CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 8 aprile 2010
306.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Giustizia (II)
COMUNICATO
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SEDE REFERENTE

Giovedì 8 aprile 2010. - Presidenza del presidente Giulia BONGIORNO. - Interviene il sottosegretario di Stato per la Giustizia Giacomo Caliendo.

La seduta comincia alle 14.10

Disposizioni relative all'esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno e sospensione del procedimento con messa alla prova.
C. 3291 Governo.

(Esame e rinvio)

La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

Alfonso PAPA (PdL), relatore, prima di passare all'illustrazione del provvedimento sottolinea come questo miri ad attuare in maniera effettiva e concreta il principio costituzionale di rieducazione della pena alla luce del drammatico fenomeno del sovraffollamento delle carceri. Il Governo, anziché procedere come avvenuto in passato a dei «colpi di spugna», che hanno avuto come unico effetto quello di far uscire dalle carceri dei soggetti che avevano ancora delle pene da espiare, ha preferito fare un intervento di razionalizzazione in ordine ai temi della esecuzione della pena di minima entità e dello svolgimento di processi per reati di minore gravità, seguendo peraltro l'esempio di ordinamenti stranieri, quale ad esempio la Francia.
Il provvedimento in esame, composto da dieci articoli, interviene in due diverse materie, quali l'esecuzione della pena (articoli 1 e 2) ed il processo penale (articoli da 3 a 9, con esclusione dell'articolo 6 avente ad oggetto specifico l'affidamento in prova), introducendo al fine di decongestionare rispettivamente il sovraffollamento delle carceri e l'amministrazione della giustizia. L'ultimo articolo sancisce l'invarianza finanziaria del provvedimento.

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In particolare, il Governo ha inteso dare delle risposte ad esigenze da tutti riconosciute inserendo nell'ordinamento delle misure stabili anziché, come avvenuto in passato, temporanee ed eccezionali, che avrebbero una valenza meramente parziale.
Sottolinea che naturalmente, vi è la piena consapevolezza da parte di tutti che il testo in esame non è la soluzione definitiva per i problemi del sovraffollamento delle carceri o del sovraccarico di lavoro per i tribunali. Si tratta bensì di un tassello che si va ad inserire in un quadro ben più complesso di interventi in materia penitenziaria e processuale penale che il Governo ha varato in questa legislatura. È, tuttavia, un tassello di fondamentale importanza in quanto attiene a due temi, quali l'esecuzione in carcere dell'ultimo anno di detenzione e lo svolgimento di processi per reati di minore entità, che possono essere disciplinati in deroga ai principi generali proprio per finalità deflative sia del sovraffollamento delle carceri nonché del carico di lavoro dei magistrati.. I reati meno gravi, ad esempio, spesso corrono il rischio di essere prescritti e di far prescrivere anche reati ben più gravi i cui processi sono rallentati anche dai processi relativi ai reati meno gravi. Per questi reati meno gravi si prevede la possibilità di applicare un istituto finora previsto per il diritto minorile, quale la sospensione del processo con messa alla prova.
Gli obiettivi del provvedimento sono da tutti condivisi indipendentemente dallo schieramento politico di appartenenza. Si tratta, infatti, di voler ridurre significativamente il sovraffollamento delle carceri e razionalizzare il carico di lavoro dei tribunali per così poter velocizzare i processi.
Fin d'ora vorrei sensibilizzare i gruppi affinché diano il loro assenso per il trasferimento dell'esame alla sede legislativa. Ciò avrebbe due effetti: il primo sarebbe quello di una forte accelerazione dell'approvazione di un testo diretto a dare delle risposte urgenti a problemi che in alcuni casi sono drammatici; l'altro sarebbe invece simbolico, ma non per questo meno importante, in quanto si tratterebbe di dare un segnale di responsabilità delle forze politiche, che dimostrerebbero di essere disposte ad abbandonare ogni contrapposizione ideologica di fronte a questioni come quelle oggetto del provvedimento in esame.
In merito al contenuto del testo osserva che l'articolo 1 interviene sull'esecuzione della pena. Più in particolare, l'articolo stabilisce che la pena detentiva non superiore a dodici mesi, anche se parte residua di maggior pena, è eseguita presso l'abitazione del condannato o altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza.
Con questo principio si vuole intendere - come si legge nella relazione di accompagnamento al disegno di legge - che l'esecuzione delle pene più brevi possa avvenire anche in luoghi diversi dagli istituti penitenziari, fermo restando il principio che la detenzione, anche se breve, va comunque eseguita e non può essere sospesa se non nei casi previsti dal codice di procedura penale e dalle leggi in materia di ordinamento penitenziario. In tal modo si ottiene un risultato importante nell'impegno di risolvere la grave questione del sovraffollamento delle carceri senza tuttavia pregiudicare la funzione retributiva della pena, che comunque deve essere eseguita.
Sempre nella relazione del Governo si legge che secondo le stime del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia, nel settembre 2009, circa il 32 per cento dei detenuti a seguito di sentenza definitiva scontavano pene detentive non superiori a un anno. Tale percentuale è costantemente in crescita: era circa il 25 per cento nel giugno 2007 e il 31 per cento nel giugno 2008. Si tratta, quindi, di numeri importanti che incidono fortemente sul fenomeno del drammatico affollamento delle carceri.
Il provvedimento interviene quindi su pene che in parte sono state già eseguite in carcere (i dodici mesi sono dei residui di

