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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 30 di martedì 8 luglio 2008

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
ANTONIO LEONE

La seduta comincia alle 10,35.

GIACOMO STUCCHI, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Alessandri, Balocchi, Bongiorno, Boniver, Brancher, Brugger, Buonfiglio, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Lo Monte, Mazzocchi, Menia, Molgora, Mura, Pescante e Scajola sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente sessanta, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Sull'ordine dei lavori (ore 10,40).

FABIO EVANGELISTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, ho chiesto impropriamente la parola sull'ordine dei lavori perché, in verità, il mio vuole essere un richiamo al Regolamento.
L'argomento sul quale vorrei richiamare la sua attenzione perché possa, poi, farsene interprete nei confronti del Presidente della Camera riguarda la decisione di contingentare i tempi, anche rispetto alle votazioni, sul cosiddetto «lodo Alfano» che, da domani, con il cambiamento che è stato imposto durante la Conferenza dei presidenti di gruppo che si è svolta ieri sera, sarà alla nostra attenzione. Vorrei dire che non siamo assolutamente d'accordo con questa decisione.
I colleghi e, in particolare il presidente Donadi, mi hanno riferito che già ieri sera la questione è stata sollevata durante la Conferenza dei presidenti di gruppo da parte delle opposizioni, che hanno avanzato le loro proprie perplessità. So che l'argomento è stato già affrontato, tuttavia, a nome del gruppo dell'Italia dei Valori, intendo far presente e sottolineare con forza che questa non è una questione banale sulla quale si possa soprassedere con troppa disinvoltura.
Come ella ben sa, Presidente Leone, l'articolo 49 del nostro Regolamento prevede, al comma 1, che: «Le votazioni hanno luogo a scrutinio palese. Sono effettuate a scrutinio segreto le votazioni riguardanti le persone, nonché, quando ne venga fatta richiesta ai sensi dell'articolo 51 (...)». In tale articolo viene fatto un rinvio agli articoli 6, da 13 a 22 e da 24 a 27 della nostra Costituzione. L'argomento che tratta - mi scuso per l'imperfezione - del cosiddetto «lodo Alfano» (ma potrebbe chiamarsi anche «lodo Schifani» o ci si potrebbe inventare un'altra espressione) va proprio ad incidere su materie e diritti fondamentali, fra i quali quelli previsti dalla Costituzione; tra questi, uno è senz'altro il diritto di agire e difendersi in giudizio, ai sensi dell'articoloPag. 224, della Costituzione. Anche in questo caso, mi si perdoni il richiamo: l'articolo 24 della Costituzione prevede che «Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Sono assicurati (...)». Se con una legge ordinaria si esclude la possibilità che i vertici massimi delle istituzioni repubblicane possano essere chiamati a rispondere dei propri atti e delle proprie azioni, viene meno la tutela degli interessi di tutti gli altri cittadini.
L'articolo 24, non più quello della Costituzione, bensì quello del nostro Regolamento, al comma 12, prevede che non si possa contingentare la discussione nella fase successiva al dibattito generale se non all'unanimità, nell'ambito della Conferenza dei presidenti di gruppo, oppure in un successivo calendario. Ieri sera questa unanimità non è stata raggiunta e, quindi, si potrà contingentare la discussione soltanto nella definizione del prossimo calendario dei nostri lavori, ovvero alla ripresa di settembre. Già ieri sera la modifica del calendario vigente, così anche per le modalità, è stata una vera e propria forzatura.
Mi fermo, signor Presidente, non voglio fare riferimento alle ipotesi che stamani riempiono i giornali ed i quotidiani della penisola, che ipotizzano uno scambio che sarebbe intervenuto fra il cosiddetto emendamento «blocca-processi» e il «lodo Alfano».
Non voglio nemmeno parlare di un sequestro del Parlamento, che cozzerebbe con la cultura liberale di cui l'attuale maggioranza è portatrice. Ho però una preoccupazione: che possa venir meno il ruolo di arbitro del Presidente della Camera o meglio dei Presidenti delle Camere che, so benissimo, nel corso di questi ultimi anni, hanno prodotto significativi cambiamenti.
Il nostro sistema, che si va sempre più definendo come sistema bipolare, porta a far sì che le stesse istituzioni di Presidenza dei due rami del Parlamento siano diretta espressione, diretta emanazione della maggioranza. Però - lei capisce signor Presidente - oggi, alle dodici, è convocata la Giunta per il Regolamento: lì noi - così come immagino gli altri colleghi dell'opposizione - porremo la questione con dovizia di argomenti.
Vogliamo però dire, sin da ora, che non si possono conculcare le ragioni dell'opposizione con decisioni costruite su un unico precedente: quello riferito cioè al «lodo Schifani», quando Presidente di questa Assemblea era l'onorevole Casini, anch'egli, come oggi il Presidente Fini, espressione diretta di una maggioranza. Esso ha, in quel momento, portato un vulnus ai lavori del Parlamento a tal punto che la norma è stata poi, «paradossalmente» - non mi viene un'espressione migliore e più appropriata - dichiarata incostituzionale.
Su una materia così delicata, quello che noi chiediamo e per cui la invito, Presidente Leone, è di riferire questa nostra posizione al Presidente della Camera affinché egli possa riconsiderare la sua decisione e disporre l'eventuale contingentamento soltanto in un secondo momento.

ANTONELLO SORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Prima di dare la parola al presidente Soro, vorrei solo ricordare al collega - che, per la verità, ha introdotto egli stesso il tema della improprietà dell'intervento, che non ritengo sia legato alla sua persona ma alle modalità con cui è stato svolto - che l'articolo 24 del Regolamento, dallo stesso richiamato, prevede che tali questioni debbano essere sottoposte al Presidente, e quindi all'Assemblea, dopo la lettura delle comunicazioni relative agli esiti della Conferenza dei presidenti di gruppo, quindi ieri sera.
Lei ha continuato a parlare, ma questa premessa andava fatta: l'improprietà è legata al momento in cui è stato sollevato il problema.

FABIO EVANGELISTI. Allora ritiro il richiamo al Regolamento e ritorno all'ordine dei lavori!

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il presidente Soro.

Pag. 3

ANTONELLO SORO. Signor Presidente, intervengo sull'ordine dei lavori e per un richiamo al Regolamento, in particolare faccio riferimento all'articolo 8. Avrei preferito, sinceramente, Presidente Leone, con tutto il rispetto, la stima e l'amicizia nei suoi confronti, rivolgere le mie osservazioni al Presidente Fini. La prego, quindi, di farsi carico che il Presidente Fini ascolti le considerazioni che noi stiamo facendo, che ha fatto il collega, che ho fatto io e che, credo, faremo a lungo in questi giorni.
È in atto una rivoluzione delle procedure parlamentari che non ha precedenti nella storia repubblicana. Si citano diversi precedenti: nessuno però mette insieme tutti i fattori di contrasto diretto con le regole che questo Parlamento ha come riferimento ineludibile. Nei giorni scorsi, signor Presidente, è stata richiamata dal Capo dello Stato la condizione assolutamente difficile - e anch'essa priva di precedenti - di otto decreti-legge all'esame del Parlamento, di una manovra triennale di finanza pubblica che ha preceduto l'approvazione del Documento di programmazione economico-finanziaria che quella manovra doveva disciplinare. Il tutto stretto in poche settimane di lavoro, utilizzando i ritagli di tempo della giornata, sostanzialmente privando il Parlamento della sua funzione di libero luogo nel quale i parlamentari conoscono e poi decidono.
Ci troviamo in una condizione in cui conoscere è praticamente impossibile, decidere è una facoltà che l'Esecutivo ha rivendicato per sé e il Parlamento si trova in una condizione di grossolana costrizione, senza precedenti.
Nei giorni scorsi è stata segnalata dal Capo dello Stato la necessità che i Presidenti delle Camere si facessero carico di attenuare l'impatto di questa sovrapposizione di provvedimenti e di disciplinarne in modo intelligente l'andamento. La risposta che abbiamo è che oggi viene proposto l'inserimento del disegno di legge n. 1442, recante disposizioni in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato.
Si tratta di un tema di grandissimo rilievo per il sistema, che riguarda le alte cariche dello Stato e, quindi, anche il Presidente di questa Camera. Nonostante il grande rilievo di questa misura, ci viene proposto che questo provvedimento, inserito all'ordine del giorno, venga discusso dalla Commissione nei ritagli di tempo, mentre l'Assemblea sta esaminando ed approvando il Documento di programmazione economico-finanziaria; che questo pomeriggio, alle ore 16,30, debbano essere comunque predisposti e presentati gli emendamenti e che domani l'Assemblea debba esaminare il disegno di legge testé citato. Un andamento da tempo di guerra, le torri gemelle, un attacco allo Stato repubblicano: cosa mai può costringere un Parlamento democratico a dover esaminare una legge di sistema, che ha così grande impatto sull'ordinamento, in ventiquattr'ore? È successo! Qual è l'agenda alla quale fa riferimento il Presidente della Camera quando detta questo calendario?
Vorrei ricordare che è il Presidente della Camera che ha deciso questo ordine dei lavori: in Conferenza dei presidenti di gruppo, infatti, non si è raggiunta la consistenza numerica pari ai tre quarti dei componenti della Camera prevista dal Regolamento e, in questi casi, non è la Conferenza dei presidenti di gruppo che decide, ma è il Presidente della Camera che ha deciso, assumendosi una responsabilità gravissima, della quale ritengo possa ancora ripensare le conclusioni, gli esiti, gli effetti che produce sul nostro sistema.
È una cosa gravissima, della quale, Presidente Leone, le chiedo di farsi parte attiva, affinché il Presidente della Camera ripensi a tutti gli articoli relativi alle procedure del nostro Regolamento che sono stati messi da parte. Glieli risparmio, perché sono stati richiamati e perché lei, Presidente Leone, li conosce e immagino che li conoscano anche il Presidente Fini e tutti coloro che, in questo Parlamento, hanno fiducia che la garanzia affidata al Presidente della Camera sia rivolta alla maggioranza, ma anche alla minoranza, che sia consentito a chi ha la maggioranzaPag. 4di governare e a chi è all'opposizione di esercitare la funzione democratica di opposizione!
Per queste ragioni, vorremmo chiedere al Presidente della Camera, Fini, di ritrovare una funzione di garanzia, in qualche modo promuovendo un nuovo momento di riflessione nella Conferenza dei presidenti di gruppo, trovando il modo di ripensare a questa agenda e di garantire l'opposizione. Si tratta di uno snodo decisivo della Presidenza della Camera di questa legislatura che dura cinque anni e non si può calpestare qualunque rapporto di qualità tra il Presidente della Camera, l'Assemblea, il Parlamento e l'opposizione, per rispondere ad un'agenda, che non è un'agenda del Paese, ma interessa unicamente il Presidente del Consiglio dei ministri, e non è un'agenda politica, ma un'agenda giudiziaria!
Questo è molto grave e chiediamo al Presidente della Camera di ripensarci, perché ciò apre una ferita gravissima, non solo nei rapporti tra la maggioranza e l'opposizione, ma anche tra il Presidente della Camera e una parte di questa Assemblea (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori)!

BENEDETTO DELLA VEDOVA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Intende intervenire sullo stesso argomento, onorevole Della Vedova?

BENEDETTO DELLA VEDOVA. No, signor Presidente, vorrei intervenire brevemente sull'ordine dei lavori. Ho visto delle agenzie...

PRESIDENTE. Le chiedo scusa, onorevole Della Vedova. Le concederò la parola successivamente, perché vorrei prima rispondere ai colleghi.

BRUNO TABACCI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Onorevole Tabacci, lei intende intervenire sullo stesso argomento?

BRUNO TABACCI. Sì, signor Presidente.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BRUNO TABACCI. Signor Presidente, mi scuso, ma mi sento in dovere di intervenire, seppure brevemente, per sottolineare che le questioni poste dal collega Soro, e anche prima di lui, sono di un'importanza rilevante per la vita di questa Assemblea parlamentare. Credo che non sia il caso di sottovalutare gli aspetti politici e istituzionali che derivano da questa vicenda, che è molto inquietante.
Nel settembre del 2001 mi era capitato di vivere l'avvio di una stagione che avrebbe dovuto portare ad un ordinato rapporto tra Parlamento e poteri dello Stato, tra il potere legislativo e l'attività della magistratura. Eppure, ci siamo trovati allora a dover inseguire il recepimento di una direttiva comunitaria per piegarla alla necessità del processo di Milano sulla rogatoria svizzera. Poiché mi capitò allora di esprimere, anche se segretamente, un voto di dissenso, mi toccò, poi, di manifestare all'esterno che tale voto di dissenso era esplicito.
Mi pare che si riprenda lo stesso film, con una trama angosciante, che è, davvero, di estrema preoccupazione. Non si possono piegare tutte le regole per un'esigenza particolare; si possono capire delle cose, ma non si può pensare che tutto venga stravolto. Già le procedure di bilancio - abbiamo dedicato qualche attenzione all'argomento - sono state forzate con l'articolo 60 del decreto-legge n. 112 del 2008; già il DPEF ha un ruolo assolutamente marginale. Ma che sulla politica giudiziaria di questo Paese si tenti di introdurre un ricatto così forzato tra la sospensione di 100 mila processi e un provvedimento che riguarda la tutela delle più importanti cariche dello Stato, e che questo venga vissuto come una sorta di ricatto, è intollerabile.
Ho fatto parte della Commissione bicamerale che nel 1992-1993 portò alla modifica dell'articolo 68 della Costituzione, quello sull'autorizzazione a procedere,Pag. 5e vi partecipai con l'angoscia di chi viveva un momento particolare, perché c'era una pressione che veniva dalle piazze e che sembrava indulgere verso una sorta di processo sommario. Quella regola l'abbiamo cambiata; non so se siamo stati saggi, ma chi allora agitò il cappio, chi allora gettava monetine, non può pensare, adesso, di spingerci in una direzione ancora più grave.
Si devono ripristinare delle regole? Si ripristinino e si faccia autocritica su quello che è accaduto. Non si può pensare di cambiare le regole per l'interesse di uno, per quanto importante.
Credo, quindi, che il Presidente Fini debba valutare queste cose, perché lo strascico polemico, istituzionale e politico sarà molto grave, al di là dei girotondi. È una questione politica che ferisce e tocca le coscienze di ogni sincero democratico. Finché siete in tempo, è meglio che vi fermiate (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro, Partito Democratico e Italia dei Valori).

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Sempre sullo stesso argomento?

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, è simile, così le consente di rispondermi, se lo ritiene, anche su questo punto. Credo, signor Presidente, per l'utilità del lavoro di tutti noi deputati, al di là delle informazioni e delle motivazioni che sicuramente i presidenti di gruppo avranno avuto nel corso della Conferenza dei presidenti di gruppo, che sarebbe utile che l'Aula conoscesse quali sono le motivazioni e le ragioni per le quali il Presidente della Camera, non la Conferenza dei presidenti di gruppo, non l'Aula, ma, lo ripeto, il Presidente, nell'ambito delle sue assolute e indiscusse - indiscutibili no, ma sicuramente indiscusse - funzioni, ha ritenuto di procedere al contingentamento dei tempi per quanto riguarda quel disegno di legge.
Glielo dico, signor Presidente, perché per poter avere la possibilità di argomentare le motivazioni in ragione delle quali ritengo che non ci sia possibilità di contingentamento dei tempi (e sarà poi il Presidente a valutare se esse hanno qualche fondatezza o meno), avrei bisogno di sapere, non per via informale, ma in via formale, io e immagino tutti gli altri deputati, quali sono le ragioni, quali sono gli articoli del Regolamento, e, sicuramente, quali sono i precedenti in ragione dei quali il Presidente ha ritenuto di applicare la norma del Regolamento che prevede il contingentamento dei tempi.

PRESIDENTE. Non posso fare altro che rispondere brevemente. Sono stati sollevati due ordini di questioni. In primo luogo vi sono degli aspetti regolamentari, e già vi è stato chi ha rilevato che è prevista per stamane una riunione della Giunta per il Regolamento - che tra l'altro è alle 13, non alle 12 come inizialmente era stato annunziato - e sarà in quella sede che si svilupperà, conseguentemente a quanto già detto in sede di Conferenza dei presidenti di gruppo, l'aspetto relativo al contingentamento e a quanto richiamato dal collega Evangelisti. Vi sono poi degli aspetti di natura politica, o di opportunità, chiamatela come più ritenete appropriato, e sarà mia cura, puntualmente e in maniera minuziosa, riferirne al Presidente Fini.
Non debbo omettere di ricordare che questi argomenti sono stati sviscerati in sede di Conferenza dei presidenti di gruppo. La lamentela del presidente Soro può essere legata al fatto che egli non era presente alla Conferenza dei presidenti di gruppo, c'era la collega Sereni, per cui...

ANTONELLO SORO. Il Presidente decide, sentita la Conferenza dei presidenti di gruppo, quando manca la maggioranza dei tre quarti. Il Presidente, non la Conferenza!

PRESIDENTE. Non ci comprendiamo: sto parlando dell'illustrazione di quello che il Presidente ha fatto in sede di Conferenza dei presidenti di gruppo, ed eraPag. 6presente anche la sua collega. Non lo sto dicendo in maniera polemica, solo per rappresentarle i fatti così come sono andati.
Per quanto attiene poi alla richiesta avanzata dal collega Giachetti, le sedi proprie sono quelle ricordate. Non so quale può essere in maniera concreta la richiesta, ma le sedi appropriate sono la Conferenza dei presidenti di gruppo e la Giunta per il Regolamento, da dove si potrà attingere, o addivenire alle decisioni.

ROBERTO GIACHETTI. Ho chiesto di sapere, atteso che non faccio parte né della Giunta per il Regolamento né di altri organi, come normale deputato, il mio Presidente, il Presidente di tutta la Camera, quali articoli del Regolamento ha applicato. Lo potrò sapere nell'Aula, che è sovrana?

PRESIDENTE. Rappresenterò al Presidente questa richiesta.

FABIO EVANGELISTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Presidente Leone, prendo la parola soltanto per dispiacermi di averla messa in qualche modo in difficoltà: lei, che dai banchi dell'opposizione, quale deputato, è sempre stato molto sicuro e pieno di certezze sul Regolamento e su tutti i passaggi, la vedo adesso un po' in difficoltà. Me ne dispiace, se in qualche modo l'ho messa in questa condizione.

PRESIDENTE. La ringrazio della sua sensibilità umana, ma le posso garantire che non sono assolutamente in difficoltà. Ho risposto così come prevede il Regolamento, e rappresenterò al Presidente le istanze che sono state sottoposte in quest'Aula alla Presidenza, non omettendo di ricordare che ci sono dei passaggi che sono stati già svolti in sede di Conferenza dei presidenti di gruppo e che saranno continuati e portati a compimento in sede di Giunta per il Regolamento.

BENEDETTO DELLA VEDOVA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BENEDETTO DELLA VEDOVA. Signor Presidente, ho apprezzato nella discussione di poc'anzi il tono e la forma, che è sostanza, dei colleghi che sono intervenuti, e le sue risposte. Leggo però sulle agenzie di oggi: «Di Pietro: premier impone ai picciotti in Parlamento come fare»; «Di Pietro: Berlusconi sequestra il Parlamento»; «Di Pietro: Berlusconi impone stile mafioso, impone ai propri picciotti in Parlamento cosa fare». Qui di picciotti non ce ne sono, ci sono parlamentari, parlamentari eletti che fanno il loro mestiere.
Di Pietro è un ex magistrato, ex ministro, leader di partito, ed oggi è impegnato nel tentativo di aizzare una folla probabilmente altrimenti molto moscia, possiamo dunque capire la sua agitazione. Ma vi è un limite, e queste parole violente e irrispettose pronunciate da un parlamentare, sia pure fuori da quest'Aula, hanno varcato questo limite. Sono sicuro che i colleghi dell'Italia dei Valori, che militano in un partito che è un fulgido esempio di trasparenza e di democrazia interna, saranno d'accordo con me nel chiedere al Presidente Leone che si faccia carico di trasferire la mia richiesta al Presidente Fini, perché si trovi la forma e il modo per impedire che fra colleghi di quest'Aula il linguaggio degeneri in un linguaggio violento, offensivo e irrispettoso, poiché di questo credo che non vi sia proprio bisogno.

PRESIDENTE. Riferirò senz'altro al Presidente Fini quanto da lei richiesto.

Pag. 7

Seguito della discussione del Documento di programmazione economico-finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2009-2013 (Doc. LVII, n. 1) (ore 11).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del Documento di programmazione economico-finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2009-2013.
Ricordo che nella seduta di ieri sono iniziati gli interventi nella discussione.

(Ripresa discussione - Doc. LVII, n. 1)

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nucara. Ne ha facoltà.

FRANCESCO NUCARA. Signor Presidente, visti i tempi ristretti che, giustamente, limitano la possibilità di svolgere il mio intervento, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Nucara, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Narducci. Ne ha facoltà.

FRANCO NARDUCCI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il Documento di programmazione economico-finanziaria che stiamo discutendo esplicita con concretezza la strategia di politica economica e di finanza pubblica che il Governo intende attuare nel triennio 2009-2011. Ritengo che si debba discutere sulla semplificazione introdotta dal Governo ai fini della programmazione economica, poiché i problemi del Paese richiedono risposte urgenti, e dunque conoscere già oggi molte delle norme che comporranno la legge finanziaria è di sicuro rilievo, ma anche che la potestà del Parlamento debba essere difesa e preservata. Con altrettanta chiarezza, sottolineo l'inadeguatezza della politica economica tratteggiata nel DPEF per far fronte ai problemi del Paese.
Così com'è, la manovra del Governo, anziché infondere coraggio nei cittadini e rilanciare i consumi, indebolisce ulteriormente i ceti medi, o quel che ne rimane, con misure apparentemente popolari ma fortemente demagogiche, come la social card per gli anziani, la Robin tax o la banca del Sud. Ma io mi chiedo, e il popolo italiano si dovrebbe chiedere: è possibile che non vi siano modalità meno umilianti per affrontare le difficoltà dei cittadini economicamente più deboli? È possibile che si debba qualificare con questo strumento chi è povero ed ha bisogno dell'elemosina?
Signor Presidente, professionalmente mi sono occupato ai massimi livelli di sicurezza sociale, sia in Svizzera che in Germania, e devo rimarcare che in questi Paesi i problemi dell'impoverimento che colpisce gli anziani e altre fasce di popolazione vengono affrontati con strumenti più dignitosi, come peraltro abbiamo sempre fatto in Italia. Pochi giorni fa, i pensionati hanno ricevuto la quattordicesima introdotta dal Governo Prodi, versata anche ai cittadini italiani residenti all'estero che ne hanno diritto. Vi è una bella differenza, onorevoli colleghi: mentre nella passata legislatura molto è stato fatto per dare qualità e intensità alle relazioni fra la madrepatria e la vasta comunità di cittadini italiani o di origine italiana che vive all'estero, relazioni da cui dipendono aspetti fondamentali per la bilancia commerciale e dei pagamenti (come il turismo di ritorno, le rimesse dirette e gli investimenti, il mercato diretto e indiretto di beni e servizi italiani all'estero, l'emigrazione tecnologica ed altri aspetti), con questa manovra di finanza pubblica il Governo Berlusconi procede ad uno smantellamento sistematico di quanto il Governo Prodi aveva fatto per gli italiani residenti all'estero.
Si taglia pesantemente sul bilancio del Ministero degli affari esteri, un settore estremamente sensibile alla luce del drastico ridimensionamento subito nell'ultimoPag. 8decennio e da cui dipendono i servizi per le nostre comunità all'estero, ma anche per le imprese italiane operanti all'estero nel quadro dell'internazionalizzazione.
Si taglia sull'assistenza agli indigenti, persone ultrasessantenni che a questo Paese hanno dato non solo incrollabili prove d'affetto, ma tantissimo con le loro rimesse finanziarie. Si taglia sulla promozione della nostra lingua e sulla valorizzazione del nostro patrimonio culturale, esattamente il contrario di quanto fanno i Paesi europei che competono con il nostro sui mercati mondiali. Si abolisce la parte restante dell'ICI sulla prima casa, ma si nega la detassazione ai cittadini italiani emigrati (con un'evidente violazione costituzionale), cittadini che hanno avuto forse il torto di investire i loro risparmi in Italia, convivendo con il pensiero del rientro.
È veramente difficile immaginare come si potranno gestire senza pesanti contraccolpi i tagli pesantissimi al bilancio del Ministero degli affari esteri, che comprende anche la maggior parte delle risorse destinate agli italiani residenti all'estero, che - non sottovalutiamolo - solamente con il flusso finanziario rappresentato dalle pensioni pagate dall'estero agli ex emigrati convogliano oltre quattro miliardi di euro annui verso l'Italia.
La vera emergenza è la crisi del potere di acquisto delle retribuzioni, e di questo è testimonianza il calo degli acquisti ormai sotto gli occhi di tutti, anche in presenza dei saldi di fine stagione, che in questi giorni vediamo già nelle vetrine. La crescita dell'inflazione e l'aumento vertiginoso dei costi dell'energia impongono provvedimenti urgenti per sostenere i salari e far partire l'economia del nostro Paese.
Certamente ognuno deve fare la sua parte - istituzioni e cittadini -, ed è l'aspetto continuamente sostenuto dal Governo Prodi per rilanciare il nostro sistema Paese. Ma in questo mese, in cui le aziende iniziano ad avvalersi delle misure varate da Prodi, non si parla più della riduzione del cuneo fiscale, del taglio dell'IRES o della revisione degli studi di settore: di questi temi non si parla più a ragion veduta, sono spariti. Certamente la strategia migliore non può essere l'inasprimento fiscale che si intravede e che porterà la pressione fiscale nel 2009 dal 42,6 al 43 per cento (e ciò dopo le lusinghiere promesse elettorali che già hanno fatto leva sulle aspettative dei contribuenti sull'abbattimento della pressione fiscale).
E la famosa Robin tax non spingerà i destinatari della stessa a trasferire l'onere della tassa sui prezzi finali, facendola ricadere inevitabilmente sul consumatore? Considerando le condizioni di economia ingessata a causa dell'insufficiente concorrenza che regna sui nostri mercati, c'è veramente da temere per i consumatori italiani.

PRESIDENTE. Onorevole Narducci, la invito a concludere.

FRANCO NARDUCCI. Signor Presidente, l'argomento è molto importante, ma alla luce del tempo che mi è stato assegnato chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento, e concludo dicendo che per tutte queste ragioni il nostro partito, il Partito Democratico, esprimerà voto contrario sulla manovra contemplata nel Documento di programmazione economico-finanziaria.

PRESIDENTE. Onorevole Narducci, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti. È iscritto a parlare l'onorevole Occhiuto. Ne ha facoltà.

