CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 27 luglio 2011
518.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Giustizia (II)
ALLEGATO
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ALLEGATO 1

Schema di decreto legislativo recante disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione. Atto n. 376.

PARERE APPROVATO

La Commissione giustizia,
esaminato lo schema di decreto legislativo in oggetto,
visti i principi e criteri di delega di cui all'articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69,
rilevato che:
il provvedimento in esame merita apprezzamento, costituendo il primo rilevante intervento volto a semplificare la moltitudine di riti processuali in materia civile;
l'articolo 54, comma 4, lettera c) della citata legge n. 69 del 2009, prevede, tra i principi di delega, la necessità di conservare le «disposizioni previste dalla legislazione speciale [...] finalizzate a produrre effetti che non possono conseguirsi con le norme contenute nel codice di procedura civile»; tale disposizione costituisce una direttiva suscettibile di una duplice lettura;
il legislatore delegato ha interpretato il criterio direttivo nel senso che debba essere mantenuta ogni disposizione processuale speciale, essendo questa per definizione destinata a produrre un effetto (processuale) non conseguibile con la normativa ordinaria; in tal modo lo schema di decreto legislativo conserva, nelle singole disposizioni, tutte le peculiarità processuali presenti nelle norme originarie; seguendo questa prima interpretazione, inevitabilmente si conservano tutte le peculiarità processuali, ma si percorre una strada che affievolisce l'impatto del provvedimento sulla riduzione e semplificazione dei riti;
esiste, tuttavia una diversa possibile interpretazione, che questa Commissione ritiene preferibile, secondo la quale devono essere salvaguardate soltanto «le norme processuali che prevedono delle tutele sostanziali speciali»; rivisitando lo schema di decreto legislativo alla luce di questa seconda interpretazione, si conserverebbero soltanto le disposizioni particolari che prevedono specifiche tutele sostanziali e, quindi, si potrebbe attribuire al provvedimento una maggiore capacità di impatto sotto il profilo della unificazione delle discipline processuali e, conseguentemente, un maggiore effetto di semplificazione;
la ricognizione delle disposizioni che «non prevedono effetti sostanziali speciali» può cominciare, ad esempio, delle disposizioni relative ai termini processuali: si pensi, in particolare, ai termini per l'opposizione alle sanzioni amministrative che lo schema non unifica (articolo 5, comma 6, e articolo 6, comma 3), ripetendo esattamente le previsioni originarie; ovvero ai termini di cui agli articoli 9, comma 3, 15, comma 3, 16, comma 3 e 17, comma 3; in funzione dell'obiettivo, enunciato nella relazione che accompagna lo schema di decreto delegato, di «razionalizzare e semplificare la normativa processuale presente nella legislazione speciale», anche questi termini possono essere unificati;

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lo schema di decreto non prevede, inoltre, una disciplina uniforme della sospensione dell'atto impugnato; tale operazione non appare inibita dal criterio di delega sopra illustrato, giacché non entrano in gioco norme processuali che prevedono delle «tutele sostanziali speciali»: così interpretando il principio direttivo sarebbe quindi possibile unificare anche i termini per l'impugnazione e quelli del procedimento di inibitoria;
in sostanza, il criterio di cui all'articolo 54, comma 4, lettera c) della legge di delega, ove interpretato nel senso che si debbano conservare le sole disposizioni processuali che prevedono tutele sostanziali speciali, rende doveroso, quali obiettivi minimi della semplificazione, ricondurre ad unità i termini per proporre i ricorsi introduttivi nonché i termini per l'impugnazione e quelli del procedimento di inibitoria, sempre che, naturalmente, specifiche esigenze non richiedano la previsione di termini differenziati;
appare anche opportuno prevedere, in ogni caso di inibitoria, la possibilità che l'efficacia del provvedimento impugnato venga sospesa con decreto, salva eventuale conferma, modifica o revoca in contraddittorio;
il legislatore delegato, peraltro, sempre facendo salve le tutele sostanziali speciali, sembra potere andare ben oltre l'obiettivo minimo sopra indicato; a titolo meramente esemplificativo, potrebbe valutare l'opportunità di unificare o, quantomeno, di armonizzare le procedure in materia di espulsioni, protezione internazionale e trattamenti sanitari obbligatori (articoli 16, 17 e 18); analoghe considerazioni valgono per la materia elettorale (articoli 19, 20 e 21),
osservato che:
fra i procedimenti regolati dal rito sommario di cognizione ve ne sono taluni che contemplano un provvedimento non impugnabile (articoli 12, 13 e 16);
il criterio di delega di cui all'articolo 54, lettera c), tuttavia, prevede l'estensione del «procedimento sommario di cognizione di cui al libro quarto, titolo I, capo III-bis, del codice di procedura civile [...], restando tuttavia esclusa per tali procedimenti la possibilità di conversione nel rito ordinario»; non sembra consentita quindi alcuna variazione rispetto al modello codicistico, esclusa la possibilità di conversione nel rito ordinario, con la conseguenza che il procedimento previsto dagli articoli 702-bis e seguenti del codice di procedura civile deve essere applicato integralmente, anche con riferimento al peculiare sistema di appello previsto dall'articolo 702-quater; ciò appare tanto più vero se si considera che l'articolo 3 dello schema di decreto, nel dettare «disposizioni comuni ai procedimenti disciplinati dal rito sommario di cognizione», prevede che non trovino applicazione unicamente i commi 2 e 3 dell'articolo 702-ter c.p.c.;
ne deriva che l'articolo 702-quater, dettato per l'appello, dovrebbe trovare applicazione in tutti i procedimenti ricondotti al rito sommario di cognizione, laddove consentito dalle regole in tema di competenza, dovendosi fare eccezione solamente nei casi in cui le disposizioni attualmente in vigore già prevedano la competenza in unico grado; d'altra parte, se si accede all'interpretazione dei principi di delega secondo la quale devono essere salvaguardate solo le norme processuali che prevedono delle tutele sostanziali speciali, appare evidente come la non impugnabilità del provvedimento finale non rientri tra le disposizioni volte a prevedere una tutela sostanziale speciale;
tale conclusione si configura come il giusto punto di equilibrio tra l'esigenza di un maggiore garantismo e la contrapposta esigenza di semplificazione delle forme, tenuto conto del fatto che, come chiarisce la relazione del provvedimento in esame, il procedimento sommario di cognizione si caratterizza per la natura piena della cognizione anche in primo grado, non potendosi desumere dalla mera semplificazione delle forme la conseguenza della sommarietà della cognizione;

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ritenuto che:
la legge delega stabilisce che i procedimenti in cui siano prevalenti «caratteri di concentrazione processuale, ovvero di officiosità dell'istruzione» debbano essere ricondotti al rito del lavoro; quelli in cui siano prevalenti «caratteri di semplificazione della trattazione o dell'istruzione della causa» debbano essere ricondotti al procedimento sommario di cognizione; gli altri procedimenti, nei quali non emergano questi caratteri prevalenti, devono essere ricondotti al rito ordinario (articolo 54, comma 4, lettera b) della legge di delega);
non appare peraltro chiara la ragione che ha determinato il legislatore delegato a ricondurre taluni procedimenti ad uno piuttosto che ad un altro modello processuale; ad esempio, non è chiaro per quale ragione siano stati ricondotti al modello del rito del lavoro (invece che a quello del rito ordinario) i procedimenti in materia di applicazione delle disposizioni del codice in materia di protezione dei dati personali o quelli di opposizione a sanzione amministrativa e di opposizione al verbale di accertamento di violazione del codice della strada; analogo discorso vale per gli articoli 5 e 6, relativi rispettivamente alle controversie in materia di opposizione alle sanzioni amministrative e all'opposizione al verbale di accertamento della violazione del codice della strada, destando perplessità la presenza dei prevalenti caratteri dell'officiosità dell'istruzione o della concentrazione processuale;
quanto ai procedimenti regolati dal rito sommario di cognizione, potrebbe sembrare che il legislatore delegato abbia ritenuto la sussistenza del criterio della semplificazione della trattazione o dell'istruzione della causa tutte le volte in cui il procedimento speciale sia un procedimento camerale; tuttavia, le predette caratteristiche non sono legate tanto al modello processuale, quanto piuttosto alla natura della controversia;
desta quindi perplessità l'individuazione della prevalenza dei caratteri della «semplificazione della trattazione o dell'istruzione della causa» in una serie di ipotesi che, pure, lo schema di decreto legislativo annovera fra i procedimenti regolati dal procedimento sommario di cognizione: e così, ad esempio, nell'ipotesi dell'articolo 17, relativo all'impugnazione dei provvedimenti in materia di riconoscimento o revoca dello status di rifugiato; per le azioni popolari previste dall'articolo 19 in materia di eleggibilità, decadenza ed incompatibilità nelle elezioni comunali, provinciali e regionali e dall'articolo 20 in materia di eleggibilità e incompatibilità nelle elezioni per il Parlamento europeo; per l'impugnazione dei provvedimenti disciplinari a carico di notai o dei giornalisti, prevista rispettivamente dagli articoli 23 e 24 dello schema o, ancora, per i procedimenti in materia di discriminazione di cui all'articolo 25;
ancora, l'articolo 12 dello schema di decreto legislativo, che sostituisce l'articolo 29 della legge n. 794 del 1942 in materia di liquidazione degli onorari degli avvocati per prestazioni giudiziarie, riconduce anche tale procedimento al rito sommario di cognizione; tuttavia, questo procedimento veloce e semplificato si segue, secondo il tradizionale orientamento della giurisprudenza e della dottrina, solo quando oggetto della causa sia la mera determinazione degli onorari degli avvocati in base all'applicazione delle tariffe, e cioè quando effettivamente la particolare natura della controversia richieda una trattazione ed un'istruzione semplificata; il medesimo procedimento, invece, non può essere seguito quando la controversia riguardi la stessa prestazione professionale, ovvero i presupposti stessi del diritto al compenso o i limiti del mandato o la sussistenza di cause estintive o limitative della pretesa;
relativamente alle cause di opposizione alla stima di cui all'articolo 54 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 327, parrebbe più coerente con la natura istruttoria del relativo procedimento la riconduzione al rito sommario in luogo di quello ordinario;

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parimenti, per le controversie aventi ad oggetto l'attuazione di sentenze e provvedimenti stranieri di giurisdizione volontaria di cui all'articolo 67 della legge n. 218 del 1995, parrebbe più adeguata la riconduzione al rito sommario di cognizione, poiché la trattazione con il rito ordinario ha dei tempi che non tengono conto della rilevanza internazionale di queste cause e sono comparativamente molto più lunghi di quelli generalmente necessari per ottenere una pronuncia negli altri paesi;
lo schema dovrebbe anche tenere conto di quale sia la tipologia di giudice al quale debba essere assegnata ogni singola categoria di controversie, per verificare se sia corretto assegnare a quel giudice un dato modello processuale;
sotto questo profilo, emerge una criticità che riguarda il giudice di pace; varie norme impiegano infatti il modello del lavoro o il modello sommario per controversie di competenza del giudice di pace (articoli 5, 6, 7, 11. 16); tuttavia nel sistema del codice, il giudice di pace si limita ad applicare il modello ordinario, per di più in una forma semplificata; sarebbe quindi preferibile che i procedimenti in cui sussiste la competenza del giudice di pace fossero trattati con il rito ordinario,
rilevato infine che:
l'articolo 4 disciplina il mutamento del rito; il comma 2, tuttavia, richiede ulteriori approfondimenti perché sembra escludere il potere del giudice di mutare il rito oltre la prima udienza, sebbene la relativa eccezione sia stata formulata tempestivamente in limine litis; quel che va fatto alla prima udienza è la proposizione dell'eccezione relativa al rito prescelto, mentre l'ordinanza potrà ben essere pronunciata in seguito, non potendosi il relativo potere certo precludersi alla prima udienza; il comma 3, invece, non chiarisce se, nel processo riassunto, restino ferme o meno le preclusioni maturate nella fase svoltasi con il rito errato, secondo le regole di quel rito erroneamente applicato;
quanto ai procedimenti riconducibili al rito del lavoro, nelle disposizioni che regolano le opposizioni ad ordinanza ingiunzione (articolo 5) a sanzioni amministrative per violazioni del Codice della Strada (articolo 6) e per i provvedimenti in materia di protezione dei dati personali (articolo 9) lo schema di decreto delegato prevede un subprocedimento incidentale che, in caso di pericolo imminente di un danno grave e irreparabile, consente di pronunciare fuori udienza un decreto di sospensione, il quale diviene però inefficace se non confermato con ordinanza, entro la prima udienza successiva o, in ogni caso entro sessanta giorni dalla pronuncia del decreto; l'adozione della sospensiva mediante decreto vincola pertanto il giudice a fissare la prima udienza, ovvero comunque un'apposita udienza per la convocazione della controparte, entro sessanta giorni dalla pronuncia del decreto, a pena d'inefficacia del provvedimento adottato inaudita altera parte; questo sbarramento temporale, rimesso esclusivamente al potere d'impulso processuale del giudice rischia di disincentivare il magistrato dal rendere la sospensione inaudita altera parte; appare quindi preferibile una soluzione che svincoli l'efficacia del decreto di sospensione dal decorso termine perentorio di sessanta giorni, disponendo, peraltro, certamente alla prima udienza l'adozione della pronuncia di conferma, ed individuandosi perciò in tale successiva udienza il termine finale di efficacia del provvedimento inaudita altera parte;
nei procedimenti in materia di applicazione delle disposizioni del codice protezione dati personali, l'articolo 9, comma 7, riafferma che la sentenza che definisce il giudizio può prescrivere le misure necessarie; pure in deroga al divieto di cui all'articolo 4, legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E), anche in relazione all'eventuale atto del soggetto pubblico titolare o responsabile dei dati; va segnalato come, rispetto all'articolo 152, comma 12, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, nel decreto delegato manchi il richiamo alla possibilità esplicita

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per il giudice di disporre il risarcimento del danno, peraltro non eliminabile in un giudizio che abbia ad oggetto la tutela piena di diritti fondamentali;
relativamente alle controversie agrarie, l'articolo 11, comma 1, stabilisce che esse sono regolate dal rito del lavoro, secondo la disciplina descritta dall'articolo 2; ciò significa che a tali controversie non si applicano le disposizioni che l'articolo 2 dichiara espressamente inapplicabili, sulla base del rilievo che, come espressamente afferma la relazione di accompagnamento, sono tipiche del rito lavoro per le controversie di lavoro; in questo modo, però, il lavoratore agrario ha tutele differenti e minori rispetto agli altri lavoratori: ad esempio, non opera per lui il sistema della rivalutazione automatica dei crediti di cui all'articolo 429, comma 3; ciò che appare irragionevole e suscita dubbi di incostituzionalità;
l'articolo 33, comma 18, apporta delle modifiche agli articoli 13 e 14 della legge n. 286 del 1998, modificando il procedimento di convalida dei provvedimenti di accompagnamento coattivo alla frontiera e di trattenimento degli stranieri colpiti da provvedimento di espulsione presso i centri d'identificazione ed espulsione; si ritiene opportuno che la disposizione sia integrata sotto due profili: prevedendo, come stabilito dalla giurisprudenza di legittimità, l'attivazione del contraddittorio con l'audizione dell'interessato e la nomina del difensore, anche in sede di convalida della proroga del trattenimento (che può prolungarsi fino a sei mesi); estendendo l'applicazione dell'articolo 13, comma 5-bis, della citata legge n. 286 del 1998 anche ai provvedimenti assunti dal questore in esecuzione dei decreti di allontanamento emessi a carico dei cittadini dell'Unione Europea (articolo 20, comma 11, del decreto legislativo n. 30 del 2007), trattandosi, come affermato dalla Corte di cassazione, di una misura identica alla convalida dell'accompagnamento coattivo dei cittadini extraeuropei, ed essendone espressamente prevista la convalida da parte del Tribunale in composizione monocratica,
esprime

PARERE FAVOREVOLE

con le seguenti condizioni:
1) siano unificati i termini per proporre i ricorsi introduttivi dei procedimenti contemplati nonché i termini per l'impugnazione e quelli del procedimento di inibitoria, salvo che esigenze particolari non richiedano termini differenziati;
2) sia prevista la possibilità di appello ex articolo 704-quater del codice di procedura civile per tutti i procedimenti ricondotti al rito sommario di cognizione, dovendosi fare eccezione solamente nei casi in cui le disposizioni attualmente in vigore già prevedano la competenza in unico grado;
3) all'articolo 11, che regolamenta le controversie agrarie, siano assicurate al lavoratore agrario le medesime tutele previste per gli altri lavoratori, con specifico riferimento all'applicazione dell'articolo 429, terzo comma, c.p.c.;

e con le seguenti osservazioni:
a) valuti il Governo l'opportunità di prevedere, in ogni caso di inibitoria, la possibilità che l'efficacia del provvedimento impugnato venga sospesa con decreto, salva eventuale conferma, modifica o revoca in contraddittorio;
b) valuti il Governo l'opportunità di unificare o, quantomeno, di armonizzare le procedure nelle materie regolate dagli articoli 16, 17 e 18 nonché nella materia di cui agli articoli 19, 20 e 21;
c) valuti il Governo l'opportunità di prevedere che i procedimenti in cui sussiste la competenza del giudice di pace siano trattati con il rito ordinario;
d) valuti il Governo l'opportunità di ricondurre al rito sommario, in luogo di quello ordinario, le controversie in materia

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di opposizione alla stima di cui all'articolo 54 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 327, nonché le controversie aventi ad oggetto l'attuazione di sentenze e provvedimenti stranieri di giurisdizione volontaria di cui all'articolo 67 della legge n. 218 del 1995;
e) valuti il Governo l'opportunità di riformulare il comma 2 dell'articolo 4, in modo da chiarire che alla prima udienza debba essere proposta l'eccezione relativa al rito prescelto, mentre l'ordinanza potrà essere pronunciata in seguito;
f) valuti il Governo l'opportunità di riformulare il comma 3 dell'articolo 4, chiarendo se, nel processo riassunto, restino ferme le preclusioni maturate nella fase svoltasi con il rito errato, secondo le regole di quel rito erroneamente applicato;
g) valuti il Governo l'opportunità di riformulare gli articoli 5, comma 9, 6, comma 8 e 9, comma 5, sopprimendo l'inciso «e in ogni caso entro sessanta giorni dalla pronuncia del decreto»;
h) valuti il Governo l'opportunità di prevedere espressamente, all'articolo 9, comma 7, che il giudice possa disporre il risarcimento del danno;
i) valuti il Governo l'opportunità di prevedere espressamente, all'articolo 12, che lo speciale procedimento ivi previsto non può essere seguito quando la controversia riguardi i presupposti stessi del diritto al compenso o i limiti del mandato o la sussistenza di cause estintive o limitative della pretesa;
l) valuti il Governo l'opportunità di integrare l'articolo 33, comma 18, con la previsione dell'attivazione del contraddittorio con l'audizione dell'interessato e la nomina del difensore, anche in sede di convalida della proroga del trattenimento;
m) valuti il Governo l'opportunità di integrare l'articolo 33, comma 18, estendendo l'applicazione dell'articolo 13, comma 5-bis, della legge n. 286 del 1998 anche ai provvedimenti assunti dal questore in esecuzione dei decreti di allontanamento emessi a carico dei cittadini dell'Unione Europea.

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ALLEGATO 2

Schema di decreto legislativo recante disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione. Atto n. 376.

PROPOSTA ALTERNATIVA DI PARERE DELL'IDV

La Commissione giustizia,
esaminato lo schema di decreto legislativo in oggetto,
rilevato che:
il testo presentato costituisce una mera riproposizione di riti esistenti, senza alcuna capacità semplificativa ma, anzi, produce un effetto largamente di confusione da una parte, di grave complicazione interpretativa dall'altra;
considerato che ciò dipende in gran parte dalla confusione dello stesso testo di delega, già denunciata da Italia dei Valori in sede di approvazione della pdl contro la quale espresse voto contrario, ritenendola un'enfatizzazione sconveniente quale «riforma del processo civile di cui non aveva la dignità;
ritenuto, in particolare; che il testo presenta gravi lacune in molti aspetti, tra i quali la mancata unificazione dei termini per proporre i ricorsi introduttivi dei procedimenti contemplati nonché dei termini per l'impugnazione e del procedimento per inibitoria, la mancata tutela dei lavoratori agrari alla pari degli altri e la mancata previsione della possibilità di impugnazione avverso le pronunce nel procedimento ex articolo 704, (carenze già segnalate dal relatore, ma che rendono in approvabile il testo), l'assoluta mancanza di chiarezza tra tutela ordinaria, tutela sommaria e procedimenti camerali con riferimento alla proposizione delle domande, ai riti, al contraddittorio, ai gravami;
che queste ed altre gravi lacune (che sarebbe troppo lungo enumerare e che discendono dall'inadeguatezza della delega e dalla conseguente farraginosità della regolamentazione dei riti, di cui rimane una meta e scoordinata elencazione senza possibilità di ricostruzione della disciplina effettiva, nella confusione tra norme esistenti e disposizioni aggiunte col testo in esame), rendono non emendabile il testo, e quindi ne sconsigliano l'adozione;
per questi motivi,
esprime

PARERE CONTRARIO.

Palomba.

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ALLEGATO 3

Indagine conoscitiva sullo schema di decreto legislativo recante codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia (Atto n. 373).

