CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 16 giugno 2009
188.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Commissioni Riunite (XI e XII)
COMUNICATO
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ATTI DEL GOVERNO

Martedì 16 giugno 2009. - Presidenza del presidente della XI Commissione Silvano MOFFA. - Interviene il sottosegretario di Stato per il lavoro, la salute e le politiche sociali, Pasquale Viespoli.

La seduta comincia alle 11.05.

Schema di decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
Atto n. 79.

(Seguito dell'esame e rinvio).

Silvano MOFFA, presidente, ricorda che le Commissioni riunite hanno convenuto che nella seduta odierna prosegua il dibattito di carattere generale sul provvedimento in titolo.

Maria Grazia GATTI (PD), nel ricordare preliminarmente che nella giornata di ieri si è verificato un nuovo tragico incidente sui luoghi di lavoro, nel quale sono rimasti coinvolti due operai - deceduti durante le operazioni di bonifica di un depuratore - fa notare che tali drammatici eventi da diverso tempo presentano sempre la medesima dinamica e conducono ad un'unica terribile conseguenza: la morte per asfissia a causa delle esalazioni sprigionate nell'ambiente di lavoro. Si tratta, a suo avviso, di un tipo di incidente la cui ricorrenza sgomenta ancor più se si rivolge l'attenzione al fatto che sulla materia esistono disposizioni e procedure puntuali, che rimangono, di fatto, largamente inattuate e sulla cui applicazione occorre vigilare, dunque, con maggiore attenzione. Ritiene esemplificativo al riguardo anche l'incidente occorso presso la raffineria Saras, in Sardegna, dove alcuni operai sono morti asfissiati da gas tossici durante le operazioni di pulizia di un serbatoio.
Pur comprendendo, dunque, l'intenzione del legislatore di modificare in alcuni punti il decreto legislativo n. 81 del 2008, laddove esso presenti alcuni elementi di criticità di carattere formale, ritiene che nel caso di specie si incida in maniera troppo penetrante sull'articolato del «testo unico» in materia di sicurezza, modificandone radicalmente l'orientamento di fondo: sarebbe stato maggiormente auspicabile, a suo avviso, far precedere

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tale intervento normativo dallo svolgimento di una approfondita analisi sulla reale efficacia del decreto legislativo n. 81, che, del resto, essendo da poco entrato in vigore, ritiene non abbia ancora potuto dispiegare interamente i suoi effetti.
Osserva che, in un periodo di grande crisi economica, vi è il rischio che la messa in sicurezza degli impianti e degli ambienti di lavoro venga percepita dalle imprese - soprattutto quelle di media o piccola dimensione - più come un costo da abbattere che come una necessità non eludibile a cui dare risposta, con il pericolo che si determini un gravissimo abbassamento del grado di tutele di tutti i soggetti impegnati nei processi produttivi.
Fa notare, poi, che lo schema di decreto in esame mette a rischio il raggiungimento di uno degli «obiettivi chiave» del decreto legislativo n. 81, ovvero la valorizzazione del documento di valutazione del rischio. Ritiene, infatti, che la predisposizione di tale documento debba rivestire un ruolo sostanziale, in un'ottica di prevenzione dal rischio di incidenti sui luoghi di lavoro, e non meramente formale, come sembrerebbe apparire invece nello schema di decreto legislativo. In proposito, rileva che tale indispensabile strumento consente al datore di lavoro di individuare gli elementi di criticità che potrebbero insorgere durante l'intero ciclo produttivo e di escogitare, al contempo, le soluzioni più adatte a prevenire il verificarsi di eventi infortunistici. Nel far notare che da tale documento, quindi, deriverebbe l'indicazione di precisi obblighi a carico di tutti i soggetti coinvolti nelle attività di produzione, auspica che la maggioranza muti il proprio orientamento al riguardo ed eviti di intaccare la natura sostanziale di questo fondamentale strumento di prevenzione.
Si sofferma, quindi, sull'articolo 2, introduttivo di un nuovo articolo 2-bis nel decreto legislativo n. 81, di cui auspica una riformulazione più adeguata alla necessità di assicurare alti livelli di salvaguardia della sicurezza sui luoghi di lavoro. A tale riguardo, ritiene che - anche in coerenza con quanto preannunciato dal relatore per la XI Commissione all'inizio dell'esame del testo - si possa far tesoro dell'ottimo lavoro svolto presso le Commissioni riunite (attraverso lo svolgimento di diverse audizioni informali), recependo i suggerimenti provenienti dai diversi soggetti ascoltati, che hanno contribuito a definire il quadro delle criticità che affliggono tale articolo. Entrando nello specifico di tale norma, ritiene che le buone prassi e le norme tecniche non possano in alcun modo assurgere a fattori di presunzione giuridica di conformità alle disposizioni del decreto legislativo n. 81, potendo, al limite, essere considerati come meri indicatori da tenere presenti nell'ambito di un processo teso a favorire, a livello sperimentale, uno sviluppo dinamico e positivo dei modelli organizzativi presso le imprese, così come avviene a livello europeo. In merito, poi, alla presunzione di conformità per i macchinari marcati CE, fa notare che la certificazione del marchio consente di mettere al riparo il datore di lavoro da eventuali vizi di costruzione non palesi del macchinario, ma non può certo esimerlo dalla responsabilità di svolgere i necessari interventi di controllo e di manutenzione nel corso del suo utilizzo. Esprime, inoltre, profonde perplessità sulla parte dell'articolo 2-bis che prevede la certificazione della adozione e della efficace attuazione dei modelli di organizzazione e gestione ad opera delle commissioni di certificazione istituite presso gli enti bilaterali e le università ai sensi dell'articolo 76, comma 1, lettera a) e c), del decreto legislativo 10 ottobre 2003, n. 276. Ritiene, infatti, che tale previsione non dia sufficienti garanzie di imparzialità e competenza dell'organo deputato a certificare, che, come evidenziato da alcuni soggetti auditi (tra cui cita la stessa Confindustria), dovrebbe presentare piuttosto caratteristiche di terzietà, così come avviene a livello europeo.
Esprime poi perplessità sull'articolo 4, laddove prevede che, ai fini dell'applicazione delle norme contenute nel decreto legislativo, il numero degli operai a tempo determinato, anche stagionali, nel settore

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agricolo, si computi per frazioni di unità lavorative anno (ULA) come individuate sulla base della normativa comunitaria. Nel ritenere, infatti, che tale disposizione possa determinare un abbassamento del livello di tutele in settori - come quello agricolo - nei quali si registra la più alta percentuale di incidenti, ricorda che il decreto legislativo n. 81, proprio per tale motivo, prevedeva al riguardo disposizioni specifiche, che però sono rimaste inattuate. Si dichiara pertanto preoccupata che tale disposizione, introducendo un particolare sistema di calcolo, riduca il numero dei lavoratori stagionali da computare ai fini dell'applicazione delle norme antinfortunistiche, compromettendo l'azione di prevenzione che invece proprio in tali particolari campi andrebbe resa più efficace, atteso che a questa tipologia di lavoratori si fa largo ricorso per lo svolgimento di tali attività agricole. Ricorda, inoltre, che, mentre il decreto legislativo n. 81, nella sua attuale formulazione, prevede la possibilità di computare i lavoratori stagionali secondo criteri più restrittivi solo in concomitanza di periodi connotati da una particolare intensità lavorativa (nei cosiddetti periodi di «addensamento» che si verificano durante le vendemmie), la corrente formulazione dell'articolo 4 opera una generalizzata estensione della disposizione a tutti i lavoratori stagionali, ai quali, pertanto, non verrebbero assicurate idonee condizioni di sicurezza.
Esprime poi la propria contrarietà rispetto all'articolo 10-bis del provvedimento, volto ad introdurre l'articolo 15-bis nel decreto legislativo n. 81, che individua le condizioni nelle quali è configurabile la responsabilità penale di chiunque violi precetti in materia di salute e sicurezza, con specifico riguardo ai titolari di «posizioni di garanzia». Pur ritenendo molto grave il tentativo - messo in atto con la presente disposizione - di sollevare il datore di lavoro dalle sue responsabilità in caso di incidente determinato da violazione di norme sulla sicurezza, prende atto della disponibilità a rivalutare l'impianto complessivo della norma che sembrerebbe affermarsi in seno alla maggioranza, esprimendo apprezzamento per le considerazioni espresse al riguardo dal relatore nel corso del suo intervento introduttivo.
Dopo aver fatto notare che la gran parte degli infortuni sul lavoro si verificano presso ditte che operano in regime d'appalto o di subappalto, esprime poi perplessità sul contenuto dell'articolo 14 del provvedimento, che, modificando l'articolo 26 del decreto n. 81, ritiene che possa determinare un allargamento delle maglie della disciplina vigente in materia, col conseguente rischio di un depotenziamento del sistema dei controlli e di un aumento degli infortuni in caso di committenza di opere. In particolare, valuta pericolosa l'introduzione nel testo del decreto n. 81 di un ulteriore comma 3-bis all'articolo 26, secondo il quale il datore di lavoro è esonerato dall'adempimento degli obblighi previsti da tale articolo in caso di mere forniture di materiali, di servizi di natura intellettuale o di lavori la cui durata non sia superiore ai due giorni. In proposito, rilevato che la maggior parte delle attività di manutenzione sui macchinari o sugli impianti ha una durata che difficilmente supera i due giorni, manifesta preoccupazione che tale normativa possa pregiudicare la messa in sicurezza dei luoghi per lo svolgimento di tali operazioni, che giudica assai frequenti e di assoluta importanza. Sul medesimo punto, inoltre, chiede chiarimenti ai gruppi di maggioranza e al Governo in ordine all'ambito di applicazione della disposizione, domandandosi se nell'espressione «mere forniture di materiali» debba farsi rientrare anche la dotazione di macchinari.
Contesta altresì il contenuto del comma 3 dell'articolo 14, laddove si modifica il comma 5 dell'articolo 26 del decreto legislativo n. 81, prevedendo che la mancata indicazione nel documento di valutazione del rischio dei costi delle misure per eliminare o ridurre al minimo i rischi in materia di salute e sicurezza sul lavoro derivanti dalle interferenze delle lavorazioni non costituiscono causa di nullità del contratto di appalto o subappalto. Esprime