ROBERTO OCCHIUTO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, non utilizzerò il tempo a mia disposizione per svolgere un intervento da oppositore, almeno un intervento da oppositore compiaciuto, che si compiace, per l'appunto, di quelli che ritiene essere gli errori di chi governa. Il valore e il significato della nostra presenza non deve essere svilito in un'opposizione a qualsiasi costo e pregiudiziale, né ci va di sperare negli errori del Governo.Pag. 9
L'opposizione che l'Unione di Centro ha scelto di fare è stata definita in più occasioni dal presidente Casini come un'opposizione repubblicana, pronta a sostenere le scelte orientate all'interesse del Paese e a censurare, invece, quelle che rischiano di non risolvere i problemi, e anzi di allontanare ancora di più i cittadini dalle istituzioni.
Al Paese occorrono, soprattutto in questa fase, parti politiche che sappiano esercitare le categorie della responsabilità. Le previsioni che proprio nel DPEF il Governo ha fatto rispetto al futuro dell'Italia dovrebbero indurre ciascuno a stimolare, nel rispetto dei reciproci ruoli di maggioranza e di opposizione, una maggiore consapevolezza della gravità della fase, senza rincorrere i sondaggi, che il Governo troppo spesso sembra rincorrere, e senza ricercare i piccoli interessi di schieramento e di partito.
A fronte di una crescita del PIL del 3,9 per cento a livello mondiale, e soprattutto a fronte di una crescita del prodotto interno lordo dell'1,7 nell'area dell'euro, nel DPEF si stima una crescita del PIL del nostro Paese per l'anno l'2008 pari a solo lo 0,5 per cento. Se si considerano i rilevanti problemi strutturali, le turbolenze finanziarie internazionali e i crescenti e forti aumenti del petrolio, che fanno pagare all'Italia anche il prezzo di scelte sciagurate compiute negli anni passati in tema di energia, forse appare più credibile la previsione del Fondo monetario internazionale, che stima per il 2008 una crescita del PIL addirittura inferiore allo 0,5 per cento, vale a dire pari allo 0,3 per cento. Nelle previsioni del Governo sono stimate in rallentamento anche le esportazioni e l'occupazione e la spesa delle famiglie sarebbe in fortissimo calo rispetto al 2007.
Insomma, onorevoli colleghi, non c'è da stare allegri. Lo sanno gli italiani, che non arrivano a fine mese e che si aspettano da questo Governo politiche capaci di aumentare il loro potere di acquisto. Lo sappiamo noi, che non abbiamo scelto di affollare le piazze soffiando sul fuoco del disagio e della rabbia dei cittadini. Abbiamo scelto, invece, di contribuire, dalla nostra funzione di oppositori e senza confusioni di ruoli, a ricercare possibili soluzioni attraverso la dialettica parlamentare. Lo abbiamo fatto nei giorni scorsi su un altro argomento, che interessa molto il Governo e meno i cittadini, il cosiddetto lodo Alfano, e siamo orgogliosi se si riuscirà nel caso di specie a rendere protagonista il Parlamento nella costruzione, attraverso il lavoro della Camera dei deputati, senza tuttavia commissariare il Parlamento, di un'ipotesi di soluzione che consenta di sbloccare una situazione che rischia da un lato di impedire migliaia di processi e dall'altro di concentrare l'attenzione del Governo su altri temi rispetto a quelli che i cittadini vivono con disagio ogni giorno, quando sono alle prese con il bilancio familiare.
Vorremmo che il Parlamento fosse protagonista anche nei prossimi giorni sulla manovra triennale, che è uno dei corollari del Documento di programmazione economico-finanziaria. Speriamo fortemente che ciò sia possibile, nonostante i 1.400 emendamenti presentati dalla maggioranza. È davvero singolare che il Governo discuta solo nove minuti e mezzo un provvedimento di tale importanza. Forse però proprio perché lo discute per così poco tempo non trova il modo di segnalarlo ai propri parlamentari, che invece lo guardano con più attenzione, al punto da produrre il doppio degli emendamenti della minoranza.
Speriamo che anche la Presidenza della Camera voglia svolgere una funzione attiva, pur nel rispetto dei limiti delle sue prerogative, affinché il Parlamento possa discutere approfonditamente la manovra e senza il ricorso alla questione di fiducia.
Onorevoli colleghi, è comprensibile che la gravità della situazione descritta nel Documento di programmazione induca il Governo nella tentazione di far comunque qualcosa e di farlo presto, magari anche attraverso il voto di fiducia, ma credo sia un errore governare con l'ansia di chi, proprio in funzione della gravità della situazione, rifiuta il confronto ed è ossessionato dalla paura di perdere il consenso.Pag. 10Ciò che il Governo ha scritto nel DPEF sembra dettato da tale ansia. Da un lato, si fanno previsioni sulla crescita del Paese che non inducono ottimismo, dall'altro si programmano politiche utili solo a diventare bandiere del Governo, che sventoleranno solo fin tanto che il vento della luna di miele sarà capace farle stare in alto.
Nel DPEF e nella manovra collegata non vi sono interventi strutturali e di effettiva utilità concreta, a parte quelli inerenti la semplificazione fiscale ed alcuni orientamenti che apprezziamo, come quello che dirige verso il nucleare le scelte energetiche del Paese. Per il resto, a fronte di un impegno contenuto a pagina 3 del programma elettorale del PdL che - leggo testualmente - prevedeva una graduale e progressiva diminuzione della pressione fiscale sotto il 40 per cento del PIL, risulta, invece, nel Documento di programmazione, una previsione in crescita della pressione fiscale.
Essa crescerà nel 2009 al 43 per cento fino al 43,2 per cento del PIL nel 2010. Anche il tipo di perequazione che avete studiato attraverso la Robin tax è certamente utile ad avocare suggestione e a comporre spot, ma rischia di colpire indirettamente le famiglie italiane. Infatti, è evidente che l'addizionale IRES introdotta su banche e petrolieri indurrà proprio banche e petrolieri a scaricare questo costo indirettamente sulle famiglie italiane. Forse ve ne siete accorti, ma non lo abbiamo ben capito perché, ieri, ad una dichiarazione del presidente della Commissione finanze che annunciava il ritiro della Robin tax ne è seguita un'altra che lo smentiva. Vorremmo capire quale sia la reale volontà del Governo.
Certo, con questi provvedimenti e questo tipo di politica economica di così corto respiro sarà comunque possibile dire che la maggioranza ha varato provvedimenti che vanno nella direzione di farsi carico del problema dei bilanci delle famiglie, ma non è così. Infatti, manca un approccio strutturale (responsabilmente strutturale) ai problemi della crescita del Paese e del potere di acquisto dei cittadini.
È emblematico che nel DPEF si preveda il taglio della spesa pubblica soprattutto dal lato degli investimenti. Infatti, rispetto al tendenziale, la contrazione delle uscite primarie programmatiche è, nel triennio 2009-2011, pari a 23,8 miliardi, ma una parte assai consistente di questa contrazione riguarda proprio la spesa in conto capitale che è ridotta del 17,5 per cento rispetto al livello previsto per il 2008.
Mi chiedo come si possa produrre crescita del Paese riducendo gli investimenti. Può il Governo ritenere di stimolare la crescita attraverso l'aumento della pressione fiscale e il taglio degli investimenti? Il fatto che, a fronte di una crescita prevista per il nostro PIL dell'1,9 per cento nel triennio 2009-2011, la Spagna cresca, nello stesso periodo, del 3,6 e il Regno Unito del 2,9 non avrebbe dovuto indurre, invece, ad aumentare la spesa in conto capitale?

PRESIDENTE. La prego di concludere.

ROBERTO OCCHIUTO. Mi chiedo, e lo chiedo soprattutto ai deputati della maggioranza che provengono dal Mezzogiorno: non c'è forse il rischio che la contrazione della spesa per investimenti ed infrastrutture penalizzi le parti più deboli del Paese, quelle che non fanno più opinione perché nell'immaginario collettivo - per responsabilità, è vero, di chi le ha amministrate - sono i luoghi dell'ammasso dei rifiuti e della mala politica?
Chiedo ai deputati dell'MpA come sia compatibile questa riduzione della spesa per infrastrutture con gli ordini del giorno recentemente accettati dal Governo per il ripristino dei finanziamenti in Calabria e Sicilia. Forse pensano che saranno le regioni più forti del Paese a rinunciare a qualche opera?

PRESIDENTE. La prego di concludere.

ROBERTO OCCHIUTO. Mi avvio alla conclusione, signor Presidente. Eppure, proprio nel DPEF si segnala che la crescita del PIL del 2007 è stata dell'1,6 per centoPag. 11nel centronord e soltanto dello 0,9 per cento nel Mezzogiorno. Non è ostativo all'attuazione del federalismo fiscale che ci sia una parte del Paese alla quale non è data la possibilità, attraverso necessari investimenti in infrastrutture, di ampliare la sua base fiscale?

PRESIDENTE. Deve concludere.

ROBERTO OCCHIUTO. Concludo, signor Presidente. Per questi motivi a me non piace questo DPEF. Non sono contento, perché ho paura che le speranze che il Governo sta alimentando nei cittadini, che tanto hanno investito su questo Governo, prima o poi si trasformeranno in rabbia e la rabbia, come altre volte è successo nel Paese, alla fine rischia di travolgere le istituzioni (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Villecco Calipari. Ne ha facoltà.

ROSA MARIA VILLECCO CALIPARI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, voglio dire, a nome anche del mio gruppo, che il Documento di programmazione economico-finanziaria presentato dal Governo per il triennio 2009-2013 non può avere il nostro consenso, né sotto il profilo generale, né tantomeno per gli aspetti che riguardano il comparto della difesa.
La nostra critica non è rivolta agli obiettivi di finanza pubblica di riduzione del deficit per conseguire il pareggio di bilancio nel 2011, essendo questo obiettivo-vincolo un impegno assunto dal nostro Paese nei confronti dell'Europa e anche da noi condiviso.
Il dissenso su questo DPEF riguarda questioni di metodo e di merito. Infatti, ci appare scorretto nel metodo il procedimento adottato nel rapporto temporale tra DPEF e disegno di legge finanziaria. Paradossalmente, questa volta la tempistica viene invertita: è la manovra che anticipa e vincola il DPEF e non il contrario. Ciò risulta essere una grave violazione delle prerogative proprie del Parlamento, cui l'articolo 81 della Costituzione conferisce la funzione di indirizzo e controllo in ordine alla destinazione e all'allocazione delle risorse pubbliche in relazione ai fini da perseguire per l'interesse dell'intera collettività. Nel merito non si evince in nessun modo una misura favorevole al recupero del potere d'acquisto dei redditi di lavoro, salari e pensioni, continuando ad ignorare quello che noi riteniamo essere la prima emergenza economica.
Non solo non vengono previste misure di questa natura, ma si aumenta la pressione fiscale e si riducono le spese per investimenti. Il collega che mi ha preceduto lo ha sottolineato molto bene. In sostanza, le misure più incisive sono destinate a ridurre i servizi e a deprimere la crescita. L'insieme di queste misure sono state tra l'altro rese esplicite con il decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, che, come indicato nello stesso DPEF, anticipa nella sua parte sostanziale il prossimo disegno di legge finanziaria e affianca e dà corpo al DPEF. Il ricorso al decreto-legge rende evidente il paradosso di una situazione in cui al Parlamento viene richiesto di pronunciarsi sugli indirizzi di politica economica, mentre misure concretamente e pesantemente significative sono già in vigore per effetto della decretazione d'urgenza.
Non possiamo, quindi, non valutare nel merito alcune di esse, quelle in particolare che avranno secondo noi effetti negativi sulle capacità operative del nostro strumento militare e sulle condizioni materiali di lavoro e di vita del personale. Le risorse destinate alla funzione difesa erano state con fatica riportate ad un livello più adeguato grazie al Governo Prodi, che con la legge finanziaria per il 2007 le ricondusse a 14 miliardi 448 milioni di euro e a 15 miliardi 408 milioni di euro con la legge finanza per il 2008, rispetto invece ai picchi che si sono avuti nel 2004 e nel 2005 con il Governo Berlusconi. Oggi, con il decreto-legge citato il Governo tende a riportare le risorse destinate alla funzione della difesa nuovamente al punto più basso, quello che fu toccato nel 2006 con lo 0,82 per cento del PIL.Pag. 12
In particolare, a soffrirne sarà l'esercizio vitale per la formazione e l'addestramento del personale, per la manutenzione e l'efficienza dei mezzi, dei materiali e delle infrastrutture. Nel triennio è previsto un taglio di un miliardo 755 milioni di euro solo per queste voci, per non parlare poi della riduzione che si avrà per quanto riguarda la previsione della decurtazione per gli investimenti (ovviamente sempre per il comparto difesa), nonché per la soppressione della dotazione di bilancio prevista dalla legge finanziaria per il 2008 di 300 milioni di euro per quanto riguardava il modello professionale. Ciò rimetterà in discussione tutto il quadro di alimentazione sia in termini di nuove assunzioni, sia in termini di transito in servizio permanente degli attuali volontari in ferma da cinque a sette anni e quelli di cui ne era pianificata la stabilizzazione a partire dal 2012.
Quindi, oggi è palese rilevare quanto erano demagogici i proclami del centrodestra nella scorsa legislatura e in campagna elettorale sulla sicurezza e la difesa. Inaccettabile poi risulta essere la previsione di risoluzione del rapporto di lavoro del tutto discrezionale da parte delle amministrazioni per i dipendenti che abbiano compiuto i quarant'anni di contribuzione senza da parte loro nessuna decisione volontaria. Se ciò dovesse avvenire e se si dovessero utilizzare i criteri generali applicati per la pubblica amministrazione, il tutto si tradurrebbe in un prepensionamento per più di 11 mila soldati, 6 mila carabinieri e ulteriori 20 mila tra finanzieri, poliziotti penitenziari e forestali di età compresa tra i 52 e i 54 anni, il cui costo sarebbe scaricato sul sistema previdenziale, aggirando le norme relative ai limiti di età sulla base dei criteri che amplificano oltre misura il potere discrezionale dell'amministrazione.
Tuttavia, in una manovra che si propone la razionalizzazione di tanta parte della pubblica amministrazione deve avere risposta la richiesta del riconoscimento e della valorizzazione della specificità degli operatori del comparto della sicurezza e della difesa nei confronti del resto del pubblico impiego.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

ROSA MARIA VILLECCO CALIPARI. Mi avvio a concludere. Le Forze armate italiane attraversano un momento molto delicato, sono impegnate in un difficile processo di riorganizzazione per completare il modello professionale e partecipano con migliaia di uomini e donne a missioni internazionali a favore della pace. Riteniamo quindi un limite doppiamente negativo che tutto ciò sia stato ignorato e che nello stesso testo del DPEF non ci sia un passaggio specifico per quanto riguarda il comparto difesa. Io credo che alle Forze armate sia dovuto rispetto, attenzione e risorse, laddove poi, tra l'altro, in altri decreti-legge, sono stati previsti compiti impropri da affidare alle stesse.

PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole.

ROSA MARIA VILLECCO CALIPARI. Concludo. Il fattore umano è l'elemento centrale di ogni strumento militare e io penso che una politica di attenzione verso le Forze armate debba saper garantire un quadro di risorse finanziarie su cui poter contare nel tempo per dare certezze e stabilità nei programmi di investimento, la disponibilità di mezzi, adeguandone gli standard di efficienza e i crescenti ritmi di impiego, e al personale, nella quotidianità del servizio prestato, i livelli di formazione e di addestramento necessari a svolgere le funzioni per cui noi poi decidiamo di utilizzarlo.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nicco. Ne ha facoltà.

ROBERTO ROLANDO NICCO. Signor Presidente, colleghi, signor rappresentante del Governo, la componente delle minoranze linguistiche non ha in quest'Aula una posizione precostituita e di schieramento, vuole valutare nel merito i provvedimentiPag. 13in discussione, a partire dalla manovra economica e finanziaria fino ai non meno essenziali passaggi che seguiranno sul cosiddetto federalismo fiscale e sul codice delle autonomie.
Sul piano del metodo, apprezziamo il tentativo di impostare diversamente la sessione di bilancio, questione di cui si discute invano da anni, e concordiamo nel merito: primo, sulla necessità di mantenere l'obiettivo del raggiungimento del pareggio di bilancio nel 2011; secondo, su tutte quelle iniziative che realmente possono colpire la speculazione finanziaria che costituisce oggi certamente uno dei principali problemi dell'economia globalizzata, in grado di determinare squilibri devastanti e di acuire quelle che il DPEF definisce tensioni geopolitiche; terzo, su una reale riorganizzazione della pubblica amministrazione improntata su meritocrazia, innovazione, trasparenza e semplificazione, altro obiettivo sin qui clamorosamente fallito. Riorganizzazione e riduzione, aggiungiamo, sono compiti titanici in uno Stato in cui tutto appare ossificato e ciò che si taglia da un lato ricompare invariabilmente altrove, sotto differenti spoglie.
C'è però una questione essenziale su cui siamo rimasti, più che perplessi, direi proprio sconcertati. Punto cardine del vostro programma elettorale era la riduzione della pressione fiscale sotto il 40 per cento del PIL, quella pressione contro cui vi siete quotidianamente scagliati nei due anni del Governo Prodi e che il Paese intero, dagli imprenditori ai sindacati, ha chiesto con forza a tutti, centrodestra e centrosinistra, di ridurre sensibilmente. Francamente, quando abbiamo letto le tabelle del DPEF, con una pressione fiscale del 43,1 per cento nel 2012 rispetto al 43 per cento del 2008, abbiamo pensato ad un errore, ad un «copia e incolla» delle tabelle del vituperato Governo precedente.
Vi è poi una seconda questione che ci preoccupa alquanto: il DPEF ha un allegato infrastrutture in cui si delinea il quadro strategico ed operativo per il triennio 2009-2011, ma in realtà per un periodo ben più lungo. È di tutta evidenza che tale allegato per poter essere esaminato dal Parlamento dovrebbe prima aver concluso la fase di discussione, di concertazione e di intesa con le regioni che sono l'interlocutore essenziale dello Stato per opere che incidono direttamente sui propri territori. Ora, non solo le Commissioni sono state chiamate ad esprimersi prima del parere conclusivo della Conferenza unificata, ma ci risulta che le regioni possono proporre e proporranno integrazioni entro il 9 luglio, in vista di un ulteriore passaggio in Conferenza. Pertanto ci chiediamo che cosa approviamo oggi.
La concertazione con le regioni, tra l'altro, è espressamente indicata nell'allegato infrastrutture in termini assai chiari ed espliciti. Si ritiene indispensabile avviare un confronto dettagliato, prima con ogni singola regione, e poi assieme con il Ministro per i rapporti con le regioni, anche attraverso la Conferenza Stato-regioni. Ci chiediamo quando c'è stato questo confronto dettagliato.
Per noi è una questione di particolare rilievo perché è in quella sede che si poteva capire come questo allegato infrastrutture si integrasse sia con il contratto di programma 2008 tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ed ANAS, con il relativo piano di investimenti 2008, sia con il contratto di programma 2007-2011 tra il Ministero e RFI. Inoltre, è sempre in quella sede che si doveva sviluppare il necessario confronto su tutti i punti delicati tra cui segnalo, per quanto concerne la regione Valle d'Aosta che qui rappresento, il tunnel del Monte Bianco su cui vi sono precise deliberazione del consiglio della Valle e su cui vorremmo conoscere le intenzioni del Governo.
Su altre rilevanti questioni, a partire dall'annunciata riduzione dei trasferimenti alle regioni e ai comuni, nonché ai tagli al settore sanitario, avremo modo di intervenire nel merito in sede di esame del decreto-legge.
In conclusione, aspettiamo delle risposte per definire la nostra posizione e se poi, in realtà, come è stato autorevolmente affermato, il DPEF è uno strumento surPag. 14reale che non serve a niente, allora aboliamolo tout court e passiamo direttamente alla parte normativa della manovra.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bocci. Ne ha facoltà.

GIANPIERO BOCCI. Signor Presidente, una cosa questo DPEF rende chiarissima: dal Governo arrivano solo penalizzazioni e tagli alle infrastrutture determinanti per lo sviluppo del Paese; l'esatto contrario di quanto Berlusconi aveva promesso in campagna elettorale. È lo stesso presidente dell'associazione dei costruttori, Paolo Buzzetti, a dirlo e a sottolinearlo anche in queste ore.
Il DPEF non punta in alcun modo sulla politica di ammodernamento infrastrutturale e l'allegato contenente il programma di infrastrutture strategiche contiene solo un vuoto elenco di interventi, totalmente privo di strategia politica. Non sono chiare le risorse che il Governo intende garantire, non vi sono linee di condivisione con le regioni, né si avvia alcuna politica per il riequilibrio del trasporto intermodale; in sostanza, il Governo non riesce a fornire alcuna risposta alla domanda di rilancio delle dotazioni infrastrutturali e trasportistiche che proviene dal Paese.
Nell'allegato non vi è alcuna coerenza e credibilità rispetto alle politiche da porre in essere e l'elenco, solo ricognitivo, delle opere strategiche non assicura un quadro effettivo e veritiero della situazione attuale. Non è un caso che da voci bene informate, interne allo stesso Governo, risulta che il Ministro dell'economia e delle finanze abbia inizialmente rispedito al mittente l'allegato sulle infrastrutture, dimostrando l'assoluta fragilità delle cifre e dei progetti in esso contenuti.
Stupisce la mancanza nel DPEF e nell'allegato di un serio piano aeroportuale, che sarebbe indispensabile per affrontare con credibilità e concretezza la situazione di vera e propria anarchia aeroportuale esistente, che produce disfunzioni e costi enormi ed inaccettabili. L'allegato non riporta nulla di rilevante, ad esempio, sulla realizzazione delle opere e delle attività connesse allo svolgimento a Milano dell'Expo 2015. Non è corretto porre, come suggerisce anche la lettura dell'allegato, la questione della realizzazione di alcune infrastrutture strategiche come, ad esempio, la Pedemontana lombarda o il Passante di Mestre, nel senso di affermare che si tratterebbe di opere che nella passata legislatura sarebbero state bloccate dal Governo Prodi, visto che il Governo Prodi ha, al contrario, contribuito a sbloccare tali opere.
Semmai il Ministro Matteoli dovrebbe rispondere della sottrazione di 450 milioni di euro alla realizzazione della Pedemontana, come risulta espressamente dalla lettura dell'allegato, che provoca un danno grave ad un'area fondamentale per lo sviluppo del Paese e per il rilancio della sua capacità di crescita. È clamorosa la mancanza di riferimenti seri alla necessità di modernizzare le reti idriche, oltre che la diminuzione grave delle risorse destinate alle infrastrutture del Mezzogiorno.
Stando ai dati contenuti nell'allegato stesso, su un volume complessivo di circa 115 miliardi di euro per le infrastrutture sottoposte al vaglio del CIPE soltanto il 27 per cento (o secondo calcoli molto più prudenti addirittura solo il 22 per cento) è destinato alle opere nel Mezzogiorno.
In questo quadro appare molto grave ancora l'assoluta incertezza sulla data di completamento dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria che l'allegato Infrastrutture del 2002 al Documento presentato dal Governo Berlusconi assicurava addirittura per il 2006.
Si evidenziano le grandi contraddizioni connesse alla politica per il trasporto pubblico locale, le cui risorse pur a fronte dei proclami contenuti nell'allegato sono state utilizzate in larga parte per il taglio dell'ICI sulla prima casa. Così si rischia la paralisi per le forme alternative di trasporto e si favorisce solo la sostanziale congestione della rete viaria alla faccia dei proclami sulle infrastrutture!
Anche in ordine agli aspetti più strettamente ambientali, il DPEF è inadeguato ed anacronistico: il complesso dibattito che la cultura ambientalista ha sviluppatoPag. 15negli ultimi trent'anni non sembra essere stato minimamente preso in considerazione. Un accenno ai temi dello sviluppo sostenibile, della qualità della vita e di nuovi stili di vita che riducano gli sprechi del consumismo sfrenato per privilegiare consumi più leggeri ed oculati, sarebbe stato opportuno, sarebbe stato gradito, soprattutto in considerazione del fatto che il DPEF è un documento di indirizzo delle politiche economiche del Paese e, in quanto tale, dovrebbe avere un respiro ampio e ambizioso.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

GIANPIERO BOCCI. Possiamo prendere in considerazione il problema dell'inquinamento dell'aria solo per indicare alcuni punti nevralgici e molto trascurati. Di tale problema non si parla e non si prende in considerazione l'incentivazione a diversificare le modalità di trasporto.
Dunque, vi sono tante ragioni e tanti motivi per cui il gruppo del Partito Democratico non solo non può esprimere un voto favorevole - e anzi ne esprimerà uno contrario -, ma anche non può non denunciare queste forti contraddizioni che danneggiano seriamente il Paese.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Laboccetta. Ne ha facoltà.

AMEDEO LABOCCETTA. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevole relatore e onorevoli colleghi, desidero in primo luogo sottolineare come la relazione presentata dal Ministro Tremonti la scorsa settimana sia stata aperta, non blindata, pronta ad accogliere proposte migliorative: non certo, come invece qualcuno ritiene, un intervento caratterizzato da toni professorali o con «pacche sulle spalle». È stata una relazione dai toni austeri, come si conviene in una situazione sociale ed economica gravemente seria come quella attuale.
Del resto, oltre a dover fronteggiare la negatività dello scenario economico mondiale prendiamo atto di non aver ricevuto alcuna eredità positiva dal precedente Governo, non perché ci aspettassimo un centrosinistra generoso, piuttosto perché speravamo in un Governo Prodi che fosse in grado di curare almeno in parte gli interessi dell'Italia. Dobbiamo, invece, rassegnarci e scontrarci con l'illusione ottica del «tesoretto»: mai diminutivo fu più corretto visto che (come ribadito più volte dal Ministro Tremonti) il «tesoretto» non esiste.
È giunto il momento di dire: «punto e a capo.» Questa maggioranza è pronta a ripartire nella piena coscienza che il quadro è oltremodo complesso, critico e difficile. Questo Governo ha tutte le capacità, l'esperienza e le professionalità per affrontare le difficoltà del momento e per ricondurre il Paese sulla strada della ripresa.
Mi sono sembrate quanto mai ingiustificate le critiche mosse nei giorni scorsi (e anche oggi) al Ministro Tremonti, le cui indiscusse capacità, che trovano ampio e costante riconoscimento tanto in ambito nazionale quanto a livello internazionale, costituiscono una prima garanzia circa la bontà delle direttrici politiche perseguite. Il Ministro Tremonti, a mio parere (e non soltanto a mio parere), rappresenta un valore aggiunto: se mi passate la battuta, non abbiamo un «tesoretto» ma abbiamo un «tesoro», Giulio Tremonti. Permettetemi di dire senza piaggeria che le sue competenze rappresentano oggi un asset strategico irrinunciabile dell'azienda Italia.
Tornando al DPEF, l'Italia è tornata a crescere dopo anni di stagnazione ed è uscita dall'emergenza dei conti pubblici. Chi lo affermava? Era il 29 giugno 2007 e così recitava allora il Ministro Padoa Schioppa nell'introduzione del voluminoso DPEF per gli anni 2008-2011 di oltre 370 pagine da lui sottoscritte. Che cosa è accaduto?
Forse la diagnosi era del tutto sbagliata? Oppure era esatta e il Governo Prodi nei suoi ultimi mesi di vita ha distrutto tutto ciò che di buono era stato fatto fino a quel giugno 2007? Personalmente, ritengo che una diagnosi gravemente errata abbia condotto a una terapiaPag. 16che non ha avuto alcuna efficacia e che anzi ha contribuito a portare il deficit al 2,5 per cento.
Oggi, però, non abbiamo il tempo per fare processi alle passate gestioni. Dobbiamo ripartire con impegno, fiducia e speranza. Certo, la strada è in salita, ma siamo qui per prenderci le nostre responsabilità, per dare attuazione alle nostre politiche e tradurle in un sistema di programmi e di interventi che possa aiutare il Paese a risollevarsi lentamente, senza soccombere definitivamente sotto l'influenza di dinamiche spesso difficilmente controllabili.
Tutto ciò per dire che la gravità della situazione impone assoluta serietà ed equilibrio, per sostenere che le attuali condizioni conducono a un DPEF che porterà sicuramente miglioramenti, senza promettere, però, facili trionfi.
Personalmente, ritengo che una corretta ed equilibrata valutazione del DPEF e della manovra nella sua interezza non possa prescindere dalla considerazione oggettiva e veritiera della realtà che sta vivendo il nostro Paese: uno stato di difficoltà, che trae la sua genesi da fenomeni di carattere internazionale, che esulano in buona parte dagli ambiti di efficacia delle azioni dei singoli Governi e che impongono, come ribadito più volte dal Ministro dell'economia e delle finanze, l'urgente definizione di un'azione risolutrice di politica economica sovranazionale, condivisa dai Governi e dagli organismi economici internazionali.
L'economia mondiale è in grave difficoltà, la durata e l'intensità della crisi dei mercati finanziari sembra lontana da una sua contrazione, così come il trend crescente dei prezzi delle risorse energetiche, delle materie prime e dei generi alimentari.
Non a caso, fonti autorevoli parlano di quella attuale come della più grave crisi dal dopoguerra ad oggi, mossa da dinamiche speculative che si sono estese dal circuito finanziario dell'economia mondiale a quello reale, dilaniando il potere d'acquisto delle famiglie e delle fasce più deboli.
Il centro studi di Confindustria dichiara inesorabilmente che siamo in una fase di stagnazione e che l'aumento del PIL nel 2008 si fermerà allo 0,1 per cento.
Il Governatore Draghi ha riconosciuto la corretta entità della crisi. Non si tratta più di un semplice turbamento finanziario. Del resto, i dati di maggio ci confermano che il deficit ha raggiunto il 2,5 per cento, mentre la crescita economica è praticamente vicina allo zero per cento.
Con riferimento alle entrate, ricordo, invece, che non si rileva alcun extragettito di natura strutturale, ma piuttosto si registrano gli effetti congiunti dell'abbassamento dell'aliquota IRES e della sentenza della Corte costituzionale sulla deducibilità dell'IRAP dall'IRES.
Insomma, cari colleghi, i numeri questa volta non lasciano spazio a incertezze. I numeri non imbrogliano, anche se - aggiungo - a volte gli imbroglioni e i superficiali fanno largo uso dei numeri.
È retorica, ma l'assoluta gravità della crisi, ovvero di qualcosa che implica l'insufficienza delle risorse, ci impone di intraprendere una volta per tutte la strada dell'efficienza, nella consapevolezza che è necessario prevedere significativi tagli.
Ecco, quindi, che un'attenta lettura della manovra deve necessariamente e contestualmente considerare tutti gli interventi volti a ridurre gli sprechi, a tagliare le spese che in tale fase possono considerarsi superflue, a introdurre miglioramenti e innovazioni nell'organizzazione delle strutture pubbliche e nelle modalità attraverso le quali l'amministrazione dei cittadini e la soddisfazione dei loro bisogni è perseguita.
Un plauso merita, quindi, secondo il mio giudizio, il piano di interventi annunciato con coraggiosa trasparenza e con decisa chiarezza dal Ministro Brunetta, che ha il suo obiettivo primario in un cambiamento culturale delle modalità di governo delle amministrazioni pubbliche e di che vi opera.
Permettetemi di apprezzare alcuni aspetti della manovra di cui stiamo discutendo, affinché non siano dimenticati dall'opposizione. Sappiamo bene che la manovraPag. 17perfetta non esiste. La programmazione economico-finanziaria orienterà l'azione del Governo senza vincolarla e senza renderla impermeabile all'evoluzione della congiuntura economica generale.
Vi è, inoltre, la piena disponibilità e l'auspicio a ricevere dall'opposizione proposte correttive e integrative utili a migliorare la manovra, a renderla più equilibrata laddove ve ne fosse la necessità, a patto che le medesime siano fattibili, coerenti con i vincoli e le regole europee e che non stravolgano le linee di politica economica seguite dal nostro Governo.
Il Governo sa bene che l'efficacia di questa manovra e i suoi risultati dipenderanno in misura preponderante dalla qualità della sua attuazione, dalla capacità di gestirla in maniera attiva e reattiva, di correggerla o integrarla, attraverso la realizzazione di interventi funzionali al perseguimento delle priorità annunciate. Il Governo ha apertamente dichiarato che i primi a beneficiare degli auspicati processi di ripresa saranno i redditi da lavoro dipendente, i pensionati e le famiglie.
Un intervento in tal senso è già atteso per i prossimi mesi. Ad ogni modo, sento di poter dire che questa maggioranza - e spero anche l'opposizione - supporterà attivamente il Governo nell'individuazione e nella selezione delle istanze sociali che prioritariamente dovranno essere recepite e risolte. Analogamente, l'efficacia della cosiddetta Robin Hood tax dipenderà dalla capacità del Governo di vigilare sulla corretta attuazione di relative disposizioni, evitando e sanzionando con inasprimenti fiscali il verificarsi di fenomeni di traslazione a tutto danno dei cittadini consumatori.
Un ulteriore profilo che ritengo debba essere apprezzato è la convergenza temporale e l'integrazione sostanziale tra la sezione programmatica e quella attuativa della manovra. Si tratta di una decisione che segna lo sforzo del Governo d'introdurre una seria programmazione pluriennale e di collocare le linee di sviluppo della propria politica economica oltre il confine dei dodici mesi, collocandole all'interno di una prospettiva temporale triennale.
L'auspicio è che si vada oltre e che anche in Italia, analogamente a quanto accade nei Paesi di cultura anglosassone, i momenti delle grandi scelte politiche e le strategie d'azione dei Governi si sviluppino in modo coerente, con l'obbligo morale e il principio guida di garantire l'equità tra le generazioni. In riferimento a ciò, fondamentali saranno le scelte di lungo termine che questa maggioranza sosterrà su materie quali l'ambiente e l'energia, che oggi sembrano minacciare il benessere non solo delle generazioni attuali, ma anche di quelle future.
La gravità del panorama economico impone al Governo di ridefinire le fondamenta del Paese, tentando di realizzare condizioni operative, organizzative e legislative idonee a supportare una progressiva e continua - seppur graduale - fase di ripresa. La ripresa non è certo dietro l'angolo: servirà pazienza e costante dedizione. Ecco perché sulle materie esposte, sulle proposte illustrate, sui dati e sulle previsioni, che il Ministro ha cortesemente inteso ricordare, è necessario mettere in atto uno sforzo notevole, sconfiggendo, in primo luogo, la strategia delle rinunce e della rassegnazione. Il mio auspicio è che lo si faccia con spirito collaborativo, oggi più di sempre, nell'interesse del Paese e delle categorie che maggiormente subiscono gli effetti di questa crisi, ma anche nel rispetto delle strategie politiche che questa maggioranza intende seguire.
Il tempo della propaganda è terminato: è necessario affermare quello delle scelte risolutrici, scelte complesse e articolate, che sappiamo potrebbero comportare sacrifici e i cui effetti potrebbero non prodursi in tempo brevissimo. Certo, lo sforzo andrebbe fatto insieme, da maggioranza e opposizione, sempre nel rispetto dei ruoli e delle responsabilità ma, affinché ciò accada, è indispensabile che cambino toni e comportamenti, troppo spesso dettati - mi riferisco, in particolare, al Ministro-ombra Bersani, che parla, ovviamente, solo quando l'Aula è piena - da saccenteria edPag. 18animo distruttivo. È necessario, altresì, che prevalga un approccio propositivo: con la spocchia e con la saccenteria non si va da nessuna parte.
Riconosceteci il diritto di valutare con estrema attenzione proposte che ci provengono dalla precedente maggioranza, che ha avuto vita breve, tutta coinvolta nella soluzione di una crisi politica interna, e che ha adottato rimedi che hanno finito per peggiorarne le condizioni; altrimenti, cari colleghi, ben vengano le «fiducie». Saranno, poi, i cittadini a valutare i nostri risultati.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cavallaro. Ne ha facoltà.

MARIO CAVALLARO. Signor Presidente, la discussione sul DPEF s'interseca non casualmente e non felicemente con alcuni provvedimenti importanti in materia di sicurezza e di giustizia. Pertanto, essa consente, non certo con soddisfazione, di verificare, quasi con immediatezza, l'efficacia di tale documento previsionale e programmatico e soprattutto quanto esso sia in grado di sfuggire alle suggestioni mediatiche e psicologiche della campagna elettorale e di rassegnare, non solo al Parlamento, ma anche ai cittadini, efficaci soluzioni ai problemi, che tutti abbiamo individuato come obiettivi nel panorama economico, finanziario e sociale del nostro Paese.
Purtroppo questo parametro - che è un parametro obiettivo, perché lo stesso DPEF dichiara che una serie di interventi programmatori e normativi, prima dell'estate, avrebbero chiarito l'efficacia e la consistenza del Documento e delle sue previsioni - si rivela fallace, assolutamente inadeguato e addirittura negativo, se è vero che la stessa maggioranza nella sua agenda inserisce provvedimenti ad personam e comunque del tutto privi di ogni efficacia e interesse per risolvere quei problemi strutturali pure considerati nodi da sciogliere necessariamente per consentire lo sviluppo del Paese.
Il DPEF non si sottrae alla suggestione di indicare non meglio precisati nemici, non meglio individuati centri della grande speculazione e non più chiaramente definiti scenari di crisi alimentare, energetica e finanziaria; anche se non si arriva a «demoplutocrazie» di infausta memoria, comunque è presente questa tendenza «coloristica» a trovare nemici esterni, a indicare suggestioni e poi in concreto a non scendere nel dettaglio delle soluzioni e delle proposte.
In particolare, per quanto riguarda il comparto della giustizia - che pure è stato più volte e da più parti definito uno degli elementi essenziali per lo sviluppo e la crescita del Paese, che è uno degli obiettivi del Documento di programmazione economico-finanziaria -, non si contiene alcuna reale e concreta previsione. Solo una riga e mezzo del Documento parla, genericamente, dell'opportunità di porre mano all'introduzione delle notifiche nel processo civile e delle comunicazioni in forma elettronica, informatizzata e che, per quanto brevemente dirò in seguito, è praticamente insignificante rispetto alle esigenze che il mondo della giustizia pone e che chiede vengano risolte.
È infatti noto che la giustizia è uno degli indicatori, uno dei parametri dell'efficienza del sistema economico ed è altresì noto che molti degli investitori internazionali rifuggono ormai dall'Italia anche e soprattutto per l'inadeguatezza del suo sistema giustizia, a causa della sua incapacità di dirimere con efficacia e con celerità le controversie.
Ciò sebbene abbiamo un principio costituzionale - di cui all'articolo 111 - per cui un processo, che è una regolazione di conflitti, deve essere di ragionevole durata, come del resto prevede la Convenzione europea dei diritti dell'uomo.
Ci saremmo aspettati dunque, in questo scenario, grandi misure. Per esempio, in ordine ai temi della sicurezza, ci saremmo aspettati la ripresa - dopo l'ingloriosa fine della Dike Aedifica Spa, la società che avrebbe dovuto realizzare un nuovo sistema carcerario - di progetti, di programmi e di straordinari investimenti in questo settore che è anch'esso funzionale alla garanzia della sicurezza, molto piùPag. 19delle norme che, in questi stessi giorni, siamo chiamati a discutere e che, probabilmente, saremo chiamati ad approvare a breve, subito dopo aver risolto il problema, invece, della sospensione di alcuni processi eccellenti.
Ci saremmo aspettati una riforma del codice penale, una depenalizzazione e una riforma dell'organizzazione giudiziaria.
In altra parte del DPEF si parla di un piano industriale della Pubblica amministrazione al quale, fra l'altro, manca proprio il pilastro fondamentale consistente nel considerare almeno quei lavoratori uguali a quelli dell'industria, garantendo la defiscalizzazione degli straordinari.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

MARIO CAVALLARO. Non c'è traccia della riforma delle professioni - che pure dicemmo essere un altro dei pilastri fondamentali del sistema di innovazione che avremmo dovuto introdurre nel Paese -, in particolare di quella dell'avvocatura.
Non c'è traccia della riforma della magistratura onoraria né di una manutenzione straordinaria dei riti. Ci sono, anche in questo caso, «coloristicamente», alcune suggestioni giustinianee sulla codificazione, sulla semplificazione e sulla delegificazione, le cui prime prove stanno dando cattivo esito: evidentemente, non sono il frutto di una riflessione e di una fase di studio ma, anche in questo caso, della trasposizione, nelle aule parlamentari, delle suggestioni della campagna elettorale.
Si tratta di un pessimo metodo che noi condanniamo, non potendo certo esprimere un parere favorevole su questo provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Galletti. Ne ha facoltà.

GIAN LUCA GALLETTI. Signor Presidente, sono preoccupato da questo DPEF. Non mi associo a tutti coloro che ritengono inutile questo documento. Esso ha una sua utilità, ossia quella di individuare gli obiettivi programmatici che si vogliono raggiungere nel quadriennio successivo: quindi, per quanto ci riguarda, una programmazione di legislatura.
Se ci pensiamo, non è roba di poco conto, nel senso che, con questo documento, diciamo quali sono gli obiettivi economici che vogliamo far raggiungere al Paese nei prossimi cinque anni, nel corso di questa legislatura. Ed io sono proprio preoccupato del modo con cui si vuole arrivare al raggiungimento di tali obiettivi. Vi è un solo obiettivo chiaro che, tra l'altro, io e il mio partito, l'UdC, condividiamo: il pareggio di bilancio entro il 2011, ossia il rispetto degli accordi presi in sede UE. Su questo siamo favorevoli. Prendiamo anche atto che altri partiti, i quali all'inizio mettevano in discussione l'utilità di questo parametro, oggi lo condividono.
Il problema è come si arriva al raggiungimento di tale obiettivo. Avevamo due strade davanti: una coraggiosa - e devo dire che si rispecchiava anche bene nel programma del PdL, nel pensiero liberale di Tremonti - che era quella di una cura shock per il nostro Paese, di un investimento sul futuro. Il Paese aveva la possibilità di arrivare al pareggio dei conti con un aumento della crescita del PIL. Certo, bisogna avere coraggio. Avere coraggio significa agire sulle imposte. Come ricordava il collega Occhiuto, il programma del Popolo della libertà individuava espressamente l'obiettivo di abbassare la pressione fiscale sotto il 40 per cento del PIL nell'arco di un triennio. Ritengo valido questo obiettivo, perché è la cura shock per il Paese. Se punto su una riduzione delle tasse e sugli investimenti in conto capitale, do modo alle imprese e ai cittadini di consumare di più e di mettere in moto quel circolo virtuoso che, secondo l'economia, ma anche secondo la pratica, porta ad un aumento del prodotto interno lordo, porta il Paese a stare meglio, a consumare di più e, quindi, a produrre di più e ad aumentare il reddito e, anche in costanza di un abbassamento delle imposte, ad assicurare un ugual gettito al Paese. Ripeto,Pag. 20quella che il PdL aveva mostrato agli italiani in campagna elettorale è sicuramente una strada coraggiosa.
Attenzione: in quel programma, insieme a questo, vi era tutta un'altra serie di interventi, che noi avremmo anche condiviso. Li ritenevamo molto ambiziosi, forse troppo. Ve ne ricordo alcuni, che leggo dal programma del PdL, a pagina 1: «la graduale e progressiva abolizione dell'IRAP, a partire dall'abolizione dell'IRAP sul costo del lavoro e sulle perdite; la graduale e progressiva detassazione delle tredicesime o di una mensilità; il versamento IVA dovuto solo dopo il reale incasso della fattura», tutta una serie di misure liberali che andavano su questa strada, ossia la cura shock per il Paese.
Il DPEF ha scelto un'altra strada, più conservativa, a mio parere meno coraggiosa e meno produttiva per il Paese: puntare sull'innalzamento della pressione fiscale e sul taglio della spesa in conto capitale. Credo davvero che questa soluzione possa portarci all'obiettivo che abbiamo predeterminato - il pareggio di bilancio entro il 2011 - ma a costo di grandi sacrifici, prima di tutto uno: non far crescere il Paese. I dati che il DPEF reca, sotto questo aspetto, sono molto preoccupanti, perché stiamo dicendo ai nostri cittadini che, nel 2011, il nostro Paese sarà ancora, in termini di crescita, il fanalino di coda in Europa: mentre la Spagna crescerà del 3,4 per cento, noi cresceremo ancora dell'1,1 per cento; mentre la Germania crescerà del 2,4 per cento, noi saremo ancora fermi a quell'1,1 per cento del tutto insufficiente per dare un futuro a questo Paese.
Se provate ad esaminare la composizione della manovra per il 2009, vi renderete immediatamente conto quale sia stata la scelta: nel 2009 andremmo a recuperare 10 miliardi di euro, da mettere a beneficio del pareggio di bilancio; 6,5 miliardi di euro provengono da un aumento della tassazione, 3,2 miliardi di euro da un taglio della spesa in conto capitale e solo 200 milioni di euro dal taglio della spesa corrente.
Guardate che questi dati sono preoccupanti! Il Ministro Tremonti, nel DPEF, chiama «perequazione» l'aumento di pressione fiscale. Vi chiedo un atto di coraggio: quella non è perequazione, ma aumento della pressione fiscale. Che abbia il coraggio di chiamarla così, perché la Robin Hood Tax - vedo, fra l'altro, che ci sono dei ripensamenti anche all'interno della maggioranza - altro non è che un aumento della pressione fiscale per le famiglie. Dobbiamo dirlo con chiarezza, non dobbiamo creare illusioni. Se tassiamo gli extraprofitti, proprio perché sono prodotti da aziende che agiscono in un mercato non libero, imperfetto, questi soggetti (banchieri, assicurazioni, petrolieri) finiranno per scaricare quella maggiore tassazione immediatamente sulle famiglie, che si ritroveranno nelle bollette i maggiori oneri fiscali che le imprese dovranno pagare, insieme al danno che, sempre su quelle bollette, sta facendo l'inflazione. Il problema della quarta settimana diventerà per loro il problema della terza settimana. Stiamo parlando di 6,5 miliardi di euro, che, nel 2009, si scaricheranno sulle famiglie italiane.
Tagliare la spesa in conto capitale è un errore, perché impedisce al Paese di crescere! Se realizziamo quella spesa in conto capitale, non è solo per nuove opere; in piccola parte è per nuove opere, ma, in gran parte, è per la manutenzione straordinaria degli uffici e degli immobili dei comuni. Il 60 per cento della spesa in conto capitale del Paese è sostenuta dai comuni e gran parte di quella spesa è per la manutenzione straordinaria. Per spiegare bene agli italiani, è come se oggi dicessimo che non aggiustiamo il rubinetto rotto di casa nostra, perché non abbiamo i soldi. Vi è chiaro che quella spesa di manutenzione ce la ritroveremo negli anni successivi, me la ritroverò nel 2010, nel 2011, ma, prima o poi, quel rubinetto dovrò metterlo a posto? Stiamo solo posticipando la spesa! I comuni, con questo taglio, che verrà riversato sul Patto di stabilità interno, non faranno la manutenzione straordinaria alle scuole, ai propri edifici, agli asili nido. Stiamo parlando diPag. 21questo: non solo di nuove strade e di investimenti sulle infrastrutture, ma anche di un punto nevralgico per il nostro Paese.
In economia è chiaro che, se taglio la spesa in conto capitale e aumento le imposte, ho un unico effetto: deprimere il PIL, cioè la crescita. Stiamo facendo questo e stiamo, in qualche modo, mettendo in ginocchio questo Paese. Sono preoccupato anche dal decreto-legge che accompagna questo DPEF e che anticipa la manovra della legge finanziaria. Non mi schiero contro il metodo: trovo che il metodo sia, in parte, anche giusto. Ci fa bene parlare oggi anche della tecnicalità con cui quelle risorse, previste dal DPEF, verranno ricercate. Penso che questo sia un elemento di chiarezza. Certo, avrei voluto avere il tempo necessario, in Commissione e in Aula, per discutere più approfonditamente quel provvedimento, e non è di poco conto il fatto che l'opposizione a questo decreto-legge non la stiamo facendo noi dell'UdC, ma la sta facendo proprio la maggioranza il cui Governo ha presentato quel decreto-legge. Quando si presentano 1.400 emendamenti, infatti, il segnale è uno solo: fare opposizione allo stesso decreto-legge che ha presentato il Governo. Bisognerebbe riflettere sulla bontà di quel provvedimento, anche nelle file della maggioranza. Quel provvedimento contiene un paio di elementi, secondo me, profondamente sbagliati. Esso implica un taglio lineare alla spesa corrente: vuole dire che non si distingue la spesa buona da quella cattiva, ma si vuole solo ridurla, e ogni ministero, così come ogni comune, deve contribuire a quella riduzione. Non importa se un comune spendeva bene e uno spendeva poco, se un ministero, come quello dell'interno o della difesa, deve assicurare la benzina agli automezzi della polizia. Bisogna tagliare, punto e basta! Così non si va da nessuna parte; così si fanno dei seri danni al Paese, perché quel taglio lineare non avrà nessun effetto e sarà revocato dallo stesso Ministro.
Per concludere, visto che il tempo stringe: penso che questo DPEF sia una ricetta sbagliata per il momento economico che vive il Paese (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro e Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Zamparutti. Ne ha facoltà.

ELISABETTA ZAMPARUTTI. Signor Presidente, come delegazione radicale nel Partito Democratico abbiamo apprezzato l'anticipo della manovra e la presentazione contestuale del DPEF, perché tra le cause della crescita della spesa, dei deficit e del debito pubblico ci sono state anche quelle trattative che in sede parlamentare si sono potute compiere proprio in virtù della tempistica legata alle finanziarie. Tuttavia, ci troviamo ancora una volta di fronte ad un'innovazione introdotta per via politica e non normativa, a conferma del persistere di un'assenza di senso istituzionale, e dunque di senso della legalità, che connota la classe politica che di volta in volta ci governa, e che per quanto riguarda l'attuale maggioranza procede in questa materia in aperta violazione delle norme vigenti a livello costituzionale, di legge ordinaria e regolamentare.
Quanto al merito, sul punto cruciale del risanamento delle finanze dello Stato giudichiamo positivamente che il Governo confermi gli impegni assunti dal Governo Prodi e ribaditi da ultimo nella riunione dell'Eurogruppo, vale a dire il raggiungimento nel triennio del pareggio di bilancio. Apprezziamo che questo obiettivo, insieme alla riduzione sostanziosa del rapporto debito-PIL, sia una linea guida della politica economica, cui destinare parte rilevante della manovra di circa 35 miliardi. Tuttavia, non vi è la diminuzione della pressione fiscale promessa, e ci preoccupa l'assenza di misure volte a liberare energie e risorse per rimettere in moto il nostro affannato Paese. Non è tanto dunque quello che c'è nel DPEF, quanto quello che manca che ci trova critici e contrari. Mi riferisco, in particolare, alle donne e alla questione dell'occupazione femminile. L'Italia è ferma su questo al 46 per cento, penultima in Europa e ben lontana anche dall'obiettivoPag. 22intermedio del 60 per cento posto dalla cosiddetta «strategia di Lisbona», con una frattura tra nord, dove l'impiego femminile è in linea con il resto d'Europa (74 per cento), mentre nel sud, con il 34 per cento, siamo al penultimo posto nell'Europa a 27: peggio di noi c'è solo Malta.
Ma le donne non restano a casa per fare più figli o per scelte di vita: la ridotta partecipazione delle donne al mercato del lavoro non si associa mai a una maggior propensione ad avere figli. La verità è che la donna supplisce a servizi inesistenti e ad un welfare insufficiente: tutto ciò che ruota attorno ad assistenza e cura di figli, nonni, suocere e nipoti spetta a lei. Il Governo Prodi, in particolare grazie al lavoro dei colleghi Bindi, Pollastrini, Damiano e di Emma Bonino, ha affrontato per la prima volta in modo serio la materia ponendo degli obiettivi, come gli incentivi fiscali alle imprese che assumono lavoratrici e la creazione di asili: vi chiedo perché non volete dare continuità a questo lavoro.
Quanto al passaggio del DPEF, assai succinto, su previdenza e spesa, capisco che la materia è ostica, ma non porre la questione dell'equiparazione dell'età pensionabile di uomini e donne, con i numeri di cui gode questa maggioranza, mi pare davvero un'opportunità sprecata. L'equiparazione dell'età pensionabile ci verrà peraltro imposta presto dalla Corte di giustizia europea, che da tempo ha avviato una procedura di infrazione per la disparità nel trattamento fra uomini e donne in materia pensionistica, indicandola a tutti gli effetti come una discriminazione retributiva; senza contare che da questa misura di equiparazione, e magari, se solo si volesse, da un generale innalzamento dell'età pensionabile di uomini e donne, si potrebbero ottenere importanti risparmi, cifre assai corpose da poter destinare magari proprio a costruire il welfare europeo, quello fatto di servizi di cura, assistenza, conciliazione, pari opportunità; welfare che in Italia appare lontanissimo. E poi, non trovo nessuno spiraglio di apertura nell'ambito delle liberalizzazioni, in particolare delle libere professioni, dove tutto è ingessato negli ordini, che sono a tutti gli effetti corporazioni di medievale memoria.
Chiudo con altro punto critico, che è la proposta di costituire una Banca del Mezzogiorno. La questione si commenta da sola.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

ELISABETTA ZAMPARUTTI. Anche se dite che l'intervento pubblico dovrebbe essere limitato e fare solo da volano per l'iniziativa, è comunque un'idea assolutamente sbagliata e negativa, nel puro stile delle vecchie politiche meridionaliste di stampo clientelare e di spreco di risorse pubbliche.
In particolare, vediamo con preoccupazione il fatto che, per il ciclo di programmazione unitaria 2007-2013, vi siano oltre 100 miliardi di euro per il Mezzogiorno. Non è con i soldi a pioggia che si risolve il problema del sud, che è il problema del nostro Paese: i rubinetti andrebbero invece chiusi, consentendo solo quelle spese per infrastrutture che ci pare invece stiate drasticamente riducendo, oltre ad attuare un sostanziale svuotamento del credito di imposta per gli investimenti nelle regioni meridionali.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Lanzillotta. Ne ha facoltà.

LINDA LANZILLOTTA. Signor Presidente, ciò che colpisce nel DPEF al nostro esame, è l'abissale distanza fra l'enfasi retorica della premessa politica a firma Berlusconi e Tremonti - che del tutto irritualmente introduce il testo del documento presentato quest'anno - e l'assoluta assenza di ambizione e di visione strategica dello scenario di politica economica che ci viene invece proposto con questo che è il primo, fondamentale atto di indirizzo della nuova legislatura. Ci saremmo aspettati che il Governo, in questo primo confronto, sfidasse l'opposizione sul terreno delle riforme: che la sfidasse sul coraggio di introdurre cambiamenti profondi ed incisivi per la modernizzazionePag. 23del Paese, che la sfidasse sulle liberalizzazioni, sull'alleggerimento degli apparati pubblici sulla base di un progetto serio ed approfondito di riallocazione delle funzioni, sullo sblocco della mobilità sociale e della meritocrazia in tutti i settori della vita sociale ed economica, poiché è di questo che l'Italia ha bisogno per tornare a crescere e per recuperare produttività e competitività. Invece, per conseguire gli obiettivi di finanza pubblica che giustamente vengono confermati, si rischia di deprimere ancora di più l'economia.
Per l'intero arco della legislatura - dal momento che il DPEF arriva fino al 2013 - ci viene prospettato uno scenario che, smentendo tutti gli annunci elettorali, avverte invece gli italiani che non vi sarà crescita, che la pressione fiscale non diminuirà, che le donne e i giovani non lavoreranno di più, che gli investimenti nel Mezzogiorno diminuiranno invece drammaticamente, togliendo ogni speranza di ripresa economica a quelle terre già duramente provate. Lo scenario che il DPEF si propone è dunque quello di un'Italia che si arrende di fronte all'impatto della globalizzazione e che, in nome della dimensione sovranazionale o addirittura sopracontinentale dei mutamenti in atto, rinuncia a fare la propria parte nelle politiche domestiche e ad attrezzare il Paese per farlo restare almeno agganciato ai più forti partner europei, rispetto ai quali stiamo invece perdendo ogni giorno posizioni.
Il Presidente del Consiglio e il Ministro dell'economia e delle finanze hanno rivendicato il fatto che tutta la manovra è stata licenziata in nove minuti e mezzo. Potremmo amaramente commentare, signor Ministro, che purtroppo si vede. E lo vedono anche gli stessi ministri, che non credo essere estranei ai 1.400 emendamenti presentati dalla maggioranza in Commissione. Al contempo, i ministri stanno scoprendo le sorprese contenute nel primo provvedimento di attuazione del DPEF, il decreto-legge n. 112, approvato negli stessi nove minuti e mezzo: un decreto assolutamente speculare quanto a mancanza di carica innovativa e di spirito riformista. Per aumentare il potere d'acquisto, infatti, esso punta non già a liberalizzazioni che tutelino in modo stabile il potere d'acquisto e spingano la crescita, ma a tasse che saranno inevitabilmente trasferite sui prezzi. E che così sarà non solo lo dice l'opposizione, ma lo ha detto anche Autorità per l'energia elettrica ed il gas, tanto che il Governo si accinge già a modificare o cancellare la cosiddetta Robin tax. Così come, pochi giorni fa, l'Antitrust ha duramente censurato le nuove convenzioni autostradali approvate con legge, che prevedono aumenti tariffari che si scaricheranno sugli automobilisti senza nessuna garanzia che ai miliardi di euro di maggiori ricavi, che andranno alle concessionarie autostradali, corrisponderà poi un adeguato volume di investimenti. Vi sono insomma vari modi per mettere le mani nelle tasche degli italiani: il Governo, sommessamente, preferisce quello di non metterle direttamente, ma di consentire che altri lo facciano.
Quanto al settore pubblico, si aggrediscono indiscriminatamente le retribuzioni dei pubblici dipendenti e si rinuncia invece all'obiettivo - che era anche del Ministro Brunetta, alla cui impostazione teorica era andato il nostro sostegno - di operare selettivamente fra chi ha avuto e chi invece ha visto il proprio stipendio impoverirsi.
La pubblica amministrazione italiana ha certo bisogno di una rivoluzione culturale profonda, ma ha bisogno anche di trasparenza, di efficienza e di retribuzioni legate alla valutazione dei risultati; soprattutto, essa ha bisogno che la politica faccia più di un passo indietro, mentre invece sulla questione chiave della separazione della politica dall'amministrazione non vi sono segni significativi.
Su questa linea il Partito Democratico aveva già annunciato che avrebbe appoggiato le riforme, ma osteggeremo una linea che demonizzi e delegittimi la pubblica amministrazione e la funzione pubblica nel suo complesso, non solo perché sarebbe una campagna ingiusta per i tanti che vi lavorano con dedizione e professionalità, ma anche perché comporterebbe il radicale ridimensionamento di strutturePag. 24e servizi, che costituiscono altrettanti pilastri del nostro sistema di welfare, che colpirebbe settori strategici come la scuola, la ricerca, la sicurezza.
Ma questa anomala sessione di bilancio inaugurata dal DPEF un cambiamento lo segna (e molto profondo): esso riguarda i poteri costituzionali di bilancio. Non si tratta solo di accelerare o comprimere i tempi della decisione - su cui potremmo anche essere d'accordo - quanto di spostare, prima dal Parlamento al Governo e poi dal Governo nella sua collegialità al Ministro dell'economia e delle finanze, i poteri di gestione del bilancio, travalicando le decisioni di spesa deliberate attraverso le leggi e l'allocazione delle risorse definite dal bilancio.

PRESIDENTE. Onorevole Lanzillotta, la invito a concludere.

LINDA LANZILLOTTA. Questa, signor Presidente, è una vecchia idea della Ragioneria e del Tesoro, ma è un'idea miope, perché porta alla deresponsabilizzazione delle amministrazioni e, nel medio periodo, alla mancanza di controllo del bilancio.
Un ultimo punto mi preme (e concludo): vorrei segnalare al Ministro Bossi che in questo DPEF il federalismo fiscale è una missione impossibile perché non è prevista la crescita, la quale rappresenta la condizione per realizzare una sostenibile perequazione. Ritengo quindi che o il DPEF si aggiorna, o in autunno vi saranno forti tensioni, quando si vedrà che il federalismo fiscale è ancora una chimera.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Beltrandi. Ne ha facoltà.

MARCO BELTRANDI. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, è già intervenuta la mia collega Zamparutti in merito alla questione delle innovazioni introdotte in questa sessione di bilancio. A me preme appunto dire che non si è purtroppo trattato di una riforma della sessione di bilancio, operata quindi modificando i Regolamenti parlamentari, e questo, signor rappresentante del Governo, ha due conseguenze negative: da una parte è una decisione politica, e come tale può essere sempre revocata; dall'altra, non è stato previsto e definito un nuovo ruolo del Parlamento. Sono, ad esempio, dell'idea che il Parlamento potrebbe anche soltanto controllare, e intervenire marginalmente sul progetto di finanziaria presentata dal Governo, ma senza la riforma dei Regolamenti parlamentari questo non è appunto possibile, e di conseguenza il ruolo del Parlamento tende ad essere compresso e ad essere ridotto, come hanno notato già altri colleghi, determinando un ingorgo di decreti che si vogliono approvare tutti assieme.
In più, segnalo l'anomalia di un Documento di programmazione economico-finanziaria che viene presentato insieme ai decreti attuativi, e quindi di fatto svuotato di ogni significato. Dello scarso significato del DPEF abbiamo anche la riprova per quanto riguarda il comparto della difesa, nel senso che nel DPEF non è contenuto un rigo sulle risorse destinate alla difesa.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI (ore 12,20)

MARCO BELTRANDI. Ricordo che in Commissione difesa alla Camera il 1o luglio la maggioranza ha approvato un parere favorevole sul DPEF, che era però subordinato ad un' osservazione: purché «si preveda che, nel corso della legislatura, le risorse destinate alla Difesa siano elevate ad un livello superiore all'1 per cento del PIL, salvaguardando altresì gli stanziamenti riservati al comparto Difesa e Sicurezza già a partire dall'esercizio 2009». Ora invece, come è stato ricordato questa mattina anche dall'UdC, si prevedono tagli lineari, e dunque tagli anche alle spese di esercizio (ricordo che il Ministero della difesa era già stato colpito da tagli nelle precedenti finanziarie, e quindi non vi saranno i soldi nemmeno per assicurare l'ordinario andamento). Ma il fatto più grave - lo voglio dire - è che in realtà non si prevede una riforma delPag. 25Ministero e che quindi siamo in presenza di tagli stabiliti un tanto al chilo, in quantità enormi, ma senza un disegno complessivo di riforma che potrebbe giustificarli.
Riguardo poi al decreto-legge n. 112, dal 2008 dirò soltanto che si prevede che le tasse non diminuiscano, come era stato promesso invece agli italiani in campagna elettorale.
Si prevedono tagli nel settore della difesa, come ho già detto, ma anche tagli enormi all'interno e alla giustizia, non adottati con il criterio di riforma che ho richiamato precedentemente.
Per quanto riguarda il lavoro, si prevede l'introduzione di una flessibilità, cui siamo favorevoli, ma senza gli ammortizzatori sociali, che sono essenziali per non trasformare la flessibilità in precarietà.
In ultimo, voglio soffermarmi sulla questione del nucleare. Non siamo pregiudizialmente - come radicali - contrari al nucleare, ma vogliamo che si valuti bene se esso sia opportuno in termini di costi e di tempi, quando invece sembra che oggi vi siano soluzioni alternative, molto più promettenti per l'Italia non solo in termini di bilancio energetico, ma anche come occasione di investimento e come occasioni imprenditoriali.
Per tutte queste ragioni confermiamo, anche da parte dei radicali nel gruppo del Partito Democratico, il voto contrario al Documento di programmazione economico-finanziaria.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Lupi. Ne ha facoltà.

MAURIZIO LUPI. Signor Presidente, in questi anni di attività parlamentare ho sempre attribuito un'importanza fondamentale al dibattito qui, nella nostra Aula, anche se oggi è un po' deserta, in relazione al Documento di programmazione economico-finanziaria, perché da più parti, in particolare quando non svolgiamo la nostra attività in Aula ma al suo esterno, continuiamo a sostenere che è necessaria una svolta nel nostro Paese, che serve che la politica segni un passo in avanti e che tra maggioranza e opposizione inizi un confronto reale sui problemi del Paese.
L'ex Ministro Di Pietro che per due anni, quando era al Governo presieduto da Prodi, la cui maggioranza era riempita di persone che ostacolavano il fare, si era fatto paladino del fare, per cui ha acquisito il consenso solo facendo opposizione all'interno del Governo, oggi che è all'opposizione si fa paladino del populismo che si contrappone al fare.
Eppure si sostiene che vi sono dei problemi prioritari nel nostro Paese. Vi è un'urgenza ed è un momento straordinario. Vogliamo che ci si occupi di questi problemi. L'attività del Governo nei primi sessanta giorni - non sei anni, non sedici anni, non quattordici anni, ma stiamo parlando di sessanta giorni dal momento in cui ci siamo insediati - ha affrontato immediatamente alcuni di questi problemi che rappresentano il momento straordinario del nostro Paese.
Ciò si avverte soprattutto nel DPEF, proprio perché esso ha sempre rappresentato il momento dell'indirizzo, del confronto strategico delle linee di un Governo. Tuttavia, l'obiezione che si è sempre fatta in sede di dibattito - lo ricorderà il sottosegretario Vegas - e nei confronti tra maggioranza e opposizione, anche a ruoli invertiti, era che troppo spesso il Documento di programmazione economico-finanziaria era una buona lista delle buone intenzioni, un grande documento strategico, mentre la manovra finanziaria che seguiva non rispettava e non era assolutamente coerente con le indicazioni previste dal DPEF, e addirittura ne era distante.
Ebbene, nel momento in cui si presenta un Documento di programmazione economico-finanziaria, immediatamente si anticipa tale manovra, proprio perché siamo in un momento straordinario. Per affrontare le urgenze straordinarie si anticipa e si rende strettamente collegata non un decreto-legge, come avvenne nel 2006-2007, che affrontava una questione specifica, ma una manovra complessiva, che cerca innanzitutto di capire come, in base alle linee poste dal DPEF, si possa raggiungerePag. 26l'obiettivo rappresentato dal pareggio del bilancio e dalla riduzione del costo dello Stato. Immediatamente dopo si introducono, sempre attraverso un decreto-legge e un disegno di legge, i primi strumenti che nel DPEF sono descritti come piano industriale, linee strategiche e così via, per raggiungere l'obiettivo che noi tutti abbiamo e che certamente non è quello del pareggio di bilancio, ma è soprattutto quello dello sviluppo e del rilancio del nostro Paese.
Ebbene, nel momento in cui per la prima volta in questo Parlamento, da almeno sette anni, possiamo finalmente affrontare seriamente un confronto e una discussione di merito non solo sulle linee strategiche ma anche sui provvedimenti - che si possono contestare - e possiamo anche confrontarci sul modo con cui seriamente si riduce la spesa pubblica e si rilancia il Paese, il 50, 60 o 70 per cento del tempo - per quelli che hanno voglia di confrontarsi su questo e non hanno voglia di dire le solite stupidaggini che sentiamo da sette anni, come il conflitto di interessi e via dicendo - si impiega dicendo che abbiamo poco tempo e che non si rispetta il Regolamento.
Delle due l'una: o si vuole veramente cambiare il Paese e, di fronte ad una situazione straordinaria, dare un segnale in termini di azioni straordinarie e di un cambiamento serio anche della nostra attività legislativa, oppure vogliamo continuare a recitare la nostra parte.
Mi sembra - ed entro nel contenuto del Documento di programmazione economico-finanziaria, ma successivamente il mio intervento affronterà anche il tema dell'Allegato infrastrutture - che, giustamente, in un documento sintetico, il primo punto su cui si devono confrontare maggioranza e opposizione è quali linee seguire, quale sia la posizione ideale, valoriale e di contenuto politico culturale per cui il Paese può guardare con speranza al proprio futuro.
Vi sono alcuni passaggi interessanti, che non sono formali o che appartengono alla politica politicante, ma che attengono alla sostanza dell'azione politica di Governo: qual è il faro, la guida delle sue azioni, sia che si riduca e si tagli la spesa, sia che si rilanci l'attività nel nostro Paese?
Si parla di interesse generale e mi sembra che sia una parola importante all'interno di un Documento di programmazione economico-finanziaria. A me piace definire l'interesse generale come bene comune: si tratta di avere a cuore (tutti dovremmo averlo a cuore) l'interesse e il bene del Paese. Si dice che gli italiani ci hanno dato fiducia, ma bisogna restituire certezze e quindi vi deve essere certezza nell'azione di Governo.
Si introduce un metodo nuovo che consiste nel ridurre i costi dello Stato centrale, nell'alleggerire la burocrazia, nel semplificare il sistema, nel liberare le risorse presenti nel Paese e si sintetizza il tutto con una formula - su cui dobbiamo confrontarci per verificare la coerenza delle azioni proposte, sia in termini di riduzione, sia in termini di rilancio - che è la seguente: «meno costi, più libertà, più sviluppo».
Credo che la discussione e il confronto non solo sul Documento di programmazione economico-finanziaria, ma anche sul decreto-legge e sul disegno di legge, dovrebbero attenere al fatto se stiamo seguendo - è questa la sfida che come Popolo della Libertà e come Governo vogliamo lanciare a questo Paese - la linea del: «meno costi, più libertà e più sviluppo». Su queste tre direttrici confrontiamoci seriamente, entriamo nel merito delle proposte presentate, ma non diciamo che abbiamo poco tempo.
Infatti, il tempo è, come qualcuno afferma, urgente, utile ed è denaro, ma non possiamo continuare a perderne. Abbiamo davanti una sfida, usiamo tutto il tempo necessario che abbiamo a disposizione (e ce n'è) per entrare nel merito. Questo è l'auspicio, ma purtroppo dal dibattito che ho ascoltato sono arrivati pochi contributi in questa direzione.
Vorrei adesso affrontare la seconda questione del mio intervento. Quelli posti nel Documento di programmazione economico-finanziaria (la perequazione tributaria,Pag. 27il piano industriale per la pubblica amministrazione, la semplificazione, gli interventi di sviluppo, il federalismo fiscale) sono capitoli che, all'inizio di una legislatura, per forza di cose, devono essere strategici e sintetici. Infatti, su tali argomenti dovremmo sviluppare la nostra azione nel corso degli anni.
Sarebbe stata una presa in giro se avessimo scritto trattati su questi temi perché si tratta dei nostri punti guida, dei nostri fari. Su di essi svilupperemo, in tutti i settori e con tutti i Ministri, l'azione di Governo. In ordine a ciò, mi sembra interessante capire se la formula: «meno costi, più libertà e più sviluppo» potrà attuarsi e con quali modalità. In particolare, vorrei sottolineare (mi sembra molto interessante), per quanto riguarda il capitolo degli interventi per lo sviluppo, la declinazione negli 11 punti di cosa intendiamo per interventi sullo sviluppo.
Non è un caso, per esempio, che si parli, anche se in maniera sintetica, di università e di un nuovo modo per rilanciarla, trasformando le stesse in fondazioni. Perché inseriamo in questo capitolo relativo agli interventi per lo sviluppo una scossa di riforma nel nostro sistema universitario? Perché riteniamo che il capitale umano sia la sfida strategica per lo sviluppo di questo Paese. In un contesto di riduzione di costi della spesa pubblica o vi è il coraggio di trasformare e di ripensare le nostre tradizionali istituzioni, compresa quella universitaria, in un modo diverso per affrontare la sfida della formazione e della ricerca, oppure perderemo la scommessa, buttando a mare anche tutte le risorse pubbliche.
Non sono tutte uguali le università! Eppure in questi anni, in nome dello sviluppo e della ricerca, abbiamo aperto decine di università dappertutto, come se quello rappresentasse il sintomo e il segno di un approfondimento e di una scommessa sul capitale umano. Quindi, trasformarle in fondazioni significa lanciare questo segnale. Potremmo andare avanti a discutere, è un'esemplificazione. Mi sembra che i temi della sussidiarietà, dell'attenzione alla famiglia, della libertà e dello sviluppo dell'impresa e del soggetto cittadino protagonista nello Stato e non lo Stato protagonista, siano degli assi portanti dell'azione di questo Governo, e ciò non solo si intravede, bensì emerge dalla lettura del DPEF, ma anche dalla lettura successiva del decreto-legge e del disegno di legge. Dovremmo confrontarci su questo!
Per dire quanto pregiudizio c'è o quanto a volte è inutile la discussione che facciamo (almeno si leggano i documenti!), ho sentito un collega, che stimo, il quale ha sostenuto che nell'Allegato infrastrutture del DPEF non si parla dell'Expo. Ma se nel decreto-legge vi è l'intero articolo 14 dedicato all'Expo come momento centrale per lo sviluppo di questo Paese! Noi abbiamo detto che è necessario leggere il DPEF, il decreto-legge e il disegno di legge: perché dobbiamo perdere tempo, o far sentire a chi ci ascolta oggi cose che non sono vere o non sono scritte? Piuttosto diciamo che ci sono meno risorse e che dovevamo darne di più, oppure che il modello seguito è un altro, ma non diciamo cose non vere. Ci fanno perdere tempo, fanno svilire la coscienza di chi ci ascolta e il valore delle istituzioni che rappresentiamo.
Lo abbiamo previsto noi, non qualcun altro, non il Ministro Di Pietro, che oggi va in piazza e ieri sosteneva che bisognava fare le infrastrutture nel nostro Paese, e per due anni abbiamo portato alla paralisi questo sistema dal punto di vista dello sviluppo infrastrutturale, e l'unico risultato che vi è stato nell'ultima azione di Governo è di allocare 6 miliardi di euro di risorse previste per le opere infrastrutturali: grande cosa, peccato che in due anni non si sia mosso niente! Certo, abbiamo riempito i documenti di risorse allocate (Commenti del deputato Cambursano). ..guardi, collega, le posso garantire che su questo tema se vuole io e lei andiamo avanti a parlare per 14 giorni e 14 ore consecutivi! Credo di essere una delle persone che dal 2001 ha seguito in maniera dettagliata tutto lo sviluppo del tema infrastrutturale in questo Parlamento. Le citoPag. 28un esempio... mi rivolgo al Presidente, ovviamente (Commenti del deputato Cambursano)...

PRESIDENTE. Onorevole Cambursano, per cortesia...

MAURIZIO LUPI. Le cito un dato, che forse lei non sa, e che così potrà andare ad approfondire. Nei primi tre anni successivi all'approvazione della legge obiettivo del Governo Berlusconi, il CIPE, che dopo le spiegherò che cosa è, ha approvato 90 miliardi...

RENATO CAMBURSANO. Non ho bisogno di spiegazioni, né di maestrini!

PRESIDENTE. Onorevole Vicepresidente Lupi, se vogliamo che l'onorevole Cambursano non disturbi il suo intervento, anche lei cerchi di non provocarlo. Non si rivolga all'onorevole Cambursano, ma alla Presidenza.

MAURIZIO LUPI. Signor Presidente, ovviamente lei ha ragione, però stiamo svolgendo un momento serio di confronto, non vi sono molti colleghi in Aula, forse se si lascia la possibilità di sviluppare un pensiero poi si può anche ovviamente dissentire, com'è naturale e normale che sia.
Come dicevo, il CIPE nei tre anni successivi all'entrata in vigore della legge obiettivo del Governo Berlusconi ha approvato 90 miliardi di euro di stanziamenti per le grandi opere previste dalla legge obiettivo stessa. Nei due anni successivi del Governo Prodi (la maggior parte, credo il 70 o 80 per cento, nelle ultime tre riunioni del CIPE, guarda caso prima delle elezioni) sono stati approvati 24 miliardi di euro di stanziamento, e siamo arrivati a 115 miliardi.
Tuttavia, il grande tema - è inutile fare polemiche su questo - di cui noi dovremmo essere coscienti è esattamente questo: le infrastrutture sono la grande scommessa di rilancio di questo Paese. Avviandomi verso la conclusione, vorrei segnalare un dato impressionante, su cui noi dovremmo riflettere: nel 2001 approvammo un piano decennale 2001-2011 delle infrastrutture strategiche del nostro Paese. Oggi, dopo sette anni, siamo nel 2008. Allora, quando ne discutemmo, sembravano anni luce.
Dopo dieci anni ci troviamo a tre anni dalla conclusione di questo piano decennale e rischiamo ancora una volta tutti di aver scritto un libro dei sogni e di far perdere al Paese la sfida competitiva nei confronti dello scenario globale. Questo è il punto di partenza su cui dovremo confrontarci. Mi rivolgo all'onorevole Di Pietro, perché l'allora Ministro si accorse dopo un anno che la legge obiettivo era una buona legge che aveva rimesso in moto finalmente il sistema delle grandi opere.
Qui c'è una grande occasione che il Documento di programmazione economico-finanziaria offre, che abbiamo voluto con forza noi quando approvammo la legge obiettivo: ogni anno, all'atto dell'approvazione del Documento di programmazione economico-finanziaria, deve essere portato all'attenzione del Parlamento lo stato di attuazione di quel piano decennale, lo stato dell'arte, in termini molto chiari ed evidenti per capire quali sono le risorse necessarie e le risorse stanziate. Purtroppo in questi anni abbiamo capito che stanziare le risorse non è sufficiente. Anche in questo caso, perdonatemi, le polemiche che ho ascoltato possono andar bene per i dibattiti televisivi, come quando si dice che abbiamo tolto 400 milioni di euro per le infrastrutture e li abbiamo spostati. Tutti noi sappiamo - lo sa chi ha fatto l'amministratore, chi ha seguito i bilanci, chi si è occupato di questi temi - che quando è stata allocata una risorsa non è assolutamente sicuro che quella risorsa venga impegnata e spesa, e che i lavori siano progettati e appaltati; a volte sono solo delle allocazioni formali che si pongono, ma che poi non vengono impegnate. Mentre la nostra scommessa, anche sul tema delle grandi infrastrutture, è che si recuperi non solo la capacità - lo dico al Governo ribadendo che questa è un priorità - di destinare risorse all'attuazionePag. 29di questo piano decennale, ma anche questo non è sufficiente: nei prossimi tre anni il Documento di programmazione economico-finanziaria sostiene che, dal punto di vista delle risorse pubbliche, sono ancora necessari 30 miliardi di euro e altrettanti 30 miliardi di investimenti privati perché quel piano possa attuarsi.
Inoltre, la grande scommessa non è solo nel destinare le risorse (per questo era fondamentale il passaggio del piano industriale sulla pubblica amministrazione previsto nel DPEF), ma nel ritornare ad avere la capacità decisionale di spendere queste risorse, di approvare i progetti, di aprire i cantieri, di agevolare la macchina amministrativa di questo Stato, la burocrazia, con la semplificazione delle leggi, con la certezza dei tempi.
Perdonatemi, mi rivolgo a coloro che hanno ricoperto incarichi di Governo nella passata legislatura: vogliamo evitare che si facciano delle leggi retroattive che non diano più la certezza del diritto nel nostro Paese, in tutti i settori compreso quello delle infrastrutture, in modo tale che non possa accadere che un soggetto sia assegnatario di un contratto, giusto o sbagliato, approvato dal Parlamento, e immediatamente dopo un'altra legge lo rimetta in discussione. A tale proposito, dovremmo forse discutere di questo aspetto quando si parla di certezza dei diritti: quali diritti tuteliamo nel nostro Paese quando in questo Parlamento, l'anno scorso o due anni fa, sono state approvate delle leggi che hanno cancellato diritti garantiti, diritti individuali, delle imprese e dei cittadini, di vedersi realizzata e costruita un'autostrada o un'opera pubblica?
Se veramente vogliamo andare verso una svolta e cambiare questo Paese, allora con correttezza e chiarezza delle posizioni, con contributi diversi che possono essere forniti giustamente in questo momento di dibattito, dobbiamo riconoscere che le priorità sono comuni. Ritorniamo all'inizio: vogliamo tutelare l'interesse generale di questo Paese, tutti abbiamo a cuore il bene comune. Non riportiamo le lancette indietro negli anni, non ritorniamo al 2001, al 1998, al 1994. La gente ci chiede di governare, di intervenire, di dare risposte certe, di risolvere i problemi concreti di questo Paese.
Sul tavolo della discussione di questo Parlamento, non di un altro, in questa legislatura, non in un'altra, sono state messe importanti e concrete proposte di discussione, a partire dalle materie economiche, certamente con una formula diversa. Lo dico anche agli amici del Partito Democratico: sul tema concreto della recessione economica e della riduzione del potere di acquisto delle nostre famiglie, intervenire detassando gli straordinari, e non dando contributi a pioggia, oggettivamente è una formula diversa.
Infatti, noi crediamo che lo sviluppo crei ricchezza e che sia solo con lo sviluppo - lo ha affermato il relatore per la maggioranza nella sua relazione - che si può produrre ricchezza per poi redistribuirla. Diversamente, potremo fare interventi a pioggia e ritornare anche al vecchio assistenzialismo di Stato, ma non riusciremo mai a ridare speranza a questo Paese, una speranza che consenta ad ognuno dei nostri cittadini di guardare all'idea di essere protagonista, non solo della vita sua e di quella della sua famiglia, ma anche di una parte del contributo allo sviluppo e alla storia di questo Paese. Noi vogliamo andare in questa direzione.
Le sfide sono tante, anche per il Governo; non ritengo sbagliato che la maggioranza abbia proposto mille emendamenti, semplicemente perché si tratta di contributi che derivano da ognuno dei parlamentari qui presenti, che in Commissione possono segnalare al Governo e a questa maggioranza non solo delle sensibilità, ma modalità concrete, anzi concretissime, di declinare la nostra bandiera chiave, ossia l'idea sintetica del «meno costi, più libertà e più sviluppo».
Su questo noi lanciamo la nostra sfida, non in uno solo, ma in tutti i settori e la lanciamo non solo a noi stessi e ai cittadini, che giustamente ci giudicheranno in base a ciò che avremo fatto, ma la lanciamo, ancora una volta, con una speranza che ci auguriamo non si spenga mai, all'opposizione, in particolare a quell'opposizionePag. 30che si è presentata come una forza riformista ma che in questi giorni mi sembra che rischi invece di andare più verso una storia passata - il giustizialismo dell'onorevole Di Pietro - che non nella direzione della responsabilità seria di un'opposizione che incalza la maggioranza e avanza proposte concrete ed alternative (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione.

(Annunzio di risoluzioni - Doc. LVII, n. 1)

PRESIDENTE. Avverto che sono state presentate le risoluzioni Baretta ed altri n. 6-00001, Di Pietro ed altri n. 6-00002, Lo Monte ed altri n. 6-00003, Cicchitto e Cota n. 6-00004 e Galletti ed altri n. 6-00005 (Vedi l'allegato A - Doc. LVII, n. 1).

(Repliche dei relatori e del Governo - Doc. LVII, n. 1)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore per la maggioranza, onorevole Toccafondi.

GABRIELE TOCCAFONDI, Relatore per la maggioranza. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei incentrare brevemente la mia replica su quattro aspetti.
Il primo attiene al collegamento, che è stato evidenziato in diversi interventi, tra il DPEF e la manovra collegata che ha creato un certo scandalo in alcuni colleghi. Ricordo che, per la prima volta, contestualmente al DPEF, viene proposta una manovra in grado di conseguire pienamente gli obiettivi fissati nel Documento stesso. Quindi, parlare di stravolgimento delle regole, come alcuni colleghi hanno fatto, mi sembra non comprensibile e sicuramente non condivisibile. La presentazione contestuale del DPEF e dei provvedimenti normativi in cui si articola la manovra finanziaria rappresenta una rivoluzione positiva in quanto, alla funzione di dichiarazione di obiettivi, di buoni propositi e di intenti, che per sua natura ha il Documento di programmazione economico-finanziaria, si aggiunge la definizione e la verifica puntuale degli stessi obiettivi. Per questo parlo di rivoluzione positiva, e non mi sembra assolutamente logico parlare di stravolgimento delle regole.
Il secondo punto riguarda la continuità. L'impostazione del DPEF è in continuità con gli impegni presi e confermati dal precedente Governo presieduto dall'onorevole Prodi, compresi quelli dal medesimo assunti in sede europea. Per quanto riguarda gli obiettivi di finanza pubblica da conseguire, questo Documento si pone quindi in totale continuità, sia con la relazione unificata dell'economia e della finanza, presentata nel marzo scorso dal precedente Governo, sia - lo ribadisco perché è assolutamente essenziale ai fini del dibattito e della replica - con gli impegni assunti dal precedente Governo in ambito europeo.
Il terzo punto riguarda i tassi di inflazione. Il DPEF conferma i tassi di inflazione programmata contenuti nel precedente Documento, ovvero l'1,7 per cento nel 2008.
Gli accordi tra il Governo e le parti sociali in materia di inflazione programmata prevedono il mancato recupero dell'inflazione dovuta all'aumento di input importati che determina un impoverimento netto per l'intero Paese e oggi l'Italia soffre di inflazione importata. Per questo motivo non comprendo assolutamente come si possa parlare di un 3,4 per cento di inflazione da inserire in qualche modo nel Documento. Ricordo ancora una volta, inoltre, che il Consiglio direttivo della BCE ha precisato che è sua intenzione mantenere anche nel prossimo futuro il tasso di inflazione a livelli inferiori al 2 per cento.
L'ultimo aspetto riguarda il deficit. Chiunque in Aula (e non solo) vorrebbe aumentare i redditi delle famiglie e nello stesso momento vorrebbe abbattere (magari con le stesse risorse) il deficit delPag. 31nostro Paese. Realizzare le due cose contemporaneamente nell'attuale situazione economica a livello sia internazionale, sia del Paese mi pare assolutamente irrealistico. Siamo in un momento in cui occorre fare i conti con una congiuntura internazionale sfavorevole, con rigidi vincoli europei da rispettare, con criticità di conti pubblici e con la realtà economica del Paese. Quest'ultima ci dice, ad esempio, che nel 2008 il tasso di crescita del PIL italiano è stato pari allo 0,5 per cento contro una media europea dell'1,7 per cento e che nel 2007 il debito nazionale è stato pari al 104 per cento del prodotto nazionale con un netto distacco dell'Italia dalla media europea, da cui si scosta di circa quaranta punti percentuali.
Ribadisco, inoltre, che nelle attuali condizioni economiche sia a livello internazionale, sia del Paese nessun Governo responsabile poteva ipotizzare una manovra di natura espansiva. In conclusione, il nostro Paese ha bisogno di fiducia per ripartire, in quanto in tale situazione è chiaro che occorre uno slancio collettivo. La ricchezza che non c'è non può essere distribuita, in quanto prima deve essere creata e non si può crearla con un debito nazionale pari al 104 per cento del prodotto nazionale. Per fare un esempio attuale relativo al DPEF, ridistribuire i risparmi delle minori spese non aiuterebbe né l'economia in maniera strutturale, né l'economia nazionale in una congiuntura internazionale sfavorevole.
Le maggiori entrate (che ricordo non sono derivanti da un aumento di pressione fiscale generalizzata) e le minori spese saranno le risorse utilizzate per abbattere il deficit, in quanto il bilancio pubblico può costituire la base per i giusti interventi pubblici solo nei limiti in cui l'economia crei una reale disponibilità delle risorse. A ciò mira il DPEF 2009-2013.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore di minoranza, onorevole Baretta, al quale concedo la parola ricordandogli, tuttavia, che avrebbe 30 secondi a disposizione. Saremo grati se riuscirà ad esprimere il suo concetto in pochi minuti.

PIER PAOLO BARETTA, Relatore di minoranza. Signor Presidente, non riprendo tutti gli argomenti da noi esposti sia nella relazione di minoranza, sia dai colleghi, in quanto saranno presenti nella risoluzione che abbiamo presentato. Mi limito, quindi, a indicare per titoli le tre obiezione principali che il dibattito non ha fugato.
Poiché attribuisco al DPEF la stessa importanza che vi attribuisce l'onorevole Lupi, la prima obiezione non è di metodo ma di merito. Vi è uno scarto evidente tra i problemi del Paese e le scelte di politica economica. Il Governo rileva che siamo di fronte ad una scarsa crescita, ad una crisi del potere d'acquisto ed ad un deficit pubblico. Su questi tre punti di analisi non vi è un generale dissenso. Il dissenso è presente, invece, sulla ricetta.
Si può essere d'accordo o meno, ma separare questi tre aspetti per affrontarne solo uno, ossia quello del deficit (che va affrontato), in assenza di interventi efficaci ed immediati sulla crescita e sul potere d'acquisto, produce una manovra depressiva e inefficace. Infatti, se non ci sarà la crescita entro il 2011, non ci sarà il risanamento di bilancio previsto. Le riforme e la modernizzazione non sono presenti in misura adeguata alla domanda generale.
La seconda obiezione riguarda il fatto che il deficit di bilancio - che va ridotto, ma all'interno del contesto che ho citato - viene affrontato con tagli netti e drastici su argomenti e temi sensibili, come il sud, la scuola, la sicurezza e gli enti locali. Qual è il risultato di una situazione nella quale non c'è crescita, non c'è un intervento adeguato alla crescita e si taglia su settori così sensibili? Siamo certi che questo sia l'effetto di una manovra che raggiunge l'obiettivo di rimettere in moto il Paese?
La terza obiezione, che per ragione di tempo tralascio quasi del tutto, è la seguente: il primo taglio che doveva essere fatto non è previsto, ossia la riduzione delle tasse e delle imposte e la questione non riguarda soltanto il fatto che fosse stato promesso in campagna elettoralePag. 32(non è questo che mi appassiona), quanto il fatto che sia indicativa dell'assenza di una linea di sviluppo. Il Governo precedente attuò una riduzione del cuneo fiscale agendo sul lato degli investimenti, cui doveva seguire la via del sostegno ai consumi attraverso il taglio delle tasse sul lavoro e sulle pensioni. Ebbene, questo non è previsto. Si dice solo quando ci sarà la crescita, ma nel frattempo si attestano tutti gli indicatori dei prossimi tre anni a livelli così bassi che non ci sarà nessuna possibilità di farlo.
Ci sono le risorse disponibili per uscire da questo circuito. Faccio un solo esempio: il ministro Brunetta annuncia un taglio drastico delle consulenze. Ebbene, procediamo e mettiamo, da subito, dal 2009, i risparmi ottenuti a disposizione del sostegno dei redditi delle pensioni e degli stipendi. Quindi, si può fare; non è vero che non si può fare.
Per quanto riguarda l'inflazione, certamente sarebbero guai se il Governo - replico al collega relatore per la maggioranza - prevedesse un'inflazione pari a quella reale. Sarebbe esso stesso inflattivo e attuerebbe una politica sconsiderata, ma tra l'1,7 e il 3,4 per cento vi è una via di mezzo molto prudenziale che può essere adottata. Intervenire su un'inflazione adeguata e agire sul taglio delle tasse rimette in moto i consumi e rilancia in qualche modo l'economia.
Tralascio tutte le questioni di metodo, perché fanno parte di quel contesto sul quale anche il presidente Soro è intervenuto questa mattina (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

GIUSEPPE VEGAS, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, onorevoli deputati, innanzitutto ringrazio tutti gli intervenuti in questo breve, ma importante e serio dibattito. Faccio una precisazione iniziale: il DPEF, almeno nelle intenzioni del Governo, si propone di essere un breve elenco delle politiche possibili e realizzabili, cioè di ciò che si fa, mentre forse, nel passato, siamo stati abituati a un DPEF che era una sorta di «zibaldone» di cose che si scrivevano e poi non si realizzavano.
Quindi, se c'è una differenza tra questo DPEF e quelli del passato, è che il Documento è più conciso e mira a indicare politiche immediatamente realizzabili. Non a caso, la convergenza temporale tra questo DPEF e il primo atto che ne realizza le politiche, ossia il decreto-legge n. 112 del 2008, concerne un aspetto quasi di eccezionalità rispetto al passato, perché, come i colleghi ricordano, nel passato il DPEF veniva varato in estate, dopodiché si aspettava l'autunno per il disegno di legge finanziaria e, nel frattempo, si predisponeva una nota di variazione al DPEF. Intanto, cambiavano il quadro macroeconomico e magari anche le politiche. In sostanza, il DPEF era un documento veramente inutile.
Adesso, forse per la prima volta, il DPEF è un documento che inizia a realizzare contestualmente una manovra importante. Nel dibattito, in sostanza è emerso che la maggioranza della Camera - non solo la maggioranza politica, ma quella di fatto - condivide l'obiettivo di carattere finanziario principale contenuto del DPEF, che fondamentalmente non è altro che la ripresa di quanto era già contenuto nella RUEF, con il mantenimento degli obblighi assunti dal Paese nei confronti dell'Unione europea, che si realizzano sostanzialmente con l'attuazione del pareggio di bilancio nel 2011.
Quanto il nostro Paese deve fare è dotarsi di una finanza pubblica sana, perché non vi è dubbio che ci troviamo astretti da una parte a vincoli di carattere interno e internazionale, dall'altra a una situazione non eludibile e non affrontabile per via di scorciatoie. Ci troviamo astretti a vincoli che riguardano il nostro stare in Europa (e quindi la partecipazione al patto di stabilità); pertanto non possiamo adottare certi tipi di politiche che in altri Paesi, forse nel passato, hanno funzionato - adesso, invero, un po' meno - ma dobbiamo muoverci verso l'obiettivo dianzi ricordato del pareggio di bilancio entro ilPag. 33prossimo triennio. D'altro canto, dobbiamo tenere conto della realtà determinata da un'economia internazionale che definire fragile è forse un eufemismo, da un meccanismo di tassi d'interesse che ci obbligano alla massima prudenza e da prezzi delle materie prime, alimentari e oil, che ci offrono uno scenario alquanto difficile per il futuro.
Rispetto a tale scenario, sono consentite scorciatoie (come mi è sembrato emergesse in alcune perorazioni nel dibattito), oppure bisogna comportarsi seguendo la via forse meno fantasiosa e brillante di una risposta in termini di estrema ortodossia rispetto alla contingenza economica? Tenendo conto della circostanza che un singolo Paese, un paese medio (se permettete) nello scenario europeo e mondiale, non può con scelte proprie modificare gli andamenti dell'economia globale, ebbene, forse, tenendo conto di questa circostanza (ovvero del fatto che la realtà è ineluttabile), non si può far altro che precostituire una sorta di ombrello per i tempi brutti; non si può far altro che mettere in ordine la nostra economia, mettere ordine in casa per affrontare le contingenze, quali esse siano. Se è così, forse con mancanza di fantasia, ma sicuramente con la serietà che contraddistingue l'operato del Governo nella fase attuale (ne ne faccio una difesa, ma constato quanto viene proposto sia con il DPEF, sia con i provvedimenti presentati al Parlamento) non si può far altro che tendere a mantenere sani i «fondamentali» della finanza pubblica, per poi cercare di cogliere le opportunità di una ripresa. È necessario portare la finanza pubblica a quella che, in fondo, non è altro che la gestione del buon padre di famiglia. Se le risorse sono scarse, è opportuno ridurre la spesa, spendere meno e prepararsi ai tempi che verranno abbandonando le politiche di «tassa e spendi» che hanno portato alla crescita esponenziale della spesa pubblica e della tassazione e a precludere le possibilità di sviluppo e di competizione del nostro Paese rispetto agli altri Paesi europei.
La manovra è incentrata su un grosso e importante contenimento della spesa pubblica, sul ridimensionamento del rapporto tra spesa pubblica e PIL e, contemporaneamente (mi sia consentito smentire quanto è stato affermato da molti oratori) su misure serie di rilancio dell'economia con una cautela: che siano a costo zero. Infatti, non possiamo permetterci di spendere ulteriormente: a chi non piacerebbe, in questa e in altre circostanze, diminuire la tassazione, aumentare il reddito disponibile per i cittadini, aumentare gli investimenti, fare opere pubbliche e tutto ciò che è possibile e desiderabile, ma ce lo possiamo permettere in questa circostanza? Forse no; allora bisogna concentrarsi, come farebbe il buon padre di famiglia, prima sulla riduzione delle spese - ovviamente in modo mirato: non è vero che i tagli siano indiscriminati, sono tagli che mirano a ridurre la parte più sensibile e forse anche meno socialmente delicata della spesa pubblica (da qualche parte bisognerà pur iniziare!) - in modo da metterci in condizione di migliorare il rapporto tra la spesa pubblica e il prodotto interno lordo.
Dicevo, però, che queste misure non possono non essere (e nell'intenzione governativa lo sono) affiancate da misure di rilancio e di sviluppo a costo zero.
Tali misure non sono mai state attuate in questo Paese e mirano, in qualche modo, a rivoluzionare completamente il rapporto tra cittadinanza e amministrazione. Pensiamo solo agli interventi relativi al cosiddetto piano industriale della pubblica amministrazione, che servono a ridurre e a tagliare quel red tape, quel vincolo di carattere burocratico, che rappresenta una delle principali cause del fatto che gli investimenti stranieri evitano l'Italia. Ciò dipende dai costi dell'amministrazione. Un costo dell'amministrazione, per esempio, è costituito dall'incertezza dei tempi della soluzione delle cause civili: se un investitore non sa che, in caso di lite, la sua causa potrà essere risolta in tempi decentemente rapidi, evita di investire e, quindi, vi sarà una minore crescita economica.Pag. 34
A tutto ciò, si cerca di far fronte con il provvedimento collegato alla legge finanziaria. Ma non solo: si pensi alle misure per le «imprese in un giorno», alla liberalizzazione dei servizi pubblici locali, alle misure in tema di energia e di energia nucleare. Si pensi, inoltre, alle altre misure - che comportano qualche leggero costo, comunque sopportabile - come quella relativa al cumulo tra pensioni e redditi da lavoro o alla quasi abolizione della tassazione sugli straordinari, che consente non solo di ottenere qualcosa in più in relazione al reddito disponibile ma, soprattutto, di trasmettere il messaggio culturale che è lo sviluppo della produttività a consentire di risolvere uno dei nostri principali problemi. Come tutti i colleghi ricordano, infatti, la produttività del nostro Paese - ahimè! - non è cresciuta negli ultimi anni, e ciò riguarda i Governi di tutti i tipi e rappresenta uno dei principali vincoli e problemi allo sviluppo del sistema Italia.
Signor Presidente, si dice che il Documento di programmazione economico-finanziaria delinei uno scenario dell'andamento della tassazione in sostanziale crescita e che, quindi, ciò sarebbe contraddittorio non solo con i nostri principi, ma anche con i desideri e le giuste aspirazioni del sistema economico italiano. In realtà, l'andamento descritto della tassazione nei prossimi anni non fa che riflettere - e non può non farlo, stante il sistema che concerne esclusivamente gli effetti diretti delle nostre azioni economiche, non potendo scontare quelli indiretti che si verificheranno soltanto a posteriori - quale sia l'andamento sulla tassazione delle misure che vengono prese, senza considerare gli effetti che deriveranno dalla misura dello sviluppo, che potranno essere quantificati esclusivamente a posteriori.
È per questo motivo che vi è un andamento della tassazione sostanzialmente lineare e senza diminuzioni; infatti, il meccanismo giuscontabile che presiede le nostre considerazioni di finanza pubblica non consente una diversa valutazione. Pertanto, sotto questo profilo, vi è un andamento della tassazione non in diminuzione ma, ovviamente, il Governo conta sul fatto che gli effetti delle misure di sviluppo possano portare ad un miglioramento dello sviluppo stesso, nelle condizioni date di economia interna e internazionale e, quindi, realizzare una curva della tassazione decrescente nei prossimi anni (e non costante, come è riportato nel testo del Documento di programmazione economico-finanziaria).
Sono state sollevate molte osservazioni in relazione al tasso d'inflazione programmato. È ovvio che il tasso d'inflazione programmato deve essere diverso da quello dell'inflazione reale, perché lo Stato deve essere il primo soggetto a comportarsi in modo antinflattivo (su questo sono perfettamente d'accordo con l'onorevole Baretta). Tuttavia, il citato tasso è calibrato sulla base delle aspettative reali, che devono scontare il fatto che, in base agli accordi sul costo del lavoro, risalenti ormai a quindici anni fa, è necessario depurare dal tasso d'inflazione reale l'inflazione importata che, in questa fase, è alquanto cospicua e preoccupante.
Se esiste un differenziale tra il tasso d'inflazione programmato italiano e quello suggerito a livello europeo, ciò deriva anche dal fatto che il tasso medio d'inflazione in Europa è leggermente superiore rispetto a quello italiano. Quindi, se vogliamo, in qualche modo, garantire i redditi, soprattutto delle parti più deboli della popolazione, è necessario far sì che il tasso d'inflazione venga «piegato» e vada decrescendo, perché l'inflazione è la tassa più subdola che danneggia in misura maggiore soprattutto le persone più deboli, che non sono in grado di difendersi.
Detto questo, la linea di politica economica complessiva non è una linea debole o modesta, che cerca di sfuggire dai problemi principali, o rinunciataria. È esattamente il contrario: è l'unica linea possibile per consentire a questo Paese di abbandonare quella sorta di idea di declino ineluttabile che lo aveva contraddistinto, credo, fino a pochi mesi fa, mostrando che il Paese, con uno sforzo eccezionale, può raddrizzare la propriaPag. 35economia e il proprio sistema amministrativo, e cambiare, in qualche modo, volto allo Stato.
Essa permette di far vedere che il Paese ha voglia di cambiare modo di essere, di crescere e di modificarsi rispetto al passato; insomma, che ha voglia di creare un nuovo e diverso metodo di approccio alle questioni economiche e presentarsi in regola per poter aspirare a una crescita che lo ricollochi tra i principali Paesi dello scenario non solo europeo, ma anche mondiale.
Questo è lo sforzo che, con questo DPEF e con i provvedimenti che il Governo ha accompagnato al Documento di programmazione, vorremmo cercare di compiere tutti insieme e di far fare al nostro Paese.
Rispetto a questo sforzo, è stato invocato da molta parte dell'opposizione il fatto che, mentre si condividevano certi obiettivi, soprattutto quello del pareggio di bilancio, ed anche altri obiettivi concreti, però, sostanzialmente, in qualche modo sarebbero state violate le regole.
Il metodo, infatti, non sarebbe perfettamente condivisibile, dato che, tra il DPEF, il decreto-legge, il disegno di legge collegato e quant'altro, si sarebbe accumulato un eccesso di pressione sul Parlamento, chiamato a risolvere i problemi in tempi, forse, troppo rapidi.
Certamente, signor Presidente, mi rendo conto che questo Parlamento, in una fase di avvio della legislatura, deve far fronte ad una massa di lavoro molto forte, ma non vi è dubbio che i problemi o si affrontano o si rinviano.
Anche qui, da molta parte dell'opposizione è stato osservato che era opportuno adottare rapidamente questo tipo di misure per trovarsi il più possibile avanti nei tempi. È inutile, quando si deve spegnere il fuoco che brucia la casa, aspettare l'autunno perché, forse, in autunno pioverà. Forse è il caso di chiamare subito i pompieri! Se bisognava prendere delle iniziative, era giusto prenderle il più presto possibile; quindi, pur con il dispiacere di dover gravare il Parlamento di tanto lavoro, era ineluttabile che ciò si facesse al più presto.
È stato osservato che i rapporti tra il Documento di programmazione e il decreto-legge non sarebbero nelle consuetudini parlamentari. Mi consenta, signor Presidente, di fare presente che avere anticipato il decreto-legge, contestualmente alla presentazione del DPEF, significa dare più peso alle decisioni parlamentari e rendere, finalmente, reale il collegamento tra le decisioni delle scelte generali di politica economica e quelle concrete, attraverso il decreto e il provvedimento collegato, con i quali queste scelte si inverano nel nostro sistema giuridico.
È stato altresì osservato che una sorta di violazione delle regole deriverebbe dall'introduzione di alcune norme di modifica della legge di contabilità nel decreto-legge e nel disegno di legge, eventualmente riproducendole come emendamenti nel testo del decreto-legge medesimo. Rispetto a ciò, posso comprendere la critica nel caso in cui il Governo presentasse delle norme di addolcimento, di annacquamento della legge di contabilità, quindi in qualche modo cercasse di avvantaggiarsi rendendo le regole più flessibili e più utili ai suoi interessi; ma così non è, perché le modifiche alla legge di contabilità che si propongono - che, ancorché approvate tramite emendamenti alla decretazione, farebbero parte del quadro legislativo del Paese, e dovrebbero quindi essere approvate dal Parlamento - sono norme di maggior rigore. Esse fanno parte della manovra complessiva, servono a darle maggior rigore e maggiore certezza ai nostri conti pubblici, nonché, - mi si consenta - maggiore credibilità al nostro Paese, sia nei confronti dell'Unione europea sia nei confronti dei mercati internazionali: quando infatti (come è accaduto in un passato anche recente) si costruiscono manovre che poi in realtà sono più sulla carta che sui fatti, perché i dati quantitativi e di copertura non sono rigorosi come dovrebbero, si rischia di disegnare delle manovre che producono dei danniPag. 36all'interno e all'esterno non hanno poi quel riscontro che invece è indispensabile che abbiano.
La normativa, quindi, in tema di maggiore rigore della legge di contabilità è strettamente funzionale al fine di dare maggiore serietà a una manovra che di per sé è seria e rigorosa; e che - mi rendo conto - diminuisce la spesa in molti settori, ma ciò è indispensabile per poter cambiare radicalmente l'approccio di finanza pubblica del nostro Paese.
Certamente - e concludo signor Presidente - il Parlamento si trova davanti a un periodo di lavoro molto intenso, ma credo che sia questo il momento delle scelte e che si tratti di scelte non rinviabili; a meno di non voler terminare con l'amara considerazione di Catone, che soleva dire: «Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur». Non vorremmo che la Sagunto della finanza pubblica fosse espugnata da un ritardo nelle scelte e nelle decisioni del Parlamento italiano (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Il seguito dell'esame è dunque rinviato alla ripresa pomeridiana della seduta.
Sospendo la seduta che riprenderà alle 17.

La seduta, sospesa alle 13,15, è ripresa alle 17,10.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANFRANCO FINI

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, il deputato Stradella è in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente sessantuno, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Sull'ordine dei lavori e per richiami al Regolamento (ore 17,11).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, vi prego di prestare un attimo di attenzione. Nella seduta antimeridiana sono stati avanzati rilievi critici, sia all'interno sia al di fuori di quest'Aula, in ordine all'operato della Presidenza della Camera per quanto riguarda l'anticipo dell'esame del disegno di legge in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato a seguito della riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo di ieri.
Ciò, in particolare, con riferimento al fatto che la modifica del calendario dei lavori richiesta dal Governo sia stata direttamente disposta dal Presidente in assenza della prescritta maggioranza dei tre quarti dei componenti, e alla conseguente restrizione dei tempi di esame in Commissione e in Assemblea del provvedimento medesimo.
Ricordo che il Regolamento attribuisce espressamente al Governo, all'articolo 24, comma 6, la facoltà di indicare proposte di modifica al calendario dei lavori. Per tali proposte si applica la stessa procedura prevista con riferimento all'adozione originaria del calendario, per la quale, ai sensi del comma 3 dello stesso articolo, in assenza della prescritta maggioranza dei tre quarti, provvede il Presidente della Camera.
È appena il caso di ricordare che nel corso delle precedenti legislature sono state numerose le richieste di modifica del calendario di cui la Presidenza, sentito l'orientamento della Conferenza dei presidenti di gruppo e in assenza della prescritta maggioranza, si è fatta carico di dare seguito.
Ricordo che nelle legislature XIV e XV la Conferenza dei presidenti di gruppo si è riunita centoquarantatrè volte per esaminare modifiche, e che in centoventi casiPag. 37esse sono state apportate dal Presidente in assenza della prescritta maggioranza. Nelle stesse legislature sono state predisposti settanta calendari, e in sessantuno casi essi sono stati predisposti dal Presidente in assenza della prescritta maggioranza.
Una situazione del tutto analoga si è verificata con riferimento a questo provvedimento.
Avvalendosi della sopra ricordata facoltà regolamentare, nella giornata di ieri il Governo ha chiesto di convocare la Conferenza per proporre l'anticipazione dell'esame del disegno di legge n. 1442.
Sulla modifica del calendario proposta dal Governo si è registrata la convergenza dei presidenti di gruppo di maggioranza; il gruppo dell'UdC ha preso atto della posizione del Governo, mentre si sono dichiarati contrari i presidenti degli altri gruppi di opposizione.
Il Presidente ha registrato gli orientamenti maggioritari emersi in seno alla Conferenza e ha conseguentemente rimodulato il calendario per la settimana in corso, con riserva di convocare nuovamente la Conferenza dei presidenti di gruppo nel pomeriggio di giovedì 10 luglio.
Alla luce delle considerazioni che precedono non vi è dunque alcuna violazione né del Regolamento né delle relative prassi applicative.
Per quanto riguarda la restrizione dei tempi previsti per l'esame in Commissione, desidero far presente che il provvedimento era già iscritto in calendario per l'ultima settimana di luglio subordinatamente alla conclusione del relativo esame da parte della Commissione, con la clausola «ove concluso dalla Commissione». Tale clausola è stata confermata all'atto dell'anticipazione del provvedimento, stabilita a seguito della Conferenza di ieri.
Al riguardo desidero precisare che il Regolamento, all'articolo 23, comma 5, prevede espressamente che il termine di due mesi dall'inizio dell'esame in sede referente per l'inserimento di un provvedimento nel calendario dei lavori dell'Assemblea possa essere derogato su accordo unanime della Conferenza dei presidenti di gruppo ovvero quando la Commissione ne abbia già concluso l'esame.
Secondo la prassi costante, quando un provvedimento è inserito in calendario con la formula «ove concluso dalla Commissione», restano affidate alla Commissione medesima l'organizzazione del dibattito e la determinazione dei tempi entro i quali concluderne l'esame in sede referente.
Come è stato precisato dal Presidente della Camera, onorevole Casini, nella riunione della Giunta per il Regolamento del 26 settembre 2002, il termine di due mesi previsto dall'articolo 81 del Regolamento per l'esame in Commissione non costituisce infatti un termine minimo inderogabile per la Commissione stessa, che può eventualmente ridurlo in base alle proprie autonome valutazioni.
In questa circostanza l'Ufficio di Presidenza delle Commissioni riunite già prima della Conferenza dei presidenti di gruppo aveva iscritto l'argomento all'ordine del giorno della seduta dell'8 luglio, indi, oggi, ha ritenuto di prendere atto delle determinazioni della Conferenza dei capigruppo di ieri e di organizzare conseguentemente i propri lavori in modo tale da concluderli entro il termine indicato per l'esame in Assemblea.
Per quanto riguarda i tempi intercorrenti tra la conclusione dell'esame in Commissione e l'inizio dell'esame in Assemblea, anche ai fini degli adempimenti previsti dall'articolo 79 del Regolamento, faccio presente che i relativi termini e in particolare quello di cui al comma 1 (relativo alla conclusione dell'esame almeno quarantotto ore prima dell'inizio dell'esame in Assemblea) sono stati costantemente intesi come ordinatori. Non mancano, infatti, precedenti in cui l'esame in sede referente si è concluso il giorno precedente a quello dell'inizio della discussione in Assemblea o addirittura nel giorno stesso. Ciò ha riguardato in numerosi casi disegni di legge di conversione di decreti-legge, ma anche progetti di legge ordinari.
Tra i casi di conclusione dell'esame in sede referente il giorno stesso dell'inizioPag. 38della discussione in Aula cito, ad esempio: nella XIII legislatura, il provvedimento sull'immigrazione, la cui conclusione in sede referente avvenne alle ore 9,25 del 25 settembre 1997 e l'inizio della discussione sulle linee generali avvenne alle ore 16,05 del 25 settembre; nella XIII legislatura, il provvedimento relativo a tangentopoli in sede referente fu concluso alle ore 12,05...
Onorevoli colleghi, vi prego di prestare attenzione! Nella XIII legislatura il provvedimento relativo a tangentopoli vide la conclusione in sede referente alle ore 12,05 del 3 novembre 1998 e la discussione sulle linee generali iniziò alle ore 16,30 del 3 novembre; nella XIII legislatura il provvedimento relativo alla par condicio vide la conclusione in sede referente alle ore 12 del 25 gennaio 2000 e la discussione generale iniziò alle ore 16,35 del 25 gennaio; nella XIV legislatura il provvedimento relativo alle rogatorie internazionali vide la conclusione in sede referente alle ore 1,40 del 26 settembre e l'inizio della discussione sulle linee generale alle ore 16,40 del medesimo giorno; nella XIV legislatura il disegno di legge comunitaria vide la conclusione in sede referente alle ore 10,35 del 10 gennaio 2006 e l'inizio della discussione sulle linee generali alle ore 17,14 del medesimo giorno.
Aggiungo che nel caso di specie la Conferenza dei capigruppo ha esaminato la questione dell'anticipo delle date di iscrizione in calendario del disegno di legge (già previsto per la fine del mese) nella riunione di ieri.
La questione dei tempi disponibili per la Commissione alla luce della nuova data di iscrizione (sia pure con la formula «ove concluso dalla Commissione») e dei conseguenti tempi disponibili per la conclusione del provvedimento era presente alla Conferenza. In particolare, in quella sede è stato prefigurato e definito un percorso alla luce del quale è stato espressamente previsto di consentire alle Commissioni il maggior spazio possibile nell'ambito delle giornate di martedì 8 e mercoledì 9.
Per quanto riguarda l'ampiezza dei tempi previsti per la discussione in Assemblea, faccio presente che all'esame del provvedimento è stata riservata l'intera giornata di giovedì non escludendosi, peraltro, la prosecuzione del medesimo anche nella giornata successiva.
Ciò detto, per quanto riguarda i profili procedurali oggetto di rilievo, con riferimento alla questione del contingentamento dei tempi per l'esame in Aula del disegno di legge, ricordo che questa mattina - così come richiesto ieri in sede di Conferenza dei capigruppo dai gruppi di opposizione del Partito Democratico, dell'Italia dei Valori e dell'UdC - si è riunita la Giunta per il Regolamento al fine di un esame della questione onde fornire indicazioni alla Presidenza per la sua decisione. Anche alla luce del dibattito svoltosi in tale sede (nel corso del quale i gruppi del Partito Democratico e dell'Italia dei Valori hanno espresso contrarietà rispetto alla possibilità di contingentare il provvedimento, mentre i gruppi di maggioranza e il gruppo dell'UdC hanno condiviso le argomentazioni del Presidente), la Presidenza ritiene di confermare il suo orientamento, già preannunciato nella riunione di ieri della Conferenza dei capigruppo.
In particolare, secondo quanto espressamente richiesto, la questione è stata affrontata in Giunta, sia con riferimento alla possibilità di far rientrare il disegno di legge fra quelli vertenti prevalentemente su una delle materie indicate al comma 1 dell'articolo 49, sulla cui votazione complessiva sia dunque ammissibile lo scrutinio segreto, ove richiesto, e conseguentemente sia escluso il contingentamento delle fasi successive alla discussione sulle linee generali nell'ambito del primo calendario; sia con riferimento alla possibilità di configurarlo come rientrante tra i progetti di legge riguardanti questioni di eccezionale rilevanza politica, sociale o economica riferiti ai diritti previsti dalla prima parte della Costituzione per i quali l'esclusione del contingentamento è disposta dal Presidente della Camera su richiesta di un gruppo.
Per quanto riguarda il primo profilo, il Regolamento consente lo scrutinio segreto solo sulle questioni strettamente attinenti ai casi previsti dall'articolo 49, comma 1,Pag. 39di cui dunque anche sulla base della costante prassi applicativa non è possibile un'interpretazione estensiva.
La questione della segretabilità del provvedimento in esame va, dunque, rigorosamente esaminata alla luce del dettato regolamentare e della prassi.
Sul punto, come la Presidenza ha avuto modo di ricordare già nella riunione di ieri della Conferenza dei presidenti di gruppo, vi è un solo precedente specifico nella XIV legislatura in cui fu esplicitamente esclusa dalla Presidenza, nella seduta del 17 giugno 2003, la possibilità di riconoscere il voto segreto su un articolo contenuto in altro progetto di legge (quello relativo all'attuazione dell'articolo 68 della Costituzione) avente ad oggetto identica materia.
In tale occasione sono stati specificati gli argomenti alla base della decisione adottata. Anzitutto, conformemente ai precedenti, è stato escluso che la norma rientrasse nella categoria delle leggi ordinarie relative agli organi costituzionali dello Stato. Al riguardo è stato precisato che l'articolo 49, quanto agli organi costituzionali non monocratici (nel caso di specie si trattava di Parlamento, Governo e Corte costituzionale) fa ad essi riferimento considerandoli nel loro complesso. Nel caso in esame il provvedimento riguardava, invece, unicamente le prerogative delle rispettive cariche di vertice. La Presidenza, nell'occasione, ha ricordato quanto chiarito nella Giunta per il Regolamento del 7 marzo 2002, ossia che per leggi ordinarie Relative agli organi costituzionali dello Stato e delle regioni devono intendersi esclusivamente i complessi normativi che riguardano la posizione dell'organo medesimo nell'ordinamento o ne regolano l'esercizio di poteri costituzionali, non rientrando in tale categoria i provvedimenti che non riguardano le caratteristiche strutturali e funzionali degli organi di Governo, bensì la posizione soggettiva dei titolari delle relative cariche di vertice.
Inoltre, la disposizione è stata ritenuta non direttamente incidente sul diritto di agire in giudizio e sul diritto di difesa di cui all'articolo 24 della Costituzione, con riferimento ai principi generali della legislazione. Si è rilevato, infatti, che la disposizione, così come configurata, determinava sotto il profilo processuale una situazione temporanea (limitata alla durata del mandato istituzionale dei soggetti interessati) di non sottoponibilità al processo penale, ovvero di sospensione dei processi penali in corso, e che, come tale, essa non incideva di per sé sui diritti sopra richiamati che rimanevano inalterati atteso che, venuta meno la sospensione stessa, il processo avrebbe ripreso il suo corso.
Nella stessa occasione, per quanto riguardava la parte relativa alla sospensione del decorso dei termini di prescrizione, conformemente ai precedenti, la Presidenza ne ha escluso la segretabilità atteso che essa non rientra in alcuna delle ipotesi richiamate dall'articolo 49, comma 1, del Regolamento non attenendo la prescrizione alla pena o agli elementi costitutivi del reato.
Il voto segreto fu, inoltre, escluso su un emendamento che prevedeva, in caso di sospensione del processo penale, che non si applicasse la norma relativa alla sospensione del processo civile fino alla definizione di quello penale. Ciò in quanto l'emendamento si riferiva ad una fattispecie già prevista dal codice, limitandosi ad introdurre un'ulteriore ipotesi di esclusione della sospensione del processo civile.
L'unico precedente sopra richiamato appare, quindi, assolutamente dirimente e ad esso la Presidenza ritiene di doversi attenere. Esso riguarda, infatti, la medesima materia oggi all'esame della Camera, al di là ovviamente di alcune differenze nelle soluzioni normative proposte.
La Presidenza sa bene che dopo l'approvazione della legge n. 140 del 2003 sopra richiamata è intervenuta una sentenza della Corte la quale ha dichiarato incostituzionale la norma in questione in quanto lesiva, fra l'altro, del diritto di difesa e del diritto ad agire in giudizio di cui all'articolo 24 della Costituzione, in ragione della previsione di un automatismo generalizzato della sospensione - oggi, peraltro, venuto meno nel testo delPag. 40disegno di legge con la previsione della rinunciabilità - nonché del sacrificio del diritto della parte civile (per profili attinenti alla sospensione del processo civile, anch'essa venuta meno nel testo proposto).
Richiamare tuttavia i principi affermati in tale sentenza ai fini della decisione sull'ammissibilità del voto segreto comporterebbe necessariamente l'esigenza di valutare in quale misura il disegno di legge presentato dal Governo superi le censure di costituzionalità rilevate a suo tempo dalla Corte; ma, come ho precisato, ciò non compete evidentemente alla Presidenza della Camera, né alla Giunta per il Regolamento cui spetta invece una valutazione del testo ad un fine meramente procedurale.
A questo proposito, richiamo la diversità sostanziale fra il giudizio di costituzionalità delle leggi - che spetta in via esclusiva alla Corte e che attiene alla conformità di una disposizione legislativa alle norme costituzionali - e la valutazione circa la segretabilità o meno di alcune disposizioni in quanto incidenti, dal punto di vista della materia trattata e nei termini specificati dalla Giunta per il Regolamento il 7 marzo 2002, sulle norme costituzionali richiamate dall'articolo 49 del Regolamento. Tale diversità è stata espressamente ribadita dalla Presidenza in una precedente occasione allorché ha chiarito che la valutazione sull'ammissibilità dello scrutinio segreto «è volta unicamente a verificare la sussistenza dei presupposti che consentono di procedere a votazioni segrete, così come previsti dal Regolamento ed interpretati alla luce dei precedenti e della prassi applicativa. Esula, invece, dalla competenza della Presidenza la valutazione circa la compatibilità delle disposizioni oggetto della richiesta di voto segreto con norme e principi costituzionali» (seduta del 18 giugno 2003).
La decisione su questo punto pare quindi alla Presidenza ovvia e del tutto conseguente.
Pregherei i colleghi di prestare attenzione e di non voltare le spalle, grazie.
Quanto al secondo profilo relativo alla richiesta di riconoscimento dell'eccezionale rilevanza del disegno di legge n. 1442, ai sensi dell'ultima parte del comma 12 dell'articolo 24 del Regolamento, sottolineo come di questa disposizione sia stata sempre data, dal momento della sua introduzione nel Regolamento nel 1998, un'interpretazione assolutamente restrittiva, tanto che ad oggi non è mai stata riconosciuta l'eccezionale rilevanza per nessuno dei progetti di legge per i quali la richiesta è stata avanzata. Ciò proprio per il carattere eccezionale di tale previsione che si desume anche dalle conseguenze procedurali che discendono dalla sua applicazione e che sono suscettibili di ripercuotersi significativamente sull'efficacia degli stessi strumenti della programmazione dei lavori: in particolare, su tali progetti di legge non è possibile procedere al contingentamento delle fasi successive alla discussione sulle linee generali nell'ambito del primo calendario; non è ammessa la deliberazione di urgenza; non è possibile procedere all'inversione dell'ordine delle votazioni, e cioè a votazioni riassuntive o per principi. Tale carattere eccezionale è stato riconosciuto del resto anche in sede di lavori preparatori in cui, con riferimento al nuovo sistema della programmazione e all'esclusione del contingentamento nel primo calendario per tali tipologie di provvedimenti, i relatori ne hanno sottolineato il carattere di strumento di «salvaguardia del "diritto di resistenza" nei confronti di tentativi di violazione dei diritti di libertà e delle regole istituzionali, eventualmente operate dalla maggioranza».
Tutto ciò ha sempre indotto la Presidenza della Camera ad una interpretazione estremamente rigorosa della norma, pur in presenza di richieste aventi ad oggetto progetti di legge di indiscutibile complessità e rilievo politico. Ricordo, quanto alla XIII legislatura, i precedenti della legge sul rimborso delle spese elettorali, sulla par condicio, sulla modifica del testo unico sull'immigrazione; nella XIV legislatura, i precedenti della riformaPag. 41del diritto societario, del disegno di legge sul conflitto di interessi e della proposta sul legittimo sospetto.
Nella XV legislatura ricordo il caso della proposta di legge sul conflitto di interessi. Tutti questi precedenti confermano l'interpretazione estremamente restrittiva della norma. Ricordo anche, a questo riguardo, che nella seduta del 3 marzo 1999, previa riunione della Giunta del giorno precedente, il Presidente della Camera, onorevole Violante, ha precisato che ai fini del riconoscimento dell'eccezionale rilevanza politica, sociale o economica, in relazione ai diritti previsti dalla prima parte della Costituzione, occorre che il progetto di legge incida direttamente sulla disciplina di tali diritti ovvero, quanto meno, sulle condizioni sostanziali per il loro esercizio, nell'uno e nell'altro caso con modalità che si configurino come del tutto inedite ovvero appaiano assolutamente divergenti rispetto alla regolamentazione vigente. Il Presidente ha, altresì, precisato che, atteso il carattere eccezionale della norma regolamentare, è richiesta la sussistenza di una diretta incidenza sulla disciplina del diritto medesimo ovvero sulle condizioni sostanziali per il suo esercizio, non risultando a questo fine sufficiente una generica attinenza al contenuto di esso.
Su questo punto, ossia sul rapporto tra il disegno di legge n. 1442 e la norma costituzionale richiamata, valgono, a più forte ragione, le considerazioni già esposte con riferimento al diniego del voto segreto, in quanto il disegno di legge, alla luce delle disposizioni in esso contenute, non appare rientrare nelle ipotesi sopra indicate.
Come è ben evidente, la Presidenza non può spingersi oltre nei profili di merito del provvedimento, poiché in tal modo essa entrerebbe in un ambito di valutazioni che le è precluso e che la porterebbe ad interferire con la sfera di attribuzioni proprie di altri organi costituzionali: la Corte costituzionale, di cui ho ricordato la pronuncia del 2004 e la Presidenza della Repubblica, per quanto riguarda l'autorizzazione alla presentazione dei disegni di legge del Governo alle Camere.
Non ritengo, quindi, alla luce del complesso delle considerazioni svolte, di potermi discostare dai precedenti e dalla prassi consolidata, che inducono la Presidenza, anche con riferimento a questa richiesta, a confermare la sua decisione circa il contingentamento dei tempi.
Peraltro, la Presidenza, facendosi carico del problema dell'adeguatezza dei tempi di discussione, disporrà un contingentamento particolarmente ampio: venti ore complessive, di cui dodici per il seguito dell'esame, destinando ai gruppi di opposizione complessivamente una quota del tempo disponibile pari al 60 per cento, superiore cioè a quella ordinariamente prevista per i disegni di legge di iniziativa del Governo.
Ho ricevuto comunque una richiesta di nuova convocazione della Conferenza dei presidenti di gruppo per valutare ulteriormente i tempi per l'esame del provvedimento. Ho pertanto convocato la Conferenza stasera, alle 18,30, e in quella sede potranno svolgersi ulteriori riflessioni sulle questioni fin qui esaminate.
Fin d'ora la Presidenza esprime l'auspicio che sia possibile pervenire ad un ampliamento dei tempi del dibattito. In ogni caso, alla luce di quanto sopra, cioè del puntuale rispetto delle norme e della prassi applicativa del Regolamento, la Presidenza considera non sussistente il rilievo circa una presunta lesione nella decisione adottata delle prerogative parlamentari.

DARIO FRANCESCHINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DARIO FRANCESCHINI. Signor Presidente, mi permetta di esprimerle lo stupore per il tono burocratico e dimesso con cui ha presentato a quest'Aula, invece, una scelta politicamente tanto rilevante e tanto grave. Lo dico perché lei, prima di essere Presidente della Camera, è un leader politico, e allora deve sapere che sta scrivendo una pessima pagina della storia parlamentare e della sua personale storiaPag. 42politica (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).
Ha citato una serie di precedenti formali - dimenticando che, questa volta, per giustificare la scelta, sono stati messi tutti insieme - per giustificare il fatto che in tre giorni si introduce nel nostro ordinamento una cosa che non ha precedenti negli altri ordinamenti delle democrazie europee e del mondo: la sospensione dei processi per le alte cariche dello Stato, anche per reati commessi precedentemente all'entrata in carica e non inerenti all'esercizio delle proprie funzioni (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).
Soprattutto, si tratta di una norma a cui i nostri padri costituenti non avevano nemmeno mai pensato, perché hanno scritto nella nostra Costituzione che davanti alla legge tutti sono uguali; hanno scritto «tutti» e non «tutti tranne qualcuno» (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori - Commenti dei deputati del gruppo Popolo della Libertà)!
Noi non l'abbiamo votata come Presidente della Camera, tuttavia abbiamo accolto con fiducia il suo discorso inaugurale e la speranza e l'impegno ad un operato come Presidente della Camera. Del resto, lei ha scelto di non ripetere nuovamente l'esperienza di essere un membro del Governo Berlusconi per assumere, invece, un ruolo di garanzia. Tuttavia, nel primo passaggio parlamentare importante, lei accetta di diventare lo strumento della volontà politica e delle paure del Presidente del Consiglio (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).
Così oggi si compie una forzatura sulle regole, sui precedenti e sui tempi, in una vicenda che assume toni sempre più incredibili. La norma cosiddetta blocca processi, così in contrasto con gli impegni sulla sicurezza che la maggioranza parlamentare ha assunto - quella norma che, se entrasse in vigore, bloccherebbe 100 mila processi che riguardano rapine, stupri e reati contro le persone e che sembrava, in base alle vostre affermazioni, così indispensabile per far funzionare il nostro ordinamento giudiziario - improvvisamente non servirebbe più se fosse approvato il cosiddetto lodo Alfano. La norma non sarebbe più così importante, perché è sufficiente con il lodo Alfano ottenere il vero obiettivo di bloccare il processo nei confronti del Presidente del Consiglio per rinunciare a quella norma. Questa è la prova che avete pensato (e soltanto l'averlo pensato rappresenta un fatto di una gravità politica enorme) che sia possibile devastare l'ordinamento giudiziario e bloccare 100 mila processi pur di ottenere che sia bloccato quello contro il Presidente del Consiglio (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

GIACOMO CHIAPPORI. Ma se non li fanno!

DARIO FRANCESCHINI. Allora, la prova che la forzatura finale (alla quale lei si è prestato) serviva è proprio nei precedenti. Nella legislatura 2001-2006 l'Aula non ha brillato in quanto a provvedimenti ad personam e ce lo ricordiamo tutti. Tuttavia, per la legge cosiddetta Cirami sono stati necessari tre mesi; per la legge sul falso in bilancio tre mesi (dal 3 luglio 2001 al 28 settembre 2001); per la legge cosiddetta Cirielli sono passati tre anni da quando è stata presentata a quando è stata approvata; per il lodo Schifani sono stati necessari due mesi di lavoro parlamentare (anche quello senza contingentamento), ed è stato possibile discutere. Anche perché oggi è possibile riconoscerlo: in quel momento c'era una Presidenza della Camera che in situazioni difficili e con molte contraddizioni cercava di difendere le prerogative del Parlamento (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Italia dei Valori e Unione di Centro).
Oggi lei ci vuole portare ad approvare un provvedimento di questa importanza (su cui tutti i costituzionalisti italiani si stanno esprimendo con molta fermezza e con molta determinazione) entro il 10 luglio, quando il provvedimento è statoPag. 43assegnato alla Camera il 3 luglio. È questo ciò che lei sta chiedendo all'Aula di fare!
In tre giorni ci vuole far approvare una norma che non riguarda soltanto il Presidente del Consiglio, ma che riguarda anche lei, signor Presidente. Lei forza i tempi per far approvare una norma che sarà applicata anche al Presidente della Camera, perché la sospensione dei processi sarà applicata, secondo la norma, anche al Presidente della Camera (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori - Commenti dei deputati del gruppo Popolo della Libertà)!
In questo modo non si offendono e non si calpestano soltanto i diritti dell'opposizione ad un confronto parlamentare nelle modalità e nei tempi che sono un diritto in Aula, ma si offende il Parlamento, e lei offende anche la carica che ricopre pro tempore: lei offende la Presidenza della Camera (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori - Proteste dei deputati del gruppo Popolo della Libertà)!

