CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 26 luglio 2011
517.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Giustizia (II)
ALLEGATO
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ALLEGATO 1

Schema di decreto legislativo recante disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione.
Atto n. 376.

NUOVA PROPOSTA DI PARERE DEL RELATORE

La Commissione giustizia,
esaminato lo schema di decreto legislativo in oggetto,
visti i principi e criteri di delega di cui all'articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69,
rilevato che:
il provvedimento in esame merita apprezzamento, costituendo il primo rilevante intervento volto a semplificare la moltitudine di riti processuali in materia civile;
l'articolo 54, comma 4, lettera c) della citata legge n. 69 del 2009, prevede, tra i principi di delega, la necessità di conservare le «disposizioni previste dalla legislazione speciale [...] finalizzate a produrre effetti che non possono conseguirsi con le norme contenute nel codice di procedura civile»; tale disposizione costituisce una direttiva suscettibile di una duplice lettura;
il legislatore delegato ha interpretato il criterio direttivo nel senso che debba essere mantenuta ogni disposizione processuale speciale, essendo questa per definizione destinata a produrre un effetto (processuale) non conseguibile con la normativa ordinaria; in tal modo lo schema di decreto legislativo conserva, nelle singole disposizioni, tutte le peculiarità processuali presenti nelle norme originarie; seguendo questa prima interpretazione, inevitabilmente si conservano tutte le peculiarità processuali, ma si percorre una strada che affievolisce l'impatto del provvedimento sulla riduzione e semplificazione dei riti;
esiste, tuttavia una diversa possibile interpretazione, che questa Commissione ritiene preferibile, secondo la quale devono essere salvaguardate soltanto «le norme processuali che prevedono delle tutele sostanziali speciali»; rivisitando lo schema di decreto legislativo alla luce di questa seconda interpretazione, si conserverebbero soltanto le disposizioni particolari che prevedono specifiche tutele sostanziali e, quindi, si potrebbe attribuire al provvedimento una maggiore capacità di impatto sotto il profilo della unificazione delle discipline processuali e, conseguentemente, un maggiore effetto di semplificazione;
la ricognizione delle disposizioni che «non prevedono effetti sostanziali speciali» può cominciare, ad esempio, delle disposizioni relative ai termini processuali: si pensi, in particolare, ai termini per l'opposizione alle sanzioni amministrative che lo schema non unifica (articolo 5, comma 6, e articolo 6, comma 3), ripetendo esattamente le previsioni originarie; ovvero ai termini di cui agli articoli 9, comma 3, 15, comma 3, 16, comma 3 e 17, comma 3; in funzione dell'obiettivo, enunciato nella relazione che accompagna lo schema di decreto delegato, di «razionalizzare e semplificare la normativa processuale presente nella legislazione speciale», anche questi termini possono essere unificati;

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lo schema di decreto non prevede, inoltre, una disciplina uniforme della sospensione dell'atto impugnato; tale operazione non appare inibita dal criterio di delega sopra illustrato, giacché non entrano in gioco norme processuali che prevedono delle «tutele sostanziali speciali»: così interpretando il principio direttivo sarebbe quindi possibile unificare anche i termini per l'impugnazione e quelli del procedimento di inibitoria;
in sostanza, il criterio di cui all'articolo 54, comma 4, lettera c) della legge di delega, ove interpretato nel senso che si debbano conservare le sole disposizioni processuali che prevedono tutele sostanziali speciali, rende doveroso, quali obiettivi minimi della semplificazione, ricondurre ad unità i termini per proporre i ricorsi introduttivi nonché i termini per l'impugnazione e quelli del procedimento di inibitoria, sempre che, naturalmente, specifiche esigenze non richiedano la previsione di termini differenziati;
appare anche opportuno prevedere, in ogni caso di inibitoria, la possibilità che l'efficacia del provvedimento impugnato venga sospesa con decreto, salva eventuale conferma, modifica o revoca in contraddittorio;
il legislatore delegato, peraltro, sempre facendo salve le tutele sostanziali speciali, sembra potere andare ben oltre l'obiettivo minimo sopra indicato; a titolo meramente esemplificativo, potrebbe valutare l'opportunità di unificare o, quantomeno, di armonizzare le procedure in materia di espulsioni, protezione internazionale e trattamenti sanitari obbligatori (articoli 16, 17 e 18); analoghe considerazioni valgono per la materia elettorale (articoli 19, 20 e 21);
osservato che:
fra i procedimenti regolati dal rito sommario di cognizione ve ne sono taluni che contemplano un provvedimento non impugnabile (articoli 12, 13 e 16);
il criterio di delega di cui all'articolo 54, lettera c), tuttavia, prevede l'estensione del «procedimento sommario di cognizione di cui al libro quarto, titolo I, capo III-bis, del codice di procedura civile [...], restando tuttavia esclusa per tali procedimenti la possibilità di conversione nel rito ordinario»; non sembra consentita quindi alcuna variazione rispetto al modello codicistico, esclusa la possibilità di conversione nel rito ordinario, con la conseguenza che il procedimento previsto dagli articoli 702-bis e seguenti del codice di procedura civile deve essere applicato integralmente, anche con riferimento al peculiare sistema di appello previsto dall'articolo 702-quater, potendosi ravvisare, in difetto, un eccesso di delega; ciò appare tanto più vero se si considera l'articolo 3 dello schema di decreto, nel dettare «disposizioni comuni ai procedimenti disciplinati dal rito sommario di cognizione», prevede che non trovino applicazione unicamente i commi 2 e 3 dell'articolo 702-ter codice di procedura civile;
ne deriva che l'articolo 702-quater, dettato per l'appello, dovrebbe sempre trovare piena applicazione per tutti i procedimenti ricondotti al rito sommario di cognizione, anche per quelli per i quali la legge speciale prevede l'inappellabilità; d'altra parte, se si accede all'interpretazione dei principi di delega secondo la quale devono essere salvaguardate solo le norme processuali che prevedono delle tutele sostanziali speciali, appare evidente come la non appellabilità o la non impugnabilità del provvedimento finale non rientrino fra le disposizioni volte a prevedere una tutela sostanziale speciale; in base a tale interpretazione, quindi, si deve escludere la necessità di mantenere ferma, in particolare, la non appellabilità o la non impugnabilità del provvedimento finale;
tale conclusione, oltre ad essere imposta dalla legge di delega, si configura come maggiormente garantista e volta ad evitare che vi siano controversie decise in unico grado e con rito sommario; se, difatti, è vero che il doppio grado di merito non è costituzionalmente imposto, è ugualmente vero che l'appello ha un

