CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 5 ottobre 2010
377.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale
ALLEGATO
Pag. 251

ALLEGATO 1

DOCUMENTO PRESENTATO DAL GRUPPO DEL PARTITO DEMOCRATICO

I ritardi e le inadempienze del Governo nell'attuazione della legge sul federalismo fiscale

1. Lo stato di attuazione della legge n. 42 del 2009.

A sedici mesi dall'approvazione della legge delega sul federalismo fiscale, la n. 42 del 2009, è possibile fornire un primo giudizio sul suo stato di attuazione, la cui complessità comporta un processo sicuramente complesso e difficile. L'idea che tutti possano guadagnare dal federalismo - il Nord avere più risorse, il Sud non perderne, Roma avere quelle aggiuntive per la Capitale, la Sicilia per la sua autonomia e via promettendo - è chiaramente demagogica, soprattutto dopo la grande crisi economica mondiale. Ad oggi, il rischio è quello di un'attuazione affrettata e superficiale della legge, per singoli «pezzi», motivata unicamente da obiettivi politici di breve periodo.
Questi sono gli oggetti di delega previsti dalla legge n, 42 del 2009, che possono essere contenuti in diversi decreti legislativi:
determinazione dei costi e dei fabbisogni standard sulla base dei livelli essenziali delle prestazioni (articolo 2) per comuni, province, sanità e resto della spesa regionale;
istituzione della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica (articolo 5);
disciplina dei tributi delle regioni (articolo 7);
classificazione finanziaria (articolo 8);
fondo perequativo a favore delle regioni (articolo 9);
finanziamento funzioni delle regioni (articolo 10);
finanziamento funzioni di comuni, province e città metropolitane (articolo 11);
autonomia finanziaria degli enti locali (articolo 12);
fondi perequativi per gli enti locali (articolo 13);
finanziamento delle città metropolitane (articolo 15);
interventi speciali (articolo 16);
coordinamento e disciplina fiscale dei diversi livelli di governo (articolo 17);
patrimonio degli enti territoriali (articolo 19);
disciplina transitoria per le regioni e gli enti locali (articoli 20 e 21);
perequazione infrastrutturale (articolo 22);
istituzione e disciplina delle città metropolitane approvate con referendum (articolo 23);
ordinamento transitorio di Roma capitale (articolo 24);
gestione dei tributi e compartecipazioni (articoli 25 e 26).

Gli unici oggetti di delega approvati finora con decreto legislativo sono uno e parzialmente un altro: quello relativo al patrimonio degli enti territoriali e quello

Pag. 252

che stabilisce l'ordinamento di Roma Capitale, senza alcun riferimento alle funzioni e alle risorse che sono rinviate ad un successivo decreto legislativo. Solo uno e parzialmente un altro oggetto di delega risultano quindi attuati su diciotto contenuti nella legge n. 42 del 2009.
Il Consiglio dei Ministri ha approvato, ma ancora non trasmesso alle Camere in attesa del parere da parte della Conferenza unificata, lo schema di decreto legislativo in materia di federalismo fiscale municipale.
In esso manca qualsiasi riferimento al recupero dei tagli imposti dalla manovra economica triennale, di cui pure era prevista la neutralizzazione, e al fondo perequativo previsto dalla legge n. 42 del 2009. Non vengono chiarite né la copertura né chi sopporterà l'onere della perdita di gettito insito nella cedolare secca. Viene rinviata ad un successivo decreto ministeriale la fissazione a regime dell'aliquota base dell'Imposta municipale propria per il possesso di un immobile, mentre quella sul trasferimento è già prevista nell'attuale schema di decreto legislativo.
Nelle intenzioni del Governo sembra che l'autonomia impositiva possa soddisfare integralmente il finanziamento dei comuni: è un'idea assolutamente irrealistica, alla luce delle grandi differenze di basi fiscali non soltanto fra grandi circoscrizioni del paese ma anche, trattandosi di finanza comunale, fra grandi e piccoli comuni, fra aree urbanizzate e aree rurali, quando invece sarebbe necessaria anche qualche forma di compartecipazione per la finanza comunale, cosi come previsto dalla legge n. 42 del 2009.
Sono osservazioni analoghe a quelle che sta facendo l'ANCI in sede di Conferenza unificata Stato-Regioni e autonomie locali.
Sono in corso di elaborazione altri due schemi di decreti legislativi: uno relativo all'autonomia di entrata degli enti territoriali, regioni e province, e l'altro concernente i costi e i fabbisogni standard nel settore sanitario. Non si ha notizia di altri decreti legislativi in corso di definizione.