PRESIDENTE. Vi prego, onorevoli colleghi.
Grazie, onorevole Franceschini. Credo sia doveroso da parte mia risponderle, ma al termine degli interventi che seguiranno (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PIER FERDINANDO CASINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIER FERDINANDO CASINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo che, in questa legislatura che si sta avviando, oggi sia uno di quei momenti importanti, in cui è bene che ciascuno si assuma le proprie responsabilità, con la serenità che la polemica pure richiede, per quanto riguarda tutti noi. È chiaro che la situazione è delicata e, per certi versi, imbarazzante. Eppure, credo che ciascuno di noi abbia un dovere di lealtà.
Come tutti noi sappiamo, la lealtà non sempre paga in politica e, forse, chi vi parla avrebbe pure qualche piccola esperienza in proposito da mettere sul tavolo. Tuttavia, credo che la lealtà sia comunque indispensabile, perché alla fine ciascuno di noi in quest'Aula è chiamato ad essere leale soprattutto per se stesso, prima ancora che per gli altri e per i cittadini.
Rispetto profondamente le riflessioni del mio collega Franceschini e voglio anche ringraziarlo per un accenno che ha fatto, che presumo potesse anche indirettamente riguardarmi. Però, credo che le questioni che abbiamo di fronte siano due e che vadano distinte, perché altrimenti creeremmo nuovi polveroni polemici, senza dare un contributo per risolvere i problemi.
La prima questione è politica, mentre la seconda è istituzionale e regolamentare. La questione politica è chiara. Nessuno viene dalla luna e tutti sappiamo quello che c'è stato dietro questo cosiddetto lodo Alfano, tutti sappiamo quello che c'è stato prima e tutti conosciamo le motivazioni per cui, come ha detto l'onorevole Franceschini, questa settimana dovremo affrontare tale questione.
Direi che ciascuno è artefice del suo destino. La maggioranza è stata legittimata dal voto popolare e ha più di cento parlamentari in quest'Aula. Per la maggioranza il lodo Alfano è una priorità. All'opposizione spetta il ruolo di denuncia, di contrasto e tutto ciò che vogliamo, ma loro compiono una scelta di merito. Per me le scelte prioritarie sono altre. Per l'Unione di Centro le scelte prioritarie sono il quoziente familiare, la sicurezza dei cittadini e non inventare nuove fattispecie giuridiche per dimostrare che lo Stato è feroce, quando poi si tagliano i fondi per le forze di polizia. Qualsiasi fattispecie di reato, infatti, non serve, se si decurtano i fondi per le forze di polizia (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro, Partito Democratico e Italia dei Valori)!

ANTONIO BORGHESI. Vergogna!

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PIER FERDINANDO CASINI. Per me le priorità sono le liberalizzazioni, l'energia e il costo del petrolio, ma la maggioranza si assume una responsabilità. Oggi dice con chiarezza ai cittadini italiani, a chi l'ha votata e anche a chi non l'ha votata (e risponde di questa scelta) che, a suo avviso, il tema prioritario per cui sconvolgere il calendario di questo mese di luglio - di fatto è così, e proprio perché sono pacato devo anche riconoscerlo, altrimenti sarei parziale all'inverso - è il lodo Alfano.
Questa è la questione politica. È pesante come un macigno e non servono i girotondi per denunciarla, perché è una questione politica che si affronta in Parlamento e non nelle piazze. Infatti, il giorno in cui una classe politica deve ricorrere alla piazza, pensando che il Parlamento sia inutile, credo, amici, che ci avvieremmo tutti verso un crinale molto pericoloso per la vita democratica e le istituzioni.
L'altra questione è istituzionale e regolamentare, e su tale questione ho un dovere di lealtà, prima ancora che verso il Presidente Fini - mi consenta, signor Presidente, ma non ho alcun dovere in particolare nei suoi confronti - verso me stesso e verso le istituzioni che ho avuto l'onore di presiedere per cinque anni.
Nei giorni scorsi, abbiamo firmato con l'Italia dei Valori e il Partito Democratico una lettera al Presidente Fini sul tema dei tempi riservati all'esame della materia economica. Secondo me, quei tempi erano incongrui e non mi hanno convinto i richiami ai precedenti, perché il DPEF degli anni precedenti, per stessa ammissione del ministro Tremonti, era qualcosa di profondamente diverso da questa triennalità che in qualche modo si intende introdurre, anticipando anche la legge finanziaria che esamineremo alla ripresa delle attività.
Il Presidente della Camera è certamente il garante delle nostre prerogative, però, onorevoli colleghi, devo riconoscere, altrimenti non sarei leale, che il lodo Alfano oggi, come il lodo Schifani ieri, è disciplinato dalla Presidenza nei termini corretti. Ciò dobbiamo riconoscerlo proprio perché una grande opposizione non piega con una sorta di «arlecchinismo» le regole alle proprie convenienze, e chi vi parla non può essere un Fregoli che cambia abito a seconda delle stagioni (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro e di deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).
Allora disciplinai in una certa maniera quel provvedimento e oggi non vedo delle diversità. Riconosco, semmai, nella sentenza della Corte costituzionale alcune questioni importanti. Vorrei leggervi tre righe di quella sentenza perché per amore della verità non bisogna dimenticare neanche i fatti. La Corte costituzionale afferma: «La situazione cui si riconnette la sospensione disposta dalla norma censurata è costituita dalla coincidenza delle condizioni di imputato e di titolare di una delle cinque più alte cariche dello Stato e il bene che la misura in esame vuole tutelare deve essere ravvisato nell'assicurazione del sereno svolgimento delle rilevanti funzioni che ineriscono quelle cariche. Si tratta di un interesse apprezzabile che può essere tutelato in armonia con i principi fondamentali dello Stato di diritto, rispetto al cui migliore assetto la protezione è strumentale».
Onorevoli colleghi, piaccia o non piaccia - e a me in questo momento non piace - così stanno le cose, e la Presidenza, secondo me, da questo punto di vista, è stata impeccabile. Lo devo riconoscere perché vi è una continuità che va, come giustamente ha richiamato il Presidente, da Violante a chi vi parla, alle precedenti legislature, cui oggi la Presidenza deve obbligatoriamente rispondere. Ho voluto affermare ciò perché il nostro giudizio politico è severo, forte e chiaro, ma sarà sempre più credibile tanto più sapremo tenere al riparo le istituzioni (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro e di deputati del gruppo Popolo della Libertà).

MASSIMO DONADI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

Pag. 45

MASSIMO DONADI. Signor Presidente, devo dire che dalle sue parole il gruppo dell'Italia dei Valori non ha tratto proprio alcun elemento di serenità. Prendiamo atto che i primi due mesi di questa legislatura sono, fino ad oggi, stati caratterizzati da un unico tratto, quello di un Governo, di una maggioranza, che fino ad ora ha messo in secondo piano ed ha completamente dimenticato le grandi priorità del Paese e che sta costringendo quest'Aula, giorno dopo giorno, provvedimento dopo provvedimento, con una sorta di accanimento, ad occuparsi solo ed esclusivamente delle vicende patrimoniali o giudiziarie del Premier.
Avete iniziato con il provvedimento salva Retequattro, avete continuato con l'emendamento salva processi, inserito all'interno del decreto sicurezza e concludete oggi, in una spirale che è un vero e proprio avvitamento verso il basso, anche dal punto vista dell'etica parlamentare. Si tratta di una decisione che - mi permetta signor Presidente - non riesco a trovare altro modo per definire se non come un colpo di mano vero e proprio, con la quale si stravolge il calendario e si dice all'Italia che non sono importanti il DPEF, la manovra finanziaria, il decreto sicurezza, ma l'unica cosa veramente importante per questo Governo e questa maggioranza è approvare oggi, ora, subito, l'immunità per il Premier.
Non so se riuscirete mai, con buona pace dell'onorevole Capezzone, ad approvare una legge per avere un'impresa in un giorno, ma in qualcosa siete riusciti: riuscirete finalmente a predisporre una legge in un giorno. Si tratta di un primato, sicuramente non encomiabile, che resterà quale vostra esclusiva responsabilità.
Onorevoli colleghi, credo che siamo arrivati al punto in cui una maggioranza, che ha come unico obiettivo quello di tutelare gli interessi di una persona, ha accettato che il Parlamento fosse, di fatto, soggetto a un vero e proprio ricatto.
Di fatto il Ministro Vito, anche nella Conferenza dei presidenti di gruppo di ieri, con una sorta di gioco delle tre carte, ha posto un'alternativa: intanto approviamo il lodo Alfano, e poi è già pronto un emendamento drastico sul cosiddetto provvedimento blocca processi. Ma tutto ciò avviene senza anticiparne il contenuto, e comunque, lasciando intendere che, alla fine, soltanto l'approvazione del primo provvedimento potrebbe portare ad una drastica riforma, nonché al ritiro dell'emendamento in questione. Avete introdotto un principio per cui di fatto si afferma il concetto: o il Parlamento approva in ventiquattr'ore una norma che garantisce l'immunità al Premier, oppure questo Governo e questa maggioranza concederà lo stesso l'immunità al Premier, anche a costo di sfasciare la giustizia, anche a costo di sfasciare 100 mila processi che, in quel caso, non arriverebbero mai più ad una sentenza.
Signor Presidente, lei ha citato un precedente che lei stesso ha definito l'unico che la Camera abbia avuto di fronte ad un tema di questo genere. Sì, è un precedente che vi siete dati voi stessi, un precedente che, nel 2003, ha visto un altro Governo di centrodestra riproporre la stessa legge che state proponendo oggi, stabilendo in tal modo questo stesso comportamento oggi come un precedente. Presidente, lei ha citato i due aspetti previsti nel comma 12 dell'articolo 24 del Regolamento cui viene subordinata la non contingentabilità della fase relativa alle votazioni di un provvedimento.
Lei ha giustamente ricordato che entrambi gli aspetti devono essere oggetto di un'interpretazione restrittiva; tuttavia mi domando, signor Presidente, se non siamo qui, oggi, a discutere nel merito di un provvedimento di eccezionale rilevanza politica (lo testimonia il fatto che l'attenzione che questo provvedimento ha ricevuto è straordinaria come è straordinario l'intervento che lei oggi ha svolto in Aula); se non qui, se non in questa occasione, quando ci troveremo davanti ad un provvedimento di eccezionale rilevanza politica che attiene ai diritti di cui alla prima parte della Costituzione? Io credo che lei oggi abbia fatto una scelta che non tutela gli interessi di questo Parlamento, ma è una scelta di parte, è la scelta di una PresidenzaPag. 46della Camera che ha scelto di dare il proprio consenso, il proprio avallo ad un colpo di mano che la maggioranza e il Governo stanno cercando di porre in essere.
Inoltre, signor Presidente, lei afferma che non esistono nemmeno i presupposti di cui alla prima parte del comma 12 dell'articolo 24 del Regolamento, ma come può dire che non esiste in questo caso il collegamento con l'articolo 24 della Costituzione quando la relazione stessa del disegno di legge in oggetto afferma che questo disegno di legge incide sull'articolo 24 della Costituzione?
Per questo, signor Presidente, perché non piegheremo mai la testa di fronte ad una maggioranza che ha dimostrato in ogni modo, anche nei suoi vertici istituzionali, di non rispettare le prerogative del Parlamento e di non lavorare per difendere i valori della Costituzione, anche per questo noi contrasteremo il provvedimento in questa Aula, ma lo contrasteremo anche in quella piazza che - non me ne voglia il presidente Casini - è il luogo dove la democrazia è nata e dove nessuna forza politica mai si deve vergognare di andare davanti ai cittadini italiani a portare avanti le sue idee, i sui valori e i suoi principi (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).
Se lui se ne vergogna, noi lo facciamo a testa alta (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Bocchino. Ne ha facoltà.

ITALO BOCCHINO. Signor Presidente, colleghi, in questa Aula siamo arrivati molte volte ad uno scontro duro, anche durissimo, in termini politici ma mai - e mi dispiace doverlo notare dopo le parole di una persona notoriamente serena come il collega Dario Franceschini - si è arrivati ad un'aggressione così dura nei confronti dell'arbitro. Per fare un paragone calcistico, due squadre si possono scontrare anche con durezza fisica in campo, ma non sì può - caro collega Franceschini - ad un certo punto, quando le cose non vanno come si vorrebbe, aggredire e prendere a pugni l'arbitro (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà). Ecco, io credo che vi sia stato un calo di livello gravissimo oggi.
Affermo questo perché vi è stata mancanza di rispetto nei confronti di chi applica il Regolamento leggendo note, appunti e ricerche sui precedenti redatti dagli stessi uffici che erano qui quando il Presidente della Camera era Casini e quando era Presidente Violante. Ebbene, quando la Presidenza si rimette a quei precedenti, a quel Regolamento, a quella prassi parlamentare, non si può arrivare ad insultare il Presidente della Camera come ha fatto il collega Franceschini. Lo speech letto dal Presidente è chiaro: vi è un Regolamento, vi è la prassi, vi sono i precedenti.
Il Presidente Fini - dico io - non solo non doveva fare altro, ma aggiungo di più, caro collega Franceschini: il Presidente Fini non poteva fare altro. Il Presidente Fini è un notaio: deve consultare gli uffici in merito ai precedenti e deve verificare il Regolamento e la prassi. Non avrebbe potuto fare diversamente, anche se avesse voluto. Per questo motivo l'attacco mosso è basso.
Come fate ad affermare che il calendario è condizionato e ad urlare che stiamo condizionando il calendario della Camera? (Commenti dei deputati del gruppo Partito Democratico). È una prerogativa regolamentare del Governo chiedere la modifica del calendario; non è invece una prerogativa regolamentare dei girotondini e della piazza chiedere la modifica del calendario: questo è il vero problema! Da una parte, vi è il Governo a chiedere una modifica del calendario, dall'altro, vi è la piazza. Voi, oggi, state abbandonando quel «politicamente corretto» che avevate voluto introdurre in campagna elettorale per piegarvi alla logica della piazza, che non è nemmeno la vostra piazza, ma l'altrui piazza.
Come può Franceschini affermare che i padri costituenti sarebbero indignati? Caro Franceschini, i padri costituenti hanno sicuramente scritto che la legge è ugualePag. 47per tutti ma ti sei letto l'articolo 68, scritto dai padri costituenti: c'era o no la previsione di alcune garanzie nei confronti di chi ricopre cariche politiche (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà e di deputati della Lega Nord Padania)?
Ritengo che non si possa venire in aula e aggredire in questo modo il sistema di garanzie che tutti ci siamo dati e che tutti dobbiamo rispettare. Né si può urlare contro la norma che sospende i processi. Anche su tale questione, il Partito Democratico deve ricordare che esiste un precedente, verificatosi durante la maggioranza di centrosinistra, senza che nessuno avesse urlato; che vi è stata la circolare del procuratore di Torino, Maddalena, dopo l'indulto e che persino Magistratura democratica votò all'interno del CSM per dare priorità a quei processi che potevano essere sottratti alla prescrizione. Ebbene, caro Franceschini, tu hai votato l'indulto? Io non l'ho votato in quest'aula nella passata legislatura (Applausi di deputati del gruppo Popolo della Libertà).

MASSIMO VANNUCCI. I tuoi sì!

ITALO BOCCHINO. Non riesco a capire come non ci si possa rendere conto che i processi che si vanno a sospendere secondo questa norma, sono quelli che finiranno comunque in prescrizione a causa di una legge che tu hai votato, che il tuo gruppo ha votato, che il tuo partito ha votato.
Come si fa a non rendersi conto che anche la comunità giuridica a voi vicina comincia ad esprimere dubbi. Avete letto cosa ha dichiarato il vostro senatore, Carofiglio, in merito all'obbligatorietà dell'azione penale? Avete letto i dubbi di Violante e i dubbi di D'Alema sull'obbligatorietà dell'azione penale? Dunque, apriamo un grande dibattito su quella che è oggi l'obbligatorietà dell'azione penale. Non venite ad urlare contro una norma solo ed esclusivamente perché avete il morso alle caviglie di Di Pietro, da una parte, e di Beppe Grillo, dall'altra. Non è questo il compito di chi rappresenta gli italiani in Parlamento!
State pagando un prezzo altissimo - ripeto: altissimo - ad una piazza che non è vostra, ai massimalisti dai quali volevate liberarvi. Adesso tornate a quell'antiberlusconismo militante, alle alleanze larghe che devono farvi mettere tutti quanti insieme. Vi spetta, purtroppo, questo pessimo ruolo. Ma è grave oltrepassare i limiti come avete fatto oggi. Noi andremo avanti, utilizzando né più né meno la maggioranza che gli italiani ci hanno dato. Andremo avanti, rispettando il Parlamento e il Regolamento, verificando la prassi e ciò che è stato fatto quando voi eravate maggioranza, quando membri del vostro partito presiedevano la Camera.
La verità, però - ed è bene che gli italiani lo sappiano - è che, con la manifestazione di oggi pomeriggio, che sta condizionando la vostra azione politica, Di Pietro, con un colpo solo, sta uccidendo due diversi soggetti. Da una parte, sta uccidendo il vostro progetto del Partito Democratico e si è capito dal comunicato che oggi Walter Veltroni (Proteste dei deputati del gruppo Partito Democratico) ha fatto contro il Presidente della Camera.
Dall'altra parte, sta uccidendo quel dialogo che serviva al Paese per cambiare i Regolamenti, per cambiare le leggi elettorali, per cambiare la Costituzione (Proteste dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).
È ciò che voi non volete fare, perché volete paralizzare il Parlamento ed il Paese, perché non sapete più di quali riforme avete bisogno, perché non riuscite più a comprendere quali tesi dovete sostenere per recuperare il consenso perduto (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà - Proteste dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Cota. Ne ha facoltà.

ROBERTO COTA. Signor Presidente e colleghi, da sempre nelle democrazie esiste il principio della divisione dei poteri, tale per cui i Governi ed anche i parlamenti eletti dai cittadini possono svolgere liberamente le loro funzioni.Pag. 48
Ciò è previsto in molte democrazie ed è previsto anche nella nostra Costituzione: lo vorrei ricordare all'onorevole Franceschini, perché l'articolo 68 della Costituzione, che è stato scritto proprio dai nostri padri costituenti, prevedeva forme di garanzia ispirate alla divisione dei poteri anche per i membri del Parlamento.
Questa esigenza oggi esiste, questo tema oggi è attuale, soprattutto perché viviamo in un contesto in cui i processi si celebrano sui giornali, più che nelle aule giudiziarie (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania e di deputati del gruppo Popolo della Libertà).
Devo anche dire, signor Presidente e colleghi, che questa esigenza è stata più volte riconosciuta anche da voi, con dichiarazioni che abbiamo letto sui giornali da parte di vostri esponenti, dichiarazioni e pensieri che oggi rinnegate, perché evidentemente avete paura di affrontare i problemi nel merito.
Noi affermiamo che questo problema va affrontato e chiediamo di affrontarlo con chiarezza, ma anche rapidamente, perché ci rendiamo conto che le esigenze concrete del Paese sono altre, dal punto di vista del merito delle questioni (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania - Applausi polemici dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).
La gente non vive di gossip, la gente fa fatica ad arrivare alla fine del mese (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania - Applausi polemici dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).
Dunque, poiché la gente non vive di gossip, ha bisogno di misure che restituiscano potere d'acquisto ai salari, come questo Governo ha cominciato a fare (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania). Ha bisogno di vivere in città sicure, come questo Governo sta cercando di realizzare con il decreto sulla sicurezza, di cui voi non volete parlare perché avete paura di dire nel merito che ciò che portiamo avanti è l'unica risposta concreta che si può dare ai cittadini.
In modo particolare, ho sentito parlare delle forze di polizia: vorrei dire che la Lega ha presentato un emendamento (Commenti dei deputati del gruppo Partito Democratico) per istituire un fondo speciale per garantire alle forze dell'ordine - non solo alle forze di polizia, ma anche agli agenti della polizia municipale - la possibilità di operare secondo i principi contenuti nel decreto sulla sicurezza (Commenti dei deputati del gruppo Partito Democratico).
La gente ha bisogno di federalismo, ha bisogno che siano realizzate le riforme e le riforme non sono né di destra né di sinistra: su tale punto, fareste bene a non sottrarvi al dibattito e al confronto parlamentare, perché questo sarà un tema molto importante che il Parlamento dovrà affrontare, quando finiranno le polemiche e le strumentalizzazioni.
Lei, onorevole Franceschini, ha parlato di brutta pagina delle istituzioni; direi che, da parte sua, non è né corretto né leale perdere la testa e prendersela col Presidente della Camera. Assolutamente no: lei dovrebbe fare un ragionamento politico, invece oggi ha ceduto alla tentazione di correre dietro a Di Pietro, che oggi organizza la manifestazione (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Popolo della Libertà).
Allora vi dico, onorevole Franceschini e onorevole Veltroni, che se sceglierete la strada dell'opposizione strumentale e del «correre dietro» a quello che dice l'onorevole Di Pietro, in cerca di continua visibilità, sarete voi a non scrivere una bella pagina della democrazia (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania)! Sarete voi a non scrivere una bella pagina relativamente al modo in cui si interpreta l'opposizione (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania, Popolo della Libertà e Misto-Movimento per l'Autonomia)!

FABIO EVANGELISTI. Chiedo di parlare per un richiamo al Regolamento.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

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FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, intendo fare un richiamo al Regolamento e, in particolare, agli articoli 24 e 49.
«Al di là del forte contrasto politico esistente sul provvedimento in oggetto, non riteniamo che sussistano oggi le condizioni per procedere all'esame dello stesso in base alle norme del nostro Regolamento, a meno che non vogliamo ritenere che tali norme siano del tutto vanificate da una prassi che si instaura oggi, per la quale queste norme servono solo a garantire i diritti e i poteri di chi già li detiene perché ha numeri: il Governo e la maggioranza; e non anche a garantire i diritti di chi se li deve vedere garantiti dal Regolamento e dal Presidente: le opposizioni». Queste sono le parole del Ministro Vito in occasione di un intervento svolto il 25 gennaio del 2000 (vedo un segno di accenno, quindi capisco che se lo ricorda).
Ministro Vito, Presidente Fini, capita a tutti, prima o poi, nella vita di finire all'opposizione e capita a tutti, prima o poi, di trovarsi in una posizione scomoda e, qualche volta, persino imbarazzante. Questa mattina è stato imbarazzante per il Vicepresidente Leone, oggi - mi permetta di dirlo - ho trovato imbarazzo nella posizione del Presidente Fini che, per di più, non è stato certo aiutato dagli interventi dei difensori d'ufficio, che difficilmente potevano trovare espressioni più insultanti, quale quella di definire il Presidente della Camera come «il notaio». Il Presidente della Camera non è un notaio, ma il garante del rispetto del Regolamento e della democrazia in quest'Aula.
Signor Presidente, lei oggi ha svolto un lungo intervento, una lunga disquisizione - mi consenta di dire, anche con troppe parole - in cui vi era una perla: l'espressione «ovvio», ovvero l'avverbio «ovviamente». Non vi era nulla di ovvio né di scontato nella sua presa di posizione, della quale lei giustamente e legittimamente può rivendicare la responsabilità. Tuttavia, teniamo a ribadire in questa sede - come già abbiamo fatto questa mattina - che per noi questo non è il caso in cui si possa prevedere non una modifica del calendario (che è un aspetto), ma la questione del contingentamento dei tempi, che nella definizione del primo calendario, non può essere determinata anche per la parte che riguarda l'espressione dei voti.
Da questo punto di vista, richiamo sempre l'intervento dell'onorevole Vito, nel gennaio del 2000, là dove diceva: «Noi potremmo anche accettare questa ripartizione, che limita fortemente la discussione, proprio per poter avere un più ampio numero di ore di sedute di Commissione da dedicare all'esame del merito del provvedimento e alla votazione degli emendamenti, sapendo che, magari, sul merito e su quegli emendamenti potevano emergere le nostre ragioni (e siamo convinti che siano buone ragioni) e le divisioni all'interno della maggioranza». Quello che, allora, dal Ministro Vito veniva rivendicato legittimamente come un esercizio di democrazia, è ciò che oggi cerchiamo di fare e che invece vediamo conculcato da questa maggioranza e, purtroppo, anche da questa Presidenza (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare per un richiamo al Regolamento.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, sarò breve e non voglio portarle via altro tempo. Le confesso che non sono un giurista, né sono particolarmente addentro, se non alle questioni regolamentari, a quelle che riguardano le sentenze della Corte e quanto queste incidano sui nostri lavori. Prendo la parola - mi consenta di dirlo - perché voglio sperare che, nel momento in cui lei ha annunciato che riunirà di nuovo la Conferenza dei presidenti di gruppo alle 18,30, possa avere quanto meno voglia di provare ad immaginare che vi possano essere considerazioni aggiuntive e tecniche rispetto a quelle che sono state avanzate.
Tale considerazioni - perché no? - potrebbero farle rivedere la sua posizione e ciò - per quanto riguarda me e, credo, non solo me che le parlo - le renderebbe onore.Pag. 50
Anche perché sono convinto, signor Presidente, che se lei avesse avuto il sentore che qui sarebbe venuto a fare il notaio, probabilmente, con la sua storia e le sue capacità, si sarebbe dedicato ad altra funzione e non a quella di Presidente della Camera.
Le ho rivolto direttamente, anche fuori da quest'Aula, un invito, perché penso che in questo momento è lei - e non le legittime decisioni che il Governo può prendere, ancorché da noi contrastate - è lei e la sua funzione ad essere in questione, in quanto garante della Camera.
Le dico questo, signor Presidente, facendo un richiamo al combinato disposto degli articoli 24 e 49 del Regolamento, riflettendosi sull'articolo 24 e sul contingentamento le decisioni che riguardano l'interpretazione dell'articolo 49. Lo dico perché, lei, signor Presidente, ha fatto un esplicito riferimento ed un richiamo a quanto previsto nella parte relativa all'articolo 24 del Regolamento e per quanto riguarda eventi particolari.
Lei ha richiamato molti precedenti, un po' meno si è soffermato su un aspetto che è, secondo me - e su questo concludo, signor Presidente - importante e decisivo. Si tratta della possibilità, ammessa dall'articolo 49, di richiedere ed ottenere lo scrutinio segreto, il che è ammissibile sulle leggi ordinarie relative agli organi costituzionali dello Stato (Parlamento, Presidente della Repubblica, Governo e Corte Costituzionale). Al riguardo, lei, nello speech, se non ho capito male, motiva - traslando un po' quanto è accaduto in relazione al cosiddetto «lodo Schifani», con l'onorevole Casini (ed anche a lui mi rivolgo perché qualcosa è cambiato da allora, signor Presidente) - in riferimento al fatto che non si ha riguardo alla Camera dei deputati in quanto organo bensì alla funzione del Presidente della Camera dei deputati: ciò non può quindi che rientrare nell'ambito di applicazione dell'articolo 49.
Mi sono semplicemente informato. Ho cercato di farlo esattamente come hanno fatto altre persone, leggendo tutte le motivazioni della Corte costituzionale, signor Presidente.
Affido alla sua sensibilità e anche alla sua volontà il tentativo di andare oltre a quanto finora stabilito nell'interpretare - o forse semplicemente leggere - quanto scrive la Corte costituzionale al punto 8, laddove la medesima Corte individua un elemento per dichiarare l'incostituzionalità del provvedimento. Cito testualmente: «La Corte ritiene che, anche sotto altro profilo, l'articolo 3 della Costituzione sia violato dalla norma censurata. Questa infatti accomuna, in un'unica disciplina, cariche diverse non soltanto per le fonti di investitura ma anche per la natura delle funzioni e distingue, per la prima volta, sotto il profilo della parità, riguardo ai principi fondamentali della giurisdizione, i Presidenti delle Camere, del Consiglio dei ministri e della Corte costituzionale rispetto agli altri componenti degli organi da loro presieduti».
Cosa ha detto la Corte costituzionale? Essa ha affermato che tra i motivi di incostituzionalità, intervenuti dopo quanto stabilito dal presidente Casini in quest'Aula, c'è anche il fatto che, con quella disposizione, mantenuta intatta dal cosiddetto «lodo Alfano», si distingueva la funzione del Presidente della Camera, del Presidente del Senato e del Presidente del Consiglio, da quella degli organi in quanto tali e che sono allo stesso livello. Non si può dunque intervenire differenziando l'organo dal suo Presidente.
Questo vuol dire, signor Presidente, a mio avviso - la pregherei però anche e soprattutto con il supporto degli uffici, di analizzare la questione, al di là di quanto da lei deciso e da me non condiviso - che nell'interpretazione del Regolamento lei si affida a dei precedenti.
Ma anche in questo caso, signor Presidente - sto per concludere - occorre essere chiari: il precedente non è un vincolo. Il vincolo è l'articolo del Regolamento. Il precedente è invece un'occasione nella quale il Presidente interpreta in modo diverso l'articolo, determinando effettiPag. 51diversi. Non si è però obbligati a richiamare il precedente se lo si ritenga inadatto.
Ovviamente, quindi, è una sua scelta quella di interpretare il Regolamento secondo quel precedente, che è uno solo e relativo ad un provvedimento che è stato bocciato dalla Corte costituzionale. L'analisi che lei faceva, a mio avviso, non tiene conto del fatto che la Corte costituzionale ha identificato un difetto nel distinguere l'organo dal suo Presidente.
È quindi del tutto evidente, in base alla mia modestissima interpretazione, che dove l'articolo 49 prevede la richiesta di scrutinio segreto - e quindi la non possibilità di contingentare i tempi anche sulle leggi ordinarie relative agli organi costituzionali - esso incide sugli organi costituzionali. Non potrebbe infatti rivolgersi esclusivamente alla funzione del Presidente estrapolandola dal suo organo naturale. Grazie. (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Come nel caso dell'onorevole Giachetti, i colleghi avranno notato che ho consentito che alcuni interventi fossero di gran lunga al di là dei minuti previsti, perché non mi sfugge il rilievo politico della discussione che si è svolta, e, quindi, sono convinto, non da oggi, anche per una certa esperienza che ho maturato in quest'Aula, della necessità di dar corso al dibattito politico nella sede che esprime la sovranità popolare, al di là di quello che può essere il cronometrico rispetto del minutaggio.
Faccio questa premessa per qualche ulteriore considerazione, che parte per l'appunto, onorevole Franceschini - mi rivolgo a lei, non solo perché è il primo esponente della Camera che ha preso la parola, ma anche per la stima che ho nei suoi confronti, che, ovviamente, non viene meno dopo il suo intervento - da ciò che lei ha detto, insieme ad altri, circa il tono dello speech con cui ho, credo, doverosamente, introdotto i lavori del pomeriggio, dopo i rilievi che erano stati mossi questa mattina alla Presidenza.
È di tutta evidenza che non si tratta di valutazioni di tipo estetico. Si può definire il contenuto di quello che ho detto in mille modi; si può definire, come è stato fatto, burocratico, dimesso, troppo lungo...

FABIO EVANGELISTI. Notarile!

PRESIDENTE. Credo di poter dire che si tratti unicamente della puntigliosa, documentata e ineccepibile dimostrazione che la Presidenza - lo dico agli onorevoli colleghi dell'opposizione - non ha violato alcunché, non ha certamente leso i diritti dell'opposizione e, men che meno, ha espropriato la Camera delle sue prerogative (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).
Onorevole Franceschini, me lo consenta, proprio per la stima che ho nei suoi confronti: ne era perfettamente consapevole anche lei, nel suo intervento, proprio perché i rilievi che lei ha mosso sono stati rilievi esclusivamente di carattere politico, che mi sono ben chiari e che sono estremamente legittimi, leciti, per certi aspetti naturali, ma né lei né i colleghi dell'opposizione hanno potuto argomentare, rispetto al rilievo del Presidente della Camera, alcunché che non fosse di carattere politico, non di carattere procedurale, non di carattere regolamentare, perché il compito della Presidenza della Camera non è e non può essere quello di rispondere a rilievi di carattere politico con considerazioni politiche.
Il presidente Casini credo abbia ricordato chiaramente che il compito del Presidente della Camera è proprio quello di garantire che vi sia il rispetto dei regolamenti e della prassi con cui i regolamenti vengono applicati nel corso del tempo, quella continuità delle istituzioni che rappresenta un valore.
Non credo che il Presidente della Camera, chiunque egli sia, sia imparziale in ragione del fatto di assecondare le richieste dell'opposizione. L'imparzialità è unicamente nel fatto di confermare decisioni dei suoi predecessori, prescindendo dal fatto che questi ultimi siano stati espressi da una maggioranza politica o da un'altra,Pag. 52che è esattamente quel che ho avuto modo di dimostrare quest'oggi con quei riferimenti che saranno anche puntigliosi, dimessi o burocratici, ma che hanno certamente l'aspetto della incontrovertibilità fattuale.
Mi consenta, infine, onorevole Franceschini, di lasciare ad altri il compito di giudicare se la brutta pagina per il Parlamento o, peggio ancora, come lei ha detto, l'offesa, è giunta dalla decisione della Presidenza, nello stesso momento in cui ha argomentato la sua decisione, o se, al contrario, la brutta pagina è giunta dalla sua considerazione circa un presunto interesse di tipo personale, che, come è, credo, evidente a tutti, non appartiene al novero delle cose possibili (Vivi applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania - Deputati del gruppo Popolo della Libertà si levano in piedi).

Seguito della discussione del Documento di programmazione economico-finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2009-2013 (Doc. LVII, n. 1) (ore 18,18).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del Documento di programmazione economico-finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2009-2013 (Doc. LVII, n. 1).
Ricordo che nella parte antimeridiana della seduta si è conclusa la discussione e hanno avuto luogo le repliche dei relatori e del Governo.
Ricordo, altresì, che sono state presentate le risoluzioni Baretta ed altri n. 6-00001, Di Pietro ed altri n. 6-00002, Lo Monte ed altri n. 6-00003, Cicchitto e Cota n. 6-00004 e Galletti ed altri n. 6-00005 (Vedi l'allegato A - risoluzioni).
Avverto che la risoluzione n. 6-00003 è stata ritirata dai presentatori e che è in distribuzione una nuova formulazione della risoluzione n. 6-00004, sottoscritta anche dall'onorevole Lo Monte (Vedi l'allegato A - risoluzioni).

(Parere sulle risoluzioni - Doc. LVII, n. 1)

PRESIDENTE. Chiedo dunque al rappresentante del Governo quale risoluzione intenda accettare.

GIUSEPPE VEGAS, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, il Governo accetta la risoluzione n. 6-00004 (Nuova formulazione) a firma Cicchitto, Cota e Lo Monte.

PRESIDENTE. Ricordo che la risoluzione accettata dal Governo sarà votata prioritariamente e che, in caso di approvazione, risulteranno precluse le altre risoluzioni, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 2, del Regolamento.

(Dichiarazioni di voto - Doc. LVII, n. 1)

PRESIDENTE. Passiamo dunque alle dichiarazioni di voto.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Tabacci, al quale ricordo che ha dieci minuti a disposizione. Ne ha facoltà.

BRUNO TABACCI. Signor Presidente, come abbiamo avuto occasione di dire nel corso del dibattito in Commissione, c'è una sostanziale modifica del ruolo del Documento di programmazione economico-finanziaria, che viene sostanzialmente svuotato; di ciò noi abbiamo preso atto.
Il Documento che viene sottoposto al voto dell'Aula da parte dei colleghi della maggioranza non trova il nostro apprezzamento per le ragioni che abbiamo avuto modo di ribadire più volte in Commissione (Commenti)...

PRESIDENTE. Prego, onorevole Tabacci, continui.

BRUNO TABACCI. C'è una legittima esigenza, probabilmente, di defluire dopo...

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PRESIDENTE. Pregherei i colleghi che non sono interessati di uscire dall'Aula per consentire all'onorevole Tabacci di svolgere il suo intervento. Prego, continui, onorevole Tabacci.

BRUNO TABACCI. ...dopo l'importante dibattito che c'è stato e che ovviamente ha visto la partecipazione di noi tutti.
Volevo riprendere il filo del mio discorso. Il Documento di programmazione economico-finanziaria presentato dal Governo è caratterizzato - parafrasando il titolo del libro di Tremonti - più che dalla speranza dalla paura: è un atteggiamento di una certa chiusura, quello che il Documento prevede.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI (ore 18,20)

BRUNO TABACCI. E siccome il Ministro Tremonti è immaginifico, nei giorni scorsi ha individuato il nuovo bersaglio: la speculazione internazionale che avviene sul petrolio e sulle materie prime. Chi vi parla non nasconde che nei periodi di grande turbolenza vi possono essere anche degli elementi di speculazione; ma appare eccessiva l'idea di ritrovarsi questo bersaglio, ed egli lo ha così identificato che ha detto che sarebbe andato in Europa ad invocare l'applicazione dell'articolo 81 del Trattato: ho visto un interesse molto modesto. Non solo, ma il Presidente Berlusconi avrebbe fatto accenno di riprendere quella posizione al vertice del G8 di Tokio: mi pare che non resti traccia di ciò.
In altri termini cosa sta accadendo? Sta accadendo, così come dopo la guerra nel Kippur, quando ci fu balzo in avanti del prezzo del petrolio, che c'è uno spostamento di risorse dai Paesi ricchi verso i Paesi produttori di petrolio; il che implica che se i governanti che hanno a cuore le sorti del loro Paese e dell'Occidente vogliono lanciare un messaggio importante ai loro popoli, è quello di riflettere sul loro modello di sviluppo. Gli Stati Uniti d'America da soli consumano oggi un quarto dell'energia prodotta sul pianeta: se nei prossimi dieci anni i cinesi e gli indiani, che sono due miliardi, decidessero - ed è legittimo pensare che qualcuno si possa mettere in casa il frigorifero piuttosto che la lavatrice - di vivere secondo il modello americano, ci vorrebbero tre pianeti per accompagnare la produzione energetica di cui avrebbe bisogno l'umanità.
Pensare che ciò si risolva individuando un nuovo obiettivo, ossia come battere la speculazione internazionale, mi sembra proprio un'invenzione alla Tremonti. Si tratta invece di ragionare, e ovviamente noi lo facciamo da italiani: siamo 60 milioni, e cioè un centesimo della popolazione mondiale, e quindi possiamo dare un contributo modesto, ma almeno in termini di intelligenza politica questo contributo lo dovremmo dare. Non possiamo pensare di girare la pagina come se l'acqua passasse sulla roccia. Vedete, quando dopo la vicenda del Kippur, i Paesi occidentali (Commenti)...

PRESIDENTE. Onorevole Tabacci, le chiedo scusa. Per cortesia colleghi, c'è un brusio che non consente di ascoltarci reciprocamente. Invito quindi chi non è interessato ad uscire in silenzio dall'Aula, in modo che l'onorevole Tabacci, al quale restituisco trenta secondi, possa completare il suo intervento.

BRUNO TABACCI. Grazie signor Presidente, ma è l'oratore che ha argomenti poco importanti. In realtà, dopo quello shock petrolifero la lira reagì, assieme ad altre monete occidentali, in maniera diversa da come reagì il marco. Oggi possiamo dire, a distanza di tempo, che aveva avuto ragione il marco ed aveva avuto torto la lira: avere sostenuto un processo di sviluppo, pena l'incameramento di una forte inflazione, ha avuto come effetto quello di produrre elementi distorsivi.
Invece di preoccuparsi della speculazione internazionale, ci si dovrebbe preoccupare di come far riprendere lo sviluppo nel nostro Paese: e lo sviluppo non riprende con la paura, né riprende con la ricetta che viene indicata nel DPEF. C'è un accenno molto preciso ai loro impegniPag. 54elettorali, ma gli impegni elettorali non sempre vanno d'accordo con l'interesse generale. Tra l'altro, vi eravate impegnati a ridurre il livello di tassazione, ma nel Documento di programmazione economico-finanziaria esso resta stabilizzato al 43 per cento fino al 2013. Se voi aveste avuto coraggio sul punto, non so come oggi noi potremmo valutarlo, ma certamente siete andati in contrasto anche con questi obiettivi elettorali. Mi auguro che questa sia la strada per perseguire l'interesse generale. Voi dite che questa operazione la sostenete con il taglio della spesa. Orbene, il taglio della spesa è un'indicazione, come poi vedremo nel corso dell'esame del disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 112 del 2008; è un taglio assolutamente lineare, e cioè un taglio acritico: si spara nel mucchio e si spera che domani si possa davvero ridurre la spesa. Già l'esperienza di Siniscalco, che aveva utilizzato il cosiddetto metodo Brown, ha dimostrato che questa impostazione non funziona: i tagli lineari costituiscono coperture strumentali, ma poi, a consuntivo, non si realizzerà quella riduzione della spesa, perché la rigidità della spesa richiede quelle misure strutturali che questo Governo, che fa la somma degli interessi particolari, ma non persegue l'interesse generale, non è in grado di sostenere.
Voglio allora ricordarvi che, se dal 1945 al 1980 l'Italia ha avuto uno sviluppo del 5,2 per cento su base annua, se dal 1981 al 1993 è cresciuta solo del 2,6 per cento, se dal 1994 al 2007 è cresciuta solo dell'1,3 per cento ed oggi si colloca allo 0,5 (cioè a un decimo di quel 5 per cento), una qualche ragione ci sarà: il fatto è che negli ultimi quindici anni non sono state affrontate le questioni strutturali.
Il presidente Casini prima ha fatto cenno ad alcuni elementi fondamentali che dovrebbero distinguere l'azione del buon governo e che certo nulla hanno a che fare con il lodo Alfano. Si tratta, piuttosto, di misure fondamentali, come i processi di apertura dei mercati, di liberalizzazione, di costrizione della spesa pubblica dentro un modello importante nel quale venga messa in evidenza la sua qualità.
Ma questi interventi non sono presenti nel DPEF, per quel che può contare ovviamente una risoluzione di questo tipo. Come è noto, gli atti fondamentali che accompagnano il DPEF - il decreto-legge n. 112 del 2008 e il disegno di legge - in realtà ci vedranno impegnati in queste settimane in un lavoro che non porterà ad alcun risultato. Il Governo infatti - non è vero, onorevole Vegas? - ha già in animo di presentare non so quanti nuovi emendamenti (venti, trenta?), come se facesse auto-ostruzionismo, più i 1.580 emendamenti che sono stati presentati dalla maggioranza. Ciò induce a dire che quando avete varato la manovra economica in nove minuti e mezzo, in realtà non sapevate quel che facevate! Se poi avete dovuto presentare 800 emendamenti per correggere quella manovra, che cosa avete fatto in quei nove minuti e mezzo? Cosa vi siete detti (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro e di deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori)?
In realtà i Ministri che sono stati commissariati da Tremonti hanno pensato bene di riprendersi i loro referenti nei banchi della maggioranza e di presentare degli emendamenti che costituissero il supporto al tentativo di rimettere in equilibrio il ruolo dei singoli Ministeri rispetto a quello di Tremonti. Ecco dove sta il punto. Ho proposto ai colleghi dell'opposizione di ridurre al minimo gli emendamenti, insomma di discuterne una quarantina e non di più - siamo in grado di autolimitarci -, in modo da dimostrare che è il Governo stesso che giustifica il voto di fiducia che chiederà sull'«emendamentone» perché non sa che pesci pigliare. Infatti, dopo aver mandato avanti i colleghi della maggioranza oggi annuncia che ha molte cose da sistemare. Non so quante ne abbia da sistemare, ma penso che quando si vara un decreto-legge significa che al suo interno si introducono le misure più urgenti mentre al disegno di legge si riservano, in un certo senso, lePag. 55questioni che non erano di immediata efficacia o esecuzione. Se invece avete altre misure da inserire nel decreto-legge vuol dire o che avete sbagliato i conti o che non sapete farli o che dovete introdurre, utilizzando tale veicolo che dovrebbe rapidamente concludere il proprio percorso, degli altri elementi che completano la vostra manovra.

PRESIDENTE. La prego di concludere onorevole Tabacci.

BRUNO TABACCI. Ho finito, signor Presidente. Ci sarebbero molte altre argomentazioni da addurre e tante altre le abbiamo già indicate in Commissione, perché noi partecipiamo ai lavori della Commissione e non abbiamo bisogno di andare in piazza. Noi siamo qui e debbo tra l'altro riflettere sul fatto che quanto ha affermato il collega Donadi, persona che stimo molto, è un po' impreciso. Non possiamo rifarci alle democrazia ateniese. Sono un servo della democrazia parlamentare moderna e mi colloco all'interno di tale strategia e sono orgoglioso di rappresentarla. Vado volentieri anche in piazza, ma non subordino il mio atteggiamento parlamentare agli atteggiamenti della piazza perché è in questa sede che dobbiamo assumerci le nostre responsabilità (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).
Comunque, poiché abbiamo usato molti argomenti il nostro voto contrario è pienamente giustificato e lo dimostreremo ancora di più quando arriveranno i documenti che il Governo porta a corredo della sua manovra economica (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro e Partito Democratico - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Fugatti. Ne ha facoltà, per dieci minuti.

MAURIZIO FUGATTI. Signor Presidente, eravamo abituati a definire il DPEF, Documento di programmazione economico-finanziaria, come una cornice senza contenuto, uno strumento obsoleto e su tale aspetto non abbiamo di molto cambiato idea. Tuttavia, in questa occasione dobbiamo ammettere che all'interno del provvedimento in esame alcuni aspetti importanti, siamo in grado di rilevarli. Ne valga uno su tutti: per la prima volta ci troviamo a votare e a discutere il DPEF insieme ad una manovra finanziaria triennale che pone fine alle manovre finanziarie annuali che portavano alla votazione finale, l'ultima settimana di dicembre, con l'assalto alla diligenza dei singoli parlamentari per cercare di portare avanti le proprie istanze. Per la prima volta ci troviamo a discutere il Documento insieme ad una manovra finanziaria addirittura triennale, che dà certezza e anche regolarità ai lavori dell'Assemblea.
Crediamo che questo sia un DPEF veritiero. È il primo DPEF varato da questo Governo Berlusconi ed è un DPEF che vogliamo definire veritiero. Perché veritiero? Esso indica come stanno le cose. Stiamo vivendo un periodo economicamente non facile. L'economia è vicina ad una crescita pari a zero e ciò che si può fare è ottenere il pareggio di bilancio nel 2011, così come aveva già pensato di fare, in accordo con l'Unione europea, il Governo Prodi. Ciò sarà fatto con una manovra triennale di venticinque, trenta miliardi portando il rapporto deficit-PIL, che oggi è pari al 2,6 per cento, ad una situazione di pareggio.
Come si pensa di ottenere tali risultati? Diminuendo la tassazione sulle famiglie e sulle imprese perché questo significano l'abolizione dell'ICI, la detassazione degli straordinari ed eliminando quei tanti adempimenti a costo zero per rendere più facile la vita per le imprese: pensiamo all'elenco clienti e fornitori, alla tracciabilità dei pagamenti, ad alcune modifiche relative agli studi di settore che vengono previsti all'interno dei provvedimenti finanziari. Si tratta di un DPEF veritiero e nel contempo il primo di questo Governo.
Ricordiamo il primo DPEF del Governo Prodi: dobbiamo dire che non fu veritiero. Nominò una commissione per fare la due diligence. Questa, che consisteva praticamente nel controllo dei conti, aveva previstoPag. 56che nel 2006 il rapporto deficit-PIL si doveva attestare ad oltre il 4 per cento.
Sulla base di quel programma venne preparata una legge finanziaria da 35 miliardi (70 mila miliardi delle vecchie lire), una finanziaria «lacrime e sangue» sulla base di un'impostazione ideologica per cui il Governo Berlusconi aveva lasciato il «buco» e creato una crescita enorme del rapporto deficit-PIL e, quindi, occorreva tassare la gente.
Poi si vide che in quell'anno il rapporto deficit-PIL fu nei limiti, attestandosi al 3 per cento, ma la manovra finanziaria «lacrime e sangue» venne fatta. Inoltre, fu fatta aumentando le tasse sulle famiglie, sulle imprese e aumentando gli adempimenti fiscali per la categoria delle partite IVA che pagarono in maniera enorme tali provvedimenti che furono ideologici, quasi di stampo culturale.
Oggi, invece, c'è un'impostazione diversa. Siamo in un momento in cui l'economia non tira perché la crescita è a zero, eppure il Governo decide di non aumentare le tasse, ma anzi di diminuirle per quanto possibile e di tagliare la spesa pubblica. Questo è l'iter che si mette in moto per arrivare al pareggio del bilancio nel 2011.
Il Governo di centrosinistra, invece, in un momento in cui l'economia cresceva, perché un po' cresceva, aveva deciso di aumentare le tasse mettendo in difficoltà il mondo economico. Si misero le mani nelle tasche degli italiani tra il 2006 e il 2008; oggi, per la prima volta dopo questi anni, le mani dalle tasche degli italiani vengono tolte grazie ai provvedimenti di questo Governo, che si muovono in una direzione completamente opposta a quella cui ci aveva abituato il centrosinistra e, lo ribadiamo, in una situazione economica non facile.
L'attuale situazione economica non facile è dovuta agli squilibri della globalizzazione. Sentivamo l'onorevole Tabacci che affermava che servirebbero tre pianeti per soddisfare la richiesta di petrolio. Questo è vero, ma allora probabilmente si sarebbe dovuta ascoltare la Lega dieci o quindici anni fa quando parlava dei Paesi in via di sviluppo (India e Cina soprattutto) e proponeva di stabilire delle regole perché, altrimenti, una crescita così veloce e repentina avrebbe potuto alterare anche gli equilibri economici. Questo è quanto sta accadendo.
Quindi, da questo punto di vista, crediamo che la Lega abbia fatto una previsione a suo tempo. Oggi chiaramente l'Europa continua a ragionare in un senso eccessivamente liberista e mercatista e, quindi, non vuol capire tali questioni. A volte ci viene addossata anche la colpa dell'inflazione al 4 per cento, come se fosse colpa del Governo.
L'inflazione è al 4 per cento per i motivi che abbiamo detto prima, perché questi Paesi si sono espansi in maniera troppo veloce. A parità di offerta di petrolio, se aumenta la domanda è chiaro che aumenta anche il prezzo. C'è anche la speculazione, questo è vero, però l'eccessiva richiesta di materie prime, sia alimentari, sia petrolifere, da parte di questi Paesi in via di sviluppo sta portando ad un'inflazione al 4 per cento.
A tal proposito, le decisioni della Banca centrale europea, a nostro avviso, dovrebbero essere criticate da chi tanto vorrebbe tutelare i risparmi delle famiglie ed il loro potere d'acquisto. La Banca centrale europea decide di intervenire con strumenti ordinari di fronte ad una inflazione di tipo straordinario; oggi, infatti, non siamo di fronte ad un'inflazione alta perché aumentano la ricchezza, i salari e la massa monetaria: l'inflazione ordinaria, cioè quella testé descritta, è stabile mentre è l'altra inflazione, quella da importazione e da materie prime, che porta il tasso generale di inflazione oltre il 4 per cento. L'aumento dei tassi di interesse deciso nei giorni scorsi rischia di vanificare il grande sforzo compiuto dal Governo italiano, ma anche dagli altri Governi europei, per cercare di venire incontro alle esigenze delle famiglie.
La Lega, signor Presidente, voterà a favore sulla risoluzione sul DPEF, anche perché all'interno del DPEF è scritto molto chiaro che il federalismo fiscale sarà attuato. La Lega Nord, avvantaggiando tuttoPag. 57il centrodestra, ha avuto un grande risultato elettorale alle ultime elezioni politiche proprio per la battaglia sul federalismo fiscale. Siamo qui per questo e deve essere capito - sia dal Governo sia dalla maggioranza - che i voti che la Lega e il centrodestra hanno preso non possono essere dimenticati e che il federalismo fiscale deve essere attuato (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

Preavviso di votazioni elettroniche (ore 18,40).

PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta potranno aver luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di preavviso di cinque e venti minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del Regolamento.

Si riprende la discussione.

(Ripresa dichiarazioni di voto - Doc. LVII, n. 1)

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cambursano. Ne ha facoltà.

RENATO CAMBURSANO. Signor Presidente, in Commissione e in Aula abbiamo più volte rappresentato quali erano le nostre forti ragioni di contestazione di questo Documento di programmazione economico-finanziaria, che non affronta assolutamente i due nodi principali che il Paese sta attraversando in questo momento: la bassa crescita e la caduta verticale del potere di acquisto delle famiglie. Non li affronta perché evidentemente non ha bene in evidenza quali siano le risorse e gli strumenti da mettere in campo. Che il Paese sia fermo non lo diciamo noi, partiti e gruppi dell'opposizione, in particolare noi del gruppo dell'Italia dei Valori, ma lo hanno detto nelle audizioni svolte tutti i rappresentanti delle varie categorie. Il Paese è fermo, anzi arretra, e le famiglie più deboli (ma non solo più quelle, oramai anche il ceto medio) stanno perdendo davvero la possibilità di arrivare a fine mese.
Questo Documento di programmazione e anche il decreto collegato non rilanciano affatto i consumi interni perché non incrementano il reddito disponibile delle famiglie; non è incrementato soprattutto il reddito delle famiglie dei lavoratori dipendenti e dei pensionati. Il risultato è scritto nel Documento, in quanto si prevede nel corso di questi anni un PIL e una produttività che crescono all'incirca dell'uno per cento annuo; pertanto è assolutamente incapace di affrontare tutti i problemi che abbiamo di fronte.
La ciliegina sulla torta è la programmazione dell'inflazione all'1,7 per cento. Cari amici, credo che sia ben evidente a tutti che, a fronte di un'inflazione al 3 o al 4 per cento complessiva - ma per lo meno di altri due punti percentuali, al 4 o 5 per cento, per quanto riguarda i beni di prima necessità -, programmare un'inflazione all'1,7 per cento vuol dire far ricadere questi due o tre punti percentuali sulle fasce più deboli, cioè sui lavoratori dipendenti nel momento della contrattazione collettiva.
Vi è poi un aumento della pressione fiscale programmata, strutturata, nella misura di cinque miliardi di euro annui - non sono noccioline -, che si traducono in un aumento complessivo dal 42,9 per cento al 43,3, sebbene nel vostro documento di programmazione politica, quello della campagna elettorale, abbiate scritto che l'avreste portata, nel corso di questi anni, al 40 per cento. Pertanto, avete tradito il consenso che l'elettorato vi ha dato, facendo delle false promesse.
Poi, intervenite soprattutto con una riduzione di spese, ma non di quelