CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 12 ottobre 2010
380.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Giustizia (II)
COMUNICATO
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ATTI DEL GOVERNO

Martedì 12 ottobre 2010. - Presidenza del presidente Giulia BONGIORNO. - Interviene il sottosegretario di Stato per la giustizia Giacomo Caliendo.

La seduta comincia alle 14.35.

Schema di decreto legislativo recante disposizioni sanzionatorie per le violazioni del regolamento (CE) n. 924/2009 relativo ai pagamenti transfrontalieri nella Comunità.
Atto n. 249.
(Seguito dell'esame, ai sensi dell'articolo 143, comma 4, del regolamento e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame dello schema di decreto legislativo, rinviato il 6 ottobre 2010.

Manlio CONTENTO (PdL) richiama l'attenzione della Commissione sulle conseguenze determinate dall'abrogazione, operata dall'articolo 5 dello schema sottoposto all'esame, dell'ancora vigente decreto legislativo n. 180 del 2004 contenente la disciplina sanzionatoria delle violazioni al regolamento CEE n. 2560/2001, regolamento abrogato dal nuovo regolamento n. 924/2009 a far data dal 1o novembre 2009.
Sottolinea come detta abrogazione rischia di travolgere eventuali procedimenti in corso diretti ad applicare le sanzioni ancora in vigore e relative a violazioni consumate nel vigore del precedente regolamento comunitario.
Si pone, quindi, la questione relativa all'introduzione di una norma transitoria che disponga in materia e chiarisce come

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il Governo ben avrebbe potuto operare attraverso una modifica del decreto legislativo n. 180 del 2004 che recepisce i cambiamenti introdotti dal regolamento CEE 924/2009 dal momento che vi potrebbe essere una continuità normativa e, quindi, sanzionatoria tra la disciplina applicabile alle commissioni precedente ed attuale.
Ricorda, poi, la disposizione del vigente articolo 1 del decreto legislativo n. 180 del 2004 che sanzionava l'inosservanza del dovere di trasparenza delle commissioni applicate per i pagamenti transfrontalieri e per quelli nazionali, disposizione che non pare rinvenibile nel nuovo regolamento comunitario del 2009.
Ritiene che il legislatore nazionale, magari operando proprio sul decreto citato, ben potrebbe mantenere un obbligo di trasparenza circa le commissioni applicate dall'ente prestatore dei servizi di pagamento e, ovviamente, sanzionarne la violazione nell'interesse dei consumatori che utilizzano detto servizio.
Una cosa, infatti, è stabilire il principio di omologazione della commissione indipendentemente dal fatto che essa sia applicata in sede transfrontaliera o nazionale, altra cosa è confermare l'obbligo di trasparenza delle commissioni richieste per il servizio.
Ritiene, poi, che la formulazione delle disposizioni sanzionatorie dello schema nella parte in cui fanno riferimento alla «grave inosservanza» sia ingiustificata nonostante il richiamo alla norma di cui all'articolo 32 del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 11. Quest'ultima, infatti, fa riferimento alla violazione di disposizioni di maggior dettaglio (articoli 3, 9, 11, 18, 23 e 25) mentre le previsioni sanzionatorie dello schema si riferiscono a fattispecie di minor complessità come quella relativa all'inosservanza dell'obbligo di eguaglianza delle commissioni applicate ai pagamenti o di comunicazione dei codici. Suggerisce, quindi, che la Commissione valuti l'opportunità di arrivare ad un parere che permetta al Governo di valutare meglio la portata della proposta.

Angela NAPOLI (FLI), relatore, dopo aver espresso condivisione per l'intervento dell'onorevole Contento, assicura che di questo ne terrà conto nel predisporre la proposta di parere.

Giulia BONGIORNO, presidente, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 14.55.

SEDE CONSULTIVA

Martedì 12 ottobre 2010. - Presidenza del presidente Giulia BONGIORNO. - Interviene il sottosegretario di Stato per la giustizia Giacomo Caliendo.

La seduta comincia alle 14.55.

Norme per la tutela della libertà d'impresa. Statuto delle imprese.
Testo unificato C. 2754 Vignali ed abbinate.
(Parere alla X Commissione).
(Esame e rinvio).

