CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 12 luglio 2011
509.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Affari sociali (XII)
COMUNICATO
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SEDE CONSULTIVA

Martedì 12 luglio 2011. - Presidenza del presidente Giuseppe PALUMBO. - Interviene il Ministro della salute Ferruccio Fazio.

La seduta comincia alle 13.45.

DL 94/2011: Misure urgenti in tema di rifiuti solidi urbani prodotti nella regione Campania.
C. 4480 Governo.
(Parere alla VIII Commissione).
(Esame e rinvio).

Giuseppe PALUMBO, presidente, poiché il relatore ha rappresentato l'esigenza di allontanarsi dalla Commissione al fine di poter seguire l'esame in sede referente del disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 94 del 2011, che sta per avere inizio presso l'VIII Commissione, propone di procedere all'inversione dell'ordine del giorno, passando immediatamente all'esame, in sede consultiva, del citato provvedimento.

La Commissione concorda. Inizia, quindi, l'esame del provvedimento in oggetto.

Lucio BARANI (PdL), relatore, ricorda che la Commissione è chiamata ad esprimere alla VIII Commissione il prescritto parere sulle parti di competenza del disegno di legge n. 4480, recante conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1o luglio 2011, n. 94: «Misure urgenti in tema di rifiuti solidi urbani prodotti nella regione Campania». In proposito, segnala che i profili di competenza della Commissione appaiono piuttosto limitati. Ritiene, comunque, doveroso fare alcune premesse sulla presenza a Napoli e nel suo hinterland di cumuli disordinati e malsani di rifiuti che possono generare un problema igienico sanitario per la popolazione locale, un grave degrado dell'immagine di Napoli, un danno gravissimo al turismo e all'economia campana, oltre che numerosi problemi di ordine pubblico. Le cause di questa emergenza acuta e, nello stesso tempo, cronica sono complesse; la causa principale è certamente una commistione di interessi politici, imprenditoriali

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e camorristici; sicuramente, si sono rilevati errori tecnico-amministrativi, con gravi ritardi nelle opere di pianificazione che vengono da quindici anni di cattiva gestione degli amministratori locali. Inoltre, un apparato burocratico clientelare e uno scollamento - quando non un'aperta conflittualità - tra apparati e poteri dello Stato hanno posto gravi intralci all'individuazione di una rapida soluzione del problema. In particolare, sottolinea come negli anni passati la regione e gli altri enti territoriali abbiano avuto la pessima abitudine di utilizzare le risorse non per avviare tempestivamente un ciclo industriale integrato dei rifiuti, bensì per costruire apparati burocratici, formare consigli di amministrazione di società miste, assumere lavoratori da lasciare inutilizzati: politiche di rassegnato sostegno dell'esistente, nell'illusione che l'esistente sostenesse indefinitamente la politica. Fin dal suo insediamento, la nuova Giunta regionale ha fatto sì che quegli stessi interessi particolaristici, che hanno condizionato per anni anche la gestione dei fondi europei, fossero spezzati e si riuscisse, con il nuovo piano rifiuti, in un tempo tecnico di tre anni, a uscire dalla crisi cronica. Tre termovalorizzatori, oltre a quello di Acerra, e un gassificatore consentiranno alla Campania di diventare una regione normale: per avere un'idea dei ritardi che la Campania ha accumulato, si consideri che l'Abruzzo, con un milione di abitanti, ha sei impianti di compostaggio, diciassette discariche, dieci impianti di trattamento; l'Emilia-Romagna, con quattro milioni di abitanti, ha diciannove impianti di compostaggio, otto termovalorizzatori, ventidue discariche, dodici impianti di trattamento; la Toscana, con tre milioni di abitanti, ha sedici impianti di compostaggio, otto termovalorizzatori, sedici discariche, sedici impianti di trattamento. Il ritardo della Campania è palese, visti i suoi dieci impianti di compostaggio, il suo unico termovalorizzatore, le cinque discariche e i sette impianti di trattamento. Il piano dell'attuale Giunta regionale è snello e dinamico e colmerà questo divario nei prossimi tre anni; non si esclude, peraltro, che nuove crisi possano verificarsi, perché il sistema attualmente in essere si può bloccare per un niente, come avvenuto nei giorni scorsi.
Rileva, poi, che un motivo di preoccupazione è dettato dalla cosiddetta «giustizia ad orologeria», un ineludibile tema che occupa gran parte della discussione politica, parlamentare e mediatica e che, anche nel caso dei rifiuti in Campania, ha visto, in modo molto grottesco, la magistratura indagare il presidente della regione Stefano Caldoro, in carica da poco più di un anno, nell'ambito dell'inchiesta della Procura di Napoli sui rischi per la salute pubblica determinati dalla mancata raccolta dei rifiuti. La domanda, apparentemente semplice, sollevata da molti politici e giornalisti, in questo momento, è per quale ragione la magistratura a Napoli si muova proprio adesso per verificare lo smaltimento dei rifiuti e solo adesso si occupi, dopo quindici anni, della salute pubblica. L'errore dei giudici è, a suo avviso, macroscopico, perché anche il ministro della salute, rispondendo a una interrogazione a risposta immediata in Commissione e durante la sua visita a Napoli, ha escluso qualsiasi tipo di epidemia derivante dall'attuale emergenza. Giudica, dunque, fuori luogo l'idea di attribuire al presidente Caldoro responsabilità che certamente non possono non tenere conto del tempo limitato per cui ha governato. I giudici della Procura di Napoli, così facendo, non solo screditano le istituzioni, ma rischiano di affondare un'economia che si trova già in seria difficoltà.
Osserva, invece, che il sindaco di Napoli farebbe bene a valutare con attenzione la situazione, assumendosi le responsabilità anche di comportamenti che risalgono a prima delle sue elezioni, evitando annunci e atteggiamenti baldanzosi che non aiutano né a risolvere la situazione né a creare il giusto clima di collaborazione tra tutte le istituzioni. Il compito del sindaco di Napoli è oggi quello di risolvere l'emergenza nell'immediato, ma è soprattutto quello di pensare a una collaborazione tra le istituzioni senza veti, per creare le condizioni affinché si realizzino le infrastrutture