DOCUMENTO DEPOSITATO DAL PROCURATORE NAZIONALE ANTIMAFIA IL 6 LUGLIO 2011

1 - Il codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione: la legge n. 136 del 2010.

L'articolo 1 della legge 136/10 prevede la delega ad adottare, un decreto legislativo recante il codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione (comma 1) realizzando (comma 2):
a) una completa ricognizione della normativa penale, processuale e amministrativa vigente in materia di contrasto della criminalità organizzata, ivi compresa quella già contenuta nei codici penale e di procedura penale;
b) l'armonizzazione della normativa;
c) il coordinamento della normativa con le ulteriori disposizioni della legge e con la normativa da adottare sulla base dei principi e criteri direttivi previsti dalla stessa legge;
d) l'adeguamento della normativa italiana alle disposizioni adottate dall'Unione europea.

Con specifico riferimento alla normativa in materia di misure di prevenzione, la delega prevede la ricognizione, l'armonizzazione della disciplina vigente, nonché l'aggiornamento e modifica secondo numerosi principi e criteri direttivi (comma 3).
Innanzitutto, un forte elemento di ambiguità è rappresentato proprio dalla denominazione della legge delega, etichettata come «codice» nonostante la presenza di molteplici elementi di affinità con la fattispecie del testo unico.
Il termine, sebbene utilizzabile secondo diverse accezioni, dovrebbe in linea di principio essere riferito sempre ad interventi normativi che segnino una rottura culturale o un'innovazione. Innovazione che nella normativa in esame non apparirebbe così evidente, dal momento che prevalente è più che altro l'intenzione di garantire una riorganizzazione formale della materia.

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2 - Lo schema di decreto legislativo: il metodo seguito nella redazione.

Il Governo ha demandato la redazione del testo del decreto agli Uffici del Ministero della Giustizia. Sono state convocate delle riunioni, cui hanno partecipato rappresentanti degli uffici legislativi dei ministeri interessati, dell'Agenzia nazionale dei beni confiscati, un magistrato della Dna e nell'ultima riunione, risalente al 26 gennaio 2011, anche i titolari delle principali Procure distrettuali antimafia, i quali non hanno potuto che prendere atto della scelta di redigere un codice parzialmente riepilogativo (sempre sul versante processuale e sostanziale) del materiale normativo vigente, senza modifiche innovative e senza abrogare le norme richiamate dalle normative sottoposte a ricognizione (ad es. articolo 416-bis c.p.). Non si conoscono eventuali suggerimenti e proposte, anche perché dopo di allora non è stata convocata più alcuna riunione. Il timore di una crisi politica e di elezioni anticipate aveva consigliato di accelerare i lavori preparatori, completamente avocati dai Ministeri competenti (Giustizia, Interno, Economia eccetera).
Nel corso delle riunioni l'ufficio che dirigo, a più riprese, ha ribadito di non avere alcun interesse a figurare, peraltro in maniera parziale ed incompleta, tra i «Soggetti» di un codice antimafia, in cui fosse mancata un'analitica indicazione di tutti gli organismi che operano nel settore antimafia (Commissione centrale di protezione, CASGO, Servizi centrali, Segnalazione operazioni sospette, etc.). Ma la posizione iniziale dei redattori non è cambiata.
Nella riunione del Consiglio dei Ministri del 9 giugno è stato approvato, diffuso e pubblicizzato uno schema di decreto costituito da 132 articoli.
Lo schema di decreto (composto di 131 articoli, con alcune modifiche al testo del 9 giugno) e i documenti di accompagnamento sono stati trasmessi alle Camere in data 15 giugno 2011; sono divenuti consultabili sui siti web della Camera e del Senato soltanto dal 21 giugno u.sc..

3 - L'esigenza e la difficoltà di un sistematico intervento legislativo per un'efficace azione di contrasto alle organizzazioni criminali ed i limiti di carattere generale dello schema di decreto in questione.

Nei trent'anni trascorsi dall'approvazione della legge Rognoni-La Torre (n. 646 del 1982) si registrano plurimi interventi legislativi, non di rado approssimativi e frettolosi (oltre che emergenziali), che hanno richiesto una costante attività della giurisprudenza diretta a colmare vuoti normativi e a tentare di rendere coerente il sistema.
Al fine di un'efficace azione di contrasto alle organizzazioni criminali nel rispetto delle garanzie, in effetti, non è più procrastinabile l'approvazione di un testo unico delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione (più volte proposto ma mai realizzato), diretto a rendere coerente la normativa in questo delicato settore in una prospettiva di risistemazione del diritto penale sostanziale e processuale

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nonché della pluralità degli interventi che hanno interessato il procedimento di prevenzione, che rappresenta una particolarità del sistema italiano nel panorama internazionale.
Il codice antimafia, insomma, dovrebbe, secondo l'intenzione di chi in questi anni l'ha proposto, completare, riorganizzare e potenziare la legislazione antimafia.
L'operazione di riordino e potenziamento della legislazione antimafia, come già anticipato, è stata resa difficile dalla complessità e disorganicità delle disposizioni vigenti presenti in vari testi, oltre che nel codice penale e nel codice di procedura penale, in leggi complementari e specificamente nel settore delle misure di prevenzione, che presenta anche nei testi vigenti veri e propri refusi legislativi, come ad esempio: l'articolo 2-ter, comma 13, legge 575/65 laddove parla di sentenza e non di decreto che dispone la confisca o l'articolo 104-bis disp. att. c.p.p. che parla di sequestro di società e non di quote sociali.
Proprio perciò, deve, in primo luogo, darsi atto dell'impegno profuso e dell'adeguatezza di molte soluzioni adottate nello schema di decreto nonostante alcuni limiti derivanti dalla delega.
Ma in un'ottica propositiva che tende a individuare le criticità e a offrire le soluzioni possibili, si possono preliminarmente individuare alcuni limiti di carattere generale, che si riflettono sull'intera opera realizzata.
Il primo limite emerge dalla scelta, non condivisa dal mio ufficio, di non procedere, nonostante la dizione della legge delega, alla stesura di un vero e proprio codice antimafia, esaustivo dell'intera materia penale (sostanziale e processuale), delle misure di prevenzione e delle varie leggi speciali. La mera verifica del contenuto complessivo del testo evidenzia la presenza di 10 articoli nel Libro I La criminalità organizzata di tipo mafioso, 80 articoli nel Libro II Le misure di prevenzione, 19 articoli nel Libro III, Nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, 12 articoli nel Libro IV su Procuratore nazionale antimafia NA, DIA e Agenzia Nazionale.
Un codice antimafia con 10 norme in materia penale (sostanziale e processuale) non può certo definirsi tale, sarebbe più rispondente alla realtà presentarlo, correttamente, come un codice delle misure di prevenzione e della documentazione antimafia.
Un secondo limite discende dal fatto che la relazione illustrativa non è così ampia ed esaustiva da consentire di comprendere talune scelte e, soprattutto, di attribuire un possibile significato:
ad alcuni rilevanti interventi, quale - ad esempio - l'introduzione di una nuova misura patrimoniale (amministrazione giudiziaria dei beni personali) non prevista dalla delega;
ad alcune omissioni, come in tema di videoconferenza ed esecuzione all'estero del sequestro in materia di prevenzione, assenza di abrogazioni e di norme transitorie idonee eccetera;
ad alcune scelte che sembrano in evidente eccesso di delega, quale l'entità delle garanzie patrimoniali dei creditori in buona fede (previsto nella legge delega nella misura del 70 per cento del valore dei beni sequestrati, al netto delle spese del procedimento, limite non richiamato nello schema).

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Un terzo limite deriva dall'evidente accelerazione finale dei lavori che non ha giovato alla completezza e precisione dello schema di decreto.
Prima le modifiche apportate al testo diffuso il 23 maggio, poi quelle inserite dopo il Consiglio dei ministri del 9 giugno (con riduzione degli articoli annunciati in precedenza e con numerose cancellature presenti sul documento trasmesso alle Camere (confronta articoli 119 e 120 presenti nel testo del 9 giugno e in quello del 15 giugno, ma qui cancellati, con modifica della numerazione successiva) evidenziano:
una relazione illustrativa che da un sommario esame sembra non completata (ad esempio a pagina 15 della relazione si legge un brano in cui era stato lasciato in bianco uno spazio poi non riempito nel testo licenziato: ... all'articolo 89: le disposizioni di cui agli articoli 25 e 26 della medesima legge 646/82 in tema di verifiche fiscali, economiche e patrimoniali a carico di soggetti condannati per associazione a delinquere di tipo mafioso o sottoposti a misure di prevenzione; in relazione a tali disposizioni è stato necessario precisare all'art . . . . che rimane vigente il disposto delle norme in questione per quanto riguarda le ulteriori fattispecie criminose).
mancato coordinamento tra le disposizioni introdotte, non aggiornate al testo modificato e trasmesso alle Camere (Ad esempio l'articolo 54 (Gestione dei beni confiscati) al comma 1 prevede 1. L'Agenzia gestisce i beni confiscati anche in via non definitiva ai sensi dell'articolo 20 della legge 23 dicembre 1993, n. 559 e, in quanto applicabile, dell'articolo 54, nonché sulla base..... Evidente il refuso in quanto il richiamo «in quanto applicabile all'articolo 54» (non potendo riferirsi a tale articolo, atteso che è inserito proprio nell'articolo 54) si vuole riferire all'articolo 50 (Gestione dei beni sequestrati); tale soluzione si desume dall'esame del testo trasmesso dalla Presidenza del consiglio il 23 maggio ove l'attuale articolo 54 corrispondeva all'articolo 60 (Gestione dei beni confiscati) che testualmente richiamava in quanto applicabile correttamente l'articolo 54 di quel testo);
ripetizioni (Articolo 18, u.c. 8): Il provvedimento è comunicato al procuratore della Repubblica, al procuratore generale presso la Corte di appello ed all'interessato, i quali hanno facoltà di proporre ricorso alla Corte d'appello, anche per il merito.
(Articolo 20, comma 1): 1. Il procuratore della Repubblica, il procuratore generale presso la Corte di appello e l'interessato hanno facoltà di proporre ricorso alla Corte d'appello, anche per il merito.)
norme incomplete (Articolo 131 (Entrata in vigore) 1. Le disposizioni dei Capi I, II, III e IV del Libro III entrano in vigore decorsi 24 mesi dalla data di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del regolamento ovvero, quando più di uno, dell'ultimo dei regolamenti di cui all'articolo 109, comma 1,
errori (ad esempio, all'articolo 64 dopo il comma 2 segue il comma 4).

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imprecisioni, che rischiano di compromettere i procedimenti in corso. Come, a titolo di esempio alcune disposizioni sull'Agenzia nazionale, di cui non sempre sembra siano chiare le competenze, a pagina 4 della relazione illustrativa, nel descrivere la portata dell'intervento del decreto-legge 4/10, convertito dalla legge 50/10, costitutivo dell'Agenzia nazionale, si legge: L'Agenzia sostituisce l'amministratore giudiziario nelle procedure di prevenzione patrimoniali e nei procedimenti penali in relazione ai quali è possibile applicare la confisca ai sensi dell'articolo 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, anche se solo dopo l'emanazione del provvedimento di primo grado. Nella fase precedente l'Agenzia avrà il compito di coadiuvare l'autorità giudiziaria e l'amministratore giudiziario nella gestione dei predetti beni.
L'Agenzia avrà pertanto l'incarico di amministrare e custodire tutti i predetti beni, incluse le aziende, dalla pronuncia di primo grado fino alla confisca definitiva.
Evidente il refuso, atteso che, sulla base del testo citato (decreto-legge 92/10, convertito dalla legge 50/10) l'Agenzia nazionale interviene:
a) nel corso dei procedimenti penali per i delitti di cui all'articolo 51, comma 3-bis, c.p.p., anche nel caso di applicazione dell'articolo 12-sexies del decreto-legge 306/92, convertito dalla L 356/92, dopo la conclusione dell'udienza preliminare.
b) nel corso del procedimento di prevenzione dopo la confisca definitiva.

Pertanto:
da un lato rientrano nella competenza dell'Agenzia solo parte dei beni sequestrati ai sensi dell'articolo 12-sexies;
dall'altro vi rientrano anche i beni sequestrati in un procedimento relativo ai medesimi delitti di cui all'articolo 51, comma 3-bis, c.p.p., ma ai sensi di disposizioni diverse dall'articolo 12-sexies.
omissioni, che si riflettono sulla natura e l'efficacia dei procedimenti. Solo a titolo di esempio si possono sottolineare alcune gravi dimenticanze in tema di procedimento di prevenzione, come la mancanza di norme di rinvio con riferimento alla competenza del Tribunale.

Un quarto grave limite è rappresentato dal tempo disponibile per modificare il testo.
Reso il parere dalle commissioni competenti delle Camere, da formulare entro il 15 agosto, il decreto (con le eventuali correzioni) deve essere approvato dal Consiglio dei ministri e trasmesso alla Presidenza della Repubblica entro il 18 agosto, 20 giorni prima della scadenza per l'emanazione (7 settembre).
Se le commissioni parlamentari utilizzeranno tutto il tempo loro disponibile (decorso il quale, comunque, si può deliberare) al Governo rimarranno solo 2 giorni per eventualmente recepire le modifiche proposte.

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Comunque, pur in presenza dei limiti evidenziati e delle concrete difficoltà esistenti occorre concentrare gli sforzi per approvare un testo che consenta di conseguire nella più ampia misura possibile le finalità della legge delega.
In ogni caso è necessaria una grande attenzione per evitare di adottare soluzioni che potrebbero incidere negativamente sull'operatività degli strumenti di contrasto alle organizzazioni di stampo mafioso oggi utilizzati, potendo risultare tardivi gli interventi correttivi che il Governo potrà emanare nei tre anni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo (Articolo 1, comma 5, legge 136/10).

4 - Il Libro I: La criminalità organizzata di tipo mafioso (articoli da 1 a 10)

Il Libro I, La criminalità organizzata di tipo mafioso (articoli da 1 a 10), contiene i tre reati tipici delle organizzazioni mafiose (associazioni per delinquere di tipo mafioso, anche straniere; scambio elettorale politico-mafioso; assistenza agli associati), le aggravanti e diminuenti di mafia; le misure di sicurezza e la confisca obbligatoria (sia degli strumenti e dei proventi dei reati mafiosi, sia dei beni di cui il mafioso non può giustificare la provenienza). Raccoglie, inoltre, le disposizioni prima contenute nelle leggi speciali (decreto-legge 306/92 e legge 55/90) sulle attività che la polizia giudiziaria svolge per la repressione dei reati di mafia (intercettazioni preventive, controlli, ispezioni e perquisizioni).

4.1 - L'assenza di principi e criteri direttivi in materia penale.

Nella relazione del Governo al disegno di legge si esplicitava l'esigenza di riordinare, razionalizzare e integrare l'intera disciplina vigente in materia di normativa antimafia.... la redazione di un testo unico, che dovrebbe...... esaurire in sé tutta la disciplina della materia (al fine di) riordinare e innovare la normativa antimafia, ivi compresa quella già contenuta all'interno del codice penale e del codice di procedura penale.... frutto di una copiosa e frammentaria produzione legislativa, stratificatasi nel corso degli anni in numerosi provvedimenti. .. (e al fine di) introdurre nuove disposizioni che consentano di rafforzare e rendere ancora più incisiva l'azione di contrasto della criminalità organizzata.
Nel corso della (breve) discussione parlamentare si era evidenziato che, diversamente dai propositi contenuti nella relazione, dal testo del disegno di legge emergeva una diversa linea di intervento tra procedimento penale e di prevenzione, non essendo previsti principi e criteri direttivi nella materia penale.
Residua solo un potere di armonizzazione delle disposizioni della legislazione italiana a quelle dell'Unione Europea.
L'impostazione della legge delega non è stata modificata nel corso della brevissima discussione parlamentare, prevedendo oggi la legge 136/10 l'attività di ricognizione, armonizzazione e coordinamento sia per il procedimento di prevenzione che per quello penale (articolo 1,

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comma 2), laddove i principi e criteri direttivi relativi alle modifiche da introdurre sono riferiti esclusivamente alla disciplina delle misure di prevenzione (articolo 1, comma 3).
Per tradurre in pratica l'obiettivo esplicitato nella relazione al disegno di legge, di redigere un testo unico contenente l'intera normativa di contrasto alle mafie, sarebbe stato necessario precisare principi e criteri direttivi anche per la normativa penale antimafia (si pensi, ad esempio, alla necessità di coordinare in modo innovativo la materia dei sequestri di prevenzione e penale).
Il limite della legge delega si è tradotto con evidenza nella stesura del Libro I che contiene poche norme penali (sostanziali e di procedura) provenienti in parte dal codice penale e in parte da leggi speciali.
La scelta è illustrata nella relazione: il Libro I contiene soltanto le norme essenziali alla disciplina del fenomeno criminoso di tipo mafioso, sia perciò che concerne il diritto sostanziale che per quanto riguarda la normativa processuale......, con esclusione di tutte quelle disposizioni ritenute compiutamente e inscindibilmente integrate nel tessuto normativo preesistente, onde evitare di alterare eccessivamente la vigente sistematica codicistica e di creare problemi e difficoltà nell'interpretazione delle norme (Relazione illustrativa allo schema di decreto, pagina 1)
La soluzione adottata, come si vedrà nell'esame delle disposizioni, comporta notevoli problemi interpretativi per le norme sostanziali, estrapolate dal contesto codicistico di riferimento, e per le norme relative alle misure patrimoniali penali (sequestro e confisca) contenute in plurime disposizioni (articoli 7 e 8 del codice, articolo 12-sexies decreto-legge 306/92 convertito in legge 356/92).
Va sottolineato che nello schema di decreto non si è ritenuto procedere all'adeguamento della legislazione penale alle disposizioni adottate dall'Unione europea.
Le disposizioni del Libro I dovrebbero limitarsi, secondo l'obiettivo esplicitato nella relazione illustrativa, a riprodurre alcune disposizioni vigenti in materia di normativa penale antimafia.
La scelta fa sorgere subito delle perplessità.
Solo un'opera una ricognizione esaustiva consente di coordinare le disposizioni creando un corpus unico coerente, tendenzialmente in grado di risolvere tutte le problematiche evitando problemi interpretativi.
Quando, invece, si estrapolano alcune norme da una legge organica o dal codice ovvero si frammentano disposizioni vigenti possono prodursi effetti non facilmente prevedibili.
I primi quattro articoli I delitti di criminalità organizzata di tipo mafioso riproducono:
l'articolo 1, la fattispecie di associazione per delinquere di tipo mafioso (articolo 416-bis c.p., ad eccezione del comma 7 che viene inserito nell'articolo 7 del codice),
l'articolo 2, il delitto di scambio elettorale politico-mafioso (articolo 416-ter c.p.),
l'articolo 3, l'applicazione delle misure di sicurezza (articolo 417 c.p.),

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l'articolo 4, il delitto di assistenza alla criminalità organizzata (articolo 418 c.p.).

L'articolo 2 (scambio elettorale politico-mafioso), pur riproducendo la fattispecie vigente (articolo 416-ter), prevede l'applicabilità della pena stabilita all'articolo 1, comma 2, per i promotori dell'associazione (reclusione da 9 a 14 anni), laddove l'articolo 416-ter richiama la pena stabilita dall'articolo 416 comma 1, corrispondente all'articolo 1 comma 1 del codice (reclusione da 7 a 12 anni).
In evidente violazione di delega, dunque, si prevede una pena maggiore per il reato di scambio elettorale politico mafioso.
Sono riprodotte le circostanze aggravanti e attenuanti per i reati connessi ad attività mafiose:
l'articolo 5, procede la ricognizione delle aggravanti di mafia (articolo 7, decreto-legge 152/91 convertito in legge 203/91; articolo 7, comma 4, decreto-legge 419/91 convertito in legge 172/92 relativamente al solo articolo 416-bis c.p),
l'articolo 6, ripercorre le diminuenti di mafia (articolo 8 decreto-legge 152/91 convertito in legge 203/91).

Si disciplina la Confisca con l'articolo 7, che riproduce la confisca obbligatoria per i condannati di fattispecie mafiosa (articolo 416-bis, comma 7) e all'articolo 8 (che si esaminerà a breve) ipotesi particolari di confisca.
Infine, Le indagini per i delitti di criminalità organizzata di tipo mafioso, al di là della definizione, si limitano a ripercorrere solo due norme vigenti:
l'articolo 9, riproduce la disciplina delle intercettazioni preventive di cui all'articolo 25-ter del decreto-legge 306/92 convertito in legge 356/92.
l'articolo 10, estrapola la normativa speciale in tema di controlli, ispezioni e perquisizioni di cui all'articolo 27, commi 1 e 2, della legge 55/90 con riferimento all'articolo 416-bis e alle aggravanti di mafia. Di conseguenza l'articolo 127 del codice modifica il citato articolo 27 legge 55/10.

4.2 - L'articolo 8: Ipotesi particolari di confisca. Gli effetti negativi.

