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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 461 di lunedì 11 aprile 2011

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI

La seduta comincia alle 14.

GREGORIO FONTANA, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 4 aprile 2011.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Angelino Alfano, Barbi, Berlusconi, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brunetta, Carfagna, Casero, Cicchitto, Colucci, Cossiga, Crimi, Crosetto, D'Alema, Dal Lago, Della Vedova, Gianni Farina, Fitto, Franceschini, Galati, Gelmini, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giro, La Russa, Lupi, Mantovano, Maroni, Martini, Mecacci, Meloni, Miccichè, Migliavacca, Migliori, Leoluca Orlando, Prestigiacomo, Ravetto, Reguzzoni, Rigoni, Roccella, Romani, Rotondi, Saglia, Scalera, Stefani, Stucchi, Tremonti, Vito, Volontè e Zacchera, sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquantaquattro, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione del disegno di legge: S. 2569 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 22 febbraio 2011, n. 5, recante disposizioni per la festa nazionale del 17 marzo 2011 (Approvato dal Senato) (A.C. 4215) (ore 14,05).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 22 febbraio 2011, n. 5, recante disposizioni per la festa nazionale del 17 marzo 2011.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 4215)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare Partito Democratico ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la I Commissione (Affari Costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.
La relatrice, onorevole Annagrazia Calabria, ha facoltà di svolgere la relazione.

ANNAGRAZIA CALABRIA, Relatore. Signor Presidente, il disegno di legge del quale l'Assemblea inizia oggi la discussione, dispone la conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge del 22 febbraio 2011, n. 5, adottato dal Governo per sancire gli effetti civili della festività del 17 marzo 2011, ricorrenza del 150o anniversario della proclamazione dell'Unità d'Italia.
Ricordo che la giornata del 17 marzo 2011 è stata dichiarata festa nazionale dall'articolo 7-bis del decreto-legge 30 Pag. 2aprile 2010, n. 64, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 giugno 2010, n. 100.
L'articolo 7-bis citato non ha, tuttavia, disciplinato gli effetti giuridici derivanti dalla dichiarazione di festività nazionale. Il problema era stato segnalato, in sede di esame alla Camera del disegno di legge di conversione del citato decreto-legge n. 64 del 2010, sia dal Comitato per la legislazione, nel parere reso il 22 giugno 2010, sia dalla Commissione affari costituzionali. Quest'ultima, nel parere favorevole espresso il 22 giugno 2010, aveva osservato come fosse opportuno chiarire se la giornata del 17 marzo 2011 dovesse intendersi quale festa nazionale, ai sensi della legge 27 marzo 1949, n. 260, che individua espressamente le giornate festive nell'arco dell'anno e gli effetti giuridici che ne conseguono.
L'articolo 1 del decreto-legge in esame, al comma 1, chiarisce che il giorno 17 marzo 2011 è considerato festivo ai sensi degli articoli 2 e 4 della legge n. 260 del 1949, per cui si riconosce l'osservanza del completo orario festivo e si dispone l'imbandieramento degli edifici pubblici.
Va ricordato che i giorni festivi sono determinati in modo tassativo dalla legge. In modo particolare, il carattere di festività viene determinato in base alla legge 27 marzo 1949, n. 260, e successive modificazioni, il cui artico 2 riporta l'elenco dei giorni considerati festivi a livello nazionale.
La festività comporta l'osservanza del completo orario festivo e il divieto di compiere determinati atti giuridici.
Va precisato che le giornate festive sono determinate, oltre che dalla legge, dai contratti collettivi. Questi ultimi, in particolare, disciplinano essenzialmente i giorni festivi ulteriori rispetto a quelli stabiliti dalla legge, quali la ricorrenza del Santo Patrono e il giorno di riposo compensativo per i lavoratori impegnati di domenica e, in taluni, casi di sabato.
Ulteriori aspetti regolamentati dalla contrattazione collettiva riguardano le cosiddette ex festività di cui alla legge 5 marzo 1977, n. 54, le ore che devono essere retribuite per le festività fruite dal lavoratore compensato a ore, nonché la determinazione delle maggiorazioni per il lavoro festivo.
Per quanto attiene alle cosiddette festività soppresse, all'articolo 1, la legge 5 marzo 1977, n. 54, ha disposto la cessazione delle festività, agli effetti civili, dei giorni dell'Epifania, San Giuseppe, Ascensione, Corpus Domini, SS. Apostoli Pietro e Paolo. Alcune di queste festività, quali l'Epifania e, per il solo comune di Roma, la giornata dei SS. Pietro e Paolo, sono state in seguito ripristinate.
Successivamente la legge 23 dicembre 1977, n. 937 ha introdotto, in favore dei dipendenti pubblici, in seguito alla soppressione delle richiamate festività civili e religiose, sei giornate complessive di riposo da fruire nel corso dell'anno, di cui due giornate da aggiungere obbligatoriamente al congedo ordinario e quattro giornate, a richiesta degli interessati, da poter fruire a discrezione del lavoratore, compatibilmente con le esigenze di servizio.
Mentre le prime due giornate seguono la disciplina del congedo ordinario, per le quattro giornate non fruite nell'anno solare, per fatto derivante da motivate esigenze inerenti l'organizzazione dei servizi, è previsto un rimborso forfetario.
La legge 20 novembre 2000, n. 336, pur ripristinando a decorrere dal 2001 la festività del 2 giugno, non ha ridotto il numero delle festività soppresse introdotte dalla citata legge n. 937 del 1977, che pertanto continuano ad essere conteggiate sulla base di sei giorni l'anno.
Per quanto attiene alla disciplina contrattuale delle cosiddette festività soppresse, in generale, l'abolizione delle quattro festività è stata generalmente compensata dalla contrattazione collettiva attraverso permessi individuali pari in totale a 32 ore.
Normalmente la fruizione delle richiamate ore di permesso viene subordinata dai contratti collettivi alla loro maturazione, cioè ogni mese si matura un dodicesimo delle 32 ore. I permessi per le festività soppresse devono essere goduti entro l'anno, a parte alcune eccezioni presenti in alcuni contratti che prevedono Pag. 3la possibilità di usufruire delle ex festività entro un determinato limite temporale dell'anno successivo, altrimenti devono essere retribuiti.
La materia delle ex festività nella sua regolamentazione di settore è, quindi, demandata alla contrattazione collettiva.
Ciò premesso, il comma 2 dell'articolo 1 del testo del Governo stabilisce che, al fine di evitare nuovi e maggiori oneri per la finanza pubblica e le imprese private, per il solo 2011 gli effetti economici e gli istituti giuridici e contrattuali previsti per la festività soppressa del 4 novembre non si applicano a tale ricorrenza ma in sostituzione alla festa nazionale per il 150o anniversario dell'Unità d'Italia proclamata per il 17 marzo 2011.
Rispetto a tale testo la nuova formulazione introdotta dal Senato prevede la possibilità di non applicazione degli effetti economici e degli istituti giuridici e contrattuali derivanti dal riconoscimento quale festa nazionale del 17 marzo 2011 non solamente alla festività soppressa del 4 novembre ma anche, in alternativa, ad una delle altre festività tuttora soppresse ai sensi della legge 5 marzo 1977, n. 54.
Il testo in esame, come risulta dalle modifiche apportate dal Senato, prevede inoltre espressamente, con riguardo al lavoro pubblico, la riduzione da quattro a tre delle giornate di riposo riconosciute dall'articolo 1, comma 1, lettera b) della legge n. 937 del 1977 e dai contratti e accordi collettivi in base a tale disposizione.
Il comma 3 dell'articolo 1 prevede che dall'attuazione del decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
L'articolo 2 disciplina l'entrata in vigore del decreto-legge, che avviene il giorno successivo a quello della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
Nel corso dell'esame in sede referente non sono state apportate modifiche al testo del provvedimento, che è pertanto quello trasmesso dal Senato.
I pareri del Comitato per la legislazione e delle Commissioni permanenti competenti - vale a dire le Commissioni IV (Difesa), V (Bilancio), VII (Cultura, scienza e istruzione) e XI (Lavoro pubblico e privato) - sono favorevoli o di nulla osta.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

BARTOLOMEO GIACHINO, Sottosegretario di Stato per le infrastrutture e i trasporti. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bressa. Ne ha facoltà.

GIANCLAUDIO BRESSA. Signor Presidente, vedo che in rappresentanza del Governo è presente il sottosegretario Giachino, e penso che in sede di replica non faccia riferimento al 17 marzo come a un cantiere da aprire in futuro, visto quali sono le sue competenze ordinarie. Magari avrebbe potuto avere un significato la presenza in Aula di qualcuno della Presidenza del Consiglio dei ministri.
Al di là di questa battuta, voglio dire che concordo pienamente con quanto ha detto l'onorevole Calabria, che ringrazio per la puntualità e la correttezza con cui ha svolto la sua relazione.
L'intervento che io desidero fare, però, non è strettamente sul merito delle cose dette dall'onorevole Calabria, che condividiamo pienamente e che pertanto voteremo, ma è sul significato che vogliamo dare all'operazione del 17 marzo.
In quest'Aula proprio il 17 marzo scorso, qualche settimana fa, il Presidente Napolitano ha ricordato quello che il 17 marzo del 1861 l'allora Presidente del Consiglio Cavour scrisse a Emanuele Taparelli d'Azeglio che era l'ambasciatore a Londra. Scriveva Cavour: «Il Parlamento nazionale ha appena votato e il Re ha sanzionato la legge in virtù della quale Sua Maestà Vittorio Emanuele II assume per sé e per i suoi successori il titolo di Re d'Italia. La legalità costituzionale ha così consacrato l'opera di giustizia e di riparazione che ha restituito l'Italia a se stessa». La legalità costituzionale - lo ripeto - che restituisce l'Italia a se stessa. Pag. 4
Questo pensiero di Cavour è importante e credo che valga la pena di attualizzarlo.
La nazione non è un dato di natura, non emerge dalle più lontane profondità dei secoli, né accompagna da sempre la storia d'Italia. È necessario un discorso straordinariamente seducente per dare corpo alla nazione. Per questo, le narrative nazionali devono saper comunicare, devono saper emozionare, devono saper trasformare l'originario assunto discorsivo - l'esistenza di una nazione - da remota astrazione in qualche cosa che possa avere lo spessore di un'effettiva realtà.
Il discorso nazionale si impone in forza di un suo eccezionale potere comunicativo. Ecco perché è importante riprendere e rendere attuali le parole di Cavour: la legalità costituzionale che restituisce l'Italia a se stessa.
Potremmo quasi definirlo il filo che tiene insieme la nostra storia nazionale: la legalità costituzionale come la condizione per esistere. Così fu nel 1861, così deve essere oggi.
Quando siamo chiamati ad approvare una legge che fa del 17 marzo una festa nazionale, non siamo chiamati ad un atto banale, non siamo chiamati solo a regolare gli aspetti giuridici con riferimento alle procedure amministrative o alle previsioni di «ferie» per i contratti di lavoro, ma siamo chiamati ad una responsabilità, quella di celebrare l'Italia quale si è formata in questi 150 anni di storia. Siamo chiamati alla responsabilità di comprendere le sue radici profonde, le ragioni e le passioni umane e civili che hanno costruito la democrazia italiana.
La storia italiana ha visto, nella Costituzione del 1948, non solo una carta di principi fondamentali e di regole poste alla radice del nostro ordinamento, ma anche e soprattutto un testo con cui leggere il processo che ha condotto l'Italia alla democrazia politica.
Proprio per questo è necessario restituire il primato dell'interpretazione pedagogica della Costituzione; fare, invece, come accade, purtroppo, anche in questi giorni, della Costituzione una pura e semplice arma di lotta politica è non solo frutto di una cultura istituzionale sgangherata, di un artificio ignobile e vile, ma è estremamente pericoloso.
La memoria culturale, per sopravvivere, deve essere continuamente alimentata da un discorso pubblico appropriato e civile. Serve a nulla il riconoscimento di una memoria nazionale se non si è capaci di pensare alla nostra Carta costituzionale come al luogo privilegiato della memoria della democrazia italiana. Peggio se ci si rende protagonisti di un continuo rabbioso attacco al valore di limite che la nostra Costituzione così sapientemente ha saputo costruire e a quella pedagogia democratico-costituzionale che fa della cultura del limite il punto più alto del nostro essere cittadini protagonisti in una democrazia matura e consapevole di sé.
Giorgio Napolitano, come ricordavo all'inizio, in quest'Aula, il 17 marzo ultimo scorso, ci ha ricordato che il senso della missione dell'Unità nazionale ci è necessario per garantire all'Italia un futuro migliore e più giusto di fronte alle molteplici incognite che ci assillano, ma si realizzerà solo se tornerà ad operare un forte cemento nazionale unitario, non eroso e dissolto da cieche partigianerie, da perdite diffuse del senso del limite e della responsabilità. «Non so quando e come ciò accadrà; confido che accada», così Napolitano.
È esattamente questo lo spirito in cui ci riconosciamo ed è con questo spirito che noi voteremo a favore del presente provvedimento che eleva a festa nazionale il 17 marzo, giorno in cui è nata costituzionalmente l'Italia. Perché sappiamo che il riscatto nazionale, per restituire l'Italia a se stessa, è tanto necessario quanto ineluttabile perché l'Italia merita di celebrare 150 anni di storia con il ritorno ai valori della sua Costituzione, come dato di vita vissuta, come modello per tutti i cittadini, cui riferirsi ogni giorno, con responsabilità, dignità, senso di appartenenza civile.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Monai. Ne ha facoltà.

Pag. 5

CARLO MONAI. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, l'Italia dei Valori, ovviamente, darà il suo contributo positivo a che questa conversione in legge avvenga in tempi stretti e, possibilmente, senza ulteriori navette.
Certo che qualche perplessità sulla modalità con cui questo decreto-legge è stato emanato e sulle vicende politiche che lo hanno accompagnato non possiamo non evidenziarla.
Ritenevamo che l'esperienza costituzionale impressa in questa nostra Repubblica italiana soprattutto dagli ultimi Presidenti - penso al Presidente Ciampi e al Presidente Napolitano - fosse una garanzia sufficiente per dare dignità, autorevolezza e solennità a questa ricorrenza dei 150 anni dell'Unità d'Italia, ma così evidentemente non è stato per una sorta di mal interpretata visibilità politica che persino ad alcuni rappresentanti del Governo ha portato a distinguo, a riserve esplicite e critiche sulla necessità di questa celebrazione, disorientando, a mio giudizio, anche il popolo italiano che almeno su questi eventi, su questi valori, chiede una sorta di condivisione bipartisan, una sorta di substrato culturale comune a tutte quelle forze politiche che nella competizione elettorale approdano a questo alto consesso rappresentativo degli interessi del Paese.
Ma soprattutto sulla cupola di quest'Aula deve esserci la Costituzione italiana, i suoi valori, le sue tradizioni politiche. Voglio ricordare come il 4 novembre sia una festa particolare perché è l'unica che ha attraversato tutte le vicende dello Stato unitario e cioè l'epoca liberale, l'epoca fascista e l'epoca repubblicana. Quindi, il fatto che si festeggi l'Unità d'Italia il 4 novembre è una sorta di tradizione forse la più radicata che noi oggi, i nostri padri ieri, i nostri nonni e i nostri antenati in tempi ancora più remoti erano soliti vivificare annualmente in questo appuntamento così importante.
Ricordiamo che il 4 novembre è la giornata della vittoria nella Prima guerra mondiale con cui si chiude quel drammatico evento e proprio con il Presidente Ciampi questa data è stata rafforzata nella sua celebrazione con le onorificenze dell'Altare della patria e soprattutto, visto che io provengo dal Friuli Venezia Giulia, in quel momento di solennità che viene celebrato all'Altare di Redipuglia dove - lo ricordo - sono sepolti 100 mila dei nostri soldati spesse volte neppure identificati che con il loro sangue hanno consentito all'Italia di consolidarsi e di rafforzarsi.
Quindi, male hanno fatto i rappresentanti del Governo che con questi distinguo e con queste critiche hanno voluto evidenziare una dissociazione, una lacerazione che è tutta politica e così verticistica piuttosto che patrimonio politico del Paese.
Almeno questa è la nostra convinzione. E la dimostrazione che, invece, tutta la comunità nazionale si è stretta attorno al suo Presidente Napolitano l'abbiamo avuta proprio guardando quanto è accaduto il 17 marzo nei resoconti giornalistici, nelle piccole comunità dove anche i sindaci si sono fatti partecipi, insieme alle altre componenti associative o istituzionali locali, per dare comunque testimonianza di solennità a questa ricorrenza.
Quindi anche qui, a nostro giudizio, il Governo italiano ha dato brutta prova di sé sia nel momento in cui lo scorso anno, con il decreto-legge istitutivo di questa giornata di festa, ha scientemente omesso, forse alla luce dei fatti che sono seguiti, di fare riferimento alla legge n. 260 del 1949, che è quella che ufficializza l'elenco delle festività nazionali, sia poi - meglio tardi che mai dirà qualcuno - provvedendo con questo nuovo decreto-legge a decretare in maniera meno equivoca e più lineare che questa festa nazionale non è semplicemente una solennità durante la quale tutti continuano a lavorare, come se nulla fosse, le scuole continuano a raccogliere e ad ospitare gli studenti e le fabbriche continuano a produrre.
Bensì è un momento in cui l'Italia e gli italiani devono fermarsi a meditare, a riflettere, ad incontrarsi, a partecipare a quelle solennità che sono state giustamente articolate sia nella capitale sia in tutte le più importanti città sia, come dicevo, anche nelle piccole comunità di periferia. Pag. 6
È un momento quindi solenne, che il decreto-legge in esame ha ufficializzato e sul quale però rimangono dei punti interrogativi. Anche alla luce di quelli che sono stati gli approfondimenti e le riflessioni dei sindacati e delle RSU, il decreto-legge in esame, nella formulazione normativa che equipara il 17 marzo alla festa del 4 novembre - e proprio sul fatto che il 4 novembre sia sì festa nazionale, ma alla luce della legge n. 54 del 1977, che l'ha in qualche modo riconsiderata come festa nazionale da anticipare alla domenica precedente a quella del 4 novembre - metteva in qualche modo in discussione quali sarebbero stati i trattamenti economici e contrattuali di cui beneficiano o di cui potessero beneficiare i lavoratori che il 17 marzo avrebbero appunto goduto di questa giornata nazionale di festa.
Allora ecco che il Senato ha ritenuto di introdurre questo ulteriore elemento normativo che sostanzialmente consente di trasferire gli effetti giuridici, economici e contrattuali di questa festa ad una delle festività soppresse alla luce della legge n. 54 del 1977 (quindi San Giuseppe, il Corpus Domini e così via). Qui a mio giudizio i problemi non si sono affatto risolti, perché se è vero che per alcune di queste festività la data del 17 marzo e la stessa conversione in legge del decreto-legge in esame fa sì che giocoforza non possano essere «splittati» gli effetti di questa festa a quelli già consumati - alcune di queste feste si sono già consumate ad oggi ed altre si stanno per consumare prima che il provvedimento definitivo venga pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale - resta il dubbio applicativo di che cosa faranno poi i datori di lavoro, siano essi pubblici o privati, nell'applicazione di questa normativa, che ha, di fatto, manifestato, a mio giudizio, una sorta di faciloneria, di pressappochismo, di incapacità di normare, di legiferare in termini chiari, certi e inequivoci anche quella banale disposizione che non ha fatto altro che dire che il 17 marzo era giusto e doveroso festeggiare l'Unità nazionale.
Pertanto, a nostro giudizio, resta questa critica sostanziale nel modus procedendi che ha accompagnato l'iter del provvedimento in esame ed il compiacimento per il fatto che il Presidente Napolitano abbia saputo traghettare fuori da queste paludi, da queste incertezze e da questi tentennamenti il corpo politico nazionale: penso soprattutto alla comunità reale del Paese, ai cittadini, che hanno unito i loro cuori e le loro sensibilità insieme al Presidente Napolitano.
Un piccolo esempio penso possa essere eclatante: le file interminabili di persone che hanno affollato i palazzi del Governo, del Quirinale e delle Camere nel momento in cui sono stati aperti al pubblico anche durante le ore notturne. Penso che questi siano stati segnali di una vicinanza e di un affetto che il Paese nutre ancora nonostante tutto, nonostante i continui attacchi istituzionali che arrivano dalle più alte cariche dello Stato e di cui noi siamo fustigatori, perché riteniamo che siano deleteri per mantenere insieme lo Stato e il tessuto sociale del Paese. E nonostante tutto, nonostante le critiche e nonostante le invettive, dobbiamo essere grati al Presidente Napolitano ed essere compartecipi di questo disegno di Unità nazionale, che ci vedrà come Italia dei Valori sostenere la conversione in legge del decreto-legge in esame.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 4215)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore ed il rappresentante del Governo rinunciano alla replica.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Organizzazione dei tempi di discussione dei disegni di legge di ratifica (ore 14,30).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione dei disegni di legge di ratifica nn. 4027-A, 4024-A e 4040. Pag. 7
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati all'esame dei disegni di legge di ratifica all'ordine del giorno è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

Discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione dello Scambio di lettere tra il Governo della Repubblica italiana e l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura (FAO) per la concessione di un immobile in Roma come sede per la Commissione generale per la pesca nel Mediterraneo (CGPM), fatto a Roma il 19 gennaio e il 24 marzo 2006 (A.C. 4027-A).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione dello Scambio di lettere tra il Governo della Repubblica italiana e l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura (FAO) per la concessione di un immobile in Roma come sede per la Commissione generale per la pesca nel Mediterraneo (CGPM), fatto a Roma il 19 gennaio e il 24 marzo 2006.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 4027-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.
L'onorevole Moles ha facoltà di svolgere la relazione, in sostituzione del relatore, onorevole Narducci.

GIUSEPPE MOLES, Relatore f.f.. Signor Presidente, lo Scambio di lettere tra il Governo italiano e la FAO, per la concessione di un immobile in Roma come sede per la Commissione generale per la pesca nel Mediterraneo (CGPM), fatto a Roma il 19 gennaio e il 24 marzo 2006 e avvenuto su un'iniziativa del Governo italiano del 2004, è finalizzato a consentire il trasferimento degli uffici del segretariato della Commissione generale presso la sede definitiva, individuata a Roma nei locali demaniali di palazzo Blumenstihl, sito a Roma.
È opportuno ricordare che in occasione della XXIX sessione della CGPM, gli Stati membri, che si espressero con voto segreto, preferirono l'offerta italiana a quelle formulate da Malta e dalla Spagna, in considerazione anche delle possibili sinergie ed economie di scala derivanti dalla prossimità della prescelta alla sede della FAO.
La CGPM, che storicamente costituisce un esempio di attuazione ante litteram della Convenzione sul diritto del mare, è l'organizzazione più importante in materia di pesca nel Mediterraneo, e trae ispirazione, con opportuni adattamenti, dal modello di altre commissioni regionali di pesca riscontrabili in ambito FAO.
Tale organizzazione è il frutto della necessità di sviluppare una cooperazione multilaterale tra Stati, per perseguire adeguati obiettivi generali che sfuggono al controllo dei singoli Paesi in materia di protezione, conservazione e gestione responsabile delle risorse, ormai non solo biologiche in senso stretto, ma anche, come rilevato nella XIX sessione della CGPM del 1989, i sempre più impellenti risvolti ambientali, oltre che quelli socio-economici.
Gli obiettivi della Commissione, cui aderiscono 23 Stati, oltre all'Unione europea, consistono nella promozione e lo sviluppo della conservazione, della gestione razionale e della valorizzazione delle risorse marine viventi, nonché nello sviluppo sostenibile dell'acquacoltura nel Mediterraneo, nel Mar Nero e nelle acque di collegamento.
Possono aderire alla Commissione sia gli Stati costieri del Mediterraneo e le organizzazioni economiche regionali, sia gli Stati membri delle Nazioni Unite le cui navi pescano nelle acque del Mediterraneo. Fanno parte della Commissione generale i rappresentanti di quasi tutti gli Stati del Mediterraneo, compresi la Grecia, Pag. 8la Turchia, Israele, la Libia e la Siria, nonostante l'esistenza di profonde divergenze tra alcuni di questi Stati.
Non si deve dimenticare, poi, il ruolo che la Commissione in questione è chiamata a svolgere in collaborazione con la Commissione internazionale per l'esplorazione scientifica nel mare Mediterraneo per quanto concerne la ricerca scientifica. Pertanto, anche alla luce della posizione geografica dell'Italia, è di alto valore strategico ospitare la sede di questa Commissione e lavorare affinché essa possa meglio svolgere il suo compito.
Come afferma la Convenzione di Montego Bay, le organizzazioni specializzate come la CGPM sono di grande importanza per la cooperazione fra gli Stati nella gestione delle risorse biologiche e nella relativa protezione. Si tratta di una cooperazione che nel Mediterraneo va implementata necessariamente, potenziando sia il significato politico della CGPM che gli strumenti di governance.
La CGPM dispone di un bilancio autonomo finanziato dagli Stati membri ed espresso in dollari destinato alla copertura delle spese amministrative, inclusa una somma destinata ai costi relativi all'attività di supporto da parte della FAO, le spese per l'attività della Commissione e quelle eventuali. Le contribuzioni degli Stati sono state suddivise in una quota fissa, individuata sulla base di indicatori economici quali il PIL e il reddito pro capite di ciascun Paese, e una quota variabile, connessa alla produzione ittica nazionale che, per i Paesi membri dell'Unione europea, è totalmente a carico del bilancio comunitario.
Il contributo italiano alla sola quota dovuta, quella fissa, nel 2009 è stato pari al 6,17 per cento del bilancio CGPM.
Quanto agli oneri derivanti dallo Scambio di lettere, quantificati in 200 mila euro annui a decorrere dal 2011, comprendono sia una quota delle spese di manutenzione del palazzo Blumenstihl, sia il contributo italiano al bilancio della CGPM.
Segnalo, infine, che in sede consultiva le Commissioni affari costituzionali, finanze e agricoltura si sono espresse in modo favorevole sul provvedimento in esame, analogamente alla Commissione bilancio. Alla luce di quanto illustrato, in ragione della necessità di valorizzare il nostro Paese in occasione di iniziative di cooperazione multilaterale riguardanti il Mediterraneo, auspico un'ampia convergenza tra i gruppi e un sollecito iter di approvazione del provvedimento.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
È iscritto a parlare l'onorevole Monai. Ne ha facoltà.

CARLO MONAI. Signor Presidente, stiamo parlando della ratifica e l'esecuzione dello Scambio di lettere tra l'Italia e la FAO, perché venga concessa alla Commissione generale per la pesca nel Mediterraneo un'adeguata sede che è stata individuata nel palazzo demaniale denominato palazzo Blumenstihl.
Certamente è stato opportuno che l'Italia, che già ospita la FAO nella sua complessità organizzativa, si sia fatta parte diligente e attiva affinché anche la Commissione generale per la pesca nel Mediterraneo potesse mantenere la sua sede a Roma che attualmente è ubicata all'interno dei palazzi già destinati alla FAO.
In tal modo l'Italia può auspicare di essere protagonista nelle relazioni internazionali, soprattutto quelle di matrice ONU della quale la FAO è un'importante articolazione. Certo è che i tempi di questa autorevole presenza non sono dei migliori, visto il trattamento che il nostro Paese sta guadagnando nelle relazioni internazionali.
Mi riferisco alla videoconferenza che qualche settimana fa ci ha visto esclusi dal teatro delle operazioni in Libia rispetto a Germania, Inghilterra, Francia e Stati Uniti, e penso anche al difficile momento collegato proprio alla caduta di immagine internazionale del nostro Paese ascrivibile ai comportamenti del Capo del Governo.
Certo è che i Governi passano, i Presidenti del Consiglio anche, ma quello che invece rimane è l'istituzione, ossia l'Italia Pag. 9nelle sue articolazioni e nella sua vicinanza alle organizzazioni internazionali. Da questo punto di vista l'Italia dei Valori non può che essere favorevolmente orientata a che questo provvedimento venga ratificato.
Dobbiamo dire, tuttavia, che non ci paiono ragionevoli le critiche che abbiamo sentito in queste settimane e in questi giorni, e cioè che secondo alcuni esponenti del Governo ai massimi vertici quella sarebbe la fonte di provvedimenti «purosangue» poi trasformati in «ippopotami dal Parlamento».
Ebbene, abbiamo appena ricevuto questo provvedimento e lo abbiamo già portato alla discussione dell'Aula, ma rimarchiamo che addirittura sono anni (dal 2006, quando c'era già Berlusconi al Governo) che c'è stato lo Scambio di lettere. Pertanto, non è colpa della Camera dei deputati, e men che meno del Parlamento nel suo complesso, se solo oggi, a distanza di diversi anni, riusciamo ad ufficializzare questo spostamento di sede della Commissione.
Voglio poi ricordare e auspicare che, al di là delle vicende protocollari e diplomatiche che certamente sono importanti, ci sia anche l'assunzione di responsabilità di ruolo da parte del Governo italiano nell'ambito di questi meccanismi sovranazionali affinché ci sia quel giusto equilibrio per quel che riguarda l'esigenza di normare tutta la pesca nel Mediterraneo, nel Mar Nero e nelle acque contermini in maniera da preservare la biodiversità e il patrimonio marino da potenziali atti di sciacallaggio di alcuni rispetto ad altri. Tuttavia, è certo che dobbiamo anche bilanciare le tradizioni gastronomiche significative. Penso all'Alto Adriatico dove la recente normativa che ha stabilito limiti di pesca e maglie più larghe alle reti dei pescatori ha messo in ginocchio i tanti vongolari piuttosto che la pesca della seppia e altri frutti del nostro Mare Adriatico che oggi non possono più essere goduti dal circuito della ristorazione e quindi anche dai consumatori.
Per cui l'auspicio è che sì ci sia questa attenzione, questa ospitalità, questa dedizione verso le organizzazioni internazionali, ma che ci sia poi anche un'attenta valutazione e una sorta di opportuna verifica dell'equilibrio di queste discipline che non devono necessariamente andare a mettere in ginocchio le nostre realtà imprenditoriali, soprattutto quelle che ho citato. Come ultima notazione voglio ricordare che, proprio per una disposizione che ci viene da Bruxelles, nel 2009, c'è una proposta di regolamento del Consiglio che auspica una sorta di immediata possibilità di recepimento di quelle che saranno le decisioni della Commissione generale per la pesca nel Mediterraneo da parte della Commissione europea. Si tratta quindi di un ulteriore ragionamento in più perché questa sede rimanga a Roma e perché il Governo italiano possa mettere a frutto i suoi buoni rapporti perché non vengano danneggiate le nostre imprese.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 4027-A)

PRESIDENTE. Prendo atto che l'onorevole Moles, in sostituzione del relatore, e il rappresentante del Governo rinunciano alla replica.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra Repubblica italiana e la Repubblica di Albania, aggiuntivo alla Convenzione europea di estradizione del 13 dicembre 1957 ed alla Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 20 aprile 1959, ed inteso a facilitarne l'applicazione, fatto a Tirana il 3 dicembre 2007, con Scambio di Note effettuato a Tirana il 18 e 19 settembre 2008 (A.C. 4024-A) (ore 14,43).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Ratifica Pag. 10ed esecuzione dell'Accordo tra Repubblica italiana e la Repubblica di Albania, aggiuntivo alla Convenzione europea di estradizione del 13 dicembre 1957 ed alla Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 20 aprile 1959, ed inteso a facilitarne l'applicazione, fatto a Tirana il 3 dicembre 2007, con Scambio di Note effettuato a Tirana il 18 e 19 settembre 2008.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 4024-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.
L'onorevole Moles ha facoltà di svolgere la relazione, in sostituzione del relatore, onorevole Renato Farina.

GIUSEPPE MOLES, Relatore f.f.. Signor Presidente, l'Accordo tra Italia e Albania, finalizzato a completare e rendere più agevole l'applicazione della Convenzione europea di estradizione e quella di assistenza giudiziaria in materia penale tra i due Paesi, già ratificato dalla controparte nel 2008, si inquadra nell'impegno per il sostegno del percorso di integrazione europea dell'Albania. L'Accordo è peraltro riconducibile ad altre intese già stipulate con altri Paesi europei, come l'Austria, la Germania e la Svizzera.
Per quanto riguarda l'estradizione, l'Accordo, nel consentire l'estradizione di cittadini perseguiti da una delle parti contraenti per un reato o ricercati per l'esecuzione di una pena, supera la dichiarazione dell'Albania contenuta nello strumento di ratifica della Convenzione europea di estradizione, depositato il 19 maggio del 1998, con la quale si riservava la possibilità di rifiutare l'estradizione dei suoi cittadini. Per quanto attiene all'assistenza penale, esso mira ad estendere ai rapporti con l'Albania le disposizioni degli accordi di Schengen nonché quelle concluse sempre in ambito comunitario in materia di assistenza giudiziaria e di scambio delle informazioni bancarie. In tema di rogatoria, l'Accordo modifica la regola contenuta nell'articolo 3 della Convenzione del 1959 al fine di garantire la piena utilizzabilità delle prove raccolte all'estero. Esso prevede, in generale, a rendere più snella e rapida la procedura e amplia significativamente il contenuto sia per l'attività di indagine che di assunzione della prova.
In particolare, in modo innovativo viene prevista per la prima volta la possibilità di trasmettere richieste di assistenza giudiziaria volte a mettere a disposizione dello Stato richiedente beni ottenuti da reato; di utilizzare lo strumento del collegamento audiovisivo e telefonico per la raccolta di una testimonianza; di attivare consegne sorvegliate; di operare congiuntamente per fatti oggetto di procedimenti penali per entrambi gli Stati nell'ambito di gruppi di indagine comuni; infine, di ricorrere alle operazioni di agenti infiltrati o sotto falsa identità.
L'accordo, inoltre, permetterà di migliorare l'assistenza giudiziaria relativamente alle informazioni in possesso delle banche. È, infatti, previsto l'obbligo di rintracciare e di fornire informazioni su conti correnti bancari e su operazioni bancarie senza possibilità di opporre il segreto bancario.
Segnalo, infine, che nel corso dell'iter in Commissione le Commissioni I (Affari costituzionali), II (Giustizia), VI (Finanze), XIV (Politiche dell'Unione europea) si sono espresse positivamente sul provvedimento in esame. La V Commissione (Bilancio) ha analogamente espresso un parere favorevole apponendo tuttavia talune condizioni ai sensi dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione. Conseguentemente, il relatore onorevole Farina ha presentato un emendamento volto a recepire tali condizioni e che è stato approvato.
Tutto ciò premesso, la celere approvazione di questo disegno di legge di ratifica può costituire un ulteriore segnale di attenzione e fiducia nei riguardi dell'Albania, in quanto Paese esposto ad una situazione di instabilità politica ed incertezza Pag. 11economica che, anche a causa della diffusione del fenomeno della corruzione, ha determinato un'adesione particolarmente sentita alle recenti manifestazioni di piazza. L'Italia è da anni un autorevole partner dell'Albania e sua convinta sostenitrice nel processo di integrazione comunitaria. È, quindi, importante che la classe politica e l'opinione pubblica del nostro Paese non accolgano una visione catastrofistica del quadro politico albanese, così come è opportuno richiamare governo e opposizione ad un possibile negoziabile compromesso tra le parti politiche per il bene del Paese, come anche l'assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa ha recentemente sottolineato.
L'Albania sta facendo dei passi da gigante e la sua voglia di Europa si esprime anche stipulando accordi come questo, nella forte consapevolezza della vivacità di una società civile che sta assaggiando la libertà a partire da quella religiosa e che vuole essere considerata una parte vitale e vivace del nostro continente. Anche alla luce dell'ampia condivisione da parte dei gruppi sul provvedimento in esame registrata in Commissione, auspico che l'Assemblea possa condividere tale clima provvedendo ad una sua celere approvazione.

PRESIDENTE. Prendo atto che il Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
È iscritto a parlare l'onorevole Monai. Ne ha facoltà.

CARLO MONAI. Signor Presidente, signor sottosegretario, signori colleghi, ovviamente noi dell'Italia dei Valori siamo pronti a ratificare questo accordo, perché siamo convinti che la collaborazione giudiziaria, la trasparenza delle relazioni tra i Paesi e l'efficacia della tutela dal crimine delle nostre comunità debba essere sempre favorita in una logica di sicurezza collettiva e soprattutto nei confronti di Paesi verso i quali l'immigrazione è particolarmente diffusa come è appunto il caso dell'Albania. Quindi, ben venga questa Convenzione che da una parte garantirà una maggiore efficacia nell'attività investigativa tra le polizie e le magistrature dei due Paesi, dall'altra favorirà l'estradizione ai fini dell'espiazione della pena sia dei cittadini italiani nel paese albanese che viceversa.
Quindi, da questo punto di vista questa Convenzione ci vede favorevoli, anche nella considerazione che - di fronte alla criticità interna che sta attraversando il paese albanese, uno dei nostri partner più affidabili dal punto di vista delle relazioni economiche internazionali e noi siamo il primo interlocutore nella loro economia - si possano in qualche modo aiutare anche questi passaggi ad un'integrazione europea più veloce da parte del Paese albanese e ad una facilitazione nel superare questa crisi interna nella quale tale Paese si trova in qualche modo, se non dilaniato, molto contrapposto, anche in quella realtà con una tentazione di screditamento delle istituzioni politiche più autorevoli.
Anche lì la magistratura guarda con sospetto ad alcune prese di posizione della politica, che nello specifico riguardavano delle corruttele o delle pressioni per la gestione degli appalti. Anche lì il Premier albanese sembra non essere esente da attacchi molto puntuali su complotti presunti al suo Governo anche da parte della magistratura.
Certo, ogni Paese ha le sue storie e ogni mondo è Paese. Vorremmo che anche questo passaggio politico, relativo alla ratifica ed esecuzione di questo Accordo inteso a facilitare le relazioni giurisdizionali, favorisca uno stemperamento di queste criticità interne e il rasserenamento dei rapporti diplomatici, nella logica di un'integrità ancora più forte da parte dell'Albania.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 4024-A)

PRESIDENTE. Prendo atto che l'onorevole Moles, in sostituzione del relatore, rinuncia alla replica. Pag. 12
Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

ENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, intervengo solo per una battuta. L'Accordo concerne un tema, quello della cooperazione giudiziaria in materia penale, di rilevanza cruciale nel percorso di integrazione dell'Albania con l'Unione europea. Il 9 novembre ultimo scorso la Commissione europea ha espresso un parere negativo sulla domanda di adesione di Tirana all'Unione europea, in conseguenza di lacune riscontrate nel rispetto dei criteri politici di Copenaghen in cui, oltre ad osservazioni prettamente politiche in merito allo stallo del dialogo parlamentare tra Governo e opposizione, ha rilevato carenze in materia di Stato di diritto. La Commissione europea ha, peraltro, indicato alle autorità di Tirana le riforme prioritarie da attuare per continuare ad avanzare nel cammino europeo e poter, così, avviare i negoziati di adesione.
Il rafforzamento dello Stato di diritto, con specifico riferimento al settore della giustizia e alla lotta al crimine organizzato e alla corruzione, e l'efficace protezione dei diritti umani è il punto cardine. In occasione dei recenti incontri istituzionali con le autorità albanesi si segnalano, da ultimi, i colloqui tra il Ministro Frattini e il suo omologo, avvenuti a Roma il 10 gennaio scorso, e la missione del sottosegretario Mantica a Tirana il 13 e il 14 gennaio. L'Italia ha esortato l'Albania a compiere ulteriori e significativi progressi, al fine di colmare le lacune evidenziate in questi settori e, in particolare, per quanto concerne lo Stato di diritto e la lotta alla corruzione e al crimine organizzato. Le previsioni del presente Accordo costituiscono, pertanto, un contributo sul piano bilaterale al percorso europeo dell'Albania.
Per queste ragioni il Governo sollecita la ratifica di questo Accordo.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di cooperazione culturale e scientifica tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica di Panama, firmato a Roma il 2 maggio 2007 (A.C. 4040) (ore 14,50).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge di ratifica n. 4040: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di cooperazione culturale e scientifica tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica di Panama, firmato a Roma il 2 maggio 2007.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 4040)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto, altresì, che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.
L'onorevole Moles ha facoltà di svolgere la relazione, in sostituzione del relatore, onorevole Gennaro Malgieri.

GIUSEPPE MOLES, Relatore f.f.. Signor Presidente, l'Accordo tra Italia e Panama reca disposizioni analoghe a quelle contenute in intese simili concluse con altri Stati in materia culturale. L'intesa attualmente in vigore, sottoscritta trent'anni fa, non corrisponde, infatti, più alle mutate esigenze delle relazioni bilaterali tra l'Italia e le Repubblica di Panama.
Quanto ai contenuti dell'Accordo peculiare rilievo assume l'articolo 2, sulla cooperazione interuniversitaria. In materia di istruzione si prevede che le parti si attivino per promuovere l'insediamento e l'operatività di istituzioni culturali e scolastiche sul proprio territorio e la conoscenza dei rispettivi sistemi di istruzione. Inoltre, verranno concesse borse di studio a studenti, specialisti e laureati che condurranno ricerche nei settori umanistico, artistico, scientifico e tecnologico.
Pag. 13
L'Accordo mira, altresì, a promuovere la collaborazione nei settori della musica, della danza, delle arti visive, del teatro e del cinema nonché l'organizzazione di mostre, partecipazione a festival e altre consimili manifestazioni. La cooperazione scientifica e tecnologica avverrà attraverso accordi e progetti tra istituzioni pubbliche e private, con particolare riguardo ai campi dell'ambiente e della tutela della salute.
Segnalo infine che l'iter in III Commissione si è svolto in un contesto di ampia convergenza tra maggioranza e opposizione sull'opportunità di procedere con sollecitudine all'attuazione del disegno di legge in esame, su cui anche le Commissioni affari costituzionali, bilancio, cultura e attività produttive si sono espresse favorevolmente.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
È iscritto a parlare l'onorevole Monai. Ne ha facoltà.

CARLO MONAI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, con questo provvedimento si confermano e si rafforzano i buoni rapporti che il nostro Paese intrattiene con la Repubblica presidenziale di Panama. Anche lo scorso anno abbiamo ratificato un importante accordo sulla promozione degli investimenti in quel Paese. Oggi queste norme ci ripropongono temi che abbiamo già concordato con altri Paesi e che sostanzialmente riguardano la promozione della cooperazione culturale, scientifica e tecnologica, la diffusione e l'insegnamento della lingua di ciascuna parte contraente nel territorio dell'altra, l'intensificazione delle intese interuniversitarie, lo scambio di docenti e ricercatori, l'avvio di ricerche congiunte su temi di comune interesse, la creazione di istituzioni culturali e scolastiche intese a garantire le migliori facilitazioni possibili per il funzionamento e le relative attività di queste istituzioni culturali, la concessione di borse di studio a studenti e specialisti laureati dall'altra parte, l'incremento della collaborazione in campo editoriale attraverso traduzioni, mostre, fiere del libro, pubblicazioni di opere saggistiche e narrative dall'altra parte, la collaborazione nei settori della musica, della danza, del teatro, del cinema e delle arti visive attraverso lo scambio di artisti, di mostre, anche attraverso la reciproca partecipazione a festival, rassegne ed altre manifestazioni di rilievo, l'incentivazione di contatti e di collaborazione tra i rispettivi organismi radiotelevisivi oppure lo scambio di informazioni e di esperienze nel settore dello sport, della gioventù. Questo provvedimento regola anche la cooperazione scientifica e tecnologica tra istituzioni e organizzazioni scientifiche, sia pubbliche che private, soprattutto nel settore della salvaguardia dell'ambiente e della sanità e la cooperazione nei settori dell'archeologia, dell'antropologia e delle scienze affini per il restauro e la valorizzazione del patrimonio culturale.
In buona sintesi, si tratta di un provvedimento omnibus, che tocca molti settori di interesse comune dei due Paesi e che - senz'altro - ove venisse attuato, rafforzerà i legami di amicizia tra questi due Paesi.
Voglio ricordare che ci sono anche interessanti canali economici tra le due realtà nazionali: proprio sulla riapertura del canale interoceanico c'è un significativo coinvolgimento delle nostre imprese e anche l'ENEL ha forti interessi in quell'area. Inoltre, c'è un riferimento alla tutela dei diritti umani delle minoranze, nonché delle libertà civili e politiche che questo accordo vuole rafforzare nella valutazione bilaterale delle politiche dei due Paesi. L'unica riserva è legata alla necessità che, se è vero che il Governo italiano spinge le sue politiche culturali e relazionali a lunga gittata per toccare addirittura lo Stato di Panama, ci aspetteremmo una maggiore attenzione verso questi temi così importanti come l'archeologia, i beni artistici, i musei, le università e la ricerca, soprattutto in Italia, mentre qui piuttosto, da un paio di anni, stiamo recriminando tagli dissennati e politiche tese non a implementare e a rafforzare questi importanti settori della nostra vita pubblica, ma Pag. 14semmai a impoverirli, a mortificarli e a svilire anche quel diritto allo studio, che è sancito dalla Costituzione ed è uno dei patrimoni più importanti del genio italiano, che ci viene spesse volte invidiato in tutto il mondo e per il quale molte volte i nostri cervelli vengono ad essere intercettati.
Quindi ben venga questa ratifica, ma mi auguro che questa sia anche uno spunto di riflessione sull'opportunità che - se queste cose le scriviamo nei trattati internazionali - ancora prima e con ancora più vigore dobbiamo scriverle per le nostre indagini di settore.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 4040)

PRESIDENTE. Prendo atto che l'onorevole Moles, in sostituzione del relatore ed il rappresentante del Governo rinunciano alla replica. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Dovremmo ora passare alla discussione sulle linee generali della relazione territoriale sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti nella regione Lazio. Poiché il presidente della Commissione, onorevole Pecorella, non è in Aula, sospendo brevemente la seduta.

La seduta, sospesa alle 15, è ripresa alle 15,02.

Discussione della relazione territoriale sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti nella regione Lazio approvata dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti (Doc. XXIII, n. 6).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della relazione territoriale sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti nella regione Lazio approvata dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto altresì che le eventuali risoluzioni devono essere presentate entro il termine della discussione.

(Discussione - Doc. XXIII, n. 6).

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione. Ha facoltà di parlare il presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, onorevole Pecorella.

GAETANO PECORELLA, Presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti. Signor Presidente, consegnerò poi la relazione nella forma scritta, richiamando i punti fondamentali. Voglio in primo luogo esprimere la mia soddisfazione e quella di tutti i componenti la Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti per l'odierno dibattito. Non è abituale che la relazione della Commissione di inchiesta sia oggetto di una discussione presso l'Aula di Montecitorio, anche se pochi mesi fa si è svolto un analogo dibattito sulla relazione relativa alla Sicilia. Ringrazio per questo motivo la Presidenza. L'odierno dibattito dimostra l'attenzione che le istituzioni parlamentari dedicano al settore dei rifiuti che, in molte regioni del Paese, a causa di un'inadeguata gestione del ciclo integrato, è fonte di gravi danni per l'ambiente e di preoccupanti tensioni sociali. La relazione territoriale sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti nella regione Lazio, approvata all'unanimità dalla Commissione parlamentare nella seduta del 2 marzo 2011, è il frutto di un intenso lavoro iniziato il 6 maggio 2009 con l'audizione del presidente della regione Lazio, Piero Marrazzo. Il lavoro è proseguito in sede dove sono state Pag. 15svolte venti sedute per raccogliere le informazioni necessarie al completamento dell'indagine; complessivamente, sono state audite cinquantasei persone. La Commissione ha svolto inoltre due missioni nella regione. In primo luogo, una delegazione della Commissione si è recata a Colleferro il 20 maggio 2009 per approfondire le vicende legate al termovalorizzatore. Inoltre, un'ulteriore missione finalizzata ad approfondire le tematiche relative alla discarica ed al gassificatore di Malagrotta, si è svolta il 23 giugno 2010. Nel corso di queste missioni sono state audite quattordici persone. Nell'archivio della Commissione sono conservate 9.480 pagine di documentazione, raccolte nel corso di questa attività di indagine, che sono state catalogate in 262 schede, di cui ventidue riguardano documenti riservati o segreti. Tutti i documenti sono stati digitalizzati e sull'intero archivio è possibile effettuare ricerche testuali. L'indagine svolta dalla Commissione ha rilevato carenze strutturali ed impiantistiche nella regione Lazio che, contrariamente agli orientamenti, alle scelte e alle strategie dettate dalle direttive comunitarie in materia di rifiuti e dalla norma nazionale, è andata nel verso opposto a quello della gestione integrata. Nella regione, sin dal 1999, è stata decretata l'emergenza rifiuti con la gestione commissariale. La formale cessazione della gestione emergenziale nell'anno 2008 non ha portato, tuttavia, al superamento delle criticità nella gestione del ciclo. Le diverse giunte che si sono avvicendate al Governo della regione hanno privilegiato il ricorso allo smaltimento in discarica piuttosto che l'ammodernamento e il potenziamento delle strutture di trattamento esistenti tese alla separazione secco/umido del rifiuto tal quale, alla raffinazione della frazione secca con produzione di combustibile derivato dai rifiuti per alimentare le linee di termovalorizzazione operanti nelle province di Roma e di Frosinone ed alla stabilizzazione della frazione umida con produzione di frazione organica stabilizzata da destinare alla ricopertura delle discariche e/o al ripristino di cave esaurite. La raccolta differenziata si è attestata nel 2010 intorno al 12-13 per cento, con il fallimento degli obiettivi fissati dalla legislazione vigente. Altrettanto insignificanti sono stati l'attivazione della filiera dei materiali della raccolta e l'intercettazione della frazione umida da inviare al compostaggio di qualità nei pochi impianti funzionanti sul territorio regionale. A fronte di tale situazione, l'Unione europea ha attivato una procedura di infrazione cui la giunta regionale ha cercato di porre rimedio con l'emanazione del nuovo piano di gestione di rifiuti, avvenuta il 19 novembre 2010, e con la presentazione ed illustrazione dello stesso alla Commissione europea, avvenuta nell'ultima settimana di gennaio 2011.
Il nuovo piano regionale persegue essenzialmente l'obiettivo di autosufficienza del sistema (un ATO regionale e cinque sub-ATO provinciali) e della chiusura del ciclo secondo i criteri della gestione integrata attraverso i quali, a fronte di un forte potenziamento della raccolta differenziata, del trattamento di separazione del rifiuto solido urbano tal quale e della termovalorizzazione della frazione secca raffinata, la discarica dovrà avere nel tempo un ruolo decisamente residuale.
L'esaurirsi della capacità di Malagrotta e delle altre discariche impone, con il concorso di tutte le istituzioni interessate, l'individuazione di un sito alternativo per la città di Roma, senza il quale l'emergenza rifiuti rischierebbe di aggravarsi. Si pone, altresì, come indifferibile l'esigenza di programmare le opere di bonifica e salvaguardia ambientale di Malagrotta e delle altre discariche.
Sotto il profilo degli illeciti nel campo della gestione dei rifiuti riferibili alla criminalità organizzata, va rilevato che il Lazio si presenta come una regione che potrebbe essere interessata da questo tipo di illegalità, sia per la presenza di ampie porzioni di territorio morfologicamente adatte alla discarica e all'occultamento illecito dei rifiuti sia per la vicinanza con quelle aree della provincia di Caserta ad Pag. 16alto rischio, dato che in passato e ancora oggi, nell'attualità, sono state individuate presenze criminali nel settore.
Secondo quanto riferito dal procuratore aggiunto di Roma, coordinatore della direzione distrettuale antimafia, nel Lazio, infatti, si riscontra la presenza della 'ndrangheta, della camorra e della mafia siciliana, accertata ed evidenziata in numerose indagini che danno conto dell'esistenza anche nella regione del fenomeno delle ecomafie. Nella sua relazione alla cerimonia dell'inaugurazione dell'anno giudiziario 2011, il procuratore generale della Corte di appello ha affermato che nel Lazio tutte le mafie operano in convivenza tra loro e con la tradizionale criminalità organizzata; sennonché, le ipotesi di filiere criminali operanti nel settore dello smaltimento illecito di rifiuti non hanno avuto, allo stato, alcun riscontro nei procedimenti penali attivati nel distretto giudiziario del Lazio e di cui si è dato ampio riscontro.
Non vi sono attualmente in corso, infatti, procedimenti concernenti il ciclo dei rifiuti e riguardanti la criminalità organizzata di stampo mafioso. Questo dato ha trovato conferma nelle audizioni dei magistrati delle procure, dei prefetti, dei questori e dei responsabili dei corpi di polizia giudiziaria che, a vario titolo, si sono occupati di inchieste concernenti i traffici illegali di rifiuti, i quali hanno fornito uno spaccato della realtà ambientale abbastanza grave, che coinvolge la criminalità comune ed economica, ma che non vede, almeno allo stato, l'infiltrazione della criminalità organizzata nel ciclo dei rifiuti.
L'inchiesta ha evidenziato che le maggiori criticità nella regione Lazio si sono riscontrate nella gestione dell'impianto di termovalorizzazione di Colleferro, dove gli illeciti ivi accertati sono stati evidentemente favoriti dalla carenza nel sistema dei controlli da parte degli organi preposti, carenza dovuta principalmente al fatto che l'impianto, per lungo tempo, aveva operato con la procedura semplificata prevista dagli «antichi» articoli 31 e 33 del cosiddetto «decreto Ronchi».
Nel Lazio molte aziende e consorzi pubblici sono stati costituiti su iniziativa degli enti locali in assenza di un piano industriale, di un organico riferimento territoriale per la gestione integrata del ciclo dei rifiuti. Tali aziende e consorzi hanno determinato sprechi e inefficienze, duplicato centri di potere, generato assunzioni in contrasto con la normativa vigente e giustificate ogni volta con l'emergenza. Purtroppo, sono molte le società e i consorzi pubblici che operano nel settore a trovarsi in gravi difficoltà economiche.
Tutto ciò contribuisce ad aggravare la gestione del ciclo e a distrarre risorse necessarie a favorirne l'efficienza e rischia di preparare il terreno alle infiltrazioni delle consorterie mafiose nel ciclo dei rifiuti, le quali possono movimentare capitali sporchi e denaro riciclato per acquisire aziende in difficoltà e condizionare l'intero mercato. La Commissione ha indicato quale strada da seguire quella della rigorosa applicazione delle norme, del potenziamento dei sistemi di controllo esterni ed interni, della formazione di polizia giudiziaria specializzata ed attrezzata per questo tipo di indagini, dell'applicazione delle sanzioni penali (le sole che hanno un'efficacia specialpreventiva e generalpreventiva), della possibilità per l'autorità giudiziaria di utilizzare tutti gli strumenti investigativi che il codice di procedura penale prevede per la ricerca della prova, ivi incluse - aggiungo - le intercettazioni telefoniche ambientali.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Pecorella, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Monai. Ne ha facoltà.

CARLO MONAI. Signor Presidente, la relazione testé svolta dall'onorevole Pecorella, Presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, mi sembra Pag. 17illuminante, se è vera l'importanza, che egli sottolineava nella chiusura del suo intervento, delle intercettazioni telefoniche e ambientali per contrastare questo fenomeno della malavita che, se anche non organizzata, diversamente da come abbiamo sentito dire di quella che accompagna la gestione dei rifiuti in Sicilia, è comunque, nel Lazio, abbastanza organizzata da compulsare la normale gestione dei rifiuti e lucrare sulle sue patologie.
Se ciò è vero, mi domando con quale coerenza il centrodestra continui, di tanto in tanto, a sottoporre alla nostra attenzione provvedimenti tesi a limitare la possibilità di acquisire intercettazioni telefoniche o ambientali che sono, ancora oggi, così efficaci per contrastare il crimine, soprattutto quando, come nello specifico, la gestione dei rifiuti nel Lazio, se è vero che non è nelle mani della criminalità organizzata, ma in quelle della criminalità comune, non avrebbe più spazio per essere intercettata se passasse in vigore la riforma tanto voluta da Berlusconi.
Vedo, quindi, una sorta di dicotomia tra quello che si dice di voler fare quando, magari, in un'Aula vuota si discetta in materia di gestione dei rifiuti nella regione Lazio, e quello che invece, a piena voce, si declama a proposito della tutela, mal concepita, di una privacy che nulla ha a che vedere con la persecuzione degli atti di criminalità che tutti vogliamo a parole, ma solo alcuni postergano rispetto alla privacy del cittadino.
Venendo al provvedimento oggetto della nostra discussione, dichiariamo la nostra perplessità. È vero che la relazione dell'onorevole Pecorella è stata molto dettagliata ed il lavoro dei colleghi pregevole, ma mi chiedo quali siano, poi, le ricadute, in termini operativi, che la suddetta relazione andrà a produrre.
Da una parte, infatti, recentemente, con il decreto legislativo n. 205 del 3 dicembre 2010 abbiamo recepito nel nostro ordinamento la direttiva 2008/98/CE relativa al tema dei rifiuti, che introduce il principio gerarchico delle cosiddette quattro «R»: riduzione, riutilizzo, riciclaggio e recupero energetico dei rifiuti. Dall'altra, però, è pur vero che la raccolta differenziata dovrebbe essere il cardine sul quale dovrebbe ruotare la politica della gestione dei rifiuti anche nella regione Lazio, che ha dieci discariche che dovrebbero essere in esaurimento, ma di cui si prevede invece l'ampliamento di volumetria. Bisognerebbe abbandonare la logica della discarica dando un forte impulso alla raccolta differenziata.
Però, anche l'esperienza quotidiana di chi vive a Roma magari solo tre giorni alla settimana, evidenzia che la raccolta differenziata in una grande metropoli come Roma è, quotidianamente, negletta anche per la carente ed inefficiente organizzazione dei punti di raccolta e delle modalità del conferimento.
Certo è, però, che la citata relazione sottolinea anche un altro aspetto che ci preoccupa, ossia il fatto che la verifica, il controllo, la supervisione delle politiche ambientali vedono una forte compressione delle professionalità dedicate a questo importante settore.
L'audizione del Commissario straordinario dell'ARPA Lazio, l'avvocato Carruba, avvenuta il 22 giugno 2010, è stata significativa. Egli ha sottolineato come l'ARPA stia rischiando la paralisi proprio perché impiega solo il 50 per cento della sua dotazione organica e, con il blocco del turnover anche nel 2010, i lavoratori che andranno in pensione non potranno essere sostituiti.
Per cui c'è una sorta di inefficienza dei controlli, delle verifiche e delle ispezioni che pur sempre sarebbero dovute e auspicate rispetto a una struttura che non è attrezzata per garantirne l'efficacia e la continuità. A fronte di tutto ciò, prendiamo atto della relazione della Commissione d'inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, esprimiamo il nostro apprezzamento per il lavoro svolto ma il nostro monito è che tale relazione produca una qualche iniziativa legislativa o politica tesa ad evitare che oggi, nel Lazio, ancora di più in Sicilia piuttosto che in Campania, il rifiuto sia non soltanto un problema ecologico e di garanzia di Pag. 18civiltà di un Paese, ma rimanga e magari diventi solo un business della criminalità nei suoi intrecci con la politica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Carella. Ne ha facoltà.

RENZO CARELLA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo che la Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, che ha indagato, abbia svolto un importante lavoro. Mi auguro che anche questo dibattito possa arricchirsi di parti che reputo - specialmente nel Lazio di cui ho una conoscenza più particolareggiata - un approfondimento ma soprattutto che il lavoro della Commissione e il dibattito parlamentare servano perché il Governo e le regioni mettano in atto politiche per evitare i pericoli che il documento rappresenta e da cui mette in guardia tutti perché siano fugati. Non posso non rilevare che ancora oggi la regione Lazio, nel documento approvato per quanto riguarda il Piano regionale dei rifiuti, pone degli obiettivi di raggiungimento per la raccolta differenziata, come propone la Giunta guidata dalla Presidente Polverini: l'obiettivo è quello del 60 per cento di raccolta differenziata, allo stato attuale, partendo dal 10-12 per cento rilevato nel 2010, in totale assenza di un piano industriale e di un sostegno alla realizzazione di impianti che vedono il comune di Roma quale principale responsabile di mancate decisioni - poi altri colleghi, ci sono qui i colleghi Tidei e Morassut, approfondiranno l'argomento - per cui il più grande comune d'Europa per costruire gli impianti deve cercare un'area in provincia di Roma. Questo è il dato! Si va avanti ancora con impianti costruiti negli anni passati, addirittura nel 1995 dalla giunta Badaloni. Il Lazio non implode, rispetto alla Campania, perché ha un sistema di discariche che naturalmente vengono ampliate, per far fronte allo smaltimento. Nella situazione impiantistica che il documento rileva, Presidente Pecorella, vi sono delle inesattezze. A Colleferro gli impianti industriali costruiti dalla Gaia Spa, come l'impianto di San Vittore, gemello rispetto ai due impianti di Colleferro, sono andati in crisi ed è andata in crisi quella società interamente pubblica. A questo punto credo che vada data un'indicazione: si trattava di una società pubblica, partecipata dai comuni che i comuni stessi non hanno pagato, pur riscuotendo il relativo tributo dai cittadini. Quando è andato in crisi quel consorzio, c'erano crediti verso i comuni per 53 milioni di euro. Certo, ci sono state anche attività illecite e un'attività che la magistratura ha messo sotto inchiesta, ma rimane anche oggi, nella gestione commissariale, con l'applicazione della legge Marzano, il fatto che ventuno comuni che sono serviti da quel consorzio hanno di nuovo accumulato 19 milioni di euro che hanno riscosso dai cittadini e che non vengono versati all'azienda che provvede quotidianamente alla raccolta.
Allora - faccio una proposta - perché non si prevede la decadenza degli amministratori che non versano alle società di servizio i soldi che riscuotono dai cittadini? Oppure mi chiedo perché non si sollecitano le regioni a creare società regionali, magari d'accordo con le banche, per la riscossione dei tributi, a cui le società miste pubblico-private possono affidare la riscossione del tributo. Qui voglio sottolineare, rispetto agli impianti di valorizzazione o a quelli di termovalorizzazione - mi rivolgo al presidente Pecorella -, che quando è scoppiato il caso di Colleferro veniva preso come riferimento di efficienza, per quanto riguarda il funzionamento e le emissioni, l'impianto di termovalorizzazione di Brescia. Vorrei ricordare a questa Assemblea e agli onorevoli colleghi che l'impianto di termovalorizzazione di Brescia brucia il tal quale. Io sono un chimico, e bruciare il tal quale è cosa completamente diversa dal bruciare la frazione secca del CDR, perché il rifiuto CDR è certamente meglio del talquale, eppure sulla qualità del tal quale la magistratura ha iniziato delle indagini penali.
Allora, la domanda che faccio è: se c'è un problema di salute dei cittadini è giusto che valga una normativa dalle Alpi alla Sicilia; non possiamo avere una normativa Pag. 19per il Lazio, una normativa per il Veneto, una per la Lombardia, perché se dobbiamo garantire qualità alle emissioni o lo facciamo tutti con una qualità del rifiuto oppure non si può applicare il codice penale nel Lazio e dire che magari l'impianto di Brescia è il più efficiente d'Italia. Voglio sottolineare che l'impianto di Brescia, che è stato autorizzato prima del decreto Ronchi, brucia il tal quale. Il CDR, per quanto non rappresenti il massimo della qualità, è certamente un combustibile migliore del tal quale.
Tutto questo va risolto. Noi abbiamo avuto sui tre impianti di termovalorizzazione esistenti nel Lazio un'applicazione diversa da parte dell'ARPA. L'ARPA di Frosinone stabilisce che le ceneri stoccate debbano avere un tipo di autorizzazione. L'ARPA della provincia di Roma stabilisce un'altra procedura. Risultato: viene denunciato alla procura della Repubblica l'impianto in provincia di Roma che segue la stessa procedura dell'impianto che è nella provincia di Frosinone.
Le indagini della magistratura hanno posto sotto sequestro gli impianti, hanno determinato danni alle aziende pubbliche, e il risultato è del tutto evidente. Anche qui a livello regionale occorre avere norme, occorre avere comportamenti che siano omogenei per almeno tutta la regione, in questo caso. Un altro aspetto che io voglio sottolineare riguarda anche il problema di GAIA: è giusto, si dice, attenzione, noi abbiamo un pericolo grosso di infiltrazione della criminalità nella provincia di Roma, e nelle province nel sud del Lazio che confinano con la provincia di Caserta (già in provincia di Latina è stata accertata la presenza massiccia della criminalità organizzata attorno allo smaltimento dei rifiuti). Cito un dato: nel Lazio, che rimane comunque una regione industriale con il polo di Pomezia, il polo di Latina, il polo di Anagni e di Frosinone, non c'è un impianto che tratta i rifiuti industriali. Domanda: chi smaltisce, e dove, questi rifiuti industriali? Quali sono le aziende che prendono i rifiuti industriali del Lazio, e dove li portano per garantire il loro smaltimento?
Allora occorre che le aziende siano partecipate dal pubblico. Io - e il sottosegretario già conosce la vicenda - sostengo che al fine dell'applicazione della legge Marzano per quanto riguarda GAIA, la regione, la provincia di Roma, il comune di Roma che smaltisce il proprio CDR a Colleferro - concludo signor Presidente - debbano rilevare quel consorzio per garantirne, con la presenza pubblica, l'efficienza di funzionamento e soprattutto i controlli a garanzia della salute pubblica. Signor Presidente, mi consenta altri trenta secondi.
Signor Presidente, in questa relazione, in quel documento, si afferma - scusate se mi soffermo sulla Valle del Sacco e su Colleferro - che le associazioni ambientaliste hanno rilevato che c'è stata una contaminazione chimica della popolazione rispetto ad attività industriali della ex BPD. È vero, lì c'è stato un vero e proprio disastro ambientale. Quel sito di Colleferro e della Valle del Sacco è di interesse nazionale e, anche qui, se vogliamo garantire la bonifica delle aree industriali per l'interramento dei rifiuti che è avvenuto nel corso degli anni, dobbiamo dare continuità all'azione di bonifica istituendo, magari, anche una tassa di scopo per attività specifiche, o a livello nazionale o a livello regionale, altrimenti continueremo a dire per anni che la Valle del Sacco, la discarica di Borgo Montello, sono siti inquinati mentre lo continueranno ad esserlo ancora per decine e decine di anni e a produrre, così, danni agli animali, ma, soprattutto, alle persone (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Dionisi. Ne ha facoltà.

ARMANDO DIONISI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, la relazione sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti nella regione Lazio, approvata dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, boccia, senza riserve, la gestione del ciclo dei rifiuti della regione Lazio e dei relativi Pag. 20enti locali. La raccolta differenziata, di fatto, non è mai partita e l'obiettivo di raggiungere, in tempi brevissimi, il 65 per cento rappresenta un'ambizione utopistica, che non corrisponde alla più ottimistica delle previsioni. Come in Campania, inoltre, il ciclo si regge sul conferimento in discarica. I termovalorizzatori sono sovradimensionati e per funzionare sono costretti ad importare CDR da fuori. Il comandante del NOE dei carabinieri di Roma ha confermato, nell'audizione in Commissione, che, nel Lazio, non ci sono impianti di CDR in grado di alimentare le 11 o 12 linee di termovalorizzazione previste. Le conclusioni della Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo integrato dei rifiuti confermano che le infiltrazioni della criminalità organizzata non riguardano solo la Campania, ma anche il Lazio. Il procuratore aggiunto di Roma e procuratore della Direzione distrettuale antimafia, Capaldo, nell'audizione in Commissione, ha affermato che la presenza della criminalità organizzata nel Lazio esiste ed è multiforme. In Campania c'è l'esclusiva della camorra, nel Lazio si registra la presenza anche della 'ndrangheta, della mafia e molte indagini sono la conferma di questo fenomeno.
Il procuratore Capaldo, ieri, in un'intervista sul quotidiano la Repubblica, indicava nel riciclaggio l'attività principale della criminalità organizzata a Roma, sia essa mafia, 'ndrangheta, camorra o criminalità locale. Roma, infatti, con i suoi capitali leciti ed illeciti, il mercato immobiliare e commerciale, rappresenta la piazza ideale. L'omicidio, ancora da definire, dai contorni oscuri, di Ceccarelli, avvenuto in Prati, è stata una vera e propria esecuzione, che conferma un fenomeno di criminalità organizzata. Il prefetto di Roma, Pecoraro, avalla questa tesi ed individua la presenza di associazioni criminali nel ciclo dei rifiuti, presenza che, tra l'altro, si è consolidata ed agisce, sia nelle fasi intermedie, sia nella falsificazione dei documenti di trasporto e nel trasporto stesso.
Passando ad una breve disamina della struttura di smaltimento della provincia di Roma, emerge un quadro di discariche così collocate sul territorio: Guidonia con l'Inviolata, la discarica di Cecchina ad Albano, la discarica di Cupinoro a Bracciano, e Civitavecchia con quella di Fosso del Prete. Il comandante dei NOE dei carabinieri di Roma ha segnalato, con chiarezza, in sede di audizioni, che queste discariche sono ormai vicine all'esaurimento se non si attua con celerità la raccolta differenziata.
C'è poi il caso Colleferro, che è stato qui ricordato, dove è presente un impianto del consorzio GAIA che è stato oggetto di indagini da parte del NOE stesso. Il NOE ha peraltro segnalato che il Lazio negli ultimi anni è stato interessato sia come località di transito dei flussi dei rifiuti provenienti da altre regioni sia come luogo di smaltimento finale dei traffici. Il comandante del NOE, nella sua audizione, ha sottolineato che l'AMA conferiva nell'impianto di Colleferro copertoni di automobili, panni, umido e altro, anziché CDR. Dall'inchiesta sono scaturite 13 ordinanze di custodia cautelare e 25 avvisi di garanzia per reati che vanno dall'associazione a delinquere alla truffa aggravata, dal falso ideologico al favoreggiamento. Oggi gli impianti ed i servizi del consorzio GAIA sono in amministrazione straordinaria e solo l'intervento della presidente Polverini può scongiurarne la chiusura, con gravi ripercussioni anche sul piano occupazionale.
Il presidente della regione ha allo studio la costituzione di una società regionale per la gestione degli impianti e ha richiesto al Ministero dello sviluppo economico la proroga dell'espletamento della gara per la cessione del complesso aziendale. L'obiettivo di mantenere l'impianto nella sfera pubblica allo scopo di realizzare il contenuto programmatico del piano dei rifiuti è un obiettivo importante. Auspico tuttavia una soluzione rapida per evitare l'incursione di privati che rilevino impianti di discarica, con ulteriori rischi di infiltrazioni malavitose. La società regionale dovrebbe essere pubblica e anche privata Pag. 21recuperando soprattutto il know-how e la tecnologia che è presente tra gli imprenditori nella nostra regione.
Dunque, signor Presidente, spenderò un pochino del mio tempo parlando del caso di Roma. Malagrotta, com'è noto, è la più grande discarica di Europa di proprietà di un gruppo privato, la società Giovi del gruppo Co.La.Ri, che fa capo all'avvocato Mario Cerroni. Si estende per circa 240 ettari dove vengono conferite circa 5 mila tonnellate giornaliere di rifiuti. La discarica è esaurita già dal 2008, ma di emergenza in emergenza, la chiusura ipotizzata è stata prorogata con ordinanza del presidente della regione al 2013. Sottolineo almeno al 2013. Il sindaco Alemanno, in sede di audizione nella Commissione parlamentare, ha evidenziato che Malagrotta è l'unica discarica presente nella capitale e il Co.La.Ri. opera in regime di monopolio ed ha testualmente dichiarato: «non esistono, rispetto allo smaltimento di Roma, alternative». Rispetto a questo rapporto privilegiato con un unico privato il sindaco ha aggiunto: Cerroni ha comunque garantito sinora la presenza di un'imprenditoria sana, conosciuta e testata; l'uscita di scena di questo imprenditore apre scenari che possono essere pericolosi. Aggiungerei che l'avvocato Cerroni ha evitato finora che Roma si trasformasse in una pattumiera come Napoli. Ho usato il termine «finora» perché è giunto il tempo di assumere e prendere decisioni. La responsabilità è del comune di Roma e del sindaco Alemanno, che non ha assunto a distanza di tre anni di governo della capitale alcuna decisione e non ha individuato alcun sito alternativo da proporre alla regione. Il problema dei rifiuti della capitale non si risolve con il rinvio o scaricando la soluzione sui comuni della provincia. La indicazione del sito di Allumiere ha suscitato giustamente vibrate proteste da parte degli amministratori e delle popolazioni locali. La sottoscrizione di un protocollo di intesa segreto tra il sindaco e il Ministro La Russa che mette a disposizione il sito militare di Santa Lucia di Civitavecchia, nel comune di Allumiere, non ha certamente contribuito a rasserenare i rapporti tra la capitale e i comuni della provincia. L'alternativa a Malagrotta non si risolve con i sotterfugi e le furbizie. Tra l'altro, la soluzione prospettata è una soluzione costosa per la distanza dalla capitale, devasta inoltre una area di pregio ambientale e crea tensioni non facilmente governabili con il territorio.
Vorrei qui ricordare che il territorio della provincia di Roma non è la pattumiera della capitale. Occorre costruire un diverso rapporto tra Roma e il suo hinterland. La provincia non esiste soltanto per risolvere il problema dei rifiuti, per mettere dei campi rom o accogliere gli immigrati. La presidente Polverini su questo punto è stata molto chiara: ad Allumiere non sorgerà nessuna cittadella dei rifiuti. Tra l'altro, individuare un sito al di fuori dell'ambito comunale non rientra nelle competenze del sindaco di Roma capitale, ma è una prerogativa della regione Lazio.
Concludo, signor Presidente: la relazione sul ciclo dei rifiuti approvata dalla Commissione non lascia spazi ad equivoci. È necessario dare impulso al piano rifiuti senza indugi, è necessario puntare alla riduzione dei rifiuti, ormai in costante crescita, puntando sulla raccolta differenziata e alla conclusione del ciclo integrato. L'obiettivo principale è l'utilizzo residuale dei rifiuti in discarica, con la riduzione ad un terzo rispetto ai conferimenti attuali. Io credo che sia giunto ormai il momento, non solo per l'infiltrazione della criminalità organizzata in questo settore, ma per dare una risposta che sia una risposta che risponda alle esigenze di questa regione, per evitare il rischio Campania, che si cominci ad agire e si cominci ad agire con serietà, ma sopratutto anche con grande determinazione (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro e Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Calabria. Ne ha facoltà.

ANNAGRAZIA CALABRIA. Signor Presidente, la Commissione di inchiesta sulle Pag. 22attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti ha presentato ed approvato la relazione territoriale riguardante la regione Lazio nel marzo 2011, dopo avere svolto un'intensa attività conoscitiva con decine di audizioni e alcune missioni e sopralluoghi, svolte a partire dal 6 maggio 2009 con l'audizione dell'allora presidente della regione, Marrazzo. L'attività della Commissione ha visto instaurarsi una virtuosa collaborazione di tutte le forze di polizia, delle associazioni ambientalistiche e dei comitati dei cittadini, della magistratura, dei vertici istituzionali e politici regionali e locali, in modo da produrre una notevole quantità di dati e informazioni che potranno essere utili.
La situazione del Lazio, che al pari della Campania e della Sicilia ha attraversato una condizione emergenziale, va inquadrata nell'ambito di una più generale crisi del sistema del ciclo dei rifiuti in Italia, crisi che è di origine antica, che riguarda l'intero settore territorio nazionale e che assume profili di vera e propria emergenza ambientale in specifiche aree regionali del centrosud, dove i rischi di infiltrazione della criminalità organizzata sono maggiori.
La relazione, come testé illustrato con precisione e dovizia di particolari dal presidente Pecorella, riporta con obiettività i dati emersi nel corso delle audizioni o delle verifiche tecniche svolte durante i sopralluoghi, sempre avendo presente che temi come quelli dell'emergenza ambientale e della lotta alla criminalità organizzata devono essere affrontati con spirito costruttivo e con pragmatismo. La situazione della regione Lazio è purtroppo assimilabile a quella delle regioni meno virtuose e con importanti carenze strutturali ed impiantistiche.
L'emergenza rifiuti è stata decretata fin dal 1999. La gestione commissariale, che si è protratta fino al 2008, non ha portato a superare le criticità nel ciclo dei rifiuti, andando nel verso opposto a quello della gestione integrata, come indicato dalla normativa europea e nazionale. L'Unione europea ha attivato una procedura di infrazione a cui la nuova giunta regionale ha cercato di porre rimedio, emanando un nuovo piano di gestione dei rifiuti il 19 novembre del 2010, che è stato presentato e illustrato alla Commissione europea nel gennaio di quest'anno.
Il livello di raccolta differenziata della regione, infatti, non è andato oltre a valori intorno al 12-13 per cento fino al 2010, con il fallimento degli obiettivi fissati dalla legislazione vigente e le diverse giunte che si sono avvicendate al governo della regione hanno fino ad oggi privilegiato il ricorso allo smaltimento a perdere in discarica. Il nuovo piano regionale persegue essenzialmente l'obiettivo di autosufficienza del sistema e tale finalità si declina attraverso quello che è lo snodo funzionale fondamentale, ovvero il forte potenziamento della raccolta differenziata e dunque il ruolo decisamente residuale che dovrà avere la discarica nel tempo. L'obiettivo centrale e prioritario da raggiungere entro il 2011 è il 60 per cento di raccolta differenziata sul territorio regionale.
Tuttavia, considerando che negli ultimi anni il trend di crescita della raccolta differenziata è stato assai basso, e che il traguardo del 60 per cento appare irrealizzabile e irraggiungibile nei tempi previsti, la presidente Polverini, nel corso della sua audizione, ha dichiarato di voler chiedere al Ministro dell'ambiente la deroga al raggiungimento di tale obiettivo previsto per legge.
La realizzazione della nuova impiantistica prevista, oltre all'attivazione di quella già autorizzata, infatti, non potrà compiersi prima di tre o quattro anni, nonché la realizzazione di una nuova linea di termovalorizzazione o la messa a completo regime di quelle esistenti. Dunque, per il momento, tutte le iniziative legate al raggiungimento dell'obiettivo appaiono ipotetiche, ed il conferimento in discarica, che rappresenta il fallimento della gestione virtuosa del ciclo, rimane ancora uno strumento irrinunciabile nel breve se non nel medio termine.
Secondo la Commissione il polo di Malagrotta, con le sue strutture impiantistiche (impianti di trattamento meccanico-biologico, Pag. 23impianti di gassificazione e l'impianto di discarica) rappresenta l'unica piattaforma tecnologica di valore regionale e nazionale. In tale contesto il sistema imprenditoriale locale ha però operato scarsi investimenti nel ciclo della gestione integrata dei rifiuti. L'esaurirsi della capacità della discarica di Malagrotta e delle altre discariche impone, quindi, con il concorso di tutte le istituzioni locali, l'individuazione di un sito alternativo per la città di Roma, senza il quale l'emergenza rifiuti rischierebbe di aggravarsi. Le maggiori criticità nella regione Lazio si sono riscontrate nella gestione dell'impianto di termovalorizzazione di Colleferro, dove gli illeciti ivi accertati sono stati evidentemente favoriti dalla carenza nel sistema dei controlli da parte degli organi preposti.
Le carenze impiantistiche e strutturali, che sono evidenti anche nel settore della gestione dei rifiuti speciali, la vicinanza con aree ad alto rischio come la provincia di Caserta e la morfologia del territorio laziale aumentano alcuni particolari rischi, come è stato ricordato dagli interventi che mi hanno preceduto. Infatti, vi è il rischio che sul territorio laziale possa realizzarsi una presenza generale di 'ndrangheta, di camorra e di mafia siciliana, come ha affermato alla Commissione il procuratore aggiunto di Roma, coordinatore della Direzione distrettuale antimafia, anche se nei procedimenti penali di cui ha dato conto alla Commissione non vi sono specifici riscontri di raccordo strutturale tra smaltimento illecito dei rifiuti e criminalità organizzata.
In tal senso è ancora più auspicabile che i lavori della Commissione possano fornire un ulteriore supporto alle istituzioni, al fine di razionalizzare e migliorare il sistema integrato del ciclo dei rifiuti, in particolare sul territorio laziale (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tidei. Ne ha facoltà.

PIETRO TIDEI. Signor Presidente, se nella relazione sul ciclo dei rifiuti - che ci accingeremo ad approvare nei prossimi giorni - appare, dalle audizioni che vi sono state, non influente o, comunque, di scarsa rilevanza, la penetrazione di criminalità organizzata nella gestione del ciclo dei rifiuti, appare altrettanto evidente, però, che la situazione nel Lazio è certamente non rosea, anzi, comincia a dar segni di forte preoccupazione, e dirò perché, anche mettendo in evidenza alcune carenze che nella relazione stessa vi sono.
Partiamo intanto dall'assunzione di alcune responsabilità che vi sono state nel recente passato, ma soprattutto di quelle attuali. Responsabilità che, di fatto, preludono ad una situazione così confusa, così drammatica e così emergenziale che da qui a qualche giorno, o qualche mese, non è escluso che si dichiarerà l'emergenza rifiuti nel Lazio. A questo punto, vista l'incapacità del sindaco di Roma - su cui dirò - e della governatrice Polverini, il lavoro sporco lo si farà fare a qualcun altro, anche perché l'assunzione di quelle responsabilità, che in questi anni il sindaco di Roma ha rifiutato scientemente di prendersi, oggi ricadrà inevitabilmente sulle popolazioni che sono fuori dalla provincia di Roma.
È infatti evidente che se 4 milioni di cittadini (tra Roma e provincia) producono determinati rifiuti e non vi è una politica seria per prevederne uno smaltimento corretto, anche perché la relazione mette bene in evidenza le carenze strutturali ed impiantistiche nella regione Lazio, tutto ciò è contrario - lo diceva anche la collega del PdL - agli orientamenti e alle strategie dettate dall'Unione europea e dalla legislazione nazionale in materia di rifiuti.
In modo particolare in quest'ultimo periodo la regione e il sindaco di Roma vanno verso soluzioni contrarie a quelle dell'Europa: non il revamping, uno smaltimento a perdere, non un ammodernamento e potenziamento delle strutture di trattamento finalizzate alla separazione del secco dall'umido del rifiuto e dalla produzione di CDR per essere utilizzato Pag. 24nei termovalorizzatori, la stabilizzazione della stessa frazione umida, la scarsa, anzi irrilevante, raccolta differenziata.
Se oggi noi siamo al 10-12 per cento non ce la possiamo prendere con qualcuno. Se oggi possiamo dire che la Polverini in maniera ottimistica, a mio avviso irresponsabile, prevede nel 2011 una percentuale pari al 60 per cento della raccolta differenziata, è evidente che stiamo ormai giocando sulla salute e sulla pelle delle nostre popolazioni. Infatti, quando questo risultato non ci sarà - e sappiamo perché non ci sarà - allora si sarà costretti sicuramente o a chiedere proroghe di discariche già esaurite o, viceversa, a dichiarare un'emergenza rifiuti che sappiamo tutti cosa produce.
Pertanto, credo che su questo dobbiamo essere molto chiari e, anche se in Commissione tutto sommato c'è stata una convergenza in maniera unitaria, per quanto riguarda la mia parte politica non posso assolutamente accodare a questa unanimità, perché credo che ognuno si debba assumere le proprie responsabilità.
La prima questione è la seguente. La Polverini, forse d'accordo con il sindaco Alemanno, che cosa fa? Intanto toglie i sub-ATO provinciali e fa un ATO regionale che intanto serve per mantenere le mani della regione sul ciclo dei rifiuti e già questo è un abuso di potere. In secondo luogo, nella provincia di Roma non ci sono più i sub-ambiti, perché sarebbe stato molto più facile all'interno degli stessi responsabilizzare i comuni bacino per bacino, risolvendo, bacino per bacino, quella che era l'esigenza di smaltimento corretto dei rifiuti.
Invece, sono stati eliminati i sub-ambiti provinciali e si è fatto un solo ambito per Roma e provincia. Se poi Alemanno dice che a Roma non farà più stoccare o smaltire rifiuti, qual è la soluzione? Siccome l'ambito è uno, a questo punto, se Alemanno dice che a Roma non considera più rifiuti è evidente che questi ultimi andranno in provincia.
Allora il primo risultato è che Alemanno, da buon Pilato qual è, che cosa fa? Decide di non portare i rifiuti a Roma, però nel frattempo cerca di scaricarli fuori dalla provincia di Roma. La stessa cosa sta avvenendo con tutto il resto. Alemanno risolve il problema dei rom verso il nord, verso la Tiberina e lì mette un campo di rom.
La Polverini dove risolve il problema dei clandestini? A Civitavecchia, unico punto del Lazio: 700 clandestini accasermati nella caserma De Carolis e non a Roma, perché Alemanno non solo dice di non volerli lì, ma si preoccupa anche di non farli uscire, premendo sul prefetto e sul questore affinché i clandestini non escano, perché sennò vanno a Roma. Quindi non solo non li vuole, ma si preoccupa anche che questi poi non possano liberamente andare a Roma.
Non solo: se non ci fosse stata la questione dello tsunami, probabilmente ci saremmo presi pure la centrale termonucleare di Montalto Di Castro. Ci siamo presi già il carbone, ma che cos'altro deve fare questa città per prendersi tutte queste cose? Adesso che cosa propone Alemanno? Mi rivolgo al Presidente: il Ministro La Russa ancora non mi ha risposto, nonostante l'interrogazione precisa che ho presentato, circa un protocollo che ha firmato a novembre con il sindaco Alemanno per stoccare i rifiuti di Malagrotta a Civitavecchia (altra questione, quindi).
Ancora mi deve rispondere e invece chi ci risponde? Ci rispondono la Repubblica e tutti i giornali, dicendo che c'è stato questo accordo tra il Ministro La Russa e Alemanno per portare la discarica di Malagrotta a Civitavecchia nel centro chimico militare di Santa Lucia dove già si stocca tutto il materiale bellico nocivo che è in giro per l'Italia.
Allora io dico che intanto si tratta di una scorrettezza, perché un Ministro alle interrogazioni deve rispondere, poiché abbiamo chiesto espressamente se era vera quella notizia. Inoltre, guarda caso, è invece Alemanno, consultato in quella Commissione, da bugiardo qual è - lo dico - che omette di dire di aver firmato questo contratto (chiamiamolo così), questo accordo, che poi non è un protocollo di intesa. Pag. 25
Si tratta di un accordo che prevede di stoccare i rifiuti in un polo integrato relativo a tutto il ciclo nel campo chimico militare di Civitavecchia, accanto ad una zona a protezione speciale dove dovrebbe sorgere un parco nazionale o regionale dei Monti della Tolfa e dove c'è un sito di interesse comunitario (SIC). Allora - e concludo, signor Presidente - noi riteniamo oggi che né le emergenze né il commissariato possano essere soluzioni ideali. Ci vuole l'assunzione di responsabilità degli enti locali, i quali, ritornando a degli ambiti subprovinciali, si assumano la responsabilità perché gli enti locali se la debbono assumere e se la possono assumere, ma non possono assistere ad uno «scaricabarile» tra la Polverini e Alemanno per portare i rifiuti fuori da Roma e per lasciare in una situazione drammatica alcuni territori pregiati della nostra provincia.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Tidei.

PIETRO TIDEI. Concludo, signor Presidente. Il procuratore generale presso la Corte di cassazione, in sede di inaugurazione dell'anno giudiziario, lo stesso procuratore della corte di appello, la stessa associazione «Antonino Caponnetto» e le forze politiche hanno dichiarato che ci sono le forze mafiose e le organizzazioni criminali nell'ambito di Civitavecchia, sia dentro il porto sia soprattutto dentro la centrale elettrica. Pertanto, se oggi porteremo in quell'area grandi investimenti, visto che già lì ci sono le forze criminali pronte ad azzannare questo boccone, sicuramente importeremo lì quella criminalità che tutti temono che ci sia e che alla fine ci sarà.
Quindi la soluzione non è quella, ma diversamente deve esserci un'assunzione di responsabilità da parte di tutti per risolvere concretamente il problema dei rifiuti - contrariamente a ciò che vogliono Alemanno e la Polverini - a Roma e nel Lazio (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Morassut. Ne ha facoltà.

ROBERTO MORASSUT. Signor Presidente, colleghi, la relazione della Commissione di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti nel Lazio e anche la proposta di risoluzione che l'accompagna costituiscono, nella situazione attuale della regione Lazio, degli strumenti utili di approfondimento e anche di lettura della più generale situazione della gestione integrata del ciclo dei rifiuti nella regione. Benché, come emerge dalle numerose audizioni che la Commissione ha svolto, ad oggi non risultano procedimenti giudiziari rilevanti in corso in relazione alla presenza della criminalità organizzata di stampo mafioso nel ciclo integrato dei rifiuti, molti riscontri portano però a ritenere rilevante e crescente la presenza nel settore dei rifiuti del fenomeno delle ecomafie. Tutto ciò rende il Lazio per una serie di ragioni ambientali, morfologiche e territoriali, una regione esposta e minacciata dalla criminalità organizzata, dalle attività illecite della criminalità comune ed economica e comunque da fenomeni di corruzione, anche da parte di privati, nei confronti della pubblica amministrazione, per i quali invece esistono - come è ricordato nel documento - numerosi procedimenti penali in itinere.
Alla luce degli elementi che sono stati forniti dall'indagine della Commissione parlamentare, che è sorretta da una ricca dote di dati e di approfondimenti, si deve ritenere che le difficoltà riscontrate nel tempo e anche le responsabilità di diverse amministrazioni locali, sia regionali sia provinciali che comunali, nell'intraprendere con determinazione la strada di una piena attuazione di una politica integrata del ciclo dei rifiuti e del loro smaltimento sia la causa principale anche della penetrazione di organizzazioni criminali e di illeciti amministrativi e penali che si sono determinati e che sono in atto nel territorio in questo momento.
Tuttavia occorre mettere in evidenza alcuni aspetti che sono importanti per ricostruire la storia degli ultimi anni ed Pag. 26anche per individuare meglio le responsabilità, chi più chi meno, ma non bilanciate, e questo è un limite della risoluzione perché in quella risoluzione si dà un giudizio un po' equanime, cioè si dice che da dieci anni nessuno fa niente. In realtà le cose non stanno così. Le cose vanno approfondite e spiegate per individuare meglio le responsabilità e anche la via per determinare, se è possibile, un'inversione di tendenza in una situazione che sta diventando vieppiù drammatica. Il Lazio infatti - bisogna ricordarlo - è stato in una situazione di emergenza dichiarata sostanzialmente con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 19 febbraio del 1999.
Ciò si è protratto dal 1999 al giugno 2008, che è l'anno in cui da questa situazione emergenziale il Lazio è uscito con una relazione del presidente della regione Marrazzo nella figura di commissario delegato pro tempore di Commissario delegato per l'emergenza ambientale nel territorio della regione Lazio. In quell'occasione, sono stati fissati degli indirizzi fondamentali per l'insieme dei problemi legati all'emergenza in relazione al periodo transitorio 2008-2011. Quindi, noi abbiamo avuto un periodo di circa dieci anni dal 1999 (data della dichiarazione d'emergenza) al 2008, quando la regione Lazio si è attivata di fatto con un piano poi approvato dal Ministero dell'ambiente. Tuttavia, quel piano non è mai andato in consiglio regionale per la scadenza amministrativa. Abbiamo, quindi, avuto un periodo di dieci anni di paralisi amministrativa, di sostanziale stasi, di assenza di iniziative e di azione da parte dell'istituzione regionale.
In questa relazione, trasformata come dicevo in un piano rifiuti approvato dal Ministero, non approvato dal consiglio regionale nel 2010 per la scadenza amministrativa vi è stata la modifica non irrilevante, come ha ricordato il collega Tidei, di avere introdotto un unico ATO regionale con cinque subambiti provinciali, che ha determinato anche problemi soprattutto nella provincia di Roma con una sostanziale acquisizione e continuità da parte del presidente Polverini nel novembre 2010.
In quel piano venivano indicate alcune linee di azione che possono essere così riassunte: in primo luogo, strategicamente decisivo, il problema dell'aumento della percentuale di raccolta differenziata da parte dei comuni con l'obiettivo finale entro il 2011 del 50 per cento, poi modificato per legge (60 per cento). Su questo punto occorre fare una riflessione approfondita perché già stiamo considerando i livelli e i trend di crescita della raccolta differenziata nel Lazio. Lo stesso obiettivo del 50 per cento apparve all'epoca ambizioso e molto più realistico - seppur ambizioso - poteva essere considerato il limite del precedente tetto previsto dal decreto Ronchi del 33 per cento. Tuttavia, fu stabilito questo.
In secondo luogo, erano previsti il potenziamento delle infrastrutture e gli investimenti per costruire le infrastrutture a sostegno del ciclo integrato dei rifiuti con la realizzazione di nuovi impianti di trattamento. Poi c'è il tema che riporta Carella sulla qualità del CDR, sulle differenze tra ciò che si fa nel Lazio e che si fa in altri territori, ma intanto nel Lazio c'era e c'è ancora bisogno di potenziare gli impianti di trattamento biomeccanico e, inoltre, oltre a quelli esistenti venivano proposti in quel piano altri quattro impianti (Latina, Guidonia, Bracciano e Colleferro).
Un'ulteriore decisione assunta in quel piano (che spettava alla regione in termini di indirizzo) è relativa a sei nuove linee di termovalorizzazione e di gassificazione fino a raggiungere un totale - nell'arco del periodo transitorio 2008-2011 - di nove linee per il territorio della provincia di Roma (mi riferisco solo a tale territorio) fino ad arrivare a tre linee per San Vittore, due linee per Colleferro, due linee per Albano (impianto attualmente ancora fermo per problemi di giustizia amministrativa) e due linee per Malagrotta.
Attualmente, di queste nuove linee in funzione sono solo forse la metà. Era, inoltre, previsto un ampliamento limitato e controllato di alcune discariche per lo Pag. 27sversamento del cosiddetto «talquale» al fine di gestire un periodo transitorio legato all'esaurimento delle principali discariche - in primo luogo Malagrotta - esistenti e al fatto che ci voleva del tempo per realizzare queste nuove infrastrutture.
Ancora vi erano il potenziamento e l'aumento degli impianti di compostaggio per la frazione umida arricchita dalle potature. Infine, cosa importante, si stabiliva un investimento di circa 200 milioni di euro di fondi regionali, di FAS e POR, per aumentare la raccolta differenziata e raggiungere in tempi accettabili il tetto, prima del 33 per cento stabilito dal precedente decreto Ronchi e puntare all'obiettivo di legge del 50 per cento - lo ripeto - sicuramente ambizioso e forse irrealistico anche nei tempi medi.

PRESIDENTE. Onorevole Morassut, la prego di concludere.

ROBERTO MORASSUT. Le vicende successive - e concludo - si sono incaricate di dimostrare la non applicazione di quegli indirizzi. Questo è il punto fondamentale.
Oggi torniamo a parlare di emergenza rifiuti nel Lazio e di rischio di penetrazione di organizzazioni criminali, le ecomafie, che si avvicinano al ciclo integrato dei rifiuti e che sono presenti nel settore del business ambientale e dei rifiuti e che stanno attaccando la filiera del ciclo integrato perché quegli indirizzi non sono stati attuati, oltre che per i problemi precedentemente ricordati dai colleghi, per un problema fondamentale - sul quale concludo - che non si può tacere e che riguarda, in particolare, il mancato recepimento, da parte della capitale e dell'amministrazione comunale di Roma, di queste priorità.
Secondo i dati forniti dall'indagine della Commissione parlamentare di inchiesta, infatti, - e i dati sono ovvi, ma anche documentati - Roma produce il 76 per cento dei rifiuti solidi urbani su scala regionale, mentre l'indice percentuale di raccolta differenziata si attesta da più di tre anni, cioè da più della durata di questa amministrazione, più o meno nella media regionale del 15 per cento, di gran lunga distante, quindi, sia dal 33 per cento sia dal 50 per cento sia dal 60 per cento del piano Polverini, percentuali per le quali, peraltro, la presidente stessa ha richiesto una deroga al Governo.
Roma è, quindi, un problema e con essa è un problema la sua azienda che si occupa del settore, cioè l'AMA. In questi tre anni non si è fatto nulla per attuare quegli indirizzi, non è stata aumentata la raccolta differenziata e gli impianti di trattamento AMA sono fermi (Rocca Cencia è a mezzo servizio e l'impianto di via Salaria è del tutto fermo). Conseguentemente, la qualità, oltre che la quantità, del ciclo dei rifiuti è insufficiente a garantire sia il funzionamento degli impianti esistenti di termovalorizzazione sia la progettazione e l'avvio di nuovi impianti.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

ROBERTO MORASSUT. Concludo subito. Si è proseguito, nei fatti, con la politica tradizionale del conferimento in discarica, accentuando la dipendenza monopolistica dal privato, e non si è avuto il coraggio di affrontare con chiarezza il tema dell'individuazione di nuovi siti per discariche alternative e per nuovi impianti, aprendo così un contrasto con la provincia di Roma, come ha ricordato l'onorevole Tidei, con la proposta di Allumiere.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

ROBERTO MORASSUT. Pertanto, credo che la risoluzione in discussione dovrebbe entrare anche nel merito di questa materia e anche fungere da richiamo per il comune di Roma affinché si affronti il tema del rilancio dell'AMA come azienda industriale e non venga, questa azienda, trattata solamente come un'azienda di spazzamento tradizionale, le cui risorse vengono utilizzate per altri fini e non per quelli relativi alla sua funzione, alla sua natura e vocazione industriale nel ciclo integrato dei rifiuti (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

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PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Zamparutti. Ne ha facoltà.

ELISABETTA ZAMPARUTTI. Signor Presidente, riconosco alla Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse, in ordine alla relazione sulla regione Lazio, di aver svolto un ottimo lavoro perché ha evidenziato bene le criticità che negli anni si sono accumulate e che potrebbero portare presto a una crisi ambientale, criticità dovute davvero a una politica bipartisan che ha visto negli anni succedersi il governo della regione dal centrosinistra a quello del centrodestra, entrambi incapaci di riuscire a programmare un ciclo dei rifiuti virtuoso e conforme alle direttive europee.
Anche nel Lazio il commissariamento, che inizialmente doveva durare solo un anno, alla fine è durato nove anni, senza riuscire a risolvere i problemi di fondo e senza neanche riuscire a predisporre e a redigere un piano dei rifiuti conforme alle direttive europee.
Voglio evidenziare che se Roma non ha ancora i rifiuti per strada, come a Napoli, in realtà non è perché ha avviato un ciclo virtuoso dei rifiuti ma perché, in virtù di proroghe annuali generalmente contenute nelle leggi finanziarie, è stato derogato a quanto stabilito dalla direttiva 1999/31/CE, che abbiamo recepito nel 2003 e che è diventata operativa solo nel 2005, che stabilisce che in discarica possono entrare solo rifiuti pretrattati, cioè quelli depurati dalla raccolta differenziata.
È, quindi, grazie alla determinazione bipartisan di violare le norme europee, conferendo illecitamente rifiuti nella più grande discarica d'Europa, che tonnellate di rifiuti non occupano le nostre strade ma rischiano, comunque, di causare un disastro ambientale.
Per comprendere il fallimento della gestione del ciclo dei rifiuti basta pensare al fatto che la raccolta differenziata, che per legge doveva raggiungere il 35 per cento entro il 2003 - obiettivo per il quale peraltro furono stanziati 64 milioni di euro, in base agli ultimi dati ufficiali che risalgono al 2008 - in realtà non supera il 20 per cento.
In materia di rifiuti è molto importante la programmazione, mentre la classe politica che ha governato la regione in questi anni non ha saputo lavorare su questo tema, tant'è che la stessa Unione europea ha condannato, con sentenza del 2007, il Piano che pure era stato adottato, ritenendo fondata la censura della Commissione in merito alla mancata elaborazione di un serio piano di gestione dei rifiuti, essendosi ritenuto che il piano approvato non abbia un grado di precisione sufficiente per assicurare la piena efficacia della direttiva 75/442/CEE e non consenta di individuare i luoghi e gli impianti adatti allo smaltimento dei rifiuti, in particolare per quanto riguarda i rifiuti pericolosi.
È vero che la presidente Polverini ha risposto approvando un nuovo piano che - è bene sottolinearlo - non ha ancora avuto il consenso del Consiglio regionale, ma solo l'accettazione da parte dell'esecutivo, ma anche questo Piano regionale dei rifiuti della giunta di centrodestra non risolve quei problemi che anche la Commissione bicamerale, con la sua relazione sui rifiuti, ha evidenziato. Il piano della Polverini contiene in realtà due piani. Il primo tiene conto della normativa vigente in Italia, ossia della legge n. 296 del 2006 e fissa come obiettivo al 2011 il raggiungimento del 60 per cento di raccolta differenziata, mentre il secondo, che viene definito scenario di controllo, nasce dall'ipotesi di avere negli anni una crescita inerziale sia di produzione di rifiuti che di percentuale di raccolta differenziata. I due piani sono l'uno irrealizzabile e l'altro non è in grado di individuare i luoghi o gli impianti adatti allo smaltimento dei rifiuti ed è proprio per questo motivo che i consiglieri regionali della lista Bonino-Pannella, Giuseppe Rossodivita e Rocco Berardo, hanno inviato un report al Commissario all'ambiente dell'Unione europea per contestare il documento della Polverini. Per quanto attiene - come dicevo prima - a quello che si considera il primo dei piani contenuti nel documento redatto Pag. 29dalla giunta della presidente Polverini sulla riduzione dei rifiuti, l'Unione europea richiederebbe l'assolvimento di tutt'altro onere di specificazione delle misure da adottare e di valutazione del loro impatto. Sulla raccolta differenziata nessun tipo di seria programmazione e valutazione delle misure che si intendono adottare risultano esplicitate e pertanto appare meramente velleitario. Sul trattamento meccanico e biologico non c'è nessun provvedimento atto a mettere a regime l'intero parco impianti di trattamento in questo settore e sul compostaggio l'incremento di capacità previsto - anche se ci fosse - non consentirebbe, a nostro giudizio, di soddisfare la capacità necessaria aggiuntiva e, d'altro canto, è irrealistico pensare che tale capacità sia disponibile già dal 2011.
Per quanto riguarda quello che definivo prima come scenario di controllo, anche questo Piano manca di un grado di precisione sufficiente per assicurare la piena efficacia della direttiva 75/442/CEE così come la Corte di giustizia aveva già motivato con la precedente condanna dell'Italia. L'avevo accennato anche all'inizio: se a Roma non c'è ancora una situazione come quella di Napoli non è perché c'è un ciclo virtuoso, ma perché esiste una discarica, la più grande d'Europa, che un monopolista da circa trent'anni mette a disposizione. Parlo della discarica di Malagrotta. Per troppi anni, in modo assolutamente bipartisan, la politica della regione non ha voluto avviare un ciclo virtuoso di rifiuti e ha continuato a conferire più dell'80 per cento dei rifiuti solidi urbani nelle discariche. In queste - è bene chiarirlo, come ha già fatto la Commissione bicamerale - si conferisce anche il CDR di bassa qualità e parte della raccolta differenziata di altrettanto bassa qualità o non trattata in impianti adeguati.
La discarica di Malagrotta è un problema soprattutto ambientale, il conferimento per tantissimi anni di tal quale - si stima che siano stati conferiti negli anni circa 60 milioni di rifiuti della capitale - ha come conseguenza un inquinamento elevatissimo della zona. I controlli sono stati e continuano ad essere fallaci, la popolazione che vive in quella zona ha più volte denunciato l'inoperosità delle giunte di centro, di destra e di sinistra per risolvere questo grave problema.
La discarica di Malagrotta è diventata per poco tempo oggetto di infrazione europea, poi bloccata nel 2005 attraverso un piano di adeguamento, ma si sapeva benissimo che si trattava di un piano di riassetto della discarica di Malagrotta puramente sulla carta e che non sarebbe cambiato nulla. È vero che anche i cittadini hanno fatto ricorso al Mediatore europeo che in parte ha riconosciuto le loro preoccupazioni, per cui è partita un'indagine della Commissione europea perché questa discarica è in esaurimento. Dai dati forniti dalla regione si evince che i rifiuti di Roma non potranno più essere conferiti a Malagrotta a partire dall'estate 2011, a meno che il presidente Polverini non voglia prendere una decisione gravissima, cioè autorizzare ulteriori lotti progettuali per cinque milioni di metri cubi nella zona Testa di cane, sempre nella discarica di Malagrotta. Questa scellerata soluzione è stata suggerita dal padrone della discarica, l'avvocato Manlio Cerroni, e ad oggi non è stata respinta né dal presidente Polverini né dal sindaco Alemanno. Voglio sperare che questo non avvenga, le popolazioni del luogo hanno per troppi anni sopportato questo scempio ambientale e oggi nel Lazio siamo di fronte ad una situazione molto critica, frutto di anni di non scelte. La discarica di Malagrotta è in esaurimento ed il piano rifiuti della Polverini non risolve assolutamente i gravissimi problemi della regione. La relazione della Commissione bicamerale ha il merito di centrare le tante criticità su cui per anni non si è fatto assolutamente nulla. Per sperare di non trovarsi nella stessa situazione della Campania, la regione deve assolutamente seguire le direttive europee e non pensare solo agli inceneritori e alle discariche. Occorre cambiare pagina ed in fretta.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione.

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(Annunzio di una risoluzione - Doc. XXIII, n. 6)

PRESIDENTE. Avverto che è stata presentata la risoluzione Pecorella, Bratti, Volpi, Libè, Rugghia, Monai e Della Vedova n. 6-00076, che è in distribuzione (Vedi l'allegato A - Doc. XXIII, n. 6).

(Intervento e parere del Governo - Doc. XXIII, n. 6)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo, che esprimerà altresì il parere sulla risoluzione presentata.

ANDREA AUGELLO, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, il Governo esprime parere favorevole sulla risoluzione presentata.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione Della Vedova ed altri n. 1-00612 concernente iniziative relative alla situazione delle carceri (ore 16,15).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Della Vedova ed altri n. 1-00612, concernente iniziative relative alla situazione delle carceri (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Ricordo che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione delle mozioni è pubblicato in calce al resoconto stenografico del 7 aprile 2011.
Avverto che sono state altresì presentate le mozioni Rao ed altri n. 1-00614, Ferranti ed altri n. 1-00615 e Costa ed altri n. 1-00616 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente (Vedi l'allegato A - Mozioni). I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni presentate.
È iscritto a parlare l'onorevole Della Vedova, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00612. Ne ha facoltà.

BENEDETTO DELLA VEDOVA. Signor Presidente, il caso fa bene le cose spesso e in realtà la presentazione di questa mozione all'inizio di questa settimana ritengo ci consenta di stare con i piedi per terra rispetto alle roboanti dichiarazioni che sentiremo nelle prossime giornate, discutendo di processo breve e soprattutto di prescrizione breve. Il nostro gruppo è voluto tornare quindi con una certa celerità a ridiscutere della questione delle carceri, un tema sollevato più volte anche in questa legislatura da tanti colleghi dell'opposizione e in particolare, con puntualità, dai colleghi della delegazione radicale nel Partito Democratico. Riteniamo che si debba insistere su questo punto a maggior ragione nel momento in cui, da parte della maggioranza, ci si riempie la bocca con i temi del garantismo - ci tornerò in conclusione -; un garantismo a targhe alterne per cui per i «colletti bianchi» e per una serie di reati si scivola nella mollezza di un diritto molto mite, mentre invece per i «poveri cristi» - questa è la sintesi - si continua a fare la faccia feroce.
Le carceri italiane versano in uno stato di sovraffollamento non tollerabile. Sono i soliti dati, ma vale la pena di ripeterli: 206 strutture, 67.961 detenuti, capienza di poco più di 45 mila, un tasso di sovraffollamento del 151 per cento. Metà della popolazione carceraria è costituita da imputati in attesa di giudizio, ma di questo il garantismo a targhe alterne poco si preoccupa e, quindi, pochissimo si occupa. Così come la cronica insufficienza e il degrado delle carceri fanno sì che sia disattesa la previsione ordinamentale di separare la carcerazione per i detenuti in attesa di giudizio da quella di coloro che hanno subito una sentenza definitiva. La politica criminale degli ultimi anni, segnatamente Pag. 31degli ultimi tre, ha pericolosamente oscillato tra provvedimenti, anche di natura processuale, la cui natura straordinaria ha avuto come effetto l'incentivazione delle spinte securitarie e l'istituzionalizzazione dell'emergenza, senza risolverla né sul fronte dell'ingolfamento processuale né su quello del trattamento sanzionatorio. In particolare, tra il 2007 e il 2010 è stato riassorbito l'effetto della legge 31 luglio 2006, n. 241, di concessione dell'indulto, e la popolazione carceraria è passata dai 39 mila e poco più detenuti del 31 dicembre 2006 - quindi dopo l'indulto - di nuovo ai 68 mila del 30 giugno 2010. Oggi siamo poco sotto, come abbiamo detto. La legge n. 199 del 2010, approvata l'autunno scorso, il 26 novembre, la cosiddetta svuota carceri, ha consentito la scarcerazione di 1.788 detenuti, a fronte di una platea di potenziali destinatari molto ridotta, ma che comunque era di quasi 8 mila. Ciò anche a causa della mancata predisposizione di un'adeguata rete di servizi sociali e di pubblica utilità. Tale carenza, come era prevedibile, anzi era stato previsto nel corso della discussione, si è scaricata su tutti quei detenuti privi di famiglie pronti ad accoglierli e in misura maggiore sui cittadini extracomunitari, che non hanno potuto godere degli effetti della norma, anche quando condannati per quei reati di minore gravità che sono presupposti ai fini della concessione del beneficio. Il ricorso a provvedimenti deflattivi connotati da urgenza e contingenza, come quelli sopra menzionati, è contraddetto da misure di segno contrario, come quella contenuta nella legge 15 luglio 2009, n. 94, il pacchetto sicurezza, che ha modificato l'articolo 135 del codice penale, aumentando il parametro di conversione delle pene detentive in pene pecuniarie da 38 a 250 euro per giorno - quindi un aumento grosso modo del 600 per cento - impedendo così ai meno abbienti di accedere al beneficio, con sostanziale sacrificio del principio di uguaglianza. Questo è ciò di cui i garantisti dovrebbero occuparsi o almeno anche di questo. Io dico innanzitutto di questo in termini cronologici. Poi c'è la questione delle risorse: mentre il sovraffollamento è cresciuto, portando la popolazione detenuta quasi a raddoppiare, passando dalle 39 mila e poco più presenze del 1o gennaio 2007 alle 67.961 del 31 dicembre 2010, la spesa media giornaliera pro capite è scesa a 113 euro (nel 2007 era di 198,4 euro, nel 2008 di 152,1 euro e nel 2009 di 121,3 euro).
Nel dettaglio, l'associazione Ristretti Orizzonti ha fatto un computo di come si distribuiscano queste risorse: per ogni detenuto, per quanto riguarda beni e servizi, si arriva a 13 euro al giorno; quindi, meno risorse e, come ci dice il Sappe, sindacato autonomo di polizia penitenziaria, meno organici. Nel 2001 erano presenti 41.608 agenti penitenziari a fronte di 53.165 detenuti e nel 2009 gli agenti erano 39 mila e i detenuti 64 mila. La pianta organica della polizia penitenziaria fissata in 45.121 unità risulta scoperta per circa 6 mila unità.
Abbiamo, quindi, di fronte una situazione in cui la condizione carceraria continua a peggiorare e le norme implementate tengono in galera le persone in attesa di giudizio e rendono sempre più difficile l'uscita di galera anche per i reati minori, aumentando, come è stato detto, del 600 per cento il parametro di conversione delle pene detentive in pene pecuniarie, rendendole inaccessibili, di fatto, se non a chi ha un sacco di soldi; questo nonostante sia dimostrato che esiste una correlazione tra l'accesso ai benefici concessi dall'ordinamento e la riduzione del tasso di recidiva.
Cito una pubblicazione estratta dalla Rassegna penitenziaria e criminologica, edita dal Ministero della giustizia. Il titolo della pubblicazione è: «Le misure alternative alla detenzione tra reinserimento sociale e abbattimento della recidiva». Questo studio mostra, avendo come base la popolazione degli scarcerati dal 1998, che la recidiva di coloro a cui erano state concesse misure alternative alla detenzione è molto minore dell'universo di riferimento. È un altro dato che bisognerebbe tenere in alta considerazione, a differenza di quanto succede. Vi sono i casi eclatanti, naturalmente, sui quali si Pag. 32possono costruire campagne «manettare» mediatiche, ma il dato reale è che chi accede alle pene alternative ha un tasso di recidiva molto più basso della media delle persone poi scarcerate.
Noi chiediamo di impegnare il Governo ad assumere iniziative innanzitutto volte ad adeguare, in vista dei prossimi provvedimenti finanziari, la spesa pro capite per detenuto, prevedendo, rispetto alla base del 2007, quanto meno una riduzione che non sia superiore a quella media del comparto dei Ministeri. Chiediamo, poi, di predisporre sul piano normativo un complesso di riforme, dalla depenalizzazione dei reati minori - indicazione che viene molto spesso dalle forze di polizia e dalla magistratura - ad una più ampia e più certa accessibilità delle misure alternative alla detenzione, dalla definizione di parametri più accessibili per la conversione delle pene detentive in pene pecuniarie ad una più severa limitazione del ricorso alla custodia cautelare in carcere.
Si tratta di provvedimenti che avrebbero un effetto strutturalmente deflattivo della popolazione carceraria. Chiediamo, inoltre, quello che andrebbe fatto per civiltà, cioè lavorare per migliorare le condizioni di detenzione dei condannati o di coloro che sono in galera in attesa di giudizio. Infine, chiediamo di implementare finalmente - ne parliamo dall'inizio della legislatura - il «piano carceri», anche attraverso il ricorso a forme di partecipazione privata ai programmi di edilizia penitenziaria, a partire dall'utilizzo di quegli strumenti di mercato che, anche sul piano urbanistico, possono incentivare gli investitori privati a collaborare con lo Stato ad un progetto di riconversione del sistema e dei modelli di detenzione e di riqualificazione delle case circondariali e di reclusione che non sono più utilizzabili per l'ospitalità dei detenuti.
Non si fanno le nuove carceri previste dal grande piano sempre annunciato e mai neppure iniziato, malgrado siamo a tre quinti di legislatura, ma nemmeno si spendono risorse per la ristrutturazione degli istituti di pena esistenti, le cui condizioni conosciamo tutti come, ad esempio, coloro che partecipano alle visite organizzate e promosse, in particolare, dei deputati radicali.
Concludo con una considerazione un po' amara rispetto alla settimana che sta iniziando. Questi sono i dati, il modo in cui si trattano i colpevoli e il modo in cui si effettua una sperequazione anche di censo per la diversa possibilità di accedere alle misure alternative.
In questa legislatura, abbiamo approvato una serie di provvedimenti che hanno fatto la «faccia feroce», introdotto nuove fattispecie penali, pensiamo al reato di immigrazione clandestina, ma non solo, ridotto i benefici. Abbiamo, infatti, appena approvato una legge che prevede che coloro che sono soggetti alla pena dell'ergastolo non possano accedere ai riti abbreviati che concedono sconti di pena.
Facciamo tutte queste cose, siamo pronti, di nuovo, con l'istituto della prescrizione breve da una parte e con il processo lungo dall'altra, a consentire agli «imputati di serie A», ossia quelli che hanno i soldi per pagare gli avvocati e così via, di trovare nuove vie di accesso, aggiungendo, in fatto di discriminazione tra incensurati e non, ulteriori elementi di distinzione, e poi la realtà delle carceri e dei «poveracci» è quella che conosciamo: vanno sempre più in galera, vi restano più a lungo, vi stanno male. È la giustizia di classe, come spesso viene detto dai radicali a cui credo vada riconosciuto il merito di avere, in tutti questi anni, mantenuto viva l'attenzione sulle questioni delle carceri come elemento fondativo ed ineliminabile di una politica garantista autentica.
Mi dispiace, invece, che da parte della maggioranza il garantismo venga sbandierato, tutto sommato stravolgendo i principi, per gli imputati eccellenti, per coloro che hanno grande disponibilità finanziarie per le proprie difese; vi sono processi lunghissimi per chi può permetterselo, ma poi la condizione reale di chi è in galera è quella che abbiamo descritto.
Quindi, vediamo se il Governo, mentre la maggioranza si appresta ad una settimana calda sul fronte del cosiddetto garantismo, vorrà quantomeno riconfermare Pag. 33l'impegno, fino ad ora disatteso, ma che è bene riconfermi, ad occuparsi un po' delle condizioni di chi si trova in carcere e, forse, a lavorare anche perché finiscano meno «poveracci» in carcere, mentre ci occuperemo tutti di garantire che alcuni processi proseguano il più a lungo possibile (Applausi dei deputati dei gruppi Futuro e Libertà per l'Italia e Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Monai. Ne ha facoltà.

CARLO MONAI. Signor Presidente, ringrazio il collega Della Vedova che con la mozione in esame ha rimesso in agenda un problema ancora irrisolto e ancor più drammatico di quanto non fosse nel gennaio 2010, quando all'inizio dell'anno, mi sembra fosse il 13 gennaio, il Consiglio dei ministri annunciò urbi et orbi di aver varato il piano carceri.
Tale piano avrebbe dovuto provvedere a creare nuovi stabilimenti penitenziari, a dare ospitalità a quelle decine di migliaia di persone detenute, ma sta facendo un po' la fine di tante altre promesse, come la riforma fiscale, il Piano caserme per creare nuove caserme per i carabinieri - quante promesse abbiamo sentito - i rifiuti di Napoli, che ancora oggi «ammorbano» il centro storico di quella bella città mediterranea. Anche il Piano carceri sta diventando l'ennesima bufala. Quaranta ormai sono i suicidi quest'anno nelle carceri italiane e la popolazione carceraria è ancora più «forte» di quanto non lo fosse nel gennaio 2010, nonostante qualche buon proposito sia stato messo in atto con la creazione di alcune nuove strutture. Certo è che la popolazione carceraria nel suo complesso si è ulteriormente irrobustita, tanto che sono ormai 67.648 per la precisione i detenuti rilevati al 4 aprile di quest'anno, cioè 2.658 in più rispetto al numero drammatico che aveva determinato la decisione del Governo di provvedere a questa emergenza. Pertanto, anche noi dell'Italia dei valori abbiamo portato all'attenzione dell'Aula l'esigenza di incalzare il Governo ad essere conseguente alle promesse che ha fatto, perché è in discussione il tema della sicurezza. Infatti, provvedimenti quali quelli che avete emanato e che vi accingete ad emanare - penso alla prescrizione breve, che ho ribattezzato «nanoprescrizione» perché proprio di prescrizione breve avevamo già parlato in relazione alla norma «salva-Previti» mentre adesso state accorciando ulteriormente i medesimi termini - favoriranno Berlusconi, ma andranno altresì a rendere impunite migliaia di persone macchiatesi di orrendi delitti, al pari di quel provvedimento sulla possibilità di convertire la detenzione in arresti domiciliari, cosa che abbiamo contestato e avversato e che ha rimesso in sostanziale libertà oltre un migliaio di pericolosi criminali.
Allora, forse, riecheggiano ancora in quest'Aula le parole di alcuni esponenti della Lega Nord, non smentite dal Governo, che avevano, un anno fa circa, commentato in maniera cinica il suicidio di un esponente di Cosa Nostra, sottolineando che magari facessero la stessa fine tanti altri detenuti, avallando una sorta di suicidio volontario come succedaneo al Piano carceri.
Ebbene, noi diciamo «no», denunciamo questa situazione, incalziamo il Governo perché rimanga coerente agli impegni che ha assunto e denunciamo che la situazione delle nostre carceri è una delle peggiori dei Paesi occidentali, che non solo non garantisce un minimo di sicurezza ai detenuti ma è lontana migliaia di anni luce dal tema del reinserimento sociale, del supporto educativo, della possibilità di fare in modo che queste persone impieghino il loro tempo in maniera utile a loro e agli altri piuttosto che marcire in carceri sovraffollate dove il suicidio diventa l'ultima ratio. Ciò non è accettabile e noi siamo qui a ribadirlo, invitando il Governo ad assumersi le proprie responsabilità (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori, Partito Democratico e Unione di Centro).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rao, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00614. Ne ha facoltà.

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ROBERTO RAO. Signor Presidente, colleghi, sottosegretario Casellati, ho apprezzato l'intervento del collega Della Vedova che non solo ha illustrato la sua mozione con grande dovizia di particolari ma ha anche il merito di avere riportato ancora una volta - credo sia la terza della legislatura in corso - con una mozione, all'attenzione di quest'Aula, una situazione ormai consolidata in senso negativo, quella delle carceri nel nostro Paese.
È una situazione che ormai sembra senza via d'uscita. Dopo alcuni anni di promesse non possiamo che constatare come, da parte del Governo, non vi sia alcuna soluzione in tasca rispetto a quelle che erano state promesse, e tutte le iniziative sono cadute sostanzialmente nel vuoto. E dopo la fine dell'effetto spot, dell'effetto pubblicitario che abbiamo registrato anche sulla triste vicenda delle condizioni delle carceri italiane, il film è ricominciato, quello molto triste e duro che vivono non solo i 60 e oltre mila detenuti delle nostre carceri. Ovviamente sono soggetti per la maggior parte deboli, che sono in carcere perché non hanno avuto un buon avvocato o un ottimo collegio difensivo. Molti di questi sono extracomunitari, e soprattutto circa la metà sono imputati in attesa di un giudizio definitivo.
È questo, secondo me, il dato più grave, più imperdonabile che noi tutti dovremmo rimproverarci, il Governo e la maggioranza per primi: la giustizia è un'emergenza in Italia, come tante volte viene sottolineato, che riguarda aspetti relativi alla lunghezza e alla durata reale dei processi, alle condizioni di chi vive nelle carceri italiane e soprattutto di chi opera in condizioni ai limiti della propria professionalità (anzi spesso molto oltre la propria professionalità): mi riferisco alla mancanza di agenti penitenziari, di psicologi, di personale medico, di operatori del settore giudiziario, che pone la condizione dei detenuti, ma anche di chi lavora all'interno di queste strutture, ai limiti veramente della sopravvivenza e della umana capacità di rispondere a questa esigenza.
Chi come me e come tanti altri colleghi ha visitato le carceri italiane sa con quanta dedizione gli agenti di polizia penitenziaria operano all'interno di quelle mura, dovendo sopperire alle mancanze di fondi, alle mancanze dovute ai tagli lineari operati anche in questo delicato settore, il che, purtroppo, produce come conseguenza una condizione di generale disastro nelle carceri italiane. Secondo quanto emerge dal VII Rapporto sulle carceri, che è stato presentato da una delle associazioni più attive nel settore, l'associazione Antigone che opera nella difesa dei diritti negli istituti di pena italiani, i detenuti hanno raggiunto ormai quota settantamila (24 mila in più rispetto alla capienza regolamentare). Questa capienza regolamentare, o tollerabile, non è ancora chiaro sotto quale punto di vista sia effettivamente tollerabile. È un indice che individua il limite massimo per la stessa amministrazione penitenziaria, ma non è detto che chi viva lì all'interno possa tranquillamente farne soltanto una questione di metri quadrati.
È una situazione che vede poi in tante carceri italiane (non sto qui a fare l'elenco, ma si va da Regina Coeli a San Vittore, a Poggioreale, a Novara e a Bologna) il nostro Stato «fuorilegge». Sono in corso delle proteste nella sezione femminile di Rebibbia a Roma e dicevo prima che il 43,7 per cento delle persone oggi detenute nel nostro Paese è composto da imputati. Questa è la fotografia di un'anomalia tutta italiana, che noi vorremmo lavorare per risolvere, e riguardo alla quale nel febbraio 2009 il Ministro Alfano aveva trionfalmente annunciato - come dicevo prima con l'effetto spot - il varo di un piano carceri e la nomina di un Commissario (il prefetto Ionta) con poteri speciali, che avrebbe dovuto risolvere l'emergenza sovraffollamento.
Come ricordava prima di me anche l'onorevole Della Vedova, dopo lo stato di emergenza proclamato l'anno successivo, il 13 gennaio 2010, attualmente diciamo che nessun effetto di questo cosiddetto piano straordinario per le carceri si è prodotto. Pag. 35Non si sa che fine abbiano fatto quei 2 mila posti già promessi di nuovi agenti penitenziari.
A luglio si ribadiva un impegno assunto abbassando il reclutamento, in prima battuta, a mille nuovi agenti; sono trascorsi altri nove mesi e ancora si attende l'ingresso di questi nuovi poliziotti penitenziari. Se il trend che abbiamo descritto prima dovesse continuare, a fine anno la popolazione carceraria raggiungerebbe quota 70 mila detenuti senza che sia aumentata la capienza in modo sensibile. Oltre a questi numeri, ovviamente, pesano anche le centinaia di migliaia di agenti sottratti ai loro compiti principali per essere, poi, dirottati su mansioni amministrative e di servizio agli uffici. E anche il sottosegretario Casellati che è qui, oggi, nel ribadire l'importanza e il ruolo degli agenti penitenziari, ha affermato che il carcere è una primaria esigenza di ciascuna società e bisogna rivolgere particolare attenzione al ruolo della polizia all'interno della casa circondariale, una risorsa primaria e strategica per il reintegro del detenuto e del suo diritto alla tutela della salute. Queste nostre mozioni servono per ricordare gli impegni presi al Governo, per fargliene prendere di nuovi, anche se, dopo l'approvazione delle ultime, poco, purtroppo, è cambiato.
Abbiamo riferito delle drammatiche condizioni di salute dei detenuti; in Sicilia e Sardegna, regioni a statuto speciale, dove la sanità penitenziaria non è ancora passata in carico alle ASL regionali, la situazione è ancore più grave. Ho visitato il carcere del Buon Cammino di Cagliari e c'erano difficoltà perché una volta che deve pensare per la struttura carceraria, non più la ASL, a fornire i medicinali ai detenuti, essa deve attingere alle stesse risorse che servono per il buon andamento della struttura e, quindi, queste ultime finiscono evidentemente prima. L'istituto femminile di Rebibbia, dove è, addirittura, iniziato uno sciopero della fame e del sonno da parte delle agenti di polizia penitenziaria che continuano, nonostante tutto, a garantire turni di lavoro, nel rispetto dei diritti delle detenute, è sul punto di esplodere a causa del sovraffollamento - 368 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 274 posti - e della gravissima carenza di personale che ben rappresenta la punta dell'iceberg della crisi all'interno del sistema carcerario nazionale. Eppure, nonostante questo, sono in sciopero, lavorano, offrono il servizio a tutti noi e, soprattutto, alle detenute che sono all'interno della struttura e che da loro in buona parte dipendono.
Non servono, ovviamente, signor Presidente, soluzioni tampone, ma sono necessari interventi di sistema per risolvere una volta per tutte l'emergenza. È ora di tradurre nei fatti queste dichiarazioni di intenti purtroppo troppe volte reiterate. I rischi della protesta ormai non sono più soltanto d'estate dove un tempo, come si diceva, ad agosto, la situazione diventava incandescente, nelle carceri italiane, non solo dal punto di vista climatico. Ormai la situazione rischia di esplodere in ogni momento. Va garantito da subito lo stanziamento di nuovo personale per consentire il normale funzionamento delle strutture e condizioni dignitose agli operatori del settore. Ribadisco questo punto perché molte forze politiche, spesso anche a torto, pensano che chi è in carcere, forse, ha diritto di starci, dimenticando che quasi la metà dei nostri detenuti sono imputati ancora in attesa di sentenza definitiva e che il grado di civiltà di un Paese si misura anche dalla condizione in cui esso tiene i suoi detenuti. La nostra Costituzione indica le carceri, le loro strutture, come momento per redimere l'individuo e per poterlo ripresentare alla nostra società rinnovato e utile ancora alla società stessa.
Signor Presidente, avviandomi alla conclusione, ricordo due brevi fatti. Innanzitutto, che di carcere si può anche morire; un terzo dei decessi che si verificano dietro le sbarre sono dovuti a suicidio, come rivelano dati raccolti dal centro di ricerca Ristretti Orizzonti del carcere di Padova. I suicidi nelle carceri sono stati 72 nel 2009 e 55 detenuti si sono tolti la vita nei primi nove mesi del 2010. Non sono i numeri ad allarmare, è un sistema, quello nostro carcerario, che non è neanche a Pag. 36misura di minore e pure tanti ragazzini italiani, per lo più provenienti dalle periferie delle città del sud, vivono in una condizione disastrosa. Un piccolo esercito di 426 ragazzi dai 14 ai 18 anni in 19 istituti penali. Due detenuti su tre sono ancora in attesa di giudizio anche tra loro. La maggior parte sono stranieri, spesso rom, ma ci sono anche ragazzini italiani, per lo più, appunto, come dicevo, provenienti dal sud. Questa situazione, che abbiamo descritto e che descriveremo quando voteremo queste mozioni, esprime la contraddizione di una politica forte coi deboli e debole con i forti, che introduce nuovi reati ed immette nel circuito giudiziario e carcerario un gran numero di nuovi detenuti, specialmente immigrati e tossicodipendenti, persone che avrebbero molto più bisogno di aiuto e sui quali, invece, si accanisce il nostro cinismo.
Noi chiediamo al Governo di adottare una politica carceraria tendente a contenere il sovraffollamento attraverso la riduzione dei tempi di custodia cautelare, la rivalutazione delle misure alternative al carcere, la riduzione delle pene per chi commette reati di lieve entità, tanto poi in carcere ovviamente vanno sempre e soltanto i soliti noti e chi, come dicevo all'inizio, non ha un buon collegio difensivo. Nonché chiediamo l'attuazione immediata di questo straordinario piano carceri che suona un po' come la riforma epocale perché al Ministero della giustizia piace molto usare questi termini molto trionfalistici.
Vorremmo sapere l'indicazione reale delle coperture finanziarie per fare questo: altrimenti infatti - ce lo ricorda ogni volta il Ministro dell'economia e delle finanze - senza risorse e coperture finanziare poco si fa. Chiediamo di adottare un ordinamento penitenziario specifico per i minori, una riforma questa ormai improrogabile e sollecitata più volte dalla stessa Corte costituzionale. Chiediamo di assumere un congruo numero di psicologi indispensabili anche per la vita dei reclusi perché spesso chi va in carcere per la prima volta anche per reati non gravissimi si trova ad affrontare una realtà che spinge soprattutto nei primi giorni in grande difficoltà e addirittura in qualche caso a togliersi la vita. Chiediamo di adottare iniziative necessarie per istituire un organo di monitoraggio indipendente che controlli i luoghi di detenzione.
Signor Presidente, vogliamo insomma uno Stato forte con tutti, non soltanto con i più deboli, attento agli ultimi, con particolare attenzione a quelli che hanno più bisogno. Dalla condizione delle carceri - dicevo - si misura il grado di civiltà del nostro Paese; molti ci rimproverano di parlare sempre e soltanto di giustizia in quest'Aula, ma questo è un aspetto della giustizia che trattiamo molto poco, come abbiamo fatto troppo poco per trovare soluzioni e chiediamo con forza al Governo in maniera bipartisan di intervenire per dare un segnale di civiltà al nostro Paese (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro, Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tidei, che illustrerà anche la mozione Ferranti ed altri n. 1-00615, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

PIETRO TIDEI. Signor Presidente, la autorizzo alla scadenza dei 12 minuti a suonare il campanello per mia memoria.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'articolo 27 della Costituzione recita, tra l'altro, che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato e praticamente al suo recupero umano, etico, se possibile, e quindi al suo inserimento dignitoso nella società civile. Vorrei ricordare che l'articolo 15 dell'ordinamento penitenziario individua il lavoro come uno degli elementi del trattamento rieducativo stabilendo che, salvo i casi di impossibilità, al condannato, all'internato è assicurata un'occupazione lavorativa. Se noi oggi pensiamo che nelle nostre carceri, nei 206 istituti di pena, soltanto il 2,9 per cento esercita un lavoro ci rendiamo conto di come... sia correttamente applicato oggi l'articolo 15 dell'ordinamento penitenziario.
L'articolo 20, addirittura, dello stesso ordinamento definisce le principali caratteristiche Pag. 37del lavoro negli istituti previdenziali. Quindi siamo di fronte ad un obbligo di legge e la domanda che ci poniamo oggi: il sistema carcerario rispetta la legge? Questa è la prima domanda. No, assolutamente no, quasi 68 mila detenuti nei 206 istituti penitenziari che sono vecchi, obsoleti, alcune volte senza acqua, ex-conventi come Regina Coeli, luoghi degradati e degradanti - dobbiamo dire - dove vengono ristretti gli scarti della società in strazianti condizioni di vita quotidiana. Una sorta di moderno lazzaretto finalizzato a contenere fasce di povertà culturale e materiale, di disagio, emarginazione sociale e malattia, molto spesso di malattia. In carcere troverete soprattutto povera gente, è stato detto ma non mi stancherò mai di ripeterlo: chi, come noi, è solito frequentare istituti penitenziari trova povera gente, scarti della società, emarginati, stranieri, piccoli delinquenti, molti tossicodipendenti. Il 47 per cento dei detenuti è in attesa di giudizio, quasi la metà di detenuti aspetta un giudizio definitivo. Nove milioni di procedimenti pendenti, molti dei quali sono procedimenti penali.
Sappiamo tutti che vi è una paralisi della giustizia: mancano magistrati, personale amministrativo, risorse, manca un vero processo riformatore del sistema giudiziario, mancano 5 mila agenti, 5 mila agenti di polizia penitenziaria mancano. La copertura degli organici non è soprattutto seguita. È una legislazione, dobbiamo dirlo e diciamolo, «carcerogena», cioè una legislazione che produce carcere oggi: anziché ridurre l'area dell'illecito penale, oggi questo Governo continua ad emanare leggi e provvedimenti che aumentano la possibilità di andare in galera (parlo soltanto della ex Cirielli, ma potremmo parlare di altre).
Noi da anni parliamo di depenalizzazione, riduzione dell'area dell'illecito penale, ufficio del processo, misure alternative al carcere, detenzione domiciliare: noi dobbiamo uscire da questa concezione panpenalistica, dove tutto si risolve con la pena. Non è questa la soluzione al problema. La pena in carcere, e soprattutto in questo tipo di carcere, non risolve i problemi, anzi spesso li aggrava: è un carcere che produce spesso criminalità, che crea spesso le condizioni per la recidiva e aumenta l'area della criminalità potenziale. È un problema che non si risolve costruendo nuove carceri, che neanche poi si costruiscono. Abbiamo tempi lunghi, è vero, è stata dichiarata l'emergenza carceri ed è stato nominato un commissario, sono state previste nuove procedure ed è stata introdotta la possibilità del project financing, però diciamo che neanche le carceri si costruiscono. Non uno che sia moderno: abbiamo esempi di carceri che sono iniziati 50 anni fa e che ancora non sono funzionanti. Abbiamo un piano carceri fantomatico, diciamolo, perché a fronte di un miliardo e 600 milioni di euro oggi sono disponibili appena 750 milioni. È un piano sulla carta: anche qui grandi manifestazioni, grandi dichiarazioni, poi nel contempo però tutto è fermo al palo.
Veniamo ad alcune cifre, velocissimamente: abbiamo il 37 per cento dei detenuti che è costituito da stranieri, quasi 26 mila su 68 mila e spesso difficoltà di applicazione delle misure alternative, per esempio non vi è l'alloggio: molti di questi non dispongono di alloggio e quindi non si possono applicare misure alternative; far scontare la pena nei Paesi propri: si dovevano fare delle convenzioni e anche qui non si attuano, non si capisce per quale motivo non si dà attuazione o addirittura si fanno convenzioni per far scontare le pene nei Paesi propri, di origine.
Abbiamo 16 mila tossicodipendenti, il 38 per cento dei quali soffre di epatite e sappiamo che cosa significhi, cosa significhino la promiscuità ed il sovraffollamento in casi del genere. Di questi, 16 mila, solo il 3,4 per cento, è in trattamento metadonico. Di questi, ben 1.227 sono affetti da HIV e sappiamo tutti cosa significa. Addirittura abbiamo la ricomparsa di malattie già da tempo debellate: la scabbia per esempio, che è una malattia di cui molti neanche ricordano l'esistenza. Ora la scabbia ricompare, come compare la TBC nei nostri istituti penitenziari.
Non voglio parlare - mi auguro che il collega Melis parlerà su questo - della Pag. 38riforma sanitaria: vi è una confusione enorme, col trasferimento delle competenze della sanità dal Ministero alle ASL e le regioni a statuto speciale non lo applicano, sono in attesa; le regioni a statuto ordinario non ricevono contributi, finanziamenti dallo Stato, pertanto si devono far carico già di una situazione debitoria abbastanza pesante, ragion per cui la sanità nelle carceri è la prima a soffrire, perché evidentemente sconta la difficoltà economica.
Abbiamo la Corte di Strasburgo, peraltro, che ci ha già condannato più di una volta per aver tenuto 18 ore sette detenuti in uno spazio pari a 2,7 metri quadrati a persona. Il 32 per cento dei detenuti sconta pene definitive inferiori all'anno e quindi anche su questo già il collega Della Vedova parlava della scarsa applicazione che ha avuto la legge: io credo che di questo il Governo non possa non farsi carico, rimettendo mano forse alla magistratura di sorveglianza.
Quando noi parliamo di detenzione domiciliare, messa alla prova, misure deflattive, queste sono parole che continuano ad essere evocate da tutti, ma che trovano scarsa applicazione nel nostro sistema. Allora, io credo che su questo, se vogliamo effettivamente ridurre il sovraffollamento nelle carceri, dobbiamo mettere mano a cose che non costano nulla probabilmente.
Se questo Parlamento, invece di stare tutti i giorni a preoccuparsi del processo breve, anzi del processo lungo, della prescrizione breve, del lodo Alfano, del lodo Alfano 2, degli Schifani e di tutto ciò che serve ad un anziano capo del Governo ossessionato dai propri problemi giudiziari per le sue debolezze, se forse questo Parlamento riuscisse a mettere mano a questioni non costose, semplici, che non costano nulla alle finanze dello Stato e si occupasse di chi soffre nelle carceri, di quella povera gente soprattutto che è costretta a stare nelle carceri, probabilmente noi avremmo molti criminali in meno che, una volta usciti dalle carceri, potrebbero attentare alla nostra sicurezza.
Infatti, noi a ciò dobbiamo guardare, non dobbiamo pensare solo chi oggi sta ristretto nelle patrie galere. Dobbiamo pensare a chi uscirà da queste patrie galere e se uscirà un elemento risanato, rieducato e reinseribile facilmente nella nostra società, perché così i pericoli per la nostra incolumità saranno minori. Ma se dalle carceri uscirà uno che è incallito, distrutto, emarginato e arrabbiato, probabilmente i pericoli di criminalità sarebbero e saranno ancora maggiori.
Oggi su queste questioni dobbiamo discutere. Vi sono state tante dichiarazioni su riforme epocali a destra, riforme epocali a sinistra, ma in Parlamento giacciono - e lo dico al rappresentante del Governo - decine di proposte di legge del PD e di altri gruppi. Che ci vuole a portarle avanti e a mettere mano ad una riforma carceraria seria? Oggi si dice che mancano 5 mila agenti: il Ministro Alfano è venuto qui a sbandierare ai quattro venti che 2 mila agenti sarebbero stati assunti subito, ma di questi 2 mila genti manco l'ombra si è vista.
Con 1 miliardo e 600 milioni di euro si disse che, con la nomina del commissario, si sarebbe accelerata qualsiasi procedura per la costruzione delle carceri, ma anche di queste non se ne è vista nessuna. In merito al lavoro nelle carceri, manca il personale educatore. Infatti, vi è gente che ha vinto un concorso, da anni, quali educatori e psicologi, che non vengono assunti, così come i 2 mila agenti non vengono assunti, ma, soprattutto, oggi dobbiamo dire che vi è una situazione di dramma, perché negli ultimi anni sono morte 1.500 persone, e di queste 500 persone si sono suicidate. Cinquecento persone si sono suicidate nelle nostre carceri.
Vi sono state 1.500 aggressioni ad agenti di polizia penitenziaria: questo non è un problema sociale? Non è un problema che qualcuno dovrà, quanto meno, affrontare? Vi sono agenti di polizia penitenziaria che sono carcerati peggio dei carcerati, perché fanno doppi turni, sono costretti a traduzioni che durano giorni insieme ai detenuti e, soprattutto, vivono ogni giorno situazioni strazianti, come le vivono gli stessi carcerati. Pag. 39
Vorrei rapidamente avviarmi alle conclusioni dicendo che oggi la maggior parte dei nostri detenuti guarda la televisione e consuma psicofarmaci. In Italia il luogo dove si consumano più psicofarmaci è l'istituto penitenziario, la prigione. Ma se teniamo degli elementi a guardare la televisione tutti i giorni e a prendere psicofarmaci, è evidente che quella non sarà soluzione al problema, non potrà essere mai la soluzione il problema. Almeno su quello che serve, cioè sugli agenti di polizia penitenziaria, agiamo seriamente, visto che l'avete detto e avete impegnato i soldi, che però non vengono spesi.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Tidei.

PIETRO TIDEI. L'ultima cosa che vorrei dire è questa, e concludo Presidente: noi abbiamo uno scopo finale. Lo scopo finale è il seguente, al di là della politica e al di là delle appartenenze ai partiti: credo che l'obbligo morale di ognuno di noi, di un eletto o di un nominato che sia, è quella di creare condizioni di vivibilità dentro il carcere, perché laddove noi alteriamo queste condizioni e le drammatizziamo facciamo soltanto non un dovere morale, ma creiamo le condizioni perché questa società diventi sempre più insicura.
Allora, se ognuno di noi ha un minimo di cuore e un minimo di sensibilità: mettiamo mano a questo processo riformatore, che non costa nulla, ma che la gente ci chiede, non solo i detenuti ma anche i familiari che vivono insieme a loro una situazione straziante quotidiana (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Unione di Centro e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Mariarosaria Rossi, che illustrerà anche la mozione Costa n. 1-00616, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

MARIAROSARIA ROSSI. Signor Presidente, le mozioni dell'opposizione al nostro esame in materia di carcere fanno una descrizione molto pessimistica della situazione carceraria nel nostro Paese, ma non siamo certo di fronte ad un fatto nuovo. È ampiamente noto che si tratta di una situazione difficile, che affonda le sue radici lontano nel tempo. Sappiamo tutti che nelle carceri italiane vi è un fenomeno di sovraffollamento ed è per questo che il Governo ha dichiarato lo stato di emergenza.
Tutti vorremmo trovare la via per migliorare la condizione dei detenuti e delle guardie carcerarie che condividono molti dei disagi dei detenuti, ma non è con provvedimenti come l'amnistia o l'indulto che si può pensare di affrontare il problema, visto che dopo il provvedimento di clemenza del Governo Prodi del 2007 le carceri che si erano svuotate si sono nuovamente riempite, provocando inoltre un elevamento del tasso di criminalità. Gran parte dei detenuti che ne avevano beneficiato sono tornati in tempi molto brevi in carcere.
Il problema di fondo è che la capienza delle carceri nel nostro Paese è insufficiente in rapporto alla popolazione presente, come dimostra il fatto che il numero dei detenuti in Italia in rapporto alla popolazione è mediamente inferiore a quello che si registra negli altri grandi Paesi europei e molto inferiore a quello degli Stati Uniti.
Per quanto riguarda l'insufficiente capienza e la vetustà di molte carceri, il Governo ha varato un consistente piano di investimento per la realizzazione di nuove carceri per oltre novemila posti e la modernizzazione di quelle esistenti, piano dotato di un finanziamento di 675 milioni di euro che rappresenta una delle priorità operative dell'azione governativa. C'è una piena consapevolezza a livello di Governo e di maggioranza del problema, per cui le critiche che le mozioni dell'opposizione presentate muovono all'azione dell'Esecutivo e del Ministro della giustizia, in particolare, sono del tutto infondate.
Tornando un momento a considerare il problema dei detenuti in attesa di giudizio, che sicuramente sono troppi, non si può non rilevare che questo è uno degli effetti nefasti dell'eccessiva lentezza della giustizia penale, di cui hanno una parte significativa Pag. 40di responsabilità i magistrati che dovrebbero essere molto più solerti ed efficienti nello svolgere il loro delicato lavoro, anche perché in campo penale un giudizio tardivo può significare mantenere in carcere ingiustamente un innocente e questo è francamente inaccettabile.
Il IV Governo Berlusconi ha anche su questo aspetto fatto la sua parte, incrementando il numero di magistrati con assunzioni e nuovi concorsi per complessive 966 unità. Il Governo, come è noto, sta affrontando il problema complessivo della riforma del sistema giudiziario con un disegno riformatore finalizzato a migliorare drasticamente l'efficienza e la rapidità della giustizia nel suo complesso.
Per quanto riguarda le critiche generiche e pretestuose che le mozioni dell'opposizione muovono all'azione del Governo, va sottolineato che per realizzare nuove carceri sono necessari tempi tecnici e che comunque, pur nelle attuali ristrettezze di bilancio, il Governo ha dato la priorità al potenziamento del sistema carcerario, quindi ha fatto il massimo di quanto si potesse fare nell'attuale situazione.
Una notazione a parte vorrei farla sulla richiesta, avanzata dalle mozioni delle opposizioni, della depenalizzazione dei reati minori e di una più ampia e agevole fruibilità nelle misure alternative alla detenzione. A tali indicazioni, con le dovute garanzie condivisibili, in parte vorrei rispondere ricordando che la pur giusta esigenza di decongestionare le carceri per migliorare le condizioni di vita dei detenuti e degli agenti di custodia non deve porsi in contrasto con la richiesta o, meglio, con l'esigenza dei cittadini di vedere garantita la propria sicurezza.
Per cui eventuali depenalizzazioni e misure alternative devono sempre tenere conto del diritto primario dei cittadini onesti a vedersi garantiti nella loro persona e nei loro beni. Ci rendiamo conto che il problema carcerario esiste e va affrontato con serietà e chiarezza di idee, ma si tratta di un problema grande e complesso, e non esistono soluzioni semplici e sbrigative per problemi complessi.
Il Governo sta facendo il suo dovere per affrontarlo concretamente e strutturalmente, per cui respingiamo le critiche che le mozioni dell'opposizione muovono alla sua azione, mentre appoggiamo in pieno le indicazioni e gli impegni contenuti nella mozione di maggioranza (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, intervengo semplicemente per dire che a noi fa molto piacere che l'onorevole Rossi si sostituisca al Governo ed esprima il parere sulle nostre mozioni e addirittura ci informi che respingerà le nostre proposte - non so se sta per essere nominata sottosegretario al posto dell'onorevole Casellati - però noi presentiamo delle mozioni e il Governo risponde. L'onorevole Rossi può fare giustamente tutte le considerazioni che vuole sul tema, ma non certo respingere o proporre considerazioni che sono contenute in una mozione dell'opposizione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Onorevole Giachetti, credo che il Governo non si lascerà sostituire.
È iscritto a parlare l'onorevole Melis. Ne ha facoltà.

GUIDO MELIS. Signor Presidente, ieri, domenica, l'autorevole organo di stampa della Confindustria, - quindi non un giornale dell'opposizione, onorevole Rossi, ma il foglio degli industriali italiani, Il Sole 24 ore - ha dedicato alle carceri italiane un articolo di spalla intitolato: «Per le carceri 29 miliardi in dieci anni, restano alveari». Vi sono riassunti innanzitutto i numeri. I numeri parlano una lingua franca, inesorabile, incontestabile, dalla quale non si può evadere: 67.616 sono i detenuti nelle carceri italiane, 24.829 stranieri e 1.301 stanno dentro solo per non aver eseguito Pag. 41l'ordine di espulsione in virtù di quella sciagurata penalizzazione introdotta di recente dal vostro pacchetto sicurezza, che non ha risolto nulla sul piano della lotta all'immigrazione clandestina, però in compenso ha riempito ulteriormente le carceri già sovraffollate facendo di ogni erba un fascio di neo immigrati davvero illegali e di poveretti che magari, avendo temporaneamente perduto il lavoro, sono piombati, loro malgrado, nella illegalità; 26 mila e rotti sono i tossicodipendenti. Circa 30 mila - questo lo aggiungo io, il giornale non lo dice - dei detenuti custoditi sono in attesa di giudizio di appello e di condanna definitiva, cioè sono, a norma di Costituzione, teoricamente non ancora colpevoli e innocenti - si chiama presunzione di innocenza - e stanno dentro insieme ai delinquenti conclamati.
La gran parte di questa popolazione carceraria sta in carcere pochi giorni - è stato detto - qualcuno poche ore, realizzando quello che è stato definito l'effetto «porta girevole». Ovviamente per ogni custodia anche minima, anche di poche ore, bisogna apprestare gli spazi, ci sono operazioni di traduzione, di registrazione, trascrizione di documenti, pasti, molto spesso assistenza sanitaria e quant'altro, secondo una prassi che resta anch'essa, ad onta delle conclamate politiche di semplificazione dell'amministrazione, affidata a regolamenti vecchi e macchinosi. Ovviamente ognuna di queste presenze così temporanee richiede personale, molto personale, in un momento nel quale - come è stato detto dal collega Tidei ed altri - gli organici del personale, cominciando da quello degli agenti di custodia, sono drammaticamente carenti.
Riporta saggiamente Il Sole 24 ore, non io: «Le leggi sulla droga e sugli immigrati» - quelle che avete fatto voi, signor sottosegretario - «complice la stretta sui recidivi e sulle aggravanti varate con la ex Cirielli e con i pacchetti sicurezza, hanno aperto le porte della galera a tanti che non dovrebbero starci». «I tempi lunghi del processo hanno trasformato la custodia cautelare in una pena anticipata. Le misure alternative (destinate non a "sfollare" ma a "reinserire") sono precipitate dopo la stretta della ex Cirielli»: nel 2003 avevamo 48.195 detenuti in misura alternativa, nel 2004 50 mila, nel 2005 49.900. Sapete quanti sono oggi, qual è il numero complessivo dei detenuti in misura alternativa? Il numero complessivo è di 16.018. Ci avete presentato lo «svuota carceri» con grande strepito di pifferi e di tamburi perché in queste cose, cioè nel vendere alla gente aria fritta, siete maestri. Sapete quanti detenuti sono usciti in detenzione domiciliare in base a quella legge che prevede la detenzione domiciliare? 1.788: un'inezia, una goccia d'acqua nell'oceano.
Ma voi ci direte che c'è il Piano carceri, con la maiuscola. Già, non avete parlato d'altro dal 2008, quando siete andati al Governo. Ci avete messo mezza legislatura a presentarci questo tanto annunciato Piano carceri, che ha prodotto finora 1.265 posti letto, ma intanto, nel breve periodo di vigenza del piano, abbiamo aumentato del doppio i detenuti e le carceri scoppiano.
Citerò per l'ennesima volta un caso che conosco molto da vicino e che considero peggiore anche di Poggioreale e di altre situazioni drammatiche pure sparse per l'Italia. Si tratta del caso del carcere, del rudere, di San Sebastiano a Sassari, sul quale nell'agosto scorso, insieme con il collega Arturo Parisi, con il senatore Gian Piero Scanu e con il presidente dell'Associazione «A buon diritto», Luigi Manconi, abbiamo depositato un esposto in procura, un esposto senza esito naturalmente, come tante denunce che si fanno quotidianamente sullo stato delle carceri. Su questo caso sassarese ci avete risposto sempre, in varie risposte a interrogazioni anche da me presentate, che è quasi pronta ed è imminente la nuova sede di Bancali, modernissima, attrezzatissima, da voi affidata con appalto secretato all'impresa Anemone, come si ricorderà non ignota alla cronaca della corruzione in questo Paese.
Noi stiamo aspettando dal 2008 che si apra questo nuovo carcere, che questa nuova sede apra, e vedremo con quali risorse la aprirete, con quale personale, dato che ne richiede molto di più dell'attuale Pag. 42sede, con quali tempi, con quali effetti. Per ora stiamo aspettando e basta: la data slitta continuamente di semestre in semestre.
Tuttavia, non è di cose di casa mia che voglio parlare. Voglio parlare dell'insieme del sistema, dello stato fatiscente dei tanti penitenziari, dello stato disumano delle strutture con accumuli di letti. «Letto» è già una parola impegnativa per le cose che ho visto io in giro per le carceri italiane, in pochi metri quadrati, in palese violazione delle norme sullo spazio dei detenuti che ci sono dettate dall'Europa. Voglio parlare dei suicidi, ne hanno parlato anche altri. Così come ha fatto l'altro giorno la collega Rita Bernardini voglio ricordare l'ultimo di questi suicidi, quello di Carlo Saturno, 22 anni di Manduria (un nome che ritorna tristemente in questi giorni nelle cronache della disperazione), morto per asfissia causata dal lenzuolo con il quale si è impiccato, come recita l'asettico referto medico.
Siamo stanchi di ripetere, signor Presidente, che queste continue morti in carcere non sono accidentali, ma sono annunciate, prevedibili, direi quasi naturali perché nelle carceri italiane manca tutto, l'aria, lo spazio, il rispetto della dignità umana, la garanzia di non essere stato oggetto di attenzioni sessuali durante la notte da parte dei compagni di cella, la tutela contro la violenza delle istituzioni e qualcuno c'è morto come il povero Stefano Cucchi.
Molte volte mancano i servizi igienici più elementari. Vi sono carceri nei quali il bugliolo si apre a pochi metri dalla branda dove si dorme, senza alcuna separazione muraria e si vive in quattro o in sei in quelle celle. L'ho visto con i miei occhi. Si tratta di celle torride d'estate e gelide d'inverno perché i fondi per pagare la nafta del riscaldamento tardano e i fornitori spesso interrompono il servizio. Vi sono insetti, zanzare, topi, spazi per l'aria ridottissimi ricavati alla meno peggio.

PRESIDENTE. Onorevole Melis, la prego di concludere.

GUIDO MELIS. C'è da meravigliarsi se negli ultimi dieci anni un terzo dei decessi è avvenuto per suicidio? Poi manca l'assistenza: la medicina carceraria è a mezzo servizio in Sardegna per il fatto che si tratta di una regione a statuto speciale e non ha ancora effettuato la transizione dalla sanità penitenziaria a quella gestita dalle ASL. Stiamo aspettando: il Ministro Alfano ci aveva detto quasi due anni fa che la cosa era imminente. Inoltre, vi sono i tossicodipendenti e il personale di custodia è ai minimi termini. È tutto un insieme: si alternano piani faraonici con «politichette» del giorno per giorno che quando non sono contraddittorie, sono inefficaci.
Naturalmente mancano le risorse. Carceri rinnovati, carceri che non vengono restaurati, una programmazione pluriennale che manca e anche su questo vige la legge ferrea di Tremonti. Ci attendevamo diversamente dal Ministro Alfano, che all'inizio della legislatura era venuto in II Commissione (Giustizia) a prometterci grandi cose.

PRESIDENTE. Onorevole Melis, dovrebbe concludere.

GUIDO MELIS. Finisco, signor Presidente. Penso che il Governo fino ad ora abbia fatto solo melina su questo terreno. In termini calcistici, la melina è il non gioco. Penso che su questo problema non si può fare melina. Noi non chiediamo né l'amnistia, né l'indulto, onorevole Mariarosaria Rossi. Non l'abbiamo mai chiesto ed è ingiusto mettercelo in bocca per comodità di polemica.
Noi chiediamo che si faccia una seria politica carceraria con le risorse che vanno impiegate per questo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e, pertanto, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Chiedo al Governo se intenda intervenire o se si riservi di farlo successivamente.

MARIA ELISABETTA ALBERTI CASELLATI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Pag. 43Signor Presidente, mi riservo di intervenire nel prosieguo del dibattito.

SIMONE BALDELLI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, intervengo soltanto per una puntualizzazione in ordine all'intervento svolto in precedenza dal collega Giachetti, del quale non ho capito bene il senso.
Mi spiego meglio: il collega Giachetti ha affermato che l'onorevole Mariarosaria Rossi intendeva sostituirsi al Governo nell'espressione dei pareri. Leggo testualmente le ultime righe dell'intervento dell'onorevole Rossi: «Ci rendiamo conto che il problema carcerario esiste e va affrontato con serietà e con chiarezza di idee. Si tratta di un problema grande e complesso e non esistono soluzioni semplici e sbrigative per i problemi complessi. Il Governo sta facendo il suo dovere per affrontarlo concretamente e strutturalmente, per cui respingiamo le critiche che le mozioni dell'opposizione muovono alla sua azione, mentre appoggiamo in pieno le indicazioni e gli impegni contenuti nella mozione di maggioranza».
Mi sembra una dichiarazione politica assolutamente compatibile e coerente con l'illustrazione della mozione di maggioranza.
Pertanto, signor Presidente, francamente non comprendo la critica dell'onorevole Giachetti. Ma probabilmente spetterà ai posteri l'ardua sentenza.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione Pescante ed altri n. 1-00567, concernente iniziative per la tutela e la promozione della lingua italiana nelle istituzioni dell'Unione europea (ore 17,15).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Pescante ed altri n. 1-00567 (Nuova formulazione), concernente iniziative per la tutela e la promozione della lingua italiana nelle istituzioni dell'Unione europea (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione della mozione è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che in data odierna è stata presentata un'ulteriore nuova formulazione della mozione Pescante ed altri n. 1-00567 (Vedi l'allegato A - Mozioni). Il relativo testo è in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali della mozione.
È iscritto a parlare l'onorevole Pescante, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00567 (Ulteriore nuova formulazione). Ne ha facoltà.

MARIO PESCANTE. Signor Presidente, la mozione al nostro esame costituisce il punto culminante della costante attenzione, rivolta sin dall'avvio di questa legislatura dalla XIV Commissione che, per la verità, si è espressa all'unanimità su questa mozione, per quanto riguarda le questioni connesse alla tutela del multilinguismo e della lingua italiana da parte delle istituzioni europee.
Ricordo che l'Assemblea della Camera si è già espressa sul tema nella risoluzione, approvata lo scorso luglio, in esito all'esame degli strumenti di programmazione politica e legislativa. Alcuni specifici indirizzi sul tema sono contenuti, inoltre, nella risoluzione a firma del collega Fucci, presentata in occasione della relazione relativa alla partecipazione dell'Italia all'Unione europea nel 2009 che esamineremo, unitamente al disegno di legge comunitaria, a partire da mercoledì, come spero.
La Commissione da me presieduta è inoltre intervenuta sulla questione in altre Pag. 44occasioni. Mi limito a ricordare il parere espresso sulla proposta di regolamento relativa al brevetto europeo e il documento finale approvato sulla relazione della Commissione europea sui rapporti con i Parlamenti nazionali nel 2009.
Le ragioni per cui abbiamo ritenuto di far seguire a questi interventi una mozione organica e specifica sulla questione del regime linguistico risiedono nella preoccupante frequenza con cui si stanno verificando, a diversi livelli, violazioni, di fatto e di diritto, del regime previsto dal Trattato e nell'esigenza di definire, in stretto raccordo con il Governo, una risposta ferma ed efficace.
Il multilinguismo è un valore fondante del processo di integrazione europea di cui la regola generale dell'utilizzo di tutte le lingue ufficiali dell'Unione, prevista dal regolamento del Consiglio n. 1 del 1958 sul regime linguistico delle istituzioni, è concreta traduzione. Si tratta, cioè, di consentire a tutti i cittadini e ai rappresentati delle istituzioni nazionali di esprimersi compiutamente e su un piano di parità nella propria lingua nelle relazioni con le istituzione europee e in seno alle medesime istituzioni.
Questa regola generale, naturalmente, è stata sin dalla nascita della Comunità suscettibile di deroghe, per semplificare il funzionamento delle strutture amministrative delle istituzioni europee. A questo scopo è stata accettato, nella prassi, il ricorso al francese e, dopo l'adesione del Regno Unito, quale lingua veicolare anche l'inglese, per la sua tradizionale diffusione e per l'uso nelle relazioni internazionali.
A partire dagli anni Novanta si sono tuttavia verificate numerose violazioni di questo regime, attraverso l'introduzione di francese, inglese e tedesco quali lingue di lavoro di alcune altre istituzioni ed organi dell'Unione. Il trilinguismo si è imposto ufficialmente sin dal 1993 nella Commissione europea. Lo stesso collegio dei commissari lavora nelle tre lingue e tentativi di imporre un analogo regime presso altre istituzioni e organi sono in corso e in parte hanno avuto successo. È sufficiente richiamare quello, per il momento bloccato, di imporre le tre lingue di lavoro per il Servizio per l'azione esterna.
Di particolare gravità è quanto sta avvenendo presso il Parlamento europeo, che più dovrebbe essere sensibile al multilinguismo. L'amministrazione ha individuato nell'inglese, francese e tedesco le principali lingue per numerose riunioni interne a livello amministrativo nonché quali lingue di navigazione del proprio sito Intranet.
Si sono persino verificati casi di corrispondenza ufficiale con le amministrazioni dei parlamenti nazionali inviata solo nelle tre lingue in questione. Un segnale ancora più preoccupante è costituito dall'utilizzo delle tre lingue in alcuni eventi collegati a riunioni interparlamentari, quali cene e dibattiti con grandi personalità europee cui partecipano parlamentari nazionali,. A queste violazioni del regime linguistico nel funzionamento delle istituzioni si sono accompagnate negli ultimi anni altre due tipologie che rendono ancora più complesso e critico il contesto. La prima concerne la pubblicazione, da parte di un ufficio per i concorsi dell'Unione europea, dei bandi integrali di concorso per funzionari delle istituzioni europee. A partire dal 2007 infatti l'ufficio aveva deciso di pubblicare i bandi soltanto in tedesco, francese e inglese.
Su ricorso presentato dall'Italia, il tribunale di primo grado dell'Unione europea, con sentenza del 2008, aveva annullato i bandi in questione, riconoscendo che essi non consentivano a tutti i cittadini dell'Unione di venire a conoscenza degli elementi essenziali del bando. Successivamente alla sentenza l'ufficio comune per i concorsi ha continuato a pubblicare i bandi nella versione integrale, nelle sole tre lingue sopra indicate, ma accompagnandoli dalla pubblicazione di una sintesi in tutte le altre lingue ufficiali. I medesimi bandi richiedevano inoltre la conoscenza approfondita di almeno una tra le altre lingue. Questa prassi è stata purtroppo considerata legittima dal tribunale di primo grado, al quale ha fatto ricorso nuovamente l'Italia. Peraltro qualche mese Pag. 45fa il tribunale, pronunciandosi sull'ennesimo ricorso dell'Italia, ha invece annullato un altro bando pubblicato esclusivamente in inglese, francese e tedesco senza alcuna sintesi o estratto nelle altre lingue. Al tempo stesso, la pronuncia ha ribadito che il ricorso alle sole tre lingue per la pubblicazione integrale non viola i trattati. In attesa che la Corte di giustizia si pronunci in appello sembra essersi così delineata una distinzione tra inglese, francese e tedesco da un lato e le altre lingue ufficiali dall'altro.
La seconda - e non meno preoccupante - vicenda concerne il regime linguistico del brevetto dell'Unione europea. Come è noto, la Commissione europea ha proposto il ricorso alle solite tre lingue per la registrazione dei brevetti. A fronte di una ferma opposizione del Governo italiano - sostenuto da apposite pronunce di Camera e Senato - e di quello spagnolo il Consiglio, su proposta della Commissione, ha deciso il ricorso ad una cooperazione rafforzata cui hanno aderito all'inizio nove Paesi e in seguito gli altri Paesi, in totale venticinque. L'Italia impugnerà la decisione, tenendo anche conto che qualche settimana fa la Corte di giustizia ha già dichiarato incompatibile con il diritto comunitario la proposta di creazione di un sistema unico di risoluzione delle controversie in materia di brevetto e di un tribunale dei brevetti europei, che costituisce una parte essenziale della pacchetto del brevetto dell'Unione europea.
Il quadro sin qui richiamato dimostra come le violazioni del regime linguistico siano reiterate e multiformi e richiedono pertanto una reazione sistematica e concertata delle istituzioni nazionali e dei rappresentanti italiani in seno alle istituzioni europee. Segnalo a questo riguardo che sia l'ex Ministro Ronchi, che il Ministro Frattini e il nostro Ministero degli affari esteri sono impegnati in questo settore. Non si tratta di una battaglia di retroguardia legata a mere questioni di prestigio nazionale, sono in gioco invece i principi fondamentali alla base del processo di integrazione europea, in particolare quello della parità tra gli Stati membri e i rispettivi cittadini.
È, al contrario, proprio il trilinguismo ad essere il risultato di una strategia del Governo tedesco, che si fonda non sulla natura veicolare della lingua tedesca, ma sul peso demografico ed economico del Paese. Oserei dire persino che questo è un tentativo di leadership che la Germania sta cercando di attuare.
In sostanza, l'aggiunta del tedesco non risponde affatto all'esigenza di facilitare il funzionamento delle istituzioni europee, ma a mere esigenze di prestigio ed egemonia di questo Paese. Il ricorso al trilinguismo pone dunque, senza giustificazioni, i cittadini degli Stati membri che hanno quali madre lingua l'inglese, il francese o il tedesco in posizione di vantaggio sia nell'accesso agli impieghi presso le istituzioni dell'Unione europea, sia nell'avanzamento della carriera e, più in generale, nei rapporti con le medesime istituzioni.
Analoghe considerazioni valgono anche per le imprese; la vicenda del brevetto UE dimostra come il ricorso al trilinguismo possa determinare un indebito vantaggio competitivo di partenza per le imprese francesi, inglesi e tedesche nei confronti di quelle degli altri Stati membri. Né si può ignorare che i costi per le traduzioni e l'interpretariato nelle tre lingue in questione sono sostenuti dal bilancio europeo e quindi sono cofinanziati da tutti i cittadini europei; l'Italia è anzi il terzo contributore netto e non si comprende per quali ragioni debba finanziare un sistema illogico ma soprattutto discriminatorio.
Nonostante queste evidenti implicazioni negative del trilinguismo, in questi ultimi anni ma soprattutto in questi ultimi tempi ha non di rado prevalso, soprattutto tra i rappresentanti italiani in seno alle istituzioni europee, la convinzione per cui la difesa delle regole vigenti sia una difesa provinciale e anacronistica della lingua nazionale. Si tratta di una visione erronea, difendere il regime linguistico dell'Unione europea significa difendere la capacità dei cittadini e delle imprese. Va invece dato Pag. 46atto al Governo di aver messo a punto nelle ultime legislature misure per la difesa del regime linguistico, in particolare mediante apposite circolari dei Presidenti del Consiglio, rinnovate nelle ultime legislature, con cui ha adottato precise istruzioni per la partecipazione a riunioni nell'ambito europeo. Anche le Camere, oltre che con gli atti di indirizzo che ho già richiamato, hanno sempre contrastato ogni tentativo di imporre nelle sedi di cooperazione internazionale un regime che non fosse coerente con le regole sopra richiamate.
La mozione oggi al nostro esame mira a sostenere questa azione e fare anzi un ulteriore salto di qualità predisponendo una strategia organica di tutela e promozione del multilinguismo e della lingua italiana. Non basta in altri termini contrastare con intransigenza ogni ulteriore tentativo di violazione ricorrendo ove necessario anche agli strumenti giurisdizionali previsti, occorre invece in positivo promuovere iniziative per assicurare che i cittadini italiani ed europei possano esprimersi nel maggior numero possibile di lingue.
Non intendiamo in questo modo ignorare le esigenze di semplificazione e di funzionamento delle istituzioni a livello amministrativo e di riduzione dei costi di interpretariato cresciuti in maniera esponenziale con i successivi allargamenti, vogliamo tuttavia ribadire in conclusione che anche in questa chiave il trilinguismo appare del tutto ingiustificato ed è anzi, oltre che illegittimo e discriminatorio, esso stesso fonte di costi di traduzione e interpretariato non necessari. Laddove le esigenze di funzionamento e riduzione dei costi lo giustificassero, sarebbe ragionevole sostenere il ricorso alla sola lingua inglese, lingua veicolare ampiamente più diffusa a livello europeo e globale, o altrimenti prevedere, accanto alle tre lingua tradizionali, anche quelle degli ulteriori tre grandi Paesi europei, cioè Italia, Spagna e Polonia (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Monai. Ne ha facoltà.

CARLO MONAI. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, l'Italia dei Valori è tra i firmatari di questa mozione e ne condivide le premesse e anche il dispositivo. Sostanzialmente, come ha ricordato il presidente Pescante, c'è un campanello d'allarme che suona ormai da diverso tempo e che vede il nostro idioma, la lingua italiana, relegato ad una posizione ancillare rispetto all'inglese, al francese e al tedesco. Come sappiamo la definizione di lingua ufficiale dell'Unione europea identifica tutte le lingue dei Paesi aderenti, in particolare le lingue ufficiali oggi sono ventitré perché in tutti i trattati istitutivi dell'Unione europea, da quello di Roma del 1957 a quello di Maastricht del 1992 e a quello di Amsterdam del 1997, è riconosciuta parità di diritti nell'uso a tutti i livelli, delle lingue nazionali dei Paesi aderenti, le quali sono tutte considerate lingue ufficiali dell'Unione stessa.
Speculare rispetto a questa enunciazione di principio è il diritto di ciascun cittadino dei Paesi membri di rivolgersi nella stessa sua lingua a qualsiasi istituzione comunitaria e di riceverne risposta nella stessa lingua, diritto ribadito nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, approvata a Nizza il 7 dicembre del 2000. In aderenza a questo principio, anche il regolamento n. 1, che stabilisce il regime linguistico della comunità, via via integrato dal 15 aprile del 1958, data in cui fu adottato, recita: «le lingue ufficiali e le lingue di lavoro nelle istituzioni della Comunità sono la lingua bulgara, la lingua ceca, la lingua danese, la lingua estone, la lingua finlandese, quella francese, greca, inglese, irlandese, la lingua italiana e via via tante altre». Ne discende che i regolamenti e gli altri testi di portata generale sono redatti nelle lingue ufficiali e la comunicazione tra lo Stato membro e l'istituzione avviene nella lingua di quello Stato. Questo è il tessuto normativo che distingue l'Unione europea e che, in qualche modo, costringe anche l'istituzione Pag. 47sovranazionale ad investire notevolissime risorse per uno stuolo di migliaia di traduttori ed interpreti che accompagnano il lavoro degli organismi comunitari. È giusta, quindi, la richiesta del nostro Parlamento di mantenere dignità alla lingua italiana e considerarla anch'essa lingua di lavoro, perché sappiamo che in realtà le istituzioni europee funzionano quotidianamente con un numero ben più ridotto di idiomi. Il Parlamento di Strasburgo, infatti, dal 19 febbraio 1995, ha introdotto la distinzione tra lingue ufficiali e lingue di lavoro, intendendosi per lingue di lavoro quelle impiegate nelle comunicazioni interistituzionali, intraistituzionali e in occasione delle riunioni interne convocate dalle istituzioni, alle quali sono invitati rappresentanti degli Stati membri o specialisti. Queste lingue di lavoro sono diventate sostanzialmente l'inglese, in seconda battuta il francese e, in misura minore, il tedesco. Poi c'è anche l'implicazione, che si è amplificata con l'ingresso dei Paesi di nuova partecipazione, con l'Europa a ventisette dal 2007, di vedere praticamente l'inglese come una sorta di lingua franca, di lingua ponte, per cui se vi è un documento in lingua lettone non deve essere tradotto necessariamente subito in italiano, ma viene tradotto in inglese e da quella versione poi si deduce la versione italiana. Fa un po' specie per la verità - consentitemi questa notazione critica - il comportamento di questa rappresentanza italiana di centrodestra, che ha mortificato il plurilinguismo nella nostra nazione, non supportandolo per le manifestazioni locali, che hanno però dignità di lingue minoritarie (penso alla legge n. 482 del 1999), tra le quali c'è anche il friulano, che nel recentissimo contratto di servizio con la RAI il Governo si è ben guardato dal tutelare nell'ambito delle trasmissioni televisive in marilenghe, cosa che invece ha fatto in altre situazioni. Ma quello che ancora più sconcerta è che, con la tanto declamata riforma Gelmini della scuola superiore, quelle che erano ormai delle sperimentazioni consolidate, che vedevano un insegnamento della lingua inglese impostato su tre ore settimanali e con una certa continuità di insegnamento in tutto il corso degli studi superiori, sono state di fatto diminuite, nonostante il programma elettorale del centrodestra si impegnasse in una sorta di riforma epocale della scuola incentrata sulle tre I: impresa, Internet ed inglese.
Le macerie di questa riforma di cui stiamo cominciando a patire le ricadute, dalle decine di migliaia di insegnanti lasciati a casa che proprio sabato scorso manifestavano una volta di più per il precariato in cui li avete ridotti all'incapacità di garantire un'istruzione sulle lingue europee, stanno mettendo ancora più al margine il nostro Paese nello scenario internazionale, soprattutto in quello dell'Unione europea.
Il monito che vi facciamo, pur sottoscrivendo questa mozione e condividendone le finalità, è di essere all'erta rispetto all'atteggiamento, che sta prendendo forma e piede in Europa, di considerare l'Italia un Paese marginale anche nel suo idioma. Se è giusto rivendicare pari dignità e il riconoscimento del nostro linguaggio in quel consesso sovranazionale, dobbiamo anche prepararci affinché i nostri figli o i nostri laureati, quando si trovano o si troveranno - ma già si trovano - a rispondere ai bandi di concorso europei nei quali si chiede la conoscenza di una delle tre lingue che abbiamo evocato (inglese, francese e tedesco), siano attrezzati per poter competere su questo scenario.
Il fatto di rivendicare anche la conoscenza dell'italiano e limitarsi a questa rivendicazione un po' campanilistica e nazionalistica rischia di lasciarci un passo indietro agli altri. Il monito che l'Italia dei Valori si sente in dovere di fare è che anche questi segnali, che vi arrivano a livello internazionale, vi inducano a riflettere in maniera critica e fattiva, una sorta di un ravvedimento operoso - del quale, però, dubito che il Ministro Gelmini sia capace, anche perché sotto la sorveglianza speciale del Ministro Tremonti - perché vi sia un'inversione di tendenza, un'effettiva rispondenza a quelle che sono state le vostre promesse elettorali e a quelle che sono le aspettative dei cittadini italiani, Pag. 48che sono quelle di essere emancipati da una sorta di Cenerentola delle lingue europee, dove noi, rispetto anche ai Paesi di nuovo ingresso, siamo considerati dei «trogloditi», perché al di là dell'italiano e, forse, di qualche dialetto regionale non andiamo nella maggioranza dei casi.
Attenzione, che anche questo sia un segnale da cui trarre linfa e input per promuovere la conoscenza delle lingue europee.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gozi. Ne ha facoltà.

SANDRO GOZI. Signor Presidente, abbiamo sostenuto questa mozione perché riteniamo che certamente la questione della lingua sia una di quelle questioni fondamentali nell'uguaglianza tra i popoli, una di quelle questioni fondamentali che giustificano la definizione dell'Unione europea come «unità nella diversità».
La diversità è certamente una diversità storica e di tradizioni, ma è anche e soprattutto una diversità linguistica. Nel momento in cui diciamo che occorre dividere la concezione di cittadinanza da quella di nazionalità e che occorre perseguire una cittadinanza europea, che non incide e non restringe la nazionalità di ognuno di noi, è evidente che all'interno della nazionalità vi è innanzitutto la tutela della lingua. Quindi, è proprio perché noi vogliamo una cittadinanza europea complementare a quella nazionale che sosteniamo e vogliamo tutelare le prerogative dell'Italia e della lingua italiana a livello europeo.
Vi sono 23 lingue ufficiali dell'Unione europea e riteniamo che queste lingue vadano tutte trattate allo stesso modo. Non vi è alcun motivo per affermare in maniera surrettizia, passo dopo passo, atto amministrativo dopo atto amministrativo, un trilinguismo che non ha alcuna giustificazione pratica. Infatti, se è prassi ormai consolidata che nelle organizzazioni internazionali, soprattutto tra i funzionari e gli addetti lavori, si possa parlare inglese e francese, non vi è alcun motivo per imporre a tutti l'utilizzo della lingua tedesca.
È evidente che questa è una strategia che corrisponde all'interesse della Germania ad accrescere la propria influenza all'interno delle istituzioni europee e che dobbiamo contrastare nell'interesse dell'Europa perché l'eguaglianza tra gli Stati ed i popoli è interesse dell'Europa stessa, non solo dell'Italia.
Quindi, certamente, se è eccessivo tradurre tutto nelle ventitré lingue, allora ricorriamo ad un'unica lingua, l'inglese, per certi atti da semplificare e per cui occorre diminuire i costi. Utilizziamo un altro criterio già impiegato in vari atti dell'Unione europea, vale a dire il criterio demografico, per cui si usano le lingue parlate da un numero pari o maggiore a 40 milioni di persone. Questo vorrebbe dire che, tra le lingue più utilizzabili, si inserirebbero, oltre l'inglese, il francese e il tedesco, anche l'italiano, lo spagnolo e il polacco. Occorre attivarsi in questo senso.
Non entro nel merito della mozione in esame perché vi abbiamo lavorato e anche noi del gruppo Partito Democratico la sosteniamo. Questo è un messaggio alla maggioranza e al Governo perché non è affatto vero che nelle vicende europee, mi riferisco anche alle vicende di questi giorni, siamo sempre e comunque contro il Governo e non siamo mai costruttivi. Quando dalla maggioranza e dal Governo provengono delle proposte positive siamo pronti a sostenerle, quando, invece, per la maggioranza ed il Governo l'Europa diventa un impiccio e la si inserisce all'ultimo punto dell'ordine del giorno per far spazio al provvedimento relativo al cosiddetto processo breve, evidentemente, la nostra posizione è dura come è stata la scorsa settimana e come sarà anche in questa.
Prima di concludere, signor Presidente, vorrei dire due cose. Innanzitutto, certamente tuteliamo l'italiano in Europa, ma, allo stesso tempo, facciamo di più per promuovere lo studio e la conoscenza della lingua italiana nell'Europa e nel mondo. È, infatti, un po' contraddittorio che tutte le forze politiche si uniscano nel tutelare la lingua italiana in Europa e che poi si tolgano fondi e non vi sia una Pag. 49strategia vera, degna di questo nome, per promuovere la lingua e la cultura italiane nel mondo quando avremmo un potenziale di utenti e anche di mercato economico, oltre che di influenza culturale e politica, enorme. Questo non è sfruttato dall'Italia.
È evidente, lo dico al Governo e al Presidente Pescante, che certamente possiamo anche votare all'unanimità tutte le risoluzioni che vogliamo, ma poi non viene nominato il Ministro per le politiche europee da sei mesi che dovrebbe occuparsi proprio di questi aspetti perché questa, signor Presidente, è materia tipica del Ministro per le politiche europee. Ci accingiamo ad adottare all'unanimità, credo, una mozione che richiede un'azione attiva da parte del Governo, ma l'attore di questo non c'è perché da sei mesi non abbiamo il Ministro per le politiche europee. La maggioranza ed il Governo non dicano poi che se non si ottengono risultati è sempre a causa dell'opposizione.
Espongo l'ultimo punto e concludo, signor Presidente. Va benissimo tutelare la lingua italiana, ma non utilizzerei questa lingua, anzi, non utilizzerei alcuna lingua, per dire ciò che ha detto ieri il Presidente del Consiglio Berlusconi quando ci ha invitati ad uscire dall'Unione europea né per dire quello che un'ora fa ha detto il Ministro Maroni affermando che è meglio stare soli che male accompagnati, dopo che la sua strategia delle urla, delle grida ed i suoi errori di due mesi hanno portato al risultato che denunciavamo da due mesi, vale a dire l'isolamento completo dell'Italia in Europa nella vicenda relativa all'immigrazione.
Su queste questioni, signor Presidente, non vi è lingua che tenga. Se continuiamo a collezionare errori su errori e addirittura a minacciare, in maniera ridicola, di uscire dall'Unione europea, quando avremmo molto più noi da perdere dall'uscita dall'Unione europea rispetto a questa, è evidente che non saremo efficaci nella politica dell'immigrazione, nell'influenzare l'Unione europea in materia di conti pubblici né nel tutelare la lingua italiana perché per certe cose la lingua italiana sarebbe meglio non utilizzarla (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.

(Intervento del Governo)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Enzo Scotti.

ENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, preannunzio, fin da questo momento, che a tempo debito, quando per prassi e Regolamento il Governo sarà chiamato ad esprimere il proprio parere, questo sarà positivo.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Scotti, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del testo unificato delle proposte di legge: Bitonci ed altri; Ceroni ed altri; Vannucci ed altri: Disposizioni concernenti la ripartizione della quota dell'otto per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche devolute alla diretta gestione statale (A.C. 3261-3263-3299-A) (ore 17,45)

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di legge di iniziativa dei deputati Bitonci ed altri; Ceroni ed altri; Vannucci ed altri: Disposizioni concernenti la ripartizione della quota dell'otto per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche devolute alla diretta gestione statale. Pag. 50
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 3261-A ed abbinate)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Il relatore, onorevole Ceroni, ha facoltà di intervenire.

REMIGIO CERONI, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la proposta di legge in esame intende affrontare i profili di criticità emersi negli ultimi anni in sede di ripartizione della quota dell'otto per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche devoluta alla diretta gestione statale. In occasione della ripartizione della medesima quota, infatti, con sempre maggiore frequenza e intensità si sono evidenziate difficoltà nell'individuazione di criteri unanimemente condivisi per la selezione degli interventi da finanziare, sia per quanto attiene al riparto delle risorse fra le quattro grandi finalità previste dalla legge istitutiva dell'otto per mille, sia per quanto attiene la scelta tra le diverse istanze valutate favorevolmente al termine dell'istruttoria condotta in sede amministrativa.
Un ulteriore elemento di criticità è stato rappresentato dall'utilizzo delle risorse della quota dell'otto per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche devoluta alla diretta gestione statale per finalità di copertura finanziaria di diversi provvedimenti legislativi di spesa o comunque per assicurare il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica. Il testo elaborato, sul quale si è registrata in sede di Commissione una convergenza da parte di tutti i gruppi parlamentari, intende quindi fissare criteri di rango legislativo da seguire per la ripartizione delle risorse disponibili, rafforzando al contempo il ruolo del Parlamento nell'individuazione degli interventi da finanziare.
L'esperienza applicativa della legge 20 maggio 1985, n. 222, ha evidenziato, come dicevo, l'esistenza di talune criticità che riguardano, in primo luogo, i criteri di individuazione degli interventi da finanziare in assenza di precisi canoni legislativi per la selezione degli stessi. Infatti, si è determinata una sostanziale impossibilità per il Parlamento di individuare con successo criteri di priorità per la realizzazione degli interventi diversi da quelli utilizzati nella predisposizione dello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, trasmesso alle Camere ai fini dell'acquisizione dei pareri delle Commissioni competenti.
Non si tratta, peraltro, di problemi aventi carattere contingente: già la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 20 luglio 2000, che ha indicato i criteri di esame e selezione dell'istanza di contributo da ammettere alla ripartizione della quota dell'otto per mille dell'IRPEF devoluta alla diretta gestione statale, recependo le indicazioni contenute nei pareri parlamentari, ha rilevato, tra l'altro, la necessità di precisare ed esplicitare meglio i criteri generali di assegnazione delle risorse e i criteri di priorità nella scelta, nonché di assicurare il rispetto di una sostanziale equità nella ripartizione delle risorse tra le diverse aree del Paese.
La stessa Corte dei Conti, nella relazione sulla gestione del Fondo dell'otto per mille da parte dello Stato, approvata nel luglio 2008, rilevava come l'indagine condotta avesse posto in evidenza alcune incongruenze che consigliano conseguenti interventi, sottolineando, in particolare, la mancanza di chiari criteri di ripartizione sia nell'ambito delle quattro tipologie di intervento ammesse a contributo, sia nella distribuzione territoriale, nonché l'elevata frammentazione degli interventi, che contrasta con il carattere di straordinarietà richiesto dall'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica 10 marzo 1998, n. 76. Le problematiche evidenziate sono state richiamate anche dal parere che la Commissione bilancio della Camera ha espresso il 27 ottobre 2009 sullo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei Pag. 51ministri di ripartizione della quota dell'otto per mille dell'IRPEF devoluta alla diretta gestione statale per il 2009. In tale occasione la medesima Commissione ha condizionato il proprio parere favorevole sullo schema ad una complessiva revisione, sulla base di criteri puntualmente indicati e alternativi a quelli utilizzati per la predisposizione dello schema stesso.
Va registrato positivamente però che nell'anno 2010, anche alla luce del parere richiamato dell'anno precedente, la ripartizione è stata più equilibrata, come espressamente sottolineato dal parere positivo reso dalla V Commissione (Bilancio) nella seduta del 2 dicembre 2010.
Un secondo ordine di criticità emerso nell'esperienza applicativa della legge n. 222 del 1985 deriva invece dalla riduzione delle risorse destinate dai contribuenti all'otto per mille di diretta gestione statale con finalità di copertura finanziaria di provvedimenti legislativi diversi. Ritengo e sottolineo comunque che tale profilo possa e debba comunque essere affrontato anche a prescindere dall'esito della presente proposta di legge.
Ricordo in primo luogo che con la legge finanziaria per il 2004 era stata disposta in via permanente, a decorrere dal 2004, la riduzione di 80 milioni di euro dell'autorizzazione di spesa relativa alla quota destinata allo Stato a valere sull'otto per mille del gettito IRPEF, destinando tale importo al miglioramento dei saldi di finanza pubblica. Tale disposizione è stata successivamente modificata dalla legge finanziaria per il 2007, la quale ai fini di un parziale ripristino delle risorse dell'otto per mille dell'IRPEF destinato allo Stato ha limitato la riduzione disposta con la legge finanziaria 2004 ad un solo triennio, riducendo altresì l'importo a 35 milioni di euro per l'anno 2007.
Un'ulteriore riduzione di 5 milioni di euro grava a decorrere dall'anno 2006 sulla quota dell'otto per mille di pertinenza statale disposta a copertura di disposizioni previdenziali concernenti gli iscritti al Fondo speciale di previdenza per il personale di volo dipendente da aziende di navigazione aerea. Poi anche negli anni 2007-2009 con la finanziaria 2007 si è proceduto ad un'ulteriore riduzione.
Quindi il combinato disposto dei diversi interventi sulla materia in sostanza rischia di determinare una distorsione dell'intero meccanismo di destinazione dell'otto per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, che si basa sulle scelte espresse dai contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi, limitando l'operatività del meccanismo individuato dalla legge n. 222 del 1985 ad una quota in alcuni casi assai ridotta delle risorse che dovrebbero essere ripartite. Di fatto pertanto la quota dell'otto per mille destinata dai contribuenti allo Stato per le finalità sociali indicate dalla legge istitutiva è stata utilizzata senza assicurare la dovuta trasparenza nei confronti dei contribuenti stessi, per scopi assai diversi anche se meritevoli della massima considerazione.
A fronte della situazione descritta la presente proposta intende delineare una nuova procedura di selezione degli interventi da finanziare che, fermo restando il procedimento amministrativo volto a valutare l'ammissibilità delle richieste formulate e la loro fattibilità sotto il profilo tecnico ed economico, rimetta al Parlamento la decisione finale su quali siano gli interventi da realizzare in via prioritaria. Il testo elaborato, quindi, non si pone l'obiettivo di incidere sulla disciplina recata dalla legge 20 maggio 1985, n. 222, che ha natura concordataria, ma si limita a innovare le procedure attraverso le quali le previsioni di legge ricevono applicazione nell'ordinamento statale, attualmente disciplinate dal decreto del Presidente della Repubblica 10 marzo 1998, n. 76. Per rendere ancora più esplicita tale finalità, in modo da superare alcune preoccupazioni sollevate al riguardo, la proposta elaborata in Commissione non reca più modifiche all'articolo 48 della legge 20 maggio 1985, n. 222, come invece facevano le proposte di legge originarie, ma si limita a prevedere disposizioni attuative del medesimo articolo.
In particolare, l'articolo 1 della proposta prevede che il decreto del Presidente Pag. 52del Consiglio dei ministri che opera la ripartizione delle risorse e l'individuazione degli interventi sia adottato, non dopo aver acquisito un semplice parere delle Commissioni parlamentari, bensì in conformità di uno specifico atto di indirizzo approvato dalle Commissioni bilancio di Camera e Senato. La sede parlamentare, del resto, è quella che meglio di ogni altra garantisce attraverso la pubblicità dei lavori, la trasparenza delle procedure seguite, il coinvolgimento delle opposizioni, e in definitiva la responsabilità nei confronti dei cittadini contribuenti per le decisioni assunte in ordine agli interventi da finanziare. Il meccanismo individuato riprende modelli più volte utilizzati dal legislatore per la ripartizione di risorse e l'individuazione di interventi da finanziare.
In particolare, ricordo che il procedimento è analogo a quelli previsti dall'articolo 1, commi 28 e 29, della legge finanziaria per il 2005 che ha istituito un fondo per la concessione dei contributi statali al finanziamento degli interventi diretti a tutelare l'ambiente ed i beni culturali e, comunque, a promuovere lo sviluppo economico e sociale del territorio, e dall'articolo 13, comma 3-quater, del decreto-legge n. 112 del 2008 che ha istituito il Fondo per la tutela dell'ambiente e la promozione e lo sviluppo del territorio.
Rispetto ad analoghe disposizioni, tuttavia, la proposta in esame prevede, al fine di garantire la distinzione tra fase istruttoria delle richieste di intervento, svolte in via amministrativa, e la fase esecutiva del provvedimento, che entro il 15 luglio di ciascun anno, la Presidenza del Consiglio dei ministri trasmetta alle Camere le domande valutate favorevolmente ai sensi della disciplina regolamentare vigente, unitamente alla documentazione relativa all'istruttoria svolta.
Si prevedono, inoltre, in via legislativa, precisi criteri per la selezione degli interventi da finanziare; in particolare, si richiede che il decreto di ripartizione assicuri comunque: innanzitutto, l'equilibrata distribuzione degli interventi tra le diverse aree del territorio nazionale; in secondo luogo, il finanziamento di interventi riferiti a tutte e quattro le tipologie di intervento previste dall'articolo 48 della legge n. 222 del 1985, ovvero interventi straordinari per la fame nel mondo, calamità naturali, assistenza ai rifugiati, conservazione dei beni culturali; in terzo luogo, che la destinazione delle risorse finalizzate ad interventi straordinari per calamità naturali ed alla conservazione dei beni culturali in via prioritaria venga assegnata alle domande presentate da enti territoriali.
Da ultimo, l'articolo 1 reca una disposizione volta ad assicurare il rispetto delle scelte manifestate, in sede di dichiarazione dei redditi, dai contribuenti con riferimento alla destinazione dell'otto per mille dell'imposta sui redditi delle persone fisiche. In proposito, si precisa, infatti, che la quota dell'otto per mille devoluta alla diretta gestione statale non possa essere ridotta né essere utilizzata per finalità difformi da quelle previste dal primo comma dell'articolo 48 della legge n. 222 del 1985, salvo che un provvedimento di rango legislativo disponga in tal senso, per far fronte ad esigenze impreviste di carattere assolutamente straordinario.
Pur essendo evidente la natura meramente programmatica delle disposizioni che si intende introdurre, si è, comunque, ritenuto opportuno indicare, in una norma legislativa, un preciso indirizzo in materia che possa agire come monito al legislatore e spingere il Parlamento ad evitare futuri tagli delle risorse dell'otto per mille. In ogni caso, spetterà proprio al Parlamento verificare che, nei provvedimenti all'esame delle Camere, sia, comunque, garantito il rispetto delle scelte espresse in sede di dichiarazione dei redditi dai contribuenti.
L'articolo 2 della proposta reca, invece, una disposizione volta a coordinare...

PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Ceroni.

REMIGIO CERONI, Relatore. ... la normativa di rango secondario vigente con le innovazioni introdotte, disponendo che, con regolamento da adottare entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge, le disposizioni regolamentari vigenti siano Pag. 53opportunamente modificate per tener conto delle novità introdotte dall'articolo 1. Lo schema del regolamento è trasmesso alle Camere per l'acquisizione del parere delle competenti Commissioni, che si esprimono entro 30 giorni dalla trasmissione.
L'articolo 3, infine, prevede che la legge entri in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
Sottolineo, per concludere, che la proposta non è suscettibile di determinare effetti negativi per la finanza pubblica in quanto non modifica l'ammontare delle risorse da ripartire, ma solo le procedure da utilizzare per la selezione degli interventi da finanziare.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
È iscritto a parlare l'onorevole Monai. Ne ha facoltà.

CARLO MONAI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, l'Italia dei Valori condivide la necessità di una normativa che ancori la destinazione di questo otto per mille a quelle che sono le scelte indicative promosse dai contribuenti nella cornice normativa disegnata dalla legge n. 222 del 1985 che è una legge destinata prioritariamente a ben altro. Si tratta di una legge, infatti, favorevole alla contribuzione nei confronti della Chiesa Cattolica, dell'Istituto per il sostentamento del clero, di tutte le articolazioni della Chiesa Cattolica stessa. All'interno di questa normativa, vi sono gli articoli 47 e 48 in cui si prevede che, oltre a tanti altri contributi e benefici, possa esserci anche tale destinazione dell'otto per mille.
Per la verità, l'articolo 48 stabilisce che, oltre all'otto per mille destinato alla Chiesa Cattolica, il contribuente possa decidere che quella quota seppur minima ma non così irrilevante delle entrate fiscali possa essere destinata a uno dei quattro pilastri designati dalla legge 20 maggio 1985, n. 222: fame nel mondo, calamità naturali, assistenza ai rifugiati, conservazione di beni culturali. Evidentemente si reagisce di fronte alla cattiva prassi che negli anni si è manifestata - qui non dobbiamo buttare croci sul Governo di centrodestra perché è una tentazione che ha colpito anche altri Governi - di destinare poi queste risorse ad altre necessità, le più varie per la verità: dal fondo volo, che regola l'assistenza previdenziale di questi operatori, a ripianare i buchi di bilancio, a finanziare le missioni militari all'estero, che forse fa saltare sulla sedia più di qualcuno dei contribuenti che magari hanno indirizzato queste somme proprio per evitare di finanziare apparati militari anche se nella logica delle missioni internazionali di pace, per finanziare il fondo che si è creato con le minori entrate derivanti dall'abolizione dell'ICI e quant'altro.
Se da una parte questo è un segnale politico che introduce - se questo sarà poi l'iter conclusivo di questa proposta di legge - alcuni paletti entro i quali il Governo possa distribuire queste somme, sappiamo anche che si tratta di una lancia con la punta spezzata, perché non dobbiamo comunque dimenticare che questa rimane una legge ordinaria che come tale, anche se introduce il principio che si possa derogare a questi criteri di distribuzione delle somme solo per esigenze connotate da straordinarietà ed eccezionalità, alla fine rimane sempre una fonte di diritto ordinaria che può essere derogata e abrogata con qualunque altro atto di fonte legislativa sia essa una legge finanziaria sia esso un decreto-legge del Governo.
Pertanto l'impianto è condivisibile nelle sue finalità enunciative e anche nella sua elaborazione di dettaglio. Resta un po' una responsabilità politica che trascende anche il tenore testuale di questa proposta di legge, che vorrebbe che si desse coerenza e seguito alle indicazioni che i contribuenti italiani fanno nel momento in cui compilano la loro denuncia fiscale e nel momento in cui stabiliscono una certa destinazione all'otto per mille, affinché questa sia tale al di là delle maggioranze e al di là delle leggi che qui noi possiamo ipotizzare. Pag. 54
In questa logica bisognerebbe anche interrogarsi se il rispetto della volontà del contribuente italiano sia garantito con quel meccanismo che l'articolo 47 della legge 20 maggio 1985, n. 222, codifica, secondo il quale anche la percentuale dei non opzionanti, cioè di coloro che non esercitano alcuna opzione sull'otto per mille, poi alla fine va nel calderone a favore della Chiesa Cattolica piuttosto che delle altre confessioni o dello Stato. Secondo me anche questo è un criterio che dovrebbe essere posto alla verifica della tenuta di questa coerenza interna del sistema, anche se è un tema piuttosto delicato che coinvolge naturalmente i Patti lateranensi e la loro modifica e sul quale non è certo oggi il momento di intrattenerci.
Certo è che la relazione della Corte dei conti su come sono stati investiti questi fondi da parte dello Stato negli anni 2001-2006 evidenzia anche un dato che deve farci riflettere, cioè il fatto che nella distribuzione degli interventi per quanto riguarda la conservazione dei beni artistici e culturali vi sono state regioni che hanno avuto dei contributi ed altre che non li hanno mai neanche visti (il Lazio, la Lombardia, le Marche, la Puglia ed il Veneto li hanno avuti, ma tutte le altre non hanno visto il becco di un quattrino, come si suol dire in termini prosaici).
Dunque un criterio deve essere anche quello non tanto di dare a tutti quel poco, perché alla fine non si fa nulla con i finanziamenti a pioggia, ma selezionare gli interventi con dei criteri oggettivi. Ne suggerisco io uno che potrebbe essere in qualche modo obiettivo e che è quello di garantire la conservazione e la valorizzazione dei siti UNESCO. L'Italia è il Paese con più siti tutelati come patrimonio mondiale dell'umanità ed io sono anche un po' interessato, venendo da Cividale del Friuli, che è candidata ad inserirsi nella lista del patrimonio mondiale, insieme ad altri sei siti nazionali, nell'imminente decisione che a giugno del 2011 assumeranno a Parigi i rappresentanti mondiali dell'UNESCO, ma certo è che questo può essere un criterio oggettivo, che dà una linea di finanziamento privilegiata a dei siti che sono stati riconosciuti tali come patrimonio mondiale dell'umanità da un'articolazione delle Nazioni Unite. Penso che questo possa essere un elemento meno fazioso, meno clientelare e meno legato alle vicende politiche di sottogoverno rispetto a quelle che sono le finalità tutelate dalla legge n. 222 del 1985 (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vannucci. Ne ha facoltà.

MASSIMO VANNUCCI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi si permetta innanzitutto di ringraziare il relatore, per la dettagliata relazione che ci ha proposto, di ringraziare lui e la Commissione per aver proposto alla discussione di quest'Aula un testo condiviso, che nella sostanza riprende la proposta di legge nostra, per la quale ero primo firmatario insieme ai colleghi Baretta, Duilio, Marchi e Zucchi. Vi è la necessità, signor Presidente, di intervenire in queste leggi. Noi stiamo modificando una disposizione di legge che è del 1985, è entrata in vigore nel 1990 ed ha visto nel 1998 il regolamento attuativo per quanto riguarda l'otto per mille a destinazione statale.
È necessario intervenire con una norma di legge prima di tutto per rispettare la volontà dei cittadini. La volontà dei cittadini, infatti, in questi 20 anni di vita della legge, dal 1990 al 2010, spesso non è stata rispettata. I cittadini, anzi i contribuenti - è meglio chiamarli così -, quando sottoscrivono la loro adesione ad una delle proposte che via via si sono arricchite (quella di destinare l'otto per mille allo Stato o alla Chiesa cattolica o alle altre confessioni che con successive disposizioni di legge si sono aggiunte fino al 1996: l'ultima che è entrata è quella dell'Unione delle comunità ebraiche italiane, anzi, mi correggo, è quella della Chiesa evangelica luterana in Italia) sanno che la loro quota è destinata, se firmano per lo Stato, a quattro finalità precise. Queste quattro finalità sono: tutela dei beni culturali, interventi per calamità naturali, Pag. 55interventi per i rifugiati e interventi per la fame nel mondo. Quindi lo Stato è chiamato ad utilizzare la quota dell'otto per mille di sua pertinenza per queste quattro finalità. Purtroppo non lo ha fatto nel corso di questi anni.
Il taglio più grosso vi è stato con la legge finanziaria del 2004, lo ha ricordato il relatore, in cui si sono prenotati addirittura 80 milioni di euro - che corrispondono a circa il 50 per cento della quota - per i saldi dello Stato. Con la quota destinata a valere sull'otto per mille, quindi, sono stati tolti 80 milioni di euro a favore dei saldi e non a finalità specifiche. Questa norma l'abbiamo poi parzialmente corretta durante il Governo Prodi, con un'altra legge finanziaria: abbiamo abbassato la soglia degli 80 milioni di euro, ma non abbiamo introdotto il principio di non tradire la volontà espressa dai contribuenti. La prima finalità del provvedimento è quindi chiedere il rispetto del regolamento che ci è stato dato e chiedere il rispetto dello spirito che il legislatore, nel 1985, ci ha messo per approvare questo provvedimento.
Il secondo aspetto riguarda le procedure. Nel regolamento e, comunque, nella storia dell'applicazione di questa legge, è evidente l'assenza dei criteri e l'eccessiva discrezionalità. Ricordo che su questo, sull'assenza di criteri, è intervenuta più volte la Corte dei conti e, quindi, noi abbiamo indicato alcuni criteri importanti, come l'equilibrata distribuzione sul territorio e il finanziamento di interventi riferiti a tutte e quattro le tipologie. Infatti, non in tutti gli anni è stato possibile intervenire su tutte le tipologie. Ricordo che un anno abbiamo destinato solo 4 milioni di euro ad altre finalità, mentre tutti i 140 o 150 milioni di euro erano stati destinati ad altre voci ed esclusivamente alla fame nel mondo. Un altro criterio, quando parliamo di calamità naturali o interventi per la conservazione dei beni culturali, è dare priorità alle richieste che ci pervengono dagli enti territoriali, perché, come è noto, possono accedere ai fondi dell'otto per mille a destinazione statale oltre che la pubblica amministrazione, anche le persone giuridiche e gli enti privati e pubblici.
Tuttavia, se parliamo dei beni culturali e delle calamità naturali, secondo noi, è giusto dare priorità agli enti locali e quindi, cambiamo un po' la procedura. È giusto che vi sia meno discrezionalità possibile e che, quindi, il Governo e la Commissione preposta preparino un'istruttoria sull'ammissibilità dei vari progetti, che questa sia sempre sottoposta a domanda ed indichi anche i livelli di importanza, ma su questi, poi, sia chiamato il Parlamento, con propri atti di indirizzo, ad elaborare la proposta finale da sottoporre al Governo per la decisione finale. Credo che il Parlamento sia il luogo deputato a questo, per il legame che ha con il territorio, per la conoscenza che ha del territorio e, del resto, questa procedura è seguita in tanti altri casi.
Signor Presidente, vorrei precisare che le modifiche non intaccano minimamente i rapporti concordatari con la Chiesa cattolica - e mi fa piacere che sia qui Scotti, il sottosegretario di Stato per gli affari esteri, al quale la cosa è strettamente legata - ma solo i criteri di ripartizione della quota direttamente devoluta allo Stato dai contribuenti.
Nel 2010 noi abbiamo ripartito le scelte effettuate dai contribuenti sui redditi riferiti all'anno 2006 e che sono stati dichiarati nel 2007. Non so perché siamo così indietro negli anni con i dati, anche questo dovremmo stabilirlo. Rispetto a quanto diceva il collega Monai è vero che gli italiani che sottoscrivono una destinazione del loro otto per mille sono il 43,5 per cento - non sono il cento per cento - però l'otto per mille è destinato secondo il cento per cento dei contribuenti, cioè la quota è messa da parte sulla base delle scelte che questo 43,5 per cento fa, e viene così destinato l'intero otto per mille.
Il risultato dei redditi 2006 è stato il seguente: allo Stato è andato il 12 per cento delle scelte, alla Chiesa cattolica l'85 per cento, alle altre confessioni il 3 per cento circa, tutto compreso. La quota da ripartire, quindi, complessivamente, è Pag. 56stata di 1 miliardo e 150 milioni di euro. Parliamo quindi di cifre piuttosto importanti, di cui 977 milioni di euro alla Chiesa cattolica, 151 milioni di euro allo Stato e circa 20 milioni di euro alle altre confessioni di religiose.
Con questo provvedimento non andiamo ad intaccare questa ripartizione e queste procedure, ma soltanto gli aspetti di cui ho parlato: rispetto delle scelte dei contribuenti, criteri per la distribuzione e ruolo del Parlamento. Sono tre pilastri che credo troveranno il consenso di questa Camera e il consenso del Governo nella successiva discussione.
Signor Presidente, mi faccia dire un'ultima cosa: la legge, come ho detto, è del 1985 e vorrei sottolineare l'assoluta attualità delle scelte che i legislatori fecero nel 1985 con la proposta di destinare fondi ai beni culturali. Sappiamo la discussione che abbiamo svolto in questo Paese per la tutela del nostro patrimonio, soluzione parzialmente approntata di recente con un decreto attraverso l'aumento delle accise, ma già allora, anzi da sempre, si diceva che questa era una priorità del Paese.
Calamità naturali. Di fronte a noi ogni giorno vi è la nostra difficoltà di prevenire le calamità, ma anche di intervenire con il recente aggravio - il relatore è un mio corregionale marchigiano e le Marche sono la prima regione incappata nelle nuove norme di protezione civile - rispetto agli impegni dello Stato per fronteggiare le calamità naturali. Con il «milleproroghe», infatti, si è deciso che prima di tutto, per rispondere ai danni da calamità naturali, debba intervenire la regione con le proprie risorse, con l'aumento al massimo di tutte le tassazioni possibili, compresa l'accisa per la benzina e che solo dopo potrà intervenire lo Stato. L'abbiamo chiamata «tassa sulla disgrazia», perché mette in crisi un principio, secondo me, fondativo dello Stato unitario che è quello della solidarietà, però lo cito perché uno dei punti sono le calamità naturali.
Il terzo - anche in questo caso mi fa piacere che sia presente il sottosegretario Scotti - riguarda i rifugiati. Voglio ricordare, perché è di estrema attualità, che abbiamo una migrazione biblica in questi giorni. Abbiamo vissuto - non oggi, ma in passato - certe interpretazioni delle nostre norme in maniera contestabile quando abbiamo parlato di respingimenti in mare, come il sottosegretario Scotti ricorderà.
Volevo ricordare a quest'Aula l'articolo 10 della Costituzione: «(...) Lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge (...)». Questo credo sia un principio basilare dei diritti dell'uomo, a fondamento della civiltà e migliore garanzia che non prolifichino dittature nel mondo ed è la speranza che noi possiamo dare ad ogni popolo di poterci provare, di potercela fare, perché c'è un mondo, diverso dal loro Paese, che li tutela. C'è una porta d'ingresso, c'è una possibilità, c'è una prospettiva e questo è un principio che non possiamo mettere in discussione. Quindi, veda anche qui la lungimiranza dei nostri legislatori che già avevano identificato in questo uno dei problemi sui quali intervenire economicamente.
Il quarto è la fame nel mondo. È riconosciuto anche da parte di quei settori dell'Aula che hanno più spinte repressive e di respingimento, che però dicono ogni volta che è giusto aiutare questi popoli nei loro Paesi. Allora, aiutiamoli e cerchiamo di combattere la fame del mondo. Con queste risorse di 150 milioni l'anno non potremo fare molto (tale cifra è riferita al 2006, poi le risorse destinate nelle denunce dei redditi saranno anche aumentate nel frattempo), però se interveniamo ogni anno con equilibrio con queste quattro finalità, credo potremo dare una risposta corretta, giusta ed equilibrata, muovendoci su quattro finalità molto importanti e fondamentali.
Quindi, lo spirito di questo provvedimento è non spostarci da quanto è stato fatto nel 1985 e non permettere che ci siano, come ci sono stati, scostamenti rispetto alle finalità del legislatore e rafforzare questi principi. Il nostro augurio è Pag. 57pertanto che questa Camera dibatta il testo unificato delle proposte di legge in esame e lo approvi con lo spirito che qui è stato espresso dal relatore, ossia con spirito unitario (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 3261-A ed abbinate)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore e il rappresentante del Governo rinunciano alla replica.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 12 aprile 2011, alle 12:

1. - Svolgimento di una interpellanza e di interrogazioni.

(ore 15)

2. - Seguito della discussione della proposta di legge:
S. 1880 - d'iniziativa dei senatori: GASPARRI ed altri: Misure per la tutela del cittadino contro la durata indeterminata dei processi, in attuazione dell'articolo 111 della Costituzione e dell'articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (Approvata dal Senato) (C. 3137-A).
- Relatore: Paniz.

3. - Seguito della discussione del disegno di legge:
S. 2569 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 22 febbraio 2011, n. 5, recante disposizioni per la festa nazionale del 17 marzo 2011 (Approvato dal Senato) (C. 4215).
- Relatore: Calabria.

4. - Seguito della discussione dei disegni di legge:
Ratifica ed esecuzione dello Scambio di lettere tra il Governo della Repubblica italiana e l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura (FAO) per la concessione di un immobile in Roma come sede per la Commissione generale per la pesca nel Mediterraneo (CGPM), fatto a Roma il 19 gennaio e il 24 marzo 2006 (C. 4027-A).
- Relatore: Narducci.

Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra Repubblica italiana e la Repubblica di Albania, aggiuntivo alla Convenzione europea di estradizione del 13 dicembre 1957 ed alla Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 20 aprile 1959, ed inteso a facilitarne l'applicazione, fatto a Tirana il 3 dicembre 2007, con Scambio di Note effettuato a Tirana il 18 e 19 settembre 2008 (C. 4024-A).
- Relatore: Renato Farina.

Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di cooperazione culturale e scientifica tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica di Panama, firmato a Roma il 2 maggio 2007 (C. 4040).
- Relatore: Malgieri.

5. - Seguito della discussione della relazione territoriale sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti nella regione Lazio approvata dalla Commissione parlamentare Pag. 58di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti (Doc. XXIII, n. 6).

6. - Seguito della discussione delle mozioni Della Vedova ed altri n. 1-00612, Rao ed altri n. 1-00614, Ferranti ed altri n. 1-00615 e Costa, Lussana, Belcastro ed altri n. 1-00616 concernenti iniziative relative alla situazione delle carceri.

7. - Seguito della discussione della mozione Pescante, Gozi, Maggioni, Buttiglione, Ronchi, Razzi, Porcino ed altri n. 1-00567 concernente iniziative per la tutela e la promozione della lingua italiana nelle istituzioni dell'Unione europea.

8. - Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
BITONCI ed altri; CERONI ed altri; VANNUCCI ed altri: Disposizioni concernenti la ripartizione della quota dell'otto per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche devoluta alla diretta gestione statale (C. 3261-3263-3299-A).
- Relatore: Ceroni.

La seduta termina alle 18,25.

TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO GAETANO PECORELLA IN SEDE DI DISCUSSIONE DEL DOC. XXIII, N. 6.

GAETANO PECORELLA, Presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti. Signor Presidente, onorevoli colleghi, voglio in primo luogo esprimere la mia soddisfazione e quella di tutti i componenti la Commissione parlamentare d'inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti per l'odierno dibattito. Non è abituale che la relazione di una Commissione d'inchiesta sia oggetto di discussione presso l'aula di Montecitorio, anche se pochi mesi fa si è svolto un analogo dibattito sulla relazione relativa alla Sicilia. Ringrazio per questo motivo la Presidenza della Camera.
L'odierno dibattito dimostra l'attenzione che le istituzioni parlamentari dedicano al settore dei rifiuti che, in molte regioni del paese a causa di un'inadeguata gestione del ciclo integrato, è fonte di gravi danni per l'ambiente e di preoccupanti tensioni sociali.
La relazione territoriale sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti nella regione Lazio (Doc. XXIII, n. 6), approvata all'unanimità dalla Commissione parlamentare nella seduta del 2 marzo 2011, è il frutto di un intenso lavoro iniziato il 6 maggio 2009 con l'audizione del presidente della regione Lazio, Piero Marrazzo.
Il lavoro è proseguito in sede dove sono state svolte 20 sedute per raccogliere le informazioni necessarie al completamento dell'indagine; complessivamente sono state audite 56 persone.
La Commissione ha svolto inoltre due missioni nella regione. In primo luogo una delegazione della Commissione si è recata Colleferro il 20 maggio 2009 per approfondire le vicende legate al termovalorizzatore. Inoltre, una ulteriore missione finalizzata ad approfondire le tematiche relative alla discarica ed al gassificatore di Malagrotta, si è svolta il 23 giugno 2010. Nel corso di queste missioni sono state audite 14 persone.
Nell'archivio della Commissione sono conservate 9480 pagine di documentazione, raccolte nel corso di questa attività di indagine, che sono state catalogate in 262 schede, di cui 22 riguardano documenti riservati o segreti. Tutti i documenti sono stati digitalizzati e sull'intero archivio è possibile effettuare ricerche testuali.
L'indagine svolta dalla Commissione ha rilevato carenze strutturali ed impiantistiche nella regione Lazio che, contrariamente agli orientamenti, alle scelte, alle strategie dettate dalle direttive comunitarie in materia di rifiuti e dalla norma nazionale, è andata nel verso opposto a quello della «gestione integrata». Pag. 59
Nella regione, sin dal 1999, è stata decretata l'emergenza rifiuti con la gestione commissariale. La formale cessazione della gestione emergenziale nell'anno 2008 non ha portato, tuttavia, al superamento delle criticità nella gestione del ciclo. Le diverse giunte che si sono avvicendate al governo della regione hanno privilegiato il ricorso allo smaltimento in discarica piuttosto che l'ammodernamento e il potenziamento delle strutture di trattamento esistenti tese alla separazione secco/umido del rifiuto tal quale, alla raffinazione della frazione secca con produzione di cdr (combustibile derivato da rifiuti) per alimentare le linee di termovalorizzazione operanti nelle province di Roma e di Frosinone ed alla stabilizzazione della frazione umida con produzione di fos (frazione organica stabilizzata) da destinare alla ricopertura delle discariche e/o al ripristino di cave esaurite.
La raccolta differenziata si è attestata, nel 2010, intorno al 12-13 per cento (con il fallimento degli obiettivi fissati dalla legislazione vigente), altrettanto insignificanti sono state l'attivazione della filiera dei materiali della raccolta e l'intercettazione della frazione umida da inviare al compostaggio di qualità nei pochi impianti funzionanti sul territorio regionale. A fronte di tale situazione, la U.E. ha attivato una procedura d'infrazione cui la nuova Giunta regionale ha cercato di porre rimedio con l'emanazione del nuovo piano di gestione dei rifiuti, avvenuta il 19 novembre del 2010, e con la presentazione ed illustrazione dello stesso, alla Commissione europea avvenuta nell'ultima settimana di gennaio 2011.
Il nuovo piano regionale persegue essenzialmente l'obiettivo di autosufficienza del sistema (un ATO regionale e cinque sub-ATO provinciali), della chiusura del ciclo secondo i criteri della gestione integrata attraverso i quali, a fronte di un forte potenziamento della raccolta differenziata, del trattamento di separazione del rifiuto solido urbano tal quale, della termovalorizzazione della frazione secca raffinata (cdr), la discarica dovrà avere nel tempo un ruolo decisamente residuale. Il Piano ha posto quindi come obiettivo centrale e prioritario da raggiungere entro il 2011 il 60 per cento di raccolta differenziata sul territorio regionale. Tuttavia, considerato il trend attuale di crescita della raccolta differenziata, il traguardo del 60 per cento appare irrealizzabile e irraggiungibile nei tempi previsti, anche se si farà ricorso ai commissari ad acta nei comuni inadempienti. Peraltro, la presidente Polverini, nel corso della sua audizione, ha dichiarato di voler chiedere al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare la deroga al raggiungimento di tale obiettivo previsto per legge. Inoltre, la realizzazione della nuova impiantistica prevista o l'attivazione di quella già autorizzata, non potrà compiersi prima di tre anni per alcuni impianti (trattamento TMB, compostaggio) o di quattro (realizzazione di una nuova linea di termovalorizzazione o la messa a completo regime di quelle esistenti).
Tra l'altro, i vari impianti per la produzione di cdr forniscono per lo più materiale che finisce prevalentemente in discarica in quanto di scarsa qualità e non idoneo per la termovalorizzazione. Questa situazione fa ritenere che i nuovi impianti di termovalorizzazione previsti siano sovradimensionati, soprattutto se verranno raggiunti obiettivi accettabili di raccolta differenziata. In tal caso, infatti, la quantità residua da smaltire sarà sempre minore. Conseguentemente, tutte le iniziative legate al raggiungimento dell'obiettivo appaiono per il momento ipotetiche e il conferimento in discarica, che rappresenta il fallimento della gestione virtuosa del ciclo, rimane ancora uno strumento irrinunciabile nel breve, se non nel medio termine.
L'esaurirsi della capacità di Malagrotta e delle altre discariche impone, con il concorso di tutte le istituzioni interessate l'individuazione di un sito alternativo per la città di Roma, senza il quale l'emergenza rifiuti rischierebbe di aggravarsi. Si pone altresì come indifferibile l'esigenza di Pag. 60programmare le opere di bonifica e salvaguardia ambientale di Malagrotta e delle altre discariche.
La Commissione ha altresì rilevato che il polo di Malagrotta, con le sue strutture impiantistiche (impianti di trattamento meccanico biologico, impianti di gassificazione, impianto di discarica), rappresenta l'unica piattaforma tecnologica di valore regionale e nazionale in un sistema imprenditoriale regionale che ha mostrato finora una scarsa attitudine ad investire nel ciclo della gestione integrata dei rifiuti. Carenze impiantistiche e strutturali sono state evidenziate anche nel settore della gestione dei rifiuti speciali, mentre vi è la necessità di riavviare un piano credibile di bonifica delle aree contaminate, pur considerando che le risorse economiche da mettere in campo non sono trascurabili.
Sotto il profilo degli illeciti nel campo della gestione dei rifiuti riferibili alla criminalità organizzata, va rilevato che il Lazio si presenta come una regione che potrebbe essere interessata da questo tipo di illegalità, sia per la presenza di ampie porzioni di territorio morfologicamente adatte alla discarica e all'occultamento illecito dei rifiuti, sia per la vicinanza con quelle aree della provincia di Caserta ad alto rischio, dato che in passato e ancora oggi nell'attualità sono state individuate presenze criminali nel settore. Secondo quanto riferito dal procuratore aggiunto di Roma, coordinatore della direzione distrettuale antimafia, nel Lazio, infatti, si riscontra la presenza della 'ndrangheta, della camorra e della mafia siciliana, accertata ed evidenziata in numerose indagini che danno conto dell'esistenza anche nella regione del fenomeno delle ecomafie. Nella sua relazione alla cerimonia dell'inaugurazione dell'anno giudiziario 2011, il procuratore generale della Corte d'appello ha affermato che nel Lazio tutte le mafie operano in convivenza tra loro e con la tradizionale criminalità organizzata; sennonché, l'ipotesi di filiere criminali operanti nel settore dello smaltimento illecito di rifiuti non hanno avuto alcun riscontro nei procedimenti penali attivati nel distretto giudiziario del Lazio e di cui si è dato ampio conto nella relazione. Esistono, invece, taluni riscontri per quanto riguarda le connessioni tra attività imprenditoriali e fenomeni di corruzione della pubblica amministrazione. Non vi sono attualmente in corso, infatti, procedimenti concernenti il ciclo dei rifiuti e riguardanti la criminalità organizzata di stampo mafioso. Questo dato ha trovato conferma nelle audizioni dei magistrati delle procure, dei prefetti, dei questori e dei responsabili dei corpi di polizia giudiziaria che, a vario titolo, si sono occupati di inchieste concernenti i traffici illegali di rifiuti, i quali hanno fornito uno spaccato della realtà ambientale abbastanza grave, che coinvolge la criminalità comune ed economica, ma che non vede, almeno allo stato, l'infiltrazione della criminalità organizzata nel ciclo dei rifiuti.
L'inchiesta ha evidenziato che le maggiori criticità nella regione Lazio si sono riscontrate nella gestione dell'impianto di termovalorizzazione di Colleferro, dove gli illeciti ivi accertati sono stati evidentemente favoriti dalla carenza nel sistema dei controlli da parte degli organi preposti, carenza dovuta principalmente al fatto che l'impianto per lungo tempo aveva operato con la procedura semplificata prevista dagli antichi articoli 31 e 33 del decreto legislativo n. 22 del 1997, il cosiddetto «decreto Ronchi».
La Commissione ha comunque rilevato che sul territorio della regione Lazio molte discariche sono ormai in via di esaurimento, che vi sono impianti obsoleti che richiedono forti investimenti per tornare ad essere produttivi e che in molti comuni, compreso quello di Roma, la situazione si avvicina pericolosamente all'emergenza; a ciò si aggiunge la grave difficoltà economica di società che gestiscono gli impianti, come quella che gestisce l'inceneritore di Colleferro. Nel Lazio molte aziende e consorzi pubblici sono stati costituiti su iniziativa degli enti locali in assenza di un piano industriale, di un organico riferimento territoriale per la gestione integrata del ciclo dei rifiuti. Tali aziende e consorzi hanno determinato sprechi e inefficienze, duplicato centri di potere, generato assunzioni Pag. 61in contrasto con la normativa vigente e giustificate ogni volta con l'emergenza. E purtroppo sono molte le società e i consorzi pubblici che operano nel settore a trovarsi in grandi difficoltà economiche. Tutto ciò contribuisce ad aggravare la gestione del ciclo, a distrarre risorse necessarie a favorirne l'efficienza e rischia di preparare il terreno alle infiltrazioni delle consorterie mafiose nel ciclo dei rifiuti, le quali possono movimentare capitali sporchi e denaro riciclato per acquisire aziende in difficoltà e condizionare il libero mercato.
Con riferimento all'area dove insiste l'impianto di termovalorizzazione di Colleferro, le associazioni ambientaliste hanno segnalato alla Commissione la pericolosità per la salute pubblica degli impianti industriali che causano l'inquinamento dell'aria e delle acque in tutta la valle del Sacco. L'area è stata per lunghi anni sede di una importante attività industriale per la produzione di sostanze chimiche, esplosivi e carrozze ferroviarie. Il complesso industriale ha causato nel tempo l'inquinamento dell'aria, i lavoratori sono stati esposti a sostanze tossiche in ambiente di lavoro e le persone che hanno risieduto lungo il fiume Sacco hanno assorbito ed accumulato nel tempo pesticidi e sostanze chimiche pericolose per la salute.
La Commissione ha indicato quale strada da seguire quella della rigorosa applicazione delle norme, del potenziamento dei sistemi di controllo esterni ed interni, della formazione di polizia giudiziaria specializzata ed attrezzata per questo tipo di indagini, della applicazione delle sanzioni penali (le sole che hanno una efficacia specialpreventiva e generalpreventiva), della possibilità per l'autorità giudiziaria di utilizzare tutti gli strumenti investigativi che il codice di procedura penale prevede per la ricerca della prova.

TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL SOTTOSEGRETARIO DI STATO PER GLI AFFARI ESTERI, ENZO SCOTTI, IN SEDE DI DISCUSSIONE DELLA MOZIONE PESCANTE ED ALTRI N. 1-00567.

ENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. L'importanza di assicurare un regime linguistico non discriminatorio, basato sulla pari dignità degli idiomi dei Paesi membri, è un elemento presente sin dalle origini della costruzione europea.
Non a caso il primo regolamento approvato dopo l'entrata in vigore del Trattato di Roma (il regolamento n.1 del 1958) è relativo proprio al regime linguistico. Esso riconosceva all'epoca quali lingue ufficiali e lingue di lavoro della Comunità le quattro lingue in cui il Trattato di Roma era stato redatto (italiano, olandese, francese e tedesco).
Il regolamento del 1958 è stato modificato nel corso degli anni per adeguarlo alle adesioni che si sono via via prodotte rispetto all'originale Comunità di 6 Stati membri. Nella sua versione attuale esso riconosce lo statuto di lingue ufficiali e di lingue di lavoro a 23 lingue parlate nei 27 Stati membri.
Oltre che nel citato regolamento del 1958, la percezione dell'importanza del principio di non discriminazione è ben presente anche nel diritto primario, ovvero nei due Trattati che reggono l'Unione europea: il Trattato sull'Unione europea (TUE) e il Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE).
Numerose sono le disposizioni contenute nei due Trattati da cui emerge chiaramente che il rispetto delle diversità linguistiche è componente imprescindibile della costruzione dell'Unione.
L'articolo 18 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea detta, in particolare, un principio cardine dell'Unione: quello per cui nessun cittadino europeo può essere discriminato sulla base della nazionalità. Essendo l'idioma una componente rilevante della nazionalità è chiaro che l'articolo 18 impone anche un parallelo principio di non discriminazione su base linguistica.
Le numerose adesioni di Stati membri prodottesi dal 1958 hanno reso sensibilmente Pag. 62più oneroso per le istituzioni e gli organismi dell'Unione assicurare traduzioni da e verso tutte le 23 lingue ufficiali e di lavoro oggi riconosciute. In un'ottica di contenimento dei costi si è dunque venuta affermando surrettiziamente una distinzione tra la nozione di lingua ufficiale (che appartiene alle 23 lingue ufficiali dell'Unione europea) e la nozione di lingua di lavoro o veicolare.
A seguito di alcune forzature si è andata percependo una lenta ma costante deriva verso un trilinguismo di fatto (inglese, francese, tedesco) nel funzionamento dell'Unione europea a supporto del quale l'impressione è che le giustificazioni di ordine economico siano usate strumentalmente.
L'Italia si oppone con fermezza a tale deriva non solo per tutelare la lingua italiana (lingua di un paese fondatore e quarto paese più popoloso dell'Unione), ma nella consapevolezza che la difesa della pari dignità linguistica è essenziale per il futuro stesso della costruzione europea. Il Ministero degli affari esteri è impegnato in prima fila sia sul piano politico-diplomatico sia concorrendo a promuovere, ove opportuno, azioni giurisdizionali.
Siamo convinti che la frattura tra cittadini e istituzioni dell'Unione, spesso invocata come uno degli scogli su cui rischia di arenarsi il processo di integrazione europea non può essere ricomposta se non si rafforza nei primi quell'identificazione con le proprie istituzioni rispetto alla quale non è certo secondaria la presenza della propria lingua nel funzionamento dell'Unione.
Per contrastare tale deriva l'Italia non cessa di ribadire con fermezza l'esigenza che sia garantito il diritto di ogni cittadino a esprimersi nella propria lingua e a ricevere in tale lingua dalle istituzioni le informazioni che lo riguardano, proprio come previsto dal regolamento n. 1 del 1958.
Siamo costantemente impegnati nel monitoraggio e nella tutela di tale diritto, segnalando tempestivamente alle istituzioni qualsiasi deviazione da esso. Per esempio, la garanzia dell'interpretariato attivo e passivo (ovvero, la traduzione da e nella propria lingua) in italiano è «condicio sine qua non» per la partecipazione dei nostri delegati ai lavori dei gruppi: in caso di mancata tutela, si richiede prontamente il ripristino di una condizione di parità, pena il boicottaggio del gruppo ovvero l'avvio di azioni di protesta verbale o scritta.
L'esigenza di contrastare una deriva verso il regime trilingue viene rappresentata puntualmente all'avvio di ciascuna Presidenza semestrale UE alle nostre Rappresentanze diplomatiche all'estero che sono invitate ad operare un monitoraggio al fine di evitare il ricorso al regime trilingue.
In spirito costruttivo, l'Italia ha sempre mostrato tolleranza verso regimi linguistici ridotti che contemplassero oltre alla lingua della Presidenza di turno, l'inglese e, se compatibile con l'esigenza di contenere i costi, il francese.
Tra i regimi linguistici ridotti quello da noi preferito è quello che prevede il ricorso, oltre alla lingua della Presidenza, al pentalinguismo (italiano, inglese, francese, tedesco e spagnolo). Tale regime appare, infatti, come quello che meglio bilancia l'esigenza di contenimento dei costi con quella di rappresentanza degli idiomi più diffusi negli Stati membri.
Come detto, il Governo agisce sul piano politico-diplomatico, ma ricorre anche alle vie di diritto.
È noto che una serie di sentenze della Corte di Giustizia dell'UE dal 2008 a oggi hanno fornito conforto alla nostra impostazione in difesa della pari dignità linguistica come presupposto della non discriminazione. Ricordo, da ultimo, la sentenza del 3 febbraio scorso nella causa T-205/07 (Italia contro Commissione) e la recentissima sentenza nella causa T-117/08 (Italia contro Comitato economico e sociale europeo).
Il Governo condivide, inoltre, l'importanza di ricercare il coordinamento e la collaborazione con altri Paesi europei particolarmente attenti alla non discriminazione linguistica.
Vorrei ricordare a tale proposito il caso del brevetto europeo, che vede Italia e Spagna fianco a fianco nel contrastare il Pag. 63tentativo di realizzare una cooperazione rafforzata improvvida e divisiva (anche perché basata sul trilinguismo) e perciò stesso contraria allo spirito costruttivo che aveva condotto all'introduzione dello strumento della cooperazione rafforzata nei Trattati. Italia e Spagna hanno annunciato che impugneranno innanzi alla Corte di Giustizia la decisione del Consiglio competitività dello scorso 10 marzo di procedere comunque nella realizzazione della cooperazione rafforzata.
Il Governo è consapevole che con la pari dignità linguistica sono in gioco principi fondamentali dello stare insieme come Unione europea e, alla fine, l'identificazione stessa dei cittadini dell'Unione con le proprie istituzioni. Il Governo plaude pertanto all'iniziativa del Parlamento di sollevare una questione di così rilevante valenza politica.
In sintesi, il Governo condivide pienamente il contenuto della mozione ed annuncia fin d'ora che esprimerà a tempo debito un parere favorevole sul testo ed in particolare su tutti i punti della parte dispositiva.