CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 22 marzo 2011
456.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale
ALLEGATO
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ALLEGATO 1

Schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario. (Atto n. 317)

PROPOSTE EMENDATIVE ALLA PROPOSTA DI PARERE DEL RELATORE, ON. CORSARO (v. seduta del 21 marzo 2011).

Alla condizione del parere Corsaro, capoverso dopo l'articolo 1, inserire il seguente:
«Art. 1-bis (Fallimento politico) 1. La procedura di cui all'articolo 126, primo comma, della Costituzione si applica anche nel caso di dissesto delle finanze regionali di cui all'articolo 17, comma 1, lettera e), della legge 5 maggio 2009, n. 42, ovvero nel caso di mancato rispetto degli equilibri e degli obiettivi economico-finanziari assegnati alla regione. Lo scioglimento del Consiglio regionale e la rimozione del Presidente della Giunta implica l'incandidabilità dello stesso Presidente e degli Assessori a qualsiasi carica elettiva a livello locale, regionale, nazionale e comunitario, limitatamente ai tre turni elettorali successivi allo scioglimento stesso.
2. Con distinto decreto legislativo correttivo e integrativo, adottato ai sensi della legge 5 maggio 2009, n. 42, e successive modificazioni, vengono disciplinate le modalità di applicazione delle misure previste dal comma 1.
3. L'articolo 247 del testo unico n. 267 del 2000 è sostituito dal seguente: Art. 247. (Omissione della deliberazione di dissesto).
1. Qualora dalle pronunce delle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti emergano comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria, violazioni degli obiettivi della finanza pubblica allargata e irregolarità contabili o squilibri strutturali del bilancio dell'ente locale in grado di provocare il dissesto economico dell'ente locale e lo stesso non abbia adottato, entro il termine assegnato dalla Corte, le necessarie misure correttive previste dall'articolo 1, comma 168, della legge 266 del 2005, la competente sezione regionale, accertato l'inadempimento, trasmette gli atti al Prefetto ai fini della deliberazione dello stato di dissesto e della procedura per lo scioglimento del Consiglio dell'ente ai sensi dell'articolo 141.
2. Il Prefetto può accertare le condizioni di cui all'articolo 244 anche attraverso le verifiche amministrativo-contabili effettuate dai servizi ispettivi di finanza pubblica del Ministero dell'economia e delle finanze, dai bilanci di previsione, dai rendiconti, da deliberazioni dell'ente locale o da altra fonte, formulando chiarimento e assegnando all'organo di revisione contabile il termine di 30 giorni per la risposta.
3. Ove sia accertata la sussistenza delle condizioni di cui all'articolo 244, il Prefetto assegna al Consiglio, con lettera notificata ai singoli consiglieri, un termine non superiore a venti giorni per la deliberazione del dissesto.
4. Decorso infruttuosamente il termine di cui al comma 3, il Prefetto nomina un Commissario per la deliberazione dello stato di dissesto e da corso alla procedura per lo scioglimento del consiglio dell'ente ai sensi dell'articolo 141.
5. Fatta salva ogni altra misura interdittiva ed accessoria eventualmente prevista, gli amministratori responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento

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di cui al presente articolo non possono essere candidati alle elezioni europee, nazionali, regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali limitatamente ai tre turni elettorali successivi allo scioglimento stesso, qualora la loro incandidabilità sia dichiarata con provvedimento definitivo.»
16.Belisario.

Alla condizione del parere Corsaro, capoverso articolo 2, sostituire il comma 1 con i seguenti:
«1. A decorrere dall'anno 2013 l'aliquota base dell'addizionale regionale all'IRPEF è rideterminata con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per le riforme per il federalismo e con il Ministro per i rapporti con le regioni e la coesione territoriale, da adottare entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sentita la Conferenza Stato-Regioni e previo parere delle Commissioni della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica competenti per i profili di carattere finanziario, in modo tale da garantire al complesso delle regioni a statuto ordinario entrate corrispondenti:
a) al gettito assicurato dall'aliquota di base vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo;
b) al gettito necessario a finanziare integralmente le spese di cui all'articolo 10, comma 2, computate ai valori di spesa storica e al netto del gettito dei tributi di cui all'articolo 11, comma 4, lettere a) e b).

1-bis. All'aliquota base così rideterminata possono aggiungersi le aliquote discrezionali di cui al comma 1 dell'articolo 5 del presente decreto. Con il decreto di cui al comma 1 sono ridotte le aliquote dell'IRPEF di competenza statale in modo da compensare l'aumento dell'aliquota base e mantenere inalterato il prelievo fiscale complessivo a carico del contribuente.»

Conseguentemente, all'articolo 11, apportare le seguenti modificazioni:
a) al comma 1, sostituire la lettera b) con la seguente: «b) la quota dell'addizionale regionale all'IRPEF all'aliquota base corrispondente al gettito di cui all'articolo 2, comma 1, lettera a);
b) al comma 1, lettera d), premettere la parole eventuali»;
c) sostituire il comma 3 con i seguenti: «3. La percentuale di compartecipazione all'IVA è stabilita con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'Economia e delle finanze, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato e le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano al livello minimo assoluto sufficiente ad assicurare, tenendo conto dei gettiti di cui all'articolo 11, comma 1, lettere b), c), e), il pieno finanziamento in una sola regione:
a) della spesa storica per le spese di cui all'articolo 10, comma 1 lettere b), c), d), e) e del fabbisogno come definito dall'articolo 21 per le spese relative alla sanità di cui all'articolo 10, comma 1, lettera a), per il 2013;
b) dei fabbisogni standard delle spese di cui all'articolo 10, comma 1 a cui gradualmente convergere nei successivi quattro anni.
3-bis. Per il finanziamento integrale dei livelli essenziali delle prestazioni nelle regioni ove il gettito tributario è insufficiente, concorrono le quote del fondo perequativo di cui al comma 5 del presente articolo.»
d) sostituire il comma 4 con il seguente: «4. Le fonti di finanziamento delle spese di cui al comma 2 dell'articolo 10 del presente decreto sono le seguenti:
a) i tributi propri derivati di cui all'articolo 7, comma 2, del presente decreto;

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b) i tributi propri di cui all'articolo 7, comma 1. lettera b), n. 3), della legge n. 42 del 2009 se di applicazione generale;
c) la quota dell'addizionale regionale all'IRPEF all'aliquota base, corrispondente al gettito di cui all'articolo 2, comma 1, lettera b);
d) eventuali quote del fondo perequativo di cui al comma 7.».
e) al comma 5, secondo periodo, sopprimere le parole «e dei costi standard ove stabiliti» e sostituire la parola «costi» con la seguente «fabbisogni»;
f) al comma 6, primo periodo, sostituire le parole «dei tributi ad esse dedicati» con le seguenti «dei proventi di cui all'articolo 1, comma 1, lettere a), b), c), e)»;
g) al comma 7, lettera a), sostituire le parole «dell'addizionale regionale all'IRPEF» con le seguenti: «della quota dell'addizionale regionale all'IRPEF all'aliquota base di cui all'articolo 2, comma 1, lettera c)»;
h) al comma 7, lettera b), sostituire le parole «dell'addizionale regionale all'IRPEF» con le seguenti: «della quota dell'addizionale regionale all'IRPEF all'aliquota base di cui all'articolo 2, comma 1, lettera c)»;
i) al comma 7, sostituire la lettera c), con la seguente: «c) il principio di perequazione delle differenti capacità fiscali dovrà essere applicato con riferimento alla quota dell'addizionale regionale all'IRPEF all'aliquota base di cui all'articolo 2, comma 1, lettera c), in modo da ridurre le differenze tra i territori con diversa capacità fiscale per abitante in misura pari al 75 per cento».
8.Causi, Vitali, Barbolini, Enzo Bianco, D'Ubaldo, Misiani, Nannicini, Soro, Stradiotto.

Alla condizione del parere Corsaro, capoverso articolo 2, al comma 1, primo periodo, sostituire le parole: «con il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri» con le seguenti: «Con distinto decreto legislativo correttivo e integrativo, adottato ai sensi della legge 5 maggio 2009, n. 42, e successive modificazioni,».

Conseguentemente, sopprimere le seguenti parole: «e previo parere delle Commissioni della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica competenti per i profili di carattere finanziario».
18.Belisario.

Alla condizione del parere Corsaro, capoverso articolo 2, al comma 1, ultimo periodo, sostituire le parole «con l'obiettivo di mantenere» con la seguente: «mantenendo».
17.Belisario.

Alla condizione del parere Corsaro, capoverso articolo 2-bis, premettere il seguente: «Art. 2.1 (Attribuzione di quote delle accise sui tabacchi in favore delle Regioni a statuto ordinario) 1. A decorrere dall'anno 2013, con distinto decreto legislativo correttivo e integrativo, adottato ai sensi della legge 5 maggio 2009, n. 42, e successive modificazioni è riconosciuta alle Regioni a statuto ordinario una quota di compartecipazione sulle accise sui tabacchi.
2. La misura di tale compartecipazione, comunque non inferiore al cinquanta per cento, è individuata in modo tale da assicurare alle regioni a statuto ordinario, unitamente all'addizionale rideterminata ai sensi dell'articolo 2, entrate corrispondenti al gettito assicurato dall'aliquota di base dell'addizionale regionale IRPEF vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, ai trasferimenti statali soppressi ai sensi dell'articolo 6 ed alle entrate derivanti dalla compartecipazione soppressa ai sensi dell'articolo 7, comma 3.».

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Conseguentemente, all'articolo 11, comma 1, sostituire la lettera b) con la seguente:
b) quote dell'addizionale regionale all'IRPEF e delle accise sui tabacchi come rideterminate secondo le modalità del comma 1 dell'articolo 2 e dell'articolo 2.1;
19.Belisario.

Alla condizione del parere Corsaro, capoverso articolo 3, al comma 2, sostituire le parole «alla normativa vigente» con le seguenti: «al D.Lgs. n. 56 del 2000 e successive modificazioni».
20.Belisario.

Alla condizione del parere Corsaro, capoverso articolo 3, al comma 3, terzo periodo, sopprimere le parole «di natura non regolamentare».
21.Belisario.

Alla condizione del parere Corsaro, dopo l'articolo 3 inserire il seguente: «Art. 3-bis. (Disposizioni in materia di contributi in conto capitale alle imprese e disposizioni sulla base di imponibile IRAP) 1. A decorrere dall'anno 2012 gli stanziamenti destinati ai trasferimenti alle imprese, di parte capitale e parte corrente sono trasformati per il 50 per cento del loro importo in crediti di imposta, ad eccezione dei trasferimenti al settore del trasporto pubblico locale, alle Ferrovie dello Stato S.p.A. e all'Anas S.p.A, al fine di determinare un risparmio di spesa valutato a decorrere dal 2012 in 14 miliardi di euro.
2. Al fine di assicurare la continuità delle erogazioni già deliberate, con decreti interministeriali di natura non regolamentare da emanarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, sono dettate le disposizioni transitorie. In caso di inadempienza provvede con proprio decreto il Presidente del Consiglio dei ministri.
3. Ai fini del concorso delle autonomie territoriali al rispetto degli obblighi comunitari per la realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica, le disposizioni di cui al presente articolo costituiscono norme di principio e di coordinamento. Conseguentemente gli enti interessati provvedono ad adeguare i propri interventi alle disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 5 del presente articolo.
5. A decorrere dall'anno di imposta in corso al 1o gennaio 2012, i soggetti che effettuano investimenti in beni strumentali nuovi ovvero realizzano progetti produttivi secondo le modalità e le tipologie valide per le leggi incentivanti ovvero sono destinatari di trasferimenti a fondo perduto di cui al comma 1 per i quali è previsto un finanziamento a fondo perduto fruiscono di un credito di imposta, utilizzabile in dieci anni, per un ammontare corrispondente ai contributi che sarebbero stati erogati in conto capitale e fino a concorrenza di tali somme, nel rispetto dei massimali previsti dalla disciplina degli aiuti di stato dell'Unione europea per le aree svantaggiate. La fruizione del credito di imposta è automatica e avviene a compensazione dei debiti di imposta ai sensi dell'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, per l'anno di imposta in corso al 31 dicembre 2011 e per i successivi. All'onere derivante dal presente comma si provvede, nel limite di 2 miliardi, parzialmente utilizzando i risparmi di spesa derivanti dal comma 1.
6. A decorrere dal periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2012, dalla base imponibile dell'imposta regionale sulle attività produttive di cui al decreto legislativo 12 dicembre 1997, n. 446, determinata ai sensi degli articoli 4, 5, 5-bis, 6 e 7 del citato decreto legislativo, si considerano deducibili le spese per il personale dipendente e assimilato fino a concorrenza delle somme corrispondenti a 200 unità di personale dipendente assimilato. All'onere derivante dal presente comma si provvede, fino al limite di 12 miliardi di euro a valere sui risparmi di spesa derivanti dal comma 1. I risparmi di spesa eccedenti l'onere di cui al presente comma, concorrono

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alla definizione dei saldi finanziari per l'anno 2012 e alla riduzione del deficit.».

Conseguentemente all'articolo 4, sostituire il comma 3 con il seguente:
«3. Non può essere disposta la riduzione dell'IRAP in caso di maggiorazione dell'addizionale IRPEF di cui all'articolo 5, comma 1. La riduzione o azzeramento dell'aliquota IRAP, anche in caso di maggiorazione dell'addizionale, è consentita esclusivamente con le seguenti modalità di copertura:
a) riduzione delle spese correnti per consumi intermedi;
b) trasformazione degli incentivi di competenza delle regioni a statuto ordinario erogati come contributi a fondo perduto in crediti di imposta. La trasformazione può essere prevista anche per la quota di contributi cofinanziati con fondi dell'Unione europea o con fondi statali.
39.Baldassarri, D'Alia, Galletti, Lanzillotta.

Alla condizione del parere Corsaro, capoverso articolo 4, sostituire il comma 1, con il seguente:
«1. A decorrere dall'anno 2014 ciascuna Regione a statuto ordinario, con propria legge, può variare l'aliquota fino ad un massimo di un punto percentuale. Riduzioni superiori a un punto percentuale fino all'azzeramento dell'imposta sono possibili:
a) a condizione che esse siano differenziate per settori di attività e per categorie di soggetti passivi e non determinino riduzioni del gettito complessivo dell'imposta;
b) previa autorizzazione del Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con la Conferenza Stato-regioni, in caso di riduzioni generalizzate tali da determinare una diminuzione del gettito dell'imposta compensata a valere su altre risorse.».

Conseguentemente, al comma 2, sostituire le parole «dagli interventi» con le seguenti: «dalle riduzioni».
3.Enzo Bianco, Vitali, Causi, Barbolini, D'Ubaldo, Misiani, Soro, Nannicini, Stradiotto.

Alla condizione del parere Corsaro, capoverso articolo 4 sostituire i commi 3 e 4 con il seguente:
3. Resta ferma la facoltà di ridurre l'IRAP di cui al comma 1 del presente articolo anche per le regioni sottoposte ai piani di rientro dai deficit sanitari.
53.Compagna.

Alla condizione del parere Corsaro, capoverso articolo 4, dopo il comma 4, aggiungere il seguente: «5. La facoltà di ridurre l'IRAP prevista comma 1 del presente articolo può essere esercitata dall'anno successivo a quello di conclusione dell'attuazione dei piani di rientro dei deficit sanitari».
54.Lanzillotta, Galletti, D'Alia, Baldassarri.

Alla condizione del parere Corsaro, capoverso articolo 5, al comma 1, apportare le seguenti modificazioni:
a) alla lettera b), sostituire le parole
«per l'anno», con le seguenti: «a decorrere dall'anno»;
b) sopprimere la lettera c);
c) aggiungere in fine le seguenti parole: «In ogni caso, il prelievo fiscale di competenza regionale su ciascuno scaglione di reddito di cui al all'articolo 11 del testo unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, non può complessivamente superare il 2 per cento.».
22.Belisario.

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Alla condizione del parere Corsaro, capoverso articolo 5, sostituire al comma 2 sostituire le parole «titolari di redditi complessivi» con la seguente: «redditi».

4.Barbolini, Vitali, Enzo Bianco, Causi, D'Ubaldo, Misiani, Nannicini, Soro, Stradiotto.

Alla condizione del parere Corsaro, capoverso articolo 5 sopprimere i commi da 3 a 7.
5.Causi, Vitali, Barbolini, Enzo Bianco, D'Ubaldo, Misiani, Nannicini, Soro, Stradiotto.

Alla condizione del parere Corsaro, capoverso articolo 5, sostituire il comma 4 con il seguente:
«4. Al fine di adottare specifiche misure a sostegno delle famiglie, le Regioni, possono disporre, con propria legge, l'introduzione di autonome detrazioni, modulate in conformità alle detrazioni di cui all'articolo 12 del TUIR, per tenere conto della presenza di carichi familiari, da utilizzare, ove sussista capienza, in riduzione dell'ammontare dell'addizionale di cui al presente articolo.».
23.Belisario.

Alla condizione del parere Corsaro, capoverso articolo 5, al comma 4 aggiungere in fine il seguente periodo: «Le regioni adottano altresì con legge regionale, misure di erogazione di misure di sostegno economico diretto, a favore dei soggetti IRPEF, il cui livello di reddito e la relativa imposta netta, calcolata anche su base familiare, non consente la fruizione delle detrazioni di cui al presente comma».

Conseguentemente al comma 5 aggiungere in fine il seguente periodo: «Le regioni adottano altresì con legge regionale, misure di erogazione di misure di sostegno economico diretto, a favore dei soggetti IRPEF, il cui livello di reddito e la relativa imposta netta, calcolata anche su base familiare, non consente la fruizione delle detrazioni di cui al presente comma».
40.Baldassarri, D'Alia, Galletti, Lanzillotta.

Alla condizione del parere Corsaro, capoverso articolo 5, ai comma 7, aggiungere in fine il seguente periodo: «La sospensione non opera nel caso in cui le Regioni riducano le spese correnti e le spese per l'acquisto di beni e servizi, a copertura dei maggiori oneri derivanti dall'applicazione delle detrazioni previste dai commi 4 e 5.».
41.Baldassarri, D'Alia, Galletti, Lanzillotta.

Alla condizione del parere Corsaro, capoverso articolo 7, al comma 1, sopprimere le parole: «l'imposta sulle emissione sonore degli aeromobili» e le parole: «agli articoli da 90 a 95 della legge 21 novembre 2000, n. 342».

Conseguentemente, sostituire l'articolo 19-bis con il seguente:

Art. 19-bis.
(Sistema finanziario delle città metropolitane).

1. In attuazione dell'articolo 15 della legge 5 maggio 2009, n. 42, alle città metropolitane sono attribuiti, a partire dalla data di insediamento dei rispettivi organi, il sistema finanziario e il patrimonio delle province soppresse a norma del comma 8 dell'articolo 23 della medesima legge.
2. Alle città metropolitane spettano altresì le risorse che consentono di finanziare integralmente le funzioni loro conferite dai comuni che ne fanno parte e dalla Regione. Alla prima attribuzione di tali risorse si provvede con norme contenute

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nelle proposte di istituzione e negli statuti definitivi di cui ai commi 2, 3 e 8 dell'articolo 23 della legge 5 maggio 2009, n. 42.
3. Per il finanziamento delle specifiche funzioni fondamentali delle città metropolitane, stabilite dalla lettera f) del comma 6 dell'articolo 23 della legge 5 maggio 2009 n. 42, sono loro attribuite, con apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri da emanare su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze d'intesa con la Conferenza unificata, le seguenti fonti di entrata:
a) una compartecipazione al gettito dell'imposta sul valore aggiunto, ulteriore rispetto a quella attribuita ai comuni che ne fanno parte, secondo le modalità stabilite dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri previsto dal comma 4 dell'articolo 2 del decreto legislativo recante disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale, n. 292-bis;
b) una compartecipazione al gettito dell'IRPEF prodotto sul territorio della città metropolitana, ulteriore rispetto a quella attribuita alle province in base all'articolo 14 del presente decreto legislativo;
c) una compartecipazione al gettito delle accise sui carburanti prodotto sul suo territorio.

4. Con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui al precedente comma 3, è altresì attribuita alle città metropolitane la facoltà di istituire:
a) l'imposta sulle emissioni sonore degli aeromobili di cui agli articoli da 90 a 95 della legge 21 novembre 2000, n. 342;
b) l'imposta di scopo prevista dall'articolo 6 del decreto legislativo recante disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale, n. 292-bis, secondo le modalità stabilite dallo specifico regolamento previsto dal medesimo articolo;
c) il contributo straordinario di cui all'articolo 14, comma 16, lettera f), del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, nella misura massima del 66 per cento del maggior valore immobiliare conseguibile, a fronte di rilevanti valorizzazioni immobiliari generate dallo strumento urbanistico generale, in via diretta o indiretta, rispetto alla disciplina previgente per la realizzazione di finalità pubbliche o di interesse generale, ivi comprese quelle di riqualificazione urbana, di tutela ambientale, edilizia e sociale, già attribuito al comune di Roma dal comma 16 dell'articolo 14 del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito nella legge 30 luglio 2010, n. 122. Detto contributo deve essere destinato alla realizzazione di opere pubbliche o di interesse generale ricadenti nell'ambito di intervento cui accede, e può essere in parte volto anche a finanziare la spesa corrente, da destinare a progettazioni ed esecuzioni di opere di interesse generale, nonché alle attività urbanistiche e servizio del territorio. Sono fatti salvi, in ogni caso, gli impegni di corresponsione di contributo straordinario già assunti dal privato operatore in sede di accordo o di atto d'obbligo a far data dall'entrata in vigore dello strumento urbanistico generale vigente;
d) un'addizionale sui diritti d'imbarco dei passeggeri degli aeromobili;
e) una compartecipazione al gettito delle tariffe dei servizi pubblici locali che si riferiscono al loro territorio.».
10.Vitali, Barbolini, Enzo Bianco, Causi, D'Ubaldo, Misiani, Nannicini, Soro, Stradiotto.

Alla condizione del parere Corsaro, capoverso articolo 7, al comma 1-bis sostituire le parole: «numero 3» con le seguenti: «numero 1».
24.Belisario.

Alla condizione del parere Corsaro, capoverso articolo 7, dopo il comma 3, aggiungere il seguente:
«3-bis. Le regioni a statuto ordinario possono, con legge regionale, nel rispetto

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della normativa comunitaria e nei limiti stabiliti dalla legge statale, modulare le accise sulla benzina, sul gasolio e sul gas di petrolio liquefatto, utilizzati dai cittadini residenti e dalle imprese con sede legale e operativa nelle regioni interessate dalle concessioni di coltivazione di cui all'articolo 19 del decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 625, e successive modificazioni.».
25.Belisario.

Alla condizione del parere Corsaro, capoverso articolo 7-ter, dopo il comma 6 aggiungere il seguente: «6-bis. All'articolo 29 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1, lettera b), dopo le parole « in carico agli agenti della riscossione» sono inserite le parole «o ai soggetti di cui all'articolo 52, comma 5, lettera b), del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446»;
b) al comma 1, lettera c), dopo le parole «in carico agli agenti della riscossione» sono inserite le parole «o ai soggetti di cui all'articolo 52, comma 5, lettera b), del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446»;
c) al comma 1, lettera d), dopo le parole «su richiesta dell'agente della riscossione» sono inserite le parole «o dei soggetti di cui all'articolo 52, comma 5, lettera b), del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446»;
d) al comma 1, lettera e), dopo le parole «l'agente della riscossione» sono inserite le parole «o i soggetti di cui all'articolo 52, comma 5, lettera b), del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446»;
e) al comma 1, lettera e) le parole «previste dalle disposizioni che disciplinano la riscossione a mezzo ruolo» sono sostituite dalle seguenti: «previste dal Titolo II del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602»;
f) al comma 1, lettera f), dopo le parole «all'agente della riscossione» sono inserite le parole «o ai soggetti di cui all'articolo 52, comma 5, lettera b), del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446»;
g) al comma 1, lettera g), dopo le parole «alle somme affidate agli agenti della riscossione» sono inserite le parole «o ai soggetti di cui all'articolo 52, comma 5, lettera b), del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446» e dopo le parole «dopo l'affidamento del carico all'agente della riscossione» sono inserite le parole «o ai soggetti di cui all'articolo 52, comma 5, lettera b), del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446»;
h) al comma 3, dopo le parole «L'agente della riscossione» sono inserite le parole «o i soggetti di cui all'articolo 52, comma 5, lettera b), del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446»;
i) dopo il comma 1 è inserito il seguente «1-bis. Sempre in considerazione della necessità di razionalizzare e velocizzare tutti i processi di riscossione coattiva, con uno o più regolamenti da adottare ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, anche in deroga alle norme vigenti, sono introdotte disposizioni finalizzate a razionalizzare, progressivamente, coerentemente con le norme di cui al precedente comma, le procedure di riscossione coattiva dei tributi e di tutte le altre entrate di spettanza degli enti locali.».
2.Stradiotto.

Alla condizione del parere Corsaro, capoverso articolo 11, al comma 5, al terzo periodo, sostituire la parola «sentita» con le seguenti «d'intesa con» e dopo il terzo periodo inserire il seguente: «Allo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri è allegata una relazione tecnica

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concernente le conseguenze di carattere finanziario.».
6.D'Ubaldo, Vitali, Barbolini, Enzo Bianco, Causi, Misiani, Nannicini, Soro, Stradiotto.

Alla condizione del parere Corsaro, capoverso articolo 11, al comma 5, aggiungere, in fine, il seguente periodo: «Ai fini del calcolo della dotazione finanziaria del fondo perequativo nel primo anno del suo funzionamento, la spesa storica di riferimento è fissata ai valori dell'anno 2010. In base a quanto previsto dal successivo articolo 26, comma 3, del presente decreto, se il volume di risorse necessarie ad approvvigionare il fondo perequativo diverge da quanto effettivamente finanziabile in base ai vincoli di finanza pubblica derivanti dal Patto di stabilità e crescita europeo, il Governo, sulla base delle risultanze del tavolo di confronto di cui all'articolo 26, comma 4, propone in sede di presentazione dello schema di Decisione di finanza pubblica, d'intesa con la Conferenza unificata, un piano di progressiva convergenza fra risorse necessarie e risorse disponibili.».

Conseguentemente, all'articolo 26, sostituire il comma 3, con i seguenti:
«3. Fermi restando gli obiettivi di finanza pubblica assunti in sede europea, il Governo, previa verifica in sede di Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica e sulla base delle risultanze del tavolo di confronto di cui al comma 3-bis del presente articolo, propone, nell'ambito del disegno di legge di stabilità, gli interventi necessari al fine di assicurare, dall'anno 2012, alle regioni, alle province e ai comuni che rispettino il patto di stabilità interno la revisione delle riduzioni dei trasferimenti suscettibili di fiscalizzazione coerentemente con quanto previsto dall'articolo 14, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122. L'efficacia delle disposizioni di cui agli articoli 2, comma 1, primo periodo, e 6 del presente decreto resta sospesa sino alla data di entrata in vigore degli interventi di cui al primo periodo del presente comma, fermo restando che ai fini della fiscalizzazione dei trasferimenti erariali alle regioni a statuto ordinario si fa riferimento ai valori dei medesimi in essere nell'esercizio finanziario 2010.
3-bis. Ferme restando le funzioni attribuite alla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell'articolo 24-septies del presente decreto, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri è istituito, entro sessanta giorni dall'entrata in vigore del presente decreto, presso la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, un tavolo di confronto tra il Governo e le regioni a statuto ordinario, costituito dai Ministri per i rapporti con le regioni, per le riforme per il federalismo, per la semplificazione normativa, dell'economia e delle finanze e per le politiche europee, nonché dai Presidenti delle regioni medesime. Il tavolo individua linee guida, indirizzi e strumenti per assicurare l'attuazione di quanto previsto dal comma 3 del presente articolo.».
7.Vitali, Barbolini, Enzo Bianco, Causi, D'Ubaldo, Misiani, Nannicini, Soro, Stradiotto.

Alla condizione del parere Corsaro, capoverso articolo 11, al comma 7, lettera c), dopo le parole «ridurre le differenze» inserire le seguenti: «, in misura non inferiore al 75 per cento,».
9.Soro, Vitali, Barbolini, Enzo Bianco, Causi, D'Ubaldo, Misiani, Nannicini, Stradiotto.

Alla condizione del parere Corsaro, capoverso articolo 11, al comma 7, lettera d), aggiungere in fine le seguenti parole: «; tiene conto altresì delle caratteristiche territoriali,

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con particolare riguardo alla presenza di zone montane, oltre che delle caratteristiche demografiche, sociali e produttive.»
26.Belisario.

Alla condizione del parere Corsaro, capoverso sostituire il Capo II con il seguente: «Autonomia di entrata delle province e delle città metropolitane».
45.Vitali.

Alla condizione del parere Corsaro, capoverso articolo 12, al comma 1, premettere le seguenti parole: «In attesa della loro soppressione,».
27.Belisario.

Alla condizione del parere Corsaro, capoverso articolo 13, sopprimere il comma 5-bis.
28.Belisario.

Alla condizione del parere Corsaro, capoverso articolo 14, sopprimere il comma 6.
46.Vitali.

Alla condizione del parere Corsaro, capoverso articolo 16, sopprimere il comma 1-bis.
29.Belisario.

Alla condizione del parere Corsaro, capoverso articolo 17, al comma 3, sostituire le parole: «Previo accordo sancito», con le seguenti: «Previa intesa sancita».
30.Belisario.

Alla condizione del parere Corsaro, capoverso articolo 19, dopo la parola «province» inserire le seguenti: «e delle città metropolitane» ovunque ricorra.

Conseguentemente, sostituire la rubrica con la seguente: «Fondo perequativo per le province e per le città metropolitane».
47.Vitali.

Alla condizione del parere Corsaro, capoverso articolo 19-bis, sostituire il comma 3 con il seguente: «3. Ciascuna regione, nell'esercizio dei poteri ad essa spettanti ai sensi dell'articolo 2, lettera q), n. 2, della legge n. 42 del 2009, può deliberare l'attribuzione alla città metropolitana del gettito dell'imposta sulle emissioni sonore degli aereomobili».
31.Belisario.

Alla condizione del parere Corsaro, capoverso articolo 21, apportare le seguenti modificazioni:
a) sostituire la rubrica con la seguente:
«Determinazione del fabbisogno sanitario nazionale finanziabile»;
b) al comma 1, primo periodo, sostituire la parola «standard» con le seguenti «finanziabile (FSNF)»;
c) al comma 2, sostituire le parole «fabbisogno nazionale standard» con le seguenti «fabbisogno sanitario nazionale finanziabile».

Conseguentemente, all'articolo 23, comma 1, sostituire le parole «fabbisogno standard nazionale» con le seguenti: «fabbisogno sanitario nazionale finanziabile».
11.Nannicini, Vitali, Barbolini, Enzo Bianco, Causi, D'Ubaldo, Misiani, Soro, Stradiotto.

Alla condizione del parere Corsaro, capoverso articolo 21, al comma 1, sostituire la parola «annualmente, per il triennio successivo», con le seguenti: «a cadenza triennale».

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Conseguentemente, all'articolo 22, comma 1, sostituire la parola «annualmente» con le seguenti: «a cadenza triennale».
Conseguentemente, all'articolo 22, comma 11, sostituire le parole: «
nell'anno», con le seguenti: «negli anni».
32.Belisario.

Alla condizione del parere Corsaro, capoverso articolo 21, al comma 1, al primo periodo aggiungere, in fine, le seguenti parole: «nonché a partire dal 2015, in diretta correlazione con la determinazione dei costi e dei fabbisogni standard regionali».

Conseguentemente all'articolo 22, al comma 6, dopo le parole «dalla media pro-capite pesato del costo registrato dalle regioni benchmark» aggiungere le altre «come determinato dal costo registrato nell'esercizio 2005, incrementato dal tasso di inflazione certificato dall'ISTAT».
42.Baldassarri, D'Alia, Galletti, Lanzillotta.

Alla condizione del parere Corsaro, capoverso articolo 21, al comma 1, al primo periodo aggiungere, in fine, le seguenti parole: «nonché a partire dal 2015, in diretta correlazione con la determinazione dei costi e dei fabbisogni standard regionali».

Conseguentemente all'articolo 22, al comma 6, dopo le parole «dalla media pro-capite pesato del costo registrato dalle regioni benchmark» aggiungere le altre «come determinato dal costo registrato nell'esercizio 2005, incrementato dal tasso di inflazione certificato dall'ISTAT, dei servizi e delle prestazioni erogate come singolarmente individuati nel Nuovo sistema informativo sanitario, per ciascuno dei macrolivelli di cui al comma 3, registrato dalle regioni benchmark».
43.Baldassarri, D'Alia, Galletti, Lanzillotta.

Alla condizione del parere Corsaro, capoverso articolo 22, apportare le seguenti modificazioni:
a) sostituire la rubrica con la seguente
: «Determinazione dei costi e dei fabbisogni sanitari standard regionali e nazionali»;
b) sostituire il comma 1 con il seguente: «1. Il Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con la Conferenza Stato-Regioni ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto n. 1997, n. 281, sentita la Struttura tecnica di supporto della Conferenza Stato-Regioni di cui all'articolo 3 dell'intesa Stato-Regioni del 3 dicembre 2009, determina annualmente per ciascun triennio, sulla base della procedura definita nel presente articolo, i costi e i fabbisogni standard regionali necessari ad assicurare i livelli essenziali di assistenza in condizioni di efficienza ed appropriatezza e sulla base dei costi standard.»;
c) dopo il comma 3, inserire il seguente:
«3-bis. I livelli percentuali di cui al comma 3 sono soggetti a revisione biennale in coerenza con il processo di convergenza di cui all'articolo 20, comma 1, lettera b), della legge n. 42 del 2009.»;
d) al comma 4, primo periodo, aggiungere, in fine, le seguenti parole: «, anche tenendo conto di un sistema di pesi e indicatori di tipo socioeconomico, ritenuti utili ai fini di definire i bisogni sanitari, secondo criteri fissati mediante intesa in Conferenza Stato-Regioni. Sino al raggiungimento dell'intesa, ai fini del riparto di cui al successivo comma 9 si applicano i criteri adottati per il riparto delle annualità 2010-2012.»;
e) sostituire il comma 5 con il seguente: «5. Sono regioni di riferimento le cinque regioni che, avendo garantito l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza in condizione di equilibrio economico e

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risultando adempienti, come verificato dal Tavolo di verifica degli adempimenti regionali di cui all'articolo 12 dell'Intesa Stato-Regioni in materia sanitaria del 23 marzo 2005, sono individuate dalla Conferenza Stato-Regioni in base a criteri di qualità dei servizi erogati, appropriatezza ed efficienza. A tale scopo si considerano in equilibrio economico le regioni che garantiscono l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza in condizioni di efficienza e di appropriatezza con le risorse ordinarie stabilite dalla vigente legislazione a livello nazionale, ivi comprese le entrate proprie regionali effettive. L'indicazione delle Regioni deve essere rappresentativa delle ripartizioni territoriali nazionali e delle classi di dimensione demografica.»;
f) al comma 7, dopo le parole «relativi al» inserire le seguenti: «triennio terminante con il» ovunque ricorrano;
g) al comma 8, aggiungere, in fine, le seguenti parole: «, anche tenendo conto degli indicatori di cui al comma 4»;
h) sostituire il comma 9 con il seguente:
«9. Il riparto tra le regioni è effettuato applicando annualmente il valore percentuale del fabbisogno sanitario regionale rispetto a quello nazionale all'ammontare complessivo del FSNF determinato ai sensi dell'articolo 21, comma 1.»;
i) al comma 10, aggiungere, in fine, il seguente periodo: «Durante i cinque anni sono annualmente monitorati e verificati i LEA, le pesature per popolazione, gli indicatori di tipo socioeconomico di cui al comma 4, i risultati dei piani di rientro. Al verificarsi di scostamenti fra FNSF e fabbisogno sanitario nazionale standard, previa intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni, vengono predisposte misure per la convergenza. Tali misure tengono conto prioritariamente del rapporto fra struttura del sistema sanitario ed efficienza nell'erogazione dei servizi, e intervengono con appositi investimenti per la riorganizzazione della stessa struttura»;
l) al comma 11, sostituire le parole «nell'anno» con le seguenti: «nel triennio».
12. Causi, Vitali, Barbolini, Enzo Bianco, D'Ubaldo, Misiani, Nannicini, Soro, Stradiotto.

Alla condizione del parere Corsaro, capoverso articolo 22, dopo il comma 3, aggiungere il seguente: «3-bis. I livelli percentuali di finanziamento della spesa sanitaria di cui al comma 3 possono essere soggetti a revisione, previa intesa della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome, in coerenza con il processo di convergenza di cui all'articolo 20, comma 1, lettera b), della legge n. 42 del 2009.».
33.Belisario.

Alla condizione del parere Corsaro, capoverso articolo 22, al comma 5, apportare le seguenti modificazioni:
a) al primo periodo, sostituire la parola «tre» con la seguente: «cinque»;
b) al medesimo periodo, sostituire la parola «cinque» con la seguente: «otto» ovunque ricorra.

Conseguentemente, al comma 7, dopo le parole: «dei risultati relativi», aggiungere le seguenti: «del triennio terminante con l'».
34.Belisario.

Alla condizione del parere Corsaro, capoverso articolo 22, al comma 6, secondo periodo, sostituire le parole «media pro-capite pesata» con le seguenti: «media pro-capite aritmetica».
35.Belisario.

Alla condizione del parere Corsaro, capoverso articolo 22, dopo il comma 6, inserire il seguente: «6-bis. Il Servizio nazionale sanitario concorre alla spesa farmaceutica esclusivamente per i farmaci

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prescritti per posologia degli stessi secondo la quantità e il periodo ritenuto adeguato dal medico. I costi e i fabbisogni standard regionali riferiti alla spesa farmaceutica sono determinati, a partire dal 2015, tenendo conto di quanto previsto al presente comma».
44.Baldassarri, D'Alia, Galletti, Lanzillotta.

Alla condizione del parere Corsaro, capoverso articolo 24, sostituire il comma 2 con il seguente: «2. Il Ministro della salute, d'intesa con la Conferenza Stato-regioni, implementa un sistema adeguato di valutazione della qualità delle cure e dell'uniformità dell'assistenza in tutte le Regioni ed effettua un monitoraggio costante dell'efficienza e dell'efficacia dei servizi, anche al fine degli adempimenti di cui all'articolo 22, comma 10.».
13.Stradiotto, Vitali, Barbolini, Enzo Bianco, Causi, D'Ubaldo, Misiani, Nannicini, Soro.

All'articolo 24, comma 2, sostituire le parole «Ministro dell'interno» con le seguenti «La Conferenza è presieduta dal Presidente della Conferenza Unificata; ne fanno parte il Ministro dell'economia e delle finanze,».

Conseguentemente all'articolo 24-sexies, comma 1, sopprimere le parole: «Il Ministro dell'economia e delle finanze d'intesa con».
52.Lanzillotta, D'Alia, Galletti, Baldassarri.

Alla condizione del parere Corsaro, capoverso articolo 24, dopo il comma 2, aggiungere il seguente: «2-bis. Al fine di migliorare le funzioni di monitoraggio e valutazione del sistema, nell'ambito dei flussi informativi del NSIS, è attribuito ad ogni cittadino utente, con modalità tecniche rispettose della riservatezza, un codice univoco identificativo, che permetta di seguirne e tracciarne il percorso sanitario per ogni singola patologia, al fine di valutare i livelli di appropriatezza lungo l'intera sequenza di contatti con la rete di offerta del servizio sanitario nazionale.».
14.Misiani, Vitali, Barbolini, Enzo Bianco, Causi, D'Ubaldo, Nannicini, Soro, Stradiotto.

Alla condizione del parere Corsaro, capoverso articolo 24-bis, dopo il comma 2, aggiungere i seguenti: «2-bis. Nei casi in cui il gettito di un tributo erariale sia interamente devoluto alle province autonome di Trento e Bolzano, queste, ai sensi dell'articolo 73 dello statuto speciale per il Trentino Alto Adige, possono liberamente modificare aliquote e prevedere agevolazioni, anche sotto forma di credito d'imposta, con il solo limite del rispetto delle aliquote superiori definite dalla normativa statale.
2-ter. In relazione alla competenza in materia di tributi locali prevista dall'articolo 80 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, le province autonome possono disciplinare le modalità di applicazione dei tributi medesimi, ivi comprese quelle relative alla riscossione e all'accertamento. Salvo che le province non li disciplinino autonomamente, non trovano applicazione i tributi locali istituiti dallo Stato nelle materie statutariamente demandate alla competenza regionale o provinciale.
2-quater. Fatta salva l'invarianza del gettito spettante all'erario, le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano, nell'ambito delle imposte dirette da esse compartecipate, possono disporre detrazioni in favore della famiglia, maggiorando le detrazioni previste dall'articolo 12 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917. Possono inoltre disporre detrazioni in luogo dell'erogazione di sussidi ed altre misure di sostegno sociale previste dalla legislazione regionale o provinciale.»
1. Thaler.

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Alla condizione del parere Corsaro, capoverso articolo 24-bis, dopo il comma 2, aggiungere il seguente: «2-bis. È estesa agli enti locali appartenenti ai territori delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano l'applicazione, a fini esclusivamente conoscitivi e statistico-informativi, delle disposizioni relative alla raccolta dei dati, inerenti al processo di definizione dei fabbisogni standard, da far confluire nelle banche dati informative ai sensi degli articoli 4 e 5 del decreto legislativo 26 novembre 2010, n. 216.»
15.Causi.

Alla condizione del parere Corsaro, capoverso articolo 24-ter, dopo la parola «province» inserire le seguenti: «e delle città metropolitane» ovunque ricorra.
48.Vitali.

Alla condizione del parere Corsaro, capoverso articolo 24-ter, apportare le seguenti modificazioni:
a) dopo il comma 1, inserire i seguenti:
«1-bis.
L'esercizio dell'autonomia impositiva da parte delle Regioni a statuto ordinario e delle Province, in attuazione del presente decreto, è subordinata alla riduzione del livello della pressione fiscale complessiva a carico del contribuente, ove sancita dall'indicatore sulla pressione fiscale, pubblicato annualmente dall'Istituto nazionale di statistica, e recepita nella Decisione di finanza pubblica, di cui all'articolo 10 della legge 31 dicembre 2009, n. 196».
1-ter. È fatta comunque salva la possibilità per le Regioni a statuto ordinario e per le Province di ridurre la pressione fiscale complessiva a carico dei contribuenti di riferimento.«
b) dopo il comma 2, inserire i seguenti:
«2-bis. La Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica concorre altresì alla definizione del limite di pressione fiscale annuale per ciascuna Regione a statuto ordinario.
2-ter. Nel caso in cui il monitoraggio, effettuato in sede di Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell'articolo 18 della legge 5 maggio 2009, n. 42, rilevi scostamenti per eccesso al limite di cui al comma 2-bis del presente articolo predispone le immediate azioni correttive da intraprendere.».
36.Belisario.

Alla condizione del parere Corsaro, capoverso articolo 24-sexies, al comma 4, primo periodo, dopo le parole: «articolo 17, comma 1, lett. a) e b)», aggiungere le seguenti: «della legge n. 42 del 2009».
37.Belisario.

Alla condizione del parere Corsaro, capoverso articolo 24-septies, al comma 1, dopo il punto 5), inserire il seguente: «5-bis) la Conferenza mette a disposizione del Senato della Repubblica, della Camera dei deputati, dei Consigli regionali e di quelli delle province autonome tutti gli elementi informativi raccolti».
38.Belisario.

Aggiungere la seguente osservazione:
«Valuti il Governo la necessità di adottare uno o più decreti legislativi che intervengano sugli attuali meccanismi di finanziamento delle spese ordinarie in conto capitale e dei connessi trasferimenti dallo Stato alle regioni e dalle regioni agli enti locali, i quali non sono stati riformati nei decreti legislativi finora adottati e che devono altresì trovare coerenza con i nuovi meccanismi degli interventi speciali di cui al quinto comma dell'articolo 119 della Costituzione».
49.Vitali, Barbolini, Enzo Bianco, Causi, D'Ubaldo, Misiani, Nannicini, Soro, Stradiotto.

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Aggiungere la seguente osservazione:
«Valuti il Governo, in attuazione dell'articolo 22 della legge n. 42/2009, di considerare in sede di predisposizione dei successivi decreti legislativi l'esigenza di tener conto delle specifiche realtà territoriali con riferimento al deficit infrastrutturale, anche al fine di tener conto della necessità di assicurare, nella fase transitoria di attuazione del federalismo fiscale, la predisposizione di interventi finalizzati al recupero delle carenze infrastrutturali presenti in ciascun territorio, ivi comprese quelle relative al trasporto pubblico locale, così come testualmente disposto dall'articolo 22, comma 2, primo periodo, della legge n. 42 del 2009».
50.Vitali, Barbolini, Enzo Bianco, Causi, D'Ubaldo, Misiani, Nannicini, Soro, Stradiotto.

Aggiungere la seguente osservazione:
«Valuti il Governo la necessità di provvedere con urgenza a definire il funzionamento del sistema perequativo dei comuni, delle province e delle città metropolitane».
51.Vitali, Barbolini, Enzo Bianco, Causi, D'Ubaldo, Misiani, Nannicini, Soro, Stradiotto.

Aggiungere la seguente osservazione:
«In riferimento all'articolo 5, premesso che la maggiore autonomia di entrata delle regioni deve essere correlata con un contemporaneo intervento sul lato della spesa; che sussiste il forte rischio che le regioni utilizzino l'addizionale regionale all'IRPEF per coprire spese di parte corrente, ovvero utilizzino esclusivamente la leva tributaria per ripianare i deficit di bilancio; occorre specificare che gli interventi di riduzione dell'addizionale possono essere effettuati esclusivamente con la contestuale copertura operata, per una quota del 50 per cento dell'onere, con la riduzione delle spese correnti e con aumento delle tasse, per la restante quota del 50 per cento.».
55.Baldassarri, D'Alia, Galletti, Lanzillotta.

Aggiungere la seguente osservazione:
«Individui il Governo forme e modalità più idonee affinché si tenga conto di assegnare ai comuni montani e ai comuni delle isole minori misure di fiscalità di vantaggio.».
56.Paolo Franco, La Loggia.

Aggiungere la seguente osservazione:
«Valuti il Governo, nell'ambito della riforma fiscale allo studio, l'opportunità di prevedere, anche a titolo di parziale ristoro degli oneri derivanti dai danni ambientali, che misure fiscali compensative, anche attraverso compartecipazioni alle accise, siano devolute alle regioni a statuto ordinario e alle regioni a statuto speciale, ai sensi di quanto previsto dall'articolo 27 della legge n. 42 del 2009, nelle quali è esercitata attività di coltivazione o raffinazione di idrocarburi o gas naturale, calcolando la quota spettante a ciascuna regione in proporzione al loro peso demografico.».
57.La Loggia.

Aggiungere la seguente osservazione:
«Valuti il Governo, al fine di accrescere l'efficienza e l'efficacia dell'azione amministrativa, che per la definizione e l'erogazione dei servizi che sulla base dello schema di decreto sono attribuiti alla competenza delle regioni e delle province, nonché per la determinazione dei costi dei fabbisogni standard del settore sanitario e per una migliore qualità nell'impiego delle relative risorse, venga tenuto conto delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, in particolare dei servizi digitali in banda larga.».
58.La Loggia.

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ALLEGATO 2

Schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario. (Atto n. 317).

PROPOSTA DI PARERE ALTERNATIVO A QUELLO DEL RELATORE ON. CORSARO (v. seduta del 21 marzo 2011) PRESENTATA DAGLI ON. GALLETTI, SEN. D'ALIA, ON. LANZILLOTTA E SEN. BALDASSARRI

La Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale,

esaminato lo schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario;

premesso che:

il decreto legislativo in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario interviene, tra i vari aspetti, per regolare l'autonomia fiscale di Regioni a statuto ordinario e Province, nonché per intervenire per sopprimere dal 2012 i trasferimenti statali finora operati nei confronti dei suddetti enti locali;

all'articolo 2 lo schema stabilisce «l'obiettivo di mantenere inalterato il prelievo fiscale complessivo a carico del contribuente»;

a decorrere dal 2013 le Regioni potranno beneficiare di una compartecipazione al gettito IVA in funzione del principio di territorialità, rimanendo fino ad allora valido il principio di ripartizione della compartecipazione in funzione del consumo delle famiglie.

Dal 2014 ciascuna Regione potrà ridurre l'IRAP fino ad azzerarla, eccezion fatta per le regioni che avranno deliberato addizionali IRPEF maggiori dello 0,5 per cento rispetto alle aliquote base e per quelle che dovranno ridurre il deficit sanitario;

il decreto introduce la possibilità, per le Regioni, di incrementare le addizionali regionali, a partire dal 2012 (con aliquota stabilita con apposito DPCM), nel 2013 dello 0,5 per cento, nel 2014 dell'1,1 per cento e nel 2015 del 2,1 per cento, procedendo alla contestuale riduzione delle aliquote statali IRPEF fin dal 2012;

il processo di determinazione dei costi e fabbisogni standard per il settore sanitario rappresenta uno snodo fondamentale nel percorso di attuazione del federalismo fiscale al fine di accrescere l'efficienza nell'erogazione dei relativi servizi, superando definitivamente il finanziamento comunque influenzato dal dato della spesa storica. Il servizio sanitario fornisce ai cittadini prestazioni attinenti ai valori costituzionalmente protetti della vita e della salute (per il cd «diritto di cittadinanza») e che pertanto il livello quali-quantitativo di tali prestazioni deve essere sostanzialmente omogeneo in tutto il territorio nazionale. Tale livello è allo stato puntualmente definito con il DPCM del 29 novembre 2001 di determinazione dei livelli essenziali di assistenza in ambito sanitario,

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il cui rispetto appare pertanto quale condicio sine qua non per garantire una tutela generalizzata ed uniforme sul territorio nazionale degli inviolabili diritti alla vita e alla salute.

La norma dell'articolo 2 che specifica l'invarianza della pressione fiscale rispetto alla situazione vigente costituisce una vera incognita e comporta un'evidente disparità tra Regioni, soprattutto con riferimento a quegli enti locali che fino ad oggi non hanno ritenuto opportuno aumentare fino al limite consentito le addizionali regionali e ora si trovano a concorrere con regioni che hanno incrementato al massimo possibile le addizionali; l'invarianza di pressione fiscale invocata per ciascun contribuente dall'articolo 2 appare, dunque, una mera petizione di principio, non è supportata da un criterio certo e non specifica rispetto a quale anno vada rispettata l'invarianza di pressione fiscale. Inoltre l'articolo 2 precisa che all'aliquota (dell'addizionale regionale) si aggiungono a decorrere dal 2014 le percentuali fissate dall'articolo 5, comma 1 lettere b) (1,1 a partire dal 2014) e c) (2,1 a partire dal 2015) che andranno necessariamente ad aumentare il prelievo complessivo, perché non ne è prevista la corrispondente contestuale riduzione delle aliquote statali. Questo sembra in aperta contraddizione con il comma 2 dell'articolo 26, che conferma che «l'esercizio dell'autonomia tributaria non può comportare, da parte di ciascuna Regione, un aumento della pressione fiscale a carico del contribuente».

L'IRAP produce un gettito fiscale annuo di circa 35 miliardi di euro, e per questo consiste in una quota rilevante e appetibile di entrate per le Regioni: per come è attualmente disciplinata l'imposta, ed in virtù della previsione di ridurre l'imposta fino ad azzerarla, si genererebbe una competizione fiscale ingiustificata tra enti con aliquote maggiori e minori per attrarre attività produttive. In relazione alle disposizioni sull'IRAP, dunque, va tenuto conto delle conseguenze negative che deriverebbero da un diverso regime dell'imposta in termini di competitività nei territori: sarebbe preferibile un assetto in cui si prefiguri la possibilità di differenziare l'imposta stessa per i diversi settori, prevedendo altresì un coordinamento da parte della Conferenza delle Regioni. L'IRAP, infine, contrasta con quasi tutti i principi federalisti delle Regioni, per cui mal si presta a costituire una delle principali fondamenta di un'autonomia tributaria, soprattutto perché non è correlata ad alcune prestazioni a favore dei soggetti passivi (le imprese) su cui grava; oltretutto colpisce le imprese che sono i soggetti più mobili del sistema economico e la distribuzione del gettito tra Regioni non avviene secondo il valore della produzione ottenuto, bensì secondo il costo del lavoro impiegato nelle attività localizzate in più regioni.

Le modalità di suddivisione della compartecipazione IVA secondo criteri di territorialità non è in alcun modo chiarita e le disposizioni attuali in merito alla assegnazione della compartecipazione stessa non tengono conto, oltre che dell'evasione potenziale, anche dell'imposta pagata da Università, centri di ricerca, scuole, ossia di tutti quegli enti su cui grava l'imposta e non possono rivalersi sui consumatori finali. Il gettito IVA attribuibile a questi soggetti equivale a circa un terzo di quello complessivo.

Ad oggi, non è dato sapere come si intenderà operare la riduzione delle aliquote IRPEF statali per compensare l'aumento delle addizionali regionali in modo tale da garantire l'invarianza della pressione fiscale per i contribuenti. I dati presi come riferimento per quantificare il gettito delle addizionali regionali, nonché quelli riferiti all'ammontare dei trasferimenti erariali soppressi (circa 6,4 miliardi di euro), sono riferiti all'anno d'imposta 2008, dunque sono informazioni non aggiornate e fuorvianti. Nonostante l'addizionale regionale in mano alle Regioni costituisca un potente strumento di policy, sembra limitato permettere di far intervenire gli enti locali solo attraverso detrazioni

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a carico delle famiglie e per garantire la sussidiarietà orizzontale: peraltro le detrazioni non interverrebbero a beneficio delle famiglie meno abbienti e non tenute al pagamento dell'IRPEF (circa 10 milioni di contribuenti a basso reddito in rapporto ai 41 milioni di contribuenti complessivi). In virtù alle precedenti considerazioni, dunque, la previsione della manovrabilità delle aliquote dell'addizionale IRPEF da parte delle regioni è difficilmente compatibile con la diversa dinamicità della leva fiscale, che non risulta omogenea nei territori e non correlata alla numerosità della popolazione, con il principio del coordinamento della finanza pubblica. Pertanto, l'impatto sui singoli territori e sui cittadini potrebbe essere molto differenziato.

Il decreto presuppone la possibilità di aumentare (o diminuire) le addizionali regionali all'IRPEF dello 0,5 per cento rispetto alla quota fissa attuale dello 0,9 per cento. Non è in alcun modo chiaro quale sia il meccanismo che regolerà l'adeguamento al nuovo sistema, non solo per quelle regioni che presentano già un'addizionale regionale con aliquota dell'1,4 per cento, quanto in particolar modo per quelle regioni che hanno dovuto incrementare la stessa aliquota all'1,7 per ridurre il deficit sanitario (Abruzzo, Calabria, Campania, Lazio, Molise). Queste ultime regioni indubbiamente sarebbero penalizzate, in termini di gettito, dalla nuova previsione del decreto e non potrebbero in alcun modo agire con discrezionalità sulle addizionali, soprattutto con riferimento alla possibilità offerta dal decreto di disporre detrazioni per le famiglie e altre forme di beneficio nella sussidiarietà orizzontale. Dunque, si toglie la discrezionalità alle Regioni impegnate nei piani di rientro dal deficit sanitario nel disporre detrazioni a favore della famiglia o detrazioni dell'addizionale in luogo dell'erogazione di sussidi, voucher, buoni servizio e altre misure di sostegno sociale. Si penalizza, in particolare, il Sud dove è indubbio che il reddito pro-capite sia inferiore alla media nazionale.

Il decreto, inoltre, nonostante quanto sia stabilito nella previsione dell'articolo 5, in realtà non assicurerà una sufficiente neutralità dell'addizionale regionale IRPEF rispetto alla progressività dell'imposta, in quanto penalizza le famiglie monoreddito con redditi superiori a 28.000 euro e i redditi più elevati. Inoltre, per i redditi da lavoro dipendente e per i pensionati con redditi maggiori di 28.000 euro è prevista una clausola di salvaguardia secondo cui non è possibile incrementare oltre l'1,4 per cento le addizionali regionali. Rimane poco chiaro il motivo per cui non siano stati considerati anche i redditi da lavoro autonomo e quelli d'impresa di pari ammontare, costituendo dunque un ingiustificato paradosso che andrà a colpire negativamente, in particolar modo, i giovani in cerca di occupazione e gli imprenditori che presentano redditi bassi. La soluzione prospettata, in definitiva, circoscriverebbe il prelievo regionale sui soli redditi medio-alti, con il risultato di incentivare lo sforzo fiscale soltanto nelle Regioni ricche.

In definitiva, come più volte sottolineato, sarebbe stato molto più opportuno, ancor prima di procedere all'attuazione del federalismo fiscale, pensare ad una riforma fiscale che potesse attribuire ai tributi ed alle imposte del nostro ordinamento tributario una maggiore equità orizzontale e verticale. Per alcune imposte, come l'IRAP, sarebbe stato opportuno rivedere, in particolar modo, i criteri di attribuzione e ripartizione del gettito, tra regioni in cui le attività produttive possiedono diverse unità operative, sulla base dell'effettivo valore aggiunto prodotto e non sulla base del costo del lavoro sostenuto.

Come era prevedibile, non viene considerata l'eliminazione delle Province, un obiettivo peraltro sostenuto dal Governo in campagna elettorale. Secondo alcune proiezioni, alle Province sono imputabili costi diretti (cioè quei costi riferibili alle spese volte a remunerare l'attività dei politici, ma al netto dei costi per i servizi

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e le funzioni svolte, per le consulenze ed i costi di personale e uffici) per un valore stimato intorno ai 150-200 milioni di euro annui. L'importo sembrerebbe quindi risibile. Se al risparmio diretto si aggiungono i possibili risparmi di spesa conseguenti, per esempio, alla riallocazione dei dipendenti pubblici e all'ottimizzazione nella gestione delle diverse funzioni, il risparmio complessivo che ne potrebbe conseguire sarebbe di oltre 2 miliardi di euro.

Con riferimento al meccanismo di perequazione ed all'istituzione del fondo perequativo, il funzionamento del fondo è stabilito con effetti dal 2014, mentre dal 2012 le regioni vedranno soppressi i trasferimenti statali e potranno gestire solo il gettito proveniente dall'addizionale regionale, dunque non adatto ad una distribuzione territoriale coincidente con i trasferimenti che saranno soppressi. Dunque non è garantita una coincidenza temporale tra soppressione dei trasferimenti (dal 2012) ed entrata in funzione del fondo perequativo (2014) destinato a coprire integralmente il finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni.

Nel decreto non risulta chiaro come debbano essere determinati i livelli essenziali delle prestazioni (LEP), con particolare riferimento al fatto che il Paese è caratterizzato da situazioni «regionali» molto differenti. Si prevede anzi espressamente che restino immutati a tempo indeterminato. Sarebbe invece necessario prevedere aggiornamenti periodici dei Livelli Essenziali perché le esigenze e le preferenze dei cittadini cambiano nel tempo.

Nel riparto del Fondo sanitario nazionale il criterio di maggior rilievo sarà rappresentato dall'estensione pressoché generalizzata ad ogni sotto settore della spesa sanitaria del principio della popolazione pesata. Tale ultimo criterio appare suscettibile di favorire le regioni con popolazione relativamente più anziana, riconoscendo pertanto il maggior peso relativo per i sistemi sanitari di tale fascia di popolazione. Già attualmente alcune regioni forniscono servizi sanitari adeguati sotto il profilo erogativo e nei limiti delle risorse programmate, mentre altre presentano profili di criticità più o meno accentuati, tali da mettere a rischio il corretto esercizio della funzione affidata. È utile citare quanto sostenuto dal Ministro della salute nel corso di un question time alla Camera, rispondendo ad un'interrogazione della Lega Nord sulla determinazione dei criteri di pesatura della popolazione per il riparto delle risorse destinate al funzionamento del Servizio sanitario nazionale. Secondo il Ministro «l'indice di deprivazione per il riparto delle risorse destinate alla sanità pubblica oggi come oggi è inapplicabile. In particolare, è sicuramente inapplicabile al riparto 2011 (......). Per il futuro l'unico indice preciso che si potrà usare è la prevalenza delle malattie pesata per età. Alla cui definizione si potrà arrivare entro due tre anni.« La risposta del Ministro si concludeva con l'auspicio di »rinviare alla fase attuativa del decreto sui fabbisogni standard dei meccanismi di pesatura diversi da quelli, peraltro imperfetti, attualmente utilizzati (cioè la pesatura per età)».

È necessario, inoltre, chiarire più puntualmente le finalità che si intende perseguire e le implicazioni che deriveranno al sistema di finanziamento del SSN dall'introduzione dei costi standard. Bisognerebbe, infine, prendere in considerazione, ai fini della determinazione dell'equilibrio economico, non già i risultati di un singolo esercizio, giacché tale scelta potrebbe non assicurare l'individuazione delle regioni effettivamente efficienti, in quanto i risultati potrebbero essere falsati da oscillazioni casuali della spesa. È necessario porre particolare attenzione, inoltre, al procedimento di individuazione del costo standard. È difficile, infatti, individuare esattamente i costi standard, a causa della mancata armonizzazione e veridicità dei bilanci degli enti locali. In molti casi, infatti, nei bilanci sono presenti voci di costo (il 25 per cento del totale) la cui

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destinazione non è citata e prevedibile in alcun modo.

La legge delega sul federalismo fiscale disponeva il finanziamento del 100% delle spese relative alle funzioni fondamentali direttamente connesse al diritto di cittadinanza e per le quali è previsto un livello essenziale di prestazioni (LEP) su tutto il territorio nazionale. Il finanziamento del 100% non è riferito alla spesa storica ma ad una spesa «efficiente» basata sul criterio del fabbisogno standard. Al contrario per le funzioni non fondamentali (ovvero quelle per le quali non vengono fissati i LEP) è previsto un finanziamento (perequazione) «parziale» basata sulle differenze di capacità fiscale pro capite dei tributi locali (principio della capacità fiscale). Un interrogativo che non sembra trovare risposta è: di quanto si dovrebbero ridurre le differenze di capacità fiscale?

Il decreto, dunque, a nostro avviso comporta una discriminazione tra regioni ed evidenti rischi di aumento di pressione fiscale per le famiglie e per le imprese. Non emerge nel testo alcun beneficio fiscale per i cittadini. Al contrario, a regime si creerà un'evidente disparità di trattamento tra cittadini ed imprese localizzati in regioni virtuose piuttosto che in regioni meno virtuose. Si è persa, ancora una volta, l'occasione per pensare ad una riforma fiscale complessiva equa e non si nota alcuna corrispondenza tra imposte da manovrare e prestazioni connesse nei confronti dei cittadini (in particolar modo con riferimento all'IRAP). Cosi come concepito, sembra di assistere ad un testo «spezzatino», poco uniforme e predisposto sulla base di trattative bieche tra regioni più forti in accordo con il Governo. Tutto ciò a discapito dei cittadini e delle famiglie, i quali vedranno probabilmente aumentare la pressione fiscale a proprio carico.

Infine, non vengono previsti tempi certi per l'emanazione della normativa statale di coordinamento della Finanza Pubblica e del Sistema Tributario, senza la quale (sentenza n. 37 del 2004 della Corte Costituzionale) le Regioni a statuto ordinario non possono istituire tributi propri ai sensi dell'articolo 119 della Costituzione ed ai sensi dell'articolo 25 del decreto stesso.

esprime

PARERE CONTRARIO

per le seguenti motivazioni:
non sono definite in maniera chiara modalità e tempistiche del processo di transizione verso l'assetto previsto a regime, nonché in quali termini tale transizione si debba rapportare ai piani di rientro delle regioni che presentano situazioni di squilibrio economico-finanziario;
aumenta la pressione fiscale per i cittadini; nel testo si impone alle regioni un vincolo sui saldi di finanza pubblica, e non sull'ammontare della spesa: l'unico modo, in aumento di spesa, per mantenere i saldi invariati consisterà nell'aumentare le imposte;
non sono definiti specifici e rigorosi criteri di attribuzione del gettito relativo alla compartecipazione IVA, per la quale si dovrebbe precisare in maniera più chiara sia il criterio di attribuzione in funzione della territorialità, sia gli strumenti e le modalità attraverso cui gli enti locali possono agire in termini di lotta all'evasione fiscale: è infatti di tutta evidenza che se la compartecipazione viene attribuita senza tener presente l'azione di contrasto degli enti territoriali viene meno un possibile stimolo a incentivarne l'attività in tal senso;
non è disciplinato il meccanismo attraverso il quale, a fronte di un aumento delle addizionali regionali, si debbano ridurre in maniera coordinata e di ugual misura le aliquote IRPEF statali, altrimenti è indubbio l'aumento di pressione fiscale per i cittadini; sarebbe stato auspicabile definite meccanismi di manovra fiscale, comprese detrazioni per famiglie numerose, che incidessero effettivamente sulle famiglie bisognose e con figli, in

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quanto cosi come disciplinato le probabili detrazioni non interverranno sui redditi più bassi;
non è assicurata in maniera efficace la neutralità delle addizionali regionali rispetto al meccanismo della progressività d'imposta IRPEF, in modo tale da attuare un'armonizzazione su tutti gli scaglioni di reddito;
non si evita il rischio di una disparità di pressione fiscale tra Regioni del nord, del centro e del sud, ed in particolar modo che le regioni fin qui più virtuose siano penalizzate nelle ipotesi di gettito fiscale per gli anni futuri; è evidente il rischio di aumento dei già rilevanti divari esistenti su base territoriale nella qualità e quantità delle prestazioni sanitarie fornite ai cittadini;
non è garantita la copertura integrale su tutto il territorio nazionale dei costi corrispondenti all'erogazione dei LEA e dei LEP, non si tiene in considerazione tanto la necessità di non stressare pesantemente bilanci già attualmente strutturati nel senso di un contenimento dei servizi resi al cittadino, quanto il processo di convergenza verso le migliori performances qualitative ed economiche che le regioni lontane dai benchmark riusciranno a realizzare.
non si garantisce il conseguimento dell'efficienza, in quanto i costi standard non costituiscono un vincolo , ma solo un multiplo che non garantisce l'efficienza delle prestazioni: in realtà si fa ancora riferimento al criterio del costo storico;
nel parere espresso dalla maggioranza viene rafforzato in maniera ingiustificata l'accentramento delle decisioni presso il Ministero dell'economia e delle finanze, sminuendo in tal modo il ruolo del Presidente del Consiglio;
l'ammontare del Fondo sanitario nazionale è deciso a livello centrale dal Ministero dell'economia e delle finanze, dunque lo schema di decreto non serve a stabilire il totale complessivo, bensì esclusivamente la redistribuzione di costi standard tra le varie regioni;
lo schema non solo non serve a stabilire l'autonomia tributaria delle regioni, ma definisce esclusivamente specifiche tipologie di spesa, quelle sanitarie, non menzionando in alcun modo le altre spese relative alle funzioni essenziali;
nel decreto non si afferma il principio secondo cui si debbano applicare costi e fabbisogni standard anche per le Regioni a statuto speciale, sottraendo in tal modo risorse alla perequazione tra regioni;
non sono definiti criteri di ripartizione del gettito derivante dall'IRAP che tenessero conto dell'effettivo valore aggiunto prodotto dai soggetti imponibili, in modo tale da evitare una pericolosa quanto probabile competizione fiscale tra regioni, nonché una localizzazione delle attività produttive nelle diverse regioni dettata da ragioni fiscali (dove l'IRAP presenta aliquote più agevolate) piuttosto che economiche.

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ALLEGATO 3

Schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario. (Atto n. 317).

PROPOSTA DI PARERE ALTERNATIVO A QUELLO DEL RELATORE ON. CORSARO (v. seduta del 21 marzo 2011) PRESENTATA DAL SEN. BELISARIO

La Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale,
esaminato lo schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario;
premesso che:

«in base al nuovo testo dell'articolo 119 della Costituzione, le Regioni - come gli enti locali - sono dotate di «autonomia finanziaria di entrata e di spesa» (primo comma) e godono di «risorse autonome» rappresentate da tributi ed entrate propri, nonché dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al proprio territorio (secondo comma). E per i territori con minore capacità fiscale per abitante, la legge dello Stato istituisce un fondo perequativo «senza vincoli di destinazione» (terzo comma). Nel loro complesso tali risorse devono consentire alle Regioni ed agli altri enti locali «di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite» (quarto comma). Non di meno, al fine di promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, di rimuovere gli squilibri economici e sociali, di favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona o di provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato può destinare «risorse aggiuntive» ed effettuare «interventi speciali» in favore «di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni» (quinto comma)« (così, tra gli altri, la Corte Costituzionale nella sentenza n. 423 del 2004);
il presente schema di decreto legislativo contiene una serie di snodi fondamentali della riforma del c.d. «federalismo fiscale»: il sistema tributario delle Regioni, il sistema dei tributi provinciali, il meccanismo perequativo regionale e quello dei Comuni e delle Province, i fabbisogni standard in sanità. La determinazione dei fabbisogni standard è una questione intimamente connessa a quella dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti per quantità e qualità su tutto il territorio nazionale, di cui all'articolo 117, comma 2, lettera m) della Costituzione. I costi e i fabbisogni standard dovrebbero, pertanto, essere definiti in stretto riferimento ai livelli essenziali delle prestazioni. L'esplicito legame tra la determinazione dei livelli delle prestazioni ed i diritti civili e sociali rappresenta peraltro un «ponte» di collegamento tra la Prima e la Seconda parte della Costituzione, identificando nella potestà legislativa statale uno dei principali strumenti di armonizzazione del principio di autonomia con il principio di uguaglianza, affidando a questa clausola il compito di definire il punto di equilibrio tra le esigenze di uniformità e le ragioni del decentramento e dell'autonomia. Pertanto, l'articolo 117, comma 2, lett. m), della Costituzione rappresenta - senza alcun dubbio - un punto fermo per la salva

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guardia delle condizioni di eguaglianza dei diritti dei cittadini da ogni tendenza discriminatoria e quindi disgregatrice. I livelli essenziali delle prestazioni assumono, quindi, anche una funzione di tutela dell'unità economica e della coesione sociale nazionale;
è attraverso la «determinazione degli standard strutturali e qualitativi delle prestazioni da garantire agli aventi diritto su tutto il territorio nazionale» (così la Corte costituzionale, da ultimo, nella sentenza n. 207 del 2010) che prende forma il vero contenuto del principio di uguaglianza formale e sostanziale, nonché il presupposto per la partecipazione dei cittadini alla vita sociale, politica, economica del Paese (articolo 3 della Costituzione);
la questione dei fabbisogni standard costituisce, in vero, l'architrave su cui dovrebbe poggiare l'intero impianto del c.d. «federalismo fiscale». Dalla loro esatta determinazione deriverà e dipenderà - direttamente - la concreta salvaguardia dei diritti civili e sociali che danno corpo alla cittadinanza repubblicana, come sanciti nella parte prima della Costituzione. A tal proposito, è evidente che in un Paese strutturalmente divaricato tra aree che sono economicamente forti, tanto da porsi alla testa delle statistiche europee, ed aree che sono tanto deboli da essere al contrario in coda nelle stesse statistiche, scelte sbagliate, ovvero miopi o, peggio, di parte, concernenti i fabbisogni standard, potrebbero determinare un rischio complessivo inaccettabile. L'egoismo territoriale è un veleno che rapidamente potrebbe condurre alla disgregazione del tessuto unitario;
in riferimento allo schema di decreto in oggetto, come peraltro rilevato dalla Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, «le criticità più rilevanti possono essere considerate quelle relative alla mancata determinazione dei LEA/LEP, per tutte le materie di cui all'articolo 117 Costituzione, lett. m), che assumono un rilievo importante per l'individuazione del fabbisogno sanitario e che, pertanto, dovrebbero essere definiti all'interno del decreto legislativo. Analogamente il rinvio ad altri provvedimenti di carattere amministrativo (quando la delega ne affidava, invece, la definizione al presente decreto legislativo) su questioni rilevantissime quali: (1) modalità di convergenza ai costi standard e alla capacità fiscale; (2) quantificazione della minore dimensione demografica; (3) quantificazione del livello di perequazione; (4) perequazione infrastrutturale;
il contenuto normativo del presente schema di decreto risulta peraltro fortemente intrecciato alla definizione dei fabbisogni standard: questione tuttora segnata da incertezza ed indeterminatezza. Sebbene, infatti, sia già stato emanato, in tal senso, il decreto legislativo 26 novembre 2010, n. 216, esso si occupa esclusivamente della metodologia attraverso cui individuare tali fabbisogni, senza alcuna puntualizzazione concreta né fattuale. Pertanto, il germe dell'indeterminatezza che infettava il precedente decreto legislativo si traspone, inevitabilmente e in tutta evidenza, anche nel presente provvedimento;
in merito, inoltre, al Fondo perequativo dello Stato - cuore «sociale» del provvedimento - si rileva, infatti, come la definizione dei meccanismi perequativi sia strettamente dipendente dalla determinazione dei fabbisogni standard, quale parametri di riferimento cui ancorare il finanziamento delle spese degli enti locali, in sostituzione del criterio della spesa storica;
la Corte dei Conti, in sede di audizione, ha rilevato:«Se molte delle soluzioni adottate, coerenti con i capisaldi previsti nella delega, hanno il pregio, in continuità con quanto costruito e sperimentato nel decennio trascorso, di offrire spazi per una effettiva autonomia finanziaria, non si può non sottolineare come il ridisegno complessivo che emerge si presenti particolarmente complesso e di difficile gestione. Su almeno tre fronti sono rintracciabili elementi di criticità: (1) la definizione dei confini del processo di

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passaggio da una fiscalità derivata ad una propria; (2) la carenza nella definizione degli elementi costitutivi dei livelli essenziali delle prestazioni; (3) l'approssimazione e l'incompletezza della base informativa e l'inadeguatezza del sistema informativo su cui si fonda il processo»;

considerato, in particolare, che:
lo schema di decreto legislativo in materia di autonomia di entrata delle Regioni a statuto ordinario e delle Province si presta ad un duplice ordine di considerazioni: di carattere generale, il primo, concernente la portata e l'impianto generale dell'intervento; di ordine puntuale, il secondo, relativo alle singole previsioni. Con riguardo al primo ordine di considerazioni, si può fin da subito evidenziare il carattere parziale, limitato e riduttivo dell'intervento in esame, il quale si limita, nei fatti, a riconfermare il sistema fiscale e, più in generale, il modello di finanziamento attualmente vigente per Regioni e Province. Con riguardo alle Regioni, in particolare, è ribadita - ancorché implicitamente - la centralità dell'IRAP. Addirittura - come si vedrà - il decreto sembra compiere dei passi indietro rispetto alla disciplina in vigore. Sempre con riguardo alle Regioni, poi, se è vero che vengono soppressi alcuni tributi, come anche che viene espressamente riconosciuta la possibilità per le Regioni di istituire tributi propri, nonché tributi locali, va evidenziato che, stante il vincolo per le Regioni di non tassare presupposti già «occupati» dai tributi erariali, con ogni probabilità i tributi soppressi saranno reintrodotti come tributi propri. Infine, e proprio con riguardo al potere delle Regioni di istituire tributi propri e tributi locali, appare particolarmente grave la mancata previsione di ogni indicazione, criterio o parametro, utile a circoscrivere, ma anche ad indirizzare e coordinare, l'esercizio in concreto di simile potere. Cosa che, di contro, ci si sarebbe aspettati da un provvedimento normativo che, nelle intenzioni, dovrebbe segnatamente fissare i principi generali di coordinamento della finanza pubblica (articolo 119 Cost.);
anche per le Province viene confermato l'assetto vigente; la principale novità, sul piano strettamente tributario, attiene all'imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore: tale imposta, di cui fino ad ora è stata prevista l'attribuzione del gettito alle Province, diventerà tributo proprio delle stesse, che potranno modificarne (solo) le aliquote. A ben vedere, difatti, le principali novità per le Province interessano, piuttosto, le compartecipazioni: viene soppressa la compartecipazione provinciale al gettito IRPEF e viene istituita una compartecipazione all'accisa sulla benzina, nonché una compartecipazione alle tasse automobilistiche regionali; viene altresì soppressa l'addizionale provinciale all'accisa sull'energia elettrica;
si comprende, da ciò, che il decreto in esame, in realtà, finisce per confermare non solo e semplicemente l'assetto dei tributi di Regioni e Province quanto, più in generale, l'intero sistema di finanziamento di tali enti o, almeno, la ratio ispiratrice. Particolarmente significativo è, al riguardo, quanto previsto in tema di trasferimenti. I trasferimenti, sia statali sia regionali verranno infatti soppressi (artt. 6 ed 8). Sennonché, i trasferimenti saranno sostituiti da compartecipazioni a tributi erariali, le quali - come noto - costituiscono strumenti di finanziamento altrettanto opachi e deresponsabilizzanti dei trasferimenti (a meno di prevedere incentivi e/o disincentivi legati all'andamento del gettito dei tributi compartecipati, sulla falsariga di quanto previsto per i Comuni per la lotta all'evasione; incentivi che, però, non sono contemplati). Sicché, stante l'assoluta centralità che le compartecipazioni verranno ad assumere nel sistema di finanziamento delle Regioni e delle Province, si è portati a concludere che la novella in discussione non apporterà sostanziali novità al modello attuale di finanziamento di tali enti. Questo sul lato delle entrate; ma anche sul lato delle spese il decreto in esame si mostra largamente deficitario. A parte le spese sanitarie, di cui il decreto, potendo contare sull'esperienza

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maturata con i Patti per la salute, si occupa diffusamente, per le altre spese - che la legge n. 42 del 2009 qualificava come relative a prestazioni da assicurare su tutto il territorio nazionale (assistenza sociale, istruzione scolastica e trasporto pubblico) - non viene dettata alcuna previsione di dettaglio. Per queste spese, difatti, la determinazione dei costi standard e dei livelli essenziali delle prestazioni è rinviata ad atti e momenti successivi. È emblematico, a proposito, il tenore dell'articolo 9, dove, addirittura, si rinvia ad una legge statale (neppure più ad un decreto legislativo di attuazione della legge n. 42 del 2009) per la disciplina delle procedure per la determinazione dei livelli essenziali di assistenza e delle prestazioni: non dei Lep e dei Lea, peraltro, ma addirittura delle procedure per la loro determinazione. Un rinvio ed un'assenza di disciplina cui non rimedia, certamente, la previsione secondo per cui, fino alla loro determinazione, i Lep ed i Lea sono quelli già fissati dalla legislazione statale vigente; ciò, per la semplice ragione che una simile determinazione si ha solo in materia sanitaria;
lo schema di decreto in esame rimane, insomma, largamente deficitario, trascurando di fissare termini e modalità per l'individuazione dei Lep, dei Lea e dei costi standard (per i quali, l'articolo 24 rinvia ad un distinto decreto legislativo), pur presupponendone la puntale determinazione (come in sede di disciplina dei fondi perequativi). Sennonché, in mancanza di una misurazione ed individuazione di tali parametri, riesce poi difficile, se non impossibile, ipotizzare il funzionamento del Fondo perequativo di cui all'articolo 11. Così, sebbene l'attivazione di tale Fondo è rinviata al 2014, è evidente che il suo concreto funzionamento resta condizionato alla previa individuazione dei Lep e dei Lea, almeno per le materia individuate come fondamentali: in loro mancanza, anche il predetto Fondo non è in grado di operare;
sempre in tema di Fondi perequativi va poi osservato che il decreto si limita a riprodurre la lettera della legge n. 42 del 2009, in questo modo di fatto operando un rinvio, per l'elaborazione e l'introduzione della relativa disciplina (fonti di finanziamento, modalità di erogazione, criteri di riparto ecc.), a futuri DPCM. Ciò è palese per il Fondo di cui all'articolo 19 (che, per inciso, dovrebbe essere già stato recepito nell'articolo 7-quater del decreto sul fisco municipale), che riproduce, pedissequamente, il testo dell'articolo 13 della legge n. 42 del 2009. Sennonché, la legge delega, nel dettare l'articolo 13, si è espressa in termini di «definizione di modalità», palesando con ciò chiaramente l'intendimento di assegnare segnatamente al legislatore delegato il compito di dettagliare le modalità di attuazione dei criteri direttivi enucleati. Ma se ciò è vero, ecco allora che lo schema in esame non rispetta la delega: il decreto, infatti, limitandosi a riprodurre il testo della legge delega, non fa che conferire una delega ulteriore al DPCM; ciò, nonostante la legge delega abbia indirizzato i criteri al legislatore delegato, affinché li attuasse mediante decreti legislativi, da emanare secondo la particolare procedura di cui all'articolo 2 della legge n. 42 del 2009. Non certo con atti regolamentari, dove peraltro, stando all'articolo 19, non è previsto neppure un confronto in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie.;
in conclusione, non solo viene lasciata tutta ancora da scrivere la disciplina di tali fondi; soprattutto si opera un sviamento rispetto alla fonte normativa a tal fine ipotizzata dalla legge delega: questa, invero, non sarà, come voluto dalla legge delega, un decreto legislativo, da adottare con la particolare procedura prevista dalla legge n. n. 42 del 2009 stessa, bensì un regolamento, da emanare con la relativa procedura. Alla luce di simili considerazioni, il giudizio sul decreto in esame non può che essere critico. Ciò, segnatamente, nella misura in cui si è preferito conservare piuttosto che innovare. Senza dimenticare, poi, che il testo contiene una disposizione che, da sola, mette in discussione la ragione stessa dell'intervento. Il riferimento è all'articolo 26 laddove stabilisce,

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testualmente, che «l'esercizio dell'autonomia tributaria non può comportare, da parte di ciascuna Regione, un aumento della pressione fiscale a carico del contribuente». Una simile previsione è, infatti, contraddittoria, dal momento che l'esercizio di un'autonomia tributaria deve scontare, inevitabilmente, la possibilità di un aumento della pressione fiscale. Il discorso è ovviamente diverso se - come del resto previsto dalla legge delega - l'aumento, che si vuole scongiurare, è quello della pressione fiscale complessiva: ma allora, occorre prevedere strumenti idonei a fa sì che l'aumento della pressione fiscale, presso un certo livello di governo, venga bilanciato da una corrispondente diminuzione, della medesima, presso un altro e diverso livello. La previsione citata, tuttavia, non menziona un simile bilanciamento (evocato invece, ad esempio, dall'articolo 2), lasciando con ciò intendere che - nelle intenzioni del Governo - l'obiettivo di realizzare un federalismo senza aumentare la pressione fiscale generale dovrà essere, totalmente, a carico delle Regioni. In questo modo, però, l'intero provvedimento, almeno nella filosofia ispiratrice, si pone in contraddizione con l'idea stessa di federalismo fiscale, ossia di autonomia politica, prima che finanziaria, degli enti sub statali. Per certi versi, peraltro, si pone in contrasto anche con la legge delega. L'articolo 28 della legge n. n. 42 del 2009, invero, ha collocato l'obiettivo «di non produrre aumenti della pressione fiscale complessiva anche nella fase transitoria» nel quadro di una «determinazione periodica del limite massimo della pressione fiscale nonché del suo riparto tra i diversi livelli di governo». Vero è che l'articolo 26 dello schema prevede che la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica (ancora da istituire), avvalendosi della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale, debba monitorare gli effetti finanziari del decreto, e ciò proprio al fine di garantire il rispetto del limite della pressione fiscale complessiva. Sennonché, quella prevista è solo un'attività di monitoraggio, destinata a segnalare al Governo le eventuali misure correttive. Fuori, quindi, da un quadro condiviso. Questo, nel momento in cui, invece, il vincolo per le Regioni di non aumentare la pressione fiscale a carico del contribuente, viene affermato in modo categorico, e non condizionato ad un bilanciamento nel quadro della pressione fiscale globale;
in definitiva, l'impressione che si trae dalla lettura dello schema di decreto in esame è quella di un intervento di stampo conservativo, teso a regolamentare l'assetto esistente, piuttosto che a dettare le linee portanti di una riforma. Il sistema dei tributi di Regioni e Province viene fondamentalmente riconfermato: le novità ipotizzate appaiono di impatto limitato e, comunque, lontane da un'idea di vero federalismo, concepito come modello di finanziamento fondato sulla responsabilità e la trasparenza delle scelte di prelievo. Lo stesso si può dire, del resto, per l'impianto complessivo dei finanziamenti che saranno messi a disposizione di Regioni e Province: nella misura in cui le principali risorse finanziarie deriveranno dalle compartecipazioni, si replicherà di fatto il modello vigente, largamente deresponsabilizzante, posto che le compartecipazioni mantengono la medesima opacità dei trasferimenti, e non si possono evidentemente intendere come strumenti di finanziamento responsabilizzanti per gli enti substatali;

sotto il profilo del merito puntuale del provvedimento si osserva che:
l'articolo 2 (tralasciando i commi 2 e 3, che si riferiscono al tema della spesa sanitaria e che, per tale ragione, sarebbero da trasporre nel Capo IV) detta disposizioni in tema di addizionale IRPEF per le Regioni. Dell'addizionale, peraltro, si occupa anche il successivo articolo 5, motivo per cui è opportuno attendere ad una lettura congiunta delle due norme. L'addizionale IRPEF per le Regioni è confermata come anche l'aliquota base dell'addizionale, pari allo 0,9 per cento (articolo 5). Aliquota base che, tuttavia, ai sensi

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dell'articolo 2, dovrà essere rideterminata, in misura tale da assicurare alle Regioni entrate corrispondenti ai trasferimenti da sopprimere ed alla compartecipazione all'accisa sulla benzina (assegnata alle Province). Le Regioni, inoltre, riacquistano il potere di variare l'aliquota dell'addizionale. Potere, questo, che era rimasto sospeso per effetto del comma 7 dell'articolo 1 del decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93 e, successivamente, del comma 123, articolo 1, della legge 13 dicembre 2010, n. 220, sino - appunto - all'attuazione del federalismo fiscale. Si tratta, certamente, di una soluzione in linea con il tema del federalismo fiscale. L'addizionale, invero, rappresenta una forma di finanziamento trasparente e responsabilizzante. Peraltro, potendo contare sulla disciplina applicativa propria del tributo base, ha il vantaggio di non moltiplicare i costi di adempimento per i contribuenti. Va ricordato, tuttavia, che dalla base imponibile resteranno esclusi i redditi soggetti alla nuova cedolare secca sui canoni di locazione. L'articolo 2, comma 1, prevede, altresì, che nel determinare l'aliquota base dovranno essere contestualmente ridotte le aliquote IRPEF di competenza statale; ciò, con l'obiettivo di mantenere inalterato il prelievo fiscale complessivo a carico del contribuente. Sennonché, tale previsione appare riferita solo all'aliquota base e non pure alle eventuali maggiorazioni, che potranno essere disposte dalle Regioni: se così è, tuttavia, l'intero meccanismo rischia di restare paralizzato, in ragione del successivo articolo 26, ai sensi del quale «l'esercizio dell'autonomia tributaria non può comportare, da parte di ciascuna Regione, un aumento della pressione fiscale a carico del contribuente». Il decreto pone poi una serie (corposa) di vincoli alle Regioni per l'esercizio del potere di variare l'aliquota, che appaiono in contraddizione con lo spirito di una riforma in senso federale della fiscalità regionale. Il primo vincolo è di ordine temporale. Ai sensi dell'articolo 5, il potere di variare l'aliquota dell'addizionale incontra delle soglie, che si innalzano nel corso del tempo: al 0,5 per cento sino al 2013; all'1,1 per cento, per il 2014; al 2,1 per cento a decorrere dal 2015. A parte una malcelata diffidenza verso le Regioni, i motivi di questa gradualità nell'innalzamento restano oscuri, almeno in una prospettiva di federalismo fiscale. Soprattutto, nella misura in cui non sono previsti strumenti di bilanciamento della pressione fiscale complessiva. Sul punto, si condivide il rilievo espresso nella relazione predisposta dal Servizio studi della Camera dei deputati, per cui andrebbe meglio chiarito che gli incrementi sono punti percentuali che si aggiungono, incrementano, all'aliquota base e non la percentuale della stessa. Il secondo limite attiene, invece, alla possibilità stessa di aumentare le aliquote. Si prevede, infatti, che le Regioni che abbiano ridotto l'aliquota base IRAP, ai sensi dell'articolo 4, non possano aumentare l'aliquota dell'addizionale oltre lo 0,5 per cento. Anche questo limite non trova però ragione in un modello di autentico federale fiscale, nel quale dovrebbero essere lasciati all'autonomia politica delle Regioni il potere e la responsabilità di decidere come ripartire il carico tributario tra imprese e persone fisiche. Peraltro, si prevede che l'aumento dell'aliquota oltre lo 0,5 per cento non deve comportare un aggravio, sino ai due primi scaglioni di reddito, a carico dei titolari di redditi da lavoro dipendente e da pensione in relazione ai predetti redditi. Tralasciando le perplessità dovute alla formulazione di tale limite (sembra di capire che possano beneficiare di tale misura solo i titolari esclusivamente di redditi di lavoro e da pensione, posto che la garanzia di invarianza della pressione fiscale va circoscritta ai predetti redditi) e la difficoltà che potrebbe incontrare la sua realizzazione pratica (per le modalità di attuazione si rinvia, comunque, ad un decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'economia), resta la perplessità di un limite che, ancora, collide con l'idea stessa del federalismo fiscale. Perché anche qui, in ultima analisi, è lo Stato che decide (limitandola) come le Regioni debbono esercitare la loro autonomia tributaria. Un ulteriore limite attiene alla possibilità per

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le Regioni di rendere l'addizionale progressiva. Le Regioni possono infatti differenziare le aliquote, ma esclusivamente in relazione agli scaglioni di reddito corrispondenti a quelli stabiliti dalle leggi. Non possono, pertanto, prevedere una progressività più spinta perché articolata su più scaglioni, né, sembrerebbe, introdurre una progressività continua in luogo di quella a scaglioni propria dell'IRPEF (come invece avviene attualmente in diverse Regioni). Al comma 4 dell'articolo 5 si prevede, poi, che le Regioni possano disporre detrazioni in favore della famiglia. Una simile possibilità, sicuramente, è coerente con un impianto federalista. Desta non di meno perplessità la soluzione prescelta, ossia di consentire alle Regioni di maggiorare le detrazioni previste dall'articolo 12 del TUIR; ciò per la ragione che le detrazioni in oggetto concorrono al calcolo dell'imposta netta IRPEF e, come tali, non incidono sulla misura dell'addizionale. Così formulata, la previsione è ambigua. L'addizionale regionale all'IRPEF (prevista dall'articolo 50 del D.lgs. n. 446 del 1997) è determinata, difatti, applicando l'aliquota, stabilita dalla Regione dove il contribuente risiede, al reddito complessivo determinato ai fini IRPEF, al netto degli oneri deducibili. L'addizionale, quindi, si applica sul reddito e non sull'imposta, su cui invece incidono le detrazioni di cui all'articolo 12. La misura dell'imposta, ai fini del computo dell'addizionale, è richiamata solo in merito all'an, nel senso che l'addizionale non è dovuta qualora non sia dovuta l'IRPEF, una volta scomputate tutte le detrazioni d'imposta. Ecco allora che, volendo riconoscere alle Regioni il potere di concedere agevolazioni alle famiglie, nell'ambito dell'addizionale, lo si deve fare consentendo loro di concedere, oltre che deduzioni, anche detrazioni, ma chiarendo che, pur modulate sulla falsariga di quelle ex articolo 12, queste incidono direttamente sull'importo dell'addizionale e non dell'IRPEF. Il testo del comma 4 andrebbe, di conseguenza, riformulato. Un'ultima notazione va fatta con riguardo alla possibilità, riconosciuta alle Regioni, di concedere detrazioni dall'addizionale in luogo dell'erogazione di voucher, buoni servizio e altre misure di sostegno sociale previste dalla legislazione regionale (comma 5 dell'articolo 5). Si osserva, al riguardo, che il rinvio all'articolo 118 della Costituzione ed al principio di sussidiarietà orizzontale, ivi affermato, non appare corretto. A rigore, infatti, si può parlare di sussidiarietà orizzontale quando il settore pubblico promuove i prIVAti per l'erogazione di servizi (segnatamente nel sociale) di interesse e rilievo pubblico. Nel caso in oggetto, a ben vedere, non si prevede la concessione di agevolazioni ai prIVAti che operano nel sociale, in forma diretta (accordando aliquote minori) o indiretta (consentendo di dedurre eventuali donazioni); s'ipotizza, più semplicemente, di sostituire erogazioni dirette con sconti fiscali e, quindi, essenzialmente di modificare le modalità di intervento pubblico. Senza trascurare che l'erogazione di voucher, buoni servizio e altre misure di sostegno sociale non sono misure perfettamente fungibili con le detrazioni di imposta, posto che queste ultime, per definizione, presuppongono che vi sia un'imposta da pagare ossia un debito (e quindi un reddito) capiente: in mancanza, la detrazione non può essere fruita;
in merito alla compartecipazione al gettito IVA (articolo 3), dovrebbe essere meglio chiarito che il consumo rilevante è quello finale, del consumatore non soggetto IVA, e non pure gli scambi intermedi nel ciclo economico del bene/servizio. Inoltre, per le prestazioni di servizi si potrebbero riprendere, mutatis mutandis, i criteri di territorialità già dettati dal decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972;
la rubrica dell'articolo 4 è rivelatrice della reale intenzione perseguita dal legislatore delegato. Nella logica di un decreto redatto per fissare le regole generali entro cui collocare l'autonomia tributaria delle Regioni, il tema dell'IRAP andava infatti affrontato, non in termini di mera riduzione dell'aliquota, quanto, semmai, nella prospettiva di elaborare i più articolati confini entro cui consentire un pieno e

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compiuto esercizio della potestà regionale. Ciò, soprattutto, alla luce dei cambiamenti intervenuti nella disciplina di questa particolare imposta. Nel testo in esame si prevede, difatti, solo che le Regioni possano ridurre le aliquote fino ad azzerarle. Il potere di variare l'aliquota in aumento rimane invece quello già previsto dall'articolo 16, comma 3, del D.lgs. n. 446 del 1997, qui richiamato. Con riguardo al potere di riduzione dell'aliquota, peraltro, sono previsti due limiti. Il primo, integrato dal rispetto del diritto comunitario; il che significa, essenzialmente, ricordare alle Regioni che non potranno (tra l'altro) prevedere riduzioni dell'imposta a carattere selettivo tra le diverse imprese. Sul punto, si segnala che appare quanto meno superfluo evocare esplicitamente gli orientamenti della Corte di Giustizia, dal momento che questi fanno parte integrante del diritto comunitario, che le Regioni sono chiamate (ex articolo 117 della Costituzione) a rispettare nell'esercizio della propria potestà legislativa. Il secondo limite è rappresentato dal fatto che le Regioni non possono ridurre l'aliquota se aumentano l'addizionale IRPEF oltre lo 0,5 per cento. La ratio è chiara: le Regioni non possono spostare il peso fiscale dalle imprese alle persone fisiche. Tuttavia, questa costituisce per definizione una scelta politica, di cui dovrebbero restare responsabili le Regioni. Anche questa previsione, quindi, si mostra in palese conflitto con una logica «federalista». Peraltro, non si comprende neppure la ragione di stabilire che, nel caso di aumento dell'addizionale IRPEF, resta inibito alle Regioni, non solo l'azzeramento dell'IRAP ma, anche, la sua semplice riduzione. A tacer d'altro, una simile soluzione minaccia di aggravare il divario tra le Regioni: tra quelle che si possono finanziare l'abbattimento dell'IRAP e, così, attrarre nuove imprese, e quelle che, di contro, non hanno simile possibilità e rischiano, così, di perdere le imprese ivi insediate. Il decreto, in definitiva, non si occupa di rivedere l'IRAP in termini di imposta autenticamente regionale; sembra più (e solo) interessato a lanciare e poi ribadire il messaggio della volontà di superare tale imposta. In tal senso, è già significativa la rubrica dell'articolo. Del pari, è significativa la previsione, contenuta all'articolo 11, secondo cui le spese delle Regioni relative ai Lep sono finanziate, tra l'altro, dall'IRAP, ma solo fino alla data della sua sostituzione con altri tributi: ebbene, è evidente la portata propagandistica di una simile enunciazione, posto che un tributo può essere fonte di finanziamento di una spesa solo finché resta in vigore. Sennonché, il decreto, pur chiaro ed univoco nell'intenzione di superare l'IRAP, lascia poi interamente alle Regioni il potere di togliere tale imposta; rectius l'onere, dal momento che, poi, il medesimo decreto ha cura di chiarire che la riduzione o l'azzeramento dell'IRAP rimane esclusivamente a carico del bilancio della Regione. Il decreto, difatti, non si preoccupa di fornire strumenti alternativi di finanziamento. A conferma di un approccio troppo sommario del decreto al tema dell'IRAP, va poi rilevato che, stando alla lettera della norma, le Regioni possono azzerare l'aliquota IRAP ma, a rigore, non ne possono modificare la disciplina. Limite questo che, tuttavia, appare in contrasto con la natura stessa di tale imposta, quale risulta a seguito dell'articolo 1, comma 43, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, per cui, a decorrere dal 1o gennaio 2009 (termine prorogato al 1o gennaio 2010 dall'articolo 42, comma 7, decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207, convertito dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14), l'IRAP costituisce tributo proprio della Regione, da istituire con legge regionale. Vero è che la legge ha contestualmente circoscritto il potere delle Regioni, tenendo ferma l'indeducibilità dell'IRAP dalle imposte statali e consentendo alle Regioni di modificare solo l'aliquota, le detrazioni e le deduzioni, di introdurre speciali agevolazioni. Non anche, però, di modificare le basi imponibili. Tuttavia, una simile soluzione, di prudenza, come si legge nel citato comma 43, ha trovato specifica giustificazione nell'esigenza di attendere la compiuta individuazione delle regole fondamentali necessarie ad assicurare il coordinamento della finanza

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pubblica e del sistema tributario di livello substatuale. Regole che, appunto, dovrebbero/avrebbero dovuto essere introdotte dal decreto in esame. Ebbene, il decreto in commento, non solo non contempla le predette regole, ma disciplina, quale unico potere per le Regioni, quello di modificare le aliquote ovvero di ridurle a zero. La disciplina vigente è richiamata, in tema di autonomia normativa delle regioni, ancora e solo limitatamente al potere di variare le aliquote, di cui all'articolo 16, comma 3, del D.lgs. n. 446 del 1997. Non si fa invece alcuna menzione al potere di introdurre deduzioni, detrazioni ed agevolazioni, né a quello di modificare la base imponibile. Soprattutto, non si fa alcun riferimento al fatto che l'IRAP dovrebbe, oramai, essere considerata un tributo proprio regionale. L'impressione che si ritrae, insomma, è quella di un testo scritto nella preoccupazione di circoscrivere piuttosto che di ampliare l'autonomia tributaria delle regioni in materia di IRAP. Sarebbe pertanto opportuno almeno coordinare il testo del decreto in esame con quanto già previsto dall'articolo 1, comma 43, legge n. 244 del 2007, sopra richiamato;
nonostante la rubrica, l'articolo 7 si occupa, essenzialmente, di sopprimere taluni tributi regionali. Si tratta - va chiarito - di tributi minori (tassa per l'abilitazione all'esercizio professionale; Imposta regionale sulle concessioni statali dei beni del demanio marittimo; Tasse sulle concessioni regionali; Imposta regionale sulle concessioni statali per l'occupazione e l'uso dei beni del patrimonio indisponibile; tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche regionali). Peraltro, l'elenco delle previsioni legislative da sopprimere di conseguenza presenta talune incongruenze (ad es. l'articolo 18, co. 4, della legge 5 gennaio 1994, n. 36, in tema di canoni per le utenze di acqua pubblica, è già stato abrogato dall'articolo 175, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152; con riguardo al decreto del Presidente della Repubblica 24 giugno 1977, n. 616, sembrerebbe invece opportuno abrogare anche l'articolo 120, posto che l'articolo 121 citato si limita a riferire territorialmente il gettito dei prelievi di cui all'articolo 120). Gli altri tributi attualmente riconosciuti alle Regioni (oltre all'IRAP, l'Imposta regionale sulla benzina per autotrazione, l'Imposta sulle emissioni sonore degli aeromobili, il Tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi, la tassa regionale per il diritto allo studio universitario, le Tasse automobilistiche regionali) vengono mantenuti (comma 2). Il decreto, al riguardo, si limita solo a prevedere che tali tributi costituiranno tributi propri derivati, senza però chiarire il senso e la portata di tale qualificazione. Si è indotti a ritenere, pertanto, che nei fatti nulla cambierà rispetto alla situazione vigente. Oltretutto, non è chiaro se la predetta qualificazione vada riferita anche all'IRAP la quale - come detto - dovrebbe invece considerarsi tributo proprio delle Regioni, ex articolo 1, comma 43, LEGGE 24 dicembre 2007, n. 244. Considerazioni analoghe vanno poi ripetute con riguardo all'articolo 16 in tema di tributi provinciali. L'approccio quanto meno sbrigativo mantenuto dal decreto rispetto al tema della fiscalità delle Regioni trova conferma nel successivo articolo 25, dove si prevede che, a decorrere dal 2013 (non prima, quindi), le Regioni potranno istituire nuovi tributi regionali e/o locali, sebbene limitatamente su presupposti non assoggettati ad imposizione da parte dello Stato. Ebbene, a parte constare che la rubrica dell'articolo 7 («Ulteriori tributi») appare più calzante per il citato articolo 25 (rubricato, invece, con l'anodina formula «Tributi previsti dall'articolo 2, comma 2, lettera q, della legge n. 42»), è evidente che il limite rappresentato dal divieto di impiegare presupposti già «sfruttati» dal legislatore statale porterà, con ogni probabilità, le Regioni a reintrodurre, come tributi propri, quelli soppressi dall'articolo 7. Soprattutto, ed è questa la principale critica da muovere alla norma ed al decreto in generale, si omette qualsiasi criterio di coordinamento per la nuova, auspicata, fiscalità regionale. Manca la previsione di modelli ideali di tributo (nell'alternativa tra tasse ed imposte), così come manca

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l'individuazione di criteri di territorialità, la previsione di regole di continenza, il richiamo all'osservanza del diritto comunitario, l'enunciazione di un divieto di concorrenza sleale tra livelli di governo, l'affermazione dei principi di trasparenza e di responsabilizzazione nelle forme di prelievo. Insomma, mancano quelle regole di cornice che, invece, ci si dovrebbe attendere da una legge statale di coordinamento della fiscalità sub statale;
l'articolo 13 non presenta particolari criticità; del resto, si limita a convertire in tributo proprio derivato delle Province l'imposta sull'RC auto, il cui gettito, fino ad ora, era semplicemente devoluto alle Province. Su tale nuovo tributo proprio derivato le Province avranno riconosciuto anche un (limitato) potere di variare l'aliquota fino a 2,5 punti percentuali. Desta semmai qualche perplessità il comma 4, ai sensi del quale le Province potranno stipulare con l'Agenzia delle entrate apposite convenzioni per l'espletamento, in tutto o in parte, delle attività di liquidazione, accertamento, riscossione dell'imposta, nonché per il relativo contenzioso. Il dubbio nasce dalla previsione per cui, fino alla stipula delle predette convenzioni, le predette funzioni saranno svolte, comunque, dall'Agenzia delle entrate. Così formulata, però, la previsione appare di difficile lettura, in quanto non sembra lasciare alternative alla gestione del tributo da parte dell'Agenzia delle entrate, sia prima che dopo la convenzione;
la disciplina della determinazione dei costi standard per le Regioni a statuto ordinario nel settore sanitario è contenuta nel Capo IV del decreto in esame. Punto di partenza è la determinazione del fabbisogno sanitario nazionale «in coerenza con il quadro macroeconomico complessivo e nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica» (articolo 21). Per ottenere il finanziamento della singola regione si dovrà applicare all'ammontare di finanziamento nazionale così predeterminato il rapporto tra il fabbisogno sanitario standard della regione e la somma dei fabbisogni regionali standard risultanti, sia l'uno che gli altri, dalla disciplina di cui all'articolo 22, commi 4-12: a tutte le regioni si applicano i valori di costo rilevati in tre regioni di riferimento (cosiddette «benchmark») le quali devono essere scelte dalla Conferenza Stato-Regioni tra una lista di cinque regioni (individuata dal Ministero della salute, di concerto col Ministero dell'economia e delle finanze) che hanno garantito i Livelli essenziali di assistenza (Lea) in condizione di equilibrio economico e in condizioni di efficienza e appropriatezza; per ognuno dei tre macrolivelli (assistenza collettiva in ambiente di vita e di lavoro, assistenza distrettuale, assistenza ospedaliera) si calcola un costo standard aggregato come media pro-capite pesata del costo registrato dalle regioni di riferimento, inteso come spesa sostenuta per macrolivello rapportata alla popolazione pesata in funzione della struttura per età temperata «secondo criteri fissati mediante intesa in Conferenza Stato-Regioni, che tengano conto anche di indicatori relativi a particolari situazioni territoriali, ritenuti utili al fine di definire i bisogni sanitari»; questo costo standard viene poi applicato alla popolazione pesata di ognuna delle regioni, ottenendo così il suo fabbisogno standard. Come già detto, si procede infine a calcolare il rapporto tra il fabbisogno standard di ogni regione e la somma dei fabbisogni standard e si applica la quota regionale così ottenuta al fabbisogno nazionale predeterminato in coerenza con le compatibilità macroeconomiche e di finanza pubblica: il risultato fornisce il finanziamento spettante a ogni regione. Le regioni in equilibrio economico sono individuate sulla base dei risultati relativi al secondo esercizio precedente a quello di riferimento e così pure le pesature sono effettuate con i pesi per classi di età relativi a quell'esercizio. La determinazione di costi e fabbisogni standard viene effettuata annualmente dal ministro della Salute, di concerto col Ministro dell'economia e delle finanze e d'intesa con la Conferenza Stato-Regioni (articolo 22, commi 1-2). I criteri indicati dal decreto potranno in futuro essere rideterminati previa intesa in sede di Conferenza Stato-

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Regioni, comunque nel rispetto del livello di finanziamento nazionale stabilito. Con decreto legislativo integrativo saranno determinati i costi standard, relativi alle materie diverse dalla sanità, associati ai livelli essenziali delle prestazioni fissati dalla legge statale (articolo 23);

dall'analisi della disciplina illustrata emergono una serie di punti assai critici:
assumendo che le regioni di riferimento siano realmente quelle che garantiscono i Lea in condizioni di appropriatezza e con i costi più bassi, il riproporzionamento finale dei fabbisogni regionali al finanziamento nazionale predeterminato all'inizio del processo determinerà un eccesso di risorse a disposizione delle regioni, in particolare proprio di quelle di riferimento, col rischio di aumentare la spesa in queste regioni e di indebolire la spinta all'efficienza che si vorrebbe imprimere;
rispetto alla prima versione del decreto, dove l'unico criterio di pesatura era quello basato sulla struttura per età della popolazione, si introduce ora il riferimento anche ad altri indicatori, relativi a particolari situazioni territoriali, che siano ritenuti utili al fine di definire i bisogni sanitari (articolo 22, comma 6, lett. e) ma tuttavia non si specifica quali essi possano essere, rinviando per la loro definizione a un'intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni. In particolare si rileva la mancanza di ogni riferimento alle caratteristiche demografiche, orografiche ed alle situazioni infrastrutturali (sia per quanto concerne i collegamenti stradali che quelli ferroviari) dei territori, nonché alla distribuzione delle strutture ospedaliere in rapporto a tali caratteristiche;
il riferimento a un solo esercizio (il secondo precedente l'anno di riferimento) non tiene conto di possibili oscillazioni casuali di spesa regionale;
è rilevabile una discontinuità rispetto all'esperienza avviata con il Patto per la salute del settembre 2006, che prevedeva la predeterminazione per un periodo triennale del fabbisogno sanitario nazionale e delle percentuali di riparto tra le regioni: si costituiva in tal modo un quadro di certezze essenziale affinché Stato e Regioni programmassero su un orizzonte pluriennale la spesa e quindi le azioni di miglioramento dell'organizzazione e gestione del sistema. Il ritorno alla determinazione annuale dei fabbisogni (nazionale e regionali) ripropone anzitutto il rischio di un inseguimento anno per anno della spesa da parte del finanziamento del tipo sperimentato tra il 2001 e il 2006 (con effetti di perdita di controllo sulla spesa) ed inoltre comporta un ritorno alla prassi delle defatiganti trattative annuali tra Stato e Regioni e tra le stesse Regioni circa il riparto del finanziamento nazionale, che in passato ha portato a definire le risorse annualmente a disposizione delle singole regioni a esercizio finanziario già concluso;
non è chiaro se il periodo per la convergenza al sistema a regime (5 anni) abbia inizio nel 2013, primo anno successivo al triennio di riferimento del nuovo Patto per la salute 2010-12, o se abbia inizio con l'entrata in vigore del presente decreto. Nulla si dice circa la procedura di revisione a regime dei criteri di calcolo di costi e fabbisogni standard, disponendosi semplicemente che tale revisione potrà effettuarsi previa intesa in Conferenza Stato-Regioni. Il rischio principale è l'adozione di parametri di valutazione errati facendo derivare i bisogni dalle risorse anziché far derivare la determinazione delle risorse dalla decisione sui bisogni prioritari di salute;
segnatamente, in riferimento all'articolo 22 dello schema di decreto in esame occorre segnalare quanto segue:
la previsione di carattere «annuale» per la determinazione dei costi e dei fabbisogni standard sembrerebbe discostarsi dall'impostazione della programmazione di medio periodo cui hanno fatto riferimento i precedenti Accordi sanitari del 2001 e del 2006. Anche l'Intesa del dicembre 2009 si pone in tale ottica, da un lato, fissando l'ammontare del finanziamento a carico dello Stato su un arco

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pluriennale, dall'altro, individuando indicatori di carattere strutturale per la valutazione dell'efficienza e dell'appropriatezza delle prestazioni, nonché indicatori dell'equilibrio economico-finanziario delle regioni. Nello schema di decreto in esame i criteri di riparto, pur se rapportati ad un intervallo temporale annuale, sono parametrati su fattori (quali, ad esempio, la consistenza della popolazione regionale e la sua suddivisione in classi di età) non suscettibili di cambiamenti sensibili nel breve termine. Sulla base di tali considerazioni, le variazioni annuali dovrebbero essere il più possibile limitate, e comunque circoscritte all'ammontare complessivo di risorse da destinare al finanziamento dei LEA (da definire nell'ambito delle scelte di politica economica, ma sempre nell'ottica di un bilancio pluriennale), limitando le modifiche riguardanti il riparto delle stesse tra le regioni. Tali modalità di determinazione delle risorse da destinare alla sanità andrebbero valutate anche alla luce della considerazione secondo cui la certezza dell'ammontare delle risorse statali e una sostanziale stabilità delle «quote di accesso» al finanziamento rafforzano la capacità programmatoria e organizzativa delle Regioni, agevolando l'adozione di azioni di miglioramento, determinanti, in particolare, nella gestione dei Piani di rientro;
il fabbisogno regionale standard viene determinato in fase di prima applicazione a decorrere dall'anno 2013, utilizzando per tutte le regioni i valori di costo rilevati nelle regioni prese a riferimento (c.d. regioni benchmark). A tale proposito, il successivo comma 10 stabilisce che il processo di convergenza definito dalla legge n. 42 del 2009, ovvero il finanziamento dei servizi erogati dalle Regioni non più in base alla spesa storica ma secondo valori standard di costo e fabbisogno, si compia nell'arco di cinque anni. Non appare chiaro, tuttavia, sulla base di quali parametri, si arrivi all'applicazione a regime del meccanismo descritto nei commi successivi. In particolare, non viene chiarito se e in quale misura nella fase transitoria sia prevista la possibilità di una variazione delle risorse assegnate alle singole regioni, né come il percorso di convergenza verso la fase a regime si coordini con quanto stabilito, per alcune regioni, dai rispettivi Piani di rientro;
riguardo alla metodologia proposta per il calcolo del costo standard, si rileva che l'esclusione dal calcolo delle maggiori entrate derivanti dall'attivazione da parte delle regioni della leva fiscale (c.d. extra-gettiti) o delle altre disponibilità di bilancio potrebbe apparire non coerente con l'impianto del sistema basato sull'individuazione delle regioni benchmark, cioè di quelle regioni che si segnalano per l'erogazione efficiente ed appropriata dei Lea. L'avere raggiunto tale obiettivo, infatti, potrebbe dipendere anche dalla scelta di finanziare il sistema sanitario regionale con ulteriori entrate fiscali. Eliminare, pertanto, tale fonte di finanziamento (cui corrisponde un preciso livello di spesa) potrebbe comportare il rischio di erogare i Lea al di sotto degli standard previsti. Si osserva, inoltre, che secondo quanto indicato al comma 6, lett. b), per individuare il livello di spesa rilevante ai fini del costo standard, andrebbero escluse dal calcolo non soltanto gli extra gettiti e le altre coperture fiscali, ma anche la differenza tra entrate proprie effettive e convenzionali: ai fini del calcolo dell'equilibrio economico previsto dal comma 5, le entrate proprie sembrerebbero, invece, pienamente scontate. Si determinerebbe quindi un'asimmetria nel trattamento di tali entrate. Infine, con riferimento alla nettizzazione degli ammortamenti, l'applicazione di tale procedura non appare agevole, data la estrema varietà di regole adottate nella contabilità sanitaria con riferimento a tale voce. L'uniformazione delle regole contabili in materia appare pertanto propedeutica all'effettiva applicabilità della norma in esame;
il sistema di pesi preso in considerazione nello schema di decreto fa sostanziale riferimento alla suddivisione per classi di età, salvo l'integrazione con altri parametri che consentano di tener conto anche delle condizioni socio-economiche

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di alcune realtà territoriali. Non è chiaro tuttavia se, rispetto al sistema attuale, la pesatura sia da intendersi estesa a tutti i livelli e sotto-livelli di assistenza, anche a quelli attualmente finanziati in base ad una quota capitaria «secca», in quanto corrispondenti a consumi sanitari considerati indipendenti dall'età. Fatta eccezione per la farmaceutica (attualmente vincolata ad un tetto di spesa e per la quale l'esperienza evidenzia una correlazione molto netta tra l'età e il consumo dei farmaci), con tale sistema si determinerebbe quindi una «sovra-pesatura» per i restanti livelli;
in riferimento al fondo perequativo regionale il gruppo parlamentare dell'Italia dei Valori ebbe a presentare un ordine del giorno, in occasione dell'esame della legge n. 42 del 2009. In tale atto di indirizzo - accolto dal Governo e per questo non posto in votazione - si impegnava l'Esecutivo, in sede di attuazione delle disposizioni sulla ripartizione del fondo perequativo regionale per le Regioni con popolazione al di sotto di una determinata soglia da individuarsi con i decreti legislativi, «a tenere conto nella determinazione del fabbisogno standard non solo della dimensione demografica ma anche delle caratteristiche territoriali con particolare riguardo alla presenza di zone montane - delle caratteristiche demografiche, sociali e produttive». Tale impegno a rilevantissimo impatto sociale non sembra essere stato accolto nello schema di decreto in esame, rischiando di inficiare il complesso strutturale del fondo perequativo a sfavore di aree territoriali segnate da particolari caratteristiche sociali e produttive, per l'appunto;
in merito alla copertura finanziaria del provvedimento in esame - ai fini del rispetto di quanto stabilito dall'articolo 81 della Costituzione - si rileva che, a scapito di quanto disposto all'articolo 27, contenente la clausola di neutralità finanziaria dell'intero decreto legislativo, si deve osservare che detto principio di invarianza finanziaria difficilmente sarà rispettato a causa di numerosi profili di criticità rinvenibili in riferimento a diverse disposizioni recate dal decreto stesso. In particolare, anche a seguito dei rilievi mossi dal Servizio del bilancio della Camera dei deputati, si segnala:
l'articolo 2, commi 1 e 4 intervengono sulla disciplina dell'imposta sui redditi delle persone fisiche (IRPEF) e dell'addizionale regionale all'IRPEF prevedendo modifiche a decorrere dall'anno 2012. La disciplina in esame è contenuta anche nell'articolo 5. In merito ai profili di quantificazione, si osserva, in via preliminare, che la relazione tecnica fornisce esclusivamente un'indicazione sulla natura degli effetti che le diverse misure determinano sui bilanci dei soggetti coinvolti. La relazione non fornisce, con la sola esclusione dell'importo della compartecipazione regionale al gettito dell'accisa sulla benzina per l'anno 2008, una stima degli ammontari movimentati che consenta di verificare l'effettiva neutralità finanziaria delle disposizioni, sia ai fini dei saldi di finanza pubblica che della pressione fiscale complessiva. Il quadro finanziario delle compatibilità non è determinato nella relazione tecninca e la compensatività complessiva degli interventi in esame potrà essere verificata solo a seguito dell'adozione dei DPCM attuativi delle norme in esame, dei quali le norme stesse non dispongono l'obbligo preliminare di trasmissione alle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari, né tali atti sembrano sottoposti agli obblighi di redazione della relazione tecnica riguardanti, ai sensi dell'articolo 2, comma 3, della legge n. 42 del 2009, gli schemi legislativi attuativi della riforma;
l'articolo 5 reca disposizioni in materia di addizionale regionale all'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) disciplinando, in particolare, il potere attribuito alle regioni a statuto ordinario di apportare modifiche nell'ambito dell'autonomia ad esse riconosciuta. In merito ai profili di quantificazione, si rileva che le disposizioni, come affermato dalla relazione tecnica, determinerebbero effetti neutrali. Appare, in ogni caso, necessario

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che il governo fornisca chiarimenti in merito ad alcune delle disposizioni contenute nell'articolo in esame, anche al fine di meglio comprenderne i profili applicativi, ciò vale soprattutto in relazione al comma 4 che concede alle regioni, nell'ambito della addizionale di cui all'articolo in esame, la facoltà di disporre con propria legge detrazioni in favore della famiglia, maggiorando le detrazioni per carichi di famiglia di cui all'articolo 12 del TUIR. La norma non appare di chiara formulazione in quanto, da un lato, prevede che la suddetta facoltà operi esclusivamente nell'ambito dell'addizionale IRPEF, dall'altro, dispone che la medesima sia esercitata attraverso una maggiorazione delle detrazioni per carichi di famiglia previste dal TUIR. Si ricorda, in proposito, che le detrazioni di cui all'articolo 12 del TUIR sono, ove spettanti, utilizzate dal contribuente in riduzione dell'IRPEF lorda di competenza erariale. Pertanto, una loro maggiorazione comporterebbe una riduzione del gettito della suddetta imposta;
l'articolo 6 reca la soppressione dei trasferimenti dallo Stato alle Regioni a statuto ordinario. La relazione tecnica, riassumendo il contenuto della disposizione, ricorda che si prevede la soppressione di tutti i trasferimenti statali di parte corrente e aventi carattere di generalità e permanenza, destinati alle regioni a statuto ordinario per l'esercizio delle funzioni di competenza regionale, compresi quelli finalizzati all'esercizio di funzioni da parte di province e comuni. Tale soppressione, ai sensi dell'articolo 2, comma 1, viene compensata con un incremento dell'addizionale regionale all'IRPEF. In merito ai profili di quantificazione, si osserva preliminarmente che la relazione tecnica non reca un quadro riepilogativo degli effetti dell'intero provvedimento ed in particolare non fornisce la quantificazione dei trasferimenti soppressi. Inoltre nella fase di prima applicazione della riforma, oltre al vincolo di invarianza del totale delle risorse attribuite rispetto ai trasferimenti soppressi, occorre rispettare anche il vincolo di integrale finanziamento delle funzioni LEP sulla base della spesa storica, attivando i necessari meccanismi di perequazione delle risorse tributarie attribuite;
l'articolo 14 reca la soppressione dei trasferimenti statali alle Province e compartecipazione provinciale all'accisa sulla benzina. La relazione tecnica descrive brevemente la norma precisando che viene prevista, a decorrere dall'anno 2012, la soppressione dei trasferimenti statali destinati alla generalità degli enti e con carattere di permanenza delle province delle Regioni a statuto ordinario, con corrispondente riconoscimento alle stesse di una compartecipazione all'accisa sulla benzina. A tale scopo la relazione tecnica ipotizza che i trasferimenti da considerare ai fini della soppressione siano quelli provenienti dal Ministero dell'interno di tipo A, ossia quelli di natura permanente e generale, identificati in ambito COPAFF. In merito ai profili di quantificazione, si osserva che la relazione tecnica non fornisce informazioni di dettaglio che consentano di ricostruire la stima dei trasferimenti oggetto di soppressione a partire dai dati della relazione COPAFF;
l'articolo 19 reca la disciplina del Fondo perequativo per le province e i comuni, ai sensi dell'articolo 13 della legge n. 42 del 2009, per il finanziamento delle spese dei comuni e delle province, successivamente alla determinazione dei fabbisogni standard collegati alle spese per le funzioni fondamentali. Con riferimento a quanto disposto dall'articolo in esame, che individua in particolare i criteri di ripartizione del fondo perequativo, si evidenzia la necessità di acquisire un chiarimento in merito ai profili di coordinamento tra tale disciplina e quella disposta dal citato schema di provvedimento sul federalismo municipale che disciplina in particolare i criteri di attribuzione di risorse tributarie direttamente ai comuni o al fondo perequativo. Andrebbe in particolare chiarito con quali modalità sia assicurato che tale attribuzione di risorse garantisca comunque il finanziamento integrale dei fabbisogni standard di spesa inerenti alle funzioni fondamentali, da determinarsi secondo

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gli indicatori di fabbisogno finanziario previsti dal comma 4 dell'articolo in esame;

si deve inoltre segnalare un profilo di criticità in relazione all'eventualità di un aumento della pressione fiscale in seguito all'applicazione dell'articolo 26, comma 2, che affida alla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica - non ancora istituita - il monitoraggio degli effetti finanziari derivanti dallo schema di decreto in esame, al fine di valutarne i riflessi sul livello della pressione fiscale. Nello svolgimento di tale attività la Conferenza si avvale del supporto della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale. Alla suddetta Conferenza è altresì attribuito il potere di proposta al Governo delle eventuali misure correttive atte a garantire il rispetto del limite massimo della pressione fiscale complessiva, in coerenza con quanto stabilito con la decisione di finanza pubblica di cui all'articolo 10 della legge 31 dicembre 2009, n. 196;
il comma 2 dell'articolo 26, reca inoltre, al secondo periodo, una ulteriore disposizione di salvaguardia della pressione fiscale stabilendo che l'esercizio dell'autonomia tributaria non può comportare, da parte di ciascuna regione, un aumento della pressione fiscale a carico del contribuente. Al riguardo si si segnalano alcuni profili problematici: non è infatti chiaro, in primo luogo, se tale divieto vada riferito alla posizione individuale dei singoli contribuenti o a quella complessiva dell'insieme dei contribuenti della regione. Si osserva inoltre che la norma non specifica con quali modalità sarà verificato il rispetto del predetto divieto e quali sanzioni siano eventualmente previste in caso di mancato rispetto dello stesso;
non è inoltre chiaro come la disposizione in esame si coordini con l'ampliamento della facoltà di aumento delle addizionali regionali all'IRPEF prevista dall'articolo 5. Si segnala infatti che al comma 2 di tale disposizione il divieto di aumento dell'aggravio fiscale è limitato ai primi due scaglioni di reddito in relazione ai soli redditi da lavoro dipendente o da pensione. Si segnala altresì che analogo divieto non sembra sussistere anche per le province, cui l'articolo 13 riconosce, a decorrere dal 2014, più ampie possibilità di manovra delle aliquote dell'imposta sulle assicurazioni RC auto;
da tale incertezza complessiva, così come rilevata, emerge con evidenza l'impossibilità concreta di valutazione degli oneri, ed in tale contesto è quindi indimostrabile la clausola di invarianza finanziaria di cui all'articolo 26 dello schema di decreto in esame;
occorre, inoltre, rilevare che seppur assai parzialmente condivisibili, le modificazioni proposte nel parere del Relatore, non sanano alcune delle rilevanti criticità del testo governativo iniziale: addirittura, talune storture, già evidenziate con riferimento al testo originario, vengono ulteriormente esasperate, anche con riferimento all'aumento potenziale della pressione fiscale complessiva a carico dei contribuenti;

considerato, segnatamente, che nella proposta del relatore, On. Corsaro, si prevede quanto segue:
con l'articolo 2 è stata prorogata di un anno (dal 2012 al 2013) la rideterminazione dell'addizionale regionale all'IRPEF. Si rileva, al riguardo, che sono stati accorpati al 2013 diversi termini, contemplati dallo schema di decreto, che nella versione precedente risultavano scaglionati su anni differenti (al 2013 è stato portato il potere di azzerare l'aliquota IRAP, in precedenza fissato al 2014 ex articolo 4; sempre dal 2013, e non più dal 2012, saranno soppressi i trasferimenti ex articolo 6; la trasformazione in tributi propri regionali di taluni tributi derivati è stata anticipata al 2013 ex articolo 7; dal 2013, non più 2014, dovrebbe partire il Fondo perequativo di cui all'articolo 11). Ciò presenta certamente il vantaggio di consentire una visione unitaria delle novità

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introdotte dalla riforma: vi è da domandarsi, tuttavia, se la portata di taluni interventi (soppressione dei trasferimenti, compartecipazione IVA, Fondo perequativo ecc.) non avrebbe richiesto tempi di attivazione diversi, proprio per poterne monitorare gli effetti ed adeguare di conseguenza gli interventi successivi;
all'articolo 3, in merito ai criteri di territorialità per il riparto della compartecipazione IVA, la formulazione proposta è ambigua. Da un lato, con riferimento alle cessioni di beni, prevedere che il luogo del consumo sia quello della cessione non significa molto, posto che tale luogo può essere indistintamente quello in cui avviene la spedizione, la consegna o dove è destinato il bene, ovvero dove viene concluso il contratto. Certamente, tale luogo non dovrebbe poter essere quello in cui è ubicato il bene, dato che la norma si preoccupa di precisare specificatamente che il luogo di consumo è tale nel caso, solo, di cessione di beni immobili. Altra ambiguità si registra con riguardo alle prestazioni di servizio, dove è contemplata la possibilità che il luogo di consumo sia identificato con quello di domicilio del fruitore. Non si comprende, tuttavia,da un lato quali possano e/o debbano essere le eventuali alternative (luogo di fruizione del servizio, domicilio del fornitore ecc.), né le ragioni e/o i presupposti per l'esercizio della predetta facoltà. Infine, non è chiara la previsione sui «beni e servizi non di mercato». I soggetti erogatori di tali beni e servizi (pubbliche amministrazioni ed Istituzioni sociali) vengono trattati ai fini del quadro «VT» come consumatori finali ovvero soggetti IVA, a seconda che l'acquisto dei beni e servizi da loro effettuati siano destinati ad operazioni IVA o meno; al contempo, le erogazioni di beni e servizi fuori mercato, proprio perché tali, sono sottratte ad IVA. Per la definizione dei criteri di riparto territoriale della compartecipazione è previsto un DPCM da adottare solo sentita la Conferenza Stato - Regioni. La novità introdotta nella versione in commento è che dovrà essere sentita anche la Commissione paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale ovvero, se già costituita, la Conferenza permanente, nonché ottenuto il parere delle Commissioni di Camera e Senato competenti per i profili di carattere finanziario. Come già osservato, non è previsto alcun coinvolgimento della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale;
marginali le novità portate all'articolo 4 che anticipa al 2013 la possibilità di azzerare l'IRAP). Si rimarca, tuttavia, come si mostri pesante l'assenza di qualsiasi criterio volto a coordinare l'esercizio della potestà impositiva delle Regioni. È così concreto il rischio di una concorrenza fiscale spinta tra Regioni: tra Regioni, riccamente popolose, che si possono permettere di aumentare modestamente l'addizionale IRPEF e ridurre grandemente l'aliquota IRAP e Regioni, viceversa, scarsamente popolate che, necessariamente, debbono tenere alta l'addizionale IRPEF e, per effetto dell'alternatività di cui al già criticato comma 3, non possono, non tanto azzerare, ma neppure ridurre l'aliquota IRAP;
correttamente, all'articolo 5 è stato previsto che debbano restare indenni dall'aumento dell'addizionale oltre lo 0,5 per cento i titolari di reddito nelle prime due fasce, indipendentemente dal tipo di reddito: come segnalato, la diversa soluzione, che riservava la garanzia ai soli titolari di redditi di lavoro dipendente e di pensione, appariva discriminatoria, iniqua, difficile realizzazione pratica, incompatibile col dettato costituzionale;
in merito ai trasferimenti statali oggetto di soppressione (articolo 6), si segnala che sono considerati solo quelli di parte corrente e non pure quelli di parte capitale: la legge delega, tuttavia, nel prevedere la soppressione dei trasferimenti, non sembra contenere una simile distinzione. Inoltre, va rimarcata la mancata previsione di un periodo transitorio - come invece lasciava intendere la legge delega (articolo 20) - in cui operare la soppressione graduale dei trasferimenti congiuntamente all'attivazione a regime del fondo perequativo. È stato previsto il coinvolgimento delle Commissioni

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di Camera e Senato competenti per i profili finanziari, ma non della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale;
all'articolo 7, correttamente è stata concepita come mera facoltà per le Regioni la soppressione di taluni tributi derivati, di cui, nella versione precedente, era prevista l'immediata abrogazione. Era evidente, difatti, che in quel modo si sarebbe potuta verificare la necessità, per talune regioni, di reintrodurre i tributi soppressi, con un aggravio nelle procedure ed una complicazione (anche politica) invece evitabili. Semmai, si segnala che la norma, nel prevedere che i tributi elencati, che possono essere soppressi, saranno trasformati in tributi propri, non chiarisce le implicazioni di tale qualificazione né quali sono, in concreto, i poteri di intervento per le regioni sulle discipline dei tributi predetti, che restano di fonte nazionale. La norma non si preoccupa neppure di fissare criteri di coordinamento nonché limiti alle regioni nel modulare la nuova disciplina di tali prelievi ovvero le aliquote, come invece fa con riguardo alla tassa automobilistica regionale. Con riguardo a tale tassa, lascia invece perplessi la qualificazione che ne viene fatta di tributo proprio ex articolo 7, comma 1, lett. b) numero 3, della legge n. n. 42 del 2009, posto chela disciplina della tassa automobilistica regionale è di fonte statale (decreto del Presidente della Repubblica n. 39 del 1953), che la norma stessa si preoccupa di richiamare e preservare (almeno per i limiti massimi di manovrabilità). Più corretta e coerente era, così, la sua qualificazione come tributo derivato ex articolo 7, comma 1, lettera b) numero 1, salvo voler intendere che, fermi i limiti massimi, le Regioni possono disciplinare il tributo in oggetto in totale e piena autonomia, peraltro in assenza di ogni forma o misura di coordinamento;
nell'articolo 7-bis, di nuovo inserimento, si prevede l'attribuzione alle Regioni del gettito derivante dalla lotta all'evasione fiscale. Tuttavia, al di là delle suggestioni, la previsione in esame riesce di difficile comprensione: il gettito riconosciuto alle Regioni è gettito che già dovrebbe spettare loro, trattandosi del gettito relativo, segnatamente, ai tributi propri derivati, alle addizionali, nonché all'aliquota di compartecipazione Iva. Non è previsto quindi, come per i Comuni, una partecipazione alla lotta all'evasione remunerata con una quota di tributo erariale; viene solo chiarito che, dalla lotta all'evasione, anche le Regioni si possono avvantaggiare, potendo aumentare il gettito dei tributi loro spettanti. Il che è ovvio. Del resto, la norma non condiziona la spettanza delle risorse aggiuntive ad una specifica attività e/o ad un fattivo contributo di ciascuna Regione. La novità, sul punto, appare semmai la previsione che, con decreto, verranno fissate le modalità di riversamento diretto alle Regioni delle risorse in oggetto;
all'articolo 7-ter si prevede che l'atto di indirizzo per il conseguimento degli obiettivi di politica fiscale di cui all'articolo 59 del D.lgs. n. 330 del 1999, ossia dell'atto con cui si determinano, annualmente, gli sviluppi della politica fiscale, le linee generali e gli obiettivi della gestione tributaria, nonché le grandezze finanziarie e le altre condizioni nelle quali si sviluppa l'attività delle agenzie fiscali, sia adottato d'intesa con le Regioni. Forse, sarebbe più corretto ipotizzare il coinvolgimento della Conferenza Stato-Regioni, posto che il coinvolgimento singolo di ciascuna Regione è poi previsto per la stipula delle convenzioni con l'Agenzia delle entrate. Viene altresì previsto il coinvolgimento dell'istituenda Conferenza permanente per il funzionamento della finanza pubblica, senza però che sia dettata la disciplina transitoria da impiegare fino alla sua concreta istituzione;
all'articolo 7-quater, nel prevedere che gli interventi statali sulle basi imponibili e sulle aliquote di tributi regionali derivati possono essere fatte solo con la contestuale adozione di misure compensative, si affida la quantificazione finanziaria di tali misure ad un DPCM da adottare d'intesa con la Conferenza permanente per il funzionamento della finanza pubblica. Sennonché, non si

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prevede un regime transitorio per il periodo in cui la predetta Conferenza non sia ancora attiva ed operante. In ogni caso, sembra opportuno prevedere un coinvolgimento della Conferenza permanente Stato-Regioni, posto che si tratta di individuare misure compensative di interventi su prelievi integranti risorse proprie delle Regioni;
sarebbe opportuno all'articolo 8 prevedere la contestualità, ossia l'unità ed unicità dei relativi atti, tra la soppressione, a cura delle Regioni, dei trasferimenti regionali ai Comuni - peraltro, anche qui solo di parte corrente - e la determinazione delle compartecipazioni da accordare ai medesimi sui tributi regionali. Lo stesso anche con riguardo all'istituzione del Fondo sperimentale regionale, di cui viene individuata la durata massima (tre anni);
all'articolo 9, l'auspicata disciplina per l'individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni e degli obiettivi di servizio trova finalmente ingresso. Viene così indubbiamente migliorata la versione originaria dello schema di decreto, che si limitava ad un mero rinvio ad una successiva legge. Tuttavia, la disciplina in concreto introdotta presenta indubbie criticità, anche di ordine costituzionale. In primo luogo, perché si rinvia - con Decreto Legislativo - ancora ad una futura legge per la determinazione delle modalità di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni nelle materie diverse dalla sanità. Una legge futura (come in effetti previsto dall'articolo 20 della legge n. 42 del 2009) di cui, però, sembrerebbero qui fissati soltanto taluni criteri (comma 2). Si prevede, in particolare, una procedura di ricognizione dei Lep ma, parrebbe, solo per la determinazione delle spese in conto capitale (comma 4). Inoltre, non si comprende chi e con quali modalità sia chiamato a stabilire, tramite intesa conclusa in sede di Conferenza unificata, i livelli di servizio da erogare fino alla determinazione, con legge, dei livelli essenziali delle prestazioni (comma 5). Infine è previsto il coinvolgimento della SOSE ai fini della ricognizione dei livelli essenziali delle prestazioni che le Regioni effettivamente garantiscono e dei relativi costi. Sarebbe però opportuno coordinare meglio le diverse parti della disposizione in commento, chiarendo i diversi momenti in cui s'intende articolare la fissazione dei Lep e degli obiettivi di servizio, nonché la loro implementazione: fase preliminare di ricognizione, semmai affidata alla SOSE, dei costi e dei livelli essenziali; fase elaborativa di tali livelli e costi, con il coinvolgimento, oltre che del Governo, della Conferenza Stato-Regioni e di organi parlamentari; fase di adozione mediante legge; fase attuativa, nell'ambito della legge di stabilità, volta a realizzare la convergenza dei costi e dei fabbisogni standard nonché degli obiettivi di servizio ai livelli essenziali delle prestazioni. Il tutto, con la previsione di una tempistica coerente con l'attuazione delle altre parti della riforma;
all'articolo 11 si disciplina l'istituzione del Fondo perequativo. Ebbene, si dovrebbe prevedere che anche al decreto da adottare per definire le modalità di convergenza della spesa per i servizi essenziali verso i costi standard (comma 5) sia allegata una relazione tecnica, concernente le conseguenze di carattere finanziario, come per il decreto sulla convergenza delle capacità fiscali in merito ai servizi non essenziali (comma 8). Resta peraltro lacunosa la conformazione del fondo perequativo, in particolare di quello di cui al comma 5, di cui restano indeterminati i tempi, le responsabilità e le modalità di concreto funzionamento: qui, peraltro, non è neppure ipotizzata la fonte di simile disciplina;
all'articolo 13 la principale novità attiene alla prospettata revisione dell'Imposta provinciale di trascrizione. Va però evidenziato che viene da subito prevista l'eliminazione della misura fissa, attualmente vigente per gli atti soggetti ad IVA (comma 5-bis): e ciò significa un maggior prelievo a carico dei contribuenti, posto che viene disposta l'applicazione della misura variabile in ragione della potenza o del peso del veicolo. Desta poi perplessità la previsione secondo cui la revisione dell'Imposta provinciale di trascrizione andrà

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operata, specificatamente con la legge di stabilità (comma 5-ter);
all'articolo 14 si dispone la soppressione dei trasferimenti statali alle Province nonché la rimodulazione dell'aliquota di compartecipazione provinciale all'IRPEF, in modo da assicurare entrate corrispondenti ai trasferimenti soppressi. Ancora una volta, si fa riferimento solo ai trasferimenti di parte corrente. Occorre, al riguardo, prevedere che sia lo stesso DPCM che, nell'individuare i trasferimenti da sopprimere stabilisca l'aliquota di compartecipazione. Inoltre, sembra opportuno assicurare che l'invarianza di gettito sia a livello di ciascuna singola Provincia. Il comma 6 appare di difficile comprensione, in quanto non chiarisce che la quota del 33 per cento sulla compartecipazione, che viene riservata alla Provincia competente per territorio, è da intendere segnatamente come quota della medesima compartecipazione che non concorre al finanziamento del Fondo sperimentale di riequilibrio di cui al successivo articolo 17. Ciò, infatti, lo si comprende solo dalla lettura del comma 2 del predetto articolo 17;
all'articolo 16, si dispone (comma 2) che, nell'ambito della revisione dell'imposta di scopo comunale (articolo 6 del decreto sul fisco municipale), venga disciplina altresì l'imposta di scopo provinciale. Non si comprende però come: l'imposta di scopo comunale, che dovrà essere revisionata, è e rimane sostanzialmente un'addizionale all'imposta comunale sugli immobili (in seguito l'IMU), rispetto cui è difficile costruire un'imposta Provinciale, se non nella forma dell'addizionale. Si tratterebbe, però, di un'addizionale sull'addizionale, peraltro - va ricordato - destinata ad essere applicata solo sulle seconde case (stante l'esenzione della prima casa) e gli immobili di imprese e professionisti. In violazione, come ricordato a suo tempo, del principio di continenza;
con riguardo al modello di finanziamento ipotizzato per le istituende città metropolitane (articolo 19-bis), la previsione, si evidenzia solamente che, a fronte della regola generale (comma 1) per cui alle città metropolitane sono attribuiti il sistema finanziario ed il patrimonio delle province in esse «assorbite», la previsione di un DPCM per l'attribuzione delle fonti di entrata (comma 2) sembra lasciar intendere che, in realtà, non vi debba poi essere necessaria coincidenza tra queste e quelle che spettavano alle Province assorbite. Non si comprende, poi, la disposizione riferita all'imposta sulle emissioni sonore (comma 2-bis lettera c). Questa, a rigore, dovrebbe essere e restare un tributo regionale (peraltro proprio, ai sensi dell'articolo 7 del testo in commento): ebbene, qui si prevede che con DPCM sarà altresì attribuita alle città metropolitane «la facoltà di istituire», tra l'altro, proprio l'imposta sull'emissioni sonore, ma solo nel caso in cui la regione non l'abbia soppressa e, soprattutto, «ne abbia deliberata l'attribuzione del gettito alla città metropolitana». S'ipotizza, insomma, che un DPCM possa trasformare in tributo proprio un tributo regionale di cui la regione ha deliberato l'attribuzione di gettito alla città metropolitana. Sennonché, se si tratta di tributo regionale, è coerente ipotizzare che vada riservato alla Regione la scelta se attribuire alla città metropolitana il solo gettito ovvero l'intera imposta. Soluzione, questa, che s'impone anche alla stregua della legge delega che, si ricorda, all'articolo 12, lettera g), recita, testualmente, «previsione che le regioni, nell'ambito dei propri poteri legislativi in materia tributaria, possano istituire nuovi tributi dei comuni, delle province e delle città metropolitane nel proprio territorio, specificando gli ambiti di autonomia riconosciuti agli enti locali», nonché dello stesso testo in discussione che, all'articolo 25, recepisce letteralmente la formula della delega testé riportata.
in definitiva, in ordine alle rilevanti perplessità dettagliatamente elencate, in ordine alla sua compatibilità costituzionale, normativa e finanziaria;

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PARERE CONTRARIO

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ALLEGATO 4

Schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario. (Atto n. 317).

RELAZIONE DEL RELATORE ON. BOCCIA

Il quinto decreto di attuazione della legge delega 42/2009 sul federalismo fiscale, approvato dal Consiglio dei ministri il 7 ottobre 2010 rappresenta un punto di snodo cruciale per l'impianto fiscale su cui poggia l'intera riforma.

Il provvedimento è caratterizzato da un contenuto molto articolato sulle materie di carattere tributario, relativamente alle quali sono modificate: l'irpef, tributo su cui si fonda l'applicazione del principio di progressività; l'Irap, la stessa Iva in relazione alla modifica dei criteri di attribuzione territoriale, i tributi provinciali, i meccanismi di perequazione, le modalità di finanziamento del sistema sanitario e dei servizi indispensabili come l'istruzione, il trasporto pubblico locale e l'assistenza non sanitaria sempre di competenza delle regioni.

A differenza del decreto sul fisco municipale che poggia su un'architettura fiscale completamente nuova e con molti limiti nelle valutazioni d'impatto finanziario (sia sui livelli locali che sulla pressione fiscale complessiva), il presente decreto insiste su un'architrave fiscale esistente, e già utilizzata per la copertura di alcuni servizi indispensabili come la Sanità.

Inoltre, nel rapporto tra meccanismi d'indebitamento delle amministrazioni regionali e provinciali, copertura dei servizi indispensabili e nuova correlazione tra fonti di entrata e centri di spesa, il decreto appare certamente più coerente e nello stesso tempo un importante passo avanti anche rispetto all'ormai superato Dlgs 56/2000 che aveva segnato il primo passo effettivo nel passaggio delle responsabilità finanziarie sulla gestione della Sanità dallo Stato alle Regioni, caratterizzandone per un decennio il funzionamento. Un decreto che aveva prodotto non poche anomalie nella gestione finanziaria dei servizi sanitari accentuate poi dalle lacune della normativa ordinaria successivamente alle modifiche costituzionali intervenute nel 2001.

Dal 2001 Regioni ed enti locali attendono una riforma quadro in grado di recepire i cambiamenti del Titolo V della Costituzione. Questo potrebbe essere il momento giusto per la costruzione di un rapporto moderno tra leve fiscali territoriali e centri di spesa, tra nuovi doveri istituzionali (legati al welfare degli anni 2000) e attuali esigenze di comunità profondamente diverse (per demografia, per caratteristiche socioeconomiche e per una crescente multiculturalità) da quelle degli anni novanta.

Se siamo arrivati fin qui con l'attuazione della delega è innanzi tutto per la riforma costituzionale del 2001 e per la comune convinzione tra i gruppi parlamentari della necessaria coerenza tra attuazione del federalismo fiscale e opportunità di una riforma fiscale generale non più rinviabile. Esigenza richiamata in questa legislatura nello scorso dicembre in Parlamento in tutte le mozioni presentate sul fisco.

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Quando oltre due anni fa arrivò il Governo presentò in Parlamento il disegno di legge delega sul federalismo fiscale, era previsto l'utilizzo dell'Irpef anziché dell'Iva come imposta di finanziamento della perequazione, l'organizzazione di venti modelli di scuole regionali, l'utilizzo improprio dei fondi strutturali, la perequazione orizzontale fatta tra aree più ricche verso quelle più deboli del Paese e una sostanziale marginalità del Governo centrale.

Tutto questo non c'è più perché fu oggetto di un confronto costruttivo che portò la maggioranza ad accettare molte proposte delle opposizioni e a tentare, anche con l'istituzione della Commissione Bicamerale per l'attuazione della delega sul federalismo fiscale, la strada dei principi e delle regole condivise. Oggi quei principi possono essere rispettati insieme solo se attuati da decreti il più possibile condivisi.

La Commissione Bicamerale è nata come terreno naturale del confronto politico e legislativo proprio in occasione dell'approvazione della legge delega e, inutile negarlo, ha rischiato, nostro malgrado, di trasformarsi in un terreno di forte contrapposizione dopo l'ultima votazione sul fisco municipale. Cos'è successo rispetto agli altri decreti? È successo che la Bicamerale non è stata in grado di dare il via libera, come era avvenuto con i precedenti decreti, perché tutte le opposizioni hanno sostenuto ragioni di merito in contrasto con il parere della maggioranza.

Sul fisco regionale, dopo il lavoro congiunto svolto con il relatore di maggioranza e le modifiche apportate (riportate nel parere allegato) e visto il rischio d'impatto finanziario della riforma sulla pressione fiscale nel caso di perdurante crisi economica da qui al 2013 (anno dell'effettiva attuazione del decreto relativamente alla fiscalizzazione dei trasferimenti e alla parallela perequazione), si ritiene imprescindibile per la credibilità dell'intero impianto e per la difesa delle stesse amministrazioni pubbliche territoriali una sorta di «clausola di salvaguardia» attraverso la previsione di un meccanismo, da attivare nell'autunno del 2012, che verifichi, d'intesa tra governo e regioni, se il sistema di finanza pubblica è in grado di rispettare le disposizioni del decreto-legge n. 78 del 2010 che prevede l'interruzione dei tagli con l'attuazione del federalismo fiscale.

Si può e si deve tentare di costruire un meccanismo comune di salvaguardia dall'impatto finanziario negativo sui conti delle amministrazioni pubbliche derivante dalla crisi e dalla perdurante lenta crescita economica. Impatto che inciderebbe sull'attuazione effettiva del federalismo fiscale provocando un aumento della pressione fiscale.

Per evitare questo rischio, si richiede a tutti i gruppi parlamentari rappresentati in Commissione di votare l'integrazione proposta nel parere all'articolo 11 comma 5 e le modifiche sulle disposizioni finali di coordinamento all'articolo 26 commi 3 e 3-bis.

Il voto di questi articoli consente in sostanza la costruzione di una vera e propria «clausola di salvaguardia» e la previsione di un meccanismo che verifichi, d'intesa tra Governo e Regioni, se siano stati, così come previsto dalla norma, effettivamente rispettati gli impegni sulla revoca relativa ai tagli alle amministrazioni pubbliche regionali e locali disciplinati nel decreto-legge n. 78 del 2010; in caso contrario, proprio per salvaguardare il processo in corso di applicazione del federalismo fiscale, se il Governo non fosse nelle condizioni di rispettare la revisione dei tagli, si applicherebbe una sospensione temporanea, subordinata a un accordo comune immediato, in sede di approvazione della legge di stabilità 2013, atto a evitare che la pressione fiscale aumenti e si scarichi tutta sulle nuove leve fiscali regionali.

Questa proposta appare necessaria proprio per difendere il lavoro collettivo svolto sin'ora. Per difendere la credibilità di un progetto comune e non di parte, come più volte auspicato, in questi giorni di celebrazione dell'Unità d'Italia, dal Presidente

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della Repubblica Napolitano. È necessario ritenere questa riforma una riforma di tutti: dello Stato e delle Regioni con gli enti locali coinvolti (nella fattispecie le Province e le Città Metropolitane) e dell'intero comparto della pubblica amministrazione che indirettamente verrà coinvolto.

Si è giunti a un testo con due pareri coincidenti in larga parte e differenti per alcuni passaggi fondamentali come la clausola di salvaguardia contro l'eventuale aumento della pressione fiscale appena richiamata, grazie alla disponibilità al confronto permanente e alle integrazioni sostanziali rispetto al testo originario dello schema di decreto accettate e condivise dal relatore di maggioranza e dal Governo. Disponibilità della quale in questa sede voglio dare atto e che rappresenta una speranza per provare a fare ulteriori e decisivi passi in avanti.

I punti che vengono elencati qui di seguito sono quelli che il confronto ha portato alla modifica integrale dell'impianto di alcuni articoli. In particolare: le principali modifiche apportate al decreto uscito dal consiglio dei ministri il 7 ottobre sono sintetizzabili in questi punti:
Sono state allineate le decorrenze della fiscalizzazione dei trasferimenti nell'addizionale Irpef (che nel decreto originario sarebbe dovuta avvenire nel 2012) e dell'avvio del sistema di finanziamento e perequazione a regime (che sarebbe dovuta iniziare nel 2014): entrambe decorreranno dal 2013, garantendo così l'avvio di un sistema più equilibrato, ordinato e garantista, in particolare per il Sud. Il disallineamento, infatti, avrebbe determinato una situazione per la quale per almeno due anni ciascuna regione avrebbe trattenuto sul proprio territorio il gettito dell'addizionale Irpef, senza nessun riequilibrio e con una forte sperequazione territoriale a causa delle rilevanti differenze nella distribuzione delle basi imponibili.
Per l'IVA, il criterio di territorialità basato sul luogo del consumo per la ripartizione della compartecipazione regionale IVA sarà applicato solo previa verifica della effettiva disponibilità di informazioni affidabili sulla distribuzione tra territori regionali dell'ammontare delle vendite effettuate nei confronti di consumatori finali e della corrispondente imposta IVA incassata. Si terrà conto dell'IVA versata dalle pubbliche amministrazioni e dagli altri soggetti non obbligati alla redazione del quadro VT, che rappresenta un terzo dell'IVA totale e che altrimenti non sarebbe stata considerata.
È stata definita la procedura per la fissazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) nei settori che ne sono ancora privi (assistenza, istruzione, trasporti pubblici locali, eventuali altri settori). Per ciascun settore saranno individuate macro-aree omogenee per i servizi offerti e definiti indicatori di costo standard, di livello delle prestazioni, di appropriatezza, oltre che indicatori per il monitoraggio e la valutazione. Sulla base di queste analisi si possono determinare i fabbisogni standard. Il disegno di legge di stabilità conterrà norme di coordinamento dinamico della finanza pubblica volte a realizzare l'obiettivo della convergenza dei costi e dei fabbisogni standard dei vari livelli di governo, nonché un percorso di convergenza degli obiettivi di servizio. Fino alla determinazione, con legge, dei livelli essenziali delle prestazioni, tramite intesa conclusa in sede di Conferenza unificata, saranno stabiliti i servizi da erogare.
L'esenzione dalla maggiorazione dell'addizionale Irpef è stata estesa a tutti i titolari di reddito e non solo ai lavoratori dipendenti e pensionati: tuttavia la misura va ulteriormente modificata al fine di trasformare l'esenzione in una no-tax area per tutti i redditi.
Sarà assicurata, dall'anno 2012, agli enti territoriali che rispettino il patto di stabilità interno la revisione dei tagli del decreto-legge n. 78.
Il fabbisogno sanitario nazionale sarà definito annualmente per il triennio successivo anziché per un solo anno, dando maggiore certezza alle regioni e mantenendo

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una coerenza con l'attuale patto per la salute.
È stato rivisto il sistema di finanziamento delle province, che è ora meglio definito e fornisce maggiori certezze sulle risorse e sulla perequazione.
Sono state inserite specifiche misure per il finanziamento delle città metropolitane.
È stata data attuazione alla delega sull'istituzione della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica.
È stato rafforzato il controllo sul processo attuativo: ogni Dpcm previsto dal decreto sarà corredato della relazione tecnica e sottoposto al parere parlamentare.

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ALLEGATO 5

Schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario. (Atto n. 317).

MODIFICHE DEL RELATORE ON. BOCCIA ALLA PROPRIA PROPOSTA DI PARERE

All'articolo 8, sostituire il comma 1 con il seguente: «1. Ciascuna Regione a statuto ordinario sopprime, a decorrere dal 2013, i trasferimenti regionali di parte corrente diretti al finanziamento delle spese dei Comuni, ai sensi dell'articolo 11, comma 1, lettera e), della citata legge n. 42 del 2009 aventi carattere di generalità e permanenza.»

All'articolo 15, sostituire il comma 1 con il seguente: «1. Ciascuna Regione a statuto ordinario assicura la soppressione, a decorrere dall'anno 2013, di tutti i trasferimenti regionali, aventi carattere di generalità e permanenza, di parte corrente diretti al finanziamento delle spese delle Province, ai sensi dell'articolo 11. comma 1, lettera e), della legge n. 42 del 2009.»

All'articolo 22, sostituire il comma 9 con il seguente: «9. Il fabbisogno standard regionale determinato ai sensi del comma 8, è annualmente applicato al fabbisogno sanitario standard nazionale definito ai sensi dell'articolo 21.»

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ALLEGATO 6

Schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario. (Atto n. 317).

MODIFICHE DEL RELATORE ON. CORSARO ALLA PROPRIA PROPOSTA DI PARERE

All'articolo 6, comma 1, dopo le parole: «di parte corrente» inserire le seguenti: «e, ove non finanziati tramite il ricorso all'indebitamento, in conto capitale,.»

All'articolo 6, comma 2, dopo la parola: «adottato», inserire le seguenti: «, sulla base delle valutazioni della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale ovvero, ove effettivamente costituita, della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica,».

All'articolo 6, comma 2, sostituire le parole: «centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto,» con le seguenti: «entro il 31 dicembre 2011».

All'articolo 8, comma 1, dopo le parole: «parte corrente e» inserire le seguenti: «e, ove non finanziati tramite il ricorso all'indebitamento, in conto capitale».

Conseguentemente, al medesimo articolo 8, comma 2, aggiungere in fine il seguente periodo: «L'individuazione dei trasferimenti regionali fiscalizzabili è oggetto di condivisione nell'ambito della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale ovvero, ove effettivamente costituita, della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica».

All'articolo 13, comma 5-ter, alla lettera a) aggiungere infine le parole «, e nelle successive intestazioni;».

All'articolo 13, comma 5-ter, alla lettera b) sostituire la parola «proprietario» con «intestatario».

All'articolo 14, comma 2, dopo le parole: «di parte corrente» inserire le seguenti: «e, ove non finanziati tramite il ricorso all'indebitamento, in conto capitale».

All'articolo 14, comma 3, dopo la parola: «adottato» inserire le seguenti: «, sulla base delle valutazioni della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale ovvero, ove effettivamente costituita, della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica,».

All'articolo 15, comma 1, dopo le parole «parte corrente e» inserire le seguenti: «e, ove non finanziati tramite il ricorso all'indebitamento, in conto capitale».

Conseguentemente, al medesimo articolo 15, comma 2, aggiungere in fine il seguente

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periodo: «L'individuazione dei trasferimenti regionali fiscalizzabili è oggetto di condivisione nell'ambito della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale ovvero, ove effettivamente costituita, della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica.».

Sostituire il CAPO V con il seguente:

CAPO V
CONFERENZA PERMANENTE PER IL COORDINAMENTO DELLA FINANZA PUBBLICA

Art. 24-quater
(Oggetto)

1. In attuazione dell'articolo 5 della citata legge n. 42 del 2009, è istituita, nell'ambito della Conferenza Unificata e senza ulteriori oneri per la finanza statale, la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, quale organismo stabile di coordinamento della finanza pubblica fra comuni, province, città metropolitane, Regioni e Stato, e ne sono disciplinati il funzionamento e la composizione.

Art. 24-quinquies
(Composizione)

1. La Conferenza è composta dai rappresentanti dei diversi livelli istituzionali di governo.
2. La Conferenza è copresieduta dal Ministro dell'Economia e delle finanze e dal Presidente della Conferenza Unificata; ne fanno parte altresì il Ministro dell'interno, il Ministro per le riforme per il federalismo, il Ministro per la Semplificazione normativa, il ministro per la Salute, il Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome o suo delegato, il Presidente dell'Associazione Nazionale dei Comuni d'Italia - ANCI o suo delegato, il Presidente dell'Unione Province d'Italia - UPI, o suo delegato. Ne fanno parte inoltre sei Presidenti o Assessori di Regione, quattro Sindaci e due Presidenti di Provincia, designati rispettivamente dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, dall'ANCI e dall'UPI in modo da assicurare una equilibrata rappresentanza territoriale e demografica, acquisiti in sede di Conferenza unificata di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. Ne fa parte altresì il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale ove non vengano a questo delegate le funzioni di presidenza della Conferenza Unificata.
3. Alle riunioni possono essere invitati altri rappresentanti del Governo, nonché rappresentanti di altri enti o organismi.

Art. 24-sexies
(Modalità di funzionamento)

1. Il Ministro dell'Economia e delle finanze d'intesa con il Presidente della Conferenza Unificata, convoca la Conferenza stabilendo l'ordine del giorno. Ciascuna componente può chiedere l'iscrizione all'ordine del giorno della trattazione delle materie e degli argomenti rientranti nelle competenze della Conferenza.
2. Entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, deve essere convocata la riunione di insediamento della Conferenza. In ogni caso, la Conferenza deve essere convocata almeno una volta ogni due mesi e quando ne faccia richiesta un terzo dei suoi membri.
3. In seguito all'iscrizione all'ordine del giorno della singola questione da trattare, di norma la Conferenza, su proposta del suo Presidente, con apposito atto d'indirizzo delibera l'avvio dell'espletamento delle funzioni e dei poteri ad essa assegnati dalla legge e ne stabilisce, ove necessario, le relative modalità di esercizio e di svolgimento in relazione all'oggetto. A tal fine, il Presidente della Conferenza

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delle Regioni e delle Province autonome, il Presidente dell'Associazione Nazionale dei Comuni d'Italia - ANCI, il Presidente dell'Unione Province d'Italia - UPI possono avanzare apposite proposte di deliberazione ai fini dell'iscrizione all'ordine del giorno.
4. La Conferenza, nelle ipotesi di cui all'articolo 24-septies, comma 1, lettere a) e b), adotta le proprie determinazioni di regola all'unanimità delle componenti. Ove questa non sia raggiunta l'assenso rispettivamente della componente delle Regioni e della componente delle province e dei comuni può essere espresso nel proprio ambito anche a maggioranza. Nelle altre ipotesi di cui all'articolo 24-septies, le determinazioni della Conferenza possono essere poste alla votazione della medesima su conforme avviso del Presidente della Conferenza, dal Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, dal Presidente dell'Associazione Nazionale dei Comuni d'Italia - ANCI, dal Presidente dell'Unione Province d'Italia - UPI.
5. Le determinazioni adottate dalla Conferenza sono trasmesse ai Presidenti delle Camere e alla Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del citato decreto legislativo n. 281 del 1997. La Conferenza può altresì trasmettere le proprie determinazioni ai soggetti e agli organismi istituzionali interessati.
6. Si applicano in quanto compatibili le disposizioni previste per la Conferenza unificata dal citato decreto legislativo n. 281 del 1997.

Art. 24-septies
(Funzioni)

1. In attuazione di quanto previsto dall'articolo 5, comma 1, della citata legge n. 42 del 2009:
a) la Conferenza concorre, in conformità a quanto previsto dall'articolo 10 della citata legge n. 196 del 2009 alla ripartizione degli obiettivi di finanza pubblica per sottosettore istituzionale, ai sensi dell'articolo 10, comma 1 e 2, lett. e) della medesima legge n. 196 del 2009;
b) la Conferenza avanza proposte:
1. per la determinazione degli indici di virtuosità e dei relativi incentivi;
2. per la fissazione dei criteri per il corretto utilizzo dei fondi perequativi secondo principi di efficacia, efficienza e trasparenza e ne verifica l'applicazione.

c) la Conferenza verifica:
1. l'utilizzo dei fondi stanziati per gli interventi speciali ai sensi dell'articolo 16 della citata legge n. 42 del 2009;
2. assicura la verifica periodica del funzionamento del nuovo ordinamento finanziario dei comuni, delle province, delle città metropolitane e delle regioni;
3. assicura la verifica delle relazioni finanziarie fra i diversi livelli di governo e l'adeguatezza delle risorse finanziarie di ciascun livello di governo rispetto alle funzioni svolte, proponendo eventuali modifiche o adeguamenti al sistema;
4. verifica la congruità dei dati e delle basi informative, finanziarie e tributarie fornite dalle amministrazioni territoriali;
5. verifica periodicamente la realizzazione del percorso di convergenza ai costi e ai fabbisogni standard nonché agli obiettivi di servizio.

d) la Conferenza promuove la conciliazione degli interessi fra i diversi livelli di governo interessati all'attuazione delle norme sul federalismo fiscale.
e) la Conferenza vigila sull'applicazione dei meccanismi di premialità, sul rispetto dei meccanismi sanzionatori e sul loro funzionamento.

2. Anche ai fini dell'attuazione di cui al comma 1, lettera c), numero 5), del presente articolo, la Conferenza permanente

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per il coordinamento della finanza pubblica provvede, con cadenza trimestrale, ad illustrare, in sede di Conferenza unificata di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, i lavori svolti.

Art. 24-octies
(Supporto tecnico)

1. Le funzioni di segreteria tecnica e di supporto della Conferenza sono esercitate, ai sensi dell'articolo 5, comma 1, lettera g), della citata legge n. 42 del 2009, dalla Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale istituita dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 3 luglio 2009.
2. Per lo svolgimento delle funzioni di supporto della Conferenza e di raccordo con la Segreteria della Conferenza Stato-Regioni è istituita, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, nell'ambito della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale, di cui all'articolo 4 della citata legge n. 42 del 2009, con decreto del Ministro dell'economia e finanze, di concerto con il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione dello sviluppo territoriale, e sotto la direzione del Presidente della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale, una specifica struttura di segreteria, la cui composizione è definita nel decreto istitutivo, fermo restando che sino alla metà dei posti del contingente potranno essere coperti nella misura massima del 50 per cento da personale delle regioni e, per il restante 50 per cento, da personale delle province e dei comuni il cui trattamento economico sarà a carico delle amministrazioni di appartenenza e i restanti posti sono coperti con personale del Ministero dell'economia e delle finanze e della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il Presidente della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale individua, nell'ambito della struttura di segreteria, il segretario della Conferenza, che esercita le attività di collegamento fra la Commissione e la Conferenza stessa. La struttura di segreteria si può avvalere anche di personale dell'ANCI e dell'UPI nell'ambito della percentuale prevista per province e comuni.
3. Per lo svolgimento delle funzioni di propria competenza, la Conferenza permanente ha accesso diretto alla sezione della banca dati delle pubbliche amministrazioni di cui al comma 2 dell'articolo 13 della citata legge n. 196 del 2009, nella quale sono contenuti i dati necessari a dare attuazione al federalismo fiscale. La Conferenza, con il supporto tecnico della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale, concorre con il Ministero dell'economia e delle finanze alla individuazione dei contenuti della sezione stessa.
4. Con successivo provvedimento, adottato in sede di Conferenza unificata, anche ai fini dell'attuazione dell'articolo 24-septies, comma 1, lettera c), numero 5), del presente decreto, sono stabilite le modalità di accesso alla banca dati da parte della Conferenza unificata di cui al citato decreto legislativo n. 281 del 1997.