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necessarie a risolvere definitivamente il problema. Non si può continuare a dire a parole che si vuole risolvere l'emergenza e, con i fatti, bloccare tutto mediante ricorsi al T.A.R.
Ritiene doveroso sottolineare, altresì, come la relazione della Corte dei conti, che indicava gli sprechi e le ruberie delle passate gestioni, è ormai datata e risale a molti anni fa. Premesso che bisogna conoscere gli atti su cui stanno operando i magistrati partenopei, non va sottaciuto che, secondo molti autorevoli commenti politici e istituzionali, anche duri e significativi, questo blitz dà l'impressione che certi giudici abbiano creduto che il tenere sulla corda l'attuale maggioranza, su un problema così sensibile come è diventata la spazzatura a Napoli, possa essere un'indispensabile mossa tattica; ma, ovviamente, si tratta di una mera ipotesi.
Si chiede, poi, perché la Procura di Napoli non verifichi anche quello che è stato ereditato e se tutti stiano facendo quanto è previsto dalla legge. Crede, ad esempio, che i sindaci non stiano facendo il loro dovere, bensì creando pericoli per l'igiene pubblica.
Passando ai contenuti del disegno di legge in esame, fa presente che esso è volto a stabilire misure necessarie e urgenti per superare le attuali criticità nella gestione del ciclo integrato dei rifiuti nella regione Campania e, in particolare, nella città di Napoli. Si tratta di norme atte a evitare possibili ripercussioni o pregiudizi sulla salute della popolazione e sull'ordine pubblico. In particolare, sottolinea che l'articolo 1, in considerazione dello stato di criticità derivante dalla non autosufficienza del sistema di gestione dei rifiuti urbani non pericolosi prodotti nella regione Campania, consente, sino al 31 dicembre 2011, lo smaltimento fuori regione dei rifiuti derivanti dalle attività di tritovagliatura praticate negli impianti STIR della regione Campania. Lo stesso comma, inoltre, precisa che tale smaltimento potrà avvenire in deroga sia al divieto di smaltimento extraregionale disposto, per i rifiuti urbani, dall'articolo 182, comma 3, del decreto legislativo n. 152 del 2006, sia alle procedure di cui all'articolo 1, comma 7, del decreto-legge n. 196 del 2010. Ai fini dello smaltimento è comunque sempre richiesto il nulla osta della regione di destinazione.
Fa presente, quindi, che il comma 3 dell'articolo 1 reca una disposizione collegata a quella recata dal comma 1. Tale comma prescrive, infatti, che in attuazione del principio comunitario della prossimità per lo smaltimento dei rifiuti, i trasferimenti extraregionali consentiti dal comma 1 abbiano come destinazione prioritaria gli impianti ubicati nelle regioni limitrofe alla Campania. Il comma 2 dell'articolo 1 integra il disposto del secondo periodo del comma 2 dell'articolo 1 del decreto-legge n.196 del 2010, al fine di introdurre ulteriori compiti e funzioni in capo al Commissario straordinario che, nominato dal presidente della regione Campania per un periodo massimo di dodici mesi, ha il compito di provvedere all'individuazione di «ulteriori aree dove realizzare siti da destinare a discarica anche tra le cave abbandonate o dismesse con priorità per quelle acquisite al patrimonio pubblico».
Ricorda, altresì, che con il decreto del Presidente della Giunta regionale della Campania n. 64 del 23 marzo 2011, il viceprefetto Annunziato Vardè è stato nominato, per la durata di dodici mesi, decorrenti dal 6 aprile 2011, commissario straordinario, ai sensi dell'articolo 1, comma 2, del decreto-legge n. 196 del 2010, ai fini dell'espletamento delle procedure finalizzate all'individuazione dei siti e alla realizzazione di impianti di discarica nel territorio della provincia di Napoli.
Condividendo, infine, le finalità generali del provvedimento in esame e, in particolare, l'esigenza di salvaguardare, con tale decreto-legge, la salute pubblica e la sicurezza sociale, preannuncia una proposta di parere favorevole, riservandosi di illustrare le eventuali modifiche di interesse della Commissione approvate in sede referente.