La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

Giulia BONGIORNO, presidente, in sostituzione del relatore, onorevole Torrisi, impossibilitato a partecipare all'odierna seduta, illustra il contenuto del provvedimento.
Il testo unificato in esame, come indicato dal comma 1 dell'articolo 1, è volto a definire lo statuto giuridico delle imprese e dell'imprenditore al fine di assicurare lo sviluppo della persona attraverso il valore del lavoro, sia esso svolto in forma autonoma che d'impresa, e di garantire la libertà di iniziativa economica privata in conformità agli articoli 35 e 41 della Costituzione. Si precisa, inoltre, che «ai fini della presente legge ed ai sensi degli articoli 2082 e 2083 del codice civile, si definisce impresa qualsiasi attività economica professionalmente organizzata al fine

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della produzione o dello scambio di beni o di servizi, a prescindere dal relativo status giuridico».
Con riferimento alla sua struttura, il testo si compone di 23 articoli divisi in 8 capi: Capo I - Finalità e principi (artt. 1-3), Capo II - Rapporti con le istituzioni (artt. 4-11), Capo III - Disposizioni in materia di micro, piccole e medie imprese e di politiche pubbliche (artt. 12-14), Capo IV - Disposizioni in materia di nuove imprese (articolo 15), Capo V - Istituzione dell'Agenzia nazionale per le micro, piccole e medie imprese (artt. 16-17), Capo VI - Istituzione di una Commissione parlamentare per le micro, piccole e medie imprese (artt. 18-20), Capo VI-bis - Legge annuale per le micro e piccole imprese (articolo 20-bis), Capo VII - Competenze regionali e degli enti locali (articolo 21) e Capo VIII - Norme transitorie e finali (artt. 22 e 23).
Illustra quindi le più rilevanti disposizioni che rientrano negli ambiti di competenza della Commissione giustizia.
In primo luogo, segnala che, fra i principi generali di cui all'articolo 2, viene enunciata, al comma 1, lettera o), la «garanzia che nei rapporti tra imprese e nei rapporti tra imprese e pubblica amministrazione la durata dei processi civili relativi al recupero di un credito non sia superiore ad un anno». Tale principio viene poi specificato dall'articolo 6, comma 7, laddove si stabilisce che «Lo Stato si impegna a garantire che nei rapporti tra imprese, nonché tra imprese e pubbliche amministrazioni la durata dei processi civili relativi al recupero di un credito non sia superiore a un anno».
L'articolo 3 enuncia e specifica il principio della libertà delle imprese di associarsi in una o più associazioni. In particolare, ai sensi del comma 2, lo Stato riconosce quali associazioni di rappresentanza delle imprese le associazioni rappresentate nel sistema delle camere di commercio nel Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro.
L'articolo 3-bis interviene quindi in materia di legittimazione ad agire delle associazioni. Il comma 1, integrando l'articolo 9 della legge n. 241 del 1990 stabilisce che per interessi diffusi si intendono sia gli interessi appartenenti alla generalità dei cittadini, sia gli interessi omogenei di una determinata categoria di soggetti.
Il comma 2 prevede quindi che le associazioni di categoria rappresentate nel sistema delle camere di commercio ovvero nel Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, sono legittimate a proporre azioni in giudizio sia a tutela di interessi relativi alla generalità dei soggetti appartenenti alla categoria professionale, sia a tutela di interessi omogenei relativi solo ad alcuni soggetti. In base al comma 3, le associazioni di categoria maggiormente rappresentative a livello nazionale, regionale e provinciale sono legittimate ad impugnare gli atti amministrativi lesivi degli interessi diffusi.
L'articolo 8 contiene disposizioni in materia di lotta contro i ritardi nei pagamenti delle transazioni commerciali e reca una delega al Governo in materia di disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 7 ottobre 2002, n. 231.
Fra le disposizioni più rilevanti segnala l'obbligo della pubblica amministrazione di non derogare il termine di pagamento di sessanta giorni nei rapporti commerciali con le imprese; la possibilità per i creditori di somme dovute e non liquidate dalla pubblica amministrazione di compensare - a determinate condizioni - i relativi importi con i debiti eventualmente maturati nei confronti del medesimo soggetto; la nullità dell'accordo di rinuncia agli interessi di mora, sottoscritto anche successivamente al pagamento, qualora una delle parti contraenti sia la pubblica amministrazione».
Quanto ai principi di delega, segnala quelli di cui al comma 5, lettere b) e c), che impegnano il Governo a prevedere un sistema di diffide e sanzioni nel caso di ritardato pagamento, mancato versamento degli interessi moratori e mancato risarcimento dei costi di recupero, nonché ad attribuire all'Autorità garante della concorrenza e del mercato poteri sanzionatori relativamente a comportamenti illeciti messi in atto da grandi aziende e da pubbliche amministrazioni.

