CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 26 febbraio 2009
145.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Commissioni Riunite (V e VI)
COMUNICATO
Pag. 21

SEDE REFERENTE

Giovedì 26 febbraio 2009. - Presidenza del vicepresidente della V Commissione Gaspare GIUDICE, indi del vicepresidente della V Commissione Bruno TABACCI. - Intervengono il Ministro delle riforme per il federalismo Umberto Bossi, il Ministro per la semplificazione normativa Roberto Calderoli, il Ministro per i rapporti con le Regioni Raffaele Fitto, ed i Sottosegretari di Stato alla Presidenza del Consiglio Aldo Brancher e per l'economia e le finanze Daniele Molgora.

La seduta comincia alle 10.10.

Delega al Governo in materia di federalismo fiscale.
C. 2105 Governo, approvato dal Senato, C. 452 Ria, C. 692 Consiglio regionale della Lombardia e C. 748 Paniz.

(Seguito dell'esame e rinvio).

Le Commissioni proseguono l'esame dei provvedimenti in oggetto, rinviato, da ultimo, nella seduta del 25 febbraio scorso.

Linda LANZILLOTTA (PD), nel rilevare come la riforma proposta dal Governo rientri a pieno titolo nel solco della stagione delle riforme amministrative ed istituzionali sviluppate dal centrosinistra, fa notare come l'attuale versione dell'articolo 119 della Costituzione fosse condivisa dal centrosinistra e fosse peraltro contemplata nella stessa riforma costituzionale propugnata dal centrodestra nella XIV Legislatura. Ciò dimostra, a suo parere, come l'enfasi assegnata al modello lombardo di federalismo fiscale, in cui l'articolo 119 assume altra valenza, rivesta un carattere meramente propagandistico.
Ritiene quindi inaccettabile estrapolare l'articolo 119 dall'ambito del Titolo V della Costituzione, sostenendo la riguardo la necessità di attuare contestualmente anche l'articolo 118, in materia di semplificazione e organizzazione delle funzioni degli enti locali. Reputa infatti che la mancata attuazione dell'articolo 118 implicherebbe una cristallizzazione inevitabile delle condizioni di inefficienza e delle distorsioni economiche che attualmente caratterizzano le autonomie territoriali. Rileva quindi come il limite dell'attuale riforma sia rappresentato dall'intento di incidere solo sul versante dei costi e sulla allocazione delle risorse,

Pag. 22

senza intervenire contestualmente sulle funzioni e sull'organizzazione degli enti locali.
Per tali motivi sottolinea come la riforma in discussione non costituisca un progetto di ampio respiro, anche sotto il profilo dell'iniquità ed asimmetria nella gestione delle risorse e della spesa pubblica che attiene alla disciplina delle regioni a statuto speciale. A questo proposito sottolinea l'esigenza di far convergere il regime delle regioni a statuto speciale con quello delle regioni a statuto ordinario, assicurando la necessaria correlazione tra il costo delle funzioni e le risorse assegnate, evidenziando peraltro come tale operazione di armonizzazione dovrebbe essere realizzata mediante un intervento normativo unitario e generale, non rimettendolo alle singole pattuizioni tra lo Stato e le regioni a statuto speciale in sede di modifica dei relativi statuti.
Evidenzia quindi come un ulteriore elemento di criticità del disegno di legge risieda nel fatto che la ripartizione del fondo perequativo tra enti locali dovrebbe avvenire mediante lo snodo ed il filtro delle regioni, forzando in tal modo il dettato dell'articolo 114 della Costituzione, il quale esclude l'esistenza di un rapporto gerarchico tra regioni ed enti locali.
Tale sistema rischia infatti di provocare l'insorgere di un deplorevole fenomeno di drenaggio delle risorse, in quanto le regioni in difficoltà economica tenderebbero inevitabilmente, soprattutto nel meridione, a trattenere le risorse da assegnare ai comuni. Inoltre un siffatto sistema produrrebbe rilevanti distorsioni, in quanto la difficoltà nell'individuazione dei costi standard indurrà ad introdurre, su scala regionale, il parametro del fabbisogno standard, comportando di fatto un'operazione, a suo giudizio insostenibile, di riallocazione delle risorse attuata in funzione della spesa storica.
Ritiene quindi preferibile adottare un modello diverso, secondo cui la ripartizione del fondo perequativo avvenga non attraverso il perno della regione ma in senso orizzontale, mediante l'obbligo di associare le funzioni tra comuni con una soglia di ventimila abitanti, affinché sia possibile instaurare una dialettica con l'amministrazione centrale.
Valuta quindi negativamente il sistema delle compartecipazioni ai tributi erariali, che, costituendo flussi di spesa garantita non implicanti alcuna responsabilità fiscale, costituiscono un passo indietro rispetto ai principi ispiratori della riforma.
Pur riconoscendo al Ministro Calderoli di aver profuso notevoli sforzi per migliorare il testo del provvedimento ed individuare un percorso procedurale condiviso, sottolinea inoltre come l'attuazione dei decreti legislativi delegati non possa essere riservata alla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, istituita dall'articolo 5, la quale costituisce una sede intergovernativa di mediazione, ma debba invece essere sottoposta al vaglio del Parlamento, che dovrà conservare un ruolo chiave, non meramente consultivo, nella successiva fase di attuazione della riforma.
Nel richiamare i dati riferiti dalla Corte dei conti in ordine alla crisi economica globale, esorta quindi il Governo a chiarire se ritenga praticabile attuare in tale contesto il passaggio dalla criterio della spesa storica a quello dei costi standard, che implica una radicale ristrutturazione della spesa, e può quindi avvenire solo a costi insostenibili per la finanza pubblica.
Auspica inoltre che sia ricostituita l'Unità di monitoraggio, che aveva assunto un importante ruolo di verifica sulle dinamiche economiche, ritenendo altresì indispensabile che il Governo indichi con chiarezza e senso di responsabilità all'opinione pubblica l'effettiva portata della riforma, nonché gli effetti che essa produrrà in termini economici sui diversi territori del Paese.

Massimo VANNUCCI (PD), nel formulare alcune considerazioni di carattere generale sul provvedimento in esame e sulla cornice economica e istituzionale nel quale esso si inserisce, rileva in primo luogo la necessità di fare finalmente chiarezza sulla questione dei costi del nuovo sistema dei rapporti economici e finanziari

Pag. 23

tra lo Stato e gli enti territoriali. In particolare, auspica che le numeroso richieste relative ai «conti» del federalismo si riferiscano a simulazioni delle ricadute positive di carattere complessivo del nuovo sistema, ritenendo debba assolutamente escludersi il rischio di un aumento complessivo dei costi a seguito dell'attuazione del federalismo fiscale. Il provvedimento in esame, infatti, deve porsi l'obiettivo di produrre risparmi di spesa, in particolare attraverso il recupero di efficienza derivante, tra l'altro, dal superamento del criterio della spesa storica in favore dell'adozione di costi e fabbisogni standard e dal conseguente stimolo, per gli enti meno efficienti, ad adeguarsi alle migliori pratiche utilizzate a livello nazionale. In definitiva, ritiene che il federalismo produca costi solo se fallisce nei propri obiettivi. Proprio per evitare tale fallimento, valuta assolutamente necessario introdurre nell'ambito del disegno di legge forti elementi di garanzia, volti in particolare ad evitare la duplicazione di funzioni e la sovrapposizione delle strutture burocratiche e ad escludere che nel futuro vengano attivati meccanismi di ripiano dei debiti prodottisi a livello territoriale analoghi a quelli recentemente intervenuti per i comuni di Catania e Roma e per la sanatoria dei deficit nel settore sanitario.
Sottolinea, infatti, come nel nuovo sistema gli enti territoriali godranno di una ampia autonomia di entrata e non dovranno, pertanto, richiedere allo Stato di farsi carico di eventuali inefficienze nell'utilizzo delle risorse a disposizione. In questa ottica ritiene debbano essere garantite sanzioni stringenti e non derogabili per gli enti che non amministrino efficientemente le proprie risorse, accanto a misure premiali per gli enti virtuosi.
Ritiene altresì essenziale un forte coinvolgimento dei diversi livelli territoriali nella lotta all'evasione fiscale, sottolineando in particolare come il contrasto dell'economia sommersa sia un tema cruciale per lo sviluppo del nostro Paese, nel quale si registra una fedeltà fiscale assolutamente inferiore a quella che si riscontra a livello europeo.
Alla luce di queste considerazioni, segnala di aver predisposto un emendamento volto a rafforzare le misure di salvaguardia finanziaria previste dall'articolo 26 del disegno di legge in esame, che, a suo avviso, non sono sufficientemente stringenti. Ritiene, in particolare, necessario introdurre una specifica disposizione volta ad escludere che dall'attuazione dei decreti legislativi attuativi delle diverse disposizioni di delega contenute nel provvedimento non derivino nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, nonché prevedere che gli eventuali risparmi di spesa realizzati siano destinati alla riduzione della pressione fiscale sui redditi medio-bassi.
Ritiene altresì opportuno sollecitare una riflessione sulla questione del trasferimento del patrimonio dello Stato agli enti territoriali, osservando come le disposizioni dell'articolo 18 del disegno di legge, pur nella loro genericità, non appaiano soddisfacenti. Sottolinea infatti come la fortissima incidenza del debito pubblico sul prodotto interno lordo del nostro Paese, che in alcuni scenari potrebbe risalire fino al 114 per cento, non consente un trasferimento di rilevantissimi asset patrimoniali a livello territoriale. Alla grande mole del debito italiano corrisponde, infatti, un patrimonio di valore ingentissimo, di gran lunga superiore a quello detenuto dai principali partner europei, che garantisce sui mercati il valore dei nostri titoli di Stato.
Sottolinea, inoltre, l'esigenza di prestare particolare attenzione alla scansione temporale nell'attuazione della delega, ricordando che, a seguito delle modifiche apportate dal Senato, il termine per l'emanazione del primo decreto legislativo è fissata a dodici mesi dall'entrata in vigore della legge e che alla medesima data dovranno essere fornite le stime sugli effetti complessivi del nuovo sistema. Al riguardo ritiene che tale termine sia ancora troppo ampio, e debba essere ridotto a nove mesi, segnalando altresì la necessità che ogni decreto legislativo sia accompagnato da precise indicazioni sugli effetti di risparmio attesi dalla sua attuazione.