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Giuseppe PALUMBO, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 14.

ATTI DEL GOVERNO

Martedì 12 luglio 2011. - Presidenza del presidente Giuseppe PALUMBO. - Interviene il Ministro della salute Ferruccio Fazio.

La seduta comincia alle 14.

Schema di Piano sanitario nazionale 2011-2013.
Atto n. 370.
(Seguito dell'esame, ai sensi dell'articolo 143, comma 4, del regolamento, e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame dello schema all'ordine del giorno, rinviato, da ultimo, nella seduta del 7 luglio 2011.

Laura MOLTENI (LNP) osserva che lo schema di Piano sanitario nazionale in esame appare per molti versi strategico, in quanto elaborato in un contesto storico di grande cambiamento sul versante sanitario. Il nuovo Piano si pone, infatti, al crocevia di tre momenti fondamentali di transizione. Si riferisce, innanzitutto, alla transizione dal vecchio sistema di ripartizione delle risorse dallo Stato alle regioni per l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA), al nuovo meccanismo di finanziamento integrale dei LEA in base ai costi standard: è, questa, una transizione che, come noto, segna il passaggio da un sistema eminentemente politico di determinazione dei fabbisogni sanitari a un sistema incentrato sul finanziamento delle prestazioni sulla base del loro livello ottimale di costo; la transizione, cioè, a un nuovo concetto di livelli essenziali di assistenza, fondato non sulla mera determinazione delle prestazioni da erogare sull'intero territorio nazionale, ma su una ponderazione anche della qualità e appropriatezza delle prestazioni stesse. Come correttamente osservato nel Piano, ciò che conta non è solo e solo l'astratta garanzia di accessibilità di una determinata prestazione, ma anche le ulteriori garanzie che consentono di stabilire come e a quali condizioni la prestazione è offerta. Tale passaggio istituzionale coinvolge, come noto, la definizione di quegli standard qualitativi, quantitativi, di esito e di processo cui già faceva riferimento la legge finanziaria per il 2005; l'attuale contesto storico, infine, appare strategico anche perché sono passati ormai più di cinque anni dalla prima attuazione della normativa nazionale sui piani di rientro e, dunque, sicuramente esistono le condizioni per fare una seria riflessione sull'esito dei programmi di risanamento dei deficit sanitari delle regioni con le peggiori performance.
Rileva che questi tre questi snodi storici del Servizio sanitario nazionale sono adeguatamente contemplati nel Piano. Tale rilievo deve evidentemente essere interpretato alla luce della più ampia trasformazione che, da alcuni anni, ha interessato il Piano sanitario nazionale: mentre, infatti, il decreto legislativo n. 502 del 1992 ha attribuito a tale Piano un compito molto ambizioso, cioè quello di definire i livelli essenziali delle prestazioni, in linea di fatto lo spazio riservato alla programmazione sanitaria si è limitato molto, fino a ridursi a una semplice dichiarazione di intenti per le linee future di intervento nel settore sanitario. Tale ridimensionamento del ruolo istituzionale del Piano è stato determinato anche dal nuovo ruolo assunto dai cosiddetti «Patti per la salute», sottoscritti sotto forma di accordi o intese in seno alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato e le regioni.
Le principali novità introdotte dal Piano in esame, che pone in evidenza alcune delle più recenti tendenze e sfide che interessano il Servizio sanitario nazionale, attengono al problema della riorganizzazione del sistema di assistenza sanitaria, necessaria per far fronte alla gestione delle cronicità legate, tra l'altro, al progressivo invecchiamento della popolazione, al miglioramento degli stili di vita,