L'articolo 8 (di cui vi è solo un fugace richiamo nella relazione) ripercorre testualmente la confisca prevista dall'articolo 12-sexies del decreto-legge 306/92, convertito in legge 356/92 e dunque il relativo sequestro (preventivo ex articolo 321, comma 2, c.p.p, evidentemente riferibile anche all'articolo 8).
Con un'originale tecnica legislativa si estrapolano dal testo dell'articolo 12-sexies legge 356/92 l'articolo 416-bis (previsto al primo comma) e l'aggravante dell'articolo 7 legge 152/91 convertito in 203/91 (testualmente riprodotta nel comma due) - disposizioni oggi riprodotte

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rispettivamente negli articoli 1 e 5 del codice - e si formula un'ulteriore ipotesi particolare di confisca ripercorrendo testualmente i presupposti del citato art 12-sexies legge 356/92.
Contestualmente si operano gli opportuni coordinamenti con gli articoli 120 (in tema di competenza dell'Agenzia nazionale) e 125 del codice (eliminazione di ogni riferimento all'articolo 416-bis c.p. e all'aggravante di mafia nei commi 1 e 2 dell'articolo 12-sexies legge 356/92).
Emergono, ancora una volta, il limite dell'intervento della legge delega e la scelta operata nello schema di decreto. Solo una contestuale rivisitazione di tutti gli strumenti penali di aggressione ai patrimoni delle mafie (unitamente agli istituti patrimoniali di prevenzione) avrebbe consentito di evitare possibili effetti negativi in una materia estremamente delicata.
L'opera di ricognizione, coordinamento e armonizzazione, deve produrre effetti positivi e non creare problemi interpretativi che possono sorgere proprio dalla scelta di estrapolare fattispecie, con ulteriore frammentazione delle misure patrimoniali antimafia, con una scelta che contrasta con la direzione di semplificazione e unificazione (della parte relativa all'amministrazione) seguita in questi anni, da ultimo con la legge 94/09 che opportunamente estendeva le disposizioni in tema di amministrazione e destinazione dei beni sequestrati in sede di prevenzione al corrispondente sequestro penale ex articolo 12-sexies legge 356/92.
L'intervento del codice sembra ignorare che nel sistema delle misure patrimoniali antimafia il carattere unificante è oggi costituito dall'oggetto, rappresentato dai beni sottratti alla criminalità organizzata.
È attribuita, infatti, all'Agenzia nazionale una specifica competenza (secondo le diverse modalità di intervento previste in base allo stato di avanzamento del procedimento, di prevenzione e penale) rispetto ai beni sequestrati e confiscati:
a) nel corso del procedimento di prevenzione;
b) nel corso dei procedimenti penali per i delitti di cui all'articolo 51, comma 3-bis, c.p.p., anche nel caso di applicazione dell'articolo 12-sexies del decreto-legge 306/92, convertito dalla legge 356/92. Vale a dire:
1) ai sensi dell'articolo 12-sexies legge 356/92, per delitti elencati in tale norma e previsti anche dall'articolo 51 comma 3-bis c.p.p.: Articoli 416-bis c.p., 416 c.p., sesto comma, c.p., realizzato allo scopo di commettere delitti previsti dagli articoli 473 e 474 c.p., 600 c.p, 601, c.p., 602 c.p., 630 c.p., delitti previsti dall'articolo 74 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo (vale a dire aggravati ai sensi dell'articolo 7 della legge 203 del 1991).
L'articolo 12-sexies legge 356/92 elenca, peraltro, anche numerosi delitti non compresi nell'articolo 51 comma 3-bis cpp, per i quali i relativi sequestri non sono riferibili alla criminalità organizzata e non interviene l'Agenzia nazionale.

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2) ai sensi dell'articolo 321 c.p.p., anche per delitti compresi nell'articolo 51 comma 3-bis c.p. ma non inclusi nell'articoli 12-sexies legge 356/92. Non è consentito, infatti, il sequestro ex articolo 12-sexies legge 356/92 per due delitti previsti dall'articolo 51 comma 3-bis c.p.p: articolo 291-quater decreto del Presidente della Repubblica 43/73 (Associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri) e articolo 260 D.lvo 152/06 (Traffico illecito di rifiuti).

Lo schema di decreto invece di lasciare inalterato il quadro normativo (complesso e articolato, per quanto si vedrà oltre) opera una ulteriore frammentazione che, pur se la formula dell'articolo 8 ripercorre testualmente l'articolo 12-sexies legge 347/92, rischia di creare seri problemi interpretativi.
Una prima questione si pone con riferimento all'individuazione delle norme in materia di amministrazione e gestione dei beni, nulla essendo previsto per (il sequestro e) la confisca ex articolo 8, a differenza dell'articolo 12-sexies legge 356/92 che, al comma 4-bis (introdotto dalla legge 94/09), richiama le disposizioni della legge 575/65. Sul punto, d'altra parte, diverse sono le conclusioni nell'esaminare i delitti richiamati dall'8: a) delitto di associazioni di tipo mafioso ovvero b) delitti con l'aggravante di mafia:
a) nel caso di provvedimento adottato ai sensi dell'articolo 8 con riferimento al delitto di cui all'articolo 1 (Associazioni di tipo mafioso), l'articolo 128 comma 1 - secondo cui il riferimento all'articolo 416-bis nelle disposizioni previgenti corrisponde all'articolo 1 del codice - consente di sostenere che trovi comunque applicazione il comma 4-bis dell'articolo 12-sexies legge 356/92 che prevede l'operatività delle disposizioni in materia di amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati della legge 575/65 anche per i sequestri adottati nei procedimenti relativi ai delitti di cui all'articolo 51, comma 3-bis c.p.p., tra cui è compreso l'articolo 416-bis.;
b) per il sequestro adottato ai sensi dell'articolo 8 con riferimento ai delitti aggravati dall'articolo 5 comma 1 (agevolazione e modalità mafiosa), non vi è - però - alcuna norma di coordinamento che consenta di utilizzare il vigente testo dell'articolo 12-sexies legge 356/92 ove questi delitti aggravati sono invece oggi compresi.

L'assenza di interventi sullo schema predisposto rischia di causare rilevanti problemi applicativi.
Occorre, in ogni caso, prevedere testualmente quali norme in materia di amministrazione, gestione e destinazione dei beni previsti dal codice per la materia della prevenzione sono applicabili al sequestro e alla confisca ex articolo 12-sexies legge 356/92 ed ex articolo 8 del codice. Il richiamo contenuto all'articolo 12-sexies, comma 4-bis, legge 356/92 alla normativa della legge 575/65 (articoli 2-quater e da 2-sexies a 2-duodecies della legge 31 maggio 1965, n. 575) non può risolversi attraverso la disposizione di coordinamento dell'articolo 128, comma 3, del codice che prevede farsi riferimento alle corrispondenti disposizioni (Dalla data di cui al comma 1, i

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richiami alle disposizioni contenute nella legge 31 maggio 1965, n. 575, ovunque presenti, si intendono riferiti alle corrispondenti disposizioni contenute nel presente decreto) infatti: da un lato l'opera di ricognizione delle citate norme della legge 575/65 corrispondenti a quelle del codice è particolarmente complessa per l'ampiezza dell'intervento, dall'altro vi sono norme (ad esempio in materia di tutela dei terzi) non presenti nell'attuale normativa. Emerge, ancora una volta, il limite dell'intervento contenuto nella delega e la scelta non appagante dello schema di decreto delegato. Solo un esempio: l'articolo 2-nonies legge 575/65 (richiamato dall'articolo 12-sexies comma 4-bis, perciò applicabile al sequestro di cui all'articolo 8 relativo al delitto di associazione mafiosa) prevede che i beni confiscati sono devoluti allo Stato, laddove la corrispondente norma del codice (articolo 55) prevede A seguito della confisca definitiva di prevenzione i beni sono acquisiti al patrimonio dello Stato liberi da oneri e pesi, fatta salva la tutela dei terzi disciplinata dal titolo IV del presente decreto. La differenza tra le due norme è sostanziale: se si ritiene interamente applicabile la nuova disposizione il giudice penale dovrà operare in modo corrispondente a quanto previsto in tema di prevenzione; se si limita il richiamo solo alla parte corrispondente testuale si deve concludere per l'assenza di tutela dei terzi, con evidenti profili di illegittimità costituzionale.

4.3 - La mancata abrogazione delle norme inserite nel codice.

Con una scelta non spiegata nella relazione illustrativa lo schema di decreto non opera alcuna abrogazione, ivi compresa quella delle disposizioni penali inserite negli articoli da 1 a 10, limitandosi a prevedere all'articolo 128 comma 1 che dalla data di entrata in vigore del decreto i richiami alle disposizioni di cui agli articoli 416-bis, 416-ter e 417 del codice penale, ovunque presenti, si intendono rispettivamente riferiti alle corrispondenti disposizioni di cui agli articoli 1, 2, 3 e 7 del codice.
Non sembra che la scelta sia determinata da limiti della delega, atteso che anche per la materia delle misure di prevenzione in cui vi è un'apposita disposizione (articolo 1, comma 3, lettera l) legge 136/10) si adopera una tecnica analoga.
Nel documento Analisi tecnico-normativa - premesso allo schema di decreto - si fa riferimento all'abrogazione implicita di numerose disposizioni tra cui quelle inserite nei primi articoli del codice.
La scelta, oltre a non essere condivisibile, fa emergere, ancora una, volta il limite dell'intervento che, riproducendo (e non innovando) alcune (e non tutte) disposizioni in materia penale antimafia si rischia di creare problemi interpretativi non facilmente prevedibili.
Nel novero dei c.d. delitti di «criminalità organizzata» si collocano, in primis, quelli indicati nell'articolo 51 comma 3-bis c.p.p.: è su tale ultima norma, poi, che generalmente il Legislatore interviene quando si tratta di inserire un «nuovo» delitto di criminalità organizzata (in ultimo, è stato aggiunto il riferimento al delitto in materia di attività organizzate finalizzate al traffico illecito di rifiuti previsto dall'articolo 260 decreto legislativo n. 152/2006).

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Al comma 3-bis dell'articolo 51 cit., infatti, varie norme fanno rinvio per l'applicazione di norme processuali (es. competenza del giudice: articolo 328 c.p.p.) o di altra natura (es. applicazione del regime carcerario previsto dall'articolo 41-bis O.P.) in materia di criminalità organizzata.
Pertanto, ci si sarebbe aspettato che un codice di leggi antimafia partisse proprio dall'articolo 51 comma 3-bis. Lo schema di decreto in esame prende invece le mosse dai «soli» articoli del codice penale (articoli 416-bis ss) e da quelli comunque aggravati dalla «finalità mafiosa», tralasciando tutti gli altri delitti indicati nell'articolo 51 comma 3-bis c.p.p. La conseguenza più evidente è una «stratificazione» normativa con la creazione di una ulteriore «specie» di nuovi istituti applicabili a particolari delitti indicati nel nuovo codice con la contestuale permanenza di quelli «originari» applicabili ad una più ampia platea di reati (vedi oltre con particolare riferimento agli articoli 9 e 10 T.U.).
Nel nuovo decreto legislativo si rileva, in particolare:
1) la mancanza della indicazione, per ogni articolo, delle corrispondenti norme di riferimento;
2) la mancanza di espresse abrogazioni, con particolare riferimento agli articoli del codice penale «interessati» dall'intervento legislativo (articoli 416-bis, 416-ter, 417, 418) nonché alle leggi n.1423/1956 e n. 575/1965 (in materia di misure di prevenzione), disposizioni che sono comunque da ritenersi di fatto, implicitamente quanto parzialmente, abrogate sulla base anche di quanto disposto dall'articolo 130 (Disposizioni di coordinamento) che prevede:
«1. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto, i richiami alle disposizioni di cui agli articoli 416-bis, 416-ter e 417 del codice penale, ovunque presenti, si intendono rispettivamente riferiti alle corrispondenti disposizioni di cui agli articoli 1, 2, 3 e 7 del presente decreto.
2. Dalla data di cui al comma 1, i richiami alle disposizioni contenute nella legge 27 dicembre 1956, n. 1423, ovunque presenti, si intendono riferiti alle corrispondenti disposizioni contenute nel presente decreto.
3. Dalla data di cui al comma 1, i richiami alle disposizioni contenute nella legge 31 maggio 1965, n. 575, ovunque presenti, si intendono riferiti alle corrispondenti disposizioni contenute nel presente decreto».

I rinvii sopra indicati, oltre a rendere ancor più necessaria l'indicazione, per ogni articolo, delle corrispondenti norme di riferimento, appaiono anche complicare la concreta applicazione delle disposizioni in esame.
Ad esempio, nel momento dell'iscrizione nel registro delle notizie di reato di un soggetto per il delitto di associazione di tipo mafioso, la corretta norma di riferimento è quella prevista dall'articolo 1 T.U. ma non è da escludere - mancando una espressa

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abrogazione - che possa continuarsi a fare riferimento all'articolo 416-bis c.p. Alla fine, in barba alla semplificazione si finiranno per contestare entrambi i titoli di reato.
Discorso più o meno analogo vale anche per il Casellario Giudiziale, cosa si dovrà iscrivere?
Si tratta di una situazione più o meno analoga a quella già esistente per quanto concerne le intercettazioni - più avanti specificate - previste dagli articoli 16, legge n. 646/1982 e 25-ter decreto-legge n. 306/92: tali forme di intercettazione sono da ritenersi indubbiamente di tipo preventivo (specie per i presupposti e le finalità in base alle quali possono essere disposte, per l'utilizzabilità degli elementi acquisiti e per la destinazione delle registrazioni) e, come tali, pertanto, si ritiene debbano considerarsi abrogate per effetto di quanto disposto dall'articolo 5, comma 2 decreto-legge n. 374/2001 (che ha, fra l'altro, sostituito l'articolo 226 disp. att. c.p.p. relativo, appunto, alle intercettazioni preventive): le disposizioni di cui ai citati articolo 16 e 25-ter, invece sono «indicate» come vigenti in vari testi e «rivivono» negli articoli 88 e 9 del T.U. in esame (confronta oltre);
3) la mancanza di interventi integrativi/modificativi su disposizioni che vengono, di fatto, modificate, con la conseguenza di determinare una ulteriore stratificazione normativa a seguito della quale alcuni «nuovi» istituti vanno a costituire una «specie» rispetto a quelli da cui originano (i quali ultimi rimangono in vigore per talune ipotesi di delitto) e, pertanto, ad essi si affiancano: in definitiva, quindi, un medesimo istituto (es. controllo e ispezione dei mezzi di trasporto) sarà disciplinato da diverse disposizioni a seconda del delitto di riferimento (in materia di stupefacenti dal T.U.L.P.S.; in materia di associazioni mafiose dal nuovo articolo 10 codice antimafia; in materia di riciclaggio dall'articolo 27 legge n. 55/90).
Ad esempio:
l'articolo 10 T.U. in materia di controlli e di perquisizioni va a costituire una specie rispetto agli articoli 27 legge n. 55/90 (che opera con riferimento ai delitti di cui agli articoli 416-bis c.p. ed a quelli commessi in relazione ad esso nonché agli articoli 648-bis e 648-ter c.p.) e 25-bis decreto-legge n. 306/92 (che opera con riferimento ai delitti di cui all'articolo 51 comma 3-bis c.p.p. ed a quelli commessi per finalità di terrorismo): entrambe tali disposizioni rimarrebbero in vigore limitatamente a tutti i delitti ad esclusione di quelli previsti dall'articolo 1 T.U. e di quelli aggravati ex articolo 5 T.U. (questi ultimi citati nell'articolo 10 T.U.);
l'articolo 8 T.U. che prevede particolari ipotesi di confisca per i delitti di cui all'articolo 1 nuovo codice o aggravati ex articolo 5 stesso codice e che costituisce una «specie» rispetto all'articolo 12-sexies decreto-legge n. 306/92 che resta, invece, in vigore per tutti gli altri delitti in esso contemplati nonché per quelli in materia di terrorismo;
l'articolo 128 T.U. il quale pur modificando l'articolo 23-bis legge n. 646/1982 non interviene sul medesimo articolo con riferimento alla citazione dell'articolo 416-bis c.p., il quale ultimo, per

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quanto anche in precedenza esposto, non si ritiene debba più porsi come punto di riferimento in quanto «sostituito» dall'articolo 1 T.U.

Un discorso a parte deve essere effettuato con riferimento alle operazioni di intercettazione (articoli 9 e 88 T.U., rispettivamente titolati Intercettazioni preventive e Intercettazioni telefoniche).
Le disposizioni in questione sostanzialmente riproducono gli articoli 25-ter decreto-legge n. 306/92 (per quanto concerne l'articolo 9 T.U.) e 16, legge n. 646/82 (per quanto attiene l'articolo 88 T.U.).
Come già in precedenza accennato, a seguito di quanto disposto dal comma 2 («2. È abrogata ogni altra disposizione concernente le intercettazioni preventive») dell'articolo 5 decreto-legge n. 374/2001, si ritiene debbano ritenersi abrogate le citate disposizioni (articoli 25-ter decreto-legge 306/92 e 16 legge n.646/82).
Le intercettazioni preventive sono, ora, disciplinate dall'articolo 226 Disp. Att. c.p.p., come sostituito dall'articolo 5, comma 1, decreto-legge n. 374/2001 cit.
Le nuove disposizioni previste da T.U., pertanto, appaiono determinare una discrasia con la disciplina vigente. In particolare, l'articolo 9 T.U. che, fra l'altro, «apre» con «Fermo quanto previsto dall'articolo 226 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271...».
Con l'articolo 9 T.U. il citato articolo 226 Disp. Att. c.p.p. viene parzialmente «abrogato» con riferimento al solo delitto di associazione di tipo mafioso o altro delitto aggravato da finalità mafiose mentre resta in vigore per quanto concerne gli ulteriori (rispetto a quelli ora indicati) delitti previsti dall'articolo 51 comma 3-bis c.p.p. (es. 600, 601 eccetera) nonché per quelli di cui all'articolo 407 comma 2 lettera a) n. 4 c.p.p..
Fra l'altro, il testo dell'articolo 25-ter decreto-legge n. 306/92 - sostanzialmente riprodotto nell'articolo 9 T.U. - operava con riferimento ai delitti di cui all'articolo 51 comma 3-bis c.p.p. e non - come invece dispone l'articolo 9 T.U. - soltanto per quelli di cui all'articolo 1 o aggravati ex articolo 5 T.U.
Situazione sostanzialmente analoga per quanto concerne l'articolo 88 T.U., per la quale l'unica diversità si rileva con riferimento alla finalità delle operazioni tecniche: controllare che i soggetti nei cui confronti sia stata applicata una delle misure di prevenzione disposte dall'A.G. non continuino a porre in essere attività o comportamenti analoghi a quelli che hanno dato luogo all'applicazione della misura di prevenzione; analogo, invece, il regime degli elementi acquisiti (utilizzabili solo per la prosecuzione delle indagini e privi di ogni valore ai fini processuali) e delle registrazioni (destinate alla distruzione).
In conclusione, parrebbe opportuna una maggiore armonizzazione delle citate disposizioni in materia di intercettazioni preventive anche con l'articolo 226 Disp. att. c.p.p.;
4) la mancanza di una serie di disposizioni contenute nel c.p.p. e relative alla criminalità organizzata (es. in materia di competenza distrettuale del pm e del Giudice: articolo 51 comma 3-bis e 328; di

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contrasti tra pm: articoli 54-ter e 54-quater; di notificazioni: articolo 148 ss con riferimento all'articolo 17 comma 6 decreto-legge n. 144/2005; di inversione dell'onere della prova: articolo 190-bis; di criteri di scelta delle misure cautelari: articolo 275; di intercettazioni anche ambientali per la ricerca del latitante: articolo 295; di proroga dei termini di durata delle indagini: articolo 406; di esclusione del cosiddetto patteggiamento: articolo 444; di rogatorie: articoli 724 e 727; di particolari modalità di svolgimento del dibattimento: 145-bis disp. att. per le aule di udienza protette, 146-bis e 147-bis disp. att. per la videoconferenza); Come è noto la legislazione antimafia ha creato una sorta di doppio binario che andrebbe preso tutto in blocco e riportato nel codice sia sotto l'aspetto sostanziale che processuale.
5) la soltanto parziale «raccolta» delle norme attinenti la Direzione nazionale antimafia (sono riportati gli attuali att. 70-bis, 76-bis, 76-ter, 110-bis, 110-ter Ord. Giud. negli articoli 112 ss T.U.) mentre non si rinvengono quelle concernenti le attribuzioni e le competenze del PNA/della DNA (es. articolo 371-bis c.p., articolo 70 comma 6 Ord. Giud. nonché quelle in materia di gratuito patrocinio, di operazioni sospette, di benefici penitenziari e misure alternative alla detenzione nonché di applicazione del regime carcerario previsto dall'articolo 41-bis O.P., di operazioni sottocopertura, della facoltà di effettuazione dei colloqui a fini investigativi previsti dall'articolo 18-bis O.P.) di carattere processuale e/o amministrativo.
Fra l'altro, alcune delle norme riportate nel T.U. risultano di natura più «ordinamentale» (es. articoli 112, 113 e 114) che processuale o amministrativa.
Inoltre nell'articolo 113 del presente schema di decreto legislativo manca anche l'adeguamento, per il Procuratore nazionale antimafia, al nuovo ordinamento giudiziario (PNA ancora indicato con la vecchia denominazione di magistrato di cassazione mentre ora corrispondente alla 5a valutazione); mentre i sostituti sono correttamente indicati come magistrati che abbiano conseguito la terza valutazione di professionalità (ex magistrati di appello);
6) assenza di disposizioni (o di rinvio alle norme esistenti) in materia di collaboratori e testimoni di giustizia, sia con riferimento alle misure di protezione che ai benefici penitenziari: in diverse norme in materia di collaboratori e testimoni (in specie: articolo 9, 11, 16-nonies decreto-legge n. 8/1991; decreto ministeriale 23 aprile 2004, n. 161) viene fatto riferimento ai delitti indicati nell'articolo 51 comma 3-bis c.p.p. fra i quali si colloca anche quello di cui all'articolo 416-bis c.p.;
7) la mancanza di disposizioni in materia di applicazione del regime carcerario previsto dall'articolo 41-bis O.P. (in specie: articoli 4-bis e 41-bis);
8) la mancanza di ogni riferimento ai colloqui a fini investigativi previsti dall'articolo 18-bis O.P. (finalizzati all'acquisizione di informazioni utili per la prevenzione e repressione dei delitti di criminalità organizzata);
9) la mancanza di ogni riferimento in materia di criminalità organizzata transnazionale di cui alla legge n. 146/2006.

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10) La recente normativa sulla tracciabilità dei flussi finanziari, gli accessi ai cantieri, la rescissione dei contratti pubblici di appalto e l'incapacità a contrattare con la pubblica amministrazione per tre anni in caso di omessa denunzia di estorsione, i delitti di turbata libertà degli incanti e della procedura di scelta del contraente, lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali, la modifica delle norme sugli agenti sottocopertura, i ritardati arresti e sequestri, le competenze dei Prefetti e delle autorità locali in materia amministrativa, la legge antiracket e anti usura, la legge in favore delle vittime di mafia, i delitti corrispondenti alle attività criminali tipiche delle associazioni di tipo mafioso. In conclusione sarebbe stato più utile una sorta di testo unico che raccogliesse tutta la legislazione antimafia con indicazione delle norme di riferimento, senza ulteriori problemi di applicazione e di interpretazione.
11) Infine si sperava, cosa impossibile con i limiti invalicabili della legge delega, che si potesse ulteriormente perfezionare e completare la legislazione antimafia con nuovi strumenti legislativi che agevolassero un'attività di bonifica della pubblica amministrazione e dei circuiti imprenditoriali. Le indagini recenti sempre di più pongono in luce che il consenso elettorale ed il rapporto imprenditore-politico-mafioso sono alla base di «comitati d'affari», di «cricche», di un sistema criminale integrato e articolato. Oltre al settore dell'edilizia pubblica, negli ultimi anni, il raggio d'azione si è esteso. Dalle energie alternative alla grande distribuzione, dalla sanità privata ad alta tecnologia allo smaltimento dei rifiuti. E tutto si fonda su accordi, compromessi, privilegi e complicità che uniscono imprenditori spregiudicati, liberi professionisti a libro paga, amministratori corrotti, politici votati ad una «raccolta del consenso» a qualsiasi costo, senza regole. Gli alti burocrati e i politici gestiscono il flusso della spesa pubblica e le autorizzazioni amministrative; gli imprenditori si occupano dell'accesso al mercato; i mafiosi riciclano capitali e mettono a disposizione, quando serve, la violenza, l'intimidazione o la corruzione di volta in volta necessarie per rimuovere gli ostacoli che intralciano il loro sistema di potere. Ecco perché nell'ambito di una concreta strategia di contrasto gli operatori di giustizia chiedono a gran voce norme che consentano di perseguire l'autoriciclaggio, il voto di scambio elettorale-mafioso con altre utilità oltre al denaro, condotte di assistenza agli associati mafiosi che meglio sanzionino le più moderne forme di collusione o di agevolazione, la tempestiva conoscenza da parte dell'ufficio del Procuratore nazionale antimafia degli atti d'indagine delle direzioni distrettuali antimafia, nonché delle rogatorie anche in materia di procedimenti di prevenzione o di provvedimenti di sequestro o di confisca da eseguire all'estero, l'inserimento nel reato del 12-quinquies (trasferimento fraudolento di valori) anche della condotta di elusione dei provvedimenti di sequestro e confisca penali e non solo, secondo l'attuale previsione, delle misure di prevenzione antimafia, l'aumento del termine di 180 giorni per i collaboratori di giustizia di maggior rilievo criminale, tanto per citare alcuni esempi...

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4.4 - Conclusioni.

Un sommario esame del Libro I del codice evidenzia i limiti che sono stati descritti, in parte derivanti dalla mancanza di principi e criteri direttivi in materia penale, dall'altra dalla scelta di rinunciare all'obiettivo fissato con la delega di una completa ricognizione della normativa compresa quella già contenuta all'interno del codice penale e del codice di procedura penale.
Sono inserite nel codice solo alcune disposizioni, con i rischi interpretativi indicati, senza che sia conseguito alcun concreto risultato in materia di razionalizzazione dei testi, rimanendo invariate numerose disposizioni in materia penale antimafia inserite altrove (a partire dal codice penale e dal codice di procedura penale).
Non vi è stato alcun intervento, possibile sulla base della delega, in materia di adeguamento della normativa italiana alle disposizioni adottate dall'Unione europea.

5 - Il Libro II. Disposizioni ricognitive e innovative.

Col Libro II è esercitata la delega relativa alle misure di prevenzione che, come si è detto, ha natura ricognitiva e innovativa sulla base di principi e criteri direttivi previsti dalla legge delega.
Il libro II, dando organicità alla delega, si compone di cinque distinti titoli:
Le misure di prevenzione personali;
Le misure di prevenzione patrimoniali;
L'amministrazione, la gestione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati;
La tutela dei terzi e i rapporti con le procedure concorsuali;
Effetti, sanzioni e disposizioni finali.

6 - Il Libro II, titolo I: le misure di prevenzione personali (articoli da 11 a 25).

6. 1 - Le misure di prevenzione applicate dal Questore.

Gli articoli 11, 12 e 13 del codice operano una ricognizione e armonizzazione delle misure di prevenzione applicabili dal Questore (avviso orale e foglio di via obbligatorio) individuando i relativi destinatari.
Non essendo consentite innovazioni, per assenza di previsione di principi e criteri direttivi, si tratta della mera riformulazione e riorganizzazione delle disposizioni presenti negli articoli 1, 2 e 3 della legge 1423/56, con estrapolazione delle norme sanzionatorie inserite nell'apposito titolo V.

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Sarebbe opportuna un'interpretazione dei presupposti necessari per l'avviso orale coordinata con i principi costituzionali espungendo dal testo (articolo 13, comma, ricognitivo dell'articolo 4 comma 1 legge 1423/56) il termine sospetto (sostituendolo, ad esempio, con indizio), in conformità alla giurisprudenza amministrativa secondo cui il provvedimento deve essere fondato su specifici e oggettivi elemento di fatto; pur non essendo richieste prove compiute della commissione di reati, sono sufficienti elementi di fatto, tali da indurre l'Autorità di polizia a ritenere sussistenti i presupposti della misura di prevenzione, in caso di persistenza delle condotte segnalate.

6.2 - Le misure di prevenzione applicate dall'autorità giudiziaria

L'esistenza di una pluralità di soggetti titolari del potere di proposta, dovrebbe fare riflettere, in particolare per le proposte patrimoniali che fanno riferimento generalmente a indagini penali, che il dominus dell'azione non può che essere il Procuratore distrettuale della Repubblica.
Lo schema di decreto evita di prendere posizione e si limita ad esercitare la delega attraversa una mera riformulazione del citato articolo 23 prevedendo all'articolo 126 che la comunicazione dell'inizio del procedimento per il delitto di cui all'articolo 416-bis c.p. o del delitto di cui all'articolo 75 della legge 22 dicembre 1975, n. 685 (oggi articolo 74 decreto del Presidente della Repubblica 309/90) vada data al PM (non territorialmente competente ma) presso il capoluogo del distretto dove dimora la persona (DDA). La disposizione sostanzialmente inutile in quanto l'esercizio dell'azione penale per i citati reati appartiene al Procuratore del capoluogo del distretto ai sensi dell'articolo 51 comma 3-bis c.p.p., titolare anche dell'azione di prevenzione. È noto, infatti, che nel caso di pericolosità manifestata ai sensi di tali disposizioni la competenza dell'organo proponente e del giudice si radica sulla base del luogo ove opera l'associazione che, dunque, coincide con quella del PM (e del giudice) in sede penale.
Lo schema di decreto opera all'articolo 14 una completa ricognizione delle categorie soggettive dei possibili destinatari  (1).

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La portata dell'intervento, sostanzialmente ricognitivo, consente di ritenere applicabili tutti i principi elaborati dalla giurisprudenza in tema di pericolosità, di attualità della pericolosità, di indizio rilevante e di elementi di fatto utilizzabili nel giudizio di prevenzione, di autonomia del giudizio di prevenzione, di giudicato rebus sic stantibus, etc.
L'articolo 14 ripercorre le vigenti disposizioni, compresa quella relativa agli indiziati di numerosi delitti (lettera b) aggiunta recentemente (decreto-legge 92/08 convertito nella legge 125/08) alla storica categoria di indiziati di appartenenza ad associazione di tipo mafioso della legge 575/65.

6.3 - Tipologia delle misure di prevenzione.

Le misure di prevenzione sono previste dagli articoli 16 e 18 attraverso un'apparente mera ricognizione delle disposizioni vigenti (rispettivamente, articolo 3 e articolo 5 della legge 1423/56).

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Con un'evidente graduazione le misure di prevenzione applicabili, per un periodo compreso tra uno e cinque anni, è, fra l'altro, la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, misura principale che comporta una particolare vigilanza da parte dell'autorità e l'imposizione delle prescrizioni previste dall'articolo 18.
Nello schema di decreto, però, non si procede al coordinamento delle prescrizioni con i principi costituzionali, doveroso oltre che consentito nell'ambito dell'opera di armonizzazione.
Si continua a utilizzare il termine sospetto (di vivere col provento di reati - articolo 18 comma 3 - ovvero di non darvi ragione - articolo 18, comma 4) - che dovrebbe essere espunto da una normativa pienamente giurisdizionalizzata, perciò necessariamente rispondente ai principi costituzionali e della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Appare sconcertante nel 2011 adoperare un termine, quale sospetto, incompatibile con la valutazione giurisdizionale e che consentirà di alimentare quelle tesi, retaggio dell'originaria natura di polizia delle misure di prevenzione, secondo cui questa materia è fondata sulla cultura del sospetto. Deve ribadirsi che il giudice della prevenzione opera un giudizio sulla base di elementi sintomatici o rivelatori di tale pericolosità, ovviamente precedenti rispetto al momento valutativo, fondati su comportamenti obiettivamente identificabili  (2) dai quali possa legittimamente farsi discendere l'affermazione dell'esistenza della pericolosità, sulla base di un ragionamento immune da vizi, fermo restando che gli indizi sulla cui base formulare il giudizio di pericolosità non devono necessariamente avere i caratteri di gravità, precisione e concordanza richiesti dall'articolo 192 c.p.p.  (3). In tal senso è la giurisprudenza della Corte europea per i diritti dell'uomo  (4).

6.4 - L'Assenza di condizioni di procedibilità (avviso orale).

Modificando la disciplina vigente si esclude, in ogni caso, la necessità della previa notifica dell'avviso orale, prima richiesta (secondo l'interpretazione della giurisprudenza) solo nell'ipotesi di cui all'articolo 1, n, 3), legge 1423/56 (articolo 11, lettera c), del codice), dando unità e coerenza alla disciplina.

6.5 - La competenza dell'organo proponente, il coordinamento investigativo.

L'articolo 15 ripercorre la disciplina vigente dell'organo proponente, dando organicità a disposizioni disorganiche, particolarmente

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dopo le modifiche apportate dal decreto-legge 92/08 convertito con legge 125/08 che avevano anche richiesto correzioni apportate con la legge 94/09.
Competenti a proporre le misure personali  (5) sono:
il Procuratore nazionale antimafia, per persone dimoranti nell'intero territorio nazionale;
il Direttore della Direzione investigativa antimafia, per persone dimoranti nell'intero territorio nazionale;
il Questore, per persone dimoranti nella provincia in cui il Questore esercita le proprie funzioni;
il Procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di distretto (Procuratore distrettuale), per le persone che ivi dimorano, ad eccezione di quelle di cui all'articolo 11 (categorie oggi previste dall'articolo 1 della legge 1423/56, c.d. pericolosi comuni) che dimorano in circondari diversi dal capoluogo del distretto;
il Procuratore delle Repubblica del circondario, per le persone che ivi dimorano ricomprese nel citato articolo 11.

La pluralità di organi proponenti ha reso attuale, con sempre maggiore frequenza, il difetto di coordinamento investigativo, che incide sull'efficacia delle misure. La facoltà da parte di ciascun titolare di proporre la misura comporta dispiego di energie investigative, in particolare nel settore patrimoniale, potendo ciascun organo operare indipendentemente dall'altro. Non è rara l'ipotesi in cui al Tribunale pervengono proposte da diversi organi nei confronti del medesimo soggetto, oggetto di minute e attente indagini anche patrimoniali.
L'articolo 91, con un'opera ricognitiva dell'articolo 34 della legge 55/90, conferma l'istituzione di registri delle misure di prevenzione presso ogni procura ed ogni tribunale competente e i previsti obblighi di comunicazione a Procuratore della Repubblica competente da parte degli altri titolari della proposta.
È noto che la disposizione vigente è stata di recente modificata (legge 94/09) al fine di facilitare il coordinamento tra le diverse autorità proponenti per rendere più incisiva l'azione ed evitare le dispersioni di risorse. Si è previsto, pertanto, l'obbligo d'immediata comunicazione da parte del Questore e del direttore della DIA al Procuratore Distrettuale dei nominativi delle persone fisiche e giuridiche nei cui confronti sono disposti gli accertamenti personali e patrimoniali nonché della proposta da presentare al Tribunale competente.
La formulazione della norma consente un'interpretazione secondo cui la comunicazione va trasmessa fin dal momento in cui tali organi iniziano l'attività investigativa.
In ogni caso andrebbe esplicitato il potere di coordinamento in capo al Procuratore Distrettuale prevedendo che all'esito delle citate comunicazioni tale organo se opportuno provvede al coordinamento.

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6.6 - La competenza del giudice.

La competenza per l'applicazione delle misure di prevenzione, pur dopo l'istituzione del giudice unico di primo grado, è attribuita al tribunale in composizione collegiale.
Precisa l'articolo 4 comma 2 della legge 1423/56 che la competenza appartiene al tribunale capoluogo di provincia (che può ricomprendere più circondari).
Non sembra rinvenirsi nel codice alcuna norma sulla competenza del Tribunale. In più norme si richiamano il Tribunale ovvero il Tribunale competente all'applicazione della misura senza mai specificarlo, addirittura nell'articolo 22 si attribuisce la competenza alle autorizzazioni ad allontanarsi dal luogo di residenza al tribunale competente ai sensi dell'articolo 15, pur se in tale articolo non vi è riferimento all'attribuzione della competenza di un Tribunale.
Se corretta questa lettura la lacuna va colmata per evitare gravissime incertezze applicative.

6.7 Il procedimento.

La legge delega in tema di procedimento fissa due criteri: il diritto di chiedere che l'udienza si svolga pubblicamente anziché in camera di consiglio; l'audizione dell'interessato o dei testimoni mediante videoconferenza ai sensi degli articoli 146-bis e 147-bis disp. att. c.p.p..
L'articolo 17, comma 1, prevede la facoltà di chiedere la celebrazione di una udienza pubblica, già prevista all'esito della declaratoria di cui alla sentenza della Corte Costituzionale 12 marzo 2010 n. 93, emessa all'esito di tre sentenze della Corte europea per i diritti dell'uomo  (6).
La norma sulla videoconferenza, opportunamente prevista nella delega (pur se a tale conclusione poteva pervenirsi in via interpretativa dopo che la legge 94/09 ha aggiunto all'articolo 41-bis dell'Ord. Pen. il comma 2-septies  (7)) non si rinviene nello schema di decreto.
Pur in assenza di criteri e principi direttivi si apportano notevoli modifiche al procedimento, anche ignorando i delicati problemi esaminati dalla giurisprudenza che ha progressivamente ampliato le garanzie dell'interessato in presenza di misure che incidono in modo rilevante sulla libertà personale, conformemente alle disposizioni della CEDU e delle sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo  (8).
Da un lato appaiono evidenti le carenze sulla possibile integrazione della disciplina del procedimento per renderlo compatibile con il diritto di difesa, dall'altro vi sono soluzioni non condivisibili.

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Manca un richiamo all'applicabilità di norme previste per altri procedimenti che consente oggi, attraverso il riferimento dell'articolo 4, comma 6, legge 1423/56 alle norme del rito dell'esecuzione  (9), di colmare le evidenti lacune della disciplina (egualmente presenti nello scarno articolo 17).
Gravissime le conseguenze di ordine pratico derivanti da tale omissione, ad esempio in tema di poteri istruttori del Tribunale, oggi desunti dall'applicazione dell'articolo 665 comma 5 c.p.p. (acquisizione d'informazioni, documenti, prove in contraddittorio).
La lacuna va necessariamente colmata per l'evidente incertezza che ne seguirebbe, non potendosi utilizzare le più articolate disposizioni sul dibattimento penale (finalizzate all'accertamento della responsabilità al di là di ogni ragionevole dubbio) ed essendo non agevole il richiamo delle norme in materia di applicazione di misura di sicurezza (prevista espressamente, come oggi, per il procedimento d'appello).
Omesso il riferimento alle norme applicabili, l'articolo 17 ripercorre la scarna disciplina dell'articolo 4 legge 1423/56 prevedendo inoltre la fissazione dell'udienza da parte del presidente del Collegio (e non del Tribunale o della sezione eventualmente costituita) da notificarsi 10 giorni prima dell'udienza anche al difensore nominato anche d'ufficio (come avviene oggi) con facoltà di presentare memorie cinque giorni prima e la necessaria presenza di PM e difensore (esattamente come avviene oggi)
La partecipazione dell'interessato è espressamente disciplinata, prevedendosi la traduzione solo nel caso di detenzione nella circoscrizione del giudice (negli altri casi procederà all'audizione il Magistrato di Sorveglianza).
Peraltro, la giurisprudenza più attenta ritiene che nel procedimento di prevenzione debba essere assicurata la comparizione personale del proposto, detenuto fuori del circondario del tribunale procedente, che avanzi richiesta in tal senso:
nel caso di richiesta di essere sentito, provvede il magistrato di sorveglianza del luogo, salvo che il tribunale ritenga di disporre la traduzione per proprie esigenze;
se, invece, il proposto chiede di partecipare all'udienza, ne va garantita la presenza, in applicazione analogica del procedimento di riesame delle misure cautelari, al fine di evitare possibili censure d'illegittimità costituzionale, sia con riferimento al principio di eguaglianza, sia con riguardo all'inviolabilità del diritto di difesa  (10).

Nulla di particolare va segnalato sulle impugnazioni, essendo riprodotte le disposizioni previgenti, se non una mera ripetizione contenuta negli articoli 18 comma 8 e 20 comma 1  (11).

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6.9 - Alcune osservazioni.

Si è più volte evidenziata la timidezza dello schema di decreto nel tentativo di ricondurre la normativa nell'ambito di testi rispondenti ai principi della Costituzione e della Corte Europea dei diritti dell'uomo.
Emerge, ancora, dalla lettura del complesso delle norme una non condivisibile totale equiparazione tra le diverse figure di pericolosità delineate.
Nell'evoluzione della disciplina delle misure di prevenzione si è sempre avuta chiara la distinzione tra legge antimafia (c.d. pericolosità qualificata) e legge1423/56 (c.d. pericolosità semplice).
Pur quando disposizioni di varia natura hanno previsto l'applicabilità della legge 575/65 ad altre tipologie di pericolosità, si è sempre avuta chiara un'ontologica differenza per le persone pericolose perché indiziate di appartenenza alle associazioni di tipo mafioso, per la diversa natura dell'accertamento della pericolosità (derivante dall'appartenenza all'associazione) e della sua attualità  (12).
Lo schema di decreto prevede una totale assimilazione tra gli indiziati di mafia e le altre categorie soggettive (misura applicabile ed effetti), modificando l'attuale quadro normativo che tiene conto della maggiore pericolosità degli indiziati di mafia.
La diversa natura della pericolosità richiederebbe una disciplina più incisiva per gli appartenenti ad associazione di tipo mafioso.
Per tali soggetti, invece, non è neanche previsto come effetto automatico l'obbligo di soggiorno che costituisce una misura di prevenzione che discende proprio dal maggior grado di pericolosità della persona da cui deriva la necessità di adottare un'ulteriore misura che consente (attraverso la limitazione alla libertà del soggetto), un più penetrante controllo da parte degli organi della pubblica sicurezza.
La scelta del legislatore delegato contrasta, in tale punto, anche con l'interpretazione secondo cui è prevista per gli indiziati di appartenenza ad associazioni di tipo mafioso in aggiunta alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale quella dell'obbligo di soggiorno  (13); conclusione che discende anche dal dato testuale

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dell'articolo 2, comma 1, della legge 575/65 che prevede la possibilità di proporre le misure di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza e dell'obbligo di soggiorno.
Altra conseguenza dell'equiparazione di tutte le diverse pericolosità è l'applicabilità anche agli indiziati di mafia del divieto di soggiorno, ipotesi esclusa dal testo vigente della legge 575/65 per le note ragioni sugli effetti negativi derivanti dalla previgente disciplina.

7 - Il Libro II, titolo II: le misure di prevenzione patrimoniali (articoli da 26 a 44).

7.1. - Premessa, i destinatari.

Il libro II disciplina le misure di prevenzione patrimoniali per le quali la delega fissa numerosi principi e criteri direttivi, in larga parte meramente ricognitivi delle disposizioni vigenti.
L'importanza del tema avrebbe richiesto un'adeguata illustrazione che, però, manca nella scarsa relazione introduttiva.
Nel testo si rilevano interventi significativi, mentre altri sono omessi; numerose le imprecisioni.
L'articolo 26 opera l'assimilazione tra destinatari di misure personali e patrimoniali.
Tutti i destinatari delle misure personali indicati nell'articolo 14 possano essere oggetto anche di misure patrimoniali,
- con l'aggiunta delle persone fisiche e giuridiche segnalate al Comitato per le sanzioni delle Nazioni Unite, o ad altro organismo internazionale competente per disporre il congelamento di fondi o di risorse economiche, quando vi sono fondati elementi per ritenere che i fondi o le risorse possano essere dispersi, occultati o utilizzati per il finanziamento di organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali;
- con la precisazione, per le persone indiziate di avere agevolato gruppi o persone che hanno preso parte attiva in più occasioni alle manifestazioni di violenza di cui all'articolo 6 della legge 401/89, che la misura di prevenzione patrimoniale può essere applicata solo ai beni, nella disponibilità dei medesimi soggetti, che possono agevolare, in qualsiasi modo, le attività di chi prende parte attiva a fatti di violenza in occasione o a causa delle citate manifestazioni sportive.
Oltre a operare una ricognizione di quanto oggi previsto si aggiungono tra i destinatari anche coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica (previsti dal combinato disposto dell'articolo 14 lettera c) e 11 lettera c), oggi (soggetti di cui all'articolo 1, n. 3, legge 1423/56) esclusi dall'applicabilità delle misure di prevenzione ai sensi dell'articolo 19 legge 152/75. Non si comprende se si tratti di una scelta legislativa in applicazione dei principi della delega che consentono di

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definire in maniera organica la categoria dei destinatari delle misure di prevenzione personali e patrimoniali  (14),o di un mero errore di stesura della norma.
Sembra più verosimile quest'ultima ipotesi.
Inoltre va segnalato che dalla lettura del testo (articoli 14,15, 26 e 27) la titolarità del potere di proposta per le misure di prevenzione nei confronti delle «persone indiziate di aver agevolato gruppi o persone che hanno preso parte attiva, in più occasioni, alle manifestazioni di violenza di cui all'articolo 6 legge 401/89 (violenza sportiva)» sembra sia attribuita alla Procura distrettuale e non al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale nel cui circondario dimora la persona come per i soggetti previsti dall'articolo 14 comma 1 lettera c) (ex articolo 19 legge 152/75). La possibilità di applicare la misura di prevenzione nei confronti di tali soggetti è stata introdotta dalla legge 4 aprile 2007 n.41 che ha inserito nel corpo della legge 401/89 l'articolo 7-ter nel quale è prevista anche la possibilità di applicare la confisca «relativamente ai beni, nella disponibilità dei medesimi soggetti, che possono agevolare in qualsiasi modo le attività di chi prende parte attiva ai fatti di violenza in occasione o a causa di manifestazioni sportive».
L'attribuzione della titolarità di proposta al procuratore distrettuale per tali casi non trova giustificazione né pratica né giuridica, oltre all'inopportuno ulteriore aumento delle competenze distrettuali, la natura della misura e tipologia dei destinatari impone che sia il Procuratore territorialmente competente a valutare e formulare la proposta di prevenzione considerata la sua maggiore conoscenza dei soggetti potenzialmente destinatari poiché dimorano nel suo territorio.
In ogni caso, sia l'inserimento di nuove categorie di destinatari di misure patrimoniali sia l'ampliamento della competenza distrettuale in materia di prevenzione sembrano fuori dalla delega legislativa.
Un errore di stesura si rileva agli articoli 15 comma 2 e 27 comma 2 con riferimento al P.M. di udienza che nei casi indicati non può che essere quello presso il Tribunale nel cui circondario dimora la persona e solo nei casi di udienza di prevenzione antimafia può esser consentita anche la partecipazione di quest'ultimo al posto del P.M. distrettuale.

7.2 - La competenza dell'organo proponente, il coordinamento investigativo, le indagini patrimoniali.

Meramente ricognitive sono, in attuazione della delega, le disposizioni dell'articolo 27, sui titolari della proposta (oggi articolo 2 legge 575/65), da individuarsi sempre sulla base della residenza della persona:
il Direttore della Direzione investigativa antimafia, per persone dimoranti nell'intero territorio nazionale;
il Questore, per persone dimoranti nella provincia in cui il Questore esercita le proprie funzioni;

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il Procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di distretto (Procuratore distrettuale), per le persone che ivi dimorano, ad eccezione di quelle di cui all'articolo 11 (categorie oggi previste dall'articolo 1 della legge 1423/56, c.d. pericolosi comuni) che dimorano in circondari diversi dal capoluogo del distretto;
il Procuratore delle Repubblica del circondario, per le persone che ivi dimorano ricomprese nel citato articolo 11.

Quanto detto in tema di misure personali  (15) sul necessario coordinamento investigativo tra gli organi proponenti assume maggiore rilevanza, essendo quanto mai necessario evitare diversi filoni investigativi che rischiano non solo di disperdere risorse ma anche di creare reciproche interferenze e una meno agevole decisione del Tribunale, costretto a esaminare diverse proposte semmai con esiti e richieste diverse.
Va, necessariamente, integrato l'articolo 91, prevedendo il coordinamento del Procuratore distrettuale (con riferimento alle sue competenze) che, essendo anche il titolare dell'azione penale, è in condizione di meglio organizzare l'attività investigativa, tenendo anche conto dello stato, delle necessità e delle emergenze del procedimento penale. Va tenuto conto dell'esigenza del coordinamento del Procuratore nazionale antimafia nel caso di indagini personali o patrimoniali avviate sulle medesime persone fisiche o giuridiche in distretti diversi del territorio nazionale.

7.3 - L'applicazione disgiunta delle misure personali e patrimoniali.

L'ultima tesi, che sembra assumere assoluta prevalenza, può così riassumersi in presenza dei relativi presupposti (di cui all'articolo 2-ter, commi 2 e 3) possono applicarsi le misure patrimoniali (sequestro e confisca), anche indipendentemente dall'applicazione della misura personale, non solo nelle fattispecie legislativamente previste, ma in ogni ipotesi in cui, pur in presenza di persona pericolosa o che è stata pericolosa, non possa farsi luogo alla misura personale ovvero questa non sia più in atto  (16), facendovi rientrare, dunque anche le ipotesi:
di non applicabilità della misura personale, pur in presenza di una pericolosità già accertata (come affermato talvolta dalla giurisprudenza) o di una pericolosità (esistente ma) mai in precedenza accertata e non più attuale all'atto della confisca, indipendentemente dal fatto che la mancanza di attualità sia sopravvenuta nel corso del procedimento ovvero preesista alla proposta (articolo 2-bis, comma 6-bis, primo inciso);
di cessazione naturale o per revoca ex nunc della misura di prevenzione personale (sempre articolo 2-bis, comma 6-bis, primo inciso).

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Le misure di prevenzione patrimoniali divengono strumento di ablazione in favore dello Stato dei beni frutto dell'attività illecita della persona pericolosa, pur se non può farsi luogo alla misura di prevenzione personale (o questa è cessata), sempre che i presupposti della misura personale -pericolosità del soggetto (anche se non più attuale)- e di quella patrimoniale (commi 2 e 3 dell'articolo 2-ter) siano accertati.
Il sistema, dunque, conserva una sua intrinseca coerenza perseguendo l'obiettivo di colpire i patrimoni illecitamente acquisiti, peraltro da un ampliato numero di soggetti pericolosi, non attraverso il ribaltamento del nesso di accessorietà tra misura personale e patrimoniale (perché occorre sempre un accertamento giudiziale, eventualmente incidentale, della pericolosità del titolare del bene), ma facendo venire meno tale nesso perché non è più necessaria la previa applicazione (o esecuzione) della misura personale che può mancare per carenza non della pericolosità ma di un suo ulteriore presupposto (residenza all'estero, morte, cessazione dell'attualità della pericolosità, cessazione della misura).

7.4 - La disciplina contenuta nella legge delega e lo schema di decreto delegato.

In tale contesto, ancora in corso di assimilazione ed elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale, la legge 136/10 ha posto alcuni principi e criteri direttivi idonei per un'adeguata sistemazione della materia.
L'articolo 1, comma 3, lettera a) nn. 3) e 4) richiama integralmente (sostituendo solo un impreciso approvate ad applicate) il vigente articolo 2-bis, comma 6-bis, legge 575/65: «le misure di prevenzione personali e patrimoniali possano essere richieste e approvate disgiuntamente e, per le misure di prevenzione patrimoniali, indipendentemente dalla pericolosità sociale del soggetto proposto per la loro applicazione al momento della richiesta della misura di prevenzione (n. 3), le misure patrimoniali possano essere disposte anche in caso di morte del soggetto proposto per la loro applicazione. Nel caso la morte sopraggiunga nel corso del procedimento, che esso prosegua nei confronti degli eredi o, comunque, degli aventi causa (n. 4) ».
La natura anche ricognitiva del testo unico evitava la possibile implicita abrogazione dell'ipotesi (autonomamente disciplinata dall'articolo 2-ter, comma 11, legge 575/65) non richiamata nei principi direttivi della proposta avanzata nei confronti degli eredi o aventi causa non oltre i cinque anni dalla morte del soggetto che acquisì illecitamente i beni (all'epoca pericoloso), deceduto ancora prima della proposizione dell'azione.
L'articolo 28, che da attuazione alla delega, presenta gravi limiti prevedendo al comma 1, in chiara violazione della delega, Le misure di prevenzione personali e patrimoniali possono essere richieste e applicate disgiuntamente e, per le misure di prevenzione patrimoniali, indipendentemente dalla pericolosità sociale del soggetto proposto per la loro applicazione, con omissione dell'inciso finale della disposizione delegante (come detto coincidente con la norma vigente) «al momento della richiesta della misura di prevenzione».

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Il testo proposto consente di ritenere che l'applicazione della misura patrimoniale sia svincolata totalmente dall'esistenza (se pur non più esistente o tale da non consentire l'applicazione della misura personale) della pericolosità del soggetto, introducendo sostanzialmente un'ipotesi di espropriazione del bene fondata esclusivamente sui presupposti oggettivi del sequestro e della confisca che, naturalmente imporrebbe di rimettere la questione alla Corte costituzionale.
Nessun equivoco interpretativo può essere fondato sul principio previsto dall'articolo 1, comma 3, lettera a), n. 5), prima parte laddove prevede che sia definita in maniera organica la categoria dei destinatari delle misure di prevenzione personali e patrimoniali, ancorandone la previsione a presupposti chiaramente definiti e riferiti in particolare all'esistenza di circostanze di fatto che giustificano l'applicazione delle suddette misure di prevenzione e, per le sole misure personali, anche alla sussistenza del requisito della pericolosità del soggetto. È evidente che il richiamo del requisito della pericolosità sociale riferito alle sole misure personali va letto in stretta correlazione col precedente n. 3 che per le misure patrimoniali esclude la necessità dalla pericolosità sociale del soggetto al momento della richiesta della misura di prevenzione. Insomma, è chiaro che il legislatore delegato si limita ad accogliere il principio oggi vigente di applicazione disgiunta della misura patrimoniale, così come ricostruito in precedenza, consentendo il sequestro e la confisca di beni pur se il proposto non è più pericoloso (ma in passato lo è stato).
In sede di redazione definitiva dovrà necessariamente porsi rimedio all'omissione pena la questione di costituzionalità per eccesso di delega.

7.5 - L'esecuzione del sequestro.

L'articolo 31 disciplina l'esecuzione del sequestro:
si richiamano le modalità esecutive dell'articolo 104 disp. att. c.p.p. (oggi articolo 2-quater legge 575/65);
si prevedono l'immissione in possesso e l'apprensione materiale dei beni da parte dell'amministratore giudiziario (anche se i beni sono gravati da diritti personali o reali di godimento  (17)) tramite l'ufficiale giudiziario, con l'assistenza obbligatoria della polizia giudiziaria (oggi prevista come facoltativa). Vi è un'evidente ripetizione al primo e al secondo comma sull'immissione in possesso con un contrasto sull'assistenza della polizia giudiziaria, prima obbligatoria poi facoltativa  (18);

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si prevede lo sgombero (forzato) degli occupanti senza titolo ovvero con titolo privo di data certa anteriore al sequestro (tra cui rientrano i titolari di diritti personali di godimento).

La formulazione della disposizione, oltre a prevedere come necessario l'intervento dell'ufficiale giudiziario (non sempre utilizzato nella prassi, pur in presenza dell'univoco richiamo delle norme del codice di procedura civile), rende evidente l'intenzione di assicurare la reale apprensione dei beni, con spossessamento del proposto (salvo quanto previsto dal successivo articolo 50).
La norma va letta unitamente alle disposizioni relative ai titolari di diritti personali di godimento (come la locazione e il comodato) che sono chiamati in giudizio (articolo 33 comma 4) e possono fare valere i loro diritti (titolo IV).

7.6 - L'udienza camerale: citazione, svolgimento, termini.

Sono chiamati in giudizio oltre al proposto:
a) i terzi intestatari dei beni ritenuti nella disponibilità (indiretta) del proposto (articolo 33 del codice e 2-ter legge 575/65);
b) i terzi che vantano diritti reali  (19) o personali di godimento sui beni sequestrati  (20), per i quali nel corso dell'udienza deve essere accertata l'eventuale fittizia intestazione (articolo 36). Solo nel caso di accertamento favorevole al terzo i terzi acquisiscono il diritto a un indennizzo (articolo 62 commi 4 e 5) secondo le modalità previste al titolo IV (estinguendosi, in ogni caso, i relativi diritti).
In violazione della delega  (21) non è previsto che siano chiamati i titolari di diritti di proprietà, dovendo intendersi per tali i comproprietari (o partecipanti in comunione); tale categoria di soggetti è correttamente richiamata all'articolo 62 comma 7 in materia di riconoscimento dei diritti, per cui è necessario integrare la norma anche per consentire di valutare l'ipotesi di fittizia intestazione, presupposto per la disciplina prevista dal titolo IV in tema di tutela dei terzi;
c) i terzi che siano parte del giudizio avente a oggetto domande giudiziali precedentemente trascritte relative al diritto di proprietà ovvero diritti reali o personali di godimento sul bene sequestrato (articolo 65, comma 3).

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Non sono chiamati in giudizio i titolari di diritti reali di garanzia  (22), oggi previsti dall'articolo 2-ter, comma 5 secondo periodo  (23), essendo assorbita la relativa disciplina nel titolo IV.
Sull'udienza camerale per la confisca l'articolo 33 richiama le disposizioni vigenti per l'udienza relativa all'applicazione delle misure personali (articolo 32) e procede a una ricognizione delle disposizioni vigenti.
Deve ritenersi che i terzi possano chiedere la celebrazione dell'udienza in forma pubblica, facoltà attribuita agli interessati (articolo 17 comma 1). Non si scioglie, però, il problema dell'eventuale contrasto tra proposto e terzi o tra più terzi sulla forma dell'udienza, dovendo in assenza di disciplina ritenersi la prevalenza della forma pubblica.
Il termine per l'emissione del decreto di confisca da parte del Tribunale è fissato, in attuazione della delega  (24), dall'articolo 34 comma 2 in un anno e sei mesi dalla data d'immissione in possesso dei beni da parte dell'amministratore giudiziario. Nel caso d'indagini complesse o compendi patrimoniali rilevanti, tale termine può essere prorogato con decreto motivato del tribunale per periodi di sei mesi e per non più di due volte.
La norma, ai sensi dell'articolo 129 u.c. si applica solo ai procedimenti iniziati successivamente all'entrata in vigore del decreto delegato.
Non può sottacersi il sostanziale allungamento del procedimento di prevenzione, essendo dilatato (per scelta del legislatore delegante) l'attuale termine di un anno (decorrente dall'esecuzione del sequestro e non dall'immissione in possesso, operazioni che possono non coincidere).
Nello schema di decreto, a integrazione della delega, si prevede opportunamente - come previsto dalla disposizione vigente - che Ai fini del computo dei termini suddetti e di quello previsto dall'articolo 32, comma 1, si tiene conto delle cause di sospensione dei termini di durata della custodia cautelare, previste dal codice di procedura penale, in quanto compatibili. Tra le cause di sospensione del termine bisognerebbe annoverare, sia in primo grado che in appello, anche il tempo necessario per l'espletamento di una perizia o di un accertamento tecnico, attività che spesso determinano tempi lunghissimi, che vanno ben oltre la doppia proroga di sei mesi consentita dalla norma, soprattutto quando si tratta di ingenti patrimoni o di complesse questioni giuridiche.
Attraverso la nuova disciplina, viene introdotta una draconiana limitazione temporale del primo grado di giudizio del procedimento di prevenzione, che non potrà superare il termine di due anni e sei mesi.
Si tratta, all'evidenza, di una logica corrispondente a quella che ha ispirato i ben noti progetti di legge in materia di «processo breve». Una logica che si fonda su un palese fraintendimento delle indicazioni offerte dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo,

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le quali comportano l'impegno dello Stato di completare il processo penale entro un termine non fisso ma elastico e ragionevolmente commisurato alla sua complessità e alla natura degli interessi in gioco, senza che comunque dalla inosservanza di tale termine possa derivare alcun pregiudizio per la tutela degli interessi della collettività e delle vittime dei reati, rimanendo soltanto da garantire il rimedio del risarcimento dei danni in favore delle parti processuali. La fissazione di un termine perentorio, non superiore in nessun caso a due anni e sei mesi per il primo grado di giudizio, potrebbe porsi in insanabile contrasto con le esigenze di approfondimento e di garanzia sottese al procedimento di prevenzione: è sufficiente passare in rassegna le più note confische di prevenzione realizzate nell'ultimo decennio, per rendersi conto che in tutti i casi nei quali si trattava di ingenti patrimoni, stratificatisi nel tempo, il suddetto termine è stato abbondantemente superato, pur in presenza di una conduzione delle attività processuali secondo ritmi assai sostenuti. Non è possibile contenere in limiti cronologici predeterminati astrattamente accertamenti approfonditi e complessi, che si snodano attraverso indagini bancarie, perizie contabili, rogatorie internazionali, audizioni di decine di collaboratori di giustizia in località protette.
Innovazioni come quella sopra descritta rischiano, da un lato, di indurre il giudice ad una istruzione e una decisione con caratteri di sommarietà per evitare il decorso del termine perentorio (con i gravissimi effetti negativi che ne deriverebbero); e, dall'altro, di indurre il proposto a sperimentare tutti gli strumenti dilatori a sua disposizione, con un conseguente prolungamento della durata media dei procedimenti di prevenzione. Si profila, insomma, una vistosa eterogenesi dei fini, con il duplice risultato della riduzione dell'efficacia del sistema e del declino della cultura delle garanzie.
L'anomalia della nuova disposizione è accentuata dalla circostanza che l'obiettivo di evitare il degrado dei patrimoni sottoposti a misure di prevenzione antimafia è stato il principale motivo posto alla base della istituzione dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, avvenuta con il decreto-legge 4 febbraio 2010, n. 4, convertito con modificazioni nella legge 31 marzo 2010, n. 50.
Al nuovo organismo sono stati attribuiti essenzialmente i compiti di coadiuvare l'Autorità giudiziaria nell'amministrazione dei beni nella fase anteriore alla confisca, di amministrare e custodire gli stessi nella fase successiva, e di provvedere alla loro destinazione finale, che viene inserita in una dimensione nazionale per valorizzarne pienamente le potenzialità. Se alla «prioritaria esigenza di rendere rapido ed effettivo l'utilizzo dei patrimoni per finalità istituzionali e sociali» si è cercato di venire incontro proprio con la costituzione di un nuovo ente finalizzato ad assicurare l'unitarietà degli interventi e a programmare, già durante la fase dell'amministrazione giudiziaria, la destinazione finale dei beni sequestrati, non si comprendono le ragioni della scelta di introdurre nel procedimento di prevenzione un termine perentorio di efficacia del sequestro, in controtendenza rispetto alla regolamentazione vigente per tutte le altre tipologie di misure cautelari reali.

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In buona sostanza, sembra che la norma in questione si ponga in palese contraddizione con il proclamato intento di «coordinare e armonizzare» la normativa vigente in materia di misure di prevenzione con la legge istitutiva dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.

7.6 - L'autonomia tra azione penale e azione di prevenzione. Il rapporto tra sequestro penale e sequestro di prevenzione.

L'articolo 39 stabilisce, in applicazione della delega  (25), che l'azione di prevenzione possa essere esercitata anche indipendentemente dall'esercizio dell'azione penale.
La disposizione, di carattere generale perché relativa sia alle misure personali sia a quelle patrimoniali, prevede (conformemente alla disciplina vigente) che il PM (unico organo proponente titolare anche dell'esercizio dell'azione penale) promuove il procedimento di prevenzione (personale e/o patrimoniale) indipendentemente dall'esercizio dell'azione penale (e/o anche con riferimento alla richiesta di sequestro e confisca dei beni in tale sede).
Quanto ai rapporti tra misura cautelare (penale) e misura patrimoniale di prevenzione, l'articolo 2-ter, comma 9, della legge 575/65, prevede la prevalenza del provvedimento emesso nel processo penale  (26), con sospensione (di diritto) di quello di prevenzione. Nel caso in cui la confisca penale divenga definitiva cessano (di diritto) gli effetti del sequestro o della confisca di prevenzione. Naturalmente se non vi è piena coincidenza dei beni la sospensione e l'estinzione operano solo con riferimento ai beni oggetto di entrambi i provvedimenti.
L'articolo 40, in attuazione della delega  (27), prevede la prevalenza del sequestro di prevenzione disciplinando i rapporti tra i due procedimenti  (28).

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7.7 - Le misure di prevenzione patrimoniali diverse dalla confisca.

Meramente ricognitive sono alcune disposizioni in tema di misure patrimoniali diverse dalla confisca, per le quali si applica il procedimento in precedenza descritto (salve apposite disposizioni):
a) cauzione e garanzie reali, nonché confisca della cauzione (articoli 41 e 42 del codice; articolo 3-bis legge 575/65, col solo inserimento della fattispecie penale nel titolo IV e della norma dell'articolo 3-ter nella parte relativa al procedimento);
b) amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economica (articolo 44), così ridefinita La sospensione temporanea dall'amministrazione dei beni (articoli 3-quater e 3-quinquies legge 575/65), con opportuni adattamenti in tema di procedimento (e inserimento della fattispecie penale nel titolo IV).

In assenza di delega si introduce un'ulteriore misura di prevenzione patrimoniale, l'Amministrazione giudiziaria dei beni personali (articolo 43):
applicabile nei confronti dei soggetti indicati nell'articolo 14, comma 1, lettere c), d), e), f), g) e h),
irrogabile in aggiunta a una delle misure di prevenzione previste dall'articolo 16, ovvero in sua sostituzione se ritenuta sufficiente ai fini della tutela della collettività.
che comprende i beni personali, esclusi quelli destinati all'attività professionale o produttiva,
i cui presupposti consistono nell'esistenza di sufficienti indizi che la libera disponibilità dei medesimi agevoli comunque la condotta, il comportamento o l'attività socialmente pericolosa;
che può essere imposta per un periodo non eccedente i 5 anni. Alla scadenza può essere rinnovata se permangono le condizioni in base alle quali è stata applicata.

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Con il provvedimento con cui applica l'amministrazione giudiziaria dei beni il giudice nomina l'amministratore giudiziario di cui all'articolo 45.
Si tratta, in definitiva, di una misura che si tenta di costruire sulla scia dell'amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economica (articolo 44) ma riferibile a diverse pericolosità.
Appare singolare l'introduzione di una nuova misura patrimoniale, di cui non vi è menzione nella relazione, così incisiva, pur in assenza di principi o criteri direttivi, non rinvenibili nella disposizione generale sulla definizione in maniera organica della categoria dei destinatari delle misure di prevenzione personali e patrimoniali (articolo 1, comma 3. lettera a, n. 5 legge 136/10).
Sono prevedibili (oltre a questioni di costituzionalità per eccesso di delega) non pochi problemi applicativi.

8 - Il Libro II, titolo III: l'amministrazione, la gestione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati (articoli da 45 a 61).

Il titolo III raccoglie le disposizioni vigenti in tema di amministrazione, gestione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati, con un'operazione generalmente meramente ricognitiva dell'attuale normativa ad eccezione del regime fiscale dei beni.

8.1 - l'amministrazione e la gestione dei beni sequestrati.

L'amministrazione e la gestione dei beni sequestrati sono disciplinate dagli articoli da 46 a 53 che sono in gran parte ricognitivi della disciplina vigente contenuta negli articoli 2-sexies e ss legge 575/65.

8.2 L'amministratore giudiziario.

Si riportano solo le disposizioni più significative non meramente ricognitive.
Si prevede l'attribuzione della qualità di pubblico ufficiale dell'amministratore (articolo 45, comma 5), peraltro già desumibile dalla disciplina.
È indicato il contenuto minimo necessario della relazione dell'amministratore, individuato sulla base di alcune prassi (articolo 46).
Sono indicati (articolo 47) i compiti dell'amministratore sulla tenuta del registro delle operazioni (oggi previsto dal decreto ministeriale 1o febbraio 1991, n. 293).
S'introduce la possibilità da parte dell'amministratore (ovviamente su autorizzazione del giudice delegato) di avvalersi dell'Avvocatura dello Stato per la rappresentanza e l'assistenza legali nelle controversie concernenti il procedimento di prevenzione, in attuazione della delega  (29) (articolo 49).

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Attualmente l'Avvocatura dello Stato interviene solo dopo la confisca definitiva, per difendere l'amministrazione, e con l'operatività della normativa dell'Agenzia Nazionale potrà difendere questa anche quando esercita le funzioni di amministrazione giudiziario.
La concentrazione delle difese dell'amministrazione in capo all'Avvocatura semplificherà la gestione delle azioni giudiziarie intraprese e subite e ridurrà le spese oggi sostenute per pagare professionisti privati.
Si prevede la possibilità di impugnare gli atti dell'amministratore giudiziario (compiuti in violazione del decreto) da parte del pubblico ministero del proposto e di ogni altro interessato, attraverso reclamo, nel termine perentorio di dieci giorni, al giudice delegato che, entro i dieci giorni successivi, provvede ai sensi degli articoli 737  (30) e seguenti del codice di procedura civile (articolo 50 comma 5).

8.3 - Beni sequestrati e Fondo Unico Giustizia.

Si coordinano le disposizioni vigenti con quelle del Fondo unico giustizia (articolo 47, commi 3 e 4). Si conferma che le somme derivanti dalla gestione di aziende non sono versate a tale fondo, sono intestate alla procedura e i relativi prelievi possono essere effettuati nei limiti e con le modalità stabilite dal giudice delegato.
Il mero dato letterale della disposizione rischia di vanificare quelle interpretazioni (prevalenti) secondo cui non vanno devoluti al FUG le somme riscosse a qualunque titolo da beni immobili non riferibili a complessi aziendali; interpretazione idonea a fronteggiare gli evidenti problemi che comporta la gestione di tali beni, con necessità continua di disponibilità di somme per le spese di conservazione e mantenimento dell'immobile (ad esempio: spese di amministrazione straordinaria ricadenti sul proprietario).

8.4 - Il sequestro di azienda.

Si introducono alcune disposizioni innovative nel caso di sequestro di aziende (articolo 51)
Si prevede (così come avveniva nella prassi) che i rapporti giuridici connessi all'amministrazione dell'azienda siano regolati dalle norme del codice civile, ove non espressamente altrimenti disposto.
Si precisa che, nel caso in cui l'attività imprenditoriale non possa proseguire o riprendere, il tribunale, acquisito il parere del pubblico ministero e dell'amministratore giudiziario, disponga la messa in liquidazione dell'impresa.
In caso di insolvenza, si applicano le norme sulla richiesta di fallimento (articolo 73, comma 1).

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Nel caso di sequestro di partecipazioni societarie che assicurino le maggioranze necessarie per legge, l'amministratore giudiziario può, previa autorizzazione del giudice delegato:
a) convocare l'assemblea per la sostituzione degli amministratori;
b) impugnare le delibere societarie di trasferimento della sede sociale, di trasformazione, fusione, incorporazione o estinzione della società, nonché di ogni altra modifica dello statuto che possa arrecare pregiudizio agli interessi dell'amministrazione giudiziaria.

La norma opportunamente chiarisce, conformemente all'orientamento maggioritario  (31), che nel caso di sequestro di quote sociali (a differenza dell'ipotesi di sequestro di azienda dell'imprenditore individuale) l'amministratore giudiziario non subentra nella qualità di amministratore (e legale rappresentante) della società, potendo con la maggioranza necessaria convocare l'assemblea della società (nelle forme previste dal codice) e procedere alla sostituzione degli amministratori (secondo le indicazioni del giudice delegato).
La normativa è ancora carente con riferimento:
1) al rapporto tra sequestro di quote sociali e sequestro dei beni aziendali della/e impresa/e esercitate dalla società (consentita anche dall'articolo 104 dis. att. c.p.p.). È noto che per prassi spesso si procede al sequestro non solo delle quote sociali ma anche dei beni aziendali strumentali all'esercizio dell'impresa (collettiva), con trascrizione sui beni immobili e mobili registrati di proprietà della società. Sarebbe opportuno precisare se tale sequestro è consentito solo nel caso in cui l'oggetto sia costituito dalla totalità delle quote ovvero almeno della maggioranza delle quote;
2) al rapporto tra amministratore giudiziario e amministratore della società (ovviamente nel solo caso di sequestro maggioritario di quote). Nella prassi si è ritenuto che il coordinamento tra le norme codicistiche e quelle in materia di misure di prevenzione (specificamente del sequestro dei beni aziendali) comporta che l'amministratore eserciti uno stringente controllo sulle attività imprenditoriali (con obbligo di munirsi delle relative autorizzazioni del giudice delegato) a partire dal controllo delle attività di cassa e di pagamenti.
3) agli effetti che derivano dal sequestro di quote di società di persone che sembrano essere diversificati anche in base alla qualità del socio le cui quote sono sequestrate;
4) agli effetti derivanti dal provvedimento di prosecuzione dell'impresa, con riferimento a tutte quelle attività che richiedono autorizzazioni e provvedimenti abilitativi di natura personale che rischiano di ritenersi caducati a seguito del sequestro e dell'estromissione del proposto ovvero del venir meno dei requisiti in capo al proposto (farmacie, tabaccherie, imprese edili, etc.).

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Il provvedimento del Tribunale, attestando la volontà di proseguire l'impresa sottoposta a sequestro ai sensi della legge antimafia, assume particolare rilievo anche perché consente il prosieguo dell'attività sotto la direzione degli organi dello Stato che devono garantirne l'allontanamento dal circuito illegale; vanno, pertanto, opportunamente coordinate le disposizioni che prevedono l'adozione di provvedimenti amministrativi nei confronti del proposto e/o dei terzi intestatari da cui discende la cessazione dell'attività imprenditoriale conseguente all'infiltrazione criminale dovendo - comunque - essere assicurato il prosieguo dell'attività deliberata dal Tribunale.

8.5 - I beni ubicati all'estero.

L'articolo 1, comma 3, lettera b) n. 2) prevede di disciplinare l'ipotesi in cui «la confisca possa essere eseguita anche nei confronti di beni localizzati in territorio estero».
Si tratta di un'ipotesi più volte esaminata dalla giurisprudenza di merito e che appare talvolta problematica per le vigenti disposizioni internazionali che consentono generalmente il riconoscimento e l'esecuzione di un provvedimento reale su beni esistenti all'estero solo se fondato sulla commissione di reati, non conoscendo altri sistemi la materia delle misure di prevenzione.
Le misure di prevenzione rappresentano, sostanzialmente, un unicum nel panorama giuridico internazionale perché tendono a colpire il patrimonio della persona pericolosa indipendentemente dall'accertamento di un commesso reato.
La diffusa esigenza di introdurre misure svincolate all'accertamento di un nesso causale tra i beni da confiscare e il reato ha indotto alcuni ordinamenti a introdurre diversi sistemi non facilmente assimilabili alle misure di prevenzione  (32).
Si possono ricordare alcune legislazioni di paesi anglosassoni che prevedono sistemi di confisca di beni attraverso azioni definite actio in rem che si sviluppano attraverso meccanismi probatori più assimilabili al diritto civile che al diritto penale, legati o meno all'accertamento della responsabilità penale.
L'assenza di una condanna in sede penale rende problematico il riconoscimento all'estero del sequestro e della confisca di prevenzione  (33), sempre che non esista un apposito trattato bilaterale  (34).
Nella pratica si registrano casi di esecuzione di misure di prevenzione patrimoniali all'estero, fatti scaturire o dal richiamo nel

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provvedimento di prevenzione dell'intervenuto parallelo accertamento operato con una sentenza penale di condanna  (35) ovvero dall'assimilazione ad analoghi istituti  (36).
Peraltro la dimensione economica transazionale che la criminalità organizzata sta assumendo, spinge l'ordinamento europeo e internazionale in una duplice direzione: l'introduzione o il rafforzamento di forme di confisca allargata assimilabili alle misure di prevenzione patrimoniali, e la tendenza ad adeguare la cooperazione tra gli Stati con il più ampio riconoscimento dei provvedimenti emessi secondo le diverse legislazioni nazionali  (37).
Pur in presenza di un quadro problematico lo schema di decreto omette ogni regolamentazione lanciando un segnale non positivo in una materia che richiede soluzioni adeguate anche all'evolversi dei tempi e della legislazione internazionale di riferimento. Nel decreto legislativo non vi è alcuna norma con riferimento «all'adeguamento della normativa italiana alle disposizioni adottate dall'Unione europea» né all'esecuzione della confisca localizzati al di fuori del territorio nazionale nonostante la lettera d) del punto 2) dell'articolo 1 della legge 13 agosto 2010 n.136 prevede «l'adeguamento della normativa italiana alle disposizioni adottate dall'Unione europea» la lettera b) del punto 9) dell'articolo 1 prevede «in relazione alla misura di prevenzione della confisca dei beni che la confisca possa essere eseguita anche nei confronti di beni localizzati in territorio estero»
Nessuna delle disposizioni adottate dall'Unione Europea in materia di sequestro e confisca dei patrimoni illeciti risulta recepita dall'Italia in particolare il riferimento è alle seguenti decisioni quadro adottate dal Consiglio dell'Unione Europea:
DECISIONE QUADRO 2005/212/GAI DEL CONSIGLIO del 24 febbraio 2005 relativa alla confisca di beni, strumenti e proventi di reato;
DECISIONE QUADRO 2006/783/GAI del Consiglio, del 6 ottobre 2006, relativa all'applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca

9. - L'Agenzia Nazionale l'amministrazione nella fase del sequestro e nella fase di gestione dei beni confiscati in primo grado.

9.1 - La natura ricognitiva della delega.

Le norme sulla competenza dell'Agenzia sembrano risentire di una non piena consapevolezza del ruolo (molto importante) svolto da

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questo organo di cui da tempo si chiedeva l'istituzione e che solo recentemente è in funzione (decreto-legge 4/10, convertito in legge 50/10), seppur con risorse estremamente limitate.
La legge 136/10 delega il Governo alla redazione del codice attraverso un'opera di ricognizione, coordinamento e armonizzazione della normativa vigente in materia di misure di prevenzione, anche con riferimento alle norme concernenti l'istituzione dell'Agenzia nazionale (articolo 1, comma 3). Non è previsto alcun aggiornamento o modifica con riferimento all'Agenzia nazionale, non essendovi alcun principio o criterio direttivo in tale materia.

9.2 - La destinazione dei beni confiscati.

Gli articoli da 55 a 59 disciplinano la destinazione dei beni confiscati in via definitiva ripercorrendo in gran parte le norme vigenti (articoli 2-nonies e seguenti legge 575/65) con alcune innovazioni rilevanti che si evidenziano (omettendo ogni riferimento alla parte ricognitiva).
L'articolo 55 comma 1, con una norma che si invocava da tempo, precisa gli effetti della confisca definitiva che comporta l'acquisizione dei beni al patrimonio dello Stato liberi da oneri e pesi.
Si chiarisce, univocamente, che con la confisca definitiva si estinguono i diritti reali di garanzia (e di godimento) gravanti sui beni, pur se trascritti anteriormente.
La questione è di notevole rilevanza con specifico riferimento al diritto reale di garanzia dell'ipoteca trascritto anteriormente al sequestro generalmente da istituti di credito a garanzia di mutui concessi al proposto o ai terzi intestatari, semmai con pignoramento immobiliare e proceduta di espropriazione in corso.
L'esistenza di questi gravami rendeva incerta e rallentava la destinazione dei beni, ragion per cui si invocava una disciplina che, fermo restando il riconoscimento della tutela della buona fede, liberasse i beni, con immediatezza e senza incertezze, da tali gravami per consentirne la destinazione.
Lo schema di decreto dà attuazione a una delega che presentava ampi margini d'incertezza.
Rinviando l'esame di tale problematica alla sede propria della tutela dei creditori, preme rilevare che, al fine di evitare qualsivoglia incertezza, che certamente sarebbe utilizzata in sede di ricorsi e impugnazioni, andrebbe modificato l'inciso fatta salva la tutela dei terzi disciplinata dal titolo IV del presente decreto, con una formulazione idonea a evitare interpretazioni riduttive proponibili innanzi al giudice civile cui i titolari di ipoteca potrebbero rivolgersi. Si suggerisce di riservare al comma 1 l'affermazione dell'acquisizione da parte dello Stato del bene e spostare in un successivo autonomo comma, così evitando ogni equivoco, il riferimento alla tutela dei terzi  (38).
L'articolo 56 disciplina la restituzione per equivalente, prevedendo l'onere di pagamento a carico dell'amministrazione assegnataria del bene.

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La norma, che può causare rilevanti problemi di bilancio (oltre che di alea) agli enti locali destinatari, non considera che il bene sia di proprietà dello Stato, ragion per cui appare iniquo porre a carico dell'ente locale l'onere finanziario, peraltro sulla base di una valutazione (sulla restituzione per equivalente) rimessa al tribunale.
La destinazione del bene (art, 57) è sospesa fino all'ultimazione del procedimento relativo alla tutela dei creditori in buona fede, con l'inevitabile rischio di inaccettabili e lunghi differimenti  (39).
Il procedimento di destinazione dei beni (articolo 57) è coordinato con la normativa del FUG, prevedendosi che le disposizioni sulla destinazione delle somme non si applicano ai beni aziendali, trattandosi di massa inscindibile.
Si prevede la vendita delle partecipazioni societarie, con una scelta che desta grandissime perplessità nel caso di sequestri maggioritari o totalitari, con aziende operative.
L'attuazione di questa norma comporta che in presenza di attività imprenditoriali gestite da società, le cui quote sono state confiscate, si procede sempre e comunque alla vendita (delle quote e, dunque, dei beni della società), vanificando la funzione sociale della confisca di prevenzione, che prevede per le aziende la vendita in alternativa all'affitto anche a titolo gratuito a cooperative.
La norma va rivista prevedendo la vendita delle sole partecipazioni minoritarie (ovvero all'ipotesi scarsamente probabile di quote di società prive di aziende) con modalità tali da garantire i livelli occupazionali.
Sarebbe opportuno prevedere la pubblicità della destinazione dei beni (come avviene in parte già oggi) tramite il sito dell'Agenzia nazionale, con onere degli enti destinatari di fare inserire tutti gli elementi relativi all'eventuale assegnazione e utilizzazione, con periodico aggiornamento. L'attuale forma di pubblicità (parziale) demandata agli enti locali non sempre è assicurata in modo idoneo.
La trasparenza dell'assegnazione e utilizzazione dei beni è elemento essenziale per consentire il raggiungimento delle finalità sociali previste dalla legge.
Si prevede una specifica destinazione delle somme derivanti dalla vendita dei beni immobili (estrema ratio) o dall'affitto o vendita delle aziende.
Appare eccentrica la scelta di lasciare in questa parte la disposizione relativa alla possibilità, da parte dell'autorità giudiziaria di affidare in custodia giudiziale beni sequestrati - mobili, anche iscritti in pubblici registri, le navi, le imbarcazioni, i natanti e gli aeromobili - agli organi di polizia anche per le esigenze di polizia giudiziaria, che ne facciano richiesta per l'impiego in attività di polizia, ovvero possono essere affidati all'Agenzia o ad altri organi dello Stato o ad altri enti pubblici non economici, per finalità di giustizia, di protezione civile o di tutela ambientale. La norma andrebbe inserita nella

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parte relativa alla gestione dei beni sequestrati. Sarebbe opportuno prevedere la competenza in capo (non all'Autorità giudiziaria) al giudice delegato (essendovi oggi incertezze sul punto).
L'articolo 60 conferma l'attuale disposizione in tema di sospensione delle procedure esecutive (atti di pignoramento e provvedimenti cautelari) da parte di concessionari di riscossione pubblica, correggendo un refuso in cui si parlava di sequestro di società e non di partecipazioni societarie e di estinzione per confusione. La norma va coordinata con quella di carattere generale in tema di sospensione delle azioni esecutive (articolo 65).
L'articolo 61, in attuazione della delega  (40), disciplina la tassazione dei redditi derivanti dai beni sequestrati, affrontando un tema che aveva portato a opposte conclusioni.
In particolare:
a) i redditi derivanti dai beni sequestrati continuano a essere assoggettati a tassazione con riferimento alle categorie di reddito previste dall'articolo 6 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (decreto del Presidente della Repubblica 917/86) con le medesime modalità applicate prima del sequestro;
b) se il sequestro si protrae oltre il periodo d'imposta in cui ha avuto inizio, il reddito derivante dai beni sequestrati, relativo alla residua frazione di tale periodo e a ciascun successivo periodo intermedio è tassato in via provvisoria dall'amministratore giudiziario, che è tenuto, nei termini ordinari, al versamento delle relative imposte, nonché agli adempimenti dichiarativi e, ove ricorrano, agli obblighi contabili e quelli a carico del sostituto d'imposta di cui al decreto del Presidente della Repubblica 600/73;
c) in caso di confisca la tassazione operata in via provvisoria si considera definitiva. In caso di revoca del sequestro l'Agenzia delle Entrate effettua la liquidazione definitiva delle imposte sui redditi calcolate in via provvisoria nei confronti del soggetto sottoposto alla misura cautelare.

Non si affronta il problema del pagamento dell'ICI che secondo un orientamento resta a carico del proprietario dell'immobile. Non si interviene in materia di tassazione di redditi delle persone giuridiche e di tassazione indiretta, imposte per le quali si è sempre ritenuta l'applicabilità delle norme vigenti.

10 - Il Libro II, titolo IV: la tutela dei terzi e i rapporti con le procedure concorsuali (articoli da 62 a 75).

Il termine terzi nella materia della prevenzione può assumere diversi significati:
a) terzi formali intestatari dei beni ovvero terzi intestatari, sono i formali titolari del bene (sulla base delle disposizioni del diritto civile) ritenuto nella disponibilità indiretta del proposto. Si è ricordato

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che sono chiamati nel procedimento per fare valere le proprie pretese in ordine alla effettiva titolarità del bene e ottenere la revoca del sequestro (articolo 33);
b) terzi interessati dal provvedimento, sono coloro che, senza assumere la qualità sub a) (ovvero di creditori), sono coinvolti dal provvedimento di sequestro per gli effetti che possono derivare dalla confisca definitiva. Sono i titolari di diritti reali o personali di godimento, chiamati in giudizio (articolo 33), ma anche i partecipanti in comunione;
c) terzi titolari di diritti di credito, garantiti o meno da diritti reali di garanzia, sono coloro che vantano un diritto di credito nei confronti del proposto o del titolare formale del bene sequestrato, sorto prima dell'esecuzione del sequestro. Possono essere titolari, a tutela del credito di un diritto reale di garanzia.

Il tema della tutela dei terzi di cui alle lettere b) e c), perciò non destinatari del provvedimento, privo di espressa disciplina per lungo tempo, è stato oggetto di studio e proposte da parte della Commissione Fiandaca, operante nella XIII legislatura, e oggetto di numerose decisioni. Su di esso il legislatore è intervenuto parzialmente solo di recentemente (articolo 2-ter, comma 5, secondo periodo, legge 575/65  (41)) con una norma non ancora operativa.
La difficoltà della regolamentazione deriva dal problema di conciliare la tutela dei diritti dei terzi con la prevenzione dei rischi derivanti da precostituzione di posizioni creditorie di comodo che consentano di aggirare gli esiti dell'azione di prevenzione. A ciò si aggiunge la necessità di evitare appesantimenti del procedimento di prevenzione derivanti dalla necessità di accertare la buona fede dei terzi ovvero di rallentare o bloccare il procedimento di destinazione dei beni confiscati definitivamente a causa di diritti di garanzia iscritti.
Va corretta la numerazione dell'articolo 64 (Pagamento di crediti prededucibili), risultando i commi 1, 2 e 4 che dovrebbe diventare 3.
In evidente violazione della delega  (42) l'articolo 73 prevede il soddisfacimento nei limiti del valore dei beni e non nel limite del 70 per cento del valore dei beni sequestrati al netto delle spese del procedimento. La relazione non offre alcun chiarimento sul punto.
La norma tende a favorire in maniera eccessiva i creditori, spesso rappresentati da istituti di credito, e non considera che (qualora non sia stato richiesto il fallimento) l'esito della confisca potrebbe essere in perdita per lo Stato avendo sostenuto spese per l'amministratore e per altre somme anticipate dallo Stato nel corso del procedimento.
Né può ritenersi incostituzionale una disciplina che non assicuri una piena tutela ai creditori con titolo precedente al sequestro, come ritenuto da numerose decisioni, intervenendo un provvedimento ablatorio dello Stato su beni di provenienza illecita.

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11 - Il Libro II - Le abrogazioni e le disposizioni transitorie.

Per ragioni sistematiche si affronta in questa parte il tema delle abrogazioni e disposizioni transitorie in materia di misure di prevenzione, disciplinata in modo carente nel Libro V.

11.1 - Le abrogazioni e le disposizioni transitorie. Le gravi carenze del testo.

La legge delega prevede che il decreto delegato contenga una disciplina transitoria per i procedimenti di prevenzione in ordine ai quali sia stata avanzata proposta o applicata una misura alla data di entrata in vigore del decreto legislativo  (43) oltre che l'abrogazione espressa della normativa incompatibile con le disposizioni del decreto legislativo  (44).
Lo schema di decreto risulta, invece, gravemente carente sia sotto il profilo delle abrogazioni che per la disciplina transitoria.
Una corretta tecnica legislativa richiede l'espressa abrogazione delle disposizioni recepite o modificate dal nuovo intervento, in particolare in presenza di testi unici che si inseriscono in modo massiccio sul tessuto normativo. Solo l'abrogazione delle disposizioni previgenti consente di evitare problemi interpretativi che si riflettono seriamente sull'applicazione delle nuove disposizioni; ciò è ancora più necessario in una materia estremamente delicata, quale quella delle misure di prevenzione, che incide in modo significativo sulla libertà delle persone e consente di contrastare le organizzazioni criminali di tipo mafioso anche attraverso l'aggressione ai patrimoni illecitamente accumulati. Manca del tutto la normativa sulle abrogazioni indicate come implicite solo in un documento tecnico di accompagnamento al decreto che, ovviamente, non produce alcuna efficacia.
Nello schema di decreto l'unico riferimento all'abrogazione implicita è contenuto nell'articolo 128 secondo cui i richiami alle disposizioni di alcune norme, tra cui quelle contenute nella legge 27 dicembre 1956, n. 1423 e nella legge 31 maggio 1965, n. 575, ovunque presenti, si intendono riferiti alle corrispondenti disposizioni contenute nel decreto (commi 2 e 3).
In ogni caso l'articolo 128 prevede, al più, un'abrogazione implicita solo delle disposizioni delle due leggi citate ma non consente di desumere le ulteriori e significative abrogazioni implicite che dovranno essere individuate dall'interprete, con i rischi evidenziati.
Maggiori effetti derivano dalla sostanziale assenza di norme transitorie.
Solo l'articolo 129 prevede una disciplina transitoria, ai primi 7 commi riproducendo le medesime disposizioni contenute nella legge 50/10 per l'Agenzia nazionale, e al comma 8 stabilendo che i termine d'efficacia del sequestro (articoli 34 comma 2 e 37 comma 6) si

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applicano solo ai procedimenti per i quali la proposta sia stata avanzata successivamente all'entrata in vigore del decreto delegato.
L'assenza di un'organica disciplina transitoria e la presenza dell'articolo 129 che prevede il differimento esplicito per due norme, induce a concludere per l'immediata applicabilità di tutte le (numerosissime) norme innovative o modificative introdotte dal codice, anche in applicazione del principio generale tempus regit acrum e di retroattività delle leggi in materia di misure di prevenzione.
È noto che le norme in materia di prevenzione trovano applicazione anche con riferimento a condotte poste in essere prima della loro entrata in vigore. Dovendo essere espresso un giudizio di pericolosità sociale nei confronti del proposto, si deve necessariamente fare riferimento al momento attuale della decisione, anche se le occasioni e le ragioni su cui poggia tale pericolosità sono desunte da comportamenti e circostanze pregresse, le quali, nella logica del sistema creato dalle norme di prevenzione, riverberano sul tempo futuro le conseguenze del loro valore sintomatico.
Medesime conclusioni sono raggiunte per le proposte di sequestro e confisca avanzate ai sensi di nuove normativa, nel senso che possono essere oggetto della misura patrimoniale i beni che risultino acquisiti al patrimonio del soggetto in epoca precedente all'entrata in vigore della nuova disposizione  (45).

11.2 - La mancanza di disciplina transitoria sulla tutela dei terzi, in particolare i titolari di diritti di garanzia.

Gli effetti dell'immediata applicabilità dell'intero codice delle misure di prevenzione emergono in tutta la loro evidenza con riferimento alla tutela dei terzi e al relativo procedimento che dovrebbe essere attivato in tutti i casi in cui il procedimento di prevenzione non si è ancora concluso con la confisca definitiva, con un notevole e non sostenibile aggravio.
Dovrebbe prevedersi l'applicabilità della nuova disciplina sulla tutela dei terzi titolari di diritti di credito almeno per i procedimenti per i quali il sequestro è eseguito successivamente all'entrata in vigore del decreto. Solo per i titolari di diritti reali di garanzia è opportuno procedere diversamente (confronta oltre).
La disposizione non potrebbe essere ritenuta incostituzionale per disparità di trattamento, limitandosi a differire gli effetti della nuova normativa, confermando quella preesistente, che riconosce tutela ai soli titolari di diritti reali di garanzia.

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In ogni caso è opportuna una specifica disposizione transitoria per la disciplina dei titolari di diritti reali di garanzia
Si è spiegato in precedenza quali rimedi ha individuato la giurisprudenza a tutela di tali terzi (proposizione di incidente di esecuzione al giudice della prevenzione, ammissibile in ogni tempo, con onere di dimostrare la buona fede e l'inconsapevole affidamento nella concessione del credito) e l'effetto che deriva sulla destinazione del bene gravato da ipoteca iscritta anteriormente che non viene destinato perché si chiede generalmente all'ente destinatario di impegnarsi a pagare l'importo eventualmente liquidato in favore del creditore all'esito del procedimento di riconoscimento della buona fede.
Si legge nella Rapporto 2011 Un anno di attività dell'Agenzia nazionale  (46) che la più rilevante criticità rilevata per la destinazione dei beni confiscati è rappresentata dall'esistenza di ipoteche. Al 31.12.2010) vi sono 2.944 beni immobili da destinare, di cui 1.457 con ipoteche (991 volontarie e 335 giudiziarie).
Il codice rappresenta un'occasione unica per affrontare il problema delle ipoteche gravanti sui beni sequestrati e su quelli confiscati in via definitiva, attraverso opportune norme transitorie legittimate dalla delega e dalla nuova disciplina.
Per i procedimenti pendenti all'atto dell'entrata in vigore del decreto è opportuno prevedere l'applicabilità delle nuove disposizione, quindi anche quelle in tema di riconoscimento della buona fede.
Deve, comunque, essere disciplinato l'esito dei procedimenti in corso (iniziati innanzi al tribunale quale giudice dell'esecuzione) non ancora definiti, prevedendo la prosecuzione sulla base delle disposizioni previgenti per evitare un ulteriore rallentamento della procedura, eventualmente richiamando le disposizioni introdotte in tema di presupposti della buona fede.
Per i beni confiscati definitivamente all'atto dell'entrata in vigore del decreto è opportuno prevedere che i titolari di ipoteca siano tenuti ad attivare il procedimento di riconoscimento della buona fede.
Potrebbe prevedersi di procedere sulla base della nuova disciplina, opportunamente modulata con istanza proposta al giudice delegato, anche se sembra più rispondente ai principi ritenere applicabile il diritto vivente previgente, con istanza da presentare, ai sensi dell'articolo 665 c.p.p. innanzi al giudice dell'esecuzione della prevenzione  (47), entro un termine determinato, fissato a pena di decadenza, indicato nel decreto decorrente dall'entrata in vigore del decreto ovvero dalla messa in mora da parte dell'Agenzia, con applicabilità delle nuove disposizione in tema di presupposti della buona fede.
Una norma di questo tenore indurrebbe gli istituti di credito a scegliere se attivare o meno il procedimento, preferendo spesso lasciare inalterata la situazione che consente di contabilizzare il credito, seppur in sofferenza, laddove il rigetto dell'istanza comporta il passaggio del credito concesso a perdita  (48).

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Sarebbe quanto mai opportuno prevedere, nel caso di rigetto della domanda, la comunicazione del decreto all'Autorità preposta alla vigilanza degli istituti di credito (Banca d'Italia), in presenza di un provvedimento giurisdizionale che attesta la mancanza di buona fede nella concessione del credito a soggetti pericolosi  (49).

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Il Libro III, Nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia (articolo da 92 a 111), razionalizza, secondo l'intenzione del Governo, il procedimento per il rilascio della documentazione antimafia.

12 - Il Libro IV - Titolo I - Le attività informative ed investigative nella lotta contro la criminalità organizzata. L'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (articoli da 112 a 124), raccoglie le disposizioni sulla Direzione distrettuale antimafia, la Procura nazionale antimafia, il Consiglio generale per la lotta alla criminalità organizzata, la Direzione investigativa antimafia, l'istituzione ed al funzionamento dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.

13 - Libro IV - Titolo II - Attività informative e investigative nella lotta contro la criminalità organizzata. L'Agenzia Nazionale.

Il Libro IV si limita a raccogliere le disposizioni vigenti in tema di Procura nazionale antimafia, Direzione distrettuale antimafia, Consiglio generale per la lotta alla criminalità organizzata, Direzione investigativa antimafia ed Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, con le sole modifiche (essenzialmente in ordine ai riferimenti interni) dettate dalla necessità di rendere il testo compatibile con la sua nuova collocazione.
Il libro è composto da due distinti titoli:
a) il primo, relativo alle attività informative ed investigative nella lotta contro la criminalità organizzata, raccoglie le vigenti disposizioni sulla Direzione distrettuale antimafia (articolo 70-bis del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12), sulla Procura nazionale antimafia (articoli 76-bis, 76-ter, 110-bis e 110-ter del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12), il Consiglio generale per la lotta alla criminalità organizzata e la Direzione investigativa antimafia (articoli 1, 3, 3-bis, 4 e 5 del decreto-legge 29 ottobre 1991, n. 345, convertito in 1. 30 dicembre 1991, n. 410).
Non sembra opportuno, in considerazione del limite complessivo evidenziato del testo unico, trasferire nel codice (non esaustivo) disposizioni che più puntualmente devono essere contenute nell'ordinamento giudiziario;
b) il secondo contiene tutte le disposizioni del decreto-legge 4 febbraio 2010, n. 4, convertito in 1. 31 marzo 2010, n. 50, relative all'istituzione ed al funzionamento dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.

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14 - Il Libro V, Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e alla legislazione penale complementare. Abrogazioni. Disposizioni transitorie e di coordinamento (articoli da 125 a 131) contiene le norme transitorie, di coordinamento, di abrogazione e di modifica della legislazione vigente ritenute necessarie a seguito dell'entrata in vigore del Codice delle leggi antimafia.

15 - Libro V - Modifiche alla legislazione vigente, disposizioni transitorie e di coordinamento.

Nel Libro V sono raccolte le norme transitorie, di coordinamento, di abrogazione e di modifica della legislazione vigente ritenute necessarie.
L'articolo 128, più volte menzionato, invece di provvedere all'abrogazione di norme si limita a prevedere (tra l'altro) che dalla data di entrata in vigore del decreto:
i richiami alle disposizioni di cui agli articoli 416-bis, 416-ter e 417 del codice penale, ovunque presenti, si intendono rispettivamente riferiti alle corrispondenti disposizioni di cui agli articoli 1, 2, 3 e 7 del decreto (comma 1);
i richiami alle disposizioni contenute nella legge 27 dicembre 1956, n. 1423, ovunque presenti, si intendono riferiti alle corrispondenti disposizioni contenute nel decreto (comma 2);
-i richiami alle disposizioni contenute nella legge 31 maggio 1965, n. 575, ovunque presenti, si intendono riferiti alle corrispondenti disposizioni contenute nel decreto (comma 3).

L'articolo 129 conferma la disciplina transitoria prevista per l'Agenzia dal decreto-legge 4/10 convertito in legge 50/10 e prevede la ricordata norma transitoria in materia di termini di efficacia del sequestro di prevenzione.
L'articolo 130 prevede disposizioni finanziarie.
L'articolo 131 Entrata in vigore interviene solo sul Libro III con una disposizione incompleta Le disposizioni dei Capi I, II, III e IV del Libro III entrano in vigore decorsi 24 mesi dalla data di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del regolamento ovvero, quando più di uno, dell'ultimo dei regolamenti di cui all'articolo 109, comma 1.
Nell'esame dei Libri I e II si è evidenziata la gravità della scelta di non operare abrogazioni espresse e di non prevedere opportune norme transitorie.

16 - Conclusioni.

L'obiettivo della redazione di un testo unico delle leggi antimafia (penali e di prevenzione) va condiviso. È utile e necessaria l'organica sistemazione della delicata e complessa materia.
Un corpo normativo unico agevola l'azione di contrasto alle organizzazioni di tipo mafioso consentendo un pieno coordinamento

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tra tutte le disposizioni, evitando sovrapposizioni e incertezze interpretative, semplificando l'inserimento organico delle modifiche successive.
Lo schema di decreto legislativo, anche per i limiti derivanti della legge delega - che non prevede principi e criteri direttivi in materia penale - e per l'oggettiva difficoltà di procedere a un'opera meramente ricognitiva, non interviene in maniera significativa sull'articolata legislazione penale antimafia, inserendo nel codice solo poche disposizioni estrapolate dal codice penale e da leggi speciali.
L'operazione, peraltro, comporta notevoli problemi interpretativi che vanno risolti con la stesura definitiva, al fine di evitare effetti negativi sui procedimenti in corso.
La parte relativa alle misure di prevenzione, anche grazie a un'articolata delega, rappresenta un corpo organico che, oltre a coordinare la normativa vigente, introduce nuove disposizioni, in particolare in materia di tutela dei terzi.
La problematicità della materia e il non sufficiente approfondimento sono le principali ragioni di numerose criticità che possono essere risolte nella stesura definitiva evitando così di disperdere l'opportunità costituita dalla creazione di un unico testo normativo che riduca problemi interpretativi e applicativi.
È necessario, inoltre, tenere conto delle maggiori competenze del Tribunale della prevenzione, procedendo a opportune modifiche (oltre che prevedere un potenziamento di questo settore) per consentire un'adeguata risposta alle nuove esigenze.
Sullo sfondo si pone il problema della razionalizzazione degli strumenti (penale e di prevenzione) di aggressione ai patrimoni illecitamente accumulati.
Si sovrappongono disposizioni (penali e di prevenzione) che è problematico coordinare, con conseguente dispiego di energie investigative nei diversi procedimenti oltre che nelle successive fasi. Le stesse garanzie delle persone interessate rischiano di essere travolte da strumenti proponibili successivamente sulla base di diversi presupposti.
Manca un disegno tendente a ridisegnare gli istituti con l'obiettivo prioritario di contrastare l'accumulazione illecita, in particolare mafiosa, ragion d'essere del delitto, rendendo più efficienti le misure patrimoniali, tenendo compiutamente conto delle garanzie da riconoscere ai soggetti interessati.
Per perseguire tale obiettivo occorre una complessiva riforma e razionalizzazione della normativa disciplinando in maniera autonoma il procedimento patrimoniale, coniugando l'efficienza con le garanzie, in stretto collegamento col procedimento penale.
Un piccolo passo in avanti viene compiuto con la legge 23 agosto 2010 n. 136 e con lo schema di decreto delegato con riferimento alle misure di prevenzione, anche se la disciplina penale sembra creare rilevanti problemi di funzionalità. Non può che sottolinearsi l'importanza della legislazione nella lotta alla mafia: i maggiori successi dell'attività giudiziaria contro la criminalità organizzata sono da sempre strettamente connessi ai passi avanti compiuti dal legislatore. Il problema, è che in Italia non sempre il legislatore è riuscito ad arrivare in tempo e questo ha enormemente rallentato l'efficacia delle

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misure di contrasto alle mafie. Una lotta alla mafia realmente efficace non può dunque prescindere dalla legislazione, che oggi deve necessariamente tenere conto dell'evoluzione delle dinamiche mafiose. La criminalità agisce a livello nazionale e internazionale, avvalendosi di strumenti sempre più sofisticati. Sempre più diffuso è l'utilizzo delle opportunità offerte dall'informatica per i traffici mafiosi, un problema da affrontare a livello giudiziario e legislativo.

NOTE:

(1) a) indiziati di appartenere alle associazioni di cui all'articolo 1 (categoria prevista dall'originario articolo 1 della legge 575/65);
b) soggetti indiziati di uno dei reati previsti dall'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale ovvero del delitto di cui all'articolo 12-quinquies, comma 1, del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356 (categorie inserite nell'articolo 1 della legge 575/65 dal decreto-legge 92/08 convertito in legge 125/08 e dalla 94/09);
c) soggetti di cui all'articolo 11 (categorie previste dall'articolo 1 della legge 1423/56):
-coloro che debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi;
-coloro che per la condotta e il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose;
-coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica;
d) coloro che, operanti in gruppi o isolatamente, pongano in essere atti preparatori, obiettivamente rilevanti, diretti a sovvertire l'ordinamento dello Stato, con la commissione di uno dei reati previsti dal capo I, titolo VI, del libro II del codice penale o dagli articoli 284, 285, 286, 306, 438, 439, 605 e 630 dello stesso codice nonché alla commissione dei reati con finalità di terrorismo anche internazionale (categoria prevista dall'articolo 18 della legge 152/75);
e) coloro che abbiano fatto parte di associazioni politiche disciolte ai sensi della legge 20 giugno 1952, n. 645, e nei confronti dei quali debba ritenersi, per il comportamento successivo, che continuino a svolgere un'attività analoga a quella precedente (categoria prevista dall'articolo 18 della legge 152/75);
f) coloro che compiano atti preparatori, obiettivamente rilevanti, diretti alla ricostituzione del partito fascista ai sensi dell'articolo 1 della citata legge n. 645 del 1952, in particolare con l'esaltazione o la pratica della violenza (categoria prevista dall'articolo 18 della legge 152/75);
g) coloro che, fuori dei casi indicati nelle lettere d), e) e f), siano stati condannati per uno dei delitti previsti nella legge 2 ottobre 1967, n. 895, e negli articoli 8 e seguenti della legge 14 ottobre 1974, n. 497, e successive modificazioni, quando debba ritenersi, per il loro comportamento successivo, che siano proclivi a commettere un reato della stessa specie col fine indicato alla lettera d) (categoria prevista dall'articolo 18 della legge 152/75);
h) istigatori,i mandanti e finanziatori dei reati indicati nelle lettere precedenti. È finanziatore colui il quale fornisce somme di denaro o altri beni, conoscendo lo scopo cui sono destinati (categoria prevista dall'articolo 18 della legge 152/75);
i) persone indiziate di avere agevolato gruppi o persone che hanno preso parte attiva, in più occasioni, alle manifestazioni di violenza di cui all'articolo 6 della legge 13 dicembre 1989, n. 401 (categoria prevista dall'articolo 7 della stessa legge 401/89).
Non sono ricompresi i soggetti previsti dall'articolo 18, comma 4, legge 152/75 e succ. mod. che possono ritenersi possibili destinatarie della misura personale: persone fisiche segnalate al Comitato per le sanzioni delle Nazioni Unite o ad altro organismo internazionale competente per disporre il congelamento di fondi o di risorse economiche quando vi sono fondati elementi per ritenere che i fondi o le risorse possano essere dispersi, occultati o utilizzati per il finanziamento di organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali. Si è ritenuto, evidentemente, che tale ipotesi si riferisca all'applicazione delle sole misure patrimoniali (prevista all'articolo 26, comma 2), pur richiamando la norma sia le persone fisiche sia le persone giuridiche.

(2) In tal senso la costante giurisprudenza della Corte costituzionale (sent. 23 giugno 1956, n. 2; sent. 23 marzo 1964 n. 23; sent. 21 maggio 1975 n. 113) e della Cassazione (Sez. I, 20 marzo 1995, Cervino, Sez. I, 8 marzo 1994, Scaduto; sez. I, 28 aprile 1995, Lupo; sez. I, 31 gennaio 1996, Giorgeri).

(3) S.C. sent. nn. 27655/07, 47764/08; SSU 13426/10 Cagnazzo.

(4) Confronta sentenza 5 gennaio 2010, Bongiorno, punto 37: Inoltre, la Corte osserva che le giurisdizioni italiane non potevano basarsi su semplici sospetti: esse dovevano stabilire e valutare oggettivamente i fatti esposti dalle parti e nulla nel fascicolo fa pensare che abbiano valutato in modo arbitrario gli elementi che sono stati a loro sottoposti.

(5) Per una lettura delle norme sulla competenza, sul concetto di dimora e sull'eccezione di incompetenza, confronta Tribunale Napoli, decreto n. 27/11/A del 22.12.10/8.2.11, citato.

(6) 13 novembre 2007, Bocellari e Rizza, 8 luglio 2008, Pierre, gennaio 2010, Bongiorno.

(7) Articolo 41, comma 2-septies, Ord. Pen: «Per la partecipazione del detenuto o dell'internato all'udienza si applicano le disposizioni di cui all'articolo 146-bis delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271»

(8) Confronta, ad esempio, la motivazione della sentenza 5.1.10, Bongiorno, cit.

(9) Operato attraverso il rinvio, contenuto nel sesto comma agli articoli 636 e 637 del codice abrogato e, quindi, agli articoli 678 e 666 del codice di procedura penale in vigore (Cass., Sez. I, 18 marzo 1997 n. 2242, ric. Dell'Arte; Sez. V, 25 ottobre 1993 n. 3311, ric. Ascione e altri, sent. N.36779/03).

(10) S.C. sent. n. 2531/96

(11) Articolo 18, u.c. 8: Il provvedimento è comunicato al procuratore della Repubblica, al procuratore generale presso la Corte di appello ed all'interessato, i quali hanno facoltà di proporre ricorso alla Corte d'appello, anche per il merito.
Articolo 20, comma 1: 1. Il procuratore della Repubblica, il procuratore generale presso la Corte di appello e l'interessato hanno facoltà di proporre ricorso alla Corte d'appello, anche per il merito.

(12) Si afferma generalmente una presunzione di perdurante pericolosità con la precisazione, da parte della giurisprudenza più attenta, che essa non è certamente assoluta, sicché tanto più s'attenua detta presunzione, facendo risorgere la necessità di una puntuale motivazione sull'attualità della pericolosità, quanto più gli elementi rivelatori dell'inserimento nei sodalizi siano lontani nel tempo rispetto al momento del giudizio (S.C sez. 1, 9 febbraio 1989, Nicoletti, Sez. 1, 26 aprile 1995, Guzzino, recentemente sent. n. 34150/06 cit).
In altre sentenze si legge che ai fini dell'applicazione di misure di prevenzione nei confronti di appartenenti ad associazioni mafiose, una volta che detta appartenenza risulti adeguatamente dimostrata, non è necessaria alcuna particolare motivazione del giudice in punto di attuale pericolosità, posto che tale pericolosità potrebbe essere esclusa solo nel caso di recesso dell'interessato dall'associazione, del quale occorrerebbe acquisire positivamente la prova, non bastando a tal fine eventuali riferimenti al tempo trascorso dall'adesione o dalla concreta partecipazione ad attività (sentenze nn. 950/99, 114/05, 499/09).

(13) A seguite delle modifiche della legge 125/08 l'obbligo di soggiorno (e la cauzione) andavano imposti obbligatoriamente anche ad altre categorie soggettive equiparate agli indiziati di mafia. Per tali categoria la forzatura di tali leggi opportunamente è limitata attraverso il ritorno alla facoltatività dell'obbligo di soggiorno

(14) Articolo 1, comma 3, lettera a), n. 5), legge 136/10.

(15) Confronta par. 6.2.5.

(16) Questa sembra essere la posizione, espressa in motivazione, da S.C., sez. VI, M24.2.11, Meluzio.

(17) I diritti personali di godimento (articolo 1380) presentano tratti quasi analoghi ai diritti reali: come il diritto di godimento sulla cosa altrui che il contratto di locazione attribuisce al conduttore (articolo 1571) o il diritto di servirsi della cosa altrui che il contratto di comodato attribuisce al comodatario (articolo 1803).

(18) Articolo 31:
1. Il sequestro è eseguito con le modalità previste dall'articolo 104 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271. L'ufficiale giudiziario, eseguite le formalità ivi previste, procede all'apprensione materiale dei beni e all'immissione dell'amministratore giudiziario nel possesso degli stessi, anche se gravati da diritti reali o personali di godimento, con l'assistenza obbligatoria della polizia giudiziaria.
2. L'amministratore giudiziario viene immesso nel possesso dei beni sequestrati, ove occorre, per mezzo della polizia giudiziaria

(19) L'Enfiteusi, l'Usufrutto, l'uso, l'abitazione e le servitù.

(20) Articolo 1, comma 3, n. 1) lettera f) legge 136/10.

(21) Il citato articolo 1, comma 3, n. 1) letera f) legge 136/10 prevede che i titolari di diritti di proprietà e di diritti reali o personali di godimento sui beni oggetto di sequestro di prevenzione siano chiamati nel procedimento di prevenzione entro trenta giorni dalla data di esecuzione del sequestro per svolgere le proprie deduzioni; che dopo la confisca, salvo il caso in cui dall'estinzione derivi un pregiudizio irreparabile, i diritti reali o personali di godimento sui beni confiscati si estinguano e che all'estinzione consegua il diritto alla corresponsione di un equo indennizzo.

(22) Ipoteca e pegno.

(23) Come introdotto dal decreto-legge 4/10 convertito in l 50/10.

(24) Articolo1, comma 3, lett a), n. 8.2) legge 136/10.

(25) Articolo 1, lettera a), n. 1 legge 136/10.

(26) La disposizione si riferisce a qualsivoglia sequestro penale.

(27) Articolo 1, comma 3, lettera e) legge 136/10.

(28) a) nel caso di sequestro di prevenzione successivo al sequestro penale:
-quanto all'amministratore, di norma il Tribunale nomina l'amministratore giudiziario indipendentemente dal soggetto nominato custode nel procedimento penale; nell'ipotesi dell'articolo 104-bis disp att. prosegue la propria attività (venendo, dunque, nominato anche dal Tribunale di prevenzione) l'amministratore nominato dal giudice penale, salvo che il giudice delegato, con decreto motivato e sentita l'Agenzia Nazionale non provveda alla sua revoca e sostituzione.
Nel caso di revoca del sequestro di prevenzione il giudice penale provvede alla nomina di un nuovo amministratore, salvo che ritenga confermare quello precedente;
Conformemente ad altre disposizioni che individuano nel Tribunale la competenza a nominare e revocare l'amministratore giudiziario sarebbe coerente anche in questo caso parlare di Tribunale e non di giudice delegato. La disposizione, fondata sulla natura dinamica dell'amministrazione prevista dall'articolo 104-bis disp. att. c.p.p., e quindi sulle capacità professionali dell'amministratore nominato, dovrebbe essere estesa ai sequestri che hanno analoga finalità: articolo 8 del codice e articolo 12-sexies legge 356/92;
-quanto alla gestione, i beni sono affidati all'amministratore giudiziario (nominato ex novo o confermato nei casi previsti) del procedimento di prevenzione e si applicano le disposizioni in materia di amministrazione e gestione di prevenzione. L'amministratore trasmette copia delle relazioni periodiche anche al giudice del procedimento penale previa autorizzazione del Tribunale; sarebbe più agile, oltre che coerente con i compiti previsti, attribuire la competenza al giudice delegato;
-quanto ai rapporti derivanti dalla definizione dei procedimenti:
1) se la confisca di prevenzione definitiva interviene prima della sentenza irrevocabile di condanna che dispone la confisca dei medesimi beni in sede penale, si proceda in ogni caso alla gestione, alla vendita, all'assegnazione e alla destinazione dei beni secondo le disposizioni previste per i beni confiscati in sede di prevenzione (titolo III del codice). Il giudice penale che successivamente deve dichiarare la confisca in quella sede, pronuncia declaratoria d'intervenuta esecuzione della confisca.
2) se la sentenza irrevocabile di condanna che dispone la confisca interviene prima della confisca di prevenzione definitiva, il Tribunale di prevenzione in luogo di disporre la confisca definitiva la dichiara già eseguita in sede penale. Sarebbe opportuno prevedere (pur imponendo al tribunale una pronuncia nel merito) che rimangano salvi gli effetti della confisca di prevenzione, potendo essere caducata quella penale;
b) nel caso di sequestro penale successivo al sequestro di prevenzione si applicano le medesime disposizioni. Sarebbe opportuno prevedere che nelle ipotesi di sequestri ex 104-bis disp. att. c.p.p. (oltre che di cui all'articolo 8 del codice e 12-sexies legge 356/92) la conferma da parte del giudice penale del medesimo amministratore nominato dal Tribunale di prevenzione (atteso che subentrerebbe in tale qualità nell'amministrazione nel caso di revoca del sequestro di prevenzione).
In ogni caso vanno trascritti entrambi i sequestri (articolo 40, comma 4 del codice).

(29) Articolo 1, comma 3, lettera d) legge 136/10.

(30) Articolo 737 c.p.p.: I provvedimenti, che debbono essere pronunciati in camera di consiglio, si chiedono con ricorso al giudice competente e hanno forma di decreto motivato, salvo che la legge disponga altrimenti.

(31) Confronta decreto 25 maggio 2011 del Tribunale di Napoli, pubblicato su http://www.penalecontemporaneo.it/materia/6-/-/-/671-trib--napoli--sez--misure-di-prevenzione---25-5-2011--dec----pres-ed-est--menditto--misure-di-prevenzione-patrimoniali/

(32) Confronta diffusamente gli scritti di A. M. Maugeri, da ultimo in Le Sanzioni patrimoniali come moderno strumento di lotta contro il crimine: reciproco riconoscimento e prospettive di armonizzazione, Giuffrè, 2008.

(33) Confronta, G. Melillo, L'esecuzione all'estero delle misure di prevenzione patrimoniali, in Questione Giustizia, 2004, pagg. 771 e ss.

(34) Come nel caso dell'Accordo del 16 maggio 1990 tra Italia e Regno Unito in materia di mutua assistenza relativa al traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope e di sequestro e di confisca dei proventi, ove si prevede espressamente l'eseguibilità anche dei decreti applicativi di misure di prevenzione patrimoniali.
Il trattato è reperibile sul sito http://untreaty.un.org/unts/120001-144071/6/10/00005018.pdf

(35) Caso Crisafulli (decreto del Tribunale di Milano del 13.11.98), esaminato dalla Corte di Cassazione francese con sentenza del 15.11.2003.

(36) Caso C.A. esaminato dal Tribunale federale della Svizzera con sentenza del 22.12 2010, secondo cui la procedura di prevenzione patrimoniale italiana presenta una similitudine sufficiente con le procedure di confisca previste o riconosciute dal diritto svizzero. Poiché essa presuppone l'esistenza di un'infrazione penale e un legame tra essa e i beni da confiscare, la stessa può essere assimilata a una "causa penale" ai sensi delle citate norme della AIMP. Sentenza reperibile sul sito http://jumpcgi.bger.ch/cgi-bin/JumpCGI?id=22.12.2010-1C-563/2010.

(37) A.M. Maugeri, Relazione all'incontro di studi organizzato dal CSM, reperibile sul sito http://appinter.csm.it/incontri/relaz/11482.pdf.

(38) Ad esempio:
1 . A seguito della confisca definitiva di prevenzione i beni sono acquisiti al patrimonio dello Stato liberi da oneri e pesi, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 68.
2 . La tutela dei terzi disciplinata dal titolo IV del presente decreto.

(39) Confronta par. 9.3.3.

(40) Articolo 1, comma 3, lettera h) legge 136/10.

(41) Norma, introdotta dal decreto-legge 4/10, convertito dalla legge 50/10, non è ancora operativa, come già rilevato, in quanto ai sensi dell'articolo 7, comma 3, del decreto-legge citato, come convertito, continuano ad applicarsi le disposizioni vigenti previgenti fino alla data di entrata in vigore dell'ultimo dei regolamenti previsti dall'articolo 4 dello stesso decreto-legge, ad oggi non ancora emanati.

(42) Articolo 1, comma 3, lettera f) n. 3.3 legge 575/65.

(43) Articolo 1, comma 3, lettera i) legge 136/10.

(44) Articolo 1, comma 3, lettera l) legge 136/10.

(45) Anche in questo caso operano i principi elaborati dalla giurisprudenza, secondo cui è consentita la confisca dei beni acquisiti dai soggetti indiziati di appartenenza ad associazione mafiosa anche prima dell'entrata in vigore della legge numero 646 del 1982, che ha introdotto tali misure sempre che, ovviamente, ricorrano le ulteriori condizioni poste dal legislatore (tra le tante: S. C. sent. nn. 680/86, 423/87, 329/89, 3070/92, 4436/93). Tali conclusioni si desumono, non solo dall'estraneità del principio di irretroattività della legge penale alla materia delle misure di prevenzione, ma anche da ulteriori considerazioni della dottrina e della giurisprudenza, secondo cui "la regola dell'applicabilità della legge in tema di misure di prevenzione patrimoniali anche ai cespiti acquisiti prima della sua entrata in vigore, si giustifica in quanto il provvedimento ablatorio è norma intimamente collegata a ricchezze accumulate e consolidate attraverso gli anni precedenti il momento in cui la normativa in questione è divenuta operante".

(46) Reperibile su http://www.benisequestraticonfiscati.it/AgenziaNazionale/beniConfiscati/relazioni/relazione2010.html

(47) Intervenendo, così, su alcune incertezze giurisprudenziali anche sul rito da seguire.

(48) Nel citato rapporto 2011 dell'Agenzia nazionale si quantifica in euro 554.098.258 (circa mille miliardi delle vecchie lire) il valore dei gravami iscritti per ipoteche e pignoramenti sui beni confiscati al dicembre 2011.

(49) Significativa la vicenda esaminata dal Tribunale di Napoli nel proc. n. 1235/05 inedito.
Rileva, inoltre, il Collegio che l'esame della documentazione prodotta fornisce ulteriori elementi in ordine alla non ipotizzabilità della buona fede da parte del ..... che, pur operando nel caso in esame in una zona in cui notoriamente insistevano associazioni camorristiche, e vigente fin dal 1982 la legge n. 646/82, approvata sulla scia dell'omicidio dell'on. La Torre, diretta a prevenire l'illecito arricchimento di appartenenti ad organizzazioni di tipo mafioso, ignorava (attraverso i suoi dipendenti) alcuni segnali che concretamente emergevano dall'istruttoria svolta, ritenendo, invece, di soffermarsi su un superficiale esame contabile, peraltro ampiamente lacunoso per quanto in precedenza evidenziato.
Un primo segnale di attenzione emergeva nel 1980 quando ... imputato per omicidio, veniva poi prosciolto. Tale circostanza risultava al ...... che revocava i fidi concessi a seguito dell'imputazione ascritta al ..... (che delegava tutti i poteri alla moglie) con immediata riattivazione degli stessi fidi a seguito del suo proscioglimento .....L'atteggiamento dell'istituto bancario, e in particolare dei responsabili delle filiale competente .... emerge con chiarezza dalla lettura della nota istruttoria del ..... in cui si «minimizza» la grave vicenda giudiziaria che vedeva coinvolto il xxx: nel procedere al consueto esame dei bilanci si propone la «conferma della linea di credito in favore ....» il cui titolare veniva colpito da «disavventure giudiziarie» che, però «non avevano alcuna connessione con l'attività economica del sig. ....(l'imputazione infatti era di concorso in omicidio)»; il redattore della nota (funzionario della filiale di zona) prosegue rilevando che non fu accolta la proposta della filiale di non revocare i fidi (poi avvenuta il 25.3.80) e propone la riattivazione dei fidi, all'esito dell'esame del bilancio «considerata la solidissima situazione patrimoniale della parte».
......
Nessuna traccia vi è negli atti prodotti dalla Banca di altro episodio di carattere pubblico cui fu oggetto il .....in data 16.7.81, ancora prima che la direzione generale sollecitasse l'attenzione per le sue vicende giudiziarie: in tale data il xxx e xxxx mentre si trovava in auto furono raggiunti da numerosi colpi di arma da fuoco che provocarono la morte del secondo e il ricovero in prognosi riservata del xxxx. Trattasi, indubbiamente, di episodio eclatante e che certamente ebbe risalto in xxx, luogo di operatività del xxxx, ove era ubicata la filiale del xxx con cui costui operava, ma che non risulta ufficialmente evidenziato negli atti prodotti dall'istante.
Dei citati episodi, comunque, il xxxx venne a conoscenza (o fu in condizione di venire a conoscenza), atteso che nella proposta di fido all'xxxx della filiale xxx alla Direzione Generale del 24.5.91 (alla pagina 23) si annota, «Sul grado di rischio della relazione. La solidità della struttura patrimoniale del gruppo e il merito creditizio autonomo aziendale nonchè l'impegno fidejussorio dei garanti confortano, a nostro parere, il rischio accordato.
......
Il dott. xxx, all'epoca direttore della Filiale di xxxx, da cui dipendeva la filiale di xxxx ove il xxx intratteneva i rapporti, il 25.9.1992 veniva colpito alle gambe con colpi di arma da fuoco esplosi da due giovani. In una conversazione con i Carabinieri il xxxx (che, poi, si rifiutava di sottoscrivere il verbale perché timoroso per l'incolumità sua e dei familiari) riferiva di non avere subito minacce e che nel settembre aveva ricevuti pressioni al fine di non estinguere i rapporti bancari del xxxx; precisava di avere conosciuto il xxx nel febbraio 92, quando aveva assunto la direzione della Filiale, presentatogli quale personaggio con solida disponibilità economica; impressionato dai modi «arroganti e sicuri» del xxx e dei figli aveva deciso di esaminare personalmente i rapporti bancari e i bilanci del gruppo xxx rilevando una non ortodossa movimentazione: insoluti superiori al 50% e grosse movimentazioni; decise perciò di porre in liquidazione i fidi concessi, con un maggior controllo sugli stessi.
Nello stesso decreto si evidenzia che il dott. xxx aveva chiesto e ottenuto il trasferimento dalla Filiale di xxx a seguito delle minacce telefoniche subite.
Dall'esame delle ultime vicende ricordate appare logico desumere che quando un funzionario della banca volle esaminare compiutamente e seriamente i bilanci e le movimentazioni del gruppo xxx, pur se risalente il rapporto creditizio nel tempo, si rese conto con evidenza delle anomalie esistenti e assunse i primi provvedimenti adeguati. D'altra parte il comportamento complessivo del xxx evidenzia da un lato la scarsa diligenza dei funzionari che in passato provvidero a esaminare i dati contabili del gruppo xxx, dall'altro il reale «peso» dello stesso xxx nei rapporti con i funzionari bancari locali da cui nei pregressi rapporti non era stato trattato con lo stesso rigore.