oppure essere trasferite per i rimanenti periodi di imposta all'acquirente persona fisica dell'unità immobiliare, laddove la disciplina vigente in materia stabilisce che le detrazioni non utilizzate in tutto o in parte dal venditore spettano per i rimanenti periodi di imposta all'acquirente persona fisica dell'unità immobiliare.
Coerentemente con tale modifica, il comma 12-ter novella invece l'articolo 2, comma 5, terzo periodo, della legge n. 289

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del 2002, al fine di prevedere che, in caso di trasferimento per atto tra vivi dell'unità immobiliare oggetto degli interventi di recupero del patrimonio edilizio, le detrazioni possono essere utilizzate dal venditore oppure essere trasferite all'acquirente persona fisica, laddove attualmente spettano all'acquirente persona fisica dell'unità immobiliare esclusivamente le detrazioni non utilizzate in tutto o in parte dal venditore.
I commi da 13 a 21 e 23 contengono una serie di norme di coordinamento rese necessarie dall'introduzione dell'aliquota unica e dirette, in estrema sintesi, a evitare la permanenza in vita di norme basate sulla coesistenza di aliquote differenziate, nonché ad apportare correzioni formali a riferimenti normativi non più attuali.
Più in dettaglio, il comma 13 novella gli articoli 26, 26-quinquies e 27 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973 in materia di accertamento delle imposte sui redditi.
Il predetto articolo 26, concernente le ritenute sugli interessi e sui redditi di capitale, viene modificato in più parti dalla lettera a) del comma. Anzitutto, al comma 1, viene previsto che i soggetti che hanno emesso obbligazioni, titoli similari e cambiali finanziarie, sono tenuti ad operare una ritenuta del 20 per cento, con obbligo di rivalsa, sugli interessi ed altri proventi corrisposti ai possessori.
A fini di coordinamento vengono di conseguenza soppressi tutti i successivi periodi dello stesso comma con i quali erano disciplinate le ipotesi di applicazione di altre aliquote (aliquota ridotta al 12,50 per cento per le obbligazioni e titoli similari, con scadenza non inferiore a diciotto mesi, e per le cambiali finanziarie, in luogo dell'aliquota del 27 per cento).
In secondo luogo vengono soppressi il secondo e terzo periodo del comma 3, i quali prevedono che, qualora il rimborso delle obbligazioni e titoli similari con scadenza non inferiore a diciotto mesi emessi da soggetti non residenti, abbia luogo prima di tale scadenza, è dovuta dai percipienti una somma pari al 20 per cento degli interessi e degli altri proventi maturati fino al momento dell'anticipato rimborso (somma prelevata dai soggetti che intervengono nella riscossione degli interessi ovvero nel rimborso nei confronti di soggetti residenti).
In terzo luogo viene modificato il comma 3-bis, sia al fine di aggiornare il riferimento all'aliquota applicata (20 per cento in luogo del 12,50 per cento), sia per sopprimere (in quanto non più attuale) il riferimento ivi contenuto alla maggiore aliquota a cui sarebbero assoggettabili gli interessi e gli altri proventi dei titoli sottostanti, nei confronti dei soggetti cui siano imputabili i proventi.
Infine viene soppresso il terzo periodo del comma 5, con il quale l'aliquota della ritenuta veniva stabilita al 27 per cento qualora i percipienti fossero residenti negli Stati o territori diversi da quelli di cui al decreto ministeriale emanato ai sensi dell'articolo 168-bis del TUIR (cosiddetti Paesi white list).
La lettera b) del comma 13 novella l'articolo 26-quinquies, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973 concernente la ritenuta sui redditi di capitale derivanti dalla partecipazione ad OICR italiani e lussemburghesi storici.
Il comma 3 citato prevede in sintesi che la ritenuta sui proventi derivanti dalla partecipazione ad OICR italiani diversi dai fondi immobiliari, e a quelli con sede in Lussemburgo, già autorizzati al collocamento nel territorio dello Stato, si applica sui proventi distribuiti in costanza di partecipazione all'organismo di investimento e su quelli compresi nella differenza tra il valore di riscatto, di liquidazione o di cessione delle quote o azioni e il costo medio ponderato di sottoscrizione o acquisto delle quote o azioni medesime.
Per effetto della modifica apportata si specifica che il valore e il costo delle quote o azioni è rilevato dai prospetti periodici al netto di una quota dei proventi riferibili alle obbligazioni e altri titoli di cui all'articolo 31 del decreto del Presidente della Repubblica n. 601 del 1973 (ossia ai titoli

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di Stato italiani) ed equiparati e alle obbligazioni emesse dagli Stati inclusi nella cosiddetta white list.
Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze sono stabilite le modalità di individuazione della quota dei proventi di cui al periodo precedente.
La lettera c) del comma 13 novella l'articolo 27, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, concernente la ritenuta sui dividendi.
In particolare, per effetto delle modifiche apportate:
viene soppressa la riduzione dell'aliquota della ritenuta al 12,50 per cento per gli utili pagati ad azionisti di risparmio;
viene ridotto il diritto al rimborso dell'imposta (dai quattro noni ad un quarto della ritenuta) per i soggetti non residenti, diversi dagli azionisti di risparmio, dai fondi pensione e dalle società ed enti soggetti ad imposta sul reddito delle società negli Stati membri dell'Unione europea, che dimostrino di aver pagato all'estero in via definitiva sugli stessi utili mediante certificazione del competente ufficio fiscale dello Stato estero.

Il comma 14 inserisce un nuovo comma 2-bis nell'articolo 10-ter della legge n. 77 del 1983 in materia di fondi comuni d'investimento mobiliare, con il quale vengono dettate disposizioni tributarie sui proventi delle quote di organismi di investimento collettivo in valori mobiliari di diritto estero.
Ricorda che l'articolo 10-ter della legge n. 77 del 1983 prevede, al comma 1, che sui proventi derivanti dalla gestione, nell'interesse collettivo di pluralità di soggetti, di masse patrimoniali costituite con somme di denaro e beni affidati da terzi o provenienti dai relativi investimenti, derivanti dalla partecipazione a organismi di investimento collettivo in valori mobiliari di diritto estero conformi alla direttiva 2009/65/CE, situati negli Stati membri dell'Unione europea e le cui quote o azioni sono collocate nel territorio dello Stato, i soggetti residenti incaricati del pagamento dei proventi medesimi, del riacquisto o della negoziazione delle quote o azioni, operano una ritenuta del 12,50 per cento, che si applica sui proventi distribuiti in costanza di partecipazione all'organismo di investimento e su quelli compresi nella differenza tra il valore di riscatto, di cessione o di liquidazione delle quote o azioni e il valore medio ponderato di sottoscrizione o di acquisto delle quote o azioni medesime. In ogni caso come valore di sottoscrizione o acquisto si assume il valore delle quote o azioni rilevato dai prospetti periodici relativi alla data di acquisto delle quote o azioni medesime.
Ai sensi del comma 2 del medesimo articolo 10-ter la ritenuta del 12,50 per cento è altresì applicata dai medesimi soggetti di cui al comma 1 sui proventi derivanti dalla partecipazione a organismi di investimento collettivo in valori mobiliari di diritto estero non conformi alla direttiva 2009/65/CE e assoggettati a forme di vigilanza nei Paesi esteri nei quali sono istituiti, situati negli Stati membri dell'Unione europea e negli Stati aderenti all'Accordo sullo spazio economico europeo e le cui quote o azioni sono collocate nel territorio dello Stato.
Il nuovo comma 2-bis stabilisce che i proventi di cui ai citati commi 1 e 2 sono determinati al netto di una quota dei proventi riferibili alle obbligazioni e altri titoli di cui all'articolo 31 del decreto del Presidente della Repubblica n. 601 del 1973 (ossia ai titoli di Stato italiani) ed equiparati e alle obbligazioni emesse dagli Stati inclusi nella cosiddetta white list. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze sono stabilite le modalità di individuazione della quota dei proventi di cui al periodo precedente.
Il comma 15 novella gli articoli 18 e 73 del decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986 (TUIR).
In particolare, la lettera a) modifica l'articolo 18, comma 1, del TUIR, concernente l'imposizione sostitutiva dei redditi di capitale di fonte estera, il quale prevedeva, in sintesi, che i redditi di capitale corrisposti da soggetti non residenti a soggetti residenti nei cui confronti in Italia

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si applica la ritenuta a titolo di imposta o l'imposta sostitutiva di cui all'articolo 2, commi 1-bis e 1-ter, del decreto legislativo n. 239 del 1996 (12,5 per cento sugli interessi ed altri proventi delle obbligazioni e titoli similari e 27 per cento nel caso di obbligazioni la cui scadenza è inferiore a diciotto mesi) sono soggetti ad imposizione sostitutiva delle imposte sui redditi con la stessa aliquota della ritenuta a titolo d'imposta. Il contribuente ha la facoltà di non avvalersi del regime di imposizione sostitutiva ed in tal caso compete il credito d'imposta per i redditi prodotti all'estero.
Per effetto della novella apportata dalla lettera a) viene soppresso dall'articolo 18, comma 1, del TUIR, il riferimento al comma 1-ter del decreto legislativo n. 239 del 1996, che è abrogato dal successivo articolo 2, comma 18, lettera a), numero 1) del decreto-legge.
La lettera b) del comma 15 novella invece l'articolo 73 del TUIR, concernente i soggetti passivi dell'imposta sul reddito delle società, modificando il comma 5-quinquies dell'articolo 73, ai sensi del quale gli organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR) con sede in Italia, diversi dai fondi immobiliari, e quelli con sede in Lussemburgo, già autorizzati al collocamento nel territorio dello Stato, non sono soggetti alle imposte sui redditi.
In virtù delle modifiche apportate:
scompare il riferimento concernente l'applicazione agli OICR dell'imposta sostitutiva del 27 per cento di cui all'articolo 2 del decreto legislativo n. 239 del 1996;
viene soppresso il riferimento all'ammontare delle ritenute (pari, a seconda dei casi, al 27 per cento ed al 12,50 per cento) previste dall'articolo 26 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973 e dall'articolo 10-ter della legge n. 77 del 1983;
viene specificato che la ritenuta prevista dal comma 2 dell'articolo 26 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973 non si applica, oltre che sugli interessi ed altri proventi dei conti correnti, anche sui depositi bancari.

Il comma 16 novella l'articolo 4, comma 1, del decreto-legge n. 167 del 1990, con il quale si prevede che le persone fisiche, gli enti non commerciali, e le società semplici ed equiparate ai sensi dell'articolo 5 del TUIR, residenti in Italia, che al termine del periodo d'imposta detengono investimenti all'estero ovvero attività estere di natura finanziaria, attraverso cui possono essere conseguiti redditi di fonte estera imponibili in Italia, devono indicarli nella dichiarazione dei redditi.
Il testo previgente stabiliva che, agli effetti dell'applicazione della suddetta disposizione si considerano di fonte estera, tra gli altri, i redditi corrisposti da non residenti, soggetti all'imposta sostitutiva di cui all'articolo 2, commi 1-bis e 1-ter, del decreto legislativo n. 239 del 1996, sopra richiamati.
Per effetto della novella apportata dal comma 16 viene soppresso dall'articolo 4, comma 1, del decreto-legge n. 167 del 1990, il riferimento al comma 1-ter del decreto legislativo n. 239 del 1996, che è abrogato dall'articolo 2, comma 18, lettera a), numero 1) del decreto-legge.
Il comma 17 modifica il comma 115 dell'articolo 3 della legge n. 549 del 1995 con cui si prevedeva - nel caso in cui il tasso di rendimento effettivo sugli interessi ed altri proventi delle obbligazioni e titoli similari fosse superiore ai limiti indicati nel terzo periodo del comma 1 dell'articolo 26 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973 - l'indeducibilità dal reddito d'impresa degli interessi passivi eccedenti l'importo derivante dall'applicazione del predetto tasso.
La nuova formulazione del comma 115 stabilisce anzitutto che se le obbligazioni e i titoli similari (di cui al comma 1 dell'articolo 26 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973) sono emessi da società o enti, diversi dalle banche, il cui capitale è rappresentato da azioni non negoziate in mercati regolamentati degli Stati membri dell'UE e degli Stati aderenti all'Accordo sullo Spazio

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economico europeo inclusi nella cosiddetta white list, ovvero da quote, gli interessi passivi sono deducibili a condizione che, al momento di emissione, il tasso di rendimento effettivo non sia superiore:
a) al doppio del tasso ufficiale di riferimento, per le obbligazioni ed i titoli similari negoziati in mercati regolamentati degli Stati UE e degli Stati aderenti all'Accordo sullo Spazio economico europeo inclusi nella lista citata, o collocati mediante offerta al pubblico ai sensi della disciplina vigente al momento di emissione;
b) al tasso ufficiale di riferimento aumentato di due terzi, per le obbligazioni e i titoli similari diversi dai precedenti.

Nell'ipotesi in cui il tasso di rendimento effettivo all'emissione superi i limiti suddetti, la norma in esame prevede l'indeducibilità dal reddito di impresa degli interessi passivi eccedenti l'importo derivante dall'applicazione dei predetti tassi.
È peraltro prevista la possibilità di variare i suddetti limiti - con decreto ministeriale - tenendo conto degli effettivi tassi di remunerazione delle obbligazioni e dei titoli similari rilevati nei mercati regolamentati italiani; tale rilevazione viene effettuata con riguardo anche all'importo e alla durata del prestito, nonché alle garanzie prestate.
Il comma 18 modifica gli articoli 2, 3 e 5 del decreto legislativo n. 239 del 1996.
In particolare, la lettera a) modifica l'articolo 2 - concernente l'imposta sostitutiva sugli interessi, premi ed altri frutti di talune obbligazioni e titoli similari per i soggetti residenti - nei seguenti termini:
viene soppresso il comma 1-ter, il quale prevede che l'imposta sostitutiva sia applicata nella misura del 27 per cento se la scadenza di obbligazioni e titoli similari è inferiore a diciotto mesi;
viene modificato il comma 1-quater, al fine di eliminare il riferimento, previsto per gli OICR ed i fondi pensione, circa l'applicazione dell'imposta in relazione ai titoli di cui al comma 1-ter;
viene modificato il comma 2, eliminando i riferimenti ivi contenuti al soppresso comma 1-ter.

Analogamente, a fini di coordinamento, la lettera b) e la lettera c) modificano gli articoli 3 e 5 del decreto legislativo n. 239 del 1996, sopprimendo i riferimenti ivi contenuti all'abrogato comma 1-ter dell'articolo 2.
Il comma 19 reca alcune novelle al decreto legislativo n. 461 del 1997, recante il riordino della disciplina tributaria dei redditi di capitale e dei redditi diversi.
In particolare, la lettera a) modifica il comma 2 dell'articolo 5, con il quale viene disciplinata l'imposta sostitutiva sulle plusvalenze e sugli altri redditi diversi del TUIR.
Il testo aggiunge un periodo al comma 2, per specificare che, ai fini dello stesso comma, i redditi diversi derivanti dalle obbligazioni e dagli altri titoli di Stato ed equiparati e dalle obbligazioni emesse dagli Stati inclusi nella cosiddetta white list sono computati nella misura del 62,5 per cento dell'ammontare realizzato.
In termini del tutto analoghi, la lettera b) modifica il comma 1 dell'articolo 6 del decreto legislativo n. 461 del 1997, il quale disciplina la facoltà, per il contribuente, di optare per l'applicazione dell'imposta sostitutiva di cui all'articolo 5 su ciascuna delle plusvalenze realizzate, con esclusione di quelle relative a depositi in valuta, a condizione che i titoli, quote o certificati siano in custodia o in amministrazione presso banche e società di intermediazione mobiliare e altri soggetti individuati.
Anche in tal caso viene aggiunto un periodo, diretto a specificare che, ai fini dello stesso comma, i redditi diversi derivanti dalle obbligazioni e dai titoli di Stato ed equiparati e dalle obbligazioni emesse dagli Stati inclusi nella cosiddetta white list sono computati nella misura del 62,5 per cento dell'ammontare realizzato.
La lettera c) modifica l'articolo 7 del decreto legislativo n. 461 del 1997, con il quale viene disciplinata l'imposta sostitutiva sul risultato maturato delle gestioni individuali di portafoglio.

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Vengono anzitutto apportate modifiche al comma 3 dell'articolo 7, con il quale sono individuate le ritenute e le imposte che non si applicano sui redditi di capitale derivanti dalle attività finanziarie comprese nella massa patrimoniale affidata in gestione. In particolare vengono modificate:
la lettera b) del comma 3, al fine di eliminare - per la ritenuta prevista sugli interessi ed altri proventi dei conti correnti bancari - la condizione secondo cui la giacenza media annua non deve essere superiore al 5 per cento dell'attivo medio gestito;
la lettera c), al fine di sopprimere il riferimento, ivi previsto, all'aliquota del 12,50 per cento.

Viene infine modificato il comma 4 dell'articolo 7, al fine di aggiungere un periodo (analogamente a quanto previsto per gli articoli 5 e 6) volto a specificare che, ai fini dello stesso comma, i redditi diversi derivanti dalle obbligazioni e dai titoli di Stato ed equiparati e dalle obbligazioni emesse dagli Stati inclusi nella cosiddetta white list sono computati nella misura del 62,5 per cento dell'ammontare realizzato.
Il comma 20 novella l'articolo 6, comma 1, del decreto-legge n. 351 del 2001, con il quale viene disciplinato il regime tributario dei fondi comuni d'investimento immobiliare ai fini delle imposte sui redditi, sopprimendo il riferimento, ivi previsto, all'aliquota del 12,50 per cento.
Analogamente, il comma 21 novella l'articolo 17, comma 3, del decreto legislativo n. 252 del 2005, con il quale viene disciplinato il regime tributario delle forme pensionistiche complementari, al fine di sopprimere il riferimento ivi previsto all'aliquota del 12,50 per cento.
Il comma 22 disciplina il regime fiscale dei proventi degli strumenti finanziari rilevanti in materia di adeguatezza patrimoniale emessi da intermediari vigilati dalla Banca d'Italia o da soggetti vigilati dall'ISVAP e diversi da azioni e titoli similari, i quali attualmente rientrano tra i cosiddetti «titoli atipici», e sono pertanto sottoposti ad un trattamento fiscale deteriore.
La disposizione prevede in particolare che:
a tali proventi si applica il regime fiscale dettato dal decreto legislativo n. 239 del 1996 per i titoli obbligazionari (vale a dire l'aliquota del 12,50 per cento, salvo aumento al 20 per cento dal 1o gennaio 2012);
sono in ogni caso deducibili ai fini della determinazione del reddito degli emittenti le remunerazioni di tali strumenti finanziari;
continuano tuttavia ad applicarsi a detti strumenti gli articoli 96 e 109, comma 9, del TUIR, con i quali viene disciplinato il loro regime di deducibilità.

La disposizione si applica con riferimento agli strumenti finanziari emessi a decorrere dal 20 luglio 2011.
La ratio dell'intervento consiste nel superamento delle criticità relative ai suddetti strumenti finanziari, che, tra l'altro, contengono clausole di assorbimento del nominale in presenza di determinati eventi. Per l'emittente la criticità riguarderebbe il regime fiscale delle remunerazioni corrisposte ai portatori dei titoli in oggetto, mentre sotto il profilo dell'investitore per effetto di tali clausole i titoli rientrano nel novero dei cosiddetti titoli atipici disciplinati dal decreto-legge n. 512 del 1983 e, quindi, sottoposti a un trattamento fiscale deteriore. La norma consente dunque di rafforzare il livello patrimoniale delle banche e di rimuovere penalizzazioni rispetto alle banche europee, anche in previsione dell'entrata in vigore della normativa «Basilea 3».
Il comma 23 disciplina la determinazione dei redditi compresi nei capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione, stabilendo che i suddetti redditi sono determinati al netto di una quota dei proventi riferibili alle obbligazioni e altri titoli di cui all'articolo 31 del decreto del

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Presidente della Repubblica n. 601 del 1973 (ossia ai titoli di Stato) ed equiparati e alle obbligazioni emesse dagli Stati inclusi nella cosiddetta white list. Per la determinazione della suddetta quota la norma rinvia ad un successivo decreto del Ministro dell'economia e delle finanze.
Il comma 24 stabilisce che le disposizioni introdotte dai commi da 13 a 23 esplichino i loro effetti a decorrere dal 1o gennaio 2012.
Il comma 25 reca l'abrogazione di due disposizioni a decorrere dal 1o gennaio 2012.
Si tratta, in particolare:
a) dell'articolo 20, comma 8, del decreto-legge n. 95 del 1974, in materia di mercato mobiliare ed trattamento fiscale dei titoli azionari, il quale prevede che, ricorrendo le condizioni per esenzione da imposta degli interessi sulle somme che i soci persone fisiche versano alle società cooperative (stabilite nell'articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica n. 601 del 1973), sugli interessi e sui redditi di capitale corrisposti dalle società cooperative ai propri soci persone fisiche residenti in Italia la ritenuta del quindici per cento prevista dall'ultimo comma dell'articolo 26 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973 è ridotta al dieci per cento ed è applicata a titolo d'imposta;
b) dell'articolo 7, commi da 1 a 4, del decreto-legge n. 323 del 1996 recante, i quali prevedono, in estrema sintesi, che sui proventi derivanti da depositi di denaro, di valori mobiliari e di altri titoli diversi dalle azioni e da titoli similari, a garanzia di finanziamenti concessi ad imprese residenti, effettuati fuori dall'esercizio di attività produttive di reddito d'impresa da parte di persone fisiche, nonché da parte di società semplici ed equiparate, di enti non commerciali o di soggetti non residenti senza stabile organizzazione nel territorio dello Stato, indipendentemente da ogni altro tipo di prelievo previsto per i proventi medesimi, è dovuta una somma pari al 20 per cento degli importi maturati nel periodo d'imposta.
Il comma 26 reca disposizioni transitorie ai fini dell'applicazione delle disposizioni di cui al precedente comma 11, per gli interessi e altri proventi soggetti all'imposta sostitutiva.
In dettaglio, la norma stabilisce che per gli interessi e altri proventi soggetti all'imposta sostitutiva, gli intermediari provvedono ad effettuare addebiti e accrediti del conto unico:
alla data del 31 dicembre 2011, per le obbligazioni e titoli similari senza cedola o con cedola avente scadenza non inferiore a un anno dalla data del 31 dicembre 2011;
ovvero, in occasione della scadenza della cedola o della cessione o rimborso del titolo, per le obbligazioni e titoli similari diversi dai precedenti.

Per i titoli espressi in valuta estera si tiene conto del valore del cambio alla data del 31 dicembre 2011.
Per le modalità di svolgimento delle operazioni di addebito e di accredito del conto unico la norma rinvia ad un successivo decreto del Ministro dell'economia e delle finanze.
Il comma 27 reca una norma transitoria in materia di tassazione dei redditi compresi nei capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione, la cui disciplina è stata modificata dal comma 23 dell'articolo 2, nel senso di prevedere che essi siano determinati al netto di una quota dei proventi riferibili alle obbligazioni e altri titoli di cui all'articolo 31 del decreto del Presidente della Repubblica n. 601 del 1973 (ossia ai titoli di Stato) ed equiparati e alle obbligazioni emesse dagli Stati inclusi nella cosiddetta white list.
La norma del comma 27 prevede in particolare che ai suddetti redditi, derivanti da contratti sottoscritti fino al 31 dicembre 2011, vada applicata l'aliquota del 12,50 per cento sulla parte di redditi riferita al periodo intercorrente tra la data di sottoscrizione o acquisto della polizza ed il 31 dicembre 2011.

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La disposizione prevede altresì che per la determinazione di tali redditi occorre tenere conto:
dell'ammontare dei premi versati a ogni data di pagamento dei premi medesimi;
del tempo intercorso tra pagamento dei premi e corresponsione dei proventi.

La disposizione rinvia ad un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze la definizione della disciplina attuativa.
I commi da 28 a 34 recano disposizioni in materia di minusvalenze e plusvalenze derivanti dai redditi diversi.
In particolare, il comma 28 consente di portare in deduzione dalle future plusvalenze e dagli altri redditi diversi le minusvalenze, le perdite e i differenziali negativi, realizzati fino alla data del 31 dicembre 2011, per una quota pari al 62,5 per cento del loro ammontare (la quota di deducibilità del 62,5 per cento è ottenuta dal rapporto tra le aliquote del 12,50 per cento e 20 per cento).
La disposizione fa comunque salvi i limiti temporali di deduzione previsti dall'articolo 68, comma 5, del TUIR e dall'articolo 6, comma 5, del decreto legislativo n. 461 del 1997, i quali prevedono che, se l'ammontare complessivo delle minusvalenze e delle perdite è superiore all'ammontare complessivo delle plusvalenze e degli altri redditi, l'eccedenza può essere portata in deduzione, fino a concorrenza, dalle plusvalenze e dagli altri redditi dei periodi d'imposta successivi ma non oltre il quarto, a condizione che sia indicata nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d'imposta nel quale le minusvalenze e le perdite sono state realizzate.
Il comma 29 prevede la possibilità, per il contribuente, di affrancare le plusvalenze e le minusvalenze latenti al 31 dicembre 2011 versando l'imposta sostitutiva del 12,50 per cento sui redditi diversi maturati fino alla stessa data. Più in dettaglio, la norma prevede che, a decorrere dal 1o gennaio 2012, per la determinazione delle plusvalenze e minusvalenze di cui all'articolo 67, comma 1, lettere da c-bis) a c-quinquies), del TUIR, in luogo del costo o valore di acquisto, o del valore determinato ai sensi dell'articolo 14, comma 6, del decreto legislativo n. 461 del 1997, il contribuente può assumere il valore alla data del 31 dicembre 2011.
Ai fini dell'applicazione della disposizione di cui al comma 29, il comma 30 distingue l'ipotesi di applicazione dell'imposta sostitutiva sulle plusvalenze e sugli altri redditi (di cui all'articolo 5 del decreto legislativo n. 461 del 1997) dall'applicazione dell'imposta sostitutiva su ciascuna plusvalenza o altro reddito diverso realizzato (di cui all'articolo 6 dello stesso decreto legislativo n. 461).
In particolare:
nell'ipotesi di applicazione dell'imposta sostitutiva sulle plusvalenze e sugli altri redditi l'opzione deve essere esercitata in sede di dichiarazione annuale dei redditi e si estende a tutti i titoli o strumenti finanziari detenuti: in tal caso l'imposta sostitutiva viene corrisposta (ai sensi del comma 4 dello stesso articolo 5) nei termini e nei modi previsti per il versamento delle imposte sui redditi dovute a saldo in base alla dichiarazione e l'eventuale imposta sostitutiva pagata fino al superamento delle percentuali di partecipazione o di diritti di voto indicati nella lettera c-bis) del comma 1, dell'articolo 67, è portata in detrazione dalle imposte sui redditi;
nell'ipotesi di applicazione dell'imposta sostitutiva su ciascuna plusvalenza o altro reddito diverso realizzato, l'opzione può essere esercitata entro il 31 marzo 2012 e si estende a tutti i titoli, quote o certificati inclusi nel rapporto di custodia o amministrazione. In tal caso l'imposta sostitutiva è versata dagli intermediari entro il 16 maggio 2012, ricevendone provvista dal contribuente.

Il comma 31 stabilisce che, qualora non siano applicabili le disposizioni dei commi 29 e 30, per i proventi derivanti dalla gestione, nell'interesse collettivo di pluralità di soggetti, di masse patrimoniali costituite

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con somme di denaro e beni affidati da terzi o provenienti dai relativi investimenti, derivanti dalla partecipazione ad organismi e fondi:
l'opzione può essere esercitata entro il 31 marzo 2012, con comunicazione ai soggetti residenti a ciò incaricati;
l'imposta sostitutiva è versata dagli stessi soggetti entro il 16 maggio 2012, ricevendone provvista dal contribuente.

Ai sensi del comma 32 le minusvalenze e perdite derivanti dall'esercizio delle opzioni sono quindi portate in deduzione dalle plusvalenze e dagli altri redditi diversi, realizzati successivamente, fino al 31 dicembre 2012, per una quota pari al 62,5 per cento del loro ammontare.
Il comma 33 disciplina l'ipotesi delle gestioni individuali di portafoglio, stabilendo che i risultati negativi di gestione rilevati al 31 dicembre 2011 possono essere portati in deduzione dai risultati di gestione maturati successivamente, per una quota pari al 62,5 per cento del loro ammontare.
Il comma 34 rinvia ad un successivo decreto del Ministro dell'economia e delle finanze per l'individuazione delle modalità di applicazione dei commi «da 29 a 32».
Il comma 35 reca disposizioni in materia di studi di settore, sostanzialmente al fine di garantire una maggiore correttezza da parte dei contribuenti nella compilazione della relativa modulistica fiscale.
In dettaglio, il primo periodo del comma 35 aggiunge un periodo al comma 4-bis dell'articolo 10 della legge n. 146 del 1998, in materia di utilizzazione degli studi di settore in sede di accertamento.
In forza di tale modifica, la limitazione ai poteri di accertamento dell'amministrazione finanziaria opera solo ove il soggetto passivo sia congruo alle risultanze degli studi di settore in relazione al periodo di imposta precedente, anche a seguito di adeguamento. In tale ipotesi, infatti, il Fisco non potrà procedere a rettifiche sulla base di presunzioni semplici.
In sostanza, per limitare l'accertamento, occorrerà che il contribuente sia stato congruo anche l'anno precedente a quello accertato.
Il secondo periodo del comma 35 modifica invece l'articolo 1, comma 1-bis, del decreto del Presidente della Repubblica n. 195 del 1999, relativamente alle eventuali integrazioni degli studi necessarie per tenere conto degli andamenti economici e dei mercati, con particolare riguardo a settori o aree territoriali.
Per effetto della modifica apportata, si prevede la possibilità di effettuare le suddette integrazioni anche per aggiornare o istituire gli indicatori da cui desumere gli indicatori di coerenza disciplinati all'articolo 10-bis della legge n. 146 del 1998.
Il comma 35-bis, inserito durante l'esame del provvedimento al Senato, apporta alcune modifiche alla disciplina del contributo unificato, di cui all'articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002 (Testo unico sulle spese di giustizia). Le novelle introdotte riguardano gli importi del contributo nel processo civile, amministrativo e tributario.
In sintesi:
la lettera a) del comma eleva da 450 a 600 euro l'importo del contributo unificato per i processi amministrativi di valore indeterminabile;
la lettera b) specifica che la sanzione dell'incremento della metà del contributo unificato si applica, anche in caso di processo tributario, alla fattispecie di mancata indicazione, da parte del difensore, dell'indirizzo di posta elettronica certificata;
la lettera c) aumenta il contributo unificato dovuto nel processo tributario in caso di omissione della dichiarazione sul valore della controversia: tale contributo passa da 1.466 a 1.500 euro;
le lettere d) ed e) affermano con maggior precisione che l'importo del contributo unificato nel processo amministrativo è aumentato della metà se il difensore omette la comunicazione della posta elettronica

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certificata e del fax; le disposizioni precisano che l'onere del contributo grava sulla parte soccombente anche nel caso di compensazione giudiziale delle spese e anche nel caso in cui la stessa non si sia costituita in giudizio; si esplicita, altresì, che il contributo unificato nei processi amministrativi è dovuto anche per i ricorsi incidentali e in caso di proposizione di motivi aggiuntivi che introducono nuove domande;
la lettera f) colma una lacuna della normativa, fissando in 120 euro la misura del contributo unificato dovuto per le controversie tributarie di valore indeterminabile.

Il comma 35-quater, a sua volta introdotto durante l'esame del provvedimento presso l'altro ramo del Parlamento, modifica le disposizioni che regolano il processo tributario, a tale scopo novellando gli articoli 18 e 22 del decreto legislativo n. 546 del 1992.
Nel dettaglio, il primo punto del comma modifica l'articolo 18 del decreto legislativo n. 546 del 1992, che disciplina il contenuto del ricorso che introduce il processo, nonché le modalità della sua presentazione.
In particolare, la norma aggiunge agli elementi da indicare nel ricorso, enumerati dal comma 2 dell'articolo 18, anche l'indirizzo di posta elettronica certificata.
Il secondo punto del comma novella il comma 4 dell'articolo 18, che disciplina i requisiti per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
Ai sensi del vigente comma 4, il ricorso è inammissibile se manca o è assolutamente incerta una delle indicazioni che il ricorso deve contenere ai sensi del sopra illustrato citato comma 2, fatta salva l'indicazione del codice fiscale.
Il comma in esame, aggiungendo a tale esclusione anche l'indirizzo di posta elettronica certificata, precisa che la sua mancata indicazione non rende inammissibile il ricorso.
Il terzo punto del comma modifica la disciplina della costituzione in giudizio del ricorrente nel processo tributario, disciplinata dall'articolo 22 del decreto legislativo n. 546 del 1992, obbligando il ricorrente a depositare presso la segreteria della commissione tributaria adita, all'atto della costituzione in giudizio, la nota di iscrizione a ruolo contenente l'indicazione delle parti, del difensore che si costituisce, dell'atto impugnato, della materia del contendere, del valore della controversia e della data di notificazione del ricorso.
Il comma 35-septies, anch'esso inserito nel corso dell'esame del provvedimento al Senato, modifica la disciplina delle incompatibilità con la carica di componente delle commissioni tributarie.
In particolare, la lettera a) modifica il comma 2, lettera c), punto 4), dell'articolo 39 del decreto-legge n. 98 del 2011, che ha introdotto disposizioni volte a rafforzare le cause di incompatibilità dei giudici tributari e a incrementare la presenza nelle Commissioni tributarie regionali di giudici selezionati tra i magistrati ordinari, amministrativi, militari, e contabili ovvero tra gli Avvocati dello Stato.
Il richiamato punto 4) ha inserito all'articolo 8, comma 1 del decreto legislativo n. 545 del 1992 una lettera m-bis), ai sensi della quale sono incompatibili con la carica di componente delle commissioni tributarie i soggetti iscritti in albi professionali, elenchi e ruoli, nonché il personale dipendente.
Per effetto delle modifiche recate dalla disposizione, l'incompatibilità del personale dipendente e dei soggetti iscritti nei richiamati ruoli ed albi che abilitano alla rappresentanza innanzi alle Commissioni tributarie opera ove essi esercitino, anche in forma non individuale, attività - individuate all'articolo 8, comma 1, lettera i) - di consulenza tributaria, di detenzione di scritture contabili e redazione di bilanci, ovvero attività di consulenza, assistenza o di rappresentanza, a qualsiasi titolo e anche nelle controversie di carattere tributario, di contribuenti singoli o associazioni di contribuenti, di società di riscossione dei tributi o di altri enti impositori.
Pertanto l'incompatibilità non è ancorata solo alla sola iscrizione formale all'albo,

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ma anche all'esercizio effettivo di attività di consulenza, assistenza e rappresentanza nei confronti dei contribuenti o di enti coinvolti nella gestione dei tributi; tale disciplina viene così allineata alle cause di incompatibilità legate alla parentela, di cui all'articolo 8, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 545 del 1992.
La lettera b) del comma 35-septies modifica invece il comma 2, lettera c), punto 5), dell'articolo 39 del decreto-legge n. 98, il quale previsto che non possono essere componenti di commissione tributaria (provinciale o regionale) i coniugi, i conviventi o i parenti fino al terzo grado o gli affini in primo grado di coloro che sono iscritti in albi professionali ed esercitano - anche in forma non individuale - attività di assistenza, consulenza e rappresentanza nei confronti di contribuenti ed enti nella regione e nelle province confinanti con la predetta regione dove ha sede la commissione tributaria provinciale, ovvero nella regione dove ha sede la commissione tributaria regionale o nelle regioni con essa confinanti.
Con le modifiche apportate dalla lettera b) si stabilisce che non possono essere componenti di commissione tributaria i coniugi, i conviventi o i parenti fino al secondo grado (in luogo del terzo grado, previsto dal testo vigente) di coloro che, iscritti in albi professionali, esercitano le attività di consulenza, assistenza e rappresentanza tributaria.
Il comma 35-octies, anch'esso inserito durante l'esame al Senato, introduce un'imposta di bollo sui trasferimenti di denaro all'estero.
L'imposta, che è dovuta in misura pari al 2 per cento dell'importo trasferito per singola operazione, con un minima misura minima di prelievo pari a 3 euro, si applica ai trasferimenti effettuati mediante istituti bancari, agenzie di «money transfer» ed altri agenti in attività finanziaria.
Le disposizioni esentano dall'imposta i trasferimenti effettuati verso i paesi dell'Unione Europea e quelli effettuati da soggetti muniti di matricola INPS e codice fiscale.
Il comma 36, modificato nel corso dell'esame al Senato, prevede che per un periodo di cinque anni le maggiori entrate derivanti dal decreto-legge siano riservate all'Erario, per essere destinate alle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea, anche alla luce della eccezionalità della situazione economica internazionale.
Le modalità di individuazione del maggior gettito, che dovrà essere oggetto di separata contabilizzazione, saranno individuate con apposito decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, da adottare entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto.
Inoltre, a partire dall'anno 2014, il Documento di economia e finanza dovrà contenere una valutazione delle maggiori entrate derivanti, in termini permanenti, dall'attività di contrasto all'evasione. Tali maggiori entrate, al netto di quelle necessarie al mantenimento del pareggio di bilancio ed alla riduzione del debito, confluiranno in un Fondo per la riduzione strutturale della pressione fiscale finalizzato alla riduzione degli oneri fiscali e contributivi gravanti sulle famiglie e sulle imprese.
I commi da 36-bis a 36-quater, introdotti nel corso dell'esame al Senato, recano norme in materia di società cooperative, disponendo la riduzione dei benefici fiscali a loro vantaggio relativamente alle somme destinate a riserve indivisibili.
In merito ricorda che l'articolo 12 della legge n. 904 del 1977 stabilisce che le riserve indivisibili delle cooperative e dei loro consorzi non concorrono a formare il reddito imponibile di tali soggetti, a condizione che sia esclusa la possibilità di distribuirle tra i soci, sotto qualsiasi forma, sia durante la vita dell'ente che all'atto del suo scioglimento.
Ai sensi del comma 460 della legge n. 311 del 2004, l'appena richiamato articolo 12 non si applica alle società cooperative a mutualità prevalente e ai loro consorzi, per una quota - specificamente individuata - degli utili netti annuali destinati

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a riserve indivisibili, la quale concorre a formare il reddito imponibile, ed è dunque assoggettata a tassazione.
Nel dettaglio, il comma 36-bis dispone, per le società cooperative (e i loro consorzi) diverse da quelle agricole e da quelle della piccola pesca, l'aumento dal 30 al 40 per cento degli utili netti annuali destinati alla riserva minima obbligatoria che sono sottratti al regime di esenzione previsto dal citato articolo 12 della legge n. 904 del 1977. Per le società cooperative di consumo e per i loro consorzi la quota di utili netti annuali destinati alla riserva minima obbligatoria passa dal 55 al 65 per cento.
Il comma 36-ter modifica l'articolo 6, comma 1, del decreto-legge n. 63 del 2002, riducendo del 10 per cento l'attuale totale esclusione dalla formazione del reddito imponibile dell'ammontare degli utili netti annuali destinati alla riserva minima obbligatoria per le società cooperative e per i loro consorzi.
Al riguardo rammenta che l'attuale articolo 6, comma 1, del decreto-legge n. 63 del 2002 dispone l'applicazione espressa del citato articolo 12 della legge n. 904 alla quota degli utili netti annuali destinati alla riserva minima obbligatoria. Tale accantonamento è previsto nella misura del 70 per cento dell'utile netto per le banche di credito cooperativo; del 20 per cento per le cooperative agricole e della piccola pesca; del 30 per cento per le altre cooperative (tale quota, per effetto del comma 36-bis, è elevata al 40 per cento); del 55 per cento per le cooperative di consumo (tale quota, per effetto del comma 36-bis, è elevata al 65 per cento).
Il comma 36-quater dispone l'applicazione delle norme introdotte a partire dal periodo d'imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge.
Per determinare gli acconti dovuti per il periodo d'imposta di prima applicazione, si assume, quale imposta del periodo precedente, quella che si sarebbe determinata applicando le disposizioni introdotte con i commi 36-bis e 36-ter.
I commi da 36-quinquies a 36-duodecies, introdotti nel corso dell'esame al Senato, recano norme in materia di società di comodo disponendo, da una parte, una maggiorazione di 10,5 punti percentuali sull'imposta sul reddito delle società (IRES) e, dall'altra, estendendo l'applicazione della maggiorazione alle società che presentano dichiarazioni in perdita fiscale per tre periodi d'imposta consecutivi.
In dettaglio, il comma 36-quinquies introduce, per tali società, una maggiorazione di 10,5 punti percentuali dell'aliquota IRES (portandola al 38 per cento), la quale si applica anche sulla quota del reddito imputato per trasparenza dalle società in argomento a società o enti soggetti all'imposta sul reddito delle società.
Il comma 36-sexies stabilisce che le società che hanno esercitato l'opzione per la tassazione di gruppo assoggettano autonomamente il proprio reddito imponibile alla predetta maggiorazione e provvedono al relativo versamento, mentre ai sensi del comma 36-septies la previsione si applica anche con riguardo alla quota di reddito imputata per trasparenza da una società di comodo ad una società o ente che abbia esercitato l'opzione per la tassazione di gruppo.
Il comma 36-octies prevede quindi che le società di comodo che hanno esercitato, in qualità di partecipate, l'opzione per la trasparenza assoggettano autonomamente il proprio reddito imponibile alla maggiorazione e provvedono al relativo versamento.
Il medesimo comma regola anche, al secondo periodo, il caso in cui una società di comodo abbia esercitato, in qualità di partecipante, l'opzione per la trasparenza fiscale: in tal caso, nell'assoggettare il reddito imponibile alla maggiorazione, tale società non tiene conto del reddito imputato dalla società partecipata.
Quanto alla decorrenza delle nuove disposizioni, ai sensi del comma 36-novies, esse si applicano a decorrere dal periodo d'imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge (dal 2012).

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La norma peraltro specifica che nella determinazione degli acconti dovuti per il periodo di imposta di prima applicazione si assume, quale imposta del periodo precedente, quella che si sarebbe determinata applicando la nuova disciplina.
I commi da 36-decies a 36-duodecies estendono l'applicazione della maggiorazione di aliquota appena descritta alle società che presentano dichiarazioni in perdita fiscale per tre periodi d'imposta consecutivi.
In particolare, il comma 36-decies specifica che, nei casi in cui non ricorrano i presupposti per considerare la società non operativa (e quindi società di comodo), le società e gli enti che presentano dichiarazioni in perdita fiscale per tre periodi d'imposta consecutivi sono considerati non operativi a decorrere dal successivo quarto periodo d'imposta.
Ai sensi del comma 36-undecies, la condizione di società non operativa ricorre anche qualora per tre periodi d'imposta consecutivi, le società e gli enti siano per due periodi d'imposta in perdita fiscale ed in uno abbiano dichiarato un reddito inferiore all'ammontare determinato ai sensi dell'articolo 30, comma 3, della legge n. 724 del 1994 (ai sensi del quale si presume che il reddito non possa inferiore all'ammontare della somma degli importi derivanti dall'applicazione, ai valori dei beni posseduti dalla società nell'esercizio, di una serie di percentuali).
Il comma 36-duodecies, con una previsione identica a quella contenuta nel comma 36-novies, regola la decorrenza delle norme, prevedendo che esse si applichino a decorrere dal periodo d'imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge (dal 2012). Anche in questo caso, nella determinazione degli acconti dovuti per il periodo di imposta di prima applicazione si assume, quale imposta del periodo precedente, quella che si sarebbe determinata applicando la nuova disciplina.
I commi da 36-terdecies a 36-duodevicies, introdotti nel corso dell'esame al Senato, contemplano, con finalità antievasive, una nuova ipotesi di tassazione per l'uso di beni intestati fittiziamente a società: a tal fine viene considerata reddito diverso ai fini IRPEF la differenza tra il valore di mercato e il corrispettivo annuo per la concessione in godimento di beni dell'impresa a soci o familiari dell'imprenditore. Inoltre è prevista l'indeducibilità dei costi relativi ai beni concessi ai soci o ai familiari per un corrispettivo annuo inferiore al valore di mercato.
In dettaglio, il comma 36-terdecies inserisce all'articolo 67 del TUIR una nuova fattispecie di «reddito diverso» qualora la società o l'impresa individuale conceda dei beni in godimento ai soci o ai familiari dell'imprenditore per un corrispettivo annuo inferiore al loro prezzo di mercato. In tal caso il comma 36-quinquiesdecies specifica che la differenza tra il valore di mercato e il corrispettivo annuo previsto per la detta concessione concorre alla formazione del reddito complessivo del socio o familiare quale reddito diverso.
Il comma 36-quaterdecies stabilisce che i costi relativi ai beni concessi ai soci o ai familiari per un corrispettivo annuo inferiore al valore di mercato del diritto di godimento «non sono in ogni caso ammessi in deduzione dal reddito imponibile».
Pertanto, sulla base di tale disposizione, nel caso in cui una società o un'impresa individuale mettano a disposizione di soci o di familiari dell'imprenditore dei beni di loro proprietà, viene espressamente richiesto che, a fronte di tale utilizzo, la società o l'impresa ricevano un corrispettivo e che tale corrispettivo sia allineato con il valore di mercato. In caso contrario, si configura un reddito in capo al socio o al familiare e un costo indeducibile in capo alla società o all'impresa.
I commi 36-sexiesdecies e 36-septiesdecies contengono norme in materia di controllo da parte dell'Agenzia delle entrate sulle prescrizioni appena descritte.
In particolare, il comma 36-sexiesdecies prevede che, qualora l'impresa abbia concesso in godimento propri beni a soci o a familiari dell'imprenditore per un corrispettivo annuo inferiore al valore di mercato,

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l'impresa concedente, ovvero il socio o il familiare, dell'imprenditore devono comunicare all'Agenzia delle entrate i dati relativi ai beni concessi in godimento, al fine di garantire l'attività di controllo.
Con provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate, da emanarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge, sono individuati le modalità e i termini per adempiere alla predetta comunicazione.
In caso di mancata comunicazione, ovvero in caso di comunicazione di dati incompleti o non veritieri, è stabilita in solido una sanzione amministrativa pari al trenta per cento della differenza tra il valore di mercato e il corrispettivo annuo del bene concesso in godimento. Nel caso in cui i contribuenti abbiano omesso di effettuare la comunicazione all'Agenzia delle entrate, avendo comunque adempiuto alla normativa sostanziale introdotta dai commi 36-quaterdecies e 36-quinquiesdecies (indeducibilità dei costi per l'impresa e imponibilità a fini IRPEF quale reddito diverso della differenza tra valore di mercato e corrispettivo pagato per gli utilizzatori dei beni), è dovuta, in solido, la sanzione amministrativa da 258 euro a 2.065 euro.
Il comma 36-septiesdecies dispone che l'Agenzia delle entrate procede a controllare sistematicamente la posizione delle persone fisiche che hanno utilizzato i beni concessi in godimento. L'Agenzia tiene conto, ai fini della ricostruzione sintetica del reddito, di «qualsiasi forma di finanziamento o capitalizzazione effettuata nei confronti della società».
Il comma 36-duodevicies dispone l'applicazione delle norme introdotte dai comma 36-terdecies a 36-septiesdecies a partire dal periodo d'imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame (ovvero, in caso di periodo coincidente con l'anno solare, dal 2012).
Per determinare gli acconti dovuti per il periodo di imposta di prima applicazione, si assume, quale imposta del periodo precedente, quella che si sarebbe determinata applicando le disposizioni introdotte dai commi precedenti.
Il comma 36-undevicies, inserito durante l'esame del provvedimento al Senato, autorizza l'Agenzia delle Entrate a elaborare specifiche liste selettive di contribuenti da sottoporre a controllo, sentite le Associazioni di categoria degli operatori finanziari in rapporto alle tipologie di informazioni da acquisire.
La disposizione esplicitamente deroga a quanto previsto in materia dall'articolo 7, comma undicesimo, del decreto del Presidente della Repubblica n. 605 del 1973, in forza del quale l'Amministrazione finanziaria non può utilizzare l'anagrafe dei rapporti per la formazione di elenchi di contribuenti aventi caratteristiche omogenee, da assoggettare ad accertamento in virtù del riscontro di anomalie.
Il comma 36-vicies, anch'esso introdotto durante l'esame del provvedimento al Senato, abrogando la lettera rr) dell'articolo 2, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 696 del 1996, assoggetta all'obbligo di certificazione dei corrispettivi mediante ricevuta o scontrino fiscale anche le prestazioni rese, sul litorale demaniale, da parte dei titolari dei relativi provvedimenti amministrativi rilasciati dalle autorità competenti.
Il comma 36-vicies semel, novella il decreto legislativo n. 74 del 2000, concernente la disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e IVA.
Le modifiche sono innanzitutto volte ad eliminare disposizioni di favore o ad abbassare la soglia di imposta evasa a partire dalla quale scatta l'applicazione delle sanzioni penali. In particolare:
all'articolo 2 (dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) viene soppressa la disposizione che attualmente riduce l'entità della reclusione (da 6 mesi a 2 anni anziché da un anno e 6 mesi a 6 anni) se l'ammontare degli elementi passivi fittizi è inferiore a 154.937,07 euro (lettera a));

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all'articolo 3 (dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici) viene ridotta la soglia di imposta evasa che fa scattare la sanzione penale da 77.468,53 euro a 30.000 euro e, analogamente, la soglia relativa all'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione da 1.549.370,70 euro a 1.000.000 di euro (lettere b) e c));
all'articolo 4 (dichiarazione infedele) le suddette soglie vengono ridotte rispettivamente da 103.291,38 euro a 50.000 euro e da 2.065.827,60 euro a 2.000.000 di euro (lettere d) ed e));
all'articolo 5 (omessa dichiarazione) la soglia di imposta evasa che fa scattare la sanzione penale è ridotta da 77.468,53 euro a 30.000 euro (lettera f));
all'articolo 8 (emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) viene soppressa la disposizione che riduce l'entità della reclusione (da 6 mesi a 2 anni anziché da un anno e 6 mesi a 6 anni) se l'importo non rispondente al vero indicato nelle fatture o nei documenti è inferiore a euro 154.937,07 (lettera g)).
Ulteriori novelle al decreto legislativo n. 74 del 2000 riguardano le circostanze del reato, il procedimento applicabile e le pene accessorie.
In particolare, la lettera h) aggiunge un comma all'articolo 12 (pene accessorie) del decreto legislativo n. 74, al fine di escludere l'applicazione dell'istituto della sospensione condizionale della pena, qualora nella commissione di uno dei delitti previsti dagli articoli da 2 a 10-quater del decreto legislativo n. 74 del 2000, l'imposta evasa (o non versata) sia superiore a 3 milioni di euro. Peraltro, il successivo periodo della disposizione, inserito con il maxiemendamento presentato dal Governo, aggiunge che per i delitti previsti dagli articoli da 2 a 10 del decreto legislativo n. 74 del 2000 (dunque in parte per le medesime fattispecie), affinché non si applichi la sospensione condizionale della pena occorre la contemporanea presenza di due requisiti:
imposta evasa superiore a 3 milioni di euro;
imposta evasa superiore al 30 per cento del volume d'affari.

Le lettere i) ed m) del comma intervengono sull'articolo 13 (circostanza attenuante e pagamento del debito tributario) prevedendo:
la riduzione sino ad un terzo (anziché sino alla metà) delle pene stabilite per i delitti previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000 se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari relativi ai fatti costitutivi dei delitti medesimi sono stati estinti mediante pagamento (lettera i));
l'applicabilità del cosiddetto patteggiamento per i reati previsti dal decreto legislativo solo se ricorrono le circostanze attenuanti (dell'aver estinto il debito prima del dibattimento e dell'aver pagato anche le sanzioni amministrative previste per la violazione delle norme tributarie).

La lettera l) novella l'articolo 17 (interruzione della prescrizione), elevando di un terzo i termini di prescrizione per i delitti tributari previsti dagli articoli da 2 a 10 del decreto legislativo n. 74 del 2000.
La norma specifica inoltre che le modifiche apportate dal comma 36-vicies semel si applicano ai fatti successivi all'entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge.
Il comma 36-vicies bis, a sua volta inserito nel corso dell'esame al Senato, prevede la riduzione alla metà delle sanzioni previste per la violazione di alcuni obblighi di dichiarazione e documentazione (in materia di imposte dirette e di IVA) in favore di imprese di medio-piccole dimensioni, e cioè per gli esercenti imprese, arti e professioni con ricavi e compensi dichiarati non superiori a 5 milioni di euro, a condizione che per tutte le operazioni attive e passive effettuate nell'esercizio dell'attività utilizzino esclusivamente strumenti di pagamento diversi dal denaro contante.
Il comma 36-vicies ter, introdotto al Senato, novellando il comma 6 dell'articolo 50-bis del decreto-legge n. 331 del

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1993, in materia di depositi fiscali e doganali che possono essere utilizzati anche come depositi IVA, specifica alcuni requisiti per i soggetti passivi d'imposta agli effetti dell'IVA che intendono effettuare l'estrazione dei beni da un deposito IVA:
devono essere iscritti alla Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura (CCIAA) da almeno un anno;
devono dimostrare una effettiva operatività;
devono attestare regolarità dei versamenti IVA, con modalità che saranno definite con un provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate.

All'articolo 3, il comma 12-bis, introdotto durante l'esame del provvedimento al Senato, reca disposizioni in materia di segnalazioni di ritardato pagamento presenti nelle banche dati pubbliche e private di informazione creditizia, novellando l'articolo 8-bis del decreto-legge n. 70 del 2011, il quale stabilisce, al comma 1, che, ove i pagamenti siano regolarizzati, le segnalazioni concernenti i ritardi nel pagamento da parte delle persone fisiche o giuridiche debbano essere cancellate entro cinque giorni lavorativi dalla comunicazione da parte dell'istituto di credito che ha ricevuto il pagamento.
In particolare, con le modifiche apportate dalla lettera a) al comma 1 dell'articolo 8-bis, in luogo della cancellazione della segnalazione all'atto del pagamento, si dispone che entro dieci giorni dalla regolarizzazione del pagamento la segnalazione di ritardo sia integrata con la comunicazione dell'avvenuto pagamento.
A tal fine si dispone che le banche - in luogo dell'obbligo di richiedere entro sette giorni l'estinzione della segnalazione - saranno tenute a richiedere la predetta integrazione immediatamente dopo il pagamento.
La lettera b) modifica invece il comma 2 del predetto articolo 8-bis, prevedendo, anche per le segnalazioni di ritardo già registrate e regolarizzate, ove relative al mancato pagamento di rate mensili di numero inferiore a sei o di un'unica rata semestrale, modalità di aggiornamento analoghe a quelle previste dal novellato comma 1.
Viene dunque eliminato il riferimento all'obbligo di cancellazione entro il 28 luglio 2011, disposto dalla formulazione originaria del comma 2.
All'articolo 6, il comma 6-ter, introdotto durante dell'esame al Senato, prevede che, al fine di razionalizzare la spesa delle amministrazioni pubbliche secondo quanto previsto dal comma 1 dell'articolo 12, del decreto-legge n. 98 del 2011, l'Agenzia del demanio debba procedere ad operazioni di permuta di beni, non più utilizzati e disponibili, appartenenti al demanio e al patrimonio dello Stato, con immobili adeguati all'uso governativo, al fine di rilasciare immobili di terzi attualmente condotti in locazione passiva dalla pubblica amministrazione ovvero appartenenti al demanio e al patrimonio dello Stato ritenuti inadeguati.
Le operazioni di permuta debbono essere effettuate senza oneri a carico del bilancio dello Stato, dando priorità alle aree a più elevato disagio occupazionale e produttivo, nonché escludendo tutti i beni comunque trasferibili agli enti pubblici territoriali ai sensi del decreto legislativo n. 85 del 2010 (in materia di federalismo demaniale).
La norma fa salvo, altresì, quanto previsto dall'articolo 2, comma 196-bis, della legge n. 191 del 2009, n. 191 (legge finanziaria 2010), concernente le operazioni di dismissione immobiliare della difesa, i cui proventi sono destinati, in parte, a garantire la copertura finanziaria del rifinanziamento di 500 milioni di euro autorizzato per l'anno 2010 in favore del comune di Roma, per il ripiano dei debiti ricompresi nel piano di rientro dall'indebitamento, predisposto dal Commissario straordinario del Governo ed approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 5 dicembre 2008.
L'ultimo periodo del comma prevede l'obbligo, per le amministrazioni dello Stato, di comunicare all'Agenzia del demanio l'ammontare dei fondi statali stanziati

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e non impegnati per la realizzazione di nuovi immobili, al fine di valutare i possibili recuperi di spesa derivanti dalle operazioni di permuta e gli immobili di nuova realizzazione da destinare ad uso governativo.
L'articolo 6-bis, introdotto durante l'esame al Senato, stabilisce che i soggetti che partecipano al sistema di prevenzione previsto al comma 5 dell'articolo 30-ter del decreto legislativo n. 141 del 2010 (si tratta del sistema di prevenzione delle frodi nel settore del credito al consumo e dei pagamenti dilazionati o differiti, con specifico riferimento al furto di identità), possono avere accesso ai sistemi informativi richiamati all'articolo 117 del decreto legislativo n. 196 del 2003 (sistemi informativi di cui sono titolari soggetti privati, utilizzati a fini di concessione di crediti al consumo o comunque riguardanti l'affidabilità e la puntualità nei pagamenti da parte degli interessati), anche per le finalità ivi previste, fatta salva la facoltà di istituire e partecipare ai sistemi di cui all'articolo 119 del medesimo decreto legislativo n. 196 (si tratta delle banche dati, registri ed elenchi tenuti da soggetti pubblici e privati, riferiti al comportamento debitorio dell'interessato nei casi diversi da quelli disciplinati nel codice di cui all'articolo 117).
La disposizione specifica che dall'attuazione della norma non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
L'articolo 7 aumenta l'addizionale IRES per le imprese operanti nel settore petrolifero e in quello dell'energia elettrica (cosiddetta «Robin Hood Tax») estendendo la platea delle imprese soggette all'imposta e includendovi quelle operanti nel campo delle energie rinnovabili e delle infrastrutture energetiche.
Il comma 1, introducendo modifiche al comma 16 dell'articolo 81 del decreto-legge n. 112 del 2008, prevede:
l'applicazione dell'addizionale IRES alle imprese con volume di ricavi superiore a 10 milioni di euro, purché abbiano contestualmente un reddito imponibile superiore a 1 milione di euro (abbassando pertanto la precedente soglia di 25 milioni di euro, stabilita dal citato decreto-legge n. 112 del 2008);
l'applicazione della predetta addizionale IRES anche alle imprese operanti nella trasmissione, dispacciamento e distribuzione di energia elettrica (mentre in precedenza l'addizionale era applicata solo per le imprese di produzione o commercializzazione di energia elettrica);
l'applicazione dell'addizionale IRES anche alle imprese operanti nel trasporto e distribuzione del gas naturale (precedentemente l'addizionale riguardava solo le imprese di ricerca, coltivazione, produzione o commercializzazione di gas naturale;
l'applicazione dell'addizionale IRES anche alle imprese produttrici di energia elettrica da fotovoltaico, biomasse ed eolico (precedentemente tali soggetti erano espressamente esclusi).

Il comma 2 prevede che il nuovo regime dell'addizionale IRES si applichi, in deroga al principio generale di non retroattività fiscale sancito dall'articolo 3 della legge n. 212 del 2000, a decorrere dal gennaio 2011 e, quindi, anche per gli 8 mesi già decorsi dall'inizio di quest'anno.
Il comma 3 prevede che l'addizionale dell'aliquota IRES sia è innalzata dal 6,5 al 10,5 per cento per i periodi di imposta dal 2011 al 2013 (al riguardo ricorda che l'aliquota dell'addizionale fissata originariamente nel 5,5 per cento era stata portata al 6,5 per cento dalla legge n. 99 del 2009).
In forza della nuova disciplina, talune categorie di imprese già soggette all'addizionale del 6,5 per cento in base al decreto-legge n. 112 vedono tale addizionale accresciuta al 10,5 per cento. Altre imprese, prima del tutto esenti da tale addizionale, vi sono oggi invece assoggettate con la medesima aliquota del 10,5 per cento.
Il comma 4 prevede che le disposizioni di cui ai commi 1 (aumento della platea dei soggetti operanti nei settori energetici obbligati alla contribuzione) e 3 (aumento

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di 4 punti percentuali dell'aliquota IRES) non rilevano ai fini della determinazione dell'acconto di imposta dovuto per il periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2010.
Il comma 5 stabilisce che i soggetti obbligati al versamento dell'addizionale, come prevista ai commi 1 e 3, hanno il divieto di traslare l'onere sui prezzi al consumo.
Il comma 6 stima le maggiori entrate derivanti nelle modifiche all'addizionale in misura non inferiore a 1,8 miliardi di euro per l'anno 2012 e a 900 milioni di euro per gli anni 2013 e 2014.
Sintetizzando brevissimamente gli altri contenuti del decreto-legge, l'articolo 1-bis reca l'interpretazione autentica della vigente disciplina in materia di trattamento economico del personale del Ministero degli esteri in servizio all'estero.
L'articolo 1-ter novella le disposizioni di attuazione del codice di procedura civile prevedendo che il giudice debba programmare le udienze del processo.
L'articolo 3 è volto principalmente ad eliminare le restrizioni all'accesso e all'esercizio delle professioni e delle attività economiche.
L'articolo 4 ridefinisce la disciplina dell'affidamento dei servizi locali di rilevanza economica a seguito dell'abrogazione dell'articolo 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, conseguente all'esito del referendum del 12 e 13 giugno 2011.
L'articolo 5 è principalmente volto a destinare una quota del Fondo infrastrutture, ad investimenti infrastrutturali effettuati dagli enti territoriali che procedono alla dismissione di partecipazioni in società esercenti servizi pubblici locali di rilevanza economica, diversi dal servizio idrico.
L'articolo 5-bis reca una deroga in favore delle regioni ricomprese nell'Obiettivo convergenza ai limiti di spesa introdotti dalla disciplina del patto di stabilità interno per le regioni a statuto ordinario stabiliti dalla legge di stabilità 2011, relativamente alla spesa effettuata da ciascuna regione a valere sulle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione sociale, sui cofinanziamenti nazionali dei fondi comunitari, nonché sulle risorse del Fondo infrastrutture.
L'articolo 6 reca principalmente una serie di norme di liberalizzazione e di semplificazione per lo svolgimento di attività economiche.
L'articolo 6-ter destina le risorse disponibili sul Fondo di rotazione per la progettualità prioritariamente alla progettazione delle opere già inserite nei piani triennali degli enti locali.
L'articolo 7-bis interviene in materia di autotrasporto, prevedendo che i costi minimi di esercizio relativi ai contratti stipulati in forma scritta, individuati sulla base di accordi di settore fra organizzazioni di vettori rappresentati nella Consulta generale per l'autotrasporto e per la logistica e organizzazioni associative dei committenti, debbano essere previamente sottoposti al parere della Consulta stessa.
L'articolo 8 reca disposizioni volte al sostegno della contrattazione collettiva di prossimità, disponendo sostanzialmente che i contratti collettivi di lavoro aziendali o territoriali, sottoscritti dalle associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale, ovvero dalle rappresentanze sindacali operanti in azienda in base alla legge e agli accordi confederali vigenti, possano realizzare specifiche intese, con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati, a condizione che siano sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario di rappresentanza sindacale.
L'articolo 9 semplifica le procedure in base alle quali i datori di lavoro possono modulare tra le diverse unità produttive ed amministrative le quote obbligatorie di assunzione di categorie protette.
L'articolo 10 interviene sulla disciplina sui fondi paritetici interprofessionali nazionali per la formazione continua.
L'articolo 11 reca alcune norme generali in materia di tirocini formativi e di orientamento.
L'articolo 12 inserisce due nuovi articoli nel codice penale attraverso i quali introduce la nuova fattispecie di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro

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(articolo 603-bis del codice penale) e individua particolari pene accessorie per i responsabili del delitto.
L'articolo 13 interviene in materia di riduzione dei costi delle istituzioni prevedendo: la riduzione delle indennità parlamentari; l'incompatibilità della carica di parlamentare e di membro del Governo con cariche pubbliche elettive monocratiche in enti pubblici territoriali; l'obbligo di svolgimento dei referendum in una unica data annuale.
L'articolo 14 reca una serie di parametri cui le regioni - ordinarie e speciali - devono adeguare la propria normativa, al fine di accedere alle misure premiali previste dalla disciplina del patto di stabilità per gli enti più virtuosi, in termini di non applicazione o applicazione parziale dei vincoli di spesa.
L'articolo 15 dispone il dimezzamento del numero dei consiglieri e degli assessori provinciali, a decorrere dal primo rinnovo degli organi di governo delle Province.
L'articolo 16 prevede, ai fini della riduzione dei costi relativi alla rappresentanza politica nei comuni e la razionalizzazione dell'esercizio delle funzioni comunali, l'obbligatorio esercizio in forma associata delle funzioni amministrative e dei servizi spettanti a legislazione vigente dei comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti, attraverso lo strumento dell'unione dei comuni previsto dall'articolo 32 del Testo unico degli enti locali.
L'articolo 17 apporta alcune modifiche alla disciplina del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL), tra le quali la riduzione del numero dei componenti da 122 a 72.
L'articolo 18 stabilisce che determinate categorie di soggetti cui sono attribuite funzioni pubbliche che per esigenze di servizio utilizzano il mezzo di trasporto aereo per gli spostamenti nei Paesi del Consiglio d'Europa, debbano viaggiare in classe economica.
L'articolo 19 reca la norma di copertura finanziaria, mentre l'articolo 19-bis specifica che l'attuazione delle norme del decreto-legge avviene nel rispetto dell'ordinamento delle regioni a statuto speciale e delle province autonome, nonché di quanto previsto dall'articolo 27 della legge n. 42 del 2009, il quale disciplina l'attuazione del federalismo fiscale nelle regioni a statuto speciale.
Segnala infine che l'articolo 1, commi da 2 a 5, del disegno di legge di conversione, delega il Governo a riorganizzare la distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari, attraverso la riduzione degli uffici giudiziari di primo grado (tribunali e giudici di pace) e l'accorpamento degli uffici requirenti.
Nell'esprimere una valutazione positiva sul provvedimento, propone fin d'ora di esprimere su di esso parere favorevole.

Cosimo VENTUCCI, presidente, con riferimento alla previsione di cui all'articolo 2, comma 36-vicies ter, la quale interviene sulla disciplina in materia di depositi IVA, prevedendo alcuni requisiti per i soggetti passivi IVA che intendono effetuare l'estrazione dei beni da tali depositi, evidenzia come tale norma intervenga sulla tematica affrontata dalla risoluzione a sua prima firma n. 7-00589, approvata dalla Commissione il 31 maggio scorso.
A tale proposito evidenzia come il tenore della disposizione, la quale, tra l'altro, consente l'estrazione dei beni ai soggetti iscritti alla Camera di commercio da almeno un anno, rispecchi sostanzialmente gli orientamenti assunti nel corso dell'ultimo anno da alcuni uffici territoriali dell'Agenzia delle dogane, segnatamente dalla direzione interregionale della Campania, al fine di eliminare talune distorsioni che erano invalse ormai nella prassi. Peraltro, la norma risulta più favorevole agli operatori dei predetti orientamenti, in quanto si richiede l'iscrizione alla Camera di commercio da solo un anno, laddove gli uffici dell'Amministrazione finanziaria richiedevano l'iscrizione almeno biennale.

Tea ALBINI (PD) esprime perplessità per il tenore dell'intervento del relatore, il quale si è soffermato sui soli aspetti tecnici del decreto-legge n. 138 del 2011, senza esprimere alcuna valutazione politica

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attinente all'impostazione generale della manovra, alle scelte sottese alle singole disposizioni - quanto meno a quelle di interesse della Commissione - e agli obiettivi di politica economica generale che l'Esecutivo intende perseguire.
Considera ciò tanto più grave, anche in quanto la probabile posizione della questione di fiducia da parte del Governo impedirà anche in Assemblea, per l'ennesima volta, lo svolgimento di un serio confronto tra maggioranza e opposizione.

Cosimo VENTUCCI, presidente, con riferimento alle considerazioni espresse dalla deputata Albini, ritiene, anche sulla base della sua lunga esperienza politica, che l'attività parlamentare svolta nelle Commissioni risulti radicalmente diversa da quella dell'Assemblea, connotandosi, soprattutto in una materia come quella tributaria, per uno spiccato tasso di tecnicità, che tende inevitabilmente ad eliminare alcuni eccessi di polemica politica che invece caratterizzano i dibattiti d'Aula.
In tale contesto ritiene che la Commissione Finanze costituisca sotto questo profilo un modello positivo, caratterizzandosi per un proficuo spirito di apertura e collaborazione che, a suo giudizio dovrebbe essere preso ad esempio anche da altre Commissioni parlamentari.

Stefano GRAZIANO (PD) evidenzia come il provvedimento in esame, penalizzando ancora una volta gli enti territoriali comporterà, sebbene i tagli inizialmente previsti dal decreto-legge n. 138 del 2011 siano stati ridotti di circa due miliardi di euro, un incremento della tassazione locale ed una riduzione dei servizi ai cittadini, di cui risentiranno in maniera più drammatica soprattutto le fasce più deboli della popolazione.
In tale contesto, il Mezzogiorno d'Italia è la parte del Paese che paga un prezzo ancora più alto, in quanto gli ulteriori tagli attuati con la manovra in discussione impediranno a moltissime amministrazioni locali di effettuare anche quei pochi investimenti che finora potevano consentirsi e, di conseguenza, priveranno delle corrispondenti risorse le economie locali, deprimendole ulteriormente.
Esprime, quindi, un profondo disagio di fronte all'ipotesi che il Governo ponga p l'ennesima volta la questione di fiducia, impedendo di riconsiderare la situazione di estrema difficoltà nella quale si trovano ad operare gli enti locali, soprattutto del Meridione.
Dichiara pertanto la propria netta contrarietà tanto al provvedimento quanto alla proposta di parere del relatore.

Francesco BARBATO (IdV) esprime la sua forte inquietudine per il contenuto del decreto-legge, dichiarandosi fortemente preoccupato per le sorti complessive del Paese, alla luce dell'incapacità del Governo di adottare misure che siano effettivamente in grado di superare la drammatica situazione nella quale l'Italia si trova. Tale incapacità è, del resto, implicitamente riconosciuta dallo stesso Ministro dell'Economia, il quale ha dichiarato, recentemente, che gli errori contenuti nel testo originario del decreto-legge sarebbero dovuti alla fretta con la quale esso è stato redatto, in soli quattro giorni. Considera infatti inconcepibile che il Governo non si sia accorto in tempo della gravità dei problemi che incombono sul Paese, riducendosi alla vigilia di Ferragosto prima di decidere di adottare una nuova manovra finanziaria che integrasse e rafforzasse quella, evidentemente insufficiente, approvata nel mese di luglio.
La vicenda politica di questi due ultimi mesi testimonia quindi ulteriormente dell'assoluto dilettantismo e della superficialità del Governo, nonché della sua inadeguatezza a cogliere il senso e le dimensioni della tempesta economico finanziaria in cui l'Italia è coinvolta. Sulla base di questi presupposti ritiene quindi molto probabile che anche l'ulteriore manovra finanziaria decisa dall'Esecutivo, a sua volta più volte modificata nel corso della convulsa discussione al Senato, non sia ancora sufficiente a risolvere tali problemi e che pertanto, in occasione del prossimo esame parlamentare del disegno di legge di bilancio e del

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disegno di legge di stabilità, occorrerà nuovamente intervenire per evitare il disastro delle finanze pubbliche.
Occorrerebbe invece, in questa prospettiva, che il Governo affrontasse con la massima serietà i temi dell'equilibrio dei conti pubblici e della complessiva tenuta, economica e sociale, della Nazione.
In ogni caso, un'analisi oggettiva dei fatti consente di dichiarare il completo fallimento del Governo e della maggioranza, certificato dall'incapacità di creare le condizioni per una reale crescita del Paese e per garantire effettivamente la stabilità del bilancio. Tale fallimento costituisce, a sua volta, la ragione per la quale l'Italia si trova di fronte a difficoltà maggiori di quelle di molti altri Paesi europei, che pure sono anch'essi coinvolti nella crisi economica globale, ed è ormai equiparata, nelle valutazioni degli osservatori internazionali, ad uno Stato, la Grecia, di cui è stato dichiarato il default.
Passando quindi ad alcune considerazioni di merito, evidenzia come l'incremento dell'aliquota IVA dal 20 al 21 per cento, disposta dal comma 2 bis dell'articolo 2, rappresenti l'ennesima decisione scellerata del Governo in materia tributaria, rappresentando uno strumento con il quale aumentare in modo indiscriminato la pressione fiscale su tutti i contribuenti, colpendo allo stesso modo i ceti più abbienti e le fasce di popolazione che si trovano in una condizione di debolezza economica. Anche in questo caso, dunque, l'Esecutivo ha scelto la strada dell'iniquità fiscale, senza avere la forza di introdurre un prelievo patrimoniale che consenta di concentrare i sacrifici su quei contribuenti che si trovano in una situazione economica migliore. Ritiene, infatti, che l'introduzione, disposta dal comma 2 dell'articolo 2, di un contributo di solidarietà sui redditi superiori a 300.000 euro annui rappresenti, al più, una misura di carattere meramente simbolico, che non consente di reperire risorse aggiuntive significative e che non può riequilibrare le sperequazioni attualmente esistenti nella distribuzione del carico tributario.
Esprime altresì forti perplessità sul comma 3 del medesimo articolo 2, il quale conferisce all'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato una delega, sostanzialmente indeterminata, ad intervenire sul settore dei giochi pubblici al fine di assicurare maggiori entrate all'Erario. Tale previsione conferma l'orientamento, già più volte ribadito dall'Esecutivo, di utilizzare l'espansione del settore dei giochi come panacea per sanare i problemi strutturali del bilancio pubblico, drogando la crescita di un comparto che, nel corso di quest'anno, raggiungerà un livello di fatturato assolutamente esorbitante, pari a 70 miliardi di euro. In tale contesto sarebbe necessario, perlomeno, che anche i concessionari dei giochi, la cui potente lobby ha condizionato certamente le scelte del Governo in materia, fossero chiamati a contribuire in modo più incisivo al risanamento del Paese, ad esempio ottenendo da quei concessionari cui sono state ascritte richieste di risarcimento per violazioni contrattuali, per un ammontare pari a circa 98 miliardi di euro, il versamento di tali somme.
Nel ribadire quindi la sua valutazione fortemente negativa sul provvedimento, preannuncia il voto contrario del proprio gruppo sulla proposta di parere formulata dal relatore.

Angelo CERA (UdCpTP) ritiene in generale che il provvedimento in esame, essendo frutto dell'urgenza con la quale il Governo è stato costretto a intervenire nuovamente, per tentare di stabilizzare la finanza pubblica dopo le gravi turbolenze manifestatesi sui mercati dei titoli del debito pubblico, si contraddistingua, in negativo, per la sua pessima fattura.
Soffermandosi, in particolare, sulla disposizione recata dall'articolo 13 del decreto-legge, come sostituito nel corso dell'iter presso il Senato - il quale dispone, al comma 3, che le cariche di deputato e di senatore sono incompatibili con qualsiasi altra carica pubblica elettiva di natura monocratica relativa ad organi di governo di enti pubblici territoriali aventi, alla data di indizione delle elezioni o della

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nomina, una popolazione superiore a 5.000 abitanti -, rileva come tale norma dimostri, ancora una volta, quanto il Governo sia lontano dai problemi reali dei territori e dalle difficoltà che le comunità locali stanno affannosamente affrontando.
Portando l'esempio del Comune di San Marco in Lamis, in provincia di Foggia, del quale è sindaco, osserva quindi come la predetta disposizione faccia improvvidamente venire meno, in pratica, l'unica possibilità, per il comune medesimo, di realizzare piccoli investimenti in infrastrutture, accedendo ai mutui della Cassa depositi e prestiti, destinando a tale scopo le somme corrispondenti all'indennità del sindaco, che egli non percepirebbe in quanto parlamentare.
Auspica, pertanto, che sia possibile indurre il Governo a un ripensamento, o mediante un emendamento, se non dovesse essere posta la questione di fiducia, o attraverso un ordine del giorno, evitando che debbano essere costretti ad abbandonare la carica proprio quei deputati e senatori che hanno dimostrato di incontrare personalmente il favore dei cittadini, dai quali sono stati eletti direttamente alla carica di sindaco, anche per portare con maggiore cognizione di causa le istanze territoriali all'attenzione del Parlamento.
Dichiara, pertanto, la propria contrarietà al provvedimento nel suo complesso e alla proposta di parere formulata dal relatore.