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alle evoluzioni della scienza medica. Nel Piano si indica con chiarezza che una delle principali sfide del futuro è quella legata alla gestione delle non autosufficienze; ma, a questo proposito, forse non si afferma con sufficiente chiarezza che il percorso da avviare per affrontare la sfida della non autosufficienza è quello dell'integrazione socio-sanitaria. Proprio a questo riguardo, desidera sottolineare che alcune regioni, a partire dalla Lombardia, hanno ormai avviato con successo un percorso di programmazione socio-sanitaria integrata, che porta all'adozione di un Piano socio-sanitario e non già di un semplice Piano sanitario. È, questo, un percorso che astrattamente appare auspicabile anche per il livello nazionale, salvo tuttavia specificare che le competenze dello Stato nel settore dell'assistenza sociale sono assolutamente limitate e che la promozione a livello nazionale di una programmazione socio-sanitaria potrebbe essere fortemente contestata dalle regioni. Forse, l'unica sede per promuovere una programmazione integrata di questo tipo potrebbe essere quella della Conferenza Stato-regioni.
Il problema, poi, della riduzione delle disomogeneità esistenti a livello interregionale rispetto all'erogazione dei livelli essenziali di assistenza è un profilo assolutamente centrale del Piano, rispetto al quale manifesta una certa soddisfazione per l'introduzione di rinvii espliciti agli strumenti da adottare per la valutazione dell'appropriatezza; il riferimento è, ad esempio, alla cosiddetta «griglia LEA», che fornisce gli indicatori di base per misurare le prestazioni erogate nei diversi ambiti assistenziali. Quanto all'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, è una sfida senz'altro attuale e rilevante, che potrà tuttavia essere vinta solo se si definiscono le risorse per finanziare questi livelli, tendenzialmente aggiuntivi, delle prestazioni. In un momento di crisi economica e finanziaria come quello attuale, è infatti improbabile che si possano rinvenire livelli significativi di risorse aggiuntive, ragioni per cui la revisione dei LEA si risolve ancora una volta nella capacità di implementare politiche di contenimento delle inefficienze presenti e delle aree di inappropriatezza. Incidentalmente, osserva che la revisione dei LEA è resa difficile, in alcuni casi, da ragioni organizzative diverse da quelle più strettamente finanziarie. In particolare, segnala il caso dell'inclusione, all'interno dei LEA, dell'analgesia epidurale in fase di parto, che, pur richiedendo una copertura finanziaria nel complesso non proibitiva, difficilmente può essere garantita nel breve periodo, a causa della carenza di medici anestesisti.
Osserva, quindi, che nella parte introduttiva del documento si fa riferimento anche al governo clinico come sfida prioritaria del sistema. Evidenzia, tuttavia, che, data la natura polisemica della nozione di governo clinico, non è del tutto chiaro quale sia il significato che il Piano intende dare al concetto in esame, né sono chiare le soluzioni operative concretamente proposte. A questo proposito, ricorda che tre sono i concetti fondamentali che qualificano il governo clinico: il concetto di responsabilità delle organizzazioni sanitarie, poiché, in ambito sanitario, la responsabilità amministrativa e gestionale va riferita sia ai risultati raggiunti in termini di effettività ed efficacia del servizio erogato agli utenti, sia alle performance economiche conseguite, inglobando in questo modo anche il dato economico-contabile; la responsabilità, inoltre, riguarda l'organizzazione sanitaria nel suo complesso e i singoli operatori che ne fanno parte, secondo un criterio di suddivisione dei compiti su diversi livelli; il concetto, poi, di trasparenza, intesa come accountability, ovvero come capacità di dar conto agli utenti del servizio dei risultati conseguiti, evidenziando sia i successi sia gli insuccessi; il concetto del miglioramento della qualità delle prestazioni erogate, in quanto l'esigenza di garantire agli utenti elevati livelli delle prestazioni impone di attivare percorsi strutturati di monitoraggio dei servizi e di costruzione di percorsi clinici e organizzativi finalizzati a permettere un'attenzione sistematica e continuativa alla qualità dell'assistenza. Ritiene che sarebbe,

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quindi, opportuno che nel documento si specificasse con maggiore chiarezza in che modo deve essere inteso il riferimento al governo clinico.
Altro punto che ritiene importante è il problema della definizione dei costi standard, che sicuramente trova una sua compiuta definizione nel decreto legislativo n. 68 del 2011, ma che certamente offre lo spunto anche per una più diffusa riflessione a livello di Piano sanitario. A questo proposito, osserva che l'approccio al tema contenuto nel documento in esame appare più che mai condivisibile. Pur tuttavia, si dovrebbe forse aprire una riflessione sulle regole che, nel medio e lungo periodo, consentiranno di rendere effettivo il finanziamento dei LEA in base al costo standard. È, Infatti, agevole prevedere che, anche a seguito dell'entrata a regime del nuovo sistema di finanziamento del Servizio sanitario nazionale, continueranno a esistere disavanzi regionali e che tali disavanzi saranno, comunque, posti a carico dei rispettivi bilanci regionali. Ma occorre domandarsi quali siano i percorsi idonei a evitare che si perpetuino situazioni di grave crisi economica e gestionale a livello regionale. In altri termini, se si intenda confermare o meno la procedura sui piani di rientro, introdotta, come noto, dall'articolo 1, comma 180, della legge n. 311 del 2004 e poi progressivamente rivista e raffinata dai successivi Patti per la salute. La sfida che realmente si apre in questo settore è quella della valutazione dell'effettività ed efficacia della procedura di rientro come strumento per risanare non solo la contabilità regionale, ma anche la gestione sanitaria effettiva di ogni regione. Se, infatti, i piani di rientro si rivelassero utili, per così dire, solo a «tappare le falle» del bilancio regionale, probabilmente bisognerebbe riflettere su un percorso alternativo di risanamento. Per questo, occorre attivare tavoli di monitoraggio che verifichino in concreto se e come le regioni soggette a piani di rientro abbiano effettivamente risanato l'organizzazione e il funzionamento del Servizio sanitario regionale, adottando quelle misure strutturali, quali ad esempio l'abbattimento dei posti letto, la creazione di percorsi di assistenza domiciliare integrata, la riorganizzazione dei percorsi di assistenza farmaceutica, che appaiono necessarie per evitare che si perpetuino situazioni di deficit.
Rileva, poi, che il Piano dedica molta attenzione al tema della valutazione del grado di soddisfazione del cittadino sui servizi erogati dal Sistema sanitario nazionale e, in particolare, sulle qualità delle prestazioni offerte. Che un sistema manageriale di gestione della salute debba cercare di incorporare il giudizio degli utenti pare una constatazione per molti versi ovvia. Tuttavia, si esprimono alcuni dubbi sulla effettiva attendibilità dei sistemi di valutazione della soddisfazione dei cittadini fondati sulla distribuzione di questionari e altri strumenti affini, che facilmente si prestano a manipolazioni.
Particolarmente interessante e innovativo appare anche il tema dell'empowerment, rispetto al quale si pone l'accento su quelle innovazioni atte a garantire piena trasparenza ai cittadini sui meccanismi di funzionamento e sulle modalità di accesso delle strutture sanitarie. Ribadisce, tuttavia, che su questo aspetto appare centrale il ruolo delle regioni, sia sul piano amministrativo, sia su quello legislativo.
Sul problema delle liste di attesa, il Piano sanitario prevede, in particolare, le seguenti azioni: la messa a sistema di soluzioni operative per la gestione dei flussi informativi disponibili per monitorare i tempi di attesa delle prestazioni ambulatoriali e quelli di ricovero programmato, erogate singolarmente o nell'ambito di specifici percorsi, garantite dal Servizio sanitario nazionale sia in regime istituzionale sia in regime di libera professione, per garantire l'affidabilità e la trasparenza dei dati sui tempi d'attesa; la definizione delle modalità di utilizzo della libera professione intramuraria nell'ambito del governo delle liste d'attesa per conto e a carico delle aziende, per contenere i tempi di attesa per le prestazioni particolarmente critiche in regime istituzionale; la gestione degli accessi attraverso l'uso del sistema CUP sulla base di quanto