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L'articolo 10 prevede che agli imprenditori dichiarati falliti, in possesso dei requisiti necessari per l'esdebitazione di cui all'articolo 142 della legge fallimentare, fatti salvi eventuali profili penali, lo Stato garantisce il conseguimento di una piena riabilitazione, rimuovendo ogni limitazione di carattere amministrativo che possa pregiudicare l'avvio e l'esercizio di nuove imprese, ed assicura agli imprenditori titolari di micro e piccole imprese adeguate misure di tutela.
L'articolo in esame reca quindi una delega per l'introduzione di disposizioni correttive ed integrative della disciplina delle procedure concorsuali.
I principi e criteri direttivi appaiono molto incisivi e sono volti, tra l'altro, alla riduzione dei tempi delle procedure fallimentari e concorsuali, in caso di bancarotta non fraudolenta, in modo che non possano essere superiori a un anno; alla modifica della disciplina delle conseguenze personali del fallimento; alla determinazione di criteri per la soddisfazione parziale dei crediti privilegiati e con prelazione, al fine di offrire maggiori possibilità di recupero dei crediti chirografari degli imprenditori titolari di micro e piccole imprese; all'adozione di rimedi per la composizione delle crisi aziendali da sovraindebitamento mediante appositi accordi di ristrutturazione dei debiti con i creditori; all'integrazione della legislazione in materia di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi e di ristrutturazione industriale delle grandi imprese in stato di insolvenza.
Il comma 3 stabilisce che nelle procedure concorsuali lo Stato si fa carico degli oneri dovuti ai fornitori privilegiati coinvolti, nel caso siano imprenditori titolari di micro e piccole imprese, al fine di non pregiudicarne la sopravvivenza.
Il comma 4 prevede che siano ammessi al privilegio generale sui mobili, di cui all'articolo 2751-bis, n. 5) del codice civile, i crediti dell'impresa artigiana, come definita ai sensi delle disposizioni legislative vigenti.
L'articolo 11, infine, interviene in tema di appalti pubblici. Di tale disposizione si segnalano, in particolare, i commi 3 e 4, che introducono delle semplificazioni in materia di autocertificazioni e documentazione probatoria per l'attestazione dei requisiti di idoneità per la partecipazione alla gara. Il comma 7, inoltre, dispone che ogni prefettura territorialmente competente predispone delle white list di imprese e fornitori contenenti l'adesione, da parte delle imprese, a determinati obblighi di trasparenza, di tracciabilità dei flussi di denaro, di beni e servizi.

Manlio CONTENTO (PdL) osserva come il contenuto del testo in esame sia particolarmente complesso ed esprime forti perplessità sull'opportunità che lo stesso, rispetto alla versione originaria, fosse arricchito di ulteriori disposizioni che riguardano il diritto fallimentare, da poco riformato, e perfino la durata di alcune categorie di processi civili. Auspica quindi che la Commissione possa disporre del tempo necessario per compiere un esame molto approfondito.

Cinzia CAPANO (PD) condivide i rilievi dell'onorevole Contento.

Giulia BONGIORNO, presidente, sottolinea come il provvedimento non risulti iscritto nel calendario del lavori dell'Assemblea. Pertanto, i tempi a disposizione per l'esame in sede consultiva dipendono dall'organizzazione dei lavori della Commissione di merito. Nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Disposizioni concernenti la sospensione e la revoca del trattamento pensionistico per i soggetti sottoposti a misure restrittive della libertà personale o condannati per reati di terrorismo o di criminalità organizzata.
Nuovo testo C. 3541 Fedriga.
(Parere alla XI Commissione).
(Esame e rinvio).

La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

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Giulia BONGIORNO, presidente, in sostituzione del relatore, onorevole Paolini, impossibilitato a partecipare alla seduta odierna, rileva che il provvedimento in esame, che si compone di tre articoli, contiene disposizioni concernenti la sospensione e la revoca del trattamento pensionistico per i soggetti sottoposti a misure restrittive della libertà personale o condannati per reati di terrorismo o di criminalità organizzata.
L'articolo 1, al comma 1, disciplina l'ipotesi di condanna definitiva per i reati di cui agli articoli 270-bis (Associazioni sovversive), 280 (Attentato per finalità di terrorismo o di eversione), 289-bis (Sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione), 416-bis (Associazione di tipo mafioso), 416-ter (Scambio elettorale politico-mafioso) e 422 (Strage) del codice penale. In questo caso il giudice dispone la sanzione accessoria della revoca delle prestazioni di natura assistenziale di cui il condannato è titolare, con esclusione dei trattamenti previdenziali derivanti da un rapporto di lavoro.
Si precisa, inoltre che, con la medesima sentenza il giudice dispone anche la revoca dei trattamenti previdenziali a carico dell'assicurazione generale obbligatoria, ovvero di forme sostitutive, esclusive ed esonerative della stessa, erogati al condannato nel caso in cui accerti, o sia stata già accertato con sentenza definitiva in altro procedimento giurisdizionale, che questi abbiano origine, in tutto o in parte, da un rapporto di lavoro fittizio a copertura di attività illecite connesse a reati di terrorismo o criminalità organizzata di cui ai predetti articoli del codice penale.
Mentre il comma 1 disciplina l'ipotesi di sentenza definitiva di condanna, il comma 2 prevede che, nei procedimenti penali per i reati di cui al comma 1, il giudice, con la sentenza di condanna di primo grado o successivamente ad essa, dispone la sospensione, fino alla conclusione del procedimento penale, delle prestazioni di natura assistenziale di cui l'imputato è titolare.
Nel caso in cui il procedimento si concluda con una sentenza definitiva di assoluzione o con una sentenza definitiva di condanna per un reato diverso da quelli di cui al comma 1, il giudice dispone la ripresa dei trattamenti sospesi e la corresponsione, in unica soluzione, delle prestazioni non godute con i relativi interessi legali.
In base al comma 3, i condannati ai quali sia stata applicata la sanzione accessoria di cui al comma 1 possono beneficiare, una volta che la pena sia stata completamente eseguita, dei trattamenti sociali previsti dalla normativa vigente in materia, nel caso in cui ne ricorrano i presupposti.
Il comma 4 dispone quindi che provvedimenti adottati ai sensi dei commi 1 e 2 sono comunicati all'ente titolare dei rapporti previdenziali e assistenziali facenti capo al soggetto condannato, ai fini della loro immediata esecuzione.
L'articolo 2 dispone che i familiari superstiti dei soggetti cui sia stata revocata o sospesa l'erogazione dei trattamenti previdenziali, che siano stati condannati con sentenza passata in giudicato per concorso nel reato ai sensi dell'articolo 110 del codice penale, ovvero per il reato di favoreggiamento di cui all'articolo 378 del codice penale, perdono il diritto alla pensione di reversibilità o indiretta ovvero all'indennità una tantum e, se già percettori del trattamento, il medesimo è revocato dalla data di entrata in vigore della legge.
L'articolo 3 prevede, infine, che le risorse derivanti dai provvedimenti di revoca di cui all'articolo 1 sono devolute dagli enti interessati al Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, di cui all'articolo 1 della legge 22 dicembre 1999, n. 512, e agli interventi a favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata, di cui alla legge 3 agosto 2004, n. 206.

Donatella FERRANTI (PD) esprime forti perplessità circa la costituzionalità del testo trasmesso dalla Commissione lavoro, ritenendo opportuno che la Commissione giustizia, anche sulla base della relazione di accompagnamento alla proposta

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di legge n. 3541, verifichi se le prestazioni che verrebbero soppresse debbano essere connesse all'attività criminale per la quale viene comminata la condanna.

Giulia BONGIORNO, presidente, pur comprendendo pienamente le preoccupazioni dell'onorevole Ferranti, ritiene che il testo possa, anche attraverso delle indicazioni da parte della Commissione giustizia, essere formulato in maniera tale da essere conforme alla Costituzione e rispondente agli obiettivi che si sono posti i firmatari della proposta di legge originaria.

Angela NAPOLI (FLI), quale cofirmataria della proposta di legge originaria ne evidenzia la ratio, raccomandando l'espressione di un parere favorevole, trattandosi di un testo volto a correggere una grave incongruenza dell'ordinamento che finisce per privilegiare irrazionalmente i soggetti condannati per mafia nonché le rispettive famiglie.

Nicola MOLTENI (LNP), dopo aver sottolineato che la Lega attribuisce al provvedimento in esame una forte valenza nell'ambito di una più complessiva lotta contro la criminalità organizzata che non si presta a strumentalizzazioni per campagne elettorali ed aver evidenziato l'equilibrio del Presidente, onorevole Bongiorno, nel voler trovare delle soluzioni che consentano di formulare un testo scevro da dubbi di costituzionalità ma comunque efficace, auspica che la Commissione giustizia, abbandonando qualsiasi pregiudizio, affronti l'esame del testo individuando le soluzioni migliori per addivenire ad un provvedimento che, nel rispetto dei principi dell'ordinamento, riesca a concretizzare le finalità dei firmatari del medesimo.

Rita BERNARDINI (PD) rileva come il provvedimento in esame, fortemente voluto dal gruppo della Lega e in linea con la politica della maggioranza contro la criminalità organizzata, sia un ulteriore strumento inefficace a contrastare realmente il fenomeno mafioso, trattandosi piuttosto di una strumentalizzazione elettorale che si esaurisce in una mera punizione nei confronti di determinati soggetti.

Giulia BONGIORNO, presidente, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento.
Nuovo testo C. 2350, approvato dal Senato.
(Parere alla XII Commissione).
(Seguito dell'esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato il 5 ottobre 2010.

Cinzia CAPANO (PD) precisa preliminarmente che, come il collega Contento, si atterrà a valutazioni giuridiche, non per sottrarsi a valutazioni più complessive di carattere etico e religioso, come correttamente afferma la relatrice indissolubilmente legate, ma perché è convinta che se si riesce a tenere il filo dei principi che già esistono nel nostro ordinamento, interno ed internazionale, nella nostra Costituzione come nelle convenzioni che tutelano la libertà ed i diritti fondamentali, si può riuscire a trovare quell'equilibrio tra i valori che deve guidare il legislatore in questa scelta. Scelta che oggi è rimessa al Parlamento ma che è destinata a incidere sulla possibilità di decidere del proprio fine vita di tutti gli altri. Si sta cioè maneggiando non solo un provvedimento legislativo, ma la libertà di ciascuno, e quindi è necessario farlo con grande cura.
Per questa ragione, ha molto apprezzato la relazione sia nel merito che nell'approccio culturale, e ritiene assai opportuno il rilievo della relatrice sull'assenza nel testo di legge di qualsiasi riferimento al principio di autodeterminazione, che avrebbe dovuto essere invece il punto centrale da cui partire. Questo concetto non è un principio del mondo laico contro quello cattolico dal punto di vista del diritto e dell'ordinamento giuridico, ma un principio che non può che

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appartenere a tutti, perché si alimenta della stessa libertà e del rispetto del corpo e della mente di ciascuna singola persona.
Ricorda quindi come, all'inizio dello scorso anno, mentre sui giornali infuriava la polemica tra mondo laico e cattolico su questo presunto conflitto, sia andata ad ascoltare un seminario per gli studenti organizzato da giuristi laici e cattolici del calibro di Ferraioli, Lipari, Segni, Alpa ed altri. Si aspettava un dibattito molto acceso e su posizioni contrapposte, ma in realtà ha potuto misurare una posizione unanime che contestava all'impianto di questa legge di ignorare principi fondamentali dell'ordinamento giuridico e da tutti condivisi, quali: il principio di autodeterminazione, alla cui tutela è preposto l'istituto giuridico del consenso informato, che perderebbe ogni significato se non si leggesse indissolubilmente legato alla possibilità di dissenso e rifiuto della proposta curativa; il diritto di disporre del proprio corpo come esercizio del diritto di libertà; il concetto di trattamento sanitario esteso a tutte le pratiche che invadano un corpo e si supportino di un sapere medico-scientifico.
Si tratta, sostanzialmente, dei principi che hanno ispirato la sentenza della Cassazione sul caso Englaro, che non si è arbitrariamente fatta legislatore, come contesta il collega Contento, ma fedele alla sua funzione ha enucleato, pur in assenza di una norma specifica, i principi dell'ordinamento giuridico che di fatto già disciplinano quella materia e con valore di rango costituzionale. Come ha detto Rodotà, la Cassazione, fondandosi su quei principi che prima ha richiamato, «ha reso esplicita la trama costituzionale che in queste materie è, come ben si sa, oggetto di applicazione diretta al rapporto tra privati. In ipotesi come questa non c'è bisogno dell'intermediazione del legislatore». Peraltro esiste una assai estesa dottrina giuridica, che va dal diritto mite di Zagrebelski al diritto fraterno di Resta, che afferma che soprattutto quando si tratti di temi invasivi per la libertà, la legislazione dovrebbe limitarsi a principi, evitando norme di dettaglio che rischierebbero più di incastrare i diritti che di disciplinare correttamente le fattispecie. Una preoccupazione di questo genere a proposito della disciplina sul contenuto delle DAT pare potersi cogliere nello stesso intervento dell'onorevole Contento.
Provera quindi a richiamare questi principi nella loro elaborazione giurisprudenziale, proprio perché la Commissione giustizia da essi non può prescindere, ricordando però che in capo a tutto vi è l'obbligo che impone la Costituzione, in particolare con gli articoli 2 e 3, come ricorda la sentenza Englaro, della tutela della persona che non può essere considerato principio secondario rispetto alla tutela di interessi collettivi trasformando il diritto in dovere. Questa trasposizione non appartiene alle democrazie, ma caratterizza gli stati etici e totalitari. Correttamente perciò la Cassazione ha escluso l'esistenza di un dovere di curarsi come di un dovere di ordine pubblico. Le donne conoscono, hanno conosciuto negli anni, la trasposizione da diritto a dovere. Alcuni anni fa lo stupro che subivano non era violenza sul loro corpo, ma alla pubblica moralità. Sente forte in questo provvedimento il senso etico di un dovere di cura che è autorizzato anche al sacrificio del principio di libertà e di disporre del proprio corpo. Ma questo è contrario ai principi dell'ordinamento giuridico italiano e internazionale.
Il riconoscimento del principio del consenso informato è qualificato dalla giurisprudenza, ben prima del caso Englaro, come principio generale per cui in presenza di un documentato rifiuto di persona capace e adulta, il medico deve astenersi dai conseguenti atti diagnostici e di cura anche in virtù del codice di deontologia medica. Secondo la giurisprudenza, in questi casi il medico non può che fermarsi, perché non è consentito alcun trattamento medico contro la volontà del paziente.
Ed a questo il medico è tenuto anche in virtù della Convenzione di Oviedo, che prevede che quando una persona maggiore

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di età non possiede la capacita di dare il consenso ad un intervento questo non può essere effettuato senza l'autorizzazione del suo rappresentante. La Convenzione è di immediata applicazione anche quando non sia stata recepita, a meno che non contrasti con le norme interne. In realtà non solo essa non contrasta, ma le norme principio dell'ordinamento giuridico e la Convenzione di Oviedo si ispirano al medesimo ordine di valori e di libertà della persona.
Infatti, la costruzione dell'istituto del consenso informato come principio generale e come presupposto della liceità dell'atto medico, che deriva da una ormai consolidata giurisprudenza, altro non vuol dire che quando l'atto del medico manchi di questo presupposto è sicuramente illecito. La Cassazione, con sentenza n. 5444 del 2006 ha precisato che «la correttezza o meno del trattamento non assume alcun rilievo ai fini della sussistenza dell'illecito per violazione del consenso informato essendo del tutto indifferente ai fini della configurazione della condotta omissiva, la quale sussiste per la semplice ragione che il paziente non è stato messo in condizione di assentire al trattamento sanitario.» Non sono ammissibili deroghe alla autodeterminazione, nonché alla libertà fisica intesa come diritto al rispetto della propria integrità corporea, le quali sono tutte profili della libertà. Quindi non esiste un diritto di curare, ma una potestà di curare del medico che per poter essere esercitata ha bisogno del presupposto del consenso. Esiste invece un diritto e non un dovere alla cura, che ha come presupposto il consenso informato, che ha in sé non solo la possibilità di scegliere tra diversi tipi di cura, ma anche di rifiutare la cura in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale. Perciò il diritto all'autodeterminazione che l'istituto del consenso informato tutela, non incontra limiti anche quando ad essa consegua il sacrificio del bene della vita. La salute dell'individuo, per la Cassazione, non può essere oggetto di imposizione autoritativa coattiva, non esiste un dovere di curarsi come principio di ordine pubblico per cui il diritto del singolo alla salute implica la tutela del suo risvolto negativo, il diritto di perdere la salute, di vivere le fasi finali della propria esistenza secondo canoni di dignità umana propri dell'interessato, finanche di lasciarsi morire.
Si domanda se sia allora ipotizzabile che con una legge si eliminino tutti questi principi con il risultato, già preventivato proprio dal collega Contento, di finire davanti alla Corte costituzionale tacendo, come ha rilevato la relatrice, su quel principio di autodeterminazione che è la linea di confine che separa l'integrità del proprio corpo dal trattamento sanitario. Se veramente si crede che chiamando diversamente il trattamento sanitario, con il nomignolo di idratazione e nutrizione artificiale, cambi il senso del discorso.
Questo provvedimento arreca un serio vulnus al principio di autodeterminazione e di libertà di disporre del proprio corpo, anche se attraverso un raggiro si definisce diversamente il trattamento sanitario. Anche perché a definire la nutrizione artificiale trattamento sanitario, a volte salvavita, è la stessa Commissione di bioetica della Società Italiana di nutrizione artificiale, che peraltro nella somministrazione di essa invoca il rispetto dell'articolo 39 del codice deontologico, che prescrive che i trattamenti siano rispettosi della dignità della persona e ragionevolmente utili alla cura.
Si domanda quindi se si possa davvero ritenere che tutte queste problematiche vengano di colpo superate, perché non si qualificano l'idratazione e l'alimentazione come trattamento sanitario. Soprattutto quando questa qualificazione l'ha già data la giurisprudenza con la sentenza Englaro, in cui afferma che «non v'è dubbio che l'idratazione e l'alimentazione artificiale con sondino gastrico costituiscono un trattamento sanitario. Esse infatti integrano un trattamento che sottende un sapere scientifico che è posto in essere da medici, anche se poi proseguito da non medici. Siffatta qualificazione trova il sostegno della comunità scientifica internazionale e

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della giurisprudenza della Corte Costituzionale che ricomprende il «prelievo ematico» pratica medica di ordinaria amministrazione tra le misure di restrizione della libertà personale, quando ne sia necessaria l'esecuzione coattiva per rifiuto opposto dal soggetto».
Si consideri anche la giurisprudenza in materia di rifiuto di sottoporsi a prove ematiche nell'ambito del giudizio per la dichiarazione giudiziale di paternità, dove le prove ematiche sono qualificate come ispezione sul corpo e quindi non possono essere disposte nel caso di rifiuto senza un provvedimento che limiti la libertà. Può solo essere utilizzato come prova a sfavore il rifiuto di sottoporvisi. Né basta dire che sono destinate ad alleviare la sofferenza, perché non è affatto vero che lo sono per chi ritiene quei trattamenti degradanti. Anzi, è del tutto scorretto perché ciò che allevia la sofferenza è ciò che priva del dolore, non ciò che rinvia la morte. Secondo la sentenza Englaro, infatti, «accanto a chi ritiene che sia nel proprio interesse essere tenuto in vita artificialmente il più a lungo possibile, anche privo di coscienza, c'è chi, legando indissolubilmente la propria dignità alla vita di esperienza e questa alla coscienza, ritiene che sia assolutamente contrario ai propri principi sopravvivere in una condizione di vita priva della percezione del mondo esterno per l'inaccettabilità per sé dell'idea di un corpo destinato, grazie a terapie mediche, a sopravvivere alla mente».
Ritiene paradossale che si parli di alleviare le sofferenze per chi non accetti la sopravvivenza del corpo alla mente. Ritiene opportuno che si rifletta attentamente su questa condizione in cui il corpo sopravvive alla mente. Se esiste, e si è visto che esiste, un diritto all'integrità psico-fisica, vuol dire che, quando questa integrità si spezza in due, da un lato la psiche finita, e dall'altro un corpo tenuto in vita, questo diritto è leso tutte le volte in cui costringiamo alla rinunzia alla propria integrità: sia rifiutando le cure se il soggetto voglia curarsi, sia imponendo al soggetto le cure se costui non le voglia.
Una volta che la mente non possa più avere il controllo del corpo, questo corpo è sottoposto ad una volontà medica terza che non trova più la giustificazione nella cura, perché il male non è più curabile. Diventa una specie di sequestro in cui il corpo di qualcuno è nelle mani di un altro o di tutti gli altri che dovranno occuparsi di lui. Insomma, si entra nel paradigma della tortura e non a caso la convenzione sulla libertà ed i diritti fondamentali dell'uomo firmata a Roma nel 1950 parla oltre che di divieto di tortura anche di divieto di atti degradanti.
Ritiene che il provvedimento in esame sia assolutamente in contrasto proprio con l'articolo 3 della convenzione di Roma, perché impone alla persona di accettare trattamenti degradanti. L'ultima parola non può che essere del soggetto titolare del diritto, nella forma diretta o di dichiarazione anticipata o del fiduciario. Dal punto di vista giuridico non può esservi dubbio alcuno ed occorrerebbe avere l'onestà intellettuale di ammetterlo. Ognuno potrà discutere sulla base di altri codici, che dovranno comunque essere rispettati, ma ritiene che sia indispensabile il rispetto dei principi dell'ordinamento giuridico, perché è quello il paradigma che disciplina le libertà di tutti e di ciascuno.

Giulia BONGIORNO, presidente e relatore, ricorda che il provvedimento è stato iscritto nel programma dei lavori dell'Assemblea nel mese di dicembre. Vi è quindi il tempo di approfondire ulteriormente e di verificare la possibilità, una volta esauriti gli interventi, di sintetizzare le varie posizioni espresse. La Commissione dovrà comunque esprimere un parere in tempo utile per consentire alla Commissione di merito di concludere l'esame in vista dell'inizio dell'esame in Assemblea. Rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 15.55.

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AVVERTENZA

I seguenti punti all'ordine del giorno non sono stati trattati:

SEDE CONSULTIVA

Delega al Governo in materia di lavori usuranti e di riorganizzazione di enti, misure contro il lavoro sommerso e norme in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro.
C. 1441-quater-F Governo rinviato alle Camere dal Presidente della Repubblica, approvato dalla Camera e modificato dal Senato.

SEDE REFERENTE

Inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell'ergastolo.
C. 668 Lussana e C. 657 D'Antona.

Disposizioni in materia di responsabilità civile dei magistrati.
C. 1956 Brigandì, C. 252 Bernardini, C. 1429 Lussana, C. 2089 Mantini, C. 3285 Versace, C. 3300 Laboccetta e C. 3592 Santelli.

Modifica all'articolo 13 del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, in materia di attribuzione delle funzioni ai magistrati ordinari al termine del tirocinio.
C. 2984 Vietti e C. 3046 Ferranti.

ATTI DEL GOVERNO

Schema di decreto ministeriale concernente il riparto dello stanziamento iscritto nello stato di previsione della spesa del Ministero della giustizia per l'anno 2010, relativo a contributi ad enti, istituti, associazioni, fondazioni ed altri organismi.
Atto n. 254.

Schema di decreto legislativo recante disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni in attuazione della direttiva 2006/141/CE per la parte riguardante gli alimenti per lattanti e gli alimenti di proseguimento.
Atto n. 242.

UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI

ERRATA CORRIGE

Nel Bollettino delle Giunte e delle Commissioni parlamentari n. 378 del 6 ottobre 2010:
a pagina 31 del sommario:
posporre l'ottava riga dopo l'undicesima riga;
dopo la diciannovesima riga inserire la sede: «ATTI DEL GOVERNO»;

a pag. 34, prima colonna, ventiduesima riga sostituire le parole: «14.45» con le seguenti: «15.10»;
a pag. 37, prima colonna, dopo la trentacinquesima riga, inserire la sede: «ATTI DEL GOVERNO».