CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 8 luglio 2010
350.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Giustizia (II)
COMUNICATO
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ATTI DELL'UNIONE EUROPEA

Giovedì 8 luglio 2010. - Presidenza del presidente Giulia BONGIORNO.

La seduta comincia alle 9.

Programma legislativo e di lavoro della Commissione europea per il 2010 e programma di 18 mesi del Consiglio dell'Unione europea presentato dalle Presidenze spagnola, belga e ungherese COM(2010)135 def. - 17696/09.
(Seguito dell'esame, ai sensi dell'articolo 126-ter del regolamento, e conclusione - Approvazione della relazione finale).

La Commissione prosegue l'esame del programma legislativo, rinviato il 7 luglio 2010.

Giulia BONGIORNO, presidente, ricorda che nella seduta di ieri il relatore,

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onorevole Scelli, ha presentato una proposta di relazione favorevole che, nessuno chiedendo di intervenire, pone in votazione.

La Commissione approva la proposta di relazione favorevole presentata dal relatore.

La seduta termina alle 9.05.

SEDE REFERENTE

Giovedì 8 luglio 2010. - Presidenza del presidente Giulia BONGIORNO. - Interviene il sottosegretario per la Giustizia Giacomo CALIENDO.

La seduta comincia alle 9.05.

Norme in materia di intercettazioni telefoniche, telematiche e ambientali.
C. 1415-B Governo, approvato dalla Camera e modificato dal Senato.
(Seguito dell'esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato il 7 luglio 2010.

Enrico COSTA (PdL), intervenendo sull'ordine dei lavori, rappresenta l'esigenza del suo gruppo di avere un maggior termine a disposizione per la presentazione degli emendamenti, rispetto a quello previsto per le ore 10 di lunedì prossimo, in quanto vi sono taluni aspetti e profili del provvedimento estremamente complessi che necessitano di un ulteriore approfondimento, al fine di poter presentare degli emendamenti che possano migliorare il testo. Chiede pertanto che il termine sia fissato per la giornata di martedì.

Giulia BONGIORNO, presidente, prende atto della richiesta dell'onorevole Costa, rilevando come questa debba essere sottoposta all'ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, secondo quanto previsto dal regolamento.

Lorenzo RIA (UdC) dichiara che il proprio gruppo è favorevole ad un breve slittamento del termine per la presentazione degli emendamenti, se questo serve alla maggioranza per trovare soluzioni migliorative del testo.

Giulia BONGIORNO, presidente, prende atto della disponibilità del gruppo dell'UdC rispetto alla richiesta dell'onorevole Costa. Invita quindi ad intervenire l'onorevole Ria, quale primo iscritto a parlare.

Lorenzo RIA (UdC) osserva che da diversi anni il dibattito politico e parlamentare evidenzia l'esigenza di una modifica della disciplina delle intercettazioni telefoniche, essendo venute più volte in evidenza alcune criticità nel loro utilizzo e nella loro diffusione. L'interesse di gran lunga prevalente, che ha mosso gran parte delle forze politiche di entrambi gli schieramenti, è stato quello della tutela della riservatezza delle persone, molte volte violata anche in danno di chi non era indagato ed era estraneo alle attività di indagine.
Tale necessità da tempo è stata colta da tutte le parti politiche, se è vero che nella scorsa legislatura era stato approvato dalla Camera, quasi all'unanimità, un disegno di legge che provava a contemperare il diritto alla privacy con altri valori costituzionalmente protetti, quali la libertà di stampa, il diritto di informazione, l'obbligatorietà dell'azione penale, il giusto processo, la sicurezza dei cittadini, e che comunque prevedeva il divieto di pubblicazione fino al termine delle indagini preliminari o dell'udienza preliminare.
L'unica vera istanza proveniente da una parte dell'opinione pubblica era e rimane questa: l'esigenza di tutelare l'immagine, l'onorabilità e la privacy di chi, legittimamente, abusivamente o casualmente captato nei colloqui telefonici, si fosse ritrovato esposto alla dannosa pubblicità della propria vita privata sui mezzi di comunicazione a grande diffusione. Occorreva, quindi, un intervento legislativo non semplice, perché il diritto costituzionalmente garantito alla tutela della vita

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privata e alla libertà e segretezza delle comunicazioni deve essere bilanciato con altri precetti, di uguale rango costituzionale, quali quelli della libertà di stampa e del diritto di/alla informazione, dei principi dell'obbligatorietà dell'azione penale, del giusto processo e del dovere dello Stato di garantire ai cittadini la sicurezza personale.
L'attenzione e, sovente, l'indignazione dell'opinione pubblica hanno, infatti, avuto modo di investire le modalità di utilizzazione e pubblicizzazione di quel delicatissimo strumento di indagine che è rappresentato dall'intercettazione di conversazioni o comunicazioni telefoniche, regolato dagli articoli 266 e seguenti de codice di procedura penale.
Sebbene l'intervento normativo sia complesso e risulti maggiormente aggravato, nella sua complessità, da specifiche circostanze nazionali quali le anomalie del sistema informativo italiano, l'elevato tasso di criminalità, i difficili rapporti tra magistratura e classe politica, il nostro rammarico è stato comunque, fin qui, notevole: ad avviso del proprio gruppo sembra non essersi raggiunto pienamente quel punto di intesa e di collaborazione responsabile, pur raggiunto in passato, che avrebbe potuto permettere una maggiore condivisione del testo normativo che ci si accinge oggi ad esaminare in questa Commissione dopo il suo iter in Senato.
Pochi, ma inderogabili e chiari, sono stati fin dall'inizio i profili che il gruppo dell'Unione di Centro ha sempre posto all'attenzione dell'opinione pubblica e che continua anche in questa sede a ribadire con convinzione.
Il primo è il diritto dei cittadini alla sicurezza, senza indebolire gli strumenti di investigazione e quindi senza tagliare la possibilità di svolgere indagini efficaci a investigatori e magistrati: queste norme incidono ampiamente e in negativo in materia di sicurezza e in materia di lotta alla criminalità. Ciò è affermato da tutti gli operatori della sicurezza e da tutti i sindacati di polizia.
Il secondo è la tutela effettiva della privacy, evitando che fatti estranei alle indagini, fatti della vita privata dell'indagato o di terzi, possano entrare a far parte di atti di indagine ed essere poi improvvidamente pubblicati.
Il terzo è fissato dal limite della non divulgabilità di fatti estranei alle indagini perché attinenti alla sfera privata o frutto di intercettazioni illegali; garantire la libertà di informazione intesa, da una parte, come diritto di informazione garantito costituzionalmente per la stampa ma al contempo, dall'altra, come diritto dei cittadini ad essere informati di quanto effettivamente accade nel Paese e in particolare del malaffare.
Ci si trova di fronte ad un testo che non riesce ancora a trovare quell'equilibrio tra le esigenze delle indagini e la tutela della riservatezza dei cittadini al quale la disciplina delle intercettazioni dovrebbe tendere e per questo si auspica che, in sede di esame delle proposte emendative che verranno presentate in Commissione vi possa essere, da parte della maggioranza, una maggiore riflessione politica in grado di elaborare un testo che possa rappresentare concretamente il frutto di un lavoro ponderato e condiviso da tutte le forze politiche presenti in Parlamento.
Passa quindi all'analisi sostanziale del provvedimento.
Il provvedimento presenta, a suo parere, ancora numerose defezioni e punti di criticità che prenderà in considerazione.
L'articolo 1, comma 5, dispone alcune modifiche all'articolo 114 del codice di procedura penale, attraverso l'inserimento del comma 2-bis. Nello specifico appare irragionevole la previsione introdotta riguardo al divieto di pubblicazione «anche parziale o per riassunto o del relativo contenuto di atti indagine preliminare», fino alla conclusione delle indagini ovvero fino all'udienza preliminare, in riferimento ad atti che non siano segreti.
Come emerso, infatti, in maniera evidente nel corso delle audizioni svoltesi in Commissione, le perplessità maggiori sollevate riguardano non la finalità del provvedimento relativamente alla esigenza di contemperare le necessità investigative con