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previsto dall'Intesa Stato-regioni del 29 aprile 2010, anche prevedendo possibilità di sviluppo di iniziative di Information & Communication Technologies per realizzare funzionalità automatizzate ai fini della gestione del processo di prescrizione, prenotazione e refertazione; l'individuazione delle modalità di ristoro per il cittadino, prevedendo forme alternative di accesso alla prestazione, nel caso in cui non vengano garantite a livello aziendale le prestazioni nei tempi massimi di attesa individuati in sede regionale; la comunicazione delle liste d'attesa anche attraverso la valorizzazione della partecipazione di utenti e di associazioni di tutela e di volontariato, per favorire un'adeguata conoscenza delle attività e delle modalità di accesso alla prenotazione delle prestazioni, attraverso campagne informative, uffici per le relazioni con il pubblico (URP), carte dei servizi, nonché sezioni facilmente accessibili sui siti Web regionali e aziendali; il monitoraggio sistematico dei tempi massimi regionali sui siti Web di regioni, pubbliche amministrazioni e aziende sanitarie pubbliche e private accreditate, per garantire la trasparenza e l'accesso alle informazioni su liste e tempi di attesa.
Nel complesso, ritiene si tratti di misure ampiamente condivisibili, rispetto alle quali è più che mai opportuno prevedere forme sanzionatorie per quelle regioni che non rispettano gli impegni programmati, eventualmente anche in aggiunta alle previste forme di ristoro per il cittadino.

Vittoria D'INCECCO (PD), dopo aver rilevato come la Conferenza unificata non abbia ancora espresso il previsto parere sullo schema di Piano sanitario in esame, sottolinea che questo Piano rappresenta un atto di programmazione fondamentale per il governo della sanità in Italia. Esprime, perciò, sconcerto per il fatto che esso giunga all'esame della Camera dopo oltre cinque mesi dall'approvazione preliminare in sede di Consiglio dei ministri. Rileva, quindi, come il Piano sia particolarmente carente in ordine agli interventi per garantire l'attuazione dei livelli essenziali di assistenza, che, come noto, non vengono aggiornati da ormai dieci anni. Altrettanto carente appare la sezione del Piano dedicata alle professioni sanitarie, nonostante le numerose tensioni che hanno attraversato tale settore negli ultimi anni. Rileva, inoltre, che l'incidenza della spesa sanitaria sul PIL, se da un lato può rappresentare un motivo di soddisfazione sotto il profilo finanziario attestandosi al di sotto di quella francese e tedesca, può, d'altra parte, contribuire a spiegare le carenze che, in termini di qualità dei servizi, si registrano soprattutto in alcune aree del Paese. Più in generale, osserva come le priorità individuate nel Piano rischino di essere solo un elenco di buoni propositi, cui non fanno seguito azioni concrete, adeguate e coerenti. Tutto ciò rende, a suo avviso, difficile formulare un giudizio compiuto sul Piano, specie per chi, come i deputati del suo gruppo, esprime una visione della sanità che mette al centro i bisogni, i diritti e la dignità delle persone e la loro presa in carico, piuttosto che i vincoli di finanza pubblica.

Carmine Santo PATARINO (FLpTP) osserva che lo schema di Piano sanitario nazionale in esame, approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri nella riunione del 21 gennaio 2011, appare oggi assumere un ruolo fondamentale alla luce dell'attuazione del federalismo fiscale e dei piani di rientro delle regioni inadempienti, nonché della crisi strutturale, ormai stabilizzata, della finanza sanitaria del nostro Paese. Il Piano contiene un'analisi relativamente condivisibile delle criticità attualmente presenti nel Servizio sanitario nazionale, ma mancano i percorsi attraverso cui sia possibile risolvere tali criticità. II diritto alla salute prevede prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione. Questi aspetti presentano sul territorio nazionale una costante disomogeneità e nel Piano non sono indicati i rimedi che, secondo il suo gruppo, potrebbero essere riassunti nel modo seguente.
Per quanto riguarda la prevenzione, sarebbe opportuno introdurre meccanismi

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educativi scolastici con insegnamenti specifici sulle problematiche inerenti lo stato di benessere, di salute e di sicurezza e i rischi di abitudini, come fumo, alcool e cattiva alimentazione, che possono provocare danni per la salute; occorrerebbe, altresì, attribuire la massima importanza all'attività sportiva a livello scolastico e universitario, così da impedire attitudini sedentarie e poco salutari; bisognerebbe, inoltre, creare una task force interministeriale in grado di favorire meccanismi che vadano nella direzione del miglioramento delle condizioni ambientali, al fine di favorire la prevenzione di patologie legate a questi aspetti. Infatti, l'Organizzazione mondiale della sanità individua in trasporto, alimentazione, alloggi, rifiuti, energia, industria, urbanizzazione, acqua, radiazioni e nutrizione gli aspetti che indicano la valutazione di impatto sulla salute.
Osserva, poi, che per le cure primarie e le strutture territoriali, manca un modello organizzativo che consenta la partecipazione attiva dei pazienti nel processo di cura e un'effettiva capacità dei medici di medicina generale di affrontare il problema delle cure primarie. Da questo punto di vista, sarebbe necessario attuare un meccanismo di informatizzazione generalizzata, con una tessera sanitaria che indichi il percorso di salute del cittadino, dalla nascita sino alla morte, con una serie di dati e di appuntamenti di prevenzione e diagnostici, che garantiscano al cittadino un percorso per il suo benessere certo, verificabile e sicuro, con la possibilità di mettere in atto un'agenda personalizzata.
Ritiene, peraltro, che non sia corretto, per quanto attiene alla riorganizzazione delle reti ospedaliere, effettuare, dal punto di vista procedurale, come molte regioni hanno fatto, tagli di posti letto e riconversioni delle piccole strutture ospedaliere, senza prevedere un piano complessivo regionale di riassetto dell'offerta sanitaria, che comporti una maggiore efficienza della rete di emergenza-urgenza, un effettivo miglioramento dell'assistenza domiciliare, una reale integrazione socio-sanitaria e un'adeguata assistenza sanitaria primaria tramite i medici di medicina generale.
Per far fronte, poi, al superamento delle criticità, dell'inefficienza e degli sprechi delle regioni inadempienti, è necessario concordare con le stesse un meccanismo di collaborazione con gli ordini professionali e con le università, al fine di prevedere percorsi regionali omogenei di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, tali da impedire errori prescrittivi, ricoveri inutili, utilizzo di tecnologie inadeguate e, al tempo stesso, da garantire l'impiego dello strumento del Health Technology Assessment, atto a ottimizzare la scelta delle tecnologie da acquisire e da utilizzare in campo diagnostico-terapeutico.
Per quanto riguarda monitoraggio, appropriatezza e uniformità dei livelli essenziali di assistenza, è necessario mettere in atto alcuni meccanismi per il controllo effettivo epidemiologico e assistenziale. Vanno aumentando sempre di più, in Italia, le patologie cronico-degenerative per cui sarebbe necessario istituire una banca dati della fragilità che, sul territorio, sia in grado di evidenziare, caso per caso, le necessità di assistenza e di integrazione socio-sanitaria, al fine di programmare e intervenire tempestivamente, riducendo i costi dati dalla inappropriatezza derivante dalla mancanza di controllo. È necessario, quindi, attivare una informatizzazione di tutta l'offerta sanitaria pubblica e privata, disponibile attraverso gli strumenti di comunicazione e informazione, al fine di garantire la libera scelta, da parte del cittadino, dell'offerta che corrisponda meglio alle sue esigenze.
Ritiene, quindi, che le liste di attesa debbano essere inserite in un contesto di centro unico di prenotazione regionale informatizzato, trasparente, accessibile a chiunque e in grado di rispondere, su tutto il territorio regionale, alle esigenze della popolazione.
È necessario, poi, per il governo delle attività cliniche, eliminare o, almeno, ridurre il controllo della politica sulla gestione sanitaria e, quindi, introdurre una