2. Le grandi assenze e le proposte del PD.

Se ci si limitasse ai decreti legislativi finora annunciati l'attuazione della legge n, 42 del 2009 diventerebbe una grande occasione perduta.
L'elenco delle grandi assenze, non solo nei provvedimenti attuativi ma persino nella discussione all'interno del Governo, non può che partire dai livelli essenziali di assistenza e dai livelli essenziali delle prestazioni, che devono essere fissati per legge perché su quelli andranno calcolati i costi e fabbisogni standard.
I livelli essenziali di assistenza e i livelli essenziali delle prestazioni sono il concetto cardine per garantire la tendenziale uniformità dei servizi essenziali e delle funzioni fondamentali in tutto il territorio nazionale. Ritardi o incertezze nella definizione dei LEA e dei LEP sono la vera cartina di tornasole per valutare se il Governo vuole davvero questa riforma o gli interessa solo per motivi propagandistici.
L'articolo 20, comma 2 della legge infatti prevede che: «La legge statale disciplina la determinazione dei livelli essenziali di assistenza e dei livelli essenziali delle prestazioni. Fino a loro nuova determinazione in virtù della legge statale si considerano i livelli essenziali di assistenza e i livelli essenziali delle prestazioni già fissati in base alla legislazione statale». È quindi preliminarmente necessario procedere ad una ricognizione dei LEA e dei LEP stabiliti da leggi statali, che non è ancora stata effettuata.
L'elenco delle assenze più importanti prosegue con la mancanza di qualsiasi ipotesi sui meccanismi di perequazione fiscale, sulla perequazione infrastrutturale e sull'autonomia tributaria delle città metropolitane.
Vi è poi il grande interrogativo sulla sorte dei risparmi attesi dal passaggio dalla spesa storica ai costi e fabbisogni

Pag. 253

standard che, tramite il patto di convergenza, andrebbero in grande parte utilizzati per l'adeguamento dei territori svantaggiati e/o dei settori sotto standard. L'idea che esistano in Italia aree sociali e territoriali stabilmente in grado di garantire un moderno e avanzato sistema di servizi pubblici di livello europeo finanziato unicamente dalle basi fiscali locali senza un intervento pubblico fondato sul principio di coesione nazionale, è sbagliato sul piano culturale, non è coerente non soltanto con i dati effettivi a nostra disposizione ma anche con la legge n. 42 del 2009, e mette a rischio l'attuazione del federalismo in Italia.
La Relazione concernente il quadro generale di finanziamento degli enti territoriali, presentata dal Ministro dell'Economia e delle finanze on. Giulio Tremonti il 30 giugno scorso, conferma purtroppo queste previsioni pessimistiche. Non solo, infatti, la ricostruzione storica delle vicende della finanza locale italiana è viziata da inesattezze, ma soprattutto le affermazioni apodittiche e di principio prevalgono ampiamente su quelle ben fondate sul piano analitico, trasformando la Relazione da strumento conoscitivo propedeutico ad un'approfondita e consapevole discussione pubblica a mero strumento a supporto di scelte da parte del Governo in materia non tanto di attuazione della legge n. 42 del 2009, quanto di politica finanziaria congiunturale, in particolare in materia di stretta sulla finanza regionale e locale.
La Relazione manifesta, inoltre, uno stadio dell'analisi ancora molto preliminare e non adempie ai requisiti di legge di definire «ipotesi quantitative» né «possibili ipotesi di distribuzione delle risorse». Lo stesso presidente della Commissione tecnica paritetica per il federalismo fiscale prof. Luca Antonini ha dichiarato che la ricognizione dei trasferimenti allegata alla Relazione non è ancora definitiva e va chiarita in molti punti.
Queste valutazioni sono ampiamente contenute nella proposta di documento presentata dal relatore on. Rolando Nannicini (PD) nella seduta del 29 luglio scorso, che in buona parte coincidono con proposte presenti anche nel documento dell'altro relatore sen. Paolo Franco (Lega Nord).
Il Governo, nei suoi documenti, non ha mai fatto riferimento al Patto di convergenza degli obiettivi di servizio, che deve consentire, attraverso appositi stanziamenti previsti dalle leggi annuali di stabilità, ai territori attualmente meno dotati e/o ai settori attualmente sotto standard di elevare la quantità e la qualità dell'offerta delle prestazioni per poter raggiungere i livelli essenziali. E questa è un'altra fonte di grande preoccupazione, perché si tratta di un altro principio fondamentale della legge.
L'adozione anticipata della manovra triennale per il periodo 2011-2013 con il decreto-legge n. 78 del 2010, convertito in legge nell'agosto scorso, ha comportato l'impossibilità di rispettare il complesso delle procedure in materia di finanza pubblica definite dalla legge 31 dicembre 2009, n. 196 e ha chiamato le regioni e gli enti locali a fornire un rilevantissimo contributo al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica. Il taglio dei trasferimenti è pari, per le regioni, a 4.000 milioni di euro per il 2011 e 4.500 milioni di euro annui a decorrere dal 2012 e, per gli enti locali, a 1.800 milioni di euro per il 2011 e 3.000 milioni di euro annui a decorrere dal 2012.
Le modalità e le dimensioni di questo contributo sono state stabilite senza alcuna preventiva forma di concertazione e di condivisione degli obiettivi con i soggetti interessati, al contrario di quanto prevede in via generale la legge n. 196 del 2009. Essa infatti stabilisce che il Governo entro il 15 luglio di ogni anno, tenendo conto delle determinazioni assunte in sede di definizione del patto di convergenza, invii alla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, per il preventivo parere, le linee guida per la ripartizione degli obiettivi e che, entro il medesimo termine, le linee guida siano trasmesse alle Camere.
Il Documento di Finanza Pubblica 2011-2013 è stato varato il 29 settembre