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poi perplessità sull'articolo 15, nella parte in cui modifica l'articolo 27, comma 2, del decreto legislativo n. 81, prevedendo che il possesso dei requisiti per ottenere la qualificazione di cui al comma 1 costituisce elemento preferenziale - e non più vincolante - per la partecipazione alle gare relative agli appalti e subappalti pubblici e per l'accesso ad agevolazioni, finanziamenti e contributi a carico della finanza pubblica, sempre se correlati ai medesimi appalti o subappalti. Sul punto auspica un ritorno alla formulazione originaria del testo normativo, ribadendo la centralità della disciplina sugli appalti e sui subappalti in chiave «antinfortunistica». Nell'accogliere positivamente il contenuto dell'articolo 8 del provvedimento in esame, che contiene rilevanti elementi in tema di differenziazione di genere, giudica pericoloso aver eliminato - all'articolo 24 del provvedimento in esame - il divieto di visite pre-assuntive, sottolineando altresì l'irragionevolezza di attribuire al medico aziendale, che è alle dipendenze del datore di lavoro, e non alle competenti strutture pubbliche, il compito di accertare l'idoneità fisica del lavoratore alle mansioni cui viene adibito.
Soffermandosi, infine, sulla rivisitazione dell'apparato sanzionatorio operata dal provvedimento, manifesta preoccupazione per la tendenza generale ad aumentare le sanzioni per il lavoratore e a diminuirle per il datore di lavoro, esprimendo altresì perplessità sulla parte dell'articolato che, nello specifico, prevede un affievolimento delle sanzioni a carico del datore di lavoro in caso di mancata predisposizione del documenti di valutazione del rischio. In particolare, esprime profonda contrarietà rispetto all'articolo 31 del provvedimento, che, modificando l'articolo 55 del decreto n. 81, introduce un comma 3-bis, secondo il quale il datore di lavoro che adotta tale documento in assenza degli elementi di cui all'articolo 28, comma 2, lettere a), b), e) e f), è punito solo con una ammenda da 1.000 a 2.000 euro. Giudica tale disposizione palesemente inefficace a svolgere un'attiva funzione di prevenzione rispetto alla violazione delle regole sulla sicurezza, attesa la lieve entità della sanzione ivi prevista, soprattutto se si considera che per avere una consulenza in vista della predisposizione del documento di valutazione del rischio le piccole o medie imprese sarebbero chiamate a sostenere costi addirittura maggiori.
Nel riservarsi di esprimere una posizione definitiva sul provvedimento dopo avere preso visione della proposta di parere dei relatori, auspica, in conclusione, che, grazie anche al contributo costruttivo della opposizione, si possano apportare al provvedimento modifiche il più possibile condivise e che gli stessi relatori possano tener conto, in sede di formulazione della citata proposta di parere, degli elementi di conoscenza emersi nel corso del dibattito.

Antonio BOCCUZZI (PD) osserva che il decreto legislativo n. 81 del 2008 è stato un provvedimento lungamente atteso nel Paese, valutato positivamente all'atto della sua emanazione e accolto da un largo consenso, anche perché, in realtà - a differenza di quanto più volte sostenuto dal Ministro Sacconi - le perplessità erano legate al quantum delle sanzioni, o delle pene detentive, più che allo spirito del decreto. A tal proposito, reputa interessante analizzare alcuni emendamenti al provvedimento in esame, suggeriti da Confindustria, che propongono un ritorno al testo oggi vigente. Ad esempio, per quanto riguarda l'articolo 10, che interviene sull'articolo 14 del decreto legislativo n. 81, anche secondo Confindustria - nonché a parere di molti dei soggetti ascoltati nell'ambito delle audizioni - il testo previgente, per quanto critico, era nettamente preferibile, perché più chiaro. In particolare, prevedere che presupposto per la sospensione delle imprese siano, tra l'altro, violazioni plurime, anziché reiterate, come stabilito dal decreto legislativo n. 81, rischia di produrre effetti del tutto ingestibili, in quanto il passaggio da violazioni «reiterate» a «plurime» amplia la facoltà di sospensione dell'ispettore.
Rileva poi che lo schema di decreto correttivo agisce pericolosamente sull'asse