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modifica della legislazione attuale per quanto riguarda le nomine dei direttori generali delle aziende sanitarie locali, magari con un diverso reclutamento o sottoponendo l'operato al controllo da parte di un consiglio di amministrazione, che svolga un ruolo consultivo e vincolante, eletto nelle varie aziende sanitarie locali. Recentemente, la legge di riforma del Servizio sanitario nazionale è stata analizzata da parte dell'Autorità garante per la concorrenza e il mercato, che ha messo in luce alcuni profili critici della concorrenza presenti nell'attuale assetto. Una delle criticità più importanti è la coincidenza, in capo alle aziende sanitarie locali, della duplice funzione di erogatore di prestazioni sanitarie e di soggetto acquirente-pagatore di prestazioni sanitarie per conto degli assistiti dal Servizio sanitario nazionale. Le soluzioni proposte dall'Autorità garante sono tre: separazione strutturale tra l'azienda sanitaria quale soggetto erogatore delle prestazioni sanitarie e la medesima quale soggetto acquirente-pagatore di prestazioni; occorre, cioè, distinguere le funzioni di programmazione, che devono spettare alle regioni, quelle di erogazione, che devono competere a tutte le strutture pubbliche e private accreditate, e le funzioni di pagamento, affidate alle aziende per incentivarle a ridurre la spesa e ad alimentare la concorrenza di prezzo tra le strutture accreditate. Le altre due soluzioni proposte dall'Autorità garante consistono in un utilizzo dell'accreditamento degli accordi secondo criteri equi, oggettivi e trasparenti, in modo che siano selezionati e controllati gli operatori più efficienti nell'offerta dei servizi, anche nell'ottica di fissare tariffe più vicine ai costi effettivi di erogazione delle singole prestazioni, e nella determinazione di meccanismi di abbattimento delle remunerazioni.
In conclusione, per quanto riguarda i costi della sanità, fa presente che non si può risolvere il problema della trasparenza, dell'efficienza e della qualità con il ricorso al meccanismo del costo standard, ma è necessario introdurre, invece, dei sistemi di acquisti centralizzati con uniformità dei costi regionali e con spostamento delle gare aziendali al livello centrale, mantenendo la peculiarità dell'acquisizione di beni e servizi aziendali.

Mariella BOCCIARDO (PdL) ritiene opportuno segnalare gli impegni assunti dal Governo nel Piano sanitario nazionale in esame e, in particolare, nel paragrafo 3.1, per quanto attiene alle malattie rare. Desidera quindi porre in rilievo due aspetti del Piano. Il primo riguarda i tempi e i modi con cui si intende aggiornare l'elenco delle malattie rare, fermo al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, con cui sono stati definiti, nel 2001, i livelli essenziali di assistenza. Su questo punto, da oltre due anni il Governo si è impegnato a portare a buon fine l'aggiornamento, venendo incontro alle pressanti e disperate richieste delle associazioni che si fanno carico dei malati rari. Il secondo aspetto attiene alla predisposizione del Piano nazionale delle malattie rare, un obbligo che deriva dalla normativa comunitaria, che obbliga i Paesi membri a provvedere entro il 2013. Molti Stati membri si stanno adeguando; alcuni Paesi, come la Bulgaria, nonostante la crisi finanziaria del suo sistema sanitario, si sono dotate del piano delle malattie rare. Altri, come la Francia, lo hanno già fatto fin dal 2004 e con successo, tanto che è stato recentemente rinnovato. L'Italia ancora non è pronta. È vero che il Piano nazionale è previsto in varie proposte di legge presentate sia al Senato sia alla Camera, tra cui una a sua firma, ma è pur vero che l'esame presso il Senato procede a rilento e con notevoli difficoltà. Al Governo chiede, dunque, alcuni chiarimenti sui suddetti argomenti e l'assunzione di un preciso impegno per il triennio 2011-2013.

Luciana PEDOTO (PD), premesso che le considerazioni dei colleghi che l'hanno preceduta le consentono di dare per scontate alcune criticità dello schema di Piano in esame, quali la sua scarsa cogenza e l'assenza del previsto parere della Conferenza unificata, desidera soffermarsi sul problema dell'integrazione socio-sanitaria,

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di cui il Piano sottolinea la rilevanza strategica, senza che, tuttavia, a ciò seguano azioni concrete o sia chiarito con quali risorse venga sostenuto tale processo di integrazione. Rileva, altresì, che a fronte della carenza di personale medico e infermieristico prevista per i prossimi anni, non si fa cenno a interventi concreti e immediati per affrontare il problema e, in particolare, non viene affrontato il tema del possibile coinvolgimento, a tal fine, di altre figure professionali sanitarie.

Giuseppe PALUMBO, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 14.40.

AVVERTENZA

I seguenti punti all'ordine del giorno non sono stati trattati:

SEDE REFERENTE

Norme per consentire il trapianto parziale di polmone tra persone viventi.
C. 4003 Palumbo.

Disposizioni per consentire l'impianto degli embrioni abbandonati giacenti presso i centri italiani di procreazione medicalmente assistita.
C. 2058 Palagiano.