Pag. 254

scorso senza alcuna preventiva concertazione con Regioni ed enti locali. E non è neppure stata istituita la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, che la legge n. 42 del 2009 individua come sede propria del lavoro inter-istituzionale fra i diversi livelli di governo.
Al di là delle parole, il Governo sembra aver assunto una filosofia neocentralistica, prova ne sono i ripetuti richiami, ad esempio, alla presunta lentezza delle Regioni nell'impegnare e spendere le risorse destinate alle politiche di sviluppo e coesione (solo l'8 per cento di pagamenti al 30 aprile 2010 sulle risorse disponibili per il 2007-2013), quando la stessa critica dovrebbe essere estesa ai programmi gestiti dai Ministeri, che alla stessa data hanno effettuato solo il 10 per cento dei pagamenti previsti (si veda l'audizione del 23 giugno del capo dell'Ispettorato generale della RGS per i rapporti finanziari con l'UE nel corso dell'Indagine conoscitiva sull'efficacia della spesa e delle politiche di sostegno alle aree sottoutilizzate nella commissione bilancio della Camera).
In conclusione, si corre il rischio di un vero e proprio tradimento dello spirito e della lettera della legge 42 sul federalismo fiscale. Una legge che anche il PD, insieme ad altri gruppi di opposizione, ha contribuito a scrivere in Parlamento e che contiene importanti e positive innovazioni. Finora però il Governo non ha saputo affrontare i temi più importanti che derivano dalla sua piena e coerente attuazione, con il rischio che le innovazioni e le garanzie, pur contenute nella legge, restino lettera morta.
Per evitare questo pericolo il Gruppo PD della Commissione parlamentare per il federalismo fiscale d'ora in poi non si limiterà ad emendare gli schemi dei decreti legislativi che il Governo sottoporrà al parere del Parlamento. Esso avanzerà proprie proposte da discutere con gli altri gruppi parlamentari presenti in Commissione, per una piena e coerente attuazione della legge n. 42 del 2009.

Pag. 255

ALLEGATO 2

DOCUMENTO PRESENTATO DAL GRUPPO DEL PARTITO DEMOCRATICO

Valutazioni e proposte sullo «Schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di determinazione dei fabbisogni standard di comuni, città metropolitane e province». (Atto n. 240).

1. Premessa.

I fabbisogni standard sono l'architrave della riforma federalista della legge n. 42 del 2009. Si tratta di incidere profondamente sui meccanismi di formazione della spesa pubblica locale, superando il mero riferimento alla spesa storica. E si tratta, così, di dare più trasparenza all'azione di tutte le amministrazioni pubbliche locali, di conseguire potenziali risparmi, di definire uno scenario, compatibile con gli equilibri di finanza pubblica, al cui interno decidere cosa fare di questi risparmi.
L'importanza di questo tema è totalmente disattesa dallo schema di decreto che il Governo ha inviato al Parlamento per il parere della Commissione bicamerale per l'attuazione del federalismo fiscale, e delle altre Commissioni competenti. Lo schema di decreto è insufficiente e del tutto inadeguato ad avviare l'importante processo di valutazione analitica di questo settore di spesa pubblica (circa 80 miliardi di euro) con consapevolezza e con trasparenza, in ordine sia alle procedure che alle metodologie da utilizzare.
Lo schema di decreto, in particolare, non attua una serie di principi fondamentali e di criteri direttivi contenuti nella legge delega. Mentre i decreti attuativi sono il luogo dove i principi della legge n. 42 devono trovare approfondimento e specificazione operativa, lo schema di decreto sui fabbisogni standard semplicemente li dimentica. Viene inoltre eluso il controllo parlamentare sulla scelta delle metodologie di calcolo. Il processo di calcolo, infatti, è affidato ad alcuni organi tecnici senza chiare indicazioni di tipo metodologico. È totalmente assente la connessione fra fabbisogni standard, livelli essenziali delle prestazioni e obiettivi di servizio. Ed è altrettanto assente la connessione fra fabbisogni standard e ciclo delle decisioni di finanza pubblica. Non è previsto alcun coordinamento con la Carta delle autonomie, e non è chiaro né ben specificato il disegno «a regime» del procedimento di monitoraggio e aggiustamento dinamico dei fabbisogni standard.
Per questi motivi il Gruppo del Partito Democratico nella Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale chiede al Governo di riscrivere completamente lo schema di decreto affinché esso possa contenere tutte le norme indispensabili per la piena e coerente attuazione della legge delega.
Il PD non vuole genericamente «prendere tempo». Il nostro Gruppo ha appoggiato fortemente la proposta di svolgere le audizioni su questo e sui successivi decreti attuativi in forma congiunta fra Commissione bicamerale e Commissioni bilancio di Camera e Senato, con l'obiettivo di rendere più celere ed efficiente il lavoro del Parlamento.
Siamo mossi dalla forte preoccupazione che la legge sul federalismo fiscale, alla quale anche noi abbiamo contribuito e nei cui principi essenziali ci riconosciamo pienamente, sia attuata malamente, alterando i suoi fondamenti. E che, soprattutto, si perda l'occasione di usarne l'elevato potenziale innovativo e riformista.

Pag. 256

Avanziamo di seguito le proposte che ci sembrano indispensabili per riempire di contenuti questo decreto che, ad oggi, è totalmente vuoto.

2. Lo Schema di decreto legislativo del Governo.

Lo schema di decreto approvato dal Governo, con l'intesa della Conferenza unificata, si limita ad affidare a SOSE, la società pubblica che elabora gli studi di settore, la determinazione delle metodologie su cui calcolare i fabbisogni standard, in collaborazione con la Fondazione IFEL - Istituto per la finanza e l'economia locale dell'ANCI, e previa approvazione della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale (COPAFF). Le note metodologiche relative alle procedure di calcolo e le relative stime dei fabbisogni per ciascun comune e provincia verrebbero poi adottate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM), sentita la Conferenza Stato - Città e autonomie locali, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri.
Il lavoro di analisi e di stima si limiterebbe alle sole funzioni fondamentali provvisorie indicate nella legge n. 42, senza tener conto del disegno di legge relativo alla Carta delle autonomie locali già approvato dalla Camera e ora all'esame del Senato. Il processo di graduale superamento del criterio della spesa storica sarebbe collocato nel triennio 2011-2013. La «revisione a regime» sarebbe fissata entro il triennio successivo.
La critica fondamentale che avanziamo è che lo schema di decreto legislativo approvato dal Governo non attua alcuni punti cardine della legge delega.
L'articolo 2, comma 2, lettera f) della legge n, 42 del 2009 fissa il seguente principio direttivo: «determinazione del costo e del fabbisogno standard quale costo e fabbisogno che, valorizzando l'efficienza e l'efficacia, costituisce l'indicatore rispetto al quale comparare e valutare l'azione pubblica; definizione degli obiettivi di servizio cui devono tendere le amministrazioni regionali e locali nell'esercizio delle funzioni riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni o alle funzioni fondamentali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettere m) e p) della Costituzione».
Nello schema di decreto legislativo in esame, così come negli altri atti predisposti dal Governo in materia compresa la Relazione del Ministro dell'Economia e delle finanze Giulio Tremonti presentata il 30 giugno scorso, è evidente l'assenza totale di riferimenti al percorso che dai livelli essenziali delle prestazioni porta agli obiettivi di servizio, e quindi ai costi e ai fabbisogni standard. L'operazione di calcolo dei fabbisogni standard viene ricondotta ad una mera analisi di tipo statistico sulle spese storiche esistenti, con riferimenti metodologici vaghissimi e poco stringenti.
Inoltre, l'articolo 5, comma 1, lettera g), della legge n. 42 del 2009 assegna, in materia di costi e fabbisogni standard, un preciso ruolo alla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica: «La Conferenza si avvale della Commissione di cui all'articolo 4 (COPAFF) quale segreteria tecnica per lo svolgimento delle attività istruttorie e di supporto necessarie; a tali fini, è istituita una banca dati comprendente indicatori di costo, di copertura e di qualità dei servizi, utilizzati per definire i costi e i fabbisogni standard e gli obiettivi di servizio nonché per valutare il grado di raggiungimento degli obiettivi di servizio». La Conferenza è istituita con decreto legislativo attuativo della legge n. 42 del 2009 nell'ambito della Conferenza unificata Stato-Regioni e autonomie locali quale organismo stabile di coordinamento della finanza pubblica, e di essa fanno parte i rappresentanti dei diversi livelli istituzionali di governo.
Il medesimo articolo 5 della legge delega continua con la seguente lettera h) «la Conferenza verifica periodicamente la realizzazione del percorso di convergenza ai costi e ai fabbisogni standard nonché agli obiettivi di servizio e promuove la conciliazione degli interessi tra i diversi livelli di governo interessati (...)».

Pag. 257

È evidente che la Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale (COPAFF) ha un ruolo di segreteria tecnica, mentre il luogo deputato alla verifica dinamica dei processi di adeguamento dettati dalla legge, così come dei più complessi aspetti di ordine politico-istituzionale relativi al funzionamento della finanza multilivello italiana riformata dalla legge n. 42 del 2009, è la Conferenza permanente. A tutt'oggi la Conferenza permanente non è stata istituita, e questa è già di per sé una seria mancanza attuativa. In più, questo organo centrale nei principi della delega, e le procedure connesse al suo funzionamento, sono totalmente ignorate nello schema di decreto legislativo al nostro esame.
La Commissione parlamentare sull'attuazione del federalismo fiscale viene completamente esautorata dalla fase concreta di fissazione dei metodi di determinazione dei fabbisogni standard e dalla loro applicazione operativa per il calcolo effettivo dei medesimi fabbisogni. Infatti, la nota metodologica relativa alle procedure di calcolo e la quantificazione dei fabbisogni standard per ciascuna funzione e singolo ente sono adottati con decreto del Presidente del Consiglio senza passare per il Parlamento. Questa procedura elude i principi di garanzia e di trasparenza che la legge n. 42 del 2009 ha affidato al «filtro» della Commissione bicamerale. Ad essa oggi viene chiesto di dare il via libera a una vaga procedura di quantificazione, di cui non sarà chiamata a valutare gli esiti, neppure sul piano meramente metodologico se non anche su quello operativo.

3. La proposta del Gruppo del Partito Democratico.

La nostra proposta è di stabilire con chiarezza la separazione fra due successive fasi di lavoro. La prima fase prevede una profonda riscrittura dello schema di decreto legislativo attualmente all'esame della Commissione parlamentare, con l'indicazione della metodologia di calcolo da adottare per la definizione dei fabbisogni standard per la raccolta dei dati e le prime analisi aggregate. Questa fase può concludersi con una relazione da presentare in Parlamento, La seconda fase prevede un nuovo decreto legislativo contenente l'indicazione dei fabbisogni standard, nelle diverse accezioni di cui si dirà più avanti, che sia sottoposto al parere della Commissione parlamentare e della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, e non della sola Commissione tecnica paritetica.
Nell'attuale schema di decreto legislativo il concetto di fabbisogno standard su ciascuna delle funzioni fondamentali degli enti locali resta indefinito. Il risultato finale della procedura sarà una specifica quota da attribuire a ciascun ente su un fondo predeterminato oppure sarà un livello assoluto di risorse finanziarie? Si seguirà un approccio top-down, basato sul criterio di riparto, oppure un approccio bottom-up, e cioè analitico per prestazioni? Quali metodologie verranno testate fra quelle presenti nell'esperienza italiana e internazionale? L'allegato tecnico n. 4 alla Relazione presentata il 30 giugno scorso fa cenno a due delle metodologie esistenti, ma non fornisce alcuna indicazione per il lavoro della SOSE e dell'IFEL.
Questi non sono aspetti meramente tecnici da lasciare alla competenza della SOSE e dell'IFEL, sono elementi costitutivi del sistema del federalismo fiscale che andrebbero definiti con chiarezza sul piano delle scelte di fondo, e poi costantemente monitorati e valutati. La questione più importante riguarda la scelta fra metodologie di tipo aggregato, finalizzate a individuare indicatori di spesa media pro-capite adeguatamente ponderati, e metodologie di costruzione di indicatori di costo per aree merceologiche di servizi sufficientemente omogenei.
La questione andrebbe discussa a fondo, e non va certo dimenticata come fa lo schema di decreto legislativo. E andrebbero valutate opzioni innovative. Ad esempio, si dovrebbe uscire dall'alternativa secca fra indicatori «macro-aggregati» e indicatori «micro-aziendalistici» per definire nuove classi di indicatori «meso». In

Pag. 258

fondo è questa la strada che suggerisce la parallela, e più avanzata, vicenda della valutazione dei costi standard nel settore sanitario. Oppure, per fare un altro esempio, si potrebbe riflettere sull'utilità di mettere in campo entrambe le procedure, quella «macro» e quella «meso», dedicando la prima al compito di definire quantità e riparti almeno in fase transitoria, e la seconda a fornire agli amministratori locali benchmark ottimali di riferimento da utilizzare come una sorta di «cruscotto di gestione» nei processi di raggiungimento dell'efficienza e della convergenza.
È importante ricordare che la eterogeneità dei servizi offerti da comuni e province è molto più elevata di quella dei servizi regionali, e di conseguenza molto più grande è la variabilità della spesa storica da ricondurre a fattori standard. Sarebbe irrealistico pretendere una valutazione analitica, o anche «meso», di tutti i servizi fomiti dagli enti territoriali. Tuttavia, è chiaro che sarebbe un vero passo avanti sfruttare la «macchina» dell'attuazione della legge n. 42 del 2009 per fornire agli amministratori locali indicatori di costo e valutazioni comparative per le più importanti funzioni fondamentali, e cioè non solo per quelle per le quali esistono i LEP/LEA, ma anche per le altre più rilevanti ai fini del costo complessivo e dell'efficienza ed efficacia dell'apparato pubblico locale. Gli esempi possono essere l'illuminazione pubblica, la manutenzione stradale, la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti, il servizio idrico integrato, i servizi per la non autosufficienza, i servizi scolastici e materno-infantili, ecc.. A ben vedere, è proprio questo l'obiettivo a cui mira il legislatore nell'ambito di quanto previsto nel sopra citato articolo 2, comma 2, lettera g) della legge n. 42 del 2009.
Sotto questo aspetto, mentre il ruolo di SOSE può essere giustificato dalle competenze maturate nell'ambito dell'analisi statistica avanzata di micro-dati finalizzata alla costruzione di parametri operativi dell'azione pubblica, e non alla mera attività di ricerca, occorrerebbe chiamare in causa anche l'ISTAT, che possiede le più avanzate banche dati territoriali non solo sui conti economici, ma anche sugli obiettivi di servizio. Di queste banche dati non solo bisognerà tenere conto, ma esse andranno mantenute e pienamente inserite nel processo di definizione dei fabbisogni e di monitoraggio periodico del raggiungimento degli obiettivi di servizio.
Lo schema di decreto legislativo si limita a riproporre la tradizionale clausola di salvaguardia finanziaria, e cioè che «dal presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato». Emerge qui un problema fondamentale: il decreto legislativo in esame non è un normale atto di «spesa», bensì un atto normativo che ha un compito strutturale, e cioè quello di introdurre a livello ordinamentale, e nel rapporto inter-istituzionale «multilivello», nuovi metodi e nuove procedure per il calcolo dei costi dei servizi pubblici essenziali e fondamentali erogati da comuni e province.
A nostro parere la compatibilità finanziaria aggregata del processo di attuazione della legge n. 42 del 2009 non va ricercata apponendo inutili vincoli decreto per decreto, poiché essa è garantita dalle norme di coordinamento generale dettate dalla legge n. 196 del 2009 in materia di contabilità e finanza pubblica. Sono i meccanismi dinamici di coordinamento previsti in quella sede (il DFP, i decreti collegati annuali sul patto di convergenza, la Legge di stabilità contenente le previsioni «multilivello» e il patto di stabilità) che garantiscono, anno per anno, le compatibilità. Trovando, se necessario, le adeguate coperture, ovvero, se è il caso, accertando gli eventuali risparmi.
In sede di attuazione della legge delega sul federalismo fiscale ci si dovrebbe soffermare quindi sulle modalità di interconnessione fra decisioni di finanza pubblica da un lato e, dall'altro lato, meccanismi di valutazione e di adeguamento nel circuito livelli essenziali delle prestazioni-obiettivi di servizio-costi e fabbisogni standard. In questo processo, è bene ricordare che la relazione fra calcolo/revisione dei fabbisogni standard e patto di convergenza degli obiettivi di servizio dovrebbe consentire di

Pag. 259

accrescere quantità e qualità dell'offerta delle prestazioni nei territori attualmente meno dotati e/o nei settori attualmente sotto standard per poter raggiungere i livelli essenziali. La questione non viene affrontata nel decreto, ma neppure nella Relazione presentata il 30 giugno scorso, in cui i concetti «Livelli essenziali delle prestazioni» e «Obiettivi di servizio» non sono mai citati.
Si rischia qui un vero e proprio tradimento dello spirito delle leggi n. 42 e n. 196 del 2009, entrambe approvate con un intenso e proficuo lavoro parlamentare in vista di obiettivi condivisi di riforme a medio termine.
Non si può poi non sottolineare l'irrazionalità di quanto previsto all'articolo 2 dell'attuale schema di decreto legislativo, in cui si stabilisce che tutta questa complicata costruzione dei fabbisogni standard viene applicata soltanto alle funzioni fondamentali identificate in via provvisoria nella legge n. 42 del 2009, senza tenere conto del parallelo processo di loro definitiva determinazione nella Carta della autonomie locali. Peraltro, nel testo della Carta delle autonomie locali già approvato dalla Camera, è stata inserita una clausola parallela, e altrettanto irragionevole: le funzioni fondamentali definitive entreranno in vigore solo alla fine della fase transitoria prevista dalla legge n. 42 del 2009, e cioè non prima del 2016.
Anche qui sembra prevalere una mera logica di garanzia sui saldi finanziari. Una logica che non sta in piedi: non è vero infatti che i saldi finanziari attuali tengano conto, a legislazione vigente, dell'attuazione della legge n. 42 del 2009 corredata delle sole funzioni provvisorie, e che quindi rischierebbero di «saltare» introducendo nel processo la lista definitiva delle funzioni. Non è vero perché, semplicemente, anche sulle sole funzioni provvisorie non sono ancora stati calcolati i fabbisogni standard e non è stato messo a punto il sistema. E quindi i saldi a legislazione vigente non ne possono tenere conto.
Non c'è quindi alcun rischio finanziario se il lavoro analitico e metodologico su tutte le funzioni fondamentali viene messo in cantiere fin da oggi. Anzi, potrebbe essere vero il contrario: si mette in piedi una complessa macchina per la valutazione di alcuni fabbisogni standard (con connesse procedure di redazione di questionari, analisi statistica, concertazione, ecc.) e questa macchina dovrà essere fra qualche anno ripristinata per valutarne altri. Semplici economie di scala suggeriscono che sia meno costoso mettere in funzione questa macchina su tutte le funzioni fondamentali, e non solo su quelle provvisorie.
Infine, va chiarito meglio come si opererà dopo la fase iniziale. Nello scenario di «regime» vanno definite la periodicità delle rideterminazioni, le modalità del monitoraggio, le procedure di approvazione delle revisioni. È chiaro infatti che SOSE non può essere lasciata da sola, insieme a IFEL, senza precisi indirizzi per la sua attività, in primo luogo da parte della Commissione permanente per il coordinamento della finanza pubblica.