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la riservatezza dei soggetti estranei alle indagini e degli stessi indagati, con riferimento al contenuto di conversazioni telefoniche intercettate - aspetto questo pienamente condivisibile -, quanto piuttosto l'allargamento e l'irrazionale estensione dei divieti di pubblicazione delle notizie concernenti le indagini preliminari (con l'evidente aggravamento delle misure sanzionatorie previste in caso di violazione di detti divieti), nonché l'introduzione di una nuova fattispecie di responsabilità amministrativa a carico delle persone giuridiche titolari dei mezzi di informazione che abbiano dato luogo all'arbitraria pubblicazione di atti di un procedimento penale in palese violazione dell'articolo 617 del codice penale, entrambi elementi previsti dal provvedimento.
Se da un lato risulta apprezzabile che in luogo dei divieto tout court contenuto nella versione originaria del disegno di legge, di pubblicare atti relativi ad indagini giudiziarie anche se non più coperti dal segreto fino alla conclusione delle indagini preliminari ovvero fino al termine dell'udienza preliminare, si preveda ora la possibilità di pubblicazione degli stessi per riassunto (una volta caduto il segreto) eliminando il vistoso vulnus al diritto-dovere di informazione rispetto ad atti non coperti dalla decretazione, dall'altro, tuttavia, occorre segnalare la permanenza di un regime «irragionevolmente» differenziato per le intercettazioni, che nel testo è rappresentato dal divieto assoluto di pubblicazione (anche se non più coperte da segreto) fino al processo con pene gravissime quali la reclusione da 6 mesi a 3 anni.
In tal modo si attua un discrimine rispetto ad una categoria di atti probatori: gli atti contenenti trascrizioni di intercettazioni. In sostanza mentre gli atti d'indagine saranno pubblicati per riassunto una volta caduto il segreto, le intercettazioni non lo saranno a nessuna condizione, se non in occasione del processo.
Ad avviso del suo gruppo, sembra mancare nel testo un filtro in grado di eliminare dal fascicolo processuale in vista della loro distruzione, almeno dopo un margine di tempo ragionevole per esigenze di indagine, le intercettazioni non rilevanti per l'attività investigativa. Dunque se si considera che le intercettazioni sono state limitate ai reati più gravi che destano allarme nella pubblica opinione e che manca nel testo il filtro di cui si accennava, l'effetto è che per gravissimi reati non sarà possibile dare notizia di circostanze non più coperte da segreto, emergenti dalle intercettazioni rilevanti per la sussistenza dei reati medesimi, fino al termine dell'udienza dinanzi al giudice per le indagini preliminari.
Tale prima riflessione non può essere trattata, a suo modo di vedere, in maniera distinta rispetto alla disciplina sanzionatoria che viene introdotta dal disegno di legge e che di fatto opera anche nei confronti degli editori.
Sotto tale profilo, sembra potersi parlare di previsioni sproporzionate che indirettamente comprimono il corretto esercizio del diritto di cronaca e di libera manifestazione del pensiero, come garantito dall'articolo 21 della Costituzione.
Dunque, sarebbe opportuno verificare la coerenza e la proporzionalità di un sistema che mentre prevede, nel nuovo testo dell'articolo 684 del codice penale, per il giornalista la sanzione da 1.000 a 5.000 euro, nel nuovo articolo 685-bis del codice penale introdotto dal disegno di legge in questione, la sanzione per i responsabili degli uffici di procura in caso di omesso controllo per impedire l'indebita conoscenza del contenuto di intercettazioni (fattispecie questa più grave) è stabilità nell'ammenda da euro 500 a 1.032.
Per non parlare poi dell'effetto repressivo che si aggrava con l'estensione della responsabilità all'editore, cui viene comminata una sanzione pecuniaria elevatissima, da 25.800 a 465 mila euro per ciascuna singola violazione. Ancora una volta vi è una discrasia più che evidente nel testo.
Passa quindi alla questione dei cosiddetti «reati spia», relativamente all'elencazione dei reati di cui al comma 10 del provvedimento in esame, che sostituisce l'attuale formulazione dell'articolo 266 del

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codice di procedura penale, prevedendo limiti all'ammissibilità di effettuare intercettazioni.
Occorre osservare che rispetto all'ipotesi originaria che indicava soltanto gravi indizi di colpevolezza, molto è stato fatto. Tuttavia, a fronte della criminalità esistente nel nostro Paese, non appare ragionevole l'aumento da 5 a 10 del limite di pena di cui all'articolo 266, comma 1, lett. a).
In ogni caso anche ove si volesse mantenere il limite decennale del disegno di legge, non è ragionevole escludere dal novero dei reati per i quali è possibile disporre le intercettazioni i fatti di usura, estorsione semplice e riciclaggio, che, spesso, sono il sintomo di reati a connotazione mafiosa. Ritiene, quindi, che occorra procedere nella direzione di ampliare l'elenco dei reati intercettabili attualmente individuati. Vi è il rischio in sostanza, che il cosiddetto «doppio binario», secondo il quale si prevedono presupposti meno rigorosi per i reati di più grave allarme sociale, possa essere vanificato qualora vi fossero eccessivi limiti per le intercettazioni di «reati spia» rispetto a questi reati di più grave allarme sociale.
Ritiene che sia insensato ed irragionevole ipotizzare qualunque estensione della disciplina delle intercettazioni telefoniche alle riprese visive di immagini in luoghi pubblici o aperti al pubblico, ovvero all'acquisizione dei tabulati telefonici (strumento questo indispensabile nelle prime fasi di indagine, per le quali eventuali, eccessivi formalismi possono risultare esiziali).
Il disposto normativo così come attualmente formulato nel testo, assimila al medesimo regime processuale attività investigative fino ad oggi affidate a distinti organi giurisdizionali: intercettazioni al giudice delle indagini preliminari, tabulati al pubblico ministero per effetto del recente decreto legislativo n. 109 del 2008 e videoriprese alla polizia giudiziaria o al pubblico ministero in luoghi pubblici o aperti al pubblico e al giudice per e indagini preliminari per le videoriprese effettuate in luoghi privati. L'accorpamento della competenza ad autorizzare tutte le suddette operazioni presso il tribunale distrettuale appare una scelta di dubbia costituzionalità soprattutto perché assimila situazioni di compressione e limitazione dei diritti dei cittadini obiettivamente e chiaramente diverse e meritevoli, quindi, di diversificate garanzie procedurali. In materia di videoriprese, in particolare, le esigenze di rafforzamento del quadro di garanzia potrebbero meglio venir soddisfatte, distinguendo la captazione di immagini in luoghi privati da quella riferita a comportamenti in luoghi pubblici o aperti al pubblico, in linea con l'orientamento delle Sezioni Unite della Cassazione (sentenza n. 26795 del 2006).
Richiedere, infatti, l'autorizzazione giudiziale anche per tali attività, rappresenta un obiettivo fattore di compressione di una possibile e autonoma iniziativa finora affidata agli organi di polizia giudiziaria. Quanto, infine ai tabulati, al di là della palese contraddittorietà rispetto alla soluzione prescelta dal legislatore con il decreto legislativo n. 108 del 2008 che ha assegnato al pubblico ministero e non al giudice il potere di acquisizione, le sue ricadute pratiche sulla efficacia ed esigenza di rapidità delle indagini e sulla funzionalità del sistema nel suo complesso sono chiare appena si considera la anomala combinazione della abituale frequenza del ricorso a tale strumento nelle prassi investigative con la contestuale affermazione della necessità di subordinare l'impiego alla valutazione di un giudice collegiale distrettuale.
Si sofferma sulla delicata questione delle intercettazioni ambientali. Ritiene che sia alquanto inopportuna la previsione introdotta nel testo, che limita le intercettazioni ambientali tra presenti alla sola ipotesi di flagranza di reato. Occorrerebbe, a suo avviso, una misura emendativa atta a ripristinare la ordinaria possibilità delle intercettazioni ambientali - ossia tra persone presenti in un determinato luogo - prescindendo dal requisito della flagranza del reato, specialmente quando si tratti di ambienti diversi dal domicilio se non si

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vogliono vanificare in radice le ben note potenzialità dei relativi congegni di captazione dei dialoghi.
Relativamente alla previsione della ristretta durata delle attività di indagine per rimediare ad un'estensione a volte irragionevole e costosa delle operazioni captative, si introducono limitazioni temporali inaccettabilmente brevi, che di certo non coincideranno con la tempistica imprevedibile nella commissione dei reati, rendendo così le indagini casuali o inefficaci.
Ricorda che attualmente il sistema prevede che ogni indagine penale abbia una durata massima, sei mesi, un anno, a seconda della gravità, prorogabile motivatamente dal giudice su istanza del pubblico ministero. All'interno di questo periodo si possono usare tutti gli strumenti di indagine, anche le intercettazioni, per la durata dell'indagine.
Nel testo, invece, tutto viene ridotto incomprensibilmente. Non si comprende infatti quale possa essere la ratio e soprattutto l'utilità reale della soglia massima dei 75 giorni, introdotta come limite per la durata delle intercettazioni, considerato che può benissimo accadere che le attività criminose si consumino dopo il termine finale di scadenza delle intercettazioni.
Ancor più farraginoso ed eccessivamente macchinoso risulta il meccanismo previsto per le possibili proroghe temporali che possono essere disposte dal pubblico ministero. Non ha senso prevedere la trasmissione anche per via telematica degli atti rilevanti al tribunale, in composizione collegiale, ai fini della convalida della proroga. Significherebbe che ogni 48 ore si dovrebbe chiedere a un giudice un'ulteriore proroga.
Questa scelta potrebbe, per ragioni meramente organizzative come ricordato anche dal relatore, non essere funzionale ad una disciplina delle proroghe secondo la quale queste avrebbero una durata limitata a soli tre giorni, in quanto comporta la possibilità di riunire a scadenze eccessivamente ravvicinate il tribunale in composizione collegiale.
Dunque, rispetto alla previsione contenuta all'articolo 1, comma 11, del testo, che modifica l'articolo 267, del codice di procedura penale, ritiene che sia sbagliato anche solo ipotizzare che la convalida o l'autorizzazione alle intercettazioni debba essere data da un collegio e non da un giudice monocratico. A tale proposito ricorda che il giudice per le indagini preliminari può disporre la misura della custodia cautelare e, addirittura, nel giudizio di merito con rito abbreviato, infliggere la pena dell'ergastolo. Non comprende quindi il motivo per il quale per una semplice autorizzazione ad effettuare un'intercettazione occorra un tribunale che si trovi nella sede del distretto.
In un'ottica di bilanciamento dell'interesse per l'efficacia delle indagini con l'esigenza di garantire la privacy, un ordinamento ben strutturato dovrebbe fare in modo che questa sia pregiudicata soltanto nei casi di stretta necessità e che, una volta pregiudicata, se ne ottimizzino i vantaggi in termini di efficacia nell'accertamento dei reati.
Da ciò suscitano perplessità i limiti all'utilizzazione dei risultati di intercettazioni legittimamente disposte, introdotte dall'articolo 1, commi 14 e 16 del provvedimento, in procedimenti diversi da quelli nei quali sono disposte.
Non convince, infatti, la norma che esclude l'utilizzabilità esterna di tali risultati salvo che non siano indispensabili per l'accertamento di talune tipologie di delitti (articolo 270, comma 1, del codice penale).
Si dovrebbe almeno prevedere l'utilizzazione nei procedimenti riguardanti reati per cui è ammessa l'intercettazione.
Pur condividendone la ratio, non convince neppure la soluzione normativa di comminare la inutilizzabilità interna dei risultati qualora nel corso del processo il fatto risulti diverso e in relazione ad esso non sussistano i limiti di ammissibilità previsti dall'articolo 266.
Se con tale disposizione si intende evitare che vi siano forzature nelle imputazioni per far rientrare il fatto per cui si procede tra i reati intercettabili, non si può però far cadere la mannaia dell'inutilizzabilità

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su una intercettazione legittimamente disposta solo perché il fatto inizialmente addebitato abbia subito un ridimensionamento.
Pericolosa, è, infine la previsione - introdotta nel testo al comma 27 - di un'ipotesi colposa del reato di cui all'articolo 379-bis del codice penale.
Nella sostanza, salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque riveli indebitamente notizie inerenti ad atti o a documentazione del procedimento penale coperti dal segreto, dei quali è venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio o servizio svolti in un procedimento penale, o ne agevola in qualsiasi modo la conoscenza, è punito con la reclusione da uno a sei anni.
In conclusione, dichiara che il suo gruppo è consapevole che lo strumento delle intercettazioni abbia subito delle degenerazioni, registrate nel suo uso e nella sua funzione. In questo momento il Parlamento si trova di fronte due linee chiare per affrontare e risolvere problemi che indubbiamente esistono e che debbono essere risolti: quella di limitare fortemente le intercettazioni e, quindi, l'efficacia delle attività di indagine, con oggettivo indebolimento della sicurezza dei cittadini e del contrasto alla criminalità di ogni genere, nonché di comprimere la libertà di stampa, o, in alternativa, quella di vietare e bloccare la diffusione delle intercettazioni abusive o estranee alle indagini e ai procedimenti penali, responsabilizzando e sanzionando magistrati, polizia giudiziaria e personale per la violazione del segreto di ufficio e la strumentalizzazione nell'uso e nella diffusione delle intercettazioni non rilevanti per fini di giustizia, in tal modo tutelando la riservatezza dei cittadini e la corretta ed efficiente amministrazione della giustizia.
Il suo gruppo sostiene con forza questa seconda linea, che rappresenta ciò che i cittadini chiedono. Auspica che il testo che uscirà dal sano confronto politico in questa Commissione non rappresenti il frutto della prima strada, quella che indebolirebbe ulteriormente il nostro già collassato sistema giudiziario, minando alla radice il diritto all'informazione, sale essenziale per una democrazia equa e rispettosa della legalità.

Giulia BONGIORNO, presidente, espone all'onorevole Ferranti la richiesta precedentemente formulata dall'onorevole Costa in ordine ad un possibile breve rinvio del termine per la presentazione degli emendamenti, finalizzata a disporre di un maggiore lasso di tempo per approfondimenti e valutazioni in relazione ad eventuali modifiche da apportare al testo. Precisa quindi di avere comunque atteso l'arrivo in Commissione del rappresentante del gruppo del PD affinché questi si esprimesse sulla richiesta.

Donatella FERRANTI (PD) ringrazia il presidente Bongiorno e dichiara di condividere la richiesta dell'onorevole Costa, auspicando che il maggiore lasso di tempo a disposizione per gli approfondimenti sia utilizzato in modo fruttuoso.

Giulia BONGIORNO, presidente, preso atto della richiesta dell'onorevole Costa e della condivisione di tale richiesta da parte dei rappresentanti dei gruppi del PD e dell'UdC, fissa il termine per la presentazione degli emendamenti alle ore 15 di martedì 13 luglio.

Cinzia CAPANO (PD) esprime apprezzamento per la richiesta dell'onorevole Costa, auspicando che essa possa condurre alla riparazione almeno di alcuni dei guasti appostati dal Senato ad un provvedimento che, già come approvato dalla Camera, era fortemente criticabile.
Dichiara di essere rimasta sorpresa nell'ascoltare ieri l'intervento dell'onorevole Vitali il quale, pur essendo un esponente della maggioranza, ha sottolineato la sostanziale inutilità dell'approvazione di un provvedimento assolutamente insufficiente e che comporta forte dissenso nell'opinione pubblica. Il problema, secondo l'onorevole Vitali, sarebbe semmai costituito dalle intercettazioni che si protraggono per anni, come ad esempio quelle disposte nel confronti del ministro Fitto,

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che poi sarebbe risultato assolto da tutte le imputazioni. Dichiara peraltro di non condividere questo ultimo passaggio dell'intervento del collega Vitali, poiché le risulta che Raffaele Fitto sia stato sottoposto ad intercettazioni per pochi mesi e che le indagini si siano concluse con il rinvio a giudizio per reati gravi.
Sottolinea come il provvedimento sia fortemente connotato dall'intento di tutelare sì la riservatezza, ma non tanto quella di tutti i cittadini, quanto piuttosto quella della sola classe dirigente. Il provvedimento, anzi, va anche oltre la tutela della privacy e sembra avere come scopo principale la tutela dell'immagine di chi appartiene alla classe dirigente di questo Paese. Ed è la percezione di questa finalità distorta che, a suo giudizio, determina il dissenso e l'indignazione dell'opinione pubblica. Il che appare ancor più distonico se solo si considera che il diritto all'immagine inteso in senso tecnico-giuridico, come evidenziato dalla dottrina civilistica, affievolisce quanto il titolare è un personaggio pubblico ed è quindi più forte quando titolare è il comune cittadino.
Rileva come l'esame in seconda lettura alla Camera sia l'ultimo momento utile per riscrivere il provvedimento e renderlo conforme alla Costituzione. La preoccupa, sotto questo profilo l'intervento dell'onorevole Contento, la cui serietà e correttezza sono certamente fuori discussione, il quale però tende a dare al principio della cosiddetta «doppia conforme» un'interpretazione molto restrittiva, che limiterebbe eccessivamente i margini di manovra per apportare modifiche al provvedimento, poiché sembrerebbe possibile intervenire solo sulle parti del testo modificate. Rileva come, in realtà, la mera interpretazione letterale dell'articolo 70, comma 2, del Regolamento lasci presagire spazi di intervento molto più ampi, che vanno oltre le modifiche meramente testuali per estendersi a quelle ad esse correlate. Questa più corretta interpretazione consentirebbe, ad esempio, di intervenire sulle modifiche apportate dal Senato in tema di presupposti delle intercettazioni e sulle altre parti del testo ad esse connesse e ripristinare in maniera chiara ed univoca il principio del «doppio binario», che anche secondo i procuratori Grasso e Pignatone, avrebbe subito delle gravi alterazioni.
Un altro esempio nel quale un'interpretazione eccessivamente formalistica del principio della «doppia conforme» impedirebbe di colmare una grave lacuna del provvedimento è indicato dallo stesso onorevole Contento, il quale dichiara di non condividere la disciplina dei termini di durata delle intercettazioni, ma ritiene che ormai quella parte del provvedimento sia immodificabile perché oggetto di approvazione da parte di entrambi i rami del Parlamento.
In tale contesto, dichiara di condividere l'opinione del professor Spangher, riferita ieri dal sottosegretario Caliendo, secondo il quale in realtà le modifiche apportate dal Senato hanno sostanzialmente eliminato il termine massimo di durata delle intercettazioni, poiché l'ultima proroga di tre giorni sembrerebbe reiterabile senza limiti.
Invita quindi a riflettere con molta attenzione sulla disciplina transitoria, che fa invece riferimento al termine di durata massima, ed il cui impatto sui tribunali distrettuali potrebbe essere equiparabile ad una disastrosa valanga che paralizzerebbe la giustizia: non solo quella penale, ma anche quella civile, atteso che in ragione delle incompatibilità sarebbe necessario ricorrere anche ai giudici delle sezioni civili per formare i collegi. D'altra parte, l'acquisizione degli elementi di conoscenza necessari per la valutazione dell'impatto delle disposizioni contenute nei testi in corso di esame costituisce uno dei compiti precipui della Commissione, ai sensi dell'articolo 79, comma 4, lettera c) del Regolamento. Chiede quindi se il Governo sia in grado di fornire tali elementi alla Commissione e ritiene non si dovrebbe procedere nell'esame del provvedimento senza una valutazione dell'impatto della predetta disciplina transitoria sugli uffici giudiziari.
Esprime conclusivamente forti perplessità su taluni aspetti del provvedimento e,

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in particolare, sulla scelta di attribuire al tribunale in composizione collegiale il potere di autorizzare le intercettazioni; sulla scelta di non includere esplicitamente almeno i più importanti «reati-spia» nell'elenco di quelli per i quali le intercettazioni possono essere sicuramente disposte; sul meccanismo di sostituzione del pubblico ministero di cui all'articolo 1; sulla disposizione che prevede la responsabilità degli editori, ritenendo che la legge n 321 del 2001 sia ontologicamente inapplicabile alla stampa.

Mario CAVALLARO (PD) ritiene che il provvedimento in esame non sia sorretto da una effettiva urgenza e non possa essere considerato una priorità del Parlamento. Lo stesso infatti è stato originato da taluni episodi emersi alla ribalta della cronaca ed ha quindi un carattere, per così dire, occasionale. Piuttosto che discutere sull'ampiezza del principio della cosiddetta «doppia conforme», ritiene molto più opportuno che la Commissione prenda atto che non vi è nessuna necessità di approvare il provvedimento, se non eventualmente dopo essersi attentamente soffermata sulla valutazione dell'impatto delle relative disposizioni ed avere apportato le indispensabili modifiche. Sottolinea come il bilanciamento degli interessi in gioco sia estremamente delicato e come ogni modifica di tale bilanciamento produca degli effetti da valutare con attenzione. Rileva, inoltre, come le questioni relative alla tutela della privacy solo incidentalmente siano collegate al processo penale: esiste infatti una normativa speciale in materia ed ogni intervento non sistematico può creare delle disarmonie nella relativa disciplina.
Evidenzia come la formulazione dell'articolo 267 sia estremamente complessa, prolissa e contorta e come le fattispecie ivi previste siano individuate ricorrendo all'uso di clausole di stile che ne rendono ancora meno semplice l'applicazione. Ritiene che il tribunale in composizione collegiale, in linea teorica, sia utile e offra maggiori garanzie rispetto al giudice monocratico, ma che in questo contesto non sia affatto indispensabile. Sottolinea come la disciplina delle proroghe sia assolutamente illogica, come d'altra parte evidenziato dal professor Giostra nel corso della sua audizione. Le sanzioni per la violazione dei divieti di pubblicazione appaiono eccessivamente severe e sproporzionate e, comunque, non controbilanciate da adeguate misure riparatorie. Esprime un giudizio complessivamente negativo su tutto il procedimento che conduce al decreto di autorizzazione delle intercettazioni, che appare molto macchinoso, anche laddove richiede l'assenso del procuratore della Repubblica. Esprime, infine, un giudizio altrettanto negativo sulle disposizioni che incidono sulla libertà di informazione, che appaiono particolarmente invasive.

Maria Grazia SILIQUINI (PdL) sottolinea come il mandato parlamentare imponga di fare le leggi nell'interesse dei cittadini e come questo dato debba sempre essere tenuto presente quando ci si accinge a varare nuove norme. In questo caso l'intento si persegue solo cercando di scrivere una disciplina che tuteli, contemporaneamente, il diritto alla riservatezza con il diritto alla piena legalità e sicurezza, insieme al diritto alla piena libertà della stampa, che deve essere libera ed autonoma.
Si tratta quindi di un raccordo tra tre diritti di rango costituzionale e nessuno dei tre può essere messo in minoranza e compresso. Questa consapevolezza deve essere posta alla base di ogni riflessione e decisione, soprattutto quando sarà il momento di valutare gli emendamenti, per porre sì fine agli abusi che vi sono stati e all'eccessivo o troppo disinvolto utilizzo delle intercettazioni, senza però rischiare di produrre norme farraginose e impraticabili o norme che, nella sostanza, limitino la libertà di stampa.
Sottolinea, infatti, come il vero problema sia «a monte» e come la violazione al diritto del privato discenda da una violazione di norme che si consuma sempre negli uffici giudiziari, là dove avviene il passaggio da questi uffici al giornalista, consentendo così la pubblicazione di

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quanto o è irrilevante penalmente o dovrebbe comunque essere coperto dal segreto istruttorio. L'illecito si consuma molto spesso, quindi, «a monte» ed è questo fenomeno che dovrebbe essere seriamente contrastato. Si rivolge pertanto al Governo e lo invita a prestare la massima attenzione su questo aspetto, affinché operi per porre fine alla vergogna che si consuma negli uffici giudiziali italiani.
Il dibattito, che per sua natura è libero confronto, non può fermarsi là dove sussiste una doppia lettura conforme tra Camera e Senato che lasci, però, aperti dei dubbi o problemi. La politica è sovrana e può, qualora vi sia la necessità di modifiche importanti, di merito o di procedura, intervenire per fare una legge più giusta, più praticabile o più ragionevole, sempre nel supremo interesse dei cittadini. Il che può avvenire non solo con l'intervento del Governo, che auspica, ma anche con un'interpretazione elastica sulle valutazioni delle modifiche già apportate nel loro insieme: se queste lasciano aperti dubbi o rendono non chiare talune parti della disciplina, con il risultato di dettare una norma insufficiente o insoddisfacente, occorre provvedere ai correttivi.
Cita, a titolo esemplificativo, i presupposti di ammissibilità delle intercettazioni, che sono stati modificati dal momento che il Senato ha aggiunto gli atti persecutori. A suo giudizio, l'aggiunta è utile ma insufficiente pensando a quei reati che spesso si accompagnano ad attività delle associazioni mafiose: si riferisce all'usura, all'estorsione, al riciclaggio, alla corruzione. Sono attività «tipiche» di gruppi associati e per questo non possono essere escluse dalla lista dei presupposti di ammissibilità.
Ricorda come nella sua prima legislatura abbia presentato il progetto di legge contro l'usura e come, per oltre due anni, abbia lavorato esclusivamente sui cosiddetti «reati-spia», per arrivare a dar vita alla legge n. 108 del 1996, che introdusse il reato di usura in Italia e tutta la nuova disciplina ad esso applicabile. All'epoca si svolsero decine di audizioni con magistrati, la Caritas, le associazioni dei consumatori, gli istituti bancari, che fecero emergere un mondo terribile di usurai, veri e propri «strumenti operativi» delle associazioni criminali. Ebbe quindi modo di verificare come questo reato rappresentasse uno strumento, un mezzo per aggredire aziende e commercianti, che vengono prima avvicinati e poi inglobati da associazioni criminali, soprattutto nel nord del paese. La sua lunga esperienza di avvocato penalista e di parlamentare l'ha poi portata a verificare come questi reati siano tipici di associazioni mafiose e a questi ritiene debba essere estesa la disciplina delle intercettazioni, indispensabile per superare il regime di omertà che regna in quei contesti. Sottolinea quindi come, senza le intercettazioni, le indagini subirebbero battute d'arresto gravissime.
In merito alle intercettazioni ambientali, dovrà essere fatta una riflessione per comprendere se la disciplina sia efficace, congrua ed esaustiva. Il Senato ha introdotto un'eccezione applicabile alle sole operazioni da eseguire in luoghi diversi da quelli di cui all'articolo 614 del codice penale (abitazione o altri luoghi privati). Eccezione che opera però solo in alcuni casi e, quindi, con limiti eccessivamente ristretti. Ritene, pertanto, su questo punto, condivisibili i suggerimenti tratti dalle audizioni. Infatti, spesso, le notizie di reato che meritano approfondimenti ed indagini con intercettazioni, anche ambientali, non hanno i connotati tipici del reato associativo, ma prendono spesso avvio dalla conoscenza di reati quali l'usura, l'estorsione, l'incendio, il riciclaggio e la rapina. Per queste indagini sono essenziali le intercettazioni telefoniche e soprattutto le intercettazioni ambientali, che portano poi alla scoperta dell'organizzazione criminale. A suo avviso, la privacy del mafioso non deve esistere e nemmeno quella della moglie, dei figli, delle sorelle e fratelli, dei familiari e delle altre persone connesse. Evidenzia come la realtà sia sotto gli occhi di tutti: l'associazione criminale vive e prospera grazie ai reati commessi dalla «famiglia» e i criminali vivono anche sui reati e sui collegamenti creati da amici e famiglie. Ritiene quindi che non si possa

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neanche pensare di non poter disporre intercettazioni ambientali con riferimento ai domicili, alle dimore, alle automobili, alle cantine, ai negozi, ai ristoranti di costoro e dei loro amici e parenti. Ricorda che questa strumentazione investigativa ha consentito a questo Governo ed al Ministro dell'Interno, che ha comunque grande merito, di catturare molti boss mafiosi.
Ritiene che debba essere rivista la norma che elimina la possibilità di effettuare intercettazioni ambientali in luoghi che non siano privati, per reati diversi da quelli di mafia e terrorismo. Per tutelare il diritto alla sicurezza dei cittadini, non si possono ignorare le modalità con cui ogni giorno lo Stato scopre nuovi traffici criminali, e non si possono togliere allo Stato strumenti essenziali per la difesa della collettività tramite l'esercizio dell'azione penale. Poiché nel bilanciamento tra le esigenze di tutela della riservatezza e della sicurezza non si può arrivare a snaturare lo strumento investigativo, è condivisibile la richiesta di estendere a questi reati «classici» la normativa per intercettazioni telefoniche ed ambientali.
In merito alle proroghe, ritiene che la scelta di affidare la competenza per la relativa autorizzazione al tribunale in composizione collegiale sia opportuna, giacché l'organo collegiale offre maggiori garanzie di ponderazione rispetto ad un organo monocratico, nel momento della valutazione delle richieste del pubblico ministero. Appare, però, farraginosa e problematica la realizzazione pratica del regime di proroga, poiché vengono previsti termini di soli tre giorni. Infatti, la proroga straordinaria reiterabile di tre giorni appare difficilmente praticabile, comportando un lavoro continuo del collegio. Ritiene probabilmente più opportuno stabilire dei termini più lunghi, per evitare di dar vira a «girandole» continue tra gli uffici giudiziari, che si presentano già sufficientemente congestionati, oppure trovare delle soluzioni più funzionali all'obiettivo che si vuole raggiungere.
In merito alla previsione del divieto assoluto di pubblicazione delle intercettazioni e, in particolare, dei risultati rilevanti e non più segreti delle indagini, ricorda come siano stati sollevati dubbi di ragionevolezza e costituzionalità, poiché tale divieto incide eccessivamente sul diritto di cronaca. Si domanda, segnatamente, infatti per quale motivo dovrebbe scattare il divieto assoluto di pubblicazione, non essendovi più la necessità di tutela delle indagini quando le intercettazioni non sono più segrete. Esiste un diritto di informazione in ordine a notizie di interesse pubblico che il legislatore non può comprimere senza cadere in evidente censura. Condivide, pertanto, l'impostazione di chi ha sostenuto in audizione che il segreto e il divieto di pubblicazione «a tempo» possono avere senso solo con riferimento ad interessi da tutelare per un certo periodo (per l'efficacia delle indagini e per il convincimento del giudice) e non per quelli (riservatezza rispetto a notizie processualmente rilevanti) che comporterebbero l'inammissibile segretezza dell'intero procedimento penale.
Pertanto, non può essere negato il diritto di pubblicare gli atti di indagine dal momento in cui non sono più coperti dal segreto d'ufficio, sino alla chiusura delle indagini. Trattasi di norme in violazione dell'articolo 10 della convenzione europea sulla libertà di stampa, che sono fortemente stigmatizzate dalla Federazione nazionale della stampa italiana, che segnala come il divieto potrebbe perdurare, in tal modo, per anni.
Inoltre, invita la Commissione a riflettere sulle problematiche posta dalla responsabilità, sostanzialmente oggettiva, a carico degli editori, che sembrerebbe aggiungersi a quella del direttore del giornale. Ritiene che la previsione di sanzioni a carico degli editori delle testate giornalistiche sia grave, perché altera un assetto molto delicato tra proprietà e corpo dei redattori, finora strutturato proprio per assicurare un controllo diffuso da parte del direttore responsabile, senza però comportare la censura da parte della proprietà. Ravvisa quindi una lesione del diritto costituzionale alla libera manifestazione del pensiero, di cui il diritto di

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cronaca è la principale estrinsecazione, destinata a produrre notevoli effetti negativi.
Riservandosi di intervenire in modo più specifico nel prosieguo dell'esame, ribadisce che le nuove norme devono colpire duramente gli abusi delle intercettazioni telefoniche che si verificano «a monte», nel contesto di certi uffici giudiziari, e non solamente l'anello finale, relativo a giornalisti ed editori. Occorre varare norme che portino ad un giornalismo leale: occorre introdurre la «lealtà» dell'informazione, con la previsione eventualmente di un'udienza-filtro, affinché, al momento del deposito degli atti di un processo, questi diventino necessariamente pubblici.

Pietro TIDEI (PD) preliminarmente esprime sconcerto per aver appreso che questa mattina da mezzi di informazione è stato fissato un nuovo termine per la presentazione degli emendamenti su richiesta della maggioranza, senza che ciò sia stato convenuto dalla Commissione.

Giulia BONGIORNO, presidente, replica all'onorevole Tidei che la decisione di prorogare il termine per la presentazione degli emendamenti è stata adottata nel corso della presente seduta dopo aver acquisito il parere anche del gruppo del Partito democratico.

Pietro TIDEI (PD) ribadisce che i mezzi di informazione hanno dato la notizia della proroga dei termini già da prima che iniziasse la seduta, in quanto evidentemente le relative decisioni erano già state prese.
Passa quindi all'esame del provvedimento, rilevando come in realtà argomentazioni, critiche e proposte siano state già diffusamente avanzate sia da colleghi sia dai soggetti che sono stati sentiti in audizione. Tuttavia, considerata l'ostinazione della maggioranza nel voler approvare un provvedimento palesemente incostituzionale, ritiene opportuno svolgere alcune considerazioni.
Prima di affrontare nel merito le diverse questioni, ritiene opportuno soffermarsi sull'importanza che hanno avuto le audizioni svolte nell'ambito dell'istruttoria legislativa, fornendo degli elementi sicuramente utili per migliorare il testo, tutelare meglio gli interessi della collettività e garantire il rispetto della legalità. Il Governo, invece, sembra non voler sentire i diversi suggerimenti che si sono susseguiti nel corso dell'iter parlamentare, così come non sembra avere alcuna intenzione di affrontare in maniera adeguata ed efficace la grave crisi nella quale versa la giustizia. Rileva come in Italia la giustizia sia malata e come per guarire abbia bisogno di risorse umane e finanziarie e di riforme processuali. Il Governo, invece, non ha fatto nulla per la giustizia, ma piuttosto l'ha utilizzata per fini particolari a tutela di determinate persone, attaccando continuamente i magistrati. Il Governo, anche attraverso la riforma delle intercettazioni, ha l'obiettivo di porre la giustizia al servizio degli interessi dei pochi e contro quindi gli interessi pubblici e della collettività.
Per quanto attiene al provvedimento in esame, osserva che in più di un'occasione si è opportunamente da tutti sottolineata la necessità di riformare la disciplina delle intercettazioni, armonizzando il diritto alla riservatezza, la libertà di stampa e il diritto alla sicurezza dei cittadini. Si tratta di interessi che hanno una valenza costituzionale, ma che in alcuni casi rischiano di contrastarsi vicendevolmente e che pertanto devono trovare un punto di equilibrio. Ritiene che il provvedimento trasmesso dal Senato non sia in alcun modo equilibrato, in quanto l'interesse alla sicurezza è stato completamente azzerato a favore degli altri interessi. Non si tratta di una sua valutazione personale, quanto di ciò che è emerso, oltre che dal dibattito che si sta svolgendo nel Paese, dalle audizioni svolte in Commissione. Queste hanno coinvolto magistrati che si trovano in posizioni strategiche nella magistratura, quali il Procuratore nazionale antimafia ed il Procuratore Capo presso il tribunale di Reggio Calabria, autorevoli rappresentanti del mondo accademico e l'associazione di categoria dei magistrati: si tratta

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in sostanza dei soggetti che quotidianamente verificano l'efficacia delle norme che regolano le indagini. Tutti questi soggetti hanno stroncato il testo approvato dal Senato, senza che il Governo o i deputati di maggioranza abbiano ritenuto opportuno controbattere, spiegando le ragioni per le quali le critiche dovrebbero essere considerate infondate. Rileva che i rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati hanno apertamente denunciato che, con la norma approvata dal Senato, sarà molto più difficile la lotta al crimine da parte delle forze dell'ordine e della magistratura inquirente, mentre gli uffici giudiziari saranno travolti da adempimenti burocratici che renderanno oggettivamente impossibile il funzionamento del sistema. Si tratta di una denuncia estremamente seria, alla quale il Governo non può non dare una risposta. Altre critiche ben più pesanti ci sarebbero state in Commissione, qualora fossero stati sentiti anche i rappresentanti delle forze di polizia come richiesto dal suo gruppo. Ricorda inoltre le pesantissime critiche portate al testo dal Garante della privacy, che ha sottolineato come il provvedimento sia eccessivamente sproporzionato nel cercare di tutelare la riservatezza dei cittadini. Tutti costoro hanno evidenziato che le intercettazioni sono uno strumento indispensabile per le indagini, ma che il testo trasmesso dal Senato finisce sostanzialmente per azzerare, mettendo un bavaglio alle forze di polizia e ai giornalisti. È noto che molti dei criminali che oggi si trovano detenuti nelle carceri sarebbero liberi qualora ci fosse stata la legge che la maggioranza sta tentando di far approvare. In sostanza, si tratterebbe di un regalo che verrebbe fatto alle organizzazioni criminali, che sembrerebbe essere parte di quel disegno che a poco a poco sta emergendo secondo il quale la mafia, attraverso stabili e forti collegamenti con le istituzioni ed il potere politico, cercherebbe di avere una legislazione di politica criminale a proprio favore. Il provvedimento in esame sembrerebbe essere, quindi, il pagamento di una cambiale a suo tempo sottoscritta a favore di associazioni criminali. In particolare, il restringimento del campo di applicazione dello strumento delle intercettazioni attraverso l'esclusione dei cosiddetti «reati spia», la sostanziale limitazione nel tempo dello svolgimento delle intercettazioni, la farraginosità e tortuosità sotto il profilo organizzativo della norma che, senza alcun senso pratico, attribuisce la competenza ad autorizzare e prorogare le intercettazioni ad organi collegiali, sono tutti elementi che imprimono un colpo durissimo alla possibilità di effettuare indagini efficaci nei confronti della criminalità organizzata e del crimine in genere.
Ricorda inoltre le pesantissime critiche mosse al testo dai rappresentanti dei giornalisti e dagli editori, che hanno spiegato le ragioni per le quali il testo in esame viola il diritto di cronaca dei giornalisti e il diritto ad essere informati dei cittadini.
Rileva inoltre che critiche al provvedimento sono state avanzate anche da alcuni esponenti della maggioranza, che si sono resi conto delle tante storture del testo che si vuole approvare. Vi sono poi i due terzi degli italiani che esprimono un giudizio negativo e seriamente preoccupato sul provvedimento in esame, temendo per la propria sicurezza e per il dilagare della criminalità ed illegalità che questo provvedimento certamente non sarà in grado di contrastare.
Ritiene che il provvedimento si regga su tre pilastri principali: la restrizione di ogni tipo di intercettazione, l'ampliamento dei divieti di pubblicazione delle notizie relative alle indagini preliminari e l'introduzione nell'ordinamento di fattispecie di illeciti amministrativi a carico degli editori che abbiano permesso la pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale. Per quanto attiene a quest'ultimo aspetto del provvedimento, sottolinea come l'individuazione di una responsabilità oggettiva a carico dell'editore sia in palese contrasto con i principi costituzionali, nonché con recenti sentenze della Corte Costituzionale che riconoscono ai singoli cittadini il diritto di cronaca e la piena autonomia nell'esercizio della loro professione.

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Sempre in tema di libertà di informazione, ritiene che non abbia alcun senso imporre il divieto di pubblicazione, fino alla chiusura delle indagini o all'udienza preliminare, del contenuto anche per riassunto di tutti gli atti di indagine anche quando questi non siano più coperti da segreto. Si tratta di un impedimento palese a quell'esercizio del diritto di cronaca sancito dalla Costituzione e dalla Convenzione dei diritti dell'uomo. Vicende quali quella di Stefano Cucchi e altre analoghe non sarebbero state portate all'attenzione dell'opinione pubblica se non ci fossero state le pubblicazioni sui giornali degli atti di indagini.
Dichiara di non condividere in alcun modo neanche le modifiche apportate all'articolo 53 del Codice di procedura penale, che prevedono la sostituzione da parte del Procuratore della Repubblica del magistrato del suo ufficio che risulta iscritto nel registro degli indagati per reato previsto dall'articolo 379-bis del Codice penale. Come osservato dal dottor Pignatone, Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Reggio Calabria, l'iscrizione nel registro degli indagati è un atto riservato, per cui il Procuratore dovrebbe ricevere la notizia dell'iscrizione in aperto contrasto con la legge. Inoltre, l'iscrizione è un atto dovuto a seguito della denuncia, per cui è facile immaginare le strumentalizzazioni cui potrebbe prestarsi la nuova norma a favore di coloro che avessero interesse a far sostituire il Procuratore che indaga su di loro.
Estremamente gravi sono le modifiche all'articolo 267 in relazione ai presupposti necessari per poter svolgere le intercettazioni nonché le videoriprese e l'acquisizione di tabulati. Si tratta di uno dei punti più delicati dell'intero provvedimento, in quanto, da un lato, sono state ingiustificatamente equiparate le videoriprese e l'acquisizione di tabulati alle intercettazioni, e, dall'altro, sono stati individuati dei presupposti estremamente rigorosi che finiscono per limitare in maniera quasi assoluta le intercettazioni. Questa scelta non tiene assolutamente conto della evoluzione della criminalità, che assume sempre di più una valenza internazionale che non può essere fronteggiata dai tradizionali sistemi di indagini. È del tutto irrazionale anche la scelta di rendere inutilizzabili tutte quelle riprese che sono effettuate da telecamere istallate per ragioni di sicurezza nelle città italiane.
Ritiene grave che l'onorevole Costa abbia definito come una «cantilena» l'elencazione fatta in audizione dal presidente dell'Associazione nazionale magistrati, dottor Palamara, di tutte quelle indagini che non sarebbe più possibile fare qualora venisse approvato il provvedimento in esame. È ancor più grave che il Governo non abbia sentito il dovere di controbattere a questa elencazione di indagini, rilevandone l'infondatezza. Chiede quindi al rappresentante del Governo di chiarire se, come lui pensa, la predetta elencazione sia fondata, in quanto, qualora così fosse, non vi sarebbe alcuna ragione che giustificherebbe l'approvazione del testo in esame.
Del tutto infondata è, a suo parere, anche la scelta di introdurre nel codice il nuovo reato di cui all'articolo 685-bis, che punisce il magistrato che ometta di esercitare il controllo necessario ad impedire l'indebita cognizione di intercettazioni, in quanto si tratta di una nuova forma di responsabilità oggettiva, che addossa una responsabilità ad un soggetto per fatti che possono essere commessi da altri soggetti al di fuori del suo controllo.
Altrettanto incomprensibile è la scelta di affidare al collegio una decisione che poteva benissimo continuare ad essere affidata al giudice monocratico, quale quella relativa alla autorizzazione delle intercettazioni. È a tutti noto che molti tribunali sono permanentemente carenti di magistrati e che una disposizione simile comporterà un notevole aggravio dell'attività degli uffici giudiziari. Inoltre la penuria di magistrati porterebbe a comporre i collegi anche attraverso giudici assegnati alle sezioni civili, che sicuramente non hanno una preparazione adeguata in materia di intercettazioni. Questa scelta inoltre avrà un aggravio notevole per le spese dovute ai trasferimenti di documenti da un ufficio giudiziario all'altro.

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Ritiene che affidare le competenze al tribunale del distretto determini un intralcio al corretto e spedito esercizio dell'azione penale e dell'attività investigativa, oltre ad essere censurabile sotto il profilo della costituzionalità.
Vi è poi la grave questione dei cosiddetti «reati spia», che sono i reati tipici di interesse delle organizzazione mafiose o criminali, quali il riciclaggio, l'estorsione, l'usura, l'incendio e il trasporto dei rifiuti. Sono reati prodromici e spesso strettamente connessi con attività di tipo mafioso o criminale in genere, che il testo in esame non consentirebbe di intercettare. Si tratterebbe di un vero e proprio regalo alla criminalità organizzata.
Altra scelta incomprensibile è quella del divieto delle intercettazioni ambientali in luoghi privati a meno che non si dimostri che in quei luoghi si stia commettendo un reato. Anche in questo caso non si tratta di tutelare la privacy, ma di non voler più contrastare la criminalità organizzata, come risulta chiaro anche dal falso doppio binario che il provvedimento prevederebbe in relazione ai reati di mafia.
È del tutto incomprensibile la disciplina delle proroghe dei termini, in quanto si prevedono delle limitazioni sempre più pressanti, mutando anche il parametro in base al quale la proroga dovrebbe essere concessa.
Altra scelta incomprensibile è quella di non affidare alla Procura nazionale antimafia la gestione delle intercettazioni, con relative spese e budget, relativamente ai reati per i quali questa è competente.
Ciò che veramente è incomprensibile sono le ragioni per le quali la maggioranza ed il Governo si ostinano a volere approvare una legge che la maggioranza degli italiani ed il Presidente della Repubblica non vogliono, e che non trova alcun riscontro a livello internazionale. Auspica che la votazione del provvedimento sia rinviata a settembre affinché la maggioranza possa meglio affrontare, con maggiore serenità, la valutazione delle modifiche che lo stesso buon senso rende necessarie, garantendo così agli italiani un concreto rispetto della riservatezza, una vera e non libertina libertà di stampa nonché un sistema rafforzato della lotta alla criminalità e illegalità.

Cinzia CAPANO (PD) esprime apprezzamento per la richiesta di rinvio del termine per la presentazione degli emendamenti, auspicando che essa sia animata dalla volontà di riparare almeno ad alcuni dei guasti.

Il sottosegretario Giacomo CALIENDO ritiene opportuno fare alcune precisazioni alla luce degli interventi svolti. In primo luogo ritiene del tutto infondate le critiche relative al tema dei cosiddetti «reati spia», in quanto queste non tengono in alcun conto che la soppressione dell'articolo 13 del decreto-legge n. 152 del 1991 non ha alcun effetto negativo sulla lotta alla criminalità organizzata, in quanto tale disposizione è assorbita dal nuovo comma 3-ter dell'articolo 267. Inoltre non corrisponde a realtà che reati quali l'usura e il riciclaggio non saranno più intercettabili.
Anche le critiche alla scelta di attribuire al giudice collegiale le competenze relative all'autorizzazione alle intercettazioni non sono fondate, in quanto i problemi di organizzazione saranno risolti dalla digitalizzazione del processo che verrà alla luce entro un anno.
Per quanto attiene ai nuovi presupposti delle intercettazioni, osserva che questi erano previsti al Senato anche in emendamenti presentati dai gruppi del PD e IdV. Si tratta di presupposti che comunque non possono trovare alcuna applicazione per le fattispecie previste dal comma 3-ter dell'articolo 267, per le quali si prevedono i sufficienti indizi di reato.
Anche le critiche alla nuova disciplina della pubblicazione degli atti delle indagini spesso non tengono conto della reale portata del testo, che in realtà, salvo per le intercettazioni, non è più rigorosa di quella vigente. Occorre poi tenere conto che le disposizioni sulla responsabilità degli editori sono in gran parte coperte dalla doppia lettura e quindi di difficile modificazione, salvo per l'entità della sanzione

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che comunque è già quella minima per quanto riguarda la violazione dell'articolo 684 del codice penale. A proposito della libertà di stampa, ritiene che questa non possa in alcun modo essere invocata quando sono pubblicate intercettazioni distrutto o comunque espunte, trattandosi di intercettazioni sostanzialmente illecite.
Invita pertanto la Commissione a focalizzare la propria attenzione sulla reale portata delle norme in esame, senza farsi condizionare dalle polemiche mediatiche, tenendo conto che comunque su molte disposizioni si è formato una sorta di giudicato in applicazione del principio della «doppia conforme».

Giulia BONGIORNO, presidente, dopo aver preso atto dell'intervento dell'onorevole Ferranti e aver ribadito che la proroga del termine di presentazione degli emendamenti non è avvenuta al di fuori di questa Commissione ribadisce che il termine per la presentazione degli emendamenti è fissato alle ore 15 di martedì 13 luglio. Rinvia il seguito dell'esame alla seduta convocata per martedì 13 luglio nel corso della quale si svolgeranno ulteriori interventi.

La seduta termina alle 11.35.

INTERROGAZIONI

Giovedì 8 luglio 2010. - Presidenza del presidente Giulia BONGIORNO. - Interviene il sottosegretario di Stato per la giustizia Giacomo Caliendo.

La seduta comincia alle 11.35.

5-02727 Velo: Sulla condizione dei detenuti e sull'organico del personale penitenziario del carcere di Porto Azzurro.

Il sottosegretario Giacomo CALIENDO risponde all'interrogazione in titolo nei termini riportati in allegato (vedi allegato 1).

Silvia VELO (PD), replicando, si dichiara parzialmente soddisfatta della risposta del Governo. Rileva infatti che, da un lato, alcuni interventi sono stati eseguiti, ma che, dall'altro, l'episodio verificatosi è più grave di come descritto nella risposta, perché determinato dalla impossibilità di utilizzare la lavanderia e dalla mancanza di fondi per operare le necessarie riparazioni. Sottolinea inoltre come il carcere di Porto Azzurro sia vecchio e fatiscente, e come gli spazi ed i locali al suo interno siano insufficienti ed inadeguati. Anche in considerazione della carenza di personale, l'istituto penitenziario in questione non è assolutamente in grado di sostenere l'attuale situazione e, a maggior ragione, l'arrivo di nuovi detenuti.

5-02994 Cassinelli: Sull'assunzione dei vincitori del concorso pubblico per la copertura di 35 posti di conservatore degli archivi notarili bandito il 19 dicembre 2002.

Il sottosegretario Giacomo CALIENDO risponde all'interrogazione in titolo nei termini riportati in allegato (vedi allegato 2).

Roberto CASSINELLI (PdL), replicando, ringrazia il rappresentante del Governo della risposta fornita, della quale si dichiara molto soddisfatto.

5-03093 Ferranti: Sugli appalti che siano stati eventualmente assegnati alle aziende del gruppo Anemone per opere che interessano il Ministero della giustizia con particolare riferimento al nuovo carcere di Sassari.

Il sottosegretario Giacomo CALIENDO risponde all'interrogazione in titolo nei termini riportati in allegato (vedi allegato 3).

Donatella FERRANTI (PD), replicando, si dichiara solo parzialmente soddisfatta dalla risposta, che appare eccessivamente burocratica e poco significativa, ma dalla quale emerge comunque il gruppo Anemone quale contraente di riferimento. Invita quindi il Governo ad ulteriori chiarimenti

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circa la posizione di quest'ultimo. Invita altresì il Governo ad intervenire immediatamente per garantire il completamento dei lavori relativi al carcere di Sassari.

Giulia BONGIORNO, presidente, dichiara concluso lo svolgimento delle interrogazioni all'ordine del giorno.

La seduta termina alle 11.55.

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

Giovedì 8 luglio 2010. - Presidenza del presidente Giulia BONGIORNO. - Interviene il sottosegretario di Stato per la giustizia Giacomo Caliendo.

La seduta comincia alle 11.55.

Giulia BONGIORNO, presidente, ricorda che, ai sensi dell'articolo 135-ter, comma 5, del regolamento, la pubblicità delle sedute per lo svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata è assicurata anche tramite la trasmissione attraverso l'impianto televisivo a circuito chiuso. Dispone, pertanto, l'attivazione del circuito.

5-03094 Capano: Sulla carenza di personale di cancelleria dei tribunali.

Cinzia CAPANO (PD) rinuncia ad illustrare l'interrogazione in titolo.

Il sottosegretario Giacomo CALIENDO risponde all'interrogazione in titolo nei termini riportati in allegato (vedi allegato 4).

Cinzia CAPANO (PD), replicando, si dichiara insoddisfatta della risposta. Invita quindi il Governo ad intervenire con urgenza per risolvere le problematiche illustrate nell'interrogazione, riservandosi la presentazione di ulteriori atti di sindacato ispettivo.

Giulia BONGIORNO, presidente, dichiara concluso lo svolgimento delle interrogazioni all'ordine del giorno.

La seduta termina alle 12.

AVVERTENZA

Il seguenti punti all'ordine del giorno non sono stati trattati:

INTERROGAZIONI

5-01323 Zucchi: Sulla carenza di organico dell'Ufficio di esecuzione penale esterna di Pavia.

5-03092 Cavallaro: Sulle carenze di organico del Tribunale di Macerata.

5-03115 Tenaglia: Sul programma di ristrutturazione e riqualificazione degli uffici giudiziari de L'Aquila e di Chieti a seguito del terremoto.

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

5-03095 Rao: Su questioni relative al personale femminile di polizia penitenziaria presso la casa circondariale femminile di Roma-Rebibbia.