Pag. 24

Ritiene inoltre essenziale istituire un forte collegamento tra il provvedimento in esame ed il Codice delle autonomie, che a suo giudizio dovrebbe essere approvato definitivamente prima dell'emanazione del primo decreto legislativo attuativo della delega in esame. Rileva, infatti, la necessità che si introducano elementi volti a garantire la non duplicazione delle spese e delle strutture a livello territoriale, attraverso interventi sull'architettura istituzionale del nostro Paese. A tale riguardo, pur non avendo approfondito specificamente l'esperienza di altri Paesi, ritiene si debba intervenire non tanto con l'intento di ridurre il numero degli enti, quanto piuttosto allo scopo di superare la frammentazione e la duplicazione delle funzioni. In questa ottica, non condivide l'impostazione comunemente seguita nel dibattito sull'abolizione delle province, in quanto, sulla base della propria esperienza come amministratore locale, ritiene che in linea generale le province svolgano nel nostro ordinamento un ruolo fondamentale, che peraltro subisce un affievolimento nell'ambito delle aree metropolitane.
Alla luce di tale ultima considerazione, ritiene che dovrebbe operarsi con più coraggio nell'ambito dell'articolo 22, il quale ancora prevede troppi passaggi e mediazioni per la costituzione delle città metropolitane. Ribadisce, comunque, la necessità di intervenire tempestivamente sulle funzioni degli enti territoriali, al fine di evitare che diversi enti intervengano contemporaneamente nei medesimi settori. A titolo di esempio, ritiene che il ruolo della provincia possa nel nostro ordinamento limitarsi a due grandi aree di intervento, nei settori della mobilità e dell'assetto del territorio, devolvendo tutte le altre funzioni ora svolte ad altri enti o istituzioni autonome. In ogni caso, ritiene siano possibili anche interventi di semplificazione degli enti e degli organismi esistenti, ipotizzando una loro soppressione e l'attribuzione delle funzioni da essi svolte agli enti territoriali di riferimento.
In questa ottica, potrebbe ad esempio valutarsi la devoluzione delle funzioni oggi svolte dagli ATO e dai consorzi di bonifica alle province territorialmente competenti, sollecitando anche una riflessione sul ruolo svolto nel nostro ordinamento dalle camere di commercio.
Segnala altresì l'esigenza di riflettere sull'attuale assetto delle province e delle regioni, al fine di verificare se sia possibile un loro accorpamento, innalzandone la soglia dimensionale. Ritiene infatti che si debba valutare attentamente l'opportunità di attribuire poteri legislativi a realtà che raggiungano o superino di poco il milione di abitanti, costituendo conseguentemente apparati amministrativi che rischiano di dimostrarsi pletorici. Sottolinea, al contrario, la forte tradizione municipale del nostro Paese, nel quale le regioni non sono mai veramente entrate nel cuore degli italiani. In questo quadro, evidenzia invece il ruolo fondamentale dei piccoli comuni, ricordando che circa il 72 per cento dei comuni italiani ha meno di 5.000 abitanti.
In questo ambito ricorda che nella giornata odierna è stato avviato l'esame di una proposta di legge sui piccoli comuni, della quale è uno dei relatori, la quale tenda a realizzare un migliore governo del territorio attraverso un utilizzo mirato delle politiche pubbliche, che consenta finalmente di superare il circolo vizioso tra lo spopolamento delle aree interne e il calo dei servizi in tali aree. Ritiene, pertanto, che anche nel disegno di legge in materia di federalismo fiscale possano introdursi misure di sostegno per i piccoli comuni, che, preso atto del risultato complessivamente non soddisfacente delle unioni di comuni, puntino a promuovere lo svolgimento integrato delle funzioni comunali, consentendo un recupero di efficienza nella gestione delle funzioni amministrative e dei servizi pubblici essenziali. Nella medesima ottica dovrebbe, altresì, svilupparsi un'ulteriore riflessione sulle comunità montane, che, a seguito degli interventi adottati dal precedente e dall'attuale Governo, rischiano di trovarsi in uno stato di dissesto, per effetto della forte riduzione delle risorse a loro disposizione.
Sottolinea altresì come il disegno di legge contenga disposizioni nell'ambito delle quali potrebbero prevedersi forme di

Pag. 25

incentivazione e di sostegno per i piccoli comuni e per le aree montane, richiamando in particolare le disposizioni attuative dell'articolo 119, quinto comma, della Costituzione, contenute nell'articolo 15, nonché quelle in materia di perequazione infrastrutturale di cui all'articolo 21 del disegno di legge.
Con particolare riferimento ai comuni montani, la cui specificità è riconosciuta dall'articolo 11 del disegno di legge, ritiene necessario che nel provvedimento si introducano specifici principi e criteri direttivi volti in primo luogo a garantire l'applicazione ed il rispetto di standard qualitativi e quantitativi omogenei per tutti i servizi anche per le zone montane. A suo avviso, al fine di garantire la sopravvivenza delle attività presenti e l'insediamento di nuove imprese nelle aree montane, è infatti necessario un potenziamento e una modernizzazione nell'erogazione dei servizi.
Ritiene, inoltre, necessario che il provvedimento garantisca il riconoscimento ai comuni montani di un'adeguata perequazione, a compensazione della minore capacità fiscale e dei maggiori costi per la gestione dei servizi in tali comuni, osservando come tale perequazione trovi, peraltro, ampia copertura nelle risorse naturali che la montagna mette a disposizione dell'intera collettività. Il provvedimento dovrà infine garantire l'attivazione di misure volte al riconoscimento alle imprese che operano in montagna di forme di vantaggio fiscale o altre misure equipollenti al fine di neutralizzare i maggiori costi che esse sono chiamate sostenere.
Ritiene, infine, necessario chiarire in modo univoco come debba risolversi il rapporto tra la competenza dello Stato in materia di perequazione delle risorse finanziarie e le disposizioni che ancora prevedono forme di perequazione orizzontale in relazione alle funzioni province e comuni.

Gabriele TOCCAFONDI (PdL) rileva preliminarmente come il federalismo fiscale debba avere la funzione di garantire l'assunzione di responsabilità da parte di tutti i livelli di governo, e come, per realizzare tale obiettivo, sia necessario attuare nella sua integrità la riforma. In tal senso rileva il rischio che, se non attuato fino in fondo, il provvedimento possa determinare un aumento della pressione fiscale da parte degli enti locali, senza tuttavia renderli completamente autonomi e, quindi, senza responsabilizzarli completamente.
Con riferimento alle norme dell'articolo 12, secondo le quali gli enti locali non possono, a differenza delle regioni, istituire loro tributi propri, ma solo essere destinatari di tributi istituiti dalla legge nazionale, salva la possibilità di istituire tributi di scopo, paventa che tali previsioni si potrebbero prestare ad abusi, e tradursi in un aumento di pressione fiscale, ad esempio in realtà turistiche come Firenze, nelle quali la possibilità di introdurre tributi di scopo in connessione con il turismo, oltre a provocare un aumento della pressione fiscale, potrebbe disincentivare lo stesso afflusso di turisti.
Analoga esigenza di integrale attuazione delle disposizioni del provvedimento si pone per quanto riguarda il sistema dei fondi perequativi in favore degli enti locali, disciplinato dall'articolo 13 del disegno di legge.
Rileva poi la necessità di approfondire il rilevante tema, affrontato dall'articolo 15, relativo alla destinazione di risorse speciali aggiuntive, in attuazione dell'articolo 119, quinto comma, della Costituzione, sottolineando come tali risorse potrebbero essere ricondotti gli interventi oggi contenuti in leggi speciali come quella per Siena e quella per Venezia, che già prevedono specifici stanziamenti per singole realtà territoriali.
Sotto un ulteriore profilo, segnala inoltre l'importanza che il principio costituzionale di sussidiarietà sia attuato non solo in senso verticale, tra i diversi livelli di governo in cui si articola la Repubblica, ma anche in senso orizzontale, nei confronti cioè di tutte le articolazioni associative della realtà sociale, ritenendo a tal fine opportuno rafforzare le previsioni in materia già contenute nel provvedimento.