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fondamentale del decreto legislativo n. 81, intervenendo sul codice civile, sul codice penale e sullo «Statuto dei lavoratori». Premesso di condividere l'opportunità di una correzione del decreto legislativo n. 81, al fine di una totale e corretta applicazione dello stesso, esprime forti perplessità sul nuovo impianto, che modifica radicalmente quello precedente, fino ad arrivare ad evidenti eccessi di delega, che lasciano enormi spazi a dubbi e perplessità, così come le audizioni svolte hanno dimostrato. Si chiede, quindi, quali motivazioni abbiano spinto all'eliminazione del riferimento alle direttive europee previsto dall'articolo 41 del decreto legislativo n. 81. Le direttive europee costituiscono un sicuro riferimento per le autorità nazionali degli Stati membri, per le imprese e per i lavoratori europei. Con la loro eliminazione, si rischia di giustificare i ricorrenti ritardi nazionali nell'adeguamento alle nuove direttive.
Tornando al già citato articolo 10 dello schema di decreto, fa presente che si conferma la cancellazione delle inadempienze in materia di orario di lavoro e riposo settimanale; eppure, il rischio di infortunio aumenta notevolmente con un aumento indiscriminato degli orari e con la mancanza del riposo settimanale. Rileva poi che, con le modifiche apportate dall'articolo 12, comma 1, lettera a), alle disposizioni contenute all'articolo 18 del decreto legislativo vigente, si mette in discussione il diritto di moltissimi lavoratori e lavoratrici delle piccole e piccolissime imprese, sotto i quindici dipendenti, ad avere una rappresentanza certa in materia di salute e sicurezza nel lavoro: si cancella dunque l'obbligo del datore di lavoro di comunicare all'INAIL il nominativo del Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza interno, prevedendo, in mancanza di questa comunicazione, che la rappresentanza sia esercitata dal Rappresentante territoriale dei lavoratori. A questo meccanismo viene sostituita una procedura che prevede siano i lavoratori di queste realtà a dover comunicare al datore di lavoro di non aver eletto il proprio RIS interno all'impresa, prevedendo inoltre che il datore di lavoro comunichi ciò non più all'INAIL ma agli organismo paritetici, peraltro non ancora costituiti in larghissima parte del territorio nazionale.
Osserva che l'articolo 13 prevede la riformulazione della lettera c) e l'abolizione della lettera f) dell'articolo 25, comma 1, del decreto legislativo n. 81. Giudica la modifica alla lettera c) un incomprensibile ritorno al passato, chiedendo poi chiarimenti sulle motivazioni che hanno comportato modifiche alla lettera e) dello stesso articolo: in particolare, dichiara di non comprendere perché venga prevista la sola consegna della cartella sanitaria e non la documentazione sanitaria e perché l'originale della stessa non vada al lavoratore. Con l'abrogazione della lettera f), a suo avviso, le imprese dovranno conservare in busta chiusa milioni di cartelle sanitarie e di rischio, dove saranno ripetute per diverse volte le stesse informazioni; si dovrà, dunque, ricominciare sempre dall'inizio, anche quando si svolgerà la stessa mansione in aziende diverse. Ritiene che questa sia una delle più gravi modifiche proposte: si cancella anche un principio di civiltà, cioè che il medico di medicina generale possa essere a conoscenza della storia professionale del proprio paziente derivante dalle cartelle sanitarie e di rischio informatizzate.
Quanto all'articolo 14, comma 2, che inserisce due nuovi commi all'articolo 26 del decreto legislativo n. 81, in materia di contratti di appalto, osserva che la proposta di escludere i lavori che non hanno una durata superiore ai due giorni è tecnicamente sbagliata, perché, se è vero che in due giorni non si contrae un tumore, è altrettanto vero che il rischio di subire un infortunio mortale è identico. Fa notare, inoltre, che al comma 5 del medesimo articolo 26 si cancellano i riferimenti ai costi per la sicurezza del singolo appalto, che possono essere anche nulli. Ritiene che si tratti di una scelta grave, che, assieme all'esclusione dei lavori non superiori ai due giorni, rappresenta un indebolimento delle misure di sicurezza, in particolare per la piccola impresa e per il lavoro autonomo.

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Dichiara, poi, di non comprendere le modifiche all'articolo 41 del decreto legislativo n. 81, che vengono realizzate ad opera dell'articolo 24 dello schema in esame. L'abrogazione, al comma 3, della lettera a) abolisce il divieto di effettuazione della visita pre-assuntiva da parte di un medico interno all'azienda. La norma attuale, infatti, prevede che la visita per l'accertamento dell'idoneità del lavoratore a particolari mansioni deve essere effettuata solo presso strutture pubbliche e non dai medici dell'azienda. Ora, fa notare che, o la visita medica è finalizzata a valutare l'idoneità alla mansione specifica, come è previsto al comma 6 del suddetto articolo, oppure essa è volta a valutare l'idoneità al lavoro, in contrasto con l'articolo 5 della legge n. 300 del 1970: giocare su questo equivoco è, a suo avviso, molto grave. Giudica sorprendenti anche le modifiche introdotte al comma 9 del medesimo articolo: il lavoratore può, infatti, ricorrere contro un giudizio in fase pre-assuntiva solo se ne è informato (ma questo obbligo di informazione non è previsto) e se questo ha davvero senso, poiché si è in presenza di un mercato del lavoro che prevede in piccolissime percentuali la possibilità di un lavoro a tempo indeterminato.
Si sofferma, inoltre, sull'articolo 25, che interviene sull'articolo 42 del decreto legislativo n. 81, dove il comma 2, in particolare, viene abrogato. Si tratta di una scelta che, a suo avviso, necessita di una spiegazione. Dichiara di non comprendere, infatti, quale sia la ragione per cui, se un lavoratore con problemi di salute (magari derivanti dal lavoro svolto) e, perciò, non più idoneo a lavorare nella mansione specifica, viene adibito ad altre mansioni, queste debbano essere o equivalenti o inferiori, ed in questo ultimo caso debba mantenere la retribuzione ma non la qualifica: in questo modo si fa valere un principio per cui la malattia è fonte di perdita di diritti.
Per quanto riguarda l'apparato sanzionatorio, in via generale dichiara di condividere la posizione espressa dal dottor Guariniello nella sua audizione informale: la deterrenza, infatti, non si produce fissando pene detentive elevate; per quello esiste il Codice penale. Peraltro, osserva che, in Italia, bisogna ancora fare molto perché i processi legati a infortuni sul lavoro abbiano percorsi fluidi e non cadano, come spesso succede, in prescrizione. Desidera, tuttavia, richiamare l'attenzione delle Commissioni su alcune specifiche riduzioni che incidono su sanzioni volte a prevenire incidenti particolarmente gravi e frequenti: al di là dell'opportunità del ripristino del quantum originale almeno in questi casi, invita a considerare l'opportunità di confermare la sanzione della contravvenzione per gli adempimenti della valutazione dei rischi e della riunione periodica e la possibilità di mantenere la sanzione della sospensione dell'attività produttiva, così come previsto dall'articolo 14 del decreto legislativo n. 81, anche nel caso della mancata applicazione delle norme sul riposo minimo giornaliero e settimanale.
Sottolinea, infine, in maniera particolarmente decisa le criticità degli articoli 2-bis e 15-bis, introdotti dal provvedimento in esame, su cui da più parti, in alcuni casi quasi con parere unanime, si sono levate forti critiche.
Osserva che le presunzioni di conformità richiamate nell'articolo 2-bis hanno valore solo relativo e non assoluto, per cui si ravvedono gravi e insanabili incongruenze. L'articolo si muove su un concetto di fondo sbagliato, perché l'osservanza delle prescrizioni deve essere effettivamente verificata e non presunta. Esprime, inoltre, forti perplessità per quanto riguarda le attività di certificazione assegnate agli enti bilaterali e alle università. Tali strutture non hanno notoriamente la preparazione tecnica necessaria per le valutazioni di certificazione che il nuovo articolo 2-bis prevede. Inoltre, verifiche di questo tipo dovrebbero essere affidate a soggetti terzi, non a parti che sono coinvolte o addirittura cointeressate nello svolgimento delle attività soggette a controllo. Ritiene, in proposito, che tutti debbano riflettere sull'audizione del dottor Guariniello, secondo il quale un alto rischio

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per la sicurezza dei lavoratori deriverebbe dalla presunzione di conformità alle prescrizioni del decreto legislativo n. 81 attribuita all'utilizzo di macchine marcate CE. Nella realtà delle cose, tali macchine sono risultate più volte sprovviste di dispositivi di sicurezza e hanno causato infortuni sul lavoro. È stato inoltre sottolineato come nella giurisprudenza sia consolidato l'orientamento per cui il costruttore o venditore, ma anche il datore di lavoro acquirente di macchine marcate CE, ha comunque l'obbligo di verificare la sicurezza, pena la colpa qualora non elimini vizi rilevabili, e dunque vizi non occulti. La presunzione di conformità dettata dal nuovo articolo 2-bis esclude le responsabilità del datore di lavoro, in caso di infortunio su una macchina marcata CE, pur se in tale macchina siano presenti vizi non occulti. In questo senso, ritiene che l'articolo 2-bis sembri ispirarsi ad un dettato meramente burocratico, in evidente contrasto con l'obiettivo di un approccio non formalistico alla materia.
Si sofferma, infine, sull'articolo 10-bis, introduttivo di un nuovo articolo 15-bis nel decreto legislativo n. 81, forse il più insidioso e pericoloso dell'intero schema di decreto, sia per quanto riguarda le importanti modifiche al Codice penale, sia per quanto concerne il carattere di retroattività, in quanto - trattandosi di norma favorevole al reo - incide sui processi in corso, imponendo l'assoluzione del datore di lavoro quando vi sia la responsabilità anche di un altro soggetto. Tale disposizione rappresenta, a suo giudizio, un evidente «scaricabarile» verso i sottoposti delle responsabilità a carico del datore di lavoro, mentre le responsabilità a carico del datore di lavoro vigono da sempre, in tutte le norme approvate dal 1942 ad oggi. Ritiene che quella in esame, pertanto, sia una norma che agisce al di fuori della legge n. 123 del 2007, che prevedeva, all'articolo 1, comma 1, di conferire una delega al Governo per «il riassetto e la riforma delle disposizioni urgenti in materia di salute e sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro», e non sicuramente la modifica del Codice penale; si introduce con questo articolo un principio secondo il quale il datore di lavoro o il dirigente che abbiano contribuito casualmente all'infortunio, non ne rispondono, se per lo stesso è intervenuto il fatto colposo di un altro soggetto subordinato, ossia il progettista, il medico competente, il lavoratore autonomo, il lavoratore.
Si domanda, dunque, quale sia la ratio che muove tale misura: un conto è, infatti, affermare che il datore di lavoro non può essere chiamato sempre a rispondere degli infortuni anche quando non ha colpa (principio mai negato dalla giurisprudenza), altro è esentarlo da responsabilità anche quando è in colpa, solo perché con la sua concorrono altre responsabilità. Ritiene dunque che emergano, in questo quadro, evidenti profili di incostituzionalità (per eccesso di delega, come già detto; per violazione della normativa comunitaria, in particolare della direttiva n. 391 del 1989; nonché, come nelle norme dedicate alla rimodulazione delle sanzioni, per violazione del principio di uguaglianza).
In conclusione, sottolinea la necessità di ripristinare una politica pubblica nazionale di promozione della salute e della sicurezza, a partire dalle scuole. A tal proposito, suggerisce di inserire una norma che preveda annualmente, in occasione dell'approvazione della legge finanziaria, uno stanziamento di risorse per le attività pubbliche di promozione: il fattore culturale in tema di sicurezza è, infatti, fondamentale e l'avvio e la maturazione di una cultura dell'agire in sicurezza è il primo passo necessario per il miglioramento delle condizioni di vita nei luoghi di lavoro.

Amalia SCHIRRU (PD), dopo aver espresso apprezzamento per le modalità con cui è stato organizzato il dibattito presso le Commissioni riunite, che hanno consentito un adeguato approfondimento delle tematiche in oggetto, ritiene che lo schema di decreto legislativo, pur intervenendo in modo condivisibile per correggere alcune palesi contraddizioni formali contenuto nel «Testo unico» sulla sicurezza, ne alteri sostanzialmente l'impianto

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complessivo, mettendo a repentaglio la sicurezza stessa dei lavoratori. Invece di un intervento di modifica di tale portata, si sarebbe dunque aspettata il completamento del percorso di attuazione del decreto legislativo n. 81, che, a suo avviso, si sarebbe dovuto portare avanti nel rispetto delle competenze delle regioni sulla materia. Ritiene che sarebbe stato necessario, piuttosto, volgere l'attenzione alle esigenze di coordinamento tra i vari soggetti preposti all'osservanza delle regole in materia di sicurezza, operando un potenziamento dei servizi ispettivi ed una più definita differenziazione dei ruoli tra le diverse strutture competenti sulla tematica. Dopo aver dichiarato di giudicare inaccettabile la riduzione delle sanzioni a carico del datore di lavoro e il corrispettivo aumento delle stesse a carico del lavoratore, osserva che il punto di svolta in materia di sicurezza potrebbe essere rappresentato da una complessiva rivisitazione dell'organizzazione del lavoro, che si fondi su una chiara delimitazione delle funzioni tra i vari soggetti preposti - che dovrebbero essere maggiormente responsabilizzati e chiamati a dialogare di più tra loro - e sulla valorizzazione dei percorsi formativi di tutti i soggetti impegnati nel ciclo produttivo, lavoratori compresi, il cui livello di apprendimento in materia - come è stato ricordato nel corso delle audizioni informali svolte presso le Commissioni riunite - dovrebbe essere sottoposto a verifica.
Richiamata la necessità di valorizzare la figura del responsabile della sicurezza nominato in rappresentanza dei lavoratori, fa notare che il recente incidente occorso presso la raffineria Saras, in Sardegna, sia la testimonianza di una incresciosa tendenza in atto nel settore degli appalti, dove, a causa del coinvolgimento nei lavori di diverse imprese e della eccessiva tempestività con cui si richiede la realizzazione delle opere, andrebbero poste, con maggiore forza di quanto non avvenga oggi, le esigenze di sicurezza, di coordinamento e di raccordo tra i vari soggetti preposti.
Nello specifico dell'articolato, esprime perplessità sull'introduzione di un nuovo articolo 2-bis, che, inserendo nella legislazione un principio di presunzione di conformità, determina un abbassamento del livello delle tutele in materia di sicurezza, nonché sulla parte del provvedimento - in particolare, l'articolo 24 - che reintroduce le visite pre-assuntive e che attribuisce al medico competente - che è pur sempre un dipendente del datore di lavoro e non dà quelle garanzie di imparzialità richieste dallo stesso Statuto dei lavoratori - funzioni rilevanti che lo responsabilizzano solo nella fase iniziale di accertamento della idoneità fisica del lavoratore, escludendolo da successivi altri compiti di vigilanza. Manifesta poi la propria contrarietà all'articolo 10 del provvedimento in esame, laddove prevede la sospensione dell'attività imprenditoriale quando si riscontra l'impiego di personale senza preventiva regolare occupazione in misura pari o superiore al 20 per cento del totale dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro, nonché in caso di gravi e plurime violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, considerando come «plurime» la contestuale realizzazione di almeno tre ipotesi di gravi violazioni rilevate in occasione di un medesimo accertamento ispettivo o la ripetizione per la seconda volta in un biennio di una stessa grave violazione. Paventa il rischio che tale norma - anziché diretta a rafforzare le forme di tutela - sia rivolta, piuttosto, a giustificare la precarizzazione del lavoro nei cantieri, nonché ad incentivare il lavoro in nero e le irregolarità amministrative. Fa inoltre notare che la comunicazione alle autorità competenti dell'adozione del citato provvedimento di sospensione, prevista dal medesimo articolo 10, rischia di pregiudicarne la stessa efficacia e di determinare un ulteriore appesantimento delle procedure. Esprime, poi, perplessità sull'articolo 19 del provvedimento, che esclude i laureati dai corsi di formazione i materia di sicurezza, in conflitto con l'esigenza di assicurare ai lavoratori una formazione continua e permanente, nonché sull'articolo 29, laddove

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attribuisce compiti di formazione agli enti bilaterali, che giudica non adeguatamente competenti in materia.
Infine, manifesta preoccupazione per l'articolo 21 dello schema di decreto legislativo in esame, che sembra introdurre corpi medici separati nell'ambito dei settori delle Forze armate, richiedendo ad essi il requisito dello svolgimento di attività mediche nel settore del lavoro per almeno quattro anni. Al riguardo, ritiene che tali funzioni possano essere agevolmente svolte da personale specializzato in medicina del lavoro, che, a suo avviso, possiede una competenza specifica maggiore sulla materia.

Alessandra MUSSOLINI (PdL), in considerazione degli ultimi tragici eventi occorsi, invita preliminarmente i relatori a valutare l'opportunità di inserire nella loro proposta di parere un richiamo alla necessità di prevedere l'adozione obbligatoria di dispositivi tecnici per la rilevazione di sostanze tossiche volatili, da parte di tutti i lavoratori che possano essere esposti a tali sostanze.
Sottolinea, quindi, l'importanza della terzietà tra datore di lavoro e lavoratore, quando si venga a trattare di sicurezza sul lavoro. Per questo motivo, ritiene un errore l'assimilazione tra enti bilaterali e università disposta dall'articolo 2-bis del decreto legislativo n. 81 del 2008, introdotto dal provvedimento in esame. Analoga carenza in termini di terzietà è dato riscontrare, all'articolo 6-bis del provvedimento in esame, con riferimento al ruolo del medico competente, carenza che rischia di essere particolarmente dannosa per le donne.
Desidera, infine, richiamare l'attenzione delle Commissioni riunite sul problema dei bambini all'interno delle scuole, la cui posizione è assimilabile, sotto certi profili, a quella dei lavoratori, mentre la copertura per gli infortuni attualmente prevista è limitata agli incidenti che possono verificarsi nelle aule e nelle palestre. Considerato, infatti, che soprattutto le scuole materna ed elementare rappresentano delle vere e proprie «fabbriche del sapere», al cui interno occorre educare alla sicurezza e alla salute del lavoro, giudica essenziale preservare l'incolumità e la sicurezza degli studenti di più giovane età, andando anche oltre gli attuali livelli di tutela assicurativa.
Auspica che tali rilievi possano essere accolti nel parere che le Commissioni sono chiamate ad esprimere, perché, altrimenti, il provvedimento in esame rischia di esaurirsi in una riduzione di sanzioni a carico dei datori e in un aggravamento degli adempimenti e degli oneri a carico dei lavoratori.

Ivano MIGLIOLI (PD) ritiene che il decreto legislativo n. 81 rappresenti uno dei migliori esempi di legislazione vigente in materia a livello europeo, che - secondo i dati riportati da importanti testate giornalistiche e dalla stessa Confindustria - ha contribuito ad una diminuzione della percentuale delle morti sui luoghi di lavoro. Nonostante precisi che ciò non debba indurre ad un abbassamento del livello di guardia nei confronti di un fenomeno che presenta una frequenza ancora elevatissima, ritiene dunque innegabile che il decreto legislativo n. 81 del 2008 abbia già dispiegato i suoi benefici effetti. Nel dichiarare di non condividere alcune osservazioni espresse dal relatore per la XI Commissione nella parte introduttiva della sua relazione, ricorda che il «testo unico» sulla sicurezza è stato adottato al termine di un lungo e ponderato percorso di confronto con soggetti istituzionali e sindacali, cui è stata impressa una certa accelerazione solamente verso la fine della legislatura, in conseguenza dello scioglimento delle Camere. Il decreto vigente, a suo avviso, si propone di prevenire gli infortuni sui luoghi di lavoro, di premiare le imprese che intendono investire sulla sicurezza e di punire coloro che violano le norme vigenti in materia. Fa, pertanto, notare che il Governo, invece di puntare alla piena attuazione di tale provvedimento, abbia preferito differire nel tempo l'applicazione delle sue disposizioni attraverso vari provvedimenti e sia intervenuto, ora, con uno schema di decreto

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legislativo che, a differenza di quanto sostiene lo stesso relatore per la XI Commissione, mira a stravolgere l'impianto complessivo del decreto n. 81, venendo a configurare, pertanto, un vero e proprio eccesso di delega. A suo giudizio, il presente schema di decreto legislativo, quindi, oltre a non raggiungere il condivisibile obiettivo di correggere le imprecisioni formali contenute nel decreto legislativo n. 81, lo modifica in senso peggiorativo, contenendo errori formali e sostanziali che determinano un abbassamento del livello di tutela dei lavoratori sui luoghi di lavoro. Nel merito specifico dei singoli articoli del provvedimento, rileva le contraddizioni esistenti, per esempio, all'articolo 58, che prevede sanzioni per l'inosservanza di una norma che lo stesso provvedimento provvede ad abrogare, esprimendo altresì grandi preoccupazione per le modifiche apportate dallo schema di decreto all'allegato XI del decreto legislativo n. 81, contenente l'elenco dei lavori comportanti rischi particolari, che potrebbero attenuare la portata garantistica di detto allegato, con particolare riferimento ai lavori che espongono a rischio di seppellimento, di sprofondamento e di caduta dall'alto.
Esprime poi perplessità sull'articolo 13 del provvedimento in esame, che, a dispetto della intenzione dichiarata dal legislatore di perseguire obiettivi di semplificazione, determina un inutile appesantimento di oneri a carico del datore di lavoro. Manifesta, peraltro, la sua contrarietà rispetto all'articolo 2, che introduce nel decreto legislativo n. 81 l'articolo 2-bis, in materia di presunzione di conformità, e all'articolo 10-bis, ricordando come su tali disposizioni abbiano espresso un parere negativo le regioni e siano state manifestate chiare perplessità dalla Commissione d'inchiesta istituita presso il Senato in materia di infortuni sul lavoro e dallo stesso Presidente della Repubblica. Soffermandosi sull'apparato sanzionatorio previsto dal provvedimento, osserva come il Governo, in materia di sicurezza sul lavoro, stia procedendo lungo una direzione opposta a quella intrapresa in altri campi della vita pubblica - per esempio, in materia di immigrazione, di circolazione stradale, di sicurezza pubblica - nei quali ha invece incrementato pesantemente le sanzioni. Nel ricordare poi la meritoria azione di contrasto al lavoro sommerso svolta dal precedente Governo e, in particolare, dall'ex Ministro Damiano, rileva che, al contrario, l'attuale Esecutivo ha provveduto a depotenziare le competenti strutture ispettive, rendendo più facile l'aggiramento delle regole da parte delle imprese più spregiudicate.
Si riserva, in conclusione, di esprimere una posizione definitiva sul provvedimento dopo aver valutato il contenuto della proposta di parere che i relatori formuleranno nel prosieguo del dibattito, auspicando che si possa tenere conto dei rilievi espressi dai gruppi di opposizione e dagli stessi soggetti auditi informalmente presso le Commissioni riunite, giungendo così ad un teso di legge che sia il risultato di un confronto costruttivo e non ideologico tra i gruppi parlamentari. Ritiene, infatti, che una seria discussione sulla delicata materia della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro debba andare oltre le logiche degli schieramenti politici, al fine di rispondere in modo compiuto agli interessi della collettività.

Silvano MOFFA, presidente, preso atto che vi sono ancora diversi deputati che hanno chiesto di intervenire nel dibattito, segnala che tali interventi dovranno concludersi nella seduta delle Commissioni riunite già fissata per la giornata di domani, essendo previsto - allo stato - che nella seduta di giovedì 18 giugno si proceda alla deliberazione di competenza sulla proposta di parere che i relatori si riservano di presentare.
Considerato, peraltro, che il termine per l'espressione del parere viene in scadenza domenica 21 giugno e che vi sono concrete possibilità che la richiamata seduta di giovedì 18 giugno - anche in relazione all'andamento dei lavori dell'Assemblea - possa non aver luogo, prospetta l'eventualità che la votazione della proposta di parere da parte delle Commissioni

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riunite possa essere differita alla prossima settimana. In tale evenienza, intende sin d'ora chiedere al rappresentante del Governo la disponibilità ad attendere l'espressione del suddetto parere, anche ove questo intervenisse - per le motivazioni testé esposte - alcuni giorni oltre il termine previsto dalla legge di delegazione.

Il sottosegretario Pasquale VIESPOLI, nel fare presente che vi è pieno rispetto per le prerogative parlamentari e per l'importante lavoro sinora svolto dalle Commissioni riunite, dichiara la disponibilità del Governo ad attendere - qualora ciò si rendesse effettivamente necessario - sino alla prossima settimana l'espressione del prescritto parere parlamentare; rileva pertanto che il Governo si impegna conseguentemente a non procedere alla definitiva adozione dell'atto in assenza del citato parere, anche ove questo fosse eventualmente reso oltre il termine previsto dalla legge di delegazione.

Silvano MOFFA, presidente, preso atto della disponibilità manifestata dal rappresentante del Governo, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 12.25.