CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 8 marzo 2011
449.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Affari sociali (XII)
COMUNICATO
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DELIBERAZIONE DI RILIEVI SU ATTI DEL GOVERNO

Martedì 8 marzo 2011. - Presidenza del vicepresidente Carlo CICCIOLI. - Interviene il sottosegretario di Stato per la salute Francesca Martini.

La seduta comincia alle 12.10.

Schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario.
Atto n. 317.
(Rilievi alla Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale).
(Seguito dell'esame, ai sensi dell'articolo 96-ter, comma 4, del regolamento, e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame dello schema di decreto legislativo in oggetto, rinviato nella seduta del 3 marzo 2011.

Anna Margherita MIOTTO (PD), intervenendo sull'ordine dei lavori, desidera sapere se la Commissione potrà disporre di un tempo più ampio per l'espressione dei rilievi alla Commissione bicamerale, alla luce della notizia secondo cui il Ministro Calderoli avrebbe prospettato una proroga del termine per l'esercizio della delega.

Carlo CICCIOLI (PdL), presidente, fa sapere che, al momento, non è cambiato il termine per l'espressione dei rilievi da parte della XII Commissione e per l'espressione del parere al Governo da parte della Commissione bicamerale, fissato all'11 marzo. Ove questo termine dovesse essere prorogato, l'Ufficio di presidenza della Commissione valuterà una eventuale modifica dell'organizzazione dei suoi lavori relativi all'esame dello schema di decreto legislativo all'ordine del giorno.

Gino BUCCHINO (PD) rileva che se da una parte l'attribuzione di nuovi poteri agli enti decentrati è spesso una risposta alla ricerca di maggiore efficienza e qualità della spesa pubblica, di un più adeguato adattamento dei servizi pubblici alle differenziazioni territoriali nelle preferenze dei cittadini, di una più accentuata

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sperimentazione di nuove modalità di fornitura dei servizi, dall'altra il federalismo fiscale dovrebbe essere utilizzato come strumento per tutelare la coesione nazionale di fronte all'indebolimento dei valori di solidarietà nazionale e alle conseguenti spinte secessioniste e, per quanto lo riguarda in qualità di parlamentare eletto all'estero, dovrebbe anche costituire un caso esemplare per rafforzare, come avviene in altri Paesi, i principi della solidarietà tra territori nazionali, e tra italiani in Italia e italiani all'estero.
Fa presente infatti che il decreto legislativo in discussione ignora del tutto i cinque milioni di cittadini italiani che vivono permanentemente all'estero, ripete cittadini italiani portatori di diritti, ma ignora anche gli altri svariati milioni di connazionali che tutti gli anni si recano temporaneamente all'estero nei Paesi extracomunitari per lavorare. Si sta parlando di una vasta e importante collettività di cittadini che non viene adeguatamente tutelata dal nostro Servizio Sanitario Nazionale e che non rientra neanche come variabile esterna nella determinazione dei costi e dei fabbisogni standard dello Stato, delle Regioni e delle Province autonome disciplinati dal Capo IV del decreto legislativo in esame. È stata quindi sprecata, dal suo ovviamente parziale punto di vista di parlamentare eletto all'estero, una buona occasione per garantire a tutti gli italiani, a prescindere dalla residenza, i livelli essenziali nell'assistenza sanitaria.
Tuttavia al di là delle specificità delle collettività che rappresenta, desidera anche esprimere alcune perplessità sull'impostazione generale del provvedimento.
È preoccupato in particolare dal pericolo che possa cambiare il sistema di solidarietà tra regioni italiane. Attualmente dal punto di vista della spesa, la sanità è di competenza regionale, mentre sotto il profilo del finanziamento le Regioni utilizzano tributi propri (primariamente l'Irap) integrati da trasferimenti dal governo centrale. Infatti lo Stato fissa gli standard minimi per il servizio sanitario, da garantire a tutti i cittadini indipendentemente dalla loro residenza, e attribuisce trasferimenti sufficienti (almeno sulla carta) per consentire a ciascuna Regione il pieno finanziamento di tali standard. Questi trasferimenti sono finanziati mediante la fiscalità statale che attinge dalle varie giurisdizioni regionali in misura assai differenziata, a causa dei significativi e peculiari divari nella distribuzione territoriale delle basi imponibili tra regioni italiane. Da qui l'effetto che egli ritiene positivo, di perequazione interregionale delle risorse prodotto dalla sanità pubblica.
Sottolinea, poi, che l'intervento pubblico nella sanità realizza attualmente in Italia una redistribuzione del reddito tra territori regionali pari a ben il 6,9 per cento del PIL (circa il 20 per cento della redistribuzione prodotta dall'intervento pubblico complessivo). La sanità pubblica è quindi oggi un potente strumento di perequazione interregionale. È la portata di questa redistribuzione che viene ora posta in discussione dalle proposte di riduzione dei livelli minimi di servizio garantiti dall'intervento dello Stato centrale attraverso la soppressione dei trasferimenti dello Stato alle regioni a partire dal 2012, anche se teoricamente dovrebbero restare fermi gli automatismi fiscali previsti dalla vigente legislazione nel settore sanitario nei casi di squilibrio economico, nonché le disposizioni in materia di applicazione di incrementi delle aliquote fiscali per le regioni sottoposte ai piani di rientro dai deficit sanitari. Ciononostante, è ovvio però che la forbice tra le risorse per la sanità disponibili nei territori ricchi e in quelli poveri si amplia con l'accrescersi dell'autonomia regionale, con il risultato che alcune Regioni potranno finanziare servizi decisamente superiori agli standard mentre altre riusciranno soltanto a raggiungere i minimi.
Ritiene, quindi, che il rischio di «rompere» l'unità del Paese, non assicurando uniforme finanziamento in ciascuna regione, penalizzando quelle più povere, resta alto. I disservizi e i disavanzi accumulati in alcune regioni, a fronte invece della buona gestione economica e assistenziale di altre, hanno già alimentato tensioni e

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tentazioni di abbandonare al loro destino proprio le regioni in difficoltà. Il crollo delle regioni più deboli finirebbe per colpire tutti. Infatti, proprio i disavanzi accumulati in alcune regioni vengono utilizzati da chi vuole usare il federalismo fiscale per ridurre i finanziamenti, ridimensionare il servizio sanitario nazionale e così compromettere l'universalità del diritto alla salute in tutto il Paese.
In questo quadro sarebbe utile abbandonare il criterio di ripartizione - previsto dal decreto - fondato sull'età della popolazione, che sfavorirebbe appunto le regioni del Sud. Il calcolo del fabbisogno finanziario delle regioni non può infatti essere ancorato ai soli indicatori di consumi sanitari per classi di età. Occorre considerare anche altri indicatori fondamentali come il livello sociale, lo stato di salute, il livello di ammodernamento tecnologico e strutturale, la presenza di strutture e servizi sul territorio.
E quindi l'obiettivo auspicabile è quello di arrivare a un riparto che, pur considerando il fattore età decisivo, utilizzi più criteri, in grado di identificare meglio i bisogni reali. Questa scelta può aiutare ad allocare le risorse in modo più appropriato, quindi più efficiente e rispondente alle necessità dei cittadini.

Luisa BOSSA (PD), partendo da alcune considerazioni di carattere generale, rileva che si è costruito tutto il dibattito sul federalismo partendo da una questione settentrionale che trova paradossale, cioè la questione della parte ricca del territorio nazionale che, curiosamente, si sente defraudata da quella povera. Un assunto grottesco: i ricchi si sentono derubati dai poveri, una cosa mai vista prima. Al di là questo dato paradossale, si è chiamati a ragionare su questioni tecniche che però si muovono dentro un quadro politico. E il dato politico con cui viene accompagnata la questione federalismo in Italia è che c'è una parte del Paese, quella settentrionale, produttiva, che versa le tasse ma riceve in cambio pochi servizi, e una parte del Paese improduttiva, quella meridionale, che non paga le tasse, e spreca le risorse della fiscalità. Per questo motivo, le risorse fiscali dovrebbero restare il più possibile laddove esse vengono prelevate, in modo da lasciare a ciascuno quello che gli spetterebbe sulla base di un malinteso senso del confine territoriale che, se portato alle estreme conseguenze, potrebbe un giorno addirittura condurre al fisco di quartiere, visto che nelle stesse città esistono differenze tra rione e rione anche maggiori rispetto a quelle tra città e città sul territorio nazionale.
Contesta questa lettura, e quindi contesta, prima di tutto, il presupposto politico da cui spesso nasce la discussione sul federalismo. Intanto perché le tasse in Italia le pagano soprattutto pensionati e lavoratori dipendenti, mentre la grande evasione riguarda imprese e partite IVA, quindi, com'è facile capire, gli evasori sono maggiori laddove c'è maggiore attività produttiva mentre i contribuenti certi sono, per loro natura, sparsi sul territorio. E poi perché la qualità della spesa pubblica, in questo Paese, è una grande questione nazionale, e non solo di una parte dell'Italia. Da deputata meridionale, ovviamente, non si sottrae all'autocritica, a patto, però, che ci sia una capacità autocritica uguale anche da parte di chi proviene da territori più ricchi, dove si elude il fisco con naturalezza, dove le risorse vengono distribuite in maniera non equa, dove il sistema delle imprese ha molto incamerato negli anni in termini di risorse pubbliche e poco restituito in termini di lavoro e sviluppo.
I dati di proiezione sul federalismo municipale appena varato hanno detto con chiarezza chi esce favorito dal provvedimento e chi ne esce penalizzato. Da uno studio condotto dalla Cgia di Mestre risulta che saranno sempre undici i miliardi di euro che saranno trasferiti dallo Stato ai Comuni. Quindi i Comuni, in totale, non avranno risorse maggiori. Ciò che è cambiato è come queste risorse sono distribuite all'interno della rete dei Comuni. Quindi con il federalismo municipale, Milano avrà 211 euro in più ad abitante,

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Monza 201, Parma 144; di contro, ovviamente, Foggia, avrà 192 euro pro capite in meno, Cosenza 269 e Napoli 327.
Insomma tutto questo gran lavoro sul federalismo municipale per togliere 400 milioni di euro l'anno a Napoli e darli a Milano. Ecco perché venivano sventolate bandiere e fazzoletti verdi. Perché il popolo dei robin hood all'incontrario era riuscito nel suo intento di togliere ai poveri e dare ai ricchi. Dal loro punto di vista, quello della Lega, l'esultanza è comprensibile. Prendono voti al nord, e gli portano anche i soldi. Sorprende, invece, il silenzio dei parlamentari meridionali. Derubati e contenti, più poveri e felici.
Ha fatto questa premesse sul dato politico del federalismo municipale perché ritiene che anche sullo schema di decreto sul cosiddetto federalismo regionale si riproponga lo stesso modulo, in termini forse anche più drammatici perché riguarda le competenze regionali, il delicato equilibrio tra lo Stato e le regioni, temi fondamentali come la sanità e la scuola, servizi centrali per la qualità della vita, per le prospettive di sviluppo, come i trasporti. Qui sono in gioco non solo i livelli essenziali di assistenza, ma piuttosto quelli di civiltà, quelli che compongono di fatto il senso collettivo di una nazione, cioè diritti uguali per tutti sui temi fondamentali come le cure, la salute, i trasporti.
Osserva, quindi che qui non è in gioco solo l'unità nazionale, il vincolo costituzionale dal quale non dobbiamo prescindere in alcun modo. Qui si anima anche una discussione sui valori della nostra convivenza civile, che interroga le categorie di egoismo e solidarietà, di sperequazioni ed uguaglianza.
Lo schema di decreto in esame individua le fonti di finanziamento delle regioni a statuto ordinario e dispone la contestuale soppressione dei trasferimenti statali. Si determina, quindi, un nuovo meccanismo di approvvigionamento delle risorse economiche delle regioni, da cui far discendere capacità e modalità di erogazione dei servizi fondamentali per i cittadini.
Alle Regioni si riconosce protagonismo nelle decisioni inerenti due imposte importanti, IRPEF e IVA, che diventano fondamentalmente la leva finanziaria dei territori. È chiaro a tutti che le regioni dove si produce e si consuma di più avranno più risorse e quelle dove si produce e di consuma di meno avranno meno risorse. Oltretutto sarà consentito di modulare l'IRAP, anche abbassandola. È anche qui chiaro che chi ha più risorse può abbassare l'IRAP, rendendo il proprio territorio più «appetibile» alle imprese; chi ne ha meno non può abbassarla e rende il proprio territorio meno «appetibile». In sostanza, lo sviluppo chiama sviluppo, il sottosviluppo chiama sottosviluppo, con la conseguenza che con il provvedimento in titolo si stiano gettando le premesse affinché chi sta male stia ancora peggio e chi sta bene stia ancora meglio.
Naturalmente, il meccanismo federalista ha anche degli aspetti positivi: è indubbio che si attivi una dinamica di responsabilizzazione maggiore sui territori, è chiaro che quanto più la decisione è locale tanto più questa si plasma sui bisogni reali. Ecco perché non bisogna essere pregiudizialmente contrari ad una dinamica di spostamento dal centro alle periferie. Ma il tema è come questa avviene, secondo quali regole, secondo quali obiettivi, con quali precauzioni, con quanta attenzione verso il pericolo di una frammentazione odiosa della qualità e delle opportunità, una separazione sempre maggiore tra parti dello stesso Paese. I nodi su cui interrogarsi sono esattamente questi. Non una sterile retorica sul decentramento di poteri e risorse e decisioni, ma una riflessione vera su cosa significhi, oggi, essere una nazione.
A rassicurare, su questi temi, ci sono i ragionamenti sui meccanismi perequativi e di compensazione. Ma rassicurano, ben poco, in verità. Basti pensare alla vicenda dei LEA per trarre il timore, e il convincimento, che quando si tratta di prendere si è lesti ma quando si tratta di compensare, di porre in equilibrio, di garantire i diritti a tutti, si prende tempo, si ritarda, si aspetta.

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Concludendo fa presente che collegare la ricchezza di un territorio alla possibilità di spesa delle istituzioni di quel territorio è un discorso molto insidioso. Può sembrare astrattamente giusto a chi crede che una nazione sia la sommatoria di mille tribù. Nella realtà è un meccanismo che contiene molti, troppi, rischi. Quello principale è l'avviarsi di una pericolosa spirale, per cui chi sta indietro, zavorrato da nuovi pesi, resti ancora più indietro, e chi corre davanti, aiutato da nuove leggerezze, corra ancora più veloce.
Fa presente, infine, che dentro un ragionamento attento sul federalismo, che vuole coglierne gli aspetti utili, bisogna fare attenzione a quelli rischiosi, e quindi essere cauti. Bisogna vigilare sugli equilibri perché in questa partita, mai come in questa partita, l'equilibrio è tutto. Basta un soffio e il castello che chiamiamo Italia può andare giù.

Luciana PEDOTO (PD) intende innanzitutto fare riferimento a quanto accaduto nel Regno Unito, dove il governo ha annunciato l'avvio di una grande riforma nel settore sanitario. Anche in quel paese è stata compresa la necessità di ridurre fortemente la spesa sanitaria, ma diversamente dal nostro, li il governo ha puntato sull'aumento della responsabilità dei medici al fine di favorire la produzione di risparmi, risparmi che si pensa di utilizzare per aumentare l'assistenza sanitaria. Il riferimento al Regno Unito è stato fatto proprio perché il sistema sanitario inglese si fonda sullo stesso nostro modello del 1978 e nonostante ciò oggi va verso una sua modifica radicale.
Nel testo al nostro esame continuano invece ad essere presenti diverse «storture» che invece avrebbero potuto essere superate, dimostrando come si sia persa una occasione per superare i punti deboli della nostra sanità, come peraltro evidenziato anche dai soggetti auditi presso la Commissione bicamerale per l'attuazione del federalismo fiscale. Osserva poi che se, da un lato, l'introduzione dei costi standard rappresenti finalmente una buona notizia, dall'altro, non può non rilevarsi come il decreto sia in realtà tautologico. In altre parole, fissa come obiettivo il superamento dell'attuale sistema di riparto delle risorse tra le regioni e poi però il ragionamento che sviluppa parte proprio da questo assunto: l'obiettivo quindi coincide con il punto di partenza del ragionamento.
Esprime infine perplessità anche sul sistema di ponderazione, su cui peraltro anche il relatore ha formulato alcune osservazioni.

Gero GRASSI (PD) desidera in primo luogo sapere se la maggioranza sia disponibile ad un confronto serio. Osserva, infatti, che lo schema di decreto parte dal presupposto, in parte forse anche giusto, secondo cui sono le regioni del Sud a registrare un forte disavanzo finanziario. Se tuttavia questo criterio dovesse valere solo per la sanità si commetterebbe un grave errore, in quanto il sistema proposto per la riduzione del deficit provocherebbe un drastico taglio dei servizi ai cittadini. Si domanda in proposito perché mai un cittadino del Sud dovrebbe contribuire in egual misura al fisco di un cittadino del Nord in riferimento al trasporto ferroviario. In altre parole, ritiene che lo schema di decreto in esame dovrebbe proporre un sistema volto alla eliminazione o quanto meno ad una riduzione delle differenze tra Nord e Sud, finalizzato cioè ad unire e non invece a dividere.
Con riferimento poi alle regioni a Statuto speciale, esprime rilievi critici sulla circostanza che a queste regioni si aggiunge alla specialità di partenza un'altra specialità derivante da questo tipo di federalismo.
In conclusione, teme che lo schema di decreto legislativo in discussione metta in moto un meccanismo per cui, alla fine, non solo i risultati auspicati non verranno raggiunti ma addirittura i cittadini del Nord perderanno il grande serbatoio di umanità rappresentato dai cittadini del Sud.

Carmine Santo PATARINO (FLI) osserva che l'introduzione del federalismo

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era stata inizialmente pensata al fine di pervenire ad una situazione più giusta per tutti i cittadini italiani, del Nord come del Sud, anche per quanto riguarda la sanità. Oggi invece esistono enormi differenze sul piano economico, industriale, sociale e sanitario tra regioni del Nord e regioni del Sud, come dimostrano i dolorosi e sempre più frequenti viaggi della speranza verso il Nord intrapresi da cittadini delle regioni meridionali che non trovano negli ospedali del proprio territorio una adeguata assistenza sanitaria. Non si pensava, allora, che il federalismo avrebbe prodotto una maggior distacco tra la ricchezza del Nord e la povertà del Sud, ma viceversa si sperava di raggiungere una maggiore unità tra realtà diverse. Pertanto, oggi si sarebbe dovuto partire proprio da questa situazione di oggettiva diversità e da una analisi che ne tenesse conto, per giungere ad una sanità migliore anche nelle regioni del Sud. Per raggiungere tale obiettivo sarebbe opportuno non solo risanare le strutture ospedaliere, sostituire gli strumenti e i macchinari obsoleti, ma anche e forse soprattutto valorizzare i centri di eccellenza attribuendo ad essi adeguati fondi per la ricerca. Il Sud infatti potrebbe diventare anche un importante punto di riferimento per le realtà del mediterraneo e questo gioverebbe all'intero Paese.
Solo con un Federalismo solidale, giusto ed equo l'Italia può davvero migliorare.
In conclusione, il suo gruppo continuerà a vigilare sull'attuazione del Federalismo fiscale e darà il suo contributo di idee e di critica costruttiva sempre nell'ottica di difendere l'unità d'Italia, nel rispetto di tutti i cittadini italiani.

Lucio BARANI (PdL), relatore, riservandosi di intervenire più diffusamente in sede di replica, desidera richiamare l'attenzione sul fatto che il federalismo sanitario regionale è stato introdotto nel 2001 con la riforma del titolo V della Costituzione da un governo diverso dall'attuale e che oggi la novità è rappresentata principalmente dall'introduzione dei costi standard. Le differenze tra la sanità delle varie regioni deriva da quella riforma e non certamente da quella oggi in discussione. Ricorda infine che la distribuzione del Fondo sanitario nazionale tra le regioni non viene effettuata secondo parametri determinati dal governo centrale ma in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato e le regioni, la cui presidenza dal 2005 è stata tenuta da un governatore appartenente al centro sinistra.

Carlo CICCIOLI (PdL), presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 13.

AVVERTENZA

Il seguente punto all'ordine del giorno non è stato trattato:

COMITATO RISTRETTO

Modifiche alla legge n. 281/1991, in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo.
C. 1172 Santelli e Ceccacci Rubino, C. 1236 Mancuso, C. 1319 Tortoli, C. 1370 Alessandri, C. 2359 Anna Teresa Formisano e Drago, C. 586 Compagnon, C. 1565 Mancuso, C. 1589 Livia Turco e Viola, C. 2343 Farinone e C. 2405 Minardo.