Pag. 26

Franco CECCUZZI (PD), anche alla luce della sua appartenenza alla tradizione politica della sinistra ed alla realtà territoriale della Toscana, ritiene pienamente condivisibili i principi fondamentali cui si ispira la riforma federalista, consistenti innanzitutto nella coniugazione tra autonomie e responsabilità nella gestione delle risorse pubbliche. Ricorda, inoltre, come le premesse indispensabili all'attuale fase del progetto federalista siano state poste, nel corso delle precedenti legislature, dal centro-sinistra, il quale ha, dapprima, adottato le cosiddette leggi Bassanini, che hanno profondamente innovato la struttura amministrativa del Paese, quindi, nel 1999, le norme per l'elezione diretta dei Presidenti delle regioni, nel 2001, la legge costituzionale n. 3, che ha radicalmente innovato il Titolo V della Costituzione, e facendosi infine promotore, nella scorsa Legislatura, di un disegno di legge per l'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione dal quale il Governo attuale ha ripreso molti elementi del disegno di legge attualmente in esame.
Nell'attuale fase spetta al legislatore compiere un ulteriore passo di tale processo evolutivo, colmando quei vuoti ancora esistenti nell'ordinamento, rispetto ai quali la Corte costituzionale ha finora svolto una funzione di supplenza.
In tale contesto evidenzia come la prospettiva federalista rischi di contrapporsi, nell'attuale situazione, alla pratica centralista perseguita dall'attuale Governo, che sta determinando una situazione di notevole sofferenza finanziaria per le regioni e gli enti locali, a causa della soppressione dell'ICI sulla prima casa, degli interventi restrittivi sul patto di stabilità interno introdotti dall'ultima legge finanziaria e dalle conseguenze del ciclo economico sul gettito di molti tributi locali, in particolare provinciali. A ciò si aggiunge la rinuncia, da parte dell'Esecutivo, a svolgere un'effettiva politica anticiclica, che dovrebbe basarsi anche sull'incentivazione degli investimenti da parte degli enti locali, i quali potrebbero invece svolgere un'efficace azione di sostegno dell'economia.
Ritiene quindi che occorra innanzitutto risolvere i problemi attinenti ai rapporti finanziari con gli enti locali, relativamente al mancato ristoro delle mancate entrate dei comuni derivanti dall'abolizione dell'ICI sulla prima casa, al divieto di computare, ai fini del patto di stabilità, i proventi delle dismissioni e dei dividendi percepiti dai comuni stessi, nonché al vincolo che impedisce di utilizzare i residui passivi per investimenti infrastrutturali.
Sotto un altro profilo sussiste altresì l'esigenza di razionalizzare e consolidare l'assetto istituzionale degli enti territoriali, sottolineando, a tale proposito, il suo radicale dissenso rispetto a tutte quelle proposte, anche provenienti dalla sua parte politica, volte a sopprimere indiscriminatamente le province, le quali svolgono invece una funzione essenziale in un sistema frammentato come l'Italia. Tali enti rivestono infatti un ruolo prioritario per la pianificazione territoriale, nonché in alcune delicate funzioni quali l'orientamento professionale, la formazione, la mobilità dei cittadini e le politiche infrastrutturali.
Su un altro versante, occorre altresì collegare la riforma federalista con una revisione degli istituti parlamentari, in particolare attraverso l'istituzione del Senato federale e la riduzione del numero dei parlamentari.
Passando a taluni aspetti specifici del provvedimento, evidenzia taluni aspetti problematici del testo, costituiti in particolare dall'indeterminatezza di alcuni principi e criteri direttivi, dalla scarsa chiarezza circa gli effetti finanziari complessivi del provvedimento, e dalla labilità delle previsioni concernenti la pressione fiscale.
Occorre quindi migliorare il provvedimento sotto diversi aspetti, ad esempio operando una più precisa classificazione delle funzioni spettanti alle regioni ed agli enti locali, ed una più puntuale identificazione dei trasferimenti spettanti a tali enti, realizzando una migliore individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni e, conseguentemente, dei relativi costi standard, nonché risolvendo i problemi

Pag. 27

relativi alla disomogeneità dei dati contabili afferenti ai diversi livelli di governo.
Sul piano più squisitamente tributario, ritiene inoltre indispensabile evitare la frammentazione del sistema fiscale, sottolineando come la compattezza dell'Amministrazione finanziaria, la collaborazione tra tutti gli enti titolari di potestà tributaria ed il dialogo tra le diverse banche dati esistenti in materia, costituiscano un elemento imprescindibile di forza e di competitività del Paese, rappresentando inoltre uno strumento essenziale per assicurare l'equità complessiva del sistema e garantire il funzionamento dei meccanismi perequativi previsti dallo stesso disegno di legge.
Un'ulteriore riflessione deve inoltre, a suo giudizio, essere compiuta con riferimento alle fasi successive di attuazione della delega, con particolare riferimento ai poteri della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, prevista dall'articolo 3 del disegno di legge, i quali non sembrano sufficienti a garantire un adeguato coinvolgimento del Parlamento nell'intero processo di riforma.

Luciano PIZZETTI (PD) osserva come la discussione sul provvedimento rischi di avvenire in un contesto più virtuale che virtuoso, rilevando come, mentre in questa aula si dibatte di ciò che sarebbe auspicabile per il Paese, l'azione del Governo e della maggioranza sia al contrario orientata in tutt'altra direzione, considerando gli enti locali un peso e non una risorsa.
Sottolinea, infatti, come l'attuale politica di bilancio sia talmente restrittiva da lasciare ben poco spazio all'iniziativa delle regioni, delle province e dei comuni, nonché alle politiche di contrasto della crisi, prefigurando così una sorta di espropriazione del ruolo di tali enti da parte del Governo.
Considera invece importante che il Governo ascolti l'appello lanciato dall'ANCI nel corso del ciclo di audizioni informali svolte in preparazione a questa discussione.
Nonostante tali premesse ritiene comunque che il federalismo costituisca un elemento utile per il bene del Paese, in quanto esso rappresenta un tassello fondamentale nel processo di riforma dello Stato, evidenziando come il suo gruppo non ponga alcuna pregiudiziale su questi temi, ma evidenzi, semmai, la necessità di svolgere sul provvedimento una reale discussione.
Sottolinea quindi come il provvedimento operi, attraverso il meccanismo della delega legislativa, in un contesto costituzionale determinato a suo tempo dall'attuale opposizione e contestato, invece, dall'attuale maggioranza, rilevando in tale contesto come tanto il testo originario del disegno di legge quanto, ancor più, quello arricchito dalle modifiche introdotte al Senato, costituiscano un radicale cambiamento nell'approccio della maggioranza e della Lega ai temi del federalismo, costituendo un elemento di novità che rende possibile il confronto odierno, nonché un auspicabile, ulteriore miglioramento del testo.
Ripercorre, quindi, l'evoluzione politica, passata dalla secessione alla devolution e, infine, al concetto di territorialità delle imposte, della cultura statuale della Lega, alla quale va comunque riconosciuto il merito di aver per prima posto la questione federalista. Tale evoluzione, unitamente agli esiti negativi del referendum sulla riforma costituzionale sulla devolution, adottata dal centrodestra nel corso della XIV Legislatura, all'eclettismo dimostrato dell'attuale maggioranza, nonché, infine, alla coerenza dimostrata dal Partito Democratico rispetto alle scelte assunte nel 2001, hanno consentito l'avvio in concreto di un'azione di riforma dello Stato il più possibile condivisa.
In tale prospettiva rileva come esistano su questi temi numerosi elementi di contatto tra maggioranza e opposizione, sui quali è possibile svolgere un'azione condivisa, sottolineando in particolare la consonanza circa il fatto che il federalismo fiscale non costituisce uno strumento di redistribuzione delle risorse, finalizzato a generare nuove ineguaglianze, ma un

