CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 16 dicembre 2010
417.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale
ALLEGATO
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ALLEGATO 1

Schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale (Atto n. 292).

PROPOSTA DEL GRUPPO PARTITO DEMOCRATICO

RELAZIONE

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ALLEGATO 2

Schema di decreto legislativo recante disposizioni in materiali di federalismo fiscale municipale (Atto n. 292).

RELAZIONE DEL RELATORE, SENATORE BARBOLINI

Lo schema di decreto legislativo al nostro esame affronta tematiche di primaria rilevanza nell'ambito del federalismo fiscale, che hanno una ricaduta diretta non solo sull'ordinamento e sulla futura funzionalità dei comuni, ovvero delle istituzioni più prossime alla cittadinanza, ma sulla qualità della vita e sul carico fiscale complessivo di milioni di cittadini. Proprio per tali ragioni, il giudizio che si esprime, in prima battuta, sui contenuti del provvedimento è, per molti aspetti, di seria preoccupazione. Le audizioni finora svolte, il giudizio degli esperti incaricati di esaminare il testo, il mancato parere rilasciato dall'Anci, ed i pareri che stanno giungendo dalle varie Commissioni parlamentari e segnatamente quelli delle Commissioni Bilancio della Camera e del Senato, concordano nell'affermare che così come è, il provvedimento è suscettibile di produrre più problemi che soluzioni e benefici nello spirito della legge n. 42 del 2009.
Il testo, desta preoccupazioni non solo per ciò che contiene, ma anche per quello che non dice compiutamente. Mancano, infatti, una serie di elementi fondamentali, rimandati a successivi interventi normativi che non consentono una valutazione esauriente sulle ricadute della riforma proposta.
In linea generale, dal provvedimento emerge un'operazione che, con l'obiettivo di attribuire tutta l'imposizione immobiliare ai comuni e di «semplificare» a tutti i costi, perde l'occasione per procedere a una revisione e a un aggiornamento del sistema tributario locale come delineato dai decreti legislativi n. 504 del 1992 e n. 507 del 1993, che definivano in dettaglio e nel complesso il sistema tributario e rispetto ai quali il provvedimento appare molto più confuso e di difficile applicazione.
Inoltre, l'impianto è poco coerente con la legge delega perché non fornisce risorse certe ai comuni - e anzi mette in dubbio il principio del pieno finanziamento delle funzioni fondamentali - e presenta elementi di ambiguità rispetto alle modalità della perequazione.
Un chiaro limite dello schema di decreto è quello di non essere collegato a un disegno complessivo e coerente di riforma fiscale. In particolare, la cosiddetta «cedolare secca» sugli affitti è una proposta il cui impatto in termini di sistema fiscale complessivo, al di là della devoluzione o meno del relativo gettito ai comuni, può essere valutato solo conoscendo quali interventi si intende realizzare sulla tassazione delle altre forme di rendita.
L'aleatorietà dell'intera costruzione è testimoniata dallo stesso estensore delle norme. Nell'articolo 8, comma 4, è infatti scritto, con riferimento all'intero decreto, e quindi sia alla fase transitoria che a quella «a regime» che «il presente decreto legislativo concorre ad assicurare, in prima applicazione della legge 5 maggio 2009, n. 42, e in via transitoria, l'autonomia di entrata ai comuni». La realizzazione del nuovo assetto del federalismo municipale è prevista, infatti, in due fasi temporali. Nella prima fase, della durata di tre anni, dal 2011 al 2013, gli enti locali riceveranno il gettito dei tributi immobiliari, che manterranno per questo periodo l'assetto attuale; nella fase successiva, che

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prenderà avvio dall'anno 2014, saranno introdotte nell'ordinamento fiscale due nuovi tributi comunali, l'imposta municipale propria (IMU) e l'imposta municipale secondaria facoltativa, che prefigurano un sistema impositivo a regime con profili disarmonici e con più che probabili effetti distorsivi.
In via generale, il provvedimento:
non definisce l'esatta entità delle risorse da assicurare ai governi comunali;
non introduce una reale autonomia impositiva;
non introduce una compartecipazione al gettito di un grande tributo erariale, come previsto dalla legge delega;
non definisce le modalità di approvvigionamento e di funzionamento dei fondi perequativi previsti dalla legge delega, anche in relazione al graduale processo di introduzione dei fabbisogni standard.

Il fondo di riequilibrio null'altro è se non un fondo analogo a quello oggi esistente per i trasferimenti, con l'unica differenza di un ruolo più forte per il Ministero dell'economia al confronto con il Ministero dell'interno. In assenza di criteri di riparto è probabile che prevalga l'unico criterio possibile, quello di allinearsi alla spesa storica.
Del tutto assente la questione del finanziamento degli investimenti effettuati da parte dei comuni, i quali rappresentano il 60 per cento della spesa complessiva in conto capitale.
Tali osservazioni inducono ad affermare da subito che, l'autonomia e la responsabilità dei comuni nella gestione delle loro risorse non è affatto garantita dal provvedimento al nostro esame, con ciò contravvenendo allo spirito originario della delega.
L'autonomia e la responsabilità dei comuni, infatti, può essere pienamente garantita solo da un sistema di imposizione che introduca, a fianco delle tariffe da corrispondere per i servizi a domanda individuale, il principio di beneficio, e cioè che i cittadini contribuiscano al finanziamento dei servizi di prossimità erogati dal Comune quando essi hanno la caratteristica di essere indivisibili e quindi non tariffabili. Questo principio è del tutto assente nella proposta, poiché in essa la fiscalità comunale si basa sostanzialmente sul possesso delle unità immobiliari diverse da quelle di residenza principale e sul trasferimento degli immobili. Il raggiungimento delle predette finalità, dovrebbe essere garantito da ben altre proposte, come più volte evidenziato nel corso delle audizioni, ed in particolare in quella della Corte di conti.
Su tali aspetti ci si riserva di produrre e di mettere a disposizione della Commissione e degli esperti incaricati dalla stessa, proposte modificative e migliorative del testo, avendo riguardo anche allo sviluppo della discussione e ad un aperto e approfondito confronto con il Governo. A tale proposito si sottolinea la necessità di ampliare i tempi di discussione del provvedimento, anche prevedendo una proroga degli stessi, naturalmente nel rispetto di quanto previsto dalla legge delega.
Entrando nel merito delle singole parti del provvedimento, anche al fine di rendere comunque un servizio migliore ai cittadini e ai comuni, appare opportuno sottolineare una serie di questioni critiche e sollecitare chiarimenti ed approfondimenti su talune tematiche sulle quali da più parti sono state sollevati puntuali rilievi.
In relazione all'articolo 1 del provvedimento, sulla devoluzione ai comuni della fiscalità immobiliare, si osserva che:
uno dei punti innovativi è la devoluzione ai comuni del gettito delle imposte di registro e di bollo legate agli immobili e delle imposte ipotecarie e catastali. Si tratta di un gettito stimato al 2011 in 6,6 miliardi, cui si aggiunge il gettito dell'Irpef sui redditi fondiari il quale, compresa la cedolare secca, varrebbe circa 9 miliardi. L'attribuzione ai comuni di fonti di approvvigionamento finanziario che, nel complesso, superano l'entità dei trasferimenti da fiscalizzare sembra autorizzare il legislatore delegato a dimenticarsi della precisa previsione, in legge delega, di una

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compartecipazione all'Iva e/o all'Irpef. La questione non è semplice e necessita di ulteriori approfondimenti di merito sul piano sia finanziario che giuridico. C'è bisogno, pertanto, di un'accurata valutazione in merito;
i gettiti delle imposte immobiliari si evolvono nel tempo in modo non sistematico. Occorrerebbe verificare, pertanto, gli impatti che la crisi economica, e dei valori immobiliari, dovrebbe avere esercitato sul gettito effettivo, posto che le stime esistenti partono da un ultimo dato certo relativo al 2008. Occorrerebbe anche verificare l'evoluzione nel tempo di tale gettito, che soprattutto nei comuni di piccola dimensione dovrebbe avere un'elevata componente di aleatorietà (quando dal mondo dei comuni venne avanzata in passato una proposta simile, la si limitava ai comuni di dimensione media e grande). I dati necessari a questa valutazione non sono disponibili;
in merito al comma 4, anziché attribuire il gettito dell'addizionale allo Stato si osserva se non sia il caso di riassorbire l'addizionale nell'accisa;
il meccanismo che regola il funzionamento del Fondo di riequilibrio (comma 5) sembra in contrasto con la legge delega in quanto:
a) lega le risorse del fondo perequativo al gettito di determinate imposte, mentre per la legge n. 42 lo Stato deve garantire al fondo perequativo (a regime) tutte le risorse necessarie per portare ciascun Comune al pieno finanziamento dei fabbisogni standard, senza vincolare la dimensione del fondo al gettito di uno specifico tributo o insieme di tributi. Nella previsione dello schema di decreto, la tassazione immobiliare è utilizzata per raccogliere (e implicitamente determinare nel loro ammontare aggregato) le risorse da assegnare via trasferimenti perequativi ai comuni stessi, con il rischio reale di indebolire il principio del pieno finanziamento dei comuni nelle loro funzioni fondamentali;
b) il Fondo di riequilibrio prevede una perequazione che prende a riferimento il solo gettito delle imposte connesse ai cespiti immobiliari - non manovrabili - e non la capacità fiscale complessiva dei comuni, ai quali lo schema di decreto non attribuisce, almeno sino al 2014, tributi propri;
c) prefigura a livello municipale un meccanismo di trasferimenti perequativi di tipo orizzontale;
d) la legge delega stabilisce che nella fase transitoria il finanziamento delle spese degli enti locali debba essere effettuato assumendo l'ipotesi che l'80 per cento delle spese sia considerato come riconducibile alle funzioni fondamentali e che il residuo 20 per cento si riferisca alle funzioni non fondamentali. Va chiarito, in conformità all'articolo 21 della legge 42, che soltanto il 20 per cento dell'importo del Fondo di riequilibrio può essere ripartito tenendo conto della transizione verso i principi della capacità fiscale e della territorialità del gettito, mentre il restante 80 per cento del Fondo deve essere ripartito tra gli enti ai fini del finanziamento delle spese fondamentali senza alcuna correlazione con la territorialità del gettito dei tributi affluiti al Fondo. In ogni caso, va chiarito se la devoluzione delle «quote del gettito dei tributi» al Comune ove sono ubicati gli immobili significa che ogni anno viene stabilita una quota di gettito che non affluisce al Fondo oppure costituisce un criterio di riparto. La norma demanda ad una fonte di rango secondario sia la definizione delle modalità di alimentazione e di riparto delle due sezioni del Fondo, sia la determinazione delle quote di gettito da devolvere ai singoli comuni sulla base del criterio territoriale(1). Non viene specificata la natura e la valenza, eventualmente

(1) I criteri di ripartizione tra i comuni delle somme derivanti dal gettito delle imposte devolute sono individuati solo con riferimento all'esigenza di tenere conto della determinazione, «ove effettuata», dei fabbisogni standard e dei risultati della partecipazione dei comuni all'attività di accertamento tributario.

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vincolante, dell'accordo preventivo da realizzare in sede di Conferenza Stato-Città ed autonomie locali. Andrebbe chiarito se in assenza di accordo il Ministro dell'interno possa comunque procedere all'adozione del decreto di riparto del Fondo. È necessario in ogni caso introdurre un parere parlamentare;
e) non si comprende il senso delle due sezioni del Fondo di riequilibrio se non per le diverse fonti di finanziamento, anche alla luce del fatto che tali sezioni permangono anche dopo la fase transitoria. Su tale aspetto appare opportuno un chiarimento, soprattutto in relazione al dubbio se le due sezioni abbiano finalità perequative diverse;
f) non emerge un chiaro quadro sulle modalità e sulla tempistica dell'acquisizione delle risorse da parte dei comuni. In tale ambito, andrebbero chiariti i principi in base ai quali dovranno essere adottati criteri differenziati per il riparto delle risorse del fondo a favore dei comuni con meno 5.000 abitanti.
in relazione alle tematiche sanzionatorie (comma 7), oltre a sottolinearne la particolare severità soprattutto in termini comparativi con altri profili sanzionatori, si osservano talune incongruenze. In particolare va chiarito se il maggior gettito da riconoscere al Comune interessato per l'accatastamento degli immobili non dichiarati in catasto si riferisca alle sole imposte catastali pagate dal contribuente al momento della iscrizione in catasto oppure anche alle altre imposte pagate successivamente con riferimento al medesimo immobile, necessario ai fini dell'applicazione del comma 3 sul finanziamento del Fondo sperimentale di riequilibrio. Non è chiaro neanche a quali imposte ci si riferisca e pertanto quali siano le ricadute sanzionatorie sui contribuenti. Altresì, comprendere come sia possibile individuare l'iscrizione in catasto, e quindi il maggior gettito, derivante dall'attività di accertamento. Se si tratta di quelli non censiti ai sensi dell'articolo 19 del decreto-legge n. 78 del 2010, le maggiori entrate sono già scontate in bilancio?;

Relativamente all'articolo 2 del provvedimento, riguardante la cosiddetta cedolare secca sugli affitti, si osserva innanzitutto l'inappropriatezza dei termini utilizzati per la definizione dell'imposta. Piuttosto che cedolare secca meglio definirla «imposta sostitutiva». Nel merito:
in via generale, per ragioni di neutralità tra le differenti forme di investimento, sarebbe preferibile un intervento di riordino complessivo dell'imposizione sui redditi degli immobili, indipendentemente dalla locazione;
in relazione agli effetti finanziari della proposta si evidenziano tre rilevanti problematiche che emergono dalla relazione tecnica depositata dal Governo e che le audizioni hanno rafforzato. In particolare:
a) la stima della perdita di gettito (circa 1 miliardo il primo anno) è inferiore, significativamente, al confronto con analoghe stime fatte in passato, sia nella presente che nella precedente legislatura. Non è chiaro cosa abbia indotto la Ragioneria Generale dello Stato a modificare le sue stime;
b) la stima del recupero di tale perdita grazie all'emersione del sommerso (440 milioni fin dal primo anno e poi un miliardo entro tre anni) appare sovrastimata e non suffragata da elementi fattuali: a sostegno di ipotesi più prudenziali possono essere portati i modesti dati relativi all'emersione di gettito ottenuta grazie alle recenti norme di partecipazione dei comuni all'accertamento;
c) il testo del decreto comporta che il rischio di andamenti difformi da quelli contenuti nelle stime di previsione portate in copertura dalla relazione tecnica sia interamente a carico dei comuni, e ciò sembra davvero aggiungere al danno dei tagli già apportati alla finanza comunale ulteriori possibili decurtazioni;
d) oltre all'apparente sottostima della perdita di gettito calcolata dalla relazione tecnica, va sottolineato che essa non tiene conto del fatto che la fuoriuscita

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dall'Irpef dei redditi da locazione comporta una diminuzione dell'imponibile ai fini della fruizione delle detrazioni di imposta e, quindi, il possibile aumento dell'ammontare delle detrazioni fruite dai contribuenti;
al fine di produrre effetti redistributivi meno regressivi sarebbe opportuno prevedere il regime della cedolare soltanto per i nuovi contratti: ciò incoraggerebbe la eventuale traslazione della minore imposizione sui canoni di locazione. In alternativa si potrebbe introdurre il cosiddetto «contrasto di interessi» prevedendo una detrazione per i canoni pagati dall'affittuario: si verificherebbe una ulteriore perdita di gettito ma contemporaneamente gli effetti di emersione sarebbero più certi;
occorre tenere presente la problematica dei contratti a canone concordato, già non pienamente diffusi sul territorio nazionale, che per effetto della proposta rischiano di essere vanificati a tutto svantaggio delle fasce più deboli della società. Le agevolazioni per i contratti a canone concordato di fatto rischiano di sparire nel sistema riformato a regime. Infatti, la base imponibile della cedolare secca è pari al 100 per cento del canone, mentre attualmente quella da utilizzare nel caso di tassazione ordinaria dei redditi da locazione è pari all'85 per cento del canone per i contratti liberi ma ridotto al 59,5 per cento per i contratti a canone concordato relativi ad abitazioni ubicate nei comuni ad alta tensione abitativa. La cedolare secca assorbirà, tra le altre, l'imposta di registro per la quale la soppressione opererà già dal 2011 per i contratti a canone concordato relativi ad abitazioni ubicate nei comuni ad alta tensione abitativa per i quali l'imposta si calcola ora sul 70 per cento del canone di locazione e dal 2014 per i contratti diversi per i quali la base dell'imposta è ora sul 100 per cento del canone pattuito;
per il triennio 2011-13 la cedolare andrà a finanziare il fondo sperimentale di riequilibrio, ma dal 2014 e fino all'entrata in vigore del Fondo perequativo a regime, il fondo sperimentale di riequilibrio sarà finanziato dall'IMU sui trasferimenti, che assorbirà tutti i tributi devoluti che negli anni precedenti finanziavano il fondo ad eccezione della cedolare secca. Non si comprende quale sia il destino della cedolare dopo il periodo transitorio. Così come è scritta, la norma non prevede la perequazione del gettito della cedolare;
l'alternativa facoltativa rispetto al regime ordinario vigente per la determinazione del reddito fondiario rischia di introdurre elementi di particolare incertezza e complessità nella gestione dell'imposizione immobiliare: sarebbe preferibile l'obbligatorietà della norma, come peraltro suggerito dai soggetti auditi dalla Commissione;
infine, non è chiaro se l'opzione per la cedolare vada esercitata annualmente in fase di dichiarazione oppure nel momento della registrazione del contratto e, in tal caso, se sia revocabile o no. L'irrevocabilità della scelta potrebbe sfavorire il contribuente, l'alternativa determinare ulteriore perdita di gettito.

Relativamente agli articoli 4, 5 e 6 del provvedimento, riguardanti l'imposta municipale propria, da più parti vengono sollevate critiche e perplessità. L'imposta, apparentemente semplificativa del quadro normativo, in realtà presenta degli effetti distorsivi di non poco rilievo. I dati forniti dalla Corte dei Conti prefigurano un sistema che avvantaggia i comuni nei quali sono presenti numerose seconde abitazioni, mentre penalizza quelle realtà dove le abitazioni sono prevalentemente occupate da residenti, con l'effetto che taluni grandi centri urbani saranno inevitabilmente perequati e comuni a vocazione turistica anche di minori dimensioni beneficeranno di un forte surplus di risorse. Il che contraddice palesemente i principi fondamentali della delega in termini di autonomia finanziaria, responsabilità e appropriatezza. A lungo termine, l'effetto dell'imposta indurrà inevitabilmente i comuni, in particolare quelli che più hanno preservato il proprio territorio, a favorire

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uno sviluppo edilizio di natura non residenziale alla ricerca di fonti di entrata per il proprio bilancio. Fenomeni che si sono già verificati in questi anni a fronte delle difficoltà finanziarie dei comuni.
Nel merito:
al comma 1 dell'articolo 4, non è chiaro se la deliberazione del Consiglio comunale necessaria ad istituire l'IMU a decorrere dal 2014 implichi la possibilità di attivare la nuova imposta in momenti differenziati o di non attivarla nel caso di mancata deliberazione del Consiglio comunale. Su tale aspetto occorre un chiarimento;
al comma 2 dell'articolo 4, va chiarito che l'abitazione principale è esente solo se non appartenente alle categorie catastali A1, A8 e A9;
al comma 3 dell'articolo 4, per quanto riguarda la componente possesso, l'esenzione di ogni forma di imposizione (patrimoniale e reddituale) sulla prima casa, oltre a violare il principio della coincidenza tra contribuenti e beneficiari della spesa comunale, rischia di incentivare forme di elusione attraverso la costituzione di nuclei familiari fittizi allo scopo di poter dichiarare come prima casa un'abitazione a disposizione. Andrebbe previsto un meccanismo preventivo dell'abuso del diritto;
al comma 4 dell'articolo 4, il rinvio della determinazione dell'aliquota base dell'IMU-possesso ad un DPCM, che avrebbe dovuto essere emanato entro il 30 novembre scorso, ha suscitato le legittime preoccupazioni delle associazioni dei proprietari di immobili che si sono manifestate nel corso delle audizioni in Commissione bicamerale. Tenendo conto della riduzione del 50 per cento dell'imposta per gli immobili locati e per immobili relativi all'esercizio di attività di impresa, arti e professioni, ovvero posseduti da enti non commerciali, è ragionevole pensare che, per garantire il gettito, l'aliquota base debba essere determinata per una percentuale superiore al 10 per mille, con un forte aggravio rispetto alla situazione attuale, tanto da prefigurare una super-patrimoniale sulle seconde case. È comunque necessario prevedere la trasmissione dell'atto alle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari e l'obbligo di redazione della relazione tecnica sul DPCM che fissa l'aliquota di equilibrio;
all'articolo 5 emerge una preoccupante discriminazione a carico degli inquilini. Coloro che abitano in un immobile di proprietà non pagano né l'IMU sul possesso (ma solo, eventualmente quella sul trasferimento) né l'Irpef sul reddito, mentre coloro che abitano in affitto saranno parzialmente gravati da parte dell'IMUP (seppure ridotta del 50 per cento come stabilito dall'articolo 4, comma 5) e della cedolare secca, imposte che, pur ricadendo formalmente sul proprietario, saranno inevitabilmente traslate, almeno in parte, sul locatario, così violando, nella sostanza, il principio della capacità contributiva;
come già sottolineato in precedenza, il nuovo regime non prevede agevolazioni specifiche, relativamente alle imposte sui redditi, per i contratti a canone concordato ex lege n. 431 del 1998 relativi ad abitazioni situate nei centri ad alta tensione abitativa, a differenza della normativa attuale che prevede una sensibile agevolazione. Di fatto, le proposte del decreto tolgono ogni spazio alla convenienza del canale del canone concordato (come rilevato in modo critico in sede di audizione da tutte le categorie). Forse sarebbe meglio mantenere una agevolazione differenziata e maggiore per chi sceglie l'affitto a canone concordato;
il comma 3 dell'articolo 5, vanifica il potere regolamentare dei comuni stabilendo il numero e la scadenza delle rate dei versamenti, delle modalità di pagamento, dei poteri di accertamento e riscossione, delle esenzioni;
il comma 8 dell'articolo 5, rende necessario un supplemento di riflessione in merito alla tassazione di situazioni attualmente esenti dall'ICI e sulle ricadute

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che tale misura determina, in particolare su: gli immobili posseduti dagli enti pubblici nel proprio territorio; i fabbricati con destinazione ad usi culturali; i fabbricati, già dichiarati inagibili o inabitabili, recuperati per attività assistenziali; gli immobili utilizzati dalle Onlus; gli immobili inagibili o inabitabili;
il comma 9 dell'articolo 5, evidenzia che l'Irpef sui redditi da locazione non assoggettati a cedolare secca seguirà il regime di quest'ultima ma risulterà piuttosto difficile stimare con esattezza il gettito attribuito ai comuni a causa: (a) della progressività dell'Irpef, per cui è necessario fare delle ipotesi in merito alle aliquote rilevanti; (b) della possibilità che un contribuente possieda più immobili in comuni diversi (problema analogo per la cedolare secca). In tal senso occorre chiarire le modalità di attribuzione del predetto gettito;
in relazione all'imposta municipale propria nell'ipotesi di trasferimento, di cui all'articolo 6, occorre chiarire le modalità applicative. In particolare:
a) vanno raccolti chiarimenti, almeno sotto il profilo della relazione fra IMU-trasferimento e singoli adempimenti da cui nasce il presupposto per il pagamento dell'imposta. La proposta viene infatti motivata anche sotto il segno della semplificazione, ma in realtà non sembra che semplificazione ci possa essere, se vengono mantenuti inalterati i presupposti. In caso contrario, e cioè se semplificazione c'è, occorre che venga eliminata o modificata la vigente legislazione che obbliga al pagamento di registro e bollo una serie di atti;
b) del tutto ingiustificata è l'agevolazione per i trasferimenti mortis causa, ai quali si applica lo stesso trattamento applicato alla prima casa, ossia una aliquota agevolata del 2 per cento in luogo di quella ordinaria dell'8 per cento, anche in caso di immobili di lusso e non ad uso abitativo e indipendentemente dal grado di parentela. Di fatto, la componente immobiliare dell'asse ereditario sarà soggetta alla nuova imposta con un'unica aliquota (in luogo delle 3 vigenti) indipendentemente dal beneficiario, ma al contempo viene meno la franchigia. Si tratta di un sensibile peggioramento rispetto al regime vigente, perché si agevolano i grandi patrimoni ma si penalizzano le successioni in linea retta e fra coniugi, che finora hanno goduto di una franchigia elevata per l'imposta di successione e dell'applicazione in somma fissa delle imposte ipotecarie e catastali(2). La riforma correla il trattamento di favore non al grado di parentela ma alla destinazione dell'immobile, con una sensibile riduzione della capacità redistributiva dell'imposta di successione, anche nel caso di consistenti ricchezze immobiliari, e possibili effetti paradossali. Va chiarito il meccanismo, quantomeno va specificato che il nuovo sistema mantiene invariato il regime delle franchigie vigenti;

(2) Attualmente, il coniuge e i parenti in linea retta hanno una franchigia di 1 milione di euro e un'aliquota del 4 per cento sull'eccedenza, i fratelli una franchigia di 10.000 euro e un'aliquota del 6 per cento sull'eccedenza, gli altri soggetti non hanno franchigia e un'aliquota dal 6 per cento all'8 per cento. Nel caso di trasferimento riguardante immobili vi è anche l'imposta ipotecaria e catastale rispettivamente del 2 e dell'1 per cento, da applicarsi in misura fissa (168 euro ciascuna) se il beneficiario possiede i requisiti «prima casa» e l'immobile non è di lusso.

infine, si evidenzia la problematica dell'indeducibilità dell'IMUP dalle imposte sui redditi e dall'Irap, prevista dal comma 1 dell'articolo 8, mentre attualmente le imposte indirette sui trasferimenti sono deducibili dal reddito di impresa, configurandosi come costi per le imprese che costruiscono o commercializzano beni immobili, con significativi aggravi, che inevitabilmente finiranno per essere traslati sugli acquirenti degli immobili.

Relativamente all'articolo 7 del provvedimento, riguardante l'imposta municipale secondaria facoltativa, sono state espressi molti rilievi critici e dubbi sulla sua reale efficacia. In particolare:
l'obbligatorietà dell'imposta secondaria è un'ipotesi che va preferita alla facoltatività.

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In caso contrario, vengono meno gli obiettivi di semplificazione e diminuzione degli oneri amministrativi a carico dei comuni e dei cittadini. In subordine, è auspicabile prevedere che, se istituita, l'imposta sostituisca effettivamente tutti i tributi elencati e non uno o più di essi, con il rischio di tassare due volte lo stesso presupposto (es. una volta con l'IMU e una volta con la Cosap);
non si capisce il senso della consultazione popolare, considerato che si tratta di una materia estremamente tecnica e, soprattutto, che i soggetti passivi della Tosap/Cosap sono prevalentemente società con attività di occupazione del suolo e non cittadini interessati dal prelievo. Ancora una volta, lo schema di decreto delinea un sistema slegato dal rapporto amministrazione/principali beneficiari dei servizi, tra l'altro con possibili profili di incostituzionalità. Non è neanche chiaro se il referendum sia vincolante o meno;
non è chiara neanche l'esplicita esclusione degli immobili ad uso abitativo, che non sono oggetto di nessuna delle imposte accorpate, salvo che essa vada intesa come esclusione, ad esempio, delle insegne pubblicitarie sugli edifici ad uso abitativo (con il possibile moltiplicarsi delle stesse) oppure come esenzione, inspiegabile per i possibili effetti distorsivi, per le attività commerciali o artigianali incluse negli immobili ad uso abitativo.

Infine, il testo manca di una serie di elementi fondamentali, che non consentono una compiuta realizzazione della riforma proposta. In particolare, emerge in tutta evidenza la mancata introduzione di imposte di scopo e di sistemi premiali per favorire unioni e fusioni di comuni, anche attraverso l'incremento dell'autonomia impositiva o maggiori aliquote di compartecipazione ai tributi erariali, pure previste dall'articolo 12 della legge n. 42 del 2009.
A tal fine si auspica quantomeno che sia inserita nel provvedimento, della generalità dei comuni italiani, una previsione analoga a quella già prevista dall'articolo 14, comma 16, del decreto legge n. 78 del 2010, ossia l'introduzione di un contributo di soggiorno, di un contributo straordinario sulle valorizzazioni immobiliari generate da modifiche dello strumento urbanistico e, laddove possibile, di un'addizionale sui diritti di imbarco negli aeroporti.
Alla luce delle osservazioni formulate, si ritiene opportuno avviare una stringente fase di valutazione utile a chiarire il complesso dei problemi evidenziati, sia sotto il profilo tecnico che politico. In particolare, occorre riportare al centro della riflessione, e conseguentemente del testo, il tema di come assicurare un'effettiva autonomia finanziaria dei comuni, fondata sui principi già chiaramente esplicitati nella legge n. 42 del 2009.
A tale proposito, come relatore, ricercando la convergenza con le valutazioni del relatore Presidente La Loggia, auspico che da tutti i Gruppi e dal Governo vengano messe a disposizione della Commissione proposte modificative del testo orientate alla soluzione delle problematiche evidenziate.
È evidente che per fare un lavoro compiuto, come già sottolineato in premessa, occorrono, nel rispetto delle procedure previste, tempi adeguati e il coinvolgimento di tutte le tecnostrutture competenti a disposizione della Commissione.