Marco CAUSI (PD), nell'esprimere la valutazione complessivamente negativa del gruppo del PD sul provvedimento in esame, sottolinea innanzitutto come quello attuale costituisca un momento eccezionale nella storia recente della Repubblica, evidenziando come l'eventuale stabilizzazione, al di sopra di 300 punti base, del differenziale dei tassi d'interesse tra i titoli del debito pubblico italiani e quelli tedeschi, e la sua progressiva estensione all'intero stock dei titoli, avrebbe conseguenze gravissime per gli equilibri di bilancio, comportando un incremento della spesa per interessi pari a circa 7 miliardi di euro per ogni 100 punti base di spread.
In tale contesto non si comprende quale sia stata la strategia perseguita dal Governo per tenere fuori il Paese dalla crisi finanziaria, che si preannunciava già alcuni mesi fa, né quale sia la linea che l'Esecutivo intende ora adottare per fare fronte a tale difficilissima situazione. In realtà, soprattutto in questi ultimi mesi, il Governo ha dimostrato tutta la sua incapacità, operando con superficialità, leggerezza e supponenza, e risultando pertanto corresponsabile della permanente fibrillazione in cui si trovano i mercati finanziari.
Ripercorrendo le fasi principali dell'azione di politica economica dell'ultimo anno, ricorda innanzitutto che, nell'aprile scorso, il Documento di economia e finanza predisposto dall'Esecutivo e trasmesso alla Commissione europea nell'ambito del Semestre europeo, prevedesse il raggiungimento del pareggio di bilancio nel 2014, attraverso una manovra finanziaria equivalente al 2,3 per cento del PIL, pari a circa 42 miliardi di euro. Il 7 giugno 2011, la Commissione europea, nel formulare le sue Raccomandazioni all'Italia, dichiarava che lo sforzo fiscale sotteso a tale manovra, nonché l'obiettivo di aggiustamento dei conti pubblici per gli anni successivi al 2012, fossero probabilmente superiori a quelli richiesti dalla stessa Commissione.
Già allora era pertanto possibile evidenziare come l'errore fondamentale commesso dal Governo fosse quello di sovrastimare gli effetti finanziari della manovra, laddove sussistevano forti dubbi circa la reale efficacia delle misure previste a centrare tali obiettivi. Con l'adozione del decreto-legge n. 98 del 2011, il quale prevedeva, nel testo originario, un miglioramento totale dei saldi, relativamente agli anni considerati, pari a circa 25 miliardi di euro, si è immediatamente compreso come le misure adottate fossero largamente insufficienti, determinando pertanto un crollo della fiducia dei mercati nei confronti dell'Italia.
Per tale ragione, nel corso dell'esame al Senato del medesimo decreto-legge n. 98, l'ammontare complessivo di quella manovra è stato portato a 47 miliardi di euro,

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anche in questo caso, tuttavia, sovrastimando gli effetti della cosiddetta «clausola di salvaguardia» contenuta nell'articolo 40, comma 1-ter, del medesimo decreto. Tale ultima previsione stabiliva, infatti, che i regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale fossero ridotti del 5 per cento per il 2013 e del 20 per cento a decorrere dal 2014, qualora, entro il 30 settembre 2013, non fosse esercitata la delega per il riordino della spesa in materia sociale prevista dal disegno di legge C. 4566, attualmente all'esame, in sede referente, della Commissione Finanze, il quale dovrebbe portare ad una riduzione dell'indebitamento netto non inferiore a 4 miliardi di euro per il 2013 ed a 20 miliardi a decorrere dal 2014.
Anche in questo caso, tuttavia, si è trattato di un mero escamotage del Governo, il quale non ha certamente convinto i mercati circa l'effettiva solidità della manovra: infatti, è apparso subito evidente come molti dei regimi di favore previsti dall'ordinamento tributario non siano radicalmente eliminabili e come la riforma del sistema dell'assistenza non potrà certamente portare i risparmi attesi dalla sopracitata norma.
In presenza di tali evidenti segni di debolezza nelle scelte di politica economica, le fibrillazioni dei mercati si sono ulteriormente acuite dopo l'approvazione del disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 98, costringendo pertanto l'Esecutivo ad adottare, con il decreto-legge n. 138, un ulteriore manovra che, tuttavia, reca, a sua volta, numerosi errori concettuali. Infatti, sebbene il Governo affermi che, all'indomani dell'adozione del decreto-legge n. 138, le dimensioni complessive dell'intervento correttivo sono giunte a 54 miliardi di euro, molte delle misure previste da tale ultimo decreto non possono essere considerate aggiuntive rispetto a quelle contenute nel decreto-legge n. 98, ma sostitutive di maggiori entrate o minori spese che, in realtà non potranno essere realizzate. Sarebbe pertanto stato preferibile adottare, fin dall'inizio, misure dagli effetti certi e sicuri, piuttosto che indulgere in una serie continua annunci ed aggiustamenti che hanno alimentato le incertezze ed i dubbi.
A questo punto è indispensabile che il Governo chiarisca il suo disegno di politica fiscale, il quale deve essere considerato tenendo anche conto del disegno di legge di delega del sistema fiscale già all'esame della Commissione.
Finora, infatti, tale impostazione appare iniqua ed insufficiente, nonché frutto di un vero e proprio sbandamento culturale della maggioranza, la quale aveva dichiarato programmaticamente di voler impostare la propria azione di politica tributaria sul principio dello spostamento dell'asse del prelievo dalle persone alle cose. Questa impostazione è stata tuttavia tradita dalle stesse scelte che la maggioranza ha compiuto nel corso della Legislatura.
Occorre infatti considerare che i principali elementi che possono essere colpiti dall'imposizione indiretta sono costituiti dagli immobili o dai consumi. Per quanto riguarda il primo profilo, gli spazi di tassazione degli immobili sono stati fortemente pregiudicati dall'impegno, assunto dalla maggioranza in termini elettoralistici, di mantenere a tutti i costi l'esenzione della prima casa, mentre, per quanto riguarda l'incremento del prelievo sui consumi, che pure costituisce un opzione da approfondire, ad esempio per le opportunità che potrebbe offrire in termini di sostegno alle imprese esportatrici italiane, essa è stata ormai già utilizzata dal Governo attraverso l'incremento al 21 per cento dell'aliquota IVA ordinaria disposta dal decreto-legge in esame, e non si vede pertanto come possa realizzarsi un più complessivo intervento di riforma in tale materia.
Un ulteriore sbandamento nell'orientamento della maggioranza in materia di fisco riguarda poi la sostanziale rinuncia al federalismo fiscale, che avrebbe dovuto invece rappresentare l'elemento politicamente caratterizzante dell'intera Legislatura: infatti, i rilevantissimi tagli alle autonomie locali, attraverso i quali il Governo ha in larga parte realizzato i propri

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interventi correttivi, costituiscono un insormontabile ostacolo in quella direzione, impedendo agli enti locali di erogare ai cittadini i servizi essenziali.
Manca altresì, nelle manovre finora adottate, ogni elemento di sostegno all'economia, che avrebbe potuto essere perseguito, ad esempio, anticipando, come è stato fatto opportunamente per quanto riguarda la riforma del regime di tassazione delle rendite finanziarie, l'introduzione del meccanismo di aiuto alla crescita economica (ACE) previsto dall'articolo 7 del disegno di legge di delega per la riforma fiscale.
A causa di tali gravissime incertezze, il Governo e la maggioranza hanno mancato di imboccare la strada maestra da seguire in tale frangente, invitando tutte le forze politiche e sociali del Paese ad un'azione di coesione e responsabilità nazionale, sulla falsariga di quanto avvenuto in Spagna, in cui il Governo, dimettendosi e cercando il consenso dell'opposizione, ha saputo adottare misure efficaci che hanno consentito di ridurre lo spread nei tassi d'interesse nei titoli pubblici ad un livello inferiore a quello dei titoli pubblici italiani, sebbene i fondamentali della nostra economia siano migliori di quella spagnola.
Passando quindi ad alcune questioni specifiche, ritiene sbagliata la scelta di ridurre solo le agevolazioni tributarie riconosciute alle società cooperative, laddove sarebbe stato invece preferibile cercare il consenso delle parti sociali su una più equa ripartizione dei sacrifici tra tutti gli operatori economici. Parimenti, sarebbe stato necessario realizzare la revisione dei decreti legislativi sulla finanza comunale, su cui lo stesso Ministro Calderoli aveva dichiarato la sua disponibilità, nonché compiere ogni sforzo per favorire la piena realizzazione dell'accordo stipulato tra i sindacati e le imprese il 28 giugno scorso, evitando di intervenire in modo traumatico sui delicatissimi temi delle relazioni contrattuali attraverso le previsioni dell'articolo 8 del decreto-legge.
Ritiene quindi che, in tale contesto, il Parlamento sarà presto chiamato ad ulteriori, difficili scelte, dichiarando l'auspicio del gruppo del PD che ciò possa avvenire in un contesto di maggiore coesione e serietà.

Maurizio LEO (PdL) ricorda, innanzitutto, come l'aumento dell'aliquota ordinaria dell'imposta sul valore aggiunto dal 20 al 21 per cento non sia dovuto a una scelta solitaria del Governo, ma sia da ricondurre, in realtà, a una precisa indicazione dell'Unione europea, la quale aveva suggerito al Governo italiano l'adozione di misure strutturali. Sulla base di tale presupposto, il Governo ha incrementato di un punto una delle tre aliquote vigenti, anche per allinearla a quella vigente in altri Paesi europei, in alcuni dei quali vige un'aliquota ordinaria superiore al 21 per cento.
Per quanto riguarda il preannunciato passaggio della tassazione dalle persone alle cose, ovvero della riduzione dell'imposizione diretta e dell'aumento dell'imposizione indiretta, ribadisce la volontà dell'Esecutivo e della maggioranza di dare forma, attraverso il disegno di legge delega per la riforma fiscale, a un sistema tributario imperniato su tale principio, mantenendo gli equilibri di finanza pubblica e salvaguardando le fasce più deboli della popolazione.
Con specifico riferimenti agli interrogativi sollevati dal deputato Causi, secondo il quale sarebbero incerte, alla luce degli ultimi interventi, le prospettive future del sistema fiscale italiano, osserva, peraltro, come una prima indicazione circa la strada maestra che l'Esecutivo intende seguire in tale ambito, sia fornita dall'articolo 2, commi da 36-quinquies a 36-duodevicies, del provvedimento, recanti disposizioni volte a colpire con fermezza le forme di evasione attuate attraverso il ricorso alle cosiddette società di comodo. In tali disposizioni si prevede, tra l'altro, l'indeducibilità dei costi relativi ai beni concessi ai soci o ai familiari per un corrispettivo annuo inferiore al valore di mercato, nonché controlli sistematici sulle persone fisiche che utilizzano i beni concessi in godimento da parte dell'Agenzia

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delle entrate, la quale potrà tener conto, ai fini della ricostruzione sintetica del reddito, di qualsiasi forma di finanziamento o capitalizzazione effettuata nei confronti della società.
Richiama, infine, le disposizioni, la cui importanza è stata trascurata nel dibattito, concernenti la disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e IVA, rilevando come il Governo, anziché ricorrere alla figura dei reati di pericolo, adottato dal legislatore del 1982, abbia invece opportunamente abbassato, novellando il decreto legislativo n. 74 del 2000, la soglia di imposta evasa a partire dalla quale scatta l'applicazione delle sanzioni penali.
A tale proposito, ritiene meritevole di condivisione, in particolare, la norma secondo la quale, affinché non si applichi l'istituto della sospensione condizionale della pena, occorre che l'imposta evasa superi non soltanto i 3 milioni di euro, ma anche il 30 per cento del volume d'affari, in ragione del fatto che tale disposizione consente di calibrare meglio la sanzione in relazione alle dimensioni dell'impresa e alla conseguente rilevanza del comportamento illecito.
In conclusione, ritiene che il decreto-legge in esame, contenendo interventi strutturali, consenta non soltanto di dare ai mercati e all'Unione europea le risposte che essi si attendono, allineando il nostro Paese agli standard più avanzati, ma anche di perseguire gli obiettivi del contrasto dell'evasione fiscale e della razionalizzazione del sistema tributario, al cui conseguimento contribuiranno, in un quadro che terrà conto delle esigenze degli enti e delle comunità locali, il disegno di legge delega per la riforma fiscale e assistenziale e i provvedimenti per l'attuazione del federalismo.

La Commissione approva la proposta di parere del relatore.

La seduta termina alle 16.50.