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significato del tutto peculiare nel contesto del rito previsto dagli articoli 702-bis e seguenti del codice di procedura civile, costituendo un ineludibile contrappeso volto a bilanciare l'estrema sommarizzazione dell'istruzione; contrappeso tanto più necessario dal momento che, nel caso di specie, il rito sommario non è elettivo ma obbligatorio ed il giudice non può convertire il rito ove lo ritenga non adeguato alla complessità della causa;
fra le fattispecie che, secondo un'interpretazione rigida dei criteri di delega rimarrebbero prive del grado di appello, si ricordano gli articoli 12, comma 6, e 13, comma 6, che escludono l'appellabilità delle ordinanze di liquidazione degli onorari agli avvocati e dei compensi ai consulenti tecnici; l'articolo 16, comma 9, dispone allo stesso modo per l'ordinanza che decide «controversie in materia di espulsione dei cittadini di Stati che non sono membri dell'Unione europea»;
ritenuto che:
la legge delega stabilisce che i procedimenti in cui siano prevalenti «caratteri di concentrazione processuale, ovvero di officiosità dell'istruzione» debbano essere ricondotti al rito del lavoro; quelli in cui siano prevalenti «caratteri di semplificazione della trattazione o dell'istruzione della causa» debbano essere ricondotti al procedimento sommario di cognizione; gli altri procedimenti, nei quali non emergano questi caratteri prevalenti, devono essere ricondotti al rito ordinario (articolo 54, comma 4, lettera b) della legge di delega);
non appare peraltro chiara la ragione che ha determinato il legislatore delegato a ricondurre taluni procedimenti ad uno piuttosto che ad un altro modello processuale; ad esempio, non è chiaro per quale ragione siano stati ricondotti al modello del rito del lavoro (invece che a quello del rito ordinario) i procedimenti in materia di applicazione delle disposizioni del codice in materia di protezione dei dati personali o quelli di opposizione a sanzione amministrativa e di opposizione al verbale di accertamento di violazione del codice della strada; analogo discorso vale per gli articoli 5 e 6, relativi rispettivamente alle controversie in materia di opposizione alle sanzioni amministrative e all'opposizione al verbale di accertamento della violazione del codice della strada, destando perplessità la presenza dei prevalenti caratteri dell'officiosità dell'istruzione o della concentrazione processuale;
quanto ai procedimenti regolati dal rito sommario di cognizione, potrebbe sembrare che il legislatore delegato abbia ritenuto la sussistenza del criterio della semplificazione della trattazione o dell'istruzione della causa tutte le volte in cui il procedimento speciale sia un procedimento camerale; tuttavia, le predette caratteristiche non sono legate tanto al modello processuale, quanto piuttosto alla natura della controversia;
desta quindi perplessità l'individuazione della prevalenza dei caratteri della «semplificazione della trattazione o dell'istruzione della causa» in una serie di ipotesi che, pure, lo schema di decreto legislativo annovera fra i procedimenti regolati dal procedimento sommario di cognizione: e così, ad esempio, nell'ipotesi dell'articolo 17, relativo all'impugnazione dei provvedimenti in materia di riconoscimento o revoca dello status di rifugiato; per le azioni popolari previste dall'articolo 19 in materia di eleggibilità, decadenza ed incompatibilità nelle elezioni comunali, provinciali e regionali e dall'articolo 20 in materia di eleggibilità e incompatibilità nelle elezioni per il Parlamento europeo; per l'impugnazione dei provvedimenti disciplinari a carico di notai o dei giornalisti, prevista rispettivamente dagli articoli 23 e 24 dello schema o, ancora, per i procedimenti in materia di discriminazione di cui all'articolo 25;
ancora, l'articolo 12 dello schema di decreto legislativo, che sostituisce l'articolo 29 della legge n. 794 del 1942 in materia di liquidazione degli onorari degli avvocati per prestazioni giudiziarie,

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riconduce anche tale procedimento al rito sommario di cognizione; tuttavia, questo procedimento veloce e semplificato si segue, secondo il tradizionale orientamento della giurisprudenza e della dottrina, solo quando oggetto della causa sia la mera determinazione degli onorari degli avvocati in base all'applicazione delle tariffe, e cioè quando effettivamente la particolare natura della controversia richieda una trattazione ed un'istruzione semplificata; il medesimo procedimento, invece, non può essere seguito quando la controversia riguardi la stessa prestazione professionale, ovvero i presupposti stessi del diritto al compenso o i limiti del mandato o la sussistenza di cause estintive o limitative della pretesa;
relativamente alle cause di opposizione alla stima di cui all'articolo 54 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 327, parrebbe più coerente con la natura istruttoria del relativo procedimento la riconduzione al rito sommario in luogo di quello ordinario;
parimenti, per le controversie aventi ad oggetto l'attuazione di sentenze e provvedimenti stranieri di giurisdizione volontaria di cui all'articolo 67 della legge n. 218 del 1995, parrebbe più adeguata la riconduzione al rito sommario di cognizione, poiché la trattazione con il rito ordinario ha dei tempi che non tengono conto della rilevanza internazionale di queste cause e sono comparativamente molto più lunghi di quelli generalmente necessari per ottenere una pronuncia negli altri paesi;
lo schema dovrebbe anche tenere conto di quale sia la tipologia di giudice al quale debba essere assegnata ogni singola categoria di controversie, per verificare se sia corretto assegnare a quel giudice un dato modello processuale;
sotto questo profilo, emerge una criticità che riguarda il giudice di pace; varie norme impiegano infatti il modello del lavoro o il modello sommario per controversie di competenza del giudice di pace (articoli 5, 6, 7, 11. 16); tuttavia nel sistema del codice, il giudice di pace si limita ad applicare il modello ordinario, per di più in una forma semplificata; sarebbe quindi preferibile che i procedimenti in cui sussiste la competenza del giudice di pace fossero trattati con il rito ordinario;
rilevato infine che:
l'articolo 4 disciplina il mutamento del rito; il comma 2, tuttavia, richiede ulteriori approfondimenti perché sembra escludere il potere del giudice di mutare il rito oltre la prima udienza, sebbene la relativa eccezione sia stata formulata tempestivamente in limine litis; quel che va fatto alla prima udienza è la proposizione dell'eccezione relativa al rito prescelto, mentre l'ordinanza potrà ben essere pronunciata in seguito, non potendosi il relativo potere certo precludersi alla prima udienza; il comma 3, invece, non chiarisce se, nel processo riassunto, restino ferme o meno le preclusioni maturate nella fase svoltasi con il rito errato, secondo le regole di quel rito erroneamente applicato;
quanto ai procedimenti riconducibili al rito del lavoro, nelle disposizioni che regolano le opposizioni ad ordinanza ingiunzione (articolo 5) a sanzioni amministrative per violazioni del Codice della Strada (articolo 6) e per i provvedimenti in materia di protezione dei dati personali (articolo 9) lo schema di decreto delegato prevede un subprocedimento incidentale che, in caso di pericolo imminente di un danno grave e irreparabile, consente di pronunciare fuori udienza un decreto di sospensione, il quale diviene però inefficace se non confermato con ordinanza, entro la prima udienza successiva o, in ogni caso entro sessanta giorni dalla pronuncia del decreto; l'adozione della sospensiva mediante decreto vincola pertanto il giudice a fissare la prima udienza, ovvero comunque un'apposita udienza per la convocazione della controparte, entro sessanta giorni dalla pronuncia del decreto, a pena d'inefficacia del provvedimento adottato inaudita

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altera parte; questo sbarramento temporale, rimesso esclusivamente al potere d'impulso processuale del giudice rischia di disincentivare il magistrato dal rendere la sospensione inaudita altera parte; appare quindi preferibile una soluzione che svincoli l'efficacia del decreto di sospensione dal decorso termine perentorio di sessanta giorni, disponendo, peraltro, certamente alla prima udienza l'adozione della pronuncia di conferma, ed individuandosi perciò in tale successiva udienza il termine finale di efficacia del provvedimento inaudita altera parte;
nei procedimenti in materia di applicazione delle disposizioni del codice protezione dati personali, l'articolo 9, comma 7, riafferma che la sentenza che definisce il giudizio può prescrivere le misure necessarie; pure in deroga al divieto di cui all'articolo 4, legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E), anche in relazione all'eventuale atto del soggetto pubblico titolare o responsabile dei dati; va segnalato come, rispetto all'articolo 152, comma 12, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, nel decreto delegato manchi il richiamo alla possibilità esplicita per il giudice di disporre il risarcimento del danno, peraltro non eliminabile in un giudizio che abbia ad oggetto la tutela piena di diritti fondamentali;
relativamente alle controversie agrarie, l'articolo 11, comma 1, stabilisce che esse sono regolate dal rito del lavoro, secondo la disciplina descritta dall'articolo 2; ciò significa che a tali controversie non si applicano le disposizioni che l'articolo 2 dichiara espressamente inapplicabili, sulla base del rilievo che, come espressamente afferma la relazione di accompagnamento, sono tipiche del rito lavoro per le controversie di lavoro; in questo modo, però, il lavoratore agrario ha tutele differenti e minori rispetto agli altri lavoratori: ad esempio, non opera per lui il sistema della rivalutazione automatica dei crediti di cui all'articolo 429, comma 3; ciò che appare irragionevole e suscita dubbi di incostituzionalità;
l'articolo 33, comma 18, apporta delle modifiche agli articoli 13 e 14 della legge n. 286 del 1998, modificando il procedimento di convalida dei provvedimenti di accompagnamento coattivo alla frontiera e di trattenimento degli stranieri colpiti da provvedimento di espulsione presso i centri d'identificazione ed espulsione; si ritiene opportuno che la disposizione sia integrata sotto due profili: prevedendo, come stabilito dalla giurisprudenza di legittimità, l'attivazione del contraddittorio con l'audizione dell'interessato e la nomina del difensore, anche in sede di convalida della proroga del trattenimento (che può prolungarsi fino a sei mesi); estendendo l'applicazione dell'articolo 13, comma 5-bis, della citata legge n. 286 del 1998 anche ai provvedimenti assunti dal questore in esecuzione dei decreti di allontanamento emessi a carico dei cittadini dell'Unione Europea (articolo 20, comma 11, del decreto legislativo n. 30 del 2007), trattandosi, come affermato dalla Corte di cassazione, di una misura identica alla convalida dell'accompagnamento coattivo dei cittadini extraeuropei, ed essendone espressamente prevista la convalida da parte del Tribunale in composizione monocratica;
esprime

PARERE FAVOREVOLE

con le seguenti condizioni:
1) siano unificati i termini per proporre i ricorsi introduttivi dei procedimenti contemplati nonché i termini per l'impugnazione e quelli del procedimento di inibitoria, salvo che esigenze particolari non richiedano termini differenziati;
2) sia prevista la possibilità di appello ex articolo 704-quater del codice di procedura civile per tutti i procedimenti ricondotti al rito sommario di cognizione;

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3) all'articolo 11, con riferimento alle controversie agrarie, siano assicurate al lavoratore agrario le medesime tutele previste per gli altri lavoratori.
e con le seguenti osservazioni:
a) valuti il Governo l'opportunità di prevedere, in ogni caso di inibitoria, la possibilità che l'efficacia del provvedimento impugnato venga sospesa con decreto, salva eventuale conferma, modifica o revoca in contraddittorio;
b) valuti il Governo l'opportunità di unificare o, quantomeno, di armonizzare le procedure nelle materie regolate dagli articoli 16, 17 e 18 nonché nella materia di cui agli articoli 19, 20 e 21;
c) valuti il Governo l'opportunità di prevedere che i procedimenti in cui sussiste la competenza del giudice di pace siano trattati con il rito ordinario;
d) valuti il Governo l'opportunità di ricondurre al rito sommario, in luogo di quello ordinario, le controversie in materia di opposizione alla stima di cui all'articolo 54 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 327, nonché le controversie aventi ad oggetto l'attuazione di sentenze e provvedimenti stranieri di giurisdizione volontaria di cui all'articolo 67 della legge n. 218 del 1995;
e) valuti il Governo l'opportunità di riformulare il comma 2 dell'articolo 4, in modo da chiarire che alla prima udienza debba essere proposta l'eccezione relativa al rito prescelto, mentre l'ordinanza potrà essere pronunciata in seguito;
f) valuti il Governo l'opportunità di riformulare il comma 3 dell'articolo 4, chiarendo se, nel processo riassunto, restino ferme le preclusioni maturate nella fase svoltasi con il rito errato, secondo le regole di quel rito erroneamente applicato;
g) valuti il Governo l'opportunità di riformulare gli articoli 5, comma 9, 6, comma 8 e 9, comma 5, sopprimendo l'inciso «e in ogni caso entro sessanta giorni dalla pronuncia del decreto»;
h) valuti il Governo l'opportunità di prevedere espressamente, all'articolo 9, comma 7, che il giudice possa disporre il risarcimento del danno;
i) valuti il Governo l'opportunità di integrare l'articolo 33, comma 18, con la previsione dell'attivazione del contraddittorio con l'audizione dell'interessato e la nomina del difensore, anche in sede di convalida della proroga del trattenimento;
l) valuti il Governo l'opportunità di integrare l'articolo 33, comma 18, estendendo l'applicazione dell'articolo 13, comma 5-bis, della legge n. 286 del 1998 anche ai provvedimenti assunti dal questore in esecuzione dei decreti di allontanamento emessi a carico dei cittadini dell'Unione Europea.

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ALLEGATO 2

Schema di decreto legislativo recante disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione.
Atto n. 376.

PROPOSTA ALTERNATIVA DI PARERE DEL GRUPPO PD

La Commissione giustizia,
esaminato lo schema di decreto legislativo in oggetto,
rilevato che:
il parere sul decreto legislativo non può prescindere dalla valutazione sui limiti già contenuti nella delega che ne pregiudicano la stessa potenzialità tecnica di assolvere allo scopo assegnato di ridurre o semplificare la molteplicità dei riti speciali nel processo civile;
il gruppo PD nella discussione sulla legge delega, aveva già evidenziato la difficoltà di pervenire ad una effettiva riduzione e semplificazione in presenza di limiti assai stringenti che impediscono un reale processo di riduzione ed unificazione: si è voluto lasciar «fermi i criteri di competenza» e «di composizione dell'organo giudicante»; si è inteso considerare solo i procedimenti civili regolati dalla legislazione speciale (rimangono fuori i procedimenti speciali del IV libro; l'articolo 2409 codice civile); si son lasciate ferme le diverse discipline del processo civile di cognizione a seconda della data di notifica della citazione; non si interviene sulle discipline transitorie; si son lasciate ferme le disposizioni processuali in materia di procedure concorsuali, di famiglia e minori, di assegno e cambiale, dello statuto dei lavoratori; del codice della proprietà industriale, del codice del consumo; non si è chiarita la sorte del procedimento camerale ex articolo 737 codice di procedura civile e soprattutto la sua applicazione alle controversie contenziose; si è elevato a modello il procedimento sommario di cognizione ancor prima di verificare sul campo la validità di questo procedimento, e nonostante lo scarso successo ottenuto da questo strumento nei primi due anni di applicazione; si sono individuati i criteri cui fare riferimento per riportare i numerosi procedimenti speciali ad uno dei tre modelli generali non sulla base della natura della situazione giuridica sostanziale dedotta in giudizio, sulla natura degli interessi in gioco, bensì su aspetti formali del procedimento da ricondurre in uno dei tre modelli, aspetti che ben potrebbero convivere: la concentrazione processuale, la semplificazione della trattazione o dell'istruzione, l'officiosità dell'istruzione;
inoltre, con l'ulteriore limite previsto dall'articolo 54, comma 4, lettera c), della legge n. 69 del 2009 che non consente di intervenire sulle disposizioni previste dalla legislazione speciale «finalizzate a produrre effetti che non possono conseguirsi con le norme contenute nel codice di procedura civile», interpretata assai rigidamente dal legislatore delegato. Si è prodotto così uno schema di decreto che risente molto degli anzidetti limiti;
tuttavia era possibile una interpretazione della delega che nel rispetto di essa riuscisse a non vanificarne lo scopo quantomeno privilegiando: a) l'adozione di un criterio di scelta tra i tre riti di destinazione in riferimento al diritto e quindi all'esigenza di tutela giurisdizionale differenziata,

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con riferimento quindi alla specialità del contenuto delle tutele piuttosto che alla disciplina speciale dei singoli aspetti del procedimento; b) la conservazione delle disposizioni esistenti previste dalle leggi speciali che attribuiscono al giudice poteri officiosi «ovvero che sono finalizzate a produrre effetti che non possono conseguirsi con le misure contenute nel codice di procedura civile» in senso meno letterale; questa norma infatti è stata intesa nel senso che ogni norma processuale speciale produce un effetto processuale da conservare; una interpretazione più ampia e meno asfittica della norma di delega avrebbe consentito, invece, di salvaguardare soltanto quelle norme processuali che prevedono tutele sostanziali speciali così attribuendo al provvedimento una maggiore efficacia nella semplificazione dei riti speciali;
se si segue la seconda lettura - che è quella più aderente alla volontà di ridurre e semplificare e alla ratio della tutela giurisdizionale differenziata - si possono conservare soltanto le disposizioni particolari che prevedono specifiche tutele (ad es., in materia di inversione dell'onere della prova fra le parti oppure in materia di sospensione dell'atto impugnato) e quindi si realizza una concreta unificazione dei riti e, conseguentemente, un'effettiva riduzione degli stessi;
l'adozione di una interpretazione rigida di questi due criteri ha di fatto impedito da un lato un processo di unificazione e riduzione dei riti che mantenesse una tutela giurisdizionale differenziata in relazione alla situazione giuridica soggettiva, e quindi collegata al tipo di diritti piuttosto che alla struttura del rito speciale da semplificare, e dall'altro un intervento di riduzione e semplificazione efficace posto che ha imposto il mantenimento in toto della singola disciplina processuale speciale;
questi due gravi limiti hanno, quindi, impedito il compito assegnato limitando gli effetti del decreto legislativo ad una specie di testo unico dei vari riti processuali speciali esistenti ad oggi e regolamentati al di fuori del codice di procedura civile;
un testo unico con un effetto di incasellamento delle varie procedure e non già né di riduzione né di semplificazione e neppure di razionalizzazione dell'esistente; con la conseguenza di mantenere in vita gran parte di quei numerosi riti speciali aggiungendo per ciascuno di essi il diverso rito che sarà applicabile a seguito dell'entrata in vigore della legge, posto che solo per quelli instaurati successivamente alla entrata in vigore del decreto legislativo si prevede l'applicazione delle nuove regole processuali; così confermando il sistema del «doppio binario» che lascia sopravvivere le diverse versioni del rito in relazione al momento del loro instaurarsi e che è già di per sé fonte di una irragionevole moltiplicazione dei riti;
solo questo elemento produce un effetto di moltiplicazione dei riti che è contrario allo stesso scopo della delega e che riduce gli effetti del provvedimento ad un opera di semplice incasellamento dei vari riti al di fuori di logiche condivisibili;
infatti, non si comprendono le ragioni per cui si sceglie un rito per ciascun procedimento speciale, ad esempio perché il rito del lavoro per le impugnazioni dei provvedimenti in materia di registro dei protesti ed invece, quello sommario per la riabilitazione del debitore protestato. O ancora perché mai in materia sostanzialmente omogenea quale quella relativa agli stranieri, vi sia una differenziazione di riti e di termini processuali;
tuttavia, un'interpretazione diversa della delega avrebbe consentito una maggiore efficacia del pur limitato intervento del legislatore delegato innanzi tutto considerando le specifiche esigenze che, di volta in volta, hanno indotto il legislatore a prevedere forme più rapide e più semplici per la tutela dei diritti; il criterio discretivo tra tutela a cognizione piena ed esauriente e tutela sommaria risiede nella circostanza che, nella prima, sono predeterminate le forme di attuazione del contraddittorio e quelle di formazione del

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convincimento del giudice, mentre, nella seconda, le forme della trattazione sono affidate alla discrezionalità del giudice e che la scelta tra queste risiede nella ragionevole presunzione che chi invoca tutela abbia ragione e quindi sia giustificato, in base al principio di uguaglianza, attribuire all'altra parte l'onere di sopportare i tempi ed i costi del processo a cognizione piena; infatti la previsione di forme più rapide e più semplici di tutela giurisdizionale in favore di determinate situazioni sostanziali non esclude la cognizione piena ma sposta l'onere di sopportarne i tempi ed i costi. Appare del tutto irragionevole che questa operazione si possa compiere con criteri che prescindano dalla tutela giurisdizionale differenziata in relazione ai diritti fatti valere;
inoltre, nella disciplina specifica si osserva che:
lo schema di decreto non prevede una disciplina uniforme della sospensione dell'atto impugnato; tale operazione non appare inibita dal criterio direttivo sopra illustrato, giacché devono essere salvaguardate solo quelle norme processuali che prevedono delle «tutele sostanziali speciali»: così interpretando il principio direttivo sarebbe anche possibile unificare i termini per l'impugnazione e quelli del procedimento di inibitoria;
il criterio di cui all'articolo 54, comma 4, lettera c), della legge di delega, ove intepretato nel senso che si debbano conservare le sole disposizioni processuali che prevedono tutele sostanziali speciali, rende doveroso, nell'ambito degli obiettivi minimi della semplificazione, ricondurre ad unità i termini per proporre i ricorsi introduttivi nonché i termini per l'impugnazione e quelli del procedimento di inibitoria, sempre che, naturalmente, specifiche esigenze non giustifichino termini differenziati;
appare anche opportuno prevedere, in ogni caso di inibitoria, la possibilità che l'efficacia del provvedimento impugnato venga sospesa con decreto, salva eventuale conferma, modifica o revoca in contraddittorio;
in considerazione dell'obiettivo della delega e nei limiti di essa, appare necessaria la previsione di un'adeguata disciplina transitoria, al fine dei evitare la sopravvivenza delle discipline attualmente vigenti e la compresenza delle medesime con la normativa che si intende introdurre;
fra i procedimenti regolati dal rito sommario di cognizione ve ne sono taluni che si svolgono dinanzi al tribunale e che contemplano un'ordinanza non appellabile (articoli 12, 13 e 16);
il criterio di delega di cui all'articolo 54, lettera c), tuttavia, prevede l'estensione del «procedimento sommario di cognizione di cui al libro quarto, titolo I, capo III-bis, del codice di procedura civile [...], restando tuttavia esclusa per tali procedimenti la possibilità di conversione nel rito ordinario»; non sembra consentita quindi alcuna variazione rispetto al modello codicistico, esclusa la possibilità di conversione nel rito ordinario, con la conseguenza che il procedimento previsto dagli articoli 702-bis e seguenti del codice di procedura civile deve essere applicato integralmente, anche con riferimento al peculiare sistema di appello previsto dall'articolo 702-quater, potendosi ravvisare, in difetto, un eccesso di delega; ciò appare tanto più vero se si considera l'articolo 3 dello schema di decreto, nel dettare «disposizioni comuni ai procedimenti disciplinati dal rito sommario di cognizione», prevede che non trovino applicazione unicamente i commi 2 e 3 dell'articolo 702-ter codice di procedura civile;
ne deriva che l'articolo 702-quater, dettato per l'appello, dovrebbe sempre trovare piena applicazione per tutti i procedimenti ricondotti al rito sommario di cognizione, anche per quelli per i quali la legge speciale prevede l'inappellabilità; d'altra parte, se si accede all'interpretazione dei principi di delega secondo la quale debbono essere salvaguardate solo le norme processuali che prevedono delle tutele sostanziali speciali, appare evidente come la non appellabilità o la non impugnabilità

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del provvedimento finale non rientri fra le disposizioni volte a prevedere una tutela sostanziale speciale; in base a tale interpretazione, quindi, si deve escludere la necessità di mantenere ferma, in particolare, la non appellabilità o la non impugnabilità del provvedimento finale;
tale conclusione, oltre ad essere imposta dalla legge di delega, si configura come maggiormente garantista e volta ad evitare che vi siano controversie decise in unico grado e con rito sommario; se, difatti, è vero che il doppio grado di merito non è costituzionalmente imposto, è ugualmente vero che l'appello ha un significato del tutto peculiare nel contesto del rito previsto dagli articoli 702-bis e seguenti del codice di procedura civile, costituendo un ineludibile contrappeso volto a bilanciare l'estrema sommarizzazione dell'istruzione; contrappeso tanto più necessario dal momento che, nel caso di specie, il rito sommario non è elettivo ma obbligatorio ed il giudice non può convertire il rito ove lo ritenga non adeguato alla complessità della causa;
fra le fattispecie che, secondo un'interpretazione rigida dei criteri di delega rimarrebbero prive del grado di appello, si ricordano gli articoli 12, comma 6, e 13, comma 6, che escludono l'appellabilità delle ordinanze di liquidazione degli onorari agli avvocati e dei compensi ai consulenti tecnici; l'articolo 16, comma 9, dispone allo stesso modo per l'ordinanza che decide «controversie in materia di espulsione dei cittadini di Stati che non sono membri dell'Unione europea»;
ritenuto che:
la legge delega stabilisce che i procedimenti in cui siano prevalenti «caratteri di concentrazione processuale, ovvero di officiosità dell'istruzione» debbano essere ricondotti al rito del lavoro; quelli in cui siano prevalenti «caratteri di semplificazione della trattazione o dell'istruzione della causa» debbano essere ricondotti al procedimento sommario di cognizione; gli altri procedimenti, nei quali non emergano questi caratteri prevalenti, devono essere ricondotti al rito ordinario (articolo 54, comma 4, lettera b) della legge di delega);
non appare peraltro chiara la ragione che ha determinato il legislatore delegato a ricondurre taluni procedimenti ad uno piuttosto che a un altro modello processuale; ad esempio, non è chiaro per quale ragione siano stati ricondotti al modello del rito del lavoro (invece che a quello del rito ordinario) i procedimenti in materia di applicazione delle disposizioni del codice in materia di protezione dei dati personali; analogo discorso vale per gli articoli articolo 5 e 6, relativi rispettivamente alle controversie in materia di opposizione alle sanzioni amministrative e all'opposizione al verbale di accertamento della violazione del codice della strada, destando perplessità la presenza dei prevalenti caratteri dell'officiosità dell'istruzione o della concentrazione processuale;
quanto ai procedimenti regolati dal rito sommario di cognizione, potrebbe sembrare che il legislatore delegato abbia ritenuto la sussistenza del criterio della semplificazione della trattazione o dell'istruzione della causa tutte le volte in cui il procedimento speciale sia un procedimento camerale; tuttavia, le predette caratteristiche non sono legate tanto al modello processuale, quanto piuttosto alla natura della controversia (come indica la legge delega, che parla di «prevalenti caratteri di semplificazione della trattazione o dell'istruzione della causa»);
desta quindi perplessità l'individuazione della prevalenza dei caratteri della «semplificazione della trattazione o dell'istruzione della causa» in una serie di ipotesi che, pure, lo schema di decreto legislativo annovera fra i procedimenti regolati dal procedimento sommario di cognizione: e così, ad esempio, nell'ipotesi dell'articolo 17, relativo all'impugnazione dei provvedimenti in materia di riconoscimento o revoca dello status di rifugiato; per le azioni popolari previste dall'articolo 19 in materia di eleggibilità, decadenza ed incompatibilità nelle elezioni comunali, provinciali e regionali e dall'articolo 20 in

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materia di eleggibilità e incompatibilità nelle elezioni per il Parlamento europeo; per l'impugnazione dei provvedimenti disciplinari a carico di notai o dei giornalisti, prevista rispettivamente dagli articoli 23 e 24 dello schema o, ancora, per i procedimenti in materia di discriminazione di cui all'articolo 25;
ancora, l'articolo 12 dello schema di decreto legislativo, che sostituisce l'articolo 29 della legge n. 794 del 1942 in materia di liquidazione degli onorari degli avvocati per prestazioni giudiziarie, riconduce anche tale procedimento al rito sommario cognizione; tuttavia, questo procedimento veloce e semplificato si segue, secondo il tradizionale orientamento della giurisprudenza e della dottrina, solo quando oggetto della causa sia la mera determinazione degli onorari degli avvocati in base all'applicazione delle tariffe, e cioè quando effettivamente la particolare natura della controversia richieda una trattazione ed un'istruzione semplificata; il medesimo procedimento, invece, non può essere seguito quando la controversia riguardi la stessa prestazione professionale, ovvero i presupposti stessi del diritto al compenso o i limiti del mandato o la sussistenza di cause estintive o limitative della pretesa;
lo schema dovrebbe anche tenere conto di quale sia la tipologia di giudice debba essere assegnata ogni singola categoria di controversie, per verificare se sia corretto assegnare a quel giudice un dato modello processuale;
sotto questo profilo, vengono in gioco almeno tre possibili criticità: la prima riguarda il giudice di pace; varie norme impiegano infatti il modello del lavoro o il modello sommario per controversie di competenza del giudice di pace (articoli 5, 6, 7, 11. 16); tuttavia nel sistema del codice, il giudice di pace si limita ad applicare il modello ordinario, per di più in una forma semplificata; sarebbe quindi preferibile che i procedimenti in cui sussiste la competenza del giudice di pace fossero trattati con il rito ordinario;
la seconda possibile criticità riguarda l'applicazione del procedimento sommario di cognizione nelle cause di competenza del tribunale in composizione collegiale(come, ad esempio, nel caso dell'articolo 12 dello schema con riferimento alla liquidazione degli onorari e diritti dell'avvocato), nonostante che la disciplina codicistica del procedimento in questione ne limiti l'applicazione alle controversie davanti al tribunale in composizione monocratica;
la terza possibile criticità riguarda i casi di riconduzione al rito sommario di procedimenti in cui sussiste la competenza della corte d'appello in unico grado di merito; infatti, l'impossibilità dell'appello, oltre a quella di ritornare all'applicazione del rito ordinario, possono prestare il fianco alle già illustrate obiezioni; anche in questo caso, dunque, appare preferibile la riconduzione al modello ordinario;
inoltre, la lettera b) del comma 4 dell'articolo 54 della legge n. 69 del 2009 fa esplicito riferimento ai «procedimenti civili di natura contenziosa autonomamente regolati dalla legislazione speciale» come procedimenti speciali che il legislatore delegato avrebbe potuto prendere in considerazione; ma così non è stato ed il riferimento è sia al c.d. rito agrario, di cui alla legge n. 320 del 1963 ed all'articolo 47 legge n. 203 del 1982, già regolato mediante il rinvio integrale alla disciplina del rito del lavoro, sia al procedimento di impugnazione dei provvedimenti in materia di registro dei protesti, di cui all'articolo 4 legge n. 77 del 1995, anch'esso regolato dal rinvio alle norme di cui agli articoli 414 a 438 codice di procedura civile;
la legge delega non consente di introdurre modifiche alla disciplina codicistica dei riti, mentre il legislatore delegato così ha operato (articoli 2, 3 e 4 dello schema), introducendo, di fatto, ulteriori riti speciali disciplinati per alcuni profili in maniera diversa dalla disciplina contenuta nel codice;
rilevato infine che:
l'articolo 4 disciplina il mutamento del rito; il comma 2, tuttavia, richiede ulteriori approfondimenti perché sembra

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escludere il potere del giudice di mutare il rito oltre la prima udienza, sebbene la relativa eccezione sia stata formulata tempestivamente in limine litis; il comma 3, invece, non chiarisce se, nel processo riassunto, restino ferme oppure no le preclusioni maturate nella fase svoltasi con il rito errato, secondo le regole di quel rito erroneamente applicato;
quanto ai procedimenti riconducibili al rito del lavoro, nelle disposizioni che regolano le opposizioni ad ordinanza ingiunzione (articolo 5) a sanzioni amministrative per violazioni del Codice della Strada (articolo 6) e per i provvedimenti in materia di protezione dei dati personali (articolo 9) lo schema di decreto delegato prevede un subprocedimento incidentale che, in caso di pericolo imminente di un danno grave e irreparabile, consente di pronunciare fuori udienza un decreto di sospensione, il quale diviene però inefficace se non confermato con ordinanza, entro la prima udienza successiva o, in ogni caso entro sessanta giorni dalla pronuncia del decreto; l'adozione della sospensiva mediante decreto vincola pertanto il giudice a fissare la prima udienza, ovvero comunque un'apposita udienza per la convocazione della controparte, entro sessanta giorni dalla pronuncia del decreto, a pena d'inefficacia del provvedimento adottato inaudita altera parte; questo sbarramento temporale, rimesso esclusivamente al potere d'impulso processuale del giudice rischia di disincentivare il magistrato dal rendere la sospensione inaudita altera parte; appare quindi preferibile una soluzione che svincoli l'efficacia del decreto di sospensione dal decorso termine perentorio di sessanta giorni, disponendo, peraltro, certamente alla prima udienza l'adozione della pronuncia di conferma, ed individuandosi perciò in tale successiva udienza il termine finale di efficacia del provvedimento inaudita altera parte;
nei procedimenti in materia di applicazione delle disposizioni del codice protezione dati personali, l'articolo 9, comma 7, riafferma che la sentenza che definisce il giudizio può prescrivere le misure necessarie; pure in deroga al divieto di cui all'articolo 4, legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E), anche in relazione all'eventuale atto del soggetto pubblico titolare o responsabile dei dati; va segnalato come, rispetto all'articolo 152, comma 12, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, nel decreto delegato manchi il richiamo alla possibilità esplicita per il giudice di disporre il risarcimento del danno, peraltro non eliminabile in un giudizio che abbia ad oggetto la tutela piena di diritti fondamentali;
relativamente alle controversie agrarie, l'articolo 11, comma 1, stabilisce che esse sono regolate dal rito del lavoro, secondo la disciplina descritta dall'articolo 2; ciò significa che a tali controversie non si applicano le disposizioni che l'articolo 2 dichiara espressamente inapplicabili, sulla base del rilievo che, come espressamente afferma la relazione di accompagnamento, sono tipiche del rito lavoro per le controversie di lavoro; in questo modo, però, il lavoratore agrario ha tutele differenti e minori rispetto agli altri lavoratori: ad esempio non opera per lui il sistema della rivalutazione automatica dei crediti di cui all'articolo 429, comma 3; ciò che appare irragionevole e suscita dubbi di incostituzionalità;
l'articolo 33, comma 18, apporta delle modifiche agli articoli 13 e 14 della legge n. 286 del 1998, modificando il procedimento di convalida dei provvedimenti di accompagnamento coattivo alla frontiera e di trattenimento degli stranieri colpiti da provvedimento di espulsione presso i centri d'identificazione ed espulsione; si ritiene opportuno che la disposizione sia integrata sotto due profili: prevedendo, come stabilito dalla giurisprudenza di legittimità, l'attivazione del contraddittorio con l'audizione dell'interessato e la nomina del difensore, anche in sede di convalida della proroga del trattenimento (che può prolungarsi fino a sei mesi); estendendo l'applicazione dell'articolo 13, comma 5-bis, della citata legge n. 286 del 1998 anche ai provvedimenti assunti dal

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questore in esecuzione dei decreti di allontanamento emessi a carico dei cittadini dell'Unione Europea (articolo 20, comma 11, del decreto legislativo n. 30 del 2007), trattandosi, come affermato dalla Corte di cassazione, di una misura identica alla convalida dell'accompagnamento coattivo dei cittadini extraeuropei, ed essendone espressamente prevista la convalida da parte del Tribunale in composizione monocratica;
ritenuto quindi che un parere favorevole al provvedimento non può essere formulato in assenza delle seguenti condizioni:
1) la scelta del rito o del procedimento di volta in volta applicabile va effettuata in relazione alla natura dei diritti di volta in volta tutelati e alla tipologia di controversie di volta in volta richiamate, in funzione di una razionale «riduzione e semplificazione dei procedimenti civili»;
2) siano unificati i termini per proporre i ricorsi introduttivi dei procedimenti contemplati nonché i termini per l'impugnazione e quelli del procedimento di inibitoria;
3) sia prevista la possibilità di appello nelle forme e nei termini dell'articolo 702-quater del codice di procedura civile per tutti i procedimenti ricondotti al rito sommario di cognizione;
4) l'articolo 2, con riferimento alle disposizioni comuni ai procedimenti disciplinati dal rito del lavoro, va soppresso perché non in linea con la legge delega, oppure sostituito con un articolo del seguente tenore: «nei procedimenti disciplinati dal Capo II si applicano gli articoli da 413 a 441 codice di procedura civile, in quanto compatibili»;
5) l'articolo 3, comma 1, va così riformulato: «nei procedimenti disciplinati dal Capo III non si applica il comma 3 dell'articolo 702-ter codice di procedura civile», ed il comma 2 va soppresso;
6) l'articolo 4 va soppresso perché non in linea con la legge delega;
7) gli articoli 5, 6, 7, 8 e 9, vanno riformulati nel senso di prevedere che dette discipline debbano essere regolate dal rito ordinario e non dal rito del lavoro, non ricorrendo i presupposti previsti dall'articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69, per la riconduzione del rito speciale al rito del lavoro, e cioè la prevalenza dei caratteri della concentrazione processuale o della ufficiosità dell'istruzione;
8) l'articolo 10, con riferimento alle controversie agrarie, deve essere soppresso perché viziato per eccesso di delega, in quanto la disciplina speciale non conteneva un rito autonomamente regolato (come richiesto dalla legge delega) ma rinviava già al rito del lavoro;
9) l'articolo 11, con riferimento alle controversie aventi ad oggetto l'impugnazione avverso il rigetto delle istanze previste dall'articolo 4 della legge 12 febbraio 1955, n. 77 o la mancata decisione delle stesse deve essere soppresso perché viziato per eccesso di delega, in quanto la disciplina speciale non conteneva un rito autonomamente regolato (come richiesto dalla legge delega) ma rinviava già al rito del lavoro;
10) va eliminato il secondo periodo del comma 2 dell'articolo 12 e sostituito il comma 6 dell'articolo 12 con il seguente: «quando la controversia di cui al comma 1 abbia ad oggetto non solo la liquidazione degli onorari e dei diritti dell'avvocato, si applicano le disposizioni di cui al Libro II del codice di procedura civile»;
11) va sostituito il comma 6 dell'articolo 13 con il seguente: «quando la controversia di cui al comma 1 abbia ad oggetto non solo il pagamento delle spese di giustizia, si applicano le disposizioni di cui al Libro II del codice di procedura civile»;
12) va eliminato l'articolo 25 sui procedimenti in materia di discriminazione perché eccede la delega trattandosi di provvedimenti cautelari (Cass., sez. un.,

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6172/2008 «in tema di azione civile contro le discriminazioni l'articolo 44 t.u. sull'immigrazione (decreto legislativo n. 286 del 1998) prevede un procedimento cautelare al quale si applicano, in forza dell'articolo 669-quaterdecies codice di procedura civile ed in quanto compatibili, le norme sul procedimento cautelare uniforme regolato dal Capo III del Titolo I del Libro IV codice di procedura civile»);
né in assenza delle seguenti osservazioni:
a) valuti il Governo l'opportunità di prevedere, in ogni caso di inibitoria, la possibilità che l'efficacia del provvedimento impugnato venga sospesa con decreto, salva eventuale conferma, modifica o revoca in contraddittorio;
b) valuti il Governo l'opportunità di prevedere che i procedimenti in cui sussiste la competenza del giudice di pace siano trattati con il rito ordinario;
c) valuti il Governo l'opportunità di prevedere che i procedimenti in cui sussiste la competenza del tribunale in composizione collegiale siano trattati con il rito ordinario;
d) valuti il Governo l'opportunità di ricondurre al rito ordinario i procedimenti in cui sussiste la competenza della corte d'appello in unico grado di merito;
e) valuti il Governo l'opportunità di riformulare il comma 2 dell'articolo 4, in modo da chiarire che il giudice abbia il potere di mutare il rito anche oltre la prima udienza;
f) valuti il Governo l'opportunità di riformulare il comma 3 dell'articolo 4, chiarendo se, nel processo riassunto, restino ferme le preclusioni maturate nella fase svoltasi con il rito errato, secondo le regole di quel rito erroneamente applicato;
g) valuti il Governo l'opportunità di riformulare gli articoli 5, comma 9, 6, comma 8 e 9, comma 5, sopprimendo l'inciso «e in ogni caso entro sessanta giorni dalla pronuncia del decreto»;
h) valuti il Governo l'opportunità di prevedere espressamente, all'articolo 9, comma 7, che il giudice possa disporre il risarcimento del danno;
i) valuti il Governo l'opportunità di integrare l'articolo 33, comma 18, con la previsione dell'attivazione del contraddittorio con l'audizione dell'interessato e la nomina del difensore, anche in sede di convalida della proroga del trattenimento;
l) valuti il Governo l'opportunità di integrare l'articolo 33, comma 18, estendendo l'applicazione dell'articolo 13, comma 5-bis, della legge n. 286 del 1998 anche ai provvedimenti assunti dal questore in esecuzione dei decreti di allontanamento emessi a carico dei cittadini dell'Unione Europea;
esprime

PARERE CONTRARIO

Capano, Ferranti, Orlando, Cavallaro, Ciriello, Concia, Cuperlo, Melis, Picierno, Rossomando, Samperi, Tenaglia, Tidei, Touadi.

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ALLEGATO 3

Modifiche dei circondari dei tribunali di Pesaro e di Rimini. C. 4130, approvata dal Senato.

EMENDAMENTI

Art. 1.

Al comma 1, lettera b), sopprimere la parola: Montecopiolo.

Conseguentemente al comma 1, aggiungere la lettera c): «nel circondario del tribunale di Urbino è inserito il comune di Montecopiolo».

Conseguentemente aggiungere la lettera d): «nel mandamento del giudice di pace di Novafeltria è soppresso il comune di Montecopiolo».

Conseguentemente aggiungere la lettera e): «nel mandamento del giudice di pace di Macerata Feltria è inserito il comune di Montecopiolo».
* 1. 1.Il relatore.
(Approvato).

Al comma 1, lettera b), sopprimere la parola: «Montecopiolo».

Conseguentemente al comma 1, aggiungere la lettera c): «nel circondario del tribunale di Urbino è inserito il comune di Montecopiolo».

Conseguentemente aggiungere la lettera d): «nel mandamento del giudice di pace di Novafeltria è soppresso il comune di Montecopiolo».

Conseguentemente aggiungere la lettera e): «nel mandamento del giudice di pace di Macerata Feltria è inserito il comune di Montecopiolo».
* 1. 2. Vannucci, Cavallaro, Ferranti, Tenaglia, Samperi.
(Approvato).