Pag. 28

mezzo per superare le attuali disuguaglianze, assicurando a tutti i cittadini pari opportunità e diritti di cittadinanza.
Richiama quindi la disponibilità manifestata dall'opposizione nel corso dell'esame al Senato, ribadita anche presso questo ramo del Parlamento, auspicando che il Governo e la maggioranza assumano comportamenti conseguenti, che consentano di compiere un buon lavoro sul testo.
In tale prospettiva esprime apprezzamento per l'approccio finora seguito dai relatori, condividendo in particolare le considerazioni da questi espresse sui temi della responsabilizzazione degli enti locali, nodo centrale della riforma, della riqualificazione della spesa pubblica, della riduzione degli spechi, della modernizzazione nell'offerta dei servizi pubblici, dell'attuazione del criterio di sussidiarietà e del ripudio della cultura liberista dello Stato minimo, nonché circa l'esigenza che il recupero di efficienza sia finalizzato ad assicurare i diritti dei cittadini.
Rileva, tuttavia, anche l'esistenza di una grave incongruenza nell'impianto del disegno di legge, evidenziata anche dalla Ragioneria generale dello Stato nella sua recente audizione, legata al fatto che il tema del federalismo è affrontato partendo dalle risorse e non dalle funzioni, e che si regolano i flussi a prescindere dalle materie concretamente assegnate agli enti territoriali.
Sottolinea, inoltre, l'importante ruolo che dovrà svolgere la Carta delle autonomie nel ridefinire l'ordinamento e nello stabilire le funzioni degli enti locali, ricordando al riguardo come il precedente Governo di centrosinistra accompagnò il disegno di legge delega sul federalismo con il disegno di legge di riforma delle autonomie. Sollecita quindi l'Esecutivo a colmare il proprio colpevole ritardo sull'argomento, assumendo l'impegno ad approvare il codice delle autonomie entro i termini stabiliti per l'adozione del primo decreto legislativo di attuazione del federalismo.
In tale contesto ritiene altresì necessario espungere dal testo del provvedimento le disposizioni relative a Roma capitale ed alla disciplina delle città metropolitane, che devono invece trovare più adeguata sistemazione nel predetto Codice delle autonomie.
Si sofferma, inoltre, sui temi relativi al ruolo delle Camere nella realizzazione della riforma federalista, considerando del tutto comprensibile la scelta del Governo di utilizzare lo strumento della delega legislativa, analogamente a quanto previsto dal precedente Esecutivo, in considerazione della complessità e tecnicità della materia. Sottolinea tuttavia, al riguardo, la necessità che il Parlamento mantenga sempre su questi delicatissimi temi un ruolo cogente, considerando per tale motivo insoddisfacente la soluzione, proposta nel testo, di istituire una Commissione bicamerale consultiva, alla quale spetterebbe solo un ruolo di accompagnamento assai debole, persino inferiore a quello già attribuito alla Commissione parlamentare per le questioni regionali.
Riprendendo quindi alcune considerazioni già svolte da altri deputati del suo gruppo, rileva la necessità di mantenere unitaria la base imponibile dell'IRPEF, evitando che il sistema tributario possa subire un'eccessiva frammentazione e confermando tale imposta come strumento di progressività del prelievo, nonché di escludere che il nuovo assetto federalista conduca a qualsiasi aumento della pressione fiscale.
Sottolinea inoltre l'esigenza di coinvolgere maggiormente gli enti territoriali nella lotta all'evasione fiscale, dando altresì concreta attuazione al cosiddetto federalismo differenziato previsto dall'articolo 116 della Costituzione, ossia all'attribuzione alle regioni, su richiesta delle stesse, di ulteriori funzioni.
Osserva quindi come il passaggio dal criterio della spesa storica a quello dei costi standard non costituisca una prerogativa specifica del federalismo fiscale, ma caratterizzi già numerosi Stati, non qualificabili come federali, che tuttavia hanno adottato tale criterio di efficienza, ritenendo invece che il vero tema sia rappresentato dall'autonomia di entrata e di

Pag. 29

spesa e, quindi, dalle dimensioni delle risorse e delle funzioni attribuite agli enti territoriali.
Richiama, quindi, la maggioranza ed il Governo, nonché, in particolare, i deputati della Lega Nord, a dimostrare coerenza e attenzione nella definizione della riforma, per evitare il rischio che le regioni, le province e i comuni, strangolati da un rigore finanziario parossistico, giungano del tutto privi di risorse all'appuntamento con il federalismo, e per cancellare il sospetto che quest'ultimo costituisca in realtà solo uno falso obiettivo dietro il quale nascondere finalità del tutto diverse.
Ribadisce, quindi, la volontà dell'opposizione a realizzare la riforma federalista, a condizione che essa sia intesa come strumento per offrire agli italiani quelle opportunità che un'impostazione centralista ha sin qui negato loro.

Rolando NANNICINI (PD) ritiene che una riforma tanto rilevante, quale l'attuazione di un compiuto e condiviso sistema di federalismo fiscale, non possa realizzarsi disgiuntamente da un'opportuna valutazione dei rapporti e delle dinamiche che sono intercorsi nelle diverse fasi storiche dei rapporti finanziari tra Stato ed enti locali, richiamando a tale riguardo le alterne vicende politico-istituzionali che hanno accompagnato nel tempo l'istituzione e l'operatività del fondo ordinario, teso a compensare le condizioni economiche di disagio delle regioni con maggiori esposizioni debitorie. Delinea quindi i profili connessi al processo politico-culturale attraverso cui il complessivo sistema delle autonomie territoriali ha contribuito all'attuazione, in anni recenti, delle misure tese al risanamento della finanza pubblica.
Segnala inoltre come gli enti locali, pur nutrendo forti aspettative ed attese sull'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, ripongano scarsa fiducia negli esiti della riforma in discussione, anche a causa dell'attuale quadro economico di grave crisi, che ha determinato una situazione di emergenza nella gestione dei conti pubblici.
Evidenzia altresì come il Patto di stabilità interno debba essere ridefinito, per verificare le effettive capacità di cassa degli enti locali, sottolineando in tale contesto la necessità di chiarire l'entità dei dati relativi alle entrate tributarie degli enti locali e dello Stato, per giungere ad un adeguato livello di certezza circa l'assetto finanziario degli enti locali.
Ritiene quindi indispensabile, nel quadro della riforma, procedere ad una meditata ed approfondita riflessione in ordine al ruolo ed alla gestione dell'IRES e dell'IRAP, nonché in relazione all'IVA, nonché costruire, in un contesto di autentico federalismo fiscale, equo e condiviso, un sistema di compartecipazioni differenziate, con soglie e bande di oscillazione dinamiche, richiamando a tal fine i dati forniti dall'ANCI sul sistema di trasferimenti allo Stato.
Ravvisa infine l'esigenza che siano introdotti adeguati criteri di accorpamento amministrativo degli enti locali, considerata la frammentaria realtà delle autonomie locali, spesso di ridotte dimensioni, disseminate nel territorio dello Stato. A tale riguardo considera opportuno, pur conservando la realtà storica dei municipi, definire un'organizzazione diversa, basata su forme di associazione dei comuni e di aggregazione dei servizi in ambito territoriale, nonché prevedere che le province assumano funzioni di area vasta, senza sovrapporre le proprie funzioni a quelle dei comuni.

Francesco BOCCIA (PD) esprime preliminarmente apprezzamento per l'assiduità e l'impegno con la quale i ministri Calderoli, Bossi e Fitto hanno seguito l'esame del provvedimento.
Passando quindi ad analizzare taluni problemi specifici del provvedimento, segnala in primo luogo come sia la Ragioneria generale dello Stato, sia l'ISTAT, sia la Corte dei conti, nel corso delle audizioni, abbiano evidenziato il rischio di asimmetrie in quello che dovrebbe essere invece l'aspetto più importante del provvedimento, vale a dire la correlazione tra centri di spesa e centri di entrata.

Pag. 30

In secondo luogo ricorda che il disegno di legge riguarda in fondo solo il 30 per cento delle risorse di bilancio già destinate agli enti territoriali, pari a circa 240 miliardi di euro, di cui 165 miliardi destinati alle regioni, 65 ai comuni e 13 dalle province, e che pertanto si interviene su risorse già attribuite agli enti decentrati, rilevando quindi come, al di là della volontà di mutare le modalità di reperimento delle risorse, non si stia in questo senso operando alcuna vera riforma in senso federalista.
Invita inoltre a non credere alla propaganda che individua nel federalismo la panacea di tutti i mali. Ad esempio, per affrontare il problema dell'illegalità diffusa nel Mezzogiorno, che ha fin qui fornito un ampio alibi alle rivendicazioni delle regioni settentrionali, è indispensabile, non una maggiore decentralizzazione, ma un intervento più incisivo dello Stato centrale, ad esempio potenziando la lotta all'usura e al racket ed indirizzandola anche nei confronti del sistema bancario. Sempre su questo aspetto, rileva come, nell'ultimo decennio, mentre le regioni dell'Italia settentrionale e centrale hanno aumentato il loro livello di spesa pubblica, le regioni meridionali, che sicuramente partivano da livelli assoluti più alti, abbiano comunque avviato una significativa azione di razionalizzazione e di riduzione della spesa pubblica, ritenendo in proposito non scontato che l'approvazione del disegno di legge consentirebbe il proseguimento di questa tendenza.
Alla luce di tali elementi considera quindi indispensabile interrogarsi sulla funzione che si vuole attribuire al federalismo, segnalando come il testo si dimostri estremamente vago, e come non sia possibile chiedere all'opposizione, che pure intende affrontare seriamente il tema, di attribuire, come prospettato dal provvedimento, una sostanziale delega in bianco al Governo.
Richiama, sul punto, anche le difficoltà di individuazione dei costi standard, ricordando in tale contestol'esempio degli asili nido, rispetto ai quali segnala come il minor livello di costo a livello nazionale si registra nella regione Calabria, dove però la copertura del servizio è solo dell'1,5 per cento, mentre nelle regioni settentrionali, dove si registrano i valori di costo più alti, il grado di copertura del servizio è molto più alto, fino a giungere al dato più elevato, quello della provincia di Piacenza, dove la copertura è pari al 33 per cento, in linea con gli obiettivi di Lisbona. Ritiene che tale esempio dimostri come, per la determinazione del costo standard, l'assunzione del solo parametro quantitativo non risulti idonea, ma sia invece necessario considerare, per i servizi a domanda individuale per i quali non è garantita la copertura universale da parte dello Stato, come la qualità dei servizi forniti aumenti anche in funzione della maggiore disponibilità dei soggetti interessati a pagare per la prestazione del servizio stesso.
Considera quindi particolarmente preoccupante l'autentica demolizione dell'IRPEF prospettata dal disegno di legge, rilevando come la tassazione delle persone fisiche rappresenti in tutti i paesi, federali o meno, l'imposta cardine, mediante la cui progressività si attuano le politiche redistributive. Ricorda a tale proposito la disposizione relativa alla riserva di aliquota IRPEF regionale, che dovrebbe servire a finanziare le funzioni fondamentali di tali enti, segnalando in proposito la vaghezza del principio di delega, il quale non specifica ad esempio se la riserva di aliquota sarà applicata anche al primo scaglione di reddito, in considerazione del fatto che tale scaglione ha una distribuzione sul territorio nazionale più omogenea degli altri. In tale ambito invita ad interrogarsi su come in tale contesto si possano realizzare interventi fiscali di equità sociale, che tradizionalmente riguardano il primo scaglione. Ancora meno chiare appaiono le disposizioni in materia di aliquota riservata di cui all'articolo 7, rispetto alle quali non si comprende se si tratti di attribuire alcuni punti percentuali del gettito IRES alle regioni, ovvero riservare alle stesse un ulteriore scaglione di imposta.
Rileva quindi come l'intero sistema di partecipazione e perequazione previsto dal

Pag. 31

provvedimento ruoti intorno all'IRPEF, segnalando al riguardo come, in ragione dello scarso grado elasticità di tale imposta rispetto al PIL, pari a solo 1,5 volte, se si intendesse contenere la dinamica complessiva della spesa pubblica e ridurre la pressione fiscale, occorrerebbe ogni anno rinegoziare la misura della compartecipazione, cancellando in questo modo l'autonomia e la responsabilità degli enti interessati. In alternativa si dovrebbero invece considerare a tal fine altri tributi, come l'IVA, che risulta maggiormente sensibile alla dinamica del sistema economico.
Nel confermare la disponibilità del proprio gruppo e dei deputati ad esso appartenenti provenienti dalle regioni del Sud ad un confronto costruttivo sul testo, ritiene che i profili problematici del provvedimento siano tanto consistenti da richiedere sostanziali modifiche, non essendo immaginabile che l'opposizione accetti di conferire al Governo una delega che, ribadisce, risulterebbe sostanzialmente in bianco.

Sergio Antonio D'ANTONI (PD), associandosi alle considerazioni di molti dei deputati intervenuti, in particolare a quelle svolte dal collega Boccia, sottolinea come il disegno di legge si ponga, almeno a parole, l'obiettivo di una maggiore efficacia ed efficienza della spesa pubblica, nell'ottica di favorire e stimolare la crescita economica complessiva del nostro Paese. A tale riguardo ritiene tuttavia che, al fine di assicurare un adeguato tasso di crescita, sia necessario innanzitutto intervenire con misure di sostegno alle zone più deboli del Paese, come dimostrato anche dall'esperienza maturata in altri Stati federali, e, in particolare, in Germania.
In quest'ottica, ritiene pertanto essenziale garantire che il provvedimento in esame realizzi appieno l'articolo 119, quinto comma, della Costituzione, il quale prevede la possibilità di interventi statali volti a rimuovere gli squilibri economici e sociali tra le diverse aree del Paese. Il provvedimento dovrà in particolare tenere conto delle prospettive dei sistemi di finanziamento delle aree sottoutilizzate finora adottati, che si sono incentrati essenzialmente sul ricorso ai Fondi europei ed ai corrispondenti cofinanziamenti nazionali.
Pur riconoscendo gli evidenti limiti di tale sistema di intervento, ampiamente denunciati nel dibattito politico e scientifico, con riferimento, in particolare, all'utilizzo non sempre efficiente delle risorse disponibili ed all'effetto sostitutivo dei finanziamenti previsti rispetto al sistema ordinario di trasferimenti, segnala come le risorse aggiuntive stanziate nell'ambito dei programmi comunitari sono destinate ad esaurirsi entro l'anno 2013.
Anche alla luce di tale prospettiva, appare, pertanto, necessario prevedere apposite modalità di sostegno alle aree sottoutilizzate già nell'ambito del provvedimento in esame, sottolineando come, in assenza di tale previsione, il divario di sviluppo fra il Meridione e le altre aree del Paese rischino di aggravarsi ulteriormente. Allo stato attuale, infatti, strumenti di crescita economica formidabile come l'alta velocità ferroviaria sono a disposizione delle sole regioni centrosettentrionali, privando pertanto il Sud della possibilità di recuperare il ritardo di sviluppo attualmente esistente. Sul piano sistematico, l'intervento prefigurato non si sostanzierebbe in uno strumento di perequazione aggiuntivo rispetto a quelli già previsti, ma rappresenterebbe uno stanziamento di ulteriori risorse da destinare alla crescita economica, che consentirebbe di recuperare al disegno federalista uno spirito realmente solidale.

Roberto Mario Sergio COMMERCIO (Misto-MpA) rileva come sia ormai diffusa l'opinione che il centralismo sia una delle cause principali dell'accrescersi delle differenze e dei divari ormai insopportabili tra Nord e Sud, tra regioni ricche e regioni povere.
In tale contesto ritiene che federalismo fiscale possa rappresentare il vero antidoto a tale frantumazione del Paese, purché il progetto che si realizza nasca da una vera condivisione tra le varie sensibilità politiche

Pag. 32

presenti in Parlamento, e dia vita ad un federalismo fiscale «sostenibile», che non produca un aumento dell'imposizione fiscale, ma garantisca livelli essenziali e di garanzia universale di prestazioni e di diritti a tutti i cittadini, che porti ad una semplificazione sia dei livelli di governo che dei soggetti titolari di imposte e di tributi, e che rappresenti un'occasione per realizzare l'efficientismo e la burocratizzazione della Pubblica Amministrazione.
Ravvisa quindi la necessità che la riforma sia intesa come una distribuzione delle risorse che riconosca le peculiarità territoriali e che le concentri maggiormente per i servizi e gli investimenti sui livelli più vicini ai cittadini, in base ai principi costituzionali di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione, nell'ottica di un federalismo, dunque, equo e solidale, ma soprattutto di un «federalismo politico» ove alla politica locale viene restituito il ruolo di «cabina di regia» delle scelte.
Ricorda che la discussione sul federalismo è stata, in passato, spesso artificiosa, dettata più dai proclami di chi ne ha fatto una bandiera identitaria del proprio radicamento territoriale, che del merito, rilevando come già la Costituzione prefiguri un federalismo fiscale di alto profilo, autonomistico ma nel contempo solidale, che garantisce la perequazione delle diverse capacità fiscali dei territori e prevede fondi speciali per le aree in situazioni di particolare disagio socio-economico. Ritiene dunque che per il finanziamento dei poteri locali sia necessario partire dallo spirito e dalla lettera della Carta costituzionale, che prevede l'attribuzione ad ogni istituzione, «senza vincolo di destinazione», di risorse sufficienti a «finanziare integralmente le funzioni assegnate».
Assicura quindi che il suo gruppo lavorerà per l'affermazione di un federalismo fiscale solidale, che, da una parte, assicuri l'unità nazionale, e, dall'altra, valorizzi la responsabilità e la capacità di amministrare delle varie regioni e, soprattutto, che definisca i livelli di adeguatezza dei servizi.
Di fronte all'opportunità di avviare una riforma epocale, capace di operare un cambiamento virtuoso attraverso il passaggio dalla spesa «storica» ai costi standard predefiniti, e alla valorizzazione del binomio autonomia-responsabilità, e capace dunque di mettere in moto un processo positivo che porti maggiore impulso e maggiore efficienza alla macchina amministrativa pubblica nel suo complesso, annuncia che il suo gruppo manterrà, nel corso dell'esame parlamentare del provvedimento, una posizione costruttiva, di dialogo vero, di ampia apertura, scevra da qualsiasi forma di autoconservazione, offrendo un proficuo contributo al miglioramento del testo senza rinunciare a vigilare sulla garanzia di valori costituzionali quali l'autonomia, la solidarietà, l'efficienza, la responsabilità e la trasparenza.
Rileva inoltre come il suo gruppo intenda mantenere anche in futuro alta la vigilanza su tali tematiche, per impedire che degenerazioni, settarismi e divisioni territoriali, possano trasformare in un salto nel buio per il destino economico e sociale dei cittadini, o in un'ulteriore penalizzazione dei territori più deboli e già svantaggiati, questa grande innovazione istituzionale, o peggio, condurre al fallimento una riforma che rappresenterebbe una sconfitta certamente il Governo, certamente per la maggioranza, ma ancor più per tutto il Paese.

Francantonio GENOVESE (PD) rileva come l'approvazione, da parte del Senato, del disegno di legge in esame sia stata anche frutto del contributo del Partito Democratico, che ha portato alla riscrittura di alcune parti significative della legge. Nel corso dell'esame presso l'altro ramo del Parlamento, sono stati, infatti, rimessi in discussione temi rilevanti, come la valutazione delle differenze esistenti tra regioni ricche e regioni povere in materia di evasione fiscale e della tempistica necessaria per rendere omogenei questi parametri. È inoltre stata prevista l'istituzione di una Commissione bicamerale per l'esame degli schemi di decreto legislativo attuativi della legge delega, sono stati indicati

Pag. 33

i tributi propri delle Regioni e dei comuni ed è stata assicurata la parità dei diritti riconosciuti agli utenti dei pubblici servizi sulla base di identici standard in tutto il territorio nazionale. Tuttavia, non tutti gli emendamenti proposti dal PD sono stati accolti in quella sede, ritenendo pertanto che siano ancora numerosi i nodi da sciogliere.
Il primo aspetto problematico riguarda lo squilibrio di fondo tra il Nord ed il Sud del Paese, che la riforma, così come è stata concepita, aggraverà e renderà strutturale. Il secondo elemento negativo riguarda la completa assenza di stime circa i costi della riforma sia nella sua fase di avvio che in relazione al momento in cui dovrebbe andare a regime. Non sono, inoltre, ancora indicate misure attuative, né esiste una Carta delle autonomie che fornisca indicazioni su «chi fa che cosa». Resta, altresì, aperto ad ogni possibile interpretazione il rapporto tra Regione e comuni, né è stato ancora risolto il tema essenziale dei tributi propri.
Vi è, poi, una questione che può sembrare secondaria nel quadro nazionale, ma che è invece assolutamente rilevante per tutti i siciliani. Il disegno di legge in esame contiene infatti, a suo avviso, norme che violano lo Statuto siciliano, il quale costituisce l'unico esempio, sia pure utilizzato poco e male, di federalismo esistente in Italia. Fa, in particolare, riferimento alle norme che disciplinano l'istituzione, l'ordinamento ed il finanziamento delle aree metropolitane, nonché alle disposizioni degli articoli 21 e 25 del disegno di legge. Talune di tali norme violano infatti l'articolo 14, primo comma, lettera o) dello Statuto, che riserva tali materie alla competenza esclusiva della Regione Siciliana, mentre l'articolo 21, in materia di perequazione infrastrutturale sostituisce, in sostanza, l'articolo 38 dello Statuto siciliano che disciplina il contributo di solidarietà nazionale per la realizzazione di opere pubbliche e si conferisce a quattro ministri il potere di decidere quali risorse potranno arrivare in Sicilia.
L'articolo 25, il quale dispone i termini entro cui le norme di attuazione dello Statuto siciliano dovranno adeguarsi al federalismo fiscale nazionale, appare altresì, a suo avviso, incostituzionale, in quanto impone l'applicazione del principio del costo standard a prescindere dalla negoziazione tra Stato e Regione, scavalcando in tal modo la commissione paritetica.
Sottolinea, inoltre, come il disegno di legge in esame non contenga né dati, né previsioni, né proiezioni di spesa, giudicando particolarmente strano che a questo silenzio, giustificato dal Ministro Tremonti con la complessità della materia, corrispondano invece una serie di altre analisi tutte concordi nell'indicare il rapporto tra federalismo e nuove forme di squilibrio. Segnala, ad esempio, come per la Sicilia, a fronte di una spesa necessaria da parte della regione per nuove funzioni assegnate, si parli di un ammontare di nuovi tributi possibili pari a 7 miliardi. Ritiene possibile che meccanismi perequativi e di compensazione possano coprire questo deficit, ritenendo tuttavia importante comprendere se questa ipotesi sia considerata ordinaria o straordinaria e se sia stata adeguatamente approfondita da coloro che oggi sostengono il federalismo.
Ulteriori dubbi suscita la determinazione dei cosiddetti livelli essenziali con riferimento a servizi quali la sanità, l'istruzione e l'assistenza, in quanto il provvedimento sembra prefigurare un benchmark oggettivo, ignorando le condizioni di contesto. A tale proposito, segnala come una pari quantità di risorse spese in Lombardia consenta di aumentare efficacia ed efficienza, integrandosi in un sistema complessivo che non riguarda solo strettamente la sanità, mentre le medesime risorse spese in Sicilia potrebbero avere minore efficacia ed efficienza, qualora non siano stati colmati gli squilibri strutturali esistenti.
Su un piano più generale, evidenzia come un obiettivo essenziale del federalismo sia quello di stimolare comportamenti razionali in assenza di trasferimenti, in modo da responsabilizzare gli enti locali sulla spesa e sulle entrate e imporre una migliore governance, al fine di evitare una

Pag. 34

perdita del consenso politico, osservando tuttavia come tutta la storia del Mezzogiorno, con riferimento ad esempio agli enti locali ed alla sanità, smentisca totalmente questo assunto.
Ritiene, infine, opportuno accennare a due problemi che il dibattito non ha considerato, ma che dovrebbero rientrare tra i temi centrali della discussione: quello della ripartizione del debito pubblico, che secondo i principi del federalismo dovrebbe avvenire secondo le quote di proprietà dei titoli del debito, e quello del ruolo dei fondi strutturali, che dovrebbero mantenere l'attuale regime e quindi essere esclusi dai calcoli relativi ai fondi perequativi.
In conclusione, fermo restando l'assenso ad alcuni principi chiave che animano il modello federalista, esprimere dubbi, perplessità ed incertezze sul provvedimento, del resto condivisi anche dalla SVIMEZ, dall'ISAE, dalla Ragioneria Generale dello Stato nei loro documenti e nelle loro audizioni, sottolineando pertanto la necessità di sciogliere, con coraggio ed equilibrio, tali nodi, salvo che la Camera non voglia limitarsi ad approvare una «legge bandiera» per fini di mera opportunità politica.

Stefano GRAZIANO (PD) invita preliminarmente a riflettere sul fatto che, in una fase finanziariamente difficile come l'attuale, il federalismo fiscale potrebbe rappresentare un investimento troppo oneroso per le casse dello Stato e che, in una fase congiunturale di crisi, la riforma delle autonomie potrebbe decretare un ulteriore freno alla crescita dell'Italia. Ricorda inoltre che le analisi effettuate da molti istituti di ricerca, nonché dalla Banca d'Italia, indichino come effetto indotto dell'introduzione del federalismo un aumento della spesa complessiva, con il consequenziale e inevitabile aumento dell'imposizione tributaria.
In particolare rileva come il federalismo, nell'opinione di studiosi autorevoli, non possa funzionare se non accompagnato da una serie di altri incentivi economici. In tal senso, per riequilibrare le sproporzioni tra le aree geografiche del Paese, sarebbe necessario realizzare progressi rapidi sul fronte dell'occupazione e della produttività da parte delle regioni del Mezzogiorno, progressi che non possono essere ottenuti come risultato diretto della sola trasformazione federalista.
Il federalismo, quindi, che in un contesto di crescita rappresenterebbe un'occasione fondamentale per stimolare e sostenere lo sviluppo, rischierebbe non solo di peggiorare le condizioni delle zone depresse, ma, di fronte ad una situazione di bassa crescita, potrebbe persino condurre le regioni più sviluppate a rischiare di perdere parte della propria ricchezza.
Al di là di facili previsioni, ritiene difficile prevedere quali saranno i tempi di realizzazione del federalismo fiscale, che comunque saranno molto lunghi. Rileva, infatti, come il disegno di legge implichi rimetta la determinazione dei contenuti della riforma alla dettagliata stesura della normativa ad opera del Governo, che avverrà in un arco di tempo destinato ad esaurirsi oltre il termine di due anni, previsto per la redazione dei decreti attuativi, in quanto, una volta adottati i decreti legislativi il Governo, valutati gli effetti della riforma, potrebbe entro ulteriori due anni adottare nuove norme mediante eventuali decreti integrativi e correttivi. Ritiene quindi che i mesi successivi all'entrata in vigore della riforma saranno decisivi per dare al federalismo la sua forma concreta.
Rileva inoltre come il disegno di legge si fondi su un'analisi delle funzioni delle Regioni e degli enti locali, per correlare ad essi un sufficiente livello di finanziamenti e piena autonomia di entrata e di spesa, evidenziando come tale autonomia, unitamente alla maggiore responsabilizzazione amministrativa, finanziaria e contabile di tutti i livelli di governo potrebbe risultare effettivamente rivoluzionario. Infatti i sindaci, i presidenti delle province e delle regioni saranno responsabili dei fondi che gestiscono, e dovranno utilizzare la leva tributaria in ragione della loro capacità di gestione delle risorse.

Pag. 35

Rileva quindi come il nuovo meccanismo di attribuzione di risorse autonome ai comuni, alle province, alle città metropolitane e alle regioni, in relazione alle rispettive competenze, superi il criterio attuale, in base al quale le risorse sono trasferite dal centro agli enti territoriali e sono di fatto oggetto ogni anno di trattativa politica. Al contrario, nel futuro sistema si passerà da un criterio di finanziamento delle funzioni basato sulla cosiddetta «spesa storica» ad un criterio di finanziamento basato su quanto ogni ente dovrebbe ragionevolmente spendere per tali funzioni, secondo il principio dei «costi standard».
Mentre il ricorso al principio della spesa storica determina per molte regioni sprechi e sperperi, disincentivando l'efficienza, secondo il nuovo criterio, il valore standard delle prestazioni sarà calcolato sulla base dei costi che si registrano nelle regioni più efficienti. In tal modo sarà possibile omogeneizzare i valori produttivi e, attraverso essi, contenere i prezzi, valutare gli scostamenti dei costi reali e, con essi, lo stato di efficienza del sistema produttivo nella sua interezza, costituendo quindi un indicatore con il quale parametrare e valutare il finanziamento dei principali servizi corrispondenti a diritti civili e sociali (sanità, assistenza sociale, istruzione).
Pur valutando positivamente tali obiettivi di efficienza, ritiene che il limite della previsione normativa contenute nel disegno di legge risieda nel fatto che essa non pone alcuna indicazione utile a offrire le necessarie garanzie qualitative di soddisfazione dei bisogni collettivi, rilevando inoltre come appaia difficile definire gli standard di costo in un contesto nazionale molto diverso, in cui i numeri, a partire dalla popolazione, non sono certi, concordati e condivisi.
Richiama quindi in merito le considerazioni svolte da Tullio Lazzaro, Presidente della Corte dei Conti, il quale ha dichiarato che la «grande opportunità» del federalismo fiscale, potrà essere vinta solo con un controllo e un monitoraggio costante dei conti e delle gestioni e con la «certezza dei dati». Osserva conseguentemente come, per garantire il miglior monitoraggio sulle spese, gli enti territoriali dovranno dotarsi di sistemi contabili omogenei sotto il profilo finanziario, di conto economico e di stato patrimoniale, in modo da assicurare che la redazione dei bilanci di comuni, province, città metropolitane e regioni, avvenga in base a criteri predefiniti e uniformi, concordati in sede di Conferenza unificata, coerenti con quelli che disciplinano la redazione del bilancio dello Stato, rilevando in proposito la necessità di ristrutturare il sistema di contabilità pubblica, di renderlo più trasparente, più rappresentativo della verità patrimoniale, più efficace sotto il profilo dei controlli, attraverso un costante ed efficiente sistema di monitoraggio della spesa corrente.
Con riferimento al meccanismo perequativo, evidenzia come il disegno di legge, nel dare attuazione all'articolo 119 della Costituzione, si proponga di individuare un ragionevole equilibrio tra l'esigenza che ogni regione e comunità locale tragga il proprio finanziamento dalle risorse fiscali prodotte nel proprio ambito e l'esigenza che le comunità, che con le risorse così ricavate non riuscirebbero a finanziare integralmente le proprie funzioni, godano di finanziamenti perequativi, senza che ciò travolga il principio della territorialità delle risorse.
Tali previsioni toccano, a suo giudizio, il problema delicato del bilancio tra ciò che ogni comunità produce in termini di risorse fiscali e ciò che ogni comunità riceve per fare fronte alle sue funzioni, un problema che è al centro dell'idea di federalismo fiscale. Su di esso, tuttavia, ritiene difficile discutere sino a quando non si abbia - al di là dell'indicazione dei principi - qualche proposta sulla fissazione concreta di equilibrio, evidenziando in ciò un punto critico, dal quale dipende l'esigibilità dei diritti di cittadinanza sull'intero territorio nazionale. Considera dunque necessario dedicare a tale aspetto grande attenzione, soprattutto in Parlamento,

Pag. 36

considerata la sua diretta influenza sulle condizioni essenziali di vita della collettività più povera.
Sempre con riferimento al meccanismo perequativo, il quale ha il compito di definire le differenze sostanziali della capacità fiscale delle singole Regioni rispetto ad un «punto di riferimento», tenuto conto del fabbisogno corrispondente ai livelli essenziali di prestazioni in almeno una regione, rileva come tale meccanismo intervenga, in compensazione, nel momento in cui le aliquote dei tributi e le compartecipazioni della singola regione non coprano il livello minimo sufficiente ad assicurare il pieno finanziamento del fabbisogno corrispondente ai livelli essenziali delle prestazioni nella regione stessa. Il finanziamento delle prestazioni relative ai diritti civili e sociali (sanità, assistenza, istruzione) è tale per cui, per assicurare i livelli essenziali di queste prestazioni i governi territoriali saranno costretti a utilizzare le risorse contenute in un fondo perequativo che sarebbe finanziato dalla fiscalità generale.
Ciò implica, a suo giudizio, rinviare la definizione delle prestazioni essenziali esclusivamente alla sostenibilità finanziaria di queste prestazioni. L'istituzione del fondo, sebbene immaginata nel 2001 a fini perequativi, e quindi di eguaglianza, verrebbe così finalizzata ad altri obiettivi: non più la rimozione degli squilibri economici e sociali fra le regioni, ma solo un sostegno limitato a favore delle aree del paese più disagiate. Il modello di fondo perequativo è dunque fragile e incapace di arginare i gravi divari sociali esistenti fra i territori e il progressivo declino dello Stato sociale, anche in quanto il disegno di legge privilegia come parametro la «capacità fiscale per abitante», utilizzando un concetto ancora da definire.
Tali premesse indicano le finalità sostanziali del fondo perequativo, costituite dalla compensazione delle minori capacità fiscali in relazione ai vincoli posti in essere dalla legislazione attuativa in materia di diritti civili e sociali, nonché dalla copertura delle spese per il funzionamento ordinario di tutte le istanze di governo sub-statale, al fine di garantire l'integrale copertura dei servizi resi alla collettività nazionale.
Osserva quindi come, una volta decisa la capacità fiscale regionale raffrontata con i costi standard, lo Stato ceda alle regioni «deboli» una base imponibile pari alla differenza necessaria a compensare le altrettante differenze rilevate; a ciò si sommerebbero le compartecipazioni godute e l'imposizione fiscale propria, ancorché derivata.
Tale meccanismo appare tuttavia fumoso, in quanto calibrato su almeno una regione, ovvero su una media, individuata in sede politica, per selezionare discrezionalmente «la campionatura regionale». Ciò determina, a suo giudizio, il rischio di modificare «politicamente» l'entità della perequazione, comportando pertanto il rischio che l'esigibilità dei diritti di cittadinanza sia fondata su una parità teorica e ipotetica.
La compensazione del fondo perequativo nazionale non coprirà inoltre tutta la spesa, e comunque non potrà garantire la parità di trattamento dei cittadini delle diverse realtà territoriali, perché il federalismo mette in concorrenza i territori e i loro amministratori.
Mentre tutti i residenti avranno diritto a un livello essenziale di prestazioni che comuni, province e regioni saranno obbligati a garantire, anche utilizzando le risorse del fondo compensativo, per le prestazioni aggiuntive non ci sarà alcun intervento dello Stato, e ciascuno ente dovrà provvedere con i propri mezzi, rinunciando ai servizi o aumentando le tasse.
Si sofferma infine sulla clausola di salvaguardia finanziaria, ricordando in proposito come il disegno di legge preveda di garantire la determinazione periodica del limite massimo della pressione fiscale, nonché del suo riparto tra i diversi livelli di governo, e di salvaguardare l'obiettivo di non produrre aumenti della pressione fiscale complessiva anche nel corso della fase transitoria, rilevando al riguardo come tale previsione costituisca un mero

Pag. 37

principio, giacché nel provvedimento non si indica quali siano i meccanismi che possano garantire tale obiettivo.
In tale contesto, al fine di mantenere fermo l'obiettivo del contenimento della pressione fiscale, ritiene necessario vigilare sull'eventuale aumento da parte delle amministrazioni comunali delle tariffe che non rientrano nella riserva di legge prevista dalla Costituzione, richiamando a tale riguardo le considerazioni svolte dall'ISAE nell'audizione dinanzi alle Commissioni riunite.
Rileva quindi come il disegno di legge riconosca alle regioni ed alle altre autonomie locali il solo ruolo di erogatori di servizi, e non di assuntori di decisioni importanti di politica economica, richiamando a tale proposito le considerazioni svolte dal rappresentante della Banca d'Italia nella sua audizione, il quale ha sottolineato come compito del federalismo fiscale dovrebbe essere invece quello di accrescere l'autonomia impositiva degli enti locali, compensata da una riduzione del carico fiscale statale, così da collegare decisioni di spesa e di prelievo.
Ritiene dunque che tali obiettivi rimangono solo un auspicio, contraddetto dalle decisioni del Governo, che ha finora colpito il sistema delle autonomie, prima con la mancata copertura degli oneri per i comuni derivanti dall'abrogazione dell'ICI sulla prima casa, poi con la gestione del fondo per le aree sottoutilizzate e, quindi, con la riforma del patto di stabilità interno.

Antonio PEPE (PdL), relatore per la VI Commissione, ringrazia i numerosi deputati intervenuti per la ricchezza dei contributi forniti al dibattito, il quale si è opportunamente incentrato sulle tematiche principali dell'intervento legislativo.
In tale contesto ritiene opportuno dedicare particolare attenzione al quadro istituzionale nel quale si inserirà la riforma, con riferimento specifico al codice delle autonomie, nonché in merito all'assetto dei rapporti finanziari tra lo Stato e gli enti territoriali, come definito dal Patto di stabilità interno.
Con riguardo alle questioni concernenti la realizzazione del nuovo sistema tributario federalista, condivide l'esigenza di approfondire adeguatamente le problematiche afferenti all'introduzione di riserve di aliquota IRPEF in favore delle regioni e degli enti locali, nonché quelle relative alla determinazione dei costi standard ed al conseguente superamento del criterio della spesa storica, che costituiscono evidentemente snodi essenziali del disegno di legge.
Un ulteriore aspetto di particolare rilievo, specialmente per le regioni meridionali, riguarda il sistema di perequazione infrastrutturale previsto dall'articolo 21, il quale dovrà essere definito in termini tali da sostenere anche le opportunità di sviluppo delle aree più deboli del Paese.
Con riferimento alle preoccupazioni, espressa da alcuni deputati, circa l'utilizzo dello strumento della delega legislativa, rileva come la complessità e tecnicità dei temi sottesi all'intervento di riforma renda indispensabile utilizzare il meccanismo della delega, come dimostra del resto la storia di tutti i più importanti interventi di riforma intervenuti in campo tributario e finanziario negli ultimi trent'anni, e non corrisponda certo ad una pretesa volontà dell'Esecutivo di svilire il ruolo del Parlamento, espropriandolo della capacità di incidere su tali questioni.
Ritiene, quindi, fondamentale evidenziare nei confronti dell'opinione pubblica come il disegno di legge non costituisca in alcun modo uno strumento per colpire determinate aree del Paese, ma intenda invece essere uno strumento a disposizione di tutti i cittadini, di tutte le categorie produttive e di tutti i livelli di governo, per giungere a quella che il deputato Duilio ha definito come una «statualità più adulta», che valorizzi, come ricordato dai colleghi Leo e Pugliese, le autonomie sociali e territoriali, elimini le sacche di inefficienza e di parassitismo, incrementi il livello di responsabilizzazione delle classi dirigenti, favorisca una maggiore partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, liberi nuove risorse, e consenta al Paese di riprendere il percorso della crescita sociale, culturale ed economica.

Pag. 38

Si riserva comunque di intervenire più diffusamente in occasione dell'esame degli emendamenti che saranno presentati, assicurando fin d'ora la massima disponibilità a valutare con attenzione tutte le proposte emendative.

Il ministro Roberto CALDEROLI, riservandosi anch'egli di intervenire ulteriormente nel successivo corso dell'esame, dichiara fin d'ora la disponibilità del Governo ad esaminare con attenzione ogni proposta di modifica che sarà presentata, purché sostenuta da coerenza ed onestà intellettuale.
Rileva quindi come la riforma federalista dovrà certamente confrontarsi, in termini realistici, con le conseguenze negative derivanti dalla crisi economica, evidenziando, peraltro, come tali conseguenze potrebbero risultare ancora peggiori qualora non si riuscisse a realizzare quell'obiettivo di maggiore responsabilizzazione nella gestione delle risorse pubbliche che costituisce uno dei punti essenziali del disegno di legge.
Sul piano più strettamente istituzionale evidenzia come il provvedimento non si ponga in contraddizione con gli ulteriori interventi di riforma della seconda parte della Costituzione, ma serva invece a colmare, in attesa di tale ulteriore passaggio, le lacune che sussistono in materia, al fine di scongiurare ulteriori riduzioni delle risorse disponibili per gli enti territoriali, nonché per garantire un indispensabile coordinamento della finanza pubblica. Pertanto, la riforma federalista procederà in parallelo con la redazione del codice delle autonomie, sul quale i lavori sono in corso, in attesa che la rappresentanza dei comuni torni a partecipare ai lavori della Conferenza Stato-Regioni ed autonomie locali, nonché con il disegno di legge di riforma costituzionale, che sarà presentato al Consiglio dei ministri non appena sarà stato approvato il disegno di legge in esame.
Per quanto riguarda i rilievi concernenti l'utilizzo dello strumento della delega legislativa, ricorda che tutte le grandi riforme intervenute negli ultimi decenni sono state realizzate attraverso tale meccanismo, evidenziando inoltre come il disegno di legge stabilisca una serie di principi e criteri direttivi molto più precisi e dettagliati di quanto avvenuto in passato, ferma restando comunque la possibilità di giungere ad una migliore specificazione di tali aspetti.
Per ciò che attiene alle tematiche concernenti il ridisegno del sistema tributario, ricorda come la scelta di ricorrere ampiamente all'IRPEF per alimentare le entrate degli enti territoriali sia stata effettuata in consonanza con le stesse autonomie locali, anche in considerazione dell'assenza, nell'attuale panorama tributario, di tributi che possono essere attribuiti specificamente ai singoli livelli di governo. Occorre peraltro avere il coraggio di compiere su questo piano ulteriori passi in avanti, tenendo conto del fatto che il gettito dell'IRPEF appare molto poco omogeneo a livello territoriale, e che sarà quindi necessario fare ricorso ad un paniere d'imposte, dal momento che l'unica entrata effettivamente omogenea sul territorio è quella del Lotto, la quale non può, peraltro, assicurare un gettito sufficiente per il finanziamento degli enti territoriali.
In tale contesto un'ulteriore ipotesi da tenere in considerazione potrebbe essere quella di ricorrere, per il finanziamento degli enti territoriali, all'IVA, il cui gettito mostra una distribuzione sul territorio piuttosto perequata, tenuto anche conto del fatto che un maggiore coinvolgimento degli enti locali nella riscossione di tale tributo potrebbe intensificare la lotta all'evasione, che raggiunge in questo settore livelli elevatissimi.
Su un piano più in generale, sottolinea come il disegno di legge non intenda in alcun modo danneggiare le aree più deboli del Paese, anche in quanto eventuali squilibri che interessassero una parte del sistema metterebbero in discussione la tenuta complessiva del sistema stesso.
In tale contesto rileva come quanti paventano che l'attuazione del nuovo meccanismo perequativo possa comportare una riduzione dei servizi sociali erogati nelle regioni del Mezzogiorno, dovrebbero

Pag. 39

realisticamente considerare che attualmente, in molti casi, tali servizi non sono effettivamente erogati in quelle aree del Paese, e che dunque il federalismo rappresenta lo strumento per superare tale condizione inaccettabile.
Rileva altresì, nella medesima prospettiva, come la riforma federale costituisca l'occasione per giungere ad un più efficace coordinamento della finanza pubblica e ad una reale omogeneizzazione dei bilanci dei diversi enti territoriali, superando anche sotto questo profilo i gravi limiti del sistema attuale.

Gaspare GIUDICE, presidente, essendo esaurite le richieste di intervento, dichiara concluso l'esame preliminare.
Avverte quindi, anche ai fini della predisposizione delle proposte emendative, che il testo base per il prosieguo dell'esame è il disegno di legge C. 2105, il quale è collegato alla manovra di finanza pubblica.
Ricorda inoltre che gli Uffici di presidenza, integrati dai rappresentanti dei gruppi, delle Commissioni riunite hanno già convenuto di fissare il termine per la presentazione degli emendamenti nella giornata di mercoledì 4 marzo 2009: sulla scorta dell'avviso espresso in merito dai Presidenti delle Commissioni riunite, propone quindi, concordi le Commissioni, di stabilire tale termine alle ore 12 del 4 marzo prossimo.
Avverte altresì che le sedute delle Commissioni riunite già previste al termine delle votazioni pomeridiane dell'Assemblea di oggi, nonché nella giornata di domani, non avranno luogo.

Nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 12.40.