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pena) o comunque di entità tale da far ritenere che il carcere possa essere la migliore soluzione sotto il profilo sia retributivo che rieducativo. Anzi, in alcuni casi il carcere ha un effetto deleterio per la personalità di soggetti che hanno commesso reati, ma che non hanno una particolare predisposizione a delinquere. Occorre evitare che questa predisposizione si formi proprio nel carcere, che da luogo di rieducazione si trasformerebbe in «scuola di crimine».
Una volta che le carceri non saranno affollate da tutti quei detenuti che devono scontare solo un anno di detenzione sicuramente sarà fatto un passo importante (che non è l'unico) per ridurre significantemente il problema del sovraffollamento delle carceri. Ribadisce che non si tratta di non scontare l'ultimo o l'unico anno di detenzione, bensì di prevedere che ciò avvenga non in carcere ma in un altro luogo.
Per quanto attiene al procedimento di applicazione della misura dell'esecuzione delle pene detentive non superiori a un anno presso il domicilio, si prevede che questa sia applicata d'ufficio da parte del magistrato di sorveglianza su iniziativa della direzione dell'istituto penitenziario o del pubblico ministero, a secondo che il condannato sia o non sia già detenuto in carcere. Nel primo caso, la direzione dell'istituto trasmette al magistrato di sorveglianza una relazione sulla condotta tenuta durante la detenzione, con l'indicazione del luogo esterno di detenzione (abitazione o altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza); nel secondo caso, il pubblico ministero che deve emettere o che ha emesso l'ordine di carcerazione non ancora eseguito trasmette al magistrato di sorveglianza gli atti del fascicolo dell'esecuzione (sentenza, ordine di esecuzione, decreto di sospensione). Il magistrato di sorveglianza provvede con ordinanza adottata in camera di consiglio, senza la presenza delle parti (articolo 69-bis della legge n. 354 del 1975). L'ordinanza è notificata al condannato o al difensore e comunicata al procuratore generale della Repubblica, i quali entro dieci giorni dalla comunicazione possono proporre reclamo al tribunale di sorveglianza.
Sono stati posti limiti oggettivi (esclusione di alcuni reati) e soggettivi (esclusione di alcune categorie di condannati) all'applicazione della nuova misura detentiva prevista dal provvedimento.
Per quanto attiene ai primi limiti, si prevede che la l'esecuzione presso il domicilio della pena detentiva non può essere disposta nei confronti dei condannati per i reati più gravi, individuati con rinvio all'articolo 4-bis della legge n. 354 del 1975 (terrorismo o eversione dell'ordine democratico, criminalità organizzata, prostituzione minorile, tratta di persone, violenza sessuale di gruppo, omicidio volontario, rapina ed estorsione aggravata).
Sono poi esclusi dall'applicazione della misura i delinquenti abituali, professionali o per tendenza, i soggetti sottoposti al regime di sorveglianza particolare; nonchéi soggetti ai quali sia già stata revocata la detenzione domiciliare, secondo le disposizioni della legge n. 354 del 1975, per avere tenuto comportamenti incompatibili (violazione delle prescrizioni, evasione).
Sottolinea che, a differenza della detenzione domiciliare già prevista dalla legge n. 354 del 1975, la nuova misura può, invece, essere applicata anche ai condannati nei cui confronti sia stata dichiarata la recidiva ai sensi dell'articolo 99, quarto comma, del codice penale. In caso contrario si sarebbe fortemente ridotta la finalità deflattiva del nuovo istituto.
Naturalmente l'esecuzione della pena presso il domicilio in alcuni casi deve essere revocata. Non sono previsti direttamente i casi di revoca, ma viene fatto riferimento a specifiche disposizioni contenute nella legge n. 354 del 1975 e nel regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000. In particolare è richiamato l'articolo 47-ter sulla detenzione domiciliare secondo cui la misura è revocata se il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appare incompatibile con la prosecuzione delle misure, nonché se

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questi è condannato per evasione (reato peraltro reso ancor più grave dall'articolo 2 del disegno di legge). È da notare che in caso di denuncia per il delitto di evasione si prevede la sospensione del beneficio. È poi richiamato l'articolo 51-bis sulla sopravvenienza di nuovi titoli di privazione della libertà. Questo articolo stabilisce che quando durante l'attuazione dell'affidamento in prova al servizio sociale o della detenzione domiciliare o del regime di semilibertà sopravviene un titolo di esecuzione di altra pena detentiva, il direttore dell'istituto penitenziario o il direttore del centro di servizio sociale informa immediatamente il magistrato di sorveglianza. Se questi, tenuto conto del cumulo delle pene, rileva che permangono le condizioni per le misure alternative, dispone la sospensione della misura stessa. Il magistrato di sorveglianza trasmette quindi gli atti al tribunale di sorveglianza che deve decidere nel termine di venti giorni la prosecuzione o la cessazione della misura.
Si applica, inoltre, l'articolo 51-ter, relativo alla sospensione cautelativa delle misure alternative. Tale articolo prevede che se l'affidato in prova al servizio sociale o l'ammesso al regime di semilibertà o di detenzione domiciliare pone in essere comportamenti tali da determinare la revoca della misura, il magistrato di sorveglianza nella cui giurisdizione essa è in corso ne dispone con decreto motivato la provvisoria sospensione, ordinando l'accompagnamento del trasgressore in istituto. Il provvedimento di sospensione del magistrato di sorveglianza cessa di avere efficacia se la decisione del tribunale di sorveglianza non interviene entro trenta giorni dalla ricezione degli atti.
Il richiamo all'articolo 58-quater sul divieto di concessione di benefici, forse merita di essere meglio coordinato con la parte del disegno di legge relativo ai limiti oggettivi. L'articolo 58-quater stabilisce che una serie di misure alternative non possono essere concessi al condannato per uno dei delitti previsti nel comma 1 dell'articolo 4-bis che ha posto in essere una condotta punibile a norma dell'articolo 385 del codice penale (evasione). Questa disposizione si applica anche al condannato nei cui confronti è stata disposta la revoca di una misura alternativa. Si stabilisce poi che il divieto di concessione dei benefici opera per un periodo di tre anni dal momento in cui è ripresa l'esecuzione della custodia o della pena o è stato emesso il provvedimento di revoca. Inoltre i condannati per i delitti di cui agli articoli 289-bis e 630 del codice penale che abbiano cagionato la morte del sequestrato non sono ammessi ad alcuno dei benefici se non abbiano effettivamente espiato almeno i due terzi della pena irrogata o, nel caso dell'ergastolo, almeno ventisei anni.
L'articolo 2 prevede significativi aumenti di pena per il delitto di evasione (articolo 385 del codice penale), che trovano applicazione anche in caso di allontanamento dall'abitazione o dal luogo presso il quale sia in atto l'esecuzione della pena. In particolare, le pene sono aumentate sia nel minimo (che raddoppia: da sei mesi a un anno), sia nel massimo edittale (che triplica: da uno a tre anni); inoltre le pene sono aumentate anche nei casi di evasione aggravata ai sensi del secondo comma dell'articolo 385 del codice penale.
Passa quindi alla seconda parte del provvedimento, relativa al processo penale, anche se si interviene nel codice penale introducendo i nuovi articoli 168-bis, 168-ter, 168-quater e 168-quinquies, che contengono la disciplina sostanziale della sospensione del processo con messa alla prova.
Come si è detto, si tratta di un istituto già previsto nel processo minorile la cui estensione al processo per maggiorenni produrrà una significativa riduzione del numero dei processi relativi a fatti di minore gravità, con effetti benefici per tutto il sistema. Non si tratta, comunque, di una novità in ambito di dibattito parlamentare. A questo proposito ricordo, oltre al progetto di riforma del libro primo del codice penale elaborato dalla Commissione Pisapia, ad alcune iniziative legislative come il disegno di legge n. 2664 presentato nella scorsa legislatura dal governo di centro-sinistra nonché dal progetto

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di legge n. 584 presentato nella corrente legislatura al Senato dal gruppo di Italia dei Valori.
La sospensione del processo con messa alla prova può essere concessa dal giudice quando si procede per reati puniti con la pena pecuniaria o con pene detentive non superiori a tre anni.
Per applicare il beneficio occorre che l'imputato ne faccia richiesta, acconsentendo alla prestazione di lavoro di pubblica utilità, e che vi sia da parte del giudice una prognosi favorevole a che l'imputato si astenga dal commettere ulteriori reati. Non vi è quindi automaticità nell'applicazione della misura.
Vi sono poi dei limiti applicativi. La misura non può essere concessa più di una volta per delitti della stessa indole e, comunque, non più di due volte. Nei casi previsti dall'articolo 99, quarto comma, del codice penale, il beneficio non può essere concesso ai recidivi che abbiano riportato condanne per delitti della stessa indole di quello per cui si procede.
Si prevede la revoca del beneficio in caso di trasgressione del programma di trattamento o delle prescrizioni imposte o di rifiuto di prestazione del lavoro di pubblica utilità, o quando l'imputato commetta un nuovo delitto non colposo o un reato della stessa indole di quello per cui si procede, durante il periodo di prova.
La sospensione del procedimento con messa alla prova comporta la prestazione del lavoro di pubblica utilità, secondo il principio - come si legge nella relazione del Governo - per cui nessun beneficio può essere concesso senza che l'imputato assicuri un ristoro all'offesa rappresentata dalla condotta criminosa.
Il lavoro di pubblica utilità costituisce un obbligo accessorio, di durata compresa tra i dieci giorni e i due anni, e consiste nella prestazione di attività non retribuite in favore della collettività, da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni o presso enti od organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato. La prestazione è svolta nell'ambito del comune di residenza o di domicilio dell'imputato (ove ciò non sia possibile, nell'ambito della provincia), per un tempo compreso tra un minimo di quattro e un massimo di dodici ore settimanali, secondo modalità che devono tener conto delle esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute del condannato. La durata giornaliera della prestazione non può superare le quattro ore. L'applicazione del lavoro di pubblica utilità è sempre subordinata al consenso dell'imputato. È obbligatorio disporre la sospensione della prestazione lavorativa nei confronti di donne incinte, madri con prole di età inferiore a un anno e persone affette da AIDS conclamata; mentre la sospensione è facoltativa nei confronti di chi si trovi in condizioni di grave infermità fisica o nei confronti delle madri di prole di età inferiore a tre anni.
L'articolo 4 contiene la disciplina processuale della sospensione del procedimento con messa alla prova, inserendo la relativa disciplina nel nuovo titolo V-bis del libro sesto del codice di procedura penale, composto dagli articoli 464-bis, 464-ter, 464-quater, 464-quinquies e 464-sexies.
La concessione del beneficio è subordinata a una specifica richiesta, che l'imputato può formulare nel corso delle indagini preliminari o nell'udienza preliminare, fino al momento della precisazione delle conclusioni. Nei procedimenti relativi a reati a citazione diretta, la richiesta può essere presentata dinanzi al giudice del dibattimento, fino alla dichiarazione di apertura del medesimo.
La durata della sospensione è pari, nel massimo, a due anni per le pene detentive e a un anno per quelle pecuniarie; decorso tale periodo, l'esito positivo della prova estingue il reato.
Contro il provvedimento che decide sulla richiesta di sospensione, il pubblico ministero e l'imputato possono presentare ricorso per cassazione.
Nei casi di sospensione del procedimento con messa alla prova, le funzioni del servizio sociale sono svolte dagli uffici locali di esecuzione penale esterna del Ministero della giustizia, secondo quanto previsto dall'articolo 72 della legge n. 354 del 1975.

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L'articolo 6 contiene, al comma 1, disposizioni in materia di ordinamento penitenziario con particolare riferimento all'affidamento in prova al servizio sociale, per condannati con pena definitiva non superiore a tre anni. Si prevede che questo è subordinato alla prestazione del lavoro di pubblica utilità in favore della collettività. Anche in questo caso il principio che si intende affermare è che la misura alternativa alla detenzione può essere concessa solo in presenza di una riparazione in favore della collettività. La prestazione del lavoro di pubblica utilità è sempre subordinata al consenso del condannato, sicché si prevede che in caso di diniego del consenso la misura alternativa non possa essere concessa.
L'articolo 7 introduce il numero 6-bis) del primo comma dell'articolo 56 della legge 24 novembre 1981, n. 689. La disposizione rende conforme la disciplina della libertà controllata al principio secondo cui il condannato non può godere della sanzione sostitutiva della libertà controllata se non acconsentendo a svolgere il lavoro di pubblica utilità di cui all'articolo 168-quinquies del codice penale.
L'articolo 8 contiene una modifica al testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti, prevedendo l'iscrizione nel casellario giudiziale dei provvedimenti con cui il giudice dispone la sospensione del processo, e la cancellazione della medesima iscrizione quando il provvedimento è revocato.
L'articolo 9 prevede che le modalità di svolgimento del lavoro di pubblica utilità e le funzioni del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, in materia di messa alla prova e di prestazione del lavoro di pubblica utilità, sono stabilite con decreto del Ministro della giustizia, da adottare previa intesa in sede di Conferenza unificata, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge.
L'articolo 10 reca la clausola di invarianza finanziaria.

Manlio CONTENTO (PdL) prima di affrontare alcune questioni applicative relative alle disposizioni contenute nel disegno di legge in esame, sottolinea l'esigenza che il Governo fornisca alla Commissione i dati aggiornati e ragionati relativamente ai detenuti che, a seguito di sentenza definitiva, scontano pene detentive non superiori ad un anno. In particolare si dovrebbe capire quali sono le ragioni per le quali questi soggetti si trovano ancora in carcere nonostante tutti quei meccanismi premiali che la legge già prevede. In sostanza, occorre verificare se queste stesse ragioni sarebbero valide anche per la nuova misura che si intende introdurre nell'ordinamento limitatamente all'esecuzione di pene detentive per un periodo inferiore ai dodici mesi. Occorrerebbe anche verificare se questi stessi soggetti non possano beneficiare di misure premiali in quanto queste siano state loro revocate a seguito della commissione di nuovi reati o di violazioni delle statuizioni relative alle medesime.
Per quanto attiene al contenuto del disegno di legge, rileva che questo è in linea con interventi legislativi di altri Paesi, quali ad esempio la Francia, volti a prevedere che pene detentive di ridotta entità non siano eseguite in strutture carcerarie. Ritiene comunque opportuno procedere anche a delle audizioni volte a verificare in concreto le questioni applicative che potrebbero derivare dall'approvazione del disegno di legge del Governo.
Ricorda inoltre che l'esigenza di affrontare la questione del sovraffollamento delle carceri è stata più volte ribadita dalla Camera dei deputati ed in particolare in occasione dell'approvazione di mozioni di maggioranza ed opposizione nonché delle comunicazioni del Ministro della giustizia sull'amministrazione della giustizia che si sono svolte il 21 gennaio scorso. Col provvedimento

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in esame si affronta tale questione con la consapevolezza che il fenomeno può essere contrastato solamente con l'intervento di ulteriori misure, quale per esempio il Piano carceri già adottato dal Governo.
In relazione al contenuto del provvedimento, nella parte in cui si prevede che le pene detentive non superiori ad un anno non debbano essere eseguite in carcere, invita la Commissione a riflettere sull'opportunità di prevedere una nuova misura, come si dispone nel provvedimento in esame, ovvero di modificare istituti vigenti al fine di consentire che tali pene possano essere comunque eseguite in luoghi diversi dal carcere. Ad esempio, si potrebbe prevedere che la detenzione domiciliare sia comminata già dal giudice della cognizione per tutta una serie di reati di minore gravità. Altra soluzione potrebbe essere quella di ridurre alcuni dei limiti previsti per le attuali misure premiali al fine di consentire una maggiore applicazione di queste nell'ultimo anno di detenzione. La Commissione potrebbe valutare anche l'opportunità di attribuire al magistrato di sorveglianza la competenza relativa ad alcune misure alternative che oggi sono di competenza del tribunale di sorveglianza, in maniera tale da poter ridurre significativamente i tempi di applicazione delle medesime. Ritiene che la scelta di modificare misure già previste dalla legge avrebbe il pregio di ridurre il rischio di creare delle disarmonie tra vecchie e nuove misure.
In merito all'introduzione della messa alla prova quale nuova causa di estinzione del reato, ritiene che la Commissione debba riflettere su alcune questioni applicative oltre che sul fatto che questa potrebbe apparire come una sorta di pena da applicare ad un soggetto che non viene sottoposto a processo. In particolare, il nuovo istituto comporterebbe la sottoposizione al lavoro di pubblica utilità per un periodo sicuramente non trascurabile dell'imputato. A tale proposito esprime alcune perplessità sulla scelta di prevedere che l'affidamento in prova al servizio sociale debba essere subordinato alla prestazione di lavoro di pubblica utilità, ritenendo che in tal modo verrebbe fortemente ridotta la possibilità del beneficiario di utilizzare il periodo dell'affidamento in prova al fine di trovare una occupazione lavorativa una volta scontata la pena. Altre perplessità le esprime sulla disposizione relativa al computo della pena in merito al periodo di messa alla prova qualora questa venisse revocata.
Conclude sottolineando tutta la propria disponibilità a trovare soluzioni applicative adeguate affinché il provvedimento presentato dal Governo possa raggiungere gli obiettivi prefissati, che da tutti sono sicuramente condivisi. L'importante è che i reati di violenza siano perseguiti in maniera efficace assicurando che l'esecuzione delle relative pene avvenga in ambito carcerario.

Rita BERNARDINI (PD) ricorda preliminarmente come il provvedimento in oggetto sia stato presentato dal Governo solo dopo una serie impressionante di drammatici episodi verificatisi nelle carceri e dopo l'approvazione di mozioni ed iniziative non violente organizzate dai Radicali. Ricorda altresì come il Ministro della giustizia le avesse assicurato personalmente che tutti i gruppi fossero disposti ad esprimere l'assenso affinché il provvedimento fosse direttamente assegnato alla Commissione in sede legislativa, circostanza che poi incomprensibilmente non si è verificata anche a seguito del diniego del gruppo del PD.
Ritiene che il provvedimento sia sostanzialmente condivisibile, anche se migliorabile. Poiché tuttavia la questione del sovraffollamento delle carceri italiane è divenuto un problema drammatico ed insostenibile, la cui soluzione non può più attendere, auspica che l'esame del provvedimento possa essere trasferito in sede legislativa ricordando a tutti che tale tipo di esame non esclude in alcun modo la possibilità di migliorare il testo, ma è quello che consente di approvarlo in quei tempi ristretti dettati dalla drammaticità della situazione delle carceri.

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Giulia BONGIORNO, presidente, ricorda che il provvedimento, del quale condivide pienamente la ratio pur essendo consapevole dell'esigenza di apportarvi alcuni miglioramenti sotto il profilo della formulazione tecnico giuridica, è stato inserito nel programma dei lavori dell'Assemblea nel mese di maggio ed assicura che l'esame dello stesso da parte della Commissione sarà organizzato in modo tale da rispettare tale scadenza.

Donatella FERRANTI (PD) auspica che il provvedimento in esame sia il primo di una lunga serie di interventi in materia penitenziaria giacché, da solo, non sarebbe certamente idoneo a risolvere i gravi problemi che affliggono il mondo delle carceri. Assicura che il gruppo del Partito democratico contribuirà comunque in modo costruttivo ai lavori della Commissione.
Precisa che il proprio gruppo non ha dato l'assenso all'assegnazione diretta del provvedimento in sede legislativa perché, pur condividendo sostanzialmente la ratio del provvedimento, ritiene che sussistano taluni aspetti critici da verificare ed approfondire, come d'altra parte evidenziato dallo stesso relatore e dall'onorevole Contento. Questa esigenza di approfondimento non dovrà in alcun modo incidere negativamente sui tempi di approvazione del provvedimento né escludere la possibilità di un eventuale successivo trasferimento dell'esame del provvedimento in sede legislativa.
Nel merito, rileva che l'estensione dell'istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova anche ai maggiorenni sarà efficace nella misura in cui per l'attuazione della stessa saranno investite adeguate risorse. Ricorda quindi che nel processo minorile l'istituto ha prodotto un limitato effetto deflativo a fronte di enormi difficoltà di gestione da parte dei servizi sociali. Sottolinea quindi come l'applicazione dell'istituto in caso di reati puniti con pena detentiva non superiore nel massimo a tre anni, releghi l'istituto medesimo ad un ambito di applicazione residuale, ravvisandosi una sovrapposizione con altre misure alternativa alla detenzione. La posizione processuale della parte civile, inoltre, è disciplinata in modo del tutto generico. Per questi motivi esprime quindi forti perplessità sull'efficacia di questo prima parte del contenuto del provvedimento.
Per quanto concerne l'esecuzione delle pene detentive non superiori a dodici mesi presso il domicilio, ritiene che la previsione dell'obbligatorietà della stessa possa porre seri problemi di costituzionalità. Ritiene inoltre che la soluzione normativa adottata sia di dubbia efficacia, anche per le sovrapposizioni con l'istituto vigente della detenzione domiciliare.
Conclusivamente, ribadisce la massima disponibilità del gruppo del Partito democratico ad un esame costruttivo, che sia volto a migliorare il testo ed a renderlo realmente utile ed efficace.

Francesco Paolo SISTO (PdL) dichiara di condividere pienamente la relazione dell'onorevole Papa nonché l'esigenza emersa negli interventi finora svolti di approfondire il provvedimento in esame anche sotto il profilo della sua concreta applicazione, ritenendo comunque che questo debba essere anche l'occasione per svolgere una profonda riflessione sulla reale funzione della pena.
Per quanto attiene alla parte relativa all'esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno, dichiara di condividere la ratio dell'intervento pur ritenendo che sia necessario prevedere la possibilità per il detenuto di chiedere l'applicazione di misure più favorevoli. A tale proposito ritiene che sarebbe sufficiente prevedere il contraddittorio anche nel momento dell'applicazione della misura introdotta dal provvedimento in esame. Non condivide, invece, l'ipotesi prospettata dall'onorevole Contento di introdurre nell'ordinamento come nuova pena principale la detenzione domiciliare, rilevando che in tal caso verrebbe meno sia la funzione rieducativa della pena che la possibilità concreta di verificare il processo rieducativo al quale il detenuto viene sottoposto. In relazione alle modifiche al

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reato di evasione, ritiene che queste non dovrebbero limitarsi ad un aggravamento delle pene, essendo piuttosto opportuna una nuova formulazione della condotta al fine di circoscrivere tale delitto solo alle ipotesi in cui vi sia un significativo allontanamento dal domicilio dove deve essere eseguita la pena detentiva.
In merito al nuovo istituto della messa alla prova ritiene che questo dovrebbe trovare applicazione ai reati puniti nel massimo con la pena detentiva fino a quattro anni, anziché fino a tre anni come previsto dal testo in esame. Qualora non si procedesse a questo innalzamento del limite edittale si correrebbe il rischio di introdurre nell'ordinamento un istituto che produrrebbe benefici per il destinatario minori di quelli prodotti da istituti già previsti dall'ordinamento, come ad esempio la sospensione condizionale della pena. In entrambi i casi si tratterebbe di cause di estinzione del reato, ma con la differenza che nel caso della messa alla prova il beneficiario sarebbe comunque costretto a svolgere un lavoro di pubblica utilità. A proposito del condizionamento della messa alla prova allo svolgimento del lavoro di pubblica utilità evidenzia il rischio che in molti casi non potrebbero sussistere le condizioni per applicare tale misura. In questi casi si potrebbe considerare qualsiasi attività lavorativa ai fini dell'applicazione dell'istituto della messa alla prova. Ritiene che la Commissione debba valutare la disciplina prevista per la revoca della sospensione del procedimento con messa alla prova con particolare riferimento all'esigenza di specificare quale debba essere l'elemento soggettivo dei reati che comportano la revoca quando questi siano della stessa indole del reato per il quale è stata disposta la messa alla prova. Altra questione da chiarire è quella della natura del consenso del pubblico ministero e in particolare se questo sia sufficiente per l'applicazione della misura ovvero se vi sia discrezionalità da parte del giudice. Inoltre ritiene che dovrebbero essere meglio garantiti i diritti della persona offesa, alla quale dovrebbe anche essere dato un termine per poter chiedere la non applicazione della messa alla prova. Esprime perplessità sulla scelta di computare i giorni di prova rispetto alla pena detentiva con un rapporto di uno a cinque, ritenendo più opportuno portare tale rapporto a uno a due.
Considerato che il reato al quale si applica l'istituto della messa alla prova è estinto senza che si proceda ad alcun tipo di accertamento in merito alla relativa responsabilità, ritiene che sia del tutto contraddittorio prevedere che l'applicazione di questo istituito debba risultare dal casellario giudiziale.
Ritornando alla disposizione sulla esecuzione delle pene detentive non superiori a dodici mesi presso il domicilio, ritiene che la Commissione dovrebbe valutare l'opportunità di prevedere, come stabilito dal comma 3 dell'articolo 1, una relazione sulla condotta tenuta dal condannato durante la detenzione, che dovrebbe essere svolta dalla direzione dell'istituto penitenziario e trasmessa al magistrato di sorveglianza in vista dell'applicazione della nuova misura. A tale proposito, ritiene che tale previsione non sia coerente con la scelta di attribuire alla nuova misura il carattere di automaticità, essendo previste unicamente delle limitazioni oggettive (tipo di reato) e soggettive (particolari qualifiche del soggetto detenuto).
Conclude ribadendo che l'esame del disegno di legge del Governo debba essere anche l'occasione per affrontare la delicatissima questione della funzione della pena, la quale non sembra essere considerata dalla legislazione vigente in maniera adeguata rispetto al dettato costituzionale. In particolare il disegno di legge in esame potrebbe essere l'occasione per procedere anche ad una depenalizzazione di tutti quei reati che non sono percepiti come tali dalla collettività, quali, ad esempio, l'ingiuria e la diffamazione semplice.

Nicola MOLTENI (LNP) preliminarmente si riserva di intervenire in seguito per affrontare le diverse questioni tecnico giuridiche che il provvedimento in esame

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suscita e che il dibattito appena svolto dimostra essere di non poco conto, come evidenziato anche da deputati di maggioranza.
In primo luogo sottolinea la contrarietà del gruppo della Lega al trasferimento dell'esame del provvedimento in sede legislativa, ritenendo che le diverse questioni che questo pone potranno essere esaminate in maniera adeguata solo in sede referente, essendo la sede che meglio consente di approfondire tutti quegli aspetti dell'istruttoria legislativa propedeutici all'approvazione di un provvedimento efficace e coerente con i principi dell'ordinamento. Ricorda che già nella riunione dell'ufficio di presidenza integrato dai rappresentanti dei gruppi che si è svolta la scorsa settimana aveva espresso una serie di perplessità circa l'opportunità di esaminare in sede legislativa il disegno di legge del Governo. Queste perplessità, anche all'esito degli interventi che si sono finora succeduti, sono oggi pienamente confermate. Come è stato evidenziato in occasione di diversi dibattiti parlamentari incentrati sul drammatico fenomeno del sovraffollamento delle carceri, la via da seguire non è quella di introdurre nuove misure premiali che rischiano di tradursi in indulti o amnistie mascherati, quanto piuttosto di costruire nuove carceri e di riammodernare, anche ampliandole, quelle esistenti. Proprio in quest'ottica il Governo ha opportunamente varato il Piano carceri. Il sovraffollamento potrà essere contrastato anche attraverso intese con governi stranieri affinché i detenuti stranieri eseguano le pene detentive nei Paesi di appartenenza, come peraltro più volte ha dichiarato il Ministro della giustizia.
Ritiene che il testo in esame non tenga in debito conto della richiesta di sicurezza che i cittadini rivolgono al Governo, in quanto la sua applicazione potrebbe di fatto tradursi in un indulto mascherato. Inoltre evidenzia come il provvedimento sia carente sotto il profilo della tutela delle aspettative della persona offesa dal reato. Queste aspettative sono invece di fondamentale importanza per il gruppo della Lega, che ha chiesto ed ottenuto la calendarizzazione in Commissione della proposta di legge n. 2779 presentata da deputati della Lega al fine di introdurre nell'ordinamento disposizioni in favore delle vittime di delitti contro la persona o commessi mediante violenza alle persone.

Antonio DI PIETRO (IdV) ritiene che un provvedimento di tale rilevanza come quello in esame non possa essere approvato dalla Commissione in sede legislativa ma, essere approvato dall'Assemblea affinché si assuma la relativa responsabilità politica. Esprime inoltre forte contrarietà sul provvedimento nel suo complesso, poiché è volto ad introdurre strumenti inidonei ad affrontare nella corretta prospettiva il problema del sovraffollamento delle carceri. Sottolinea come, a suo parere, se un soggetto si trova in carcere è perché un giudice ha applicato le leggi dello Stato nell'interesse della collettività. Se nelle carceri sovraffollate non vi è più posto, la soluzione non è quella di scarcerare i detenuti, poiché questo costituirebbe una vera e propria resa dello Stato di diritto, bensì intervenire in materia di edilizia carceraria risolvendo a monte il problema.
Nel merito del provvedimento, ritiene che l'esecuzione delle pene detentive non superiori a dodici mesi presso il domicilio sia un istituto privo di senso, che produce l'unico effetto di svuotare surrettiziamente la funzione della sanzione detentiva.
Con riferimento all'estensione dell'istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova anche ai maggiorenni, ritiene che si tratti di una vera e propria scorciatoia per ottenere l'impunità, della quale si gioverà soprattutto la microcriminalità che, come è noto, determina una situazione di grave allarme sociale. In particolare ritiene che la disciplina prevista possa consentire ad un soggetto di commettere determinati reati con la certezza di non essere poi sottoposto a processo penale.

Il sottosegretario Giacomo CALIENDO si riserva di fornire entro la prossima settimana i dati richiesti dall'onorevole Contento. Ricorda che il Governo sta intervenendo

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in modo sostanziale ed efficace in materia di edilizia carceraria, avendo creato nel corso della legislatura ben 1750 nuovi posti nelle carceri. Ricorda altresì che gli interventi contenuti nel provvedimento in esame non sono una novità, poiché da molto tempo se ne discute e avrebbero dovuto essere originariamente inserite nel cosiddetto «pacchetto sicurezza» e poi in più recenti interventi legislativi del Governo. Sottolinea, in particolare, come si tratti di misure di carattere sistematico e strutturale, volte a dare un sostanziale contributo alla soluzione del problema del sovraffollamento delle carceri, senza però ricorrere a indulti o amnistie. Misure che, naturalmente, si aggiungono a quelle in materia di edilizia carceraria, completandole.
Nel merito, sottolinea come l'esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno, configurata dall'articolo 1 del provvedimento, sia una misura concretamente afflittiva e restrittiva della libertà personale e come la stessa sia stata mutuata dall'ordinamento francese. Ricorda quindi come con l'istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova si eviti il processo, che in sé costituisce una pena, ma si esalti il principio retributivo della pena medesima.
Dichiara quindi la disponibilità del Governo ad apportare miglioramenti al provvedimento, auspicando peraltro che la discussione possa proseguire in modo costruttivo e senza pregiudizi ideologici.

Giulia BONGIORNO, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 16.

SEDE CONSULTIVA

Giovedì 8 aprile 2010. - Presidenza del presidente Giulia BONGIORNO. - Interviene il sottosegretario di Stato per la giustizia Giacomo Caliendo.

La seduta comincia alle 16.

Disposizioni in favore delle famiglie delle vittime del disastro ferroviario di Viareggio.
C. 3007 Bergamini ed abb.
(Parere alla IX Commissione).
(Esame e conclusione - Nulla osta).

La Commissione inizia l'esame del provvedimento in oggetto.

Maurizio SCELLI (PdL) osserva che il provvedimento in esame è volto a sostenere i superstiti e le famiglie delle vittime del disastro ferroviario, con un contributo finalizzato ad affrontare le difficoltà, anche di natura economica, determinatesi all'indomani dell'incidente e va ad aggiungersi al risarcimento dell'integrità psico-fisica prevista dal nostro ordinamento e garantita dalla Costituzione.
Si dispone, inoltre, l'esenzione di tale contributo finanziario da ogni imposta o tassa.
L'articolo 1 prevede l'elargizione al prefetto di Lucca della somma di 5.000.000 di euro, il quale provvederà a individuare i destinatari di tale sostegno economico e ad assegnare tali somme secondo una ripartizione che terrà conto dei danni arrecati a ciascuno dal disastro ferroviario.
L'articolo 2 reca la copertura degli oneri finanziari.
Propone di esprimere nulla osta all'ulteriore corso dell'esame del provvedimento.

Nessuno chiedendo di intervenire, la Commissione approva la proposta del relatore.

La seduta termina alle 16.05.

AVVERTENZA

I seguenti punti all'ordine del giorno non sono stati trattati:

SEDE REFERENTE

Disposizioni in favore delle vittime di delitti contro la persona o commessi mediante violenza alle persone.
C. 2779 Bitonci.

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Norme per il contrasto dell'omofobia e transfobia.
C. 2802 Soro e C. 2807 Di Pietro.

Riconoscimento figli naturali.
C. 2519 Mussolini, C. 3184 Bindi e petizione n. 534

Disposizioni in materia di remissione tacita della querela.
C. 1640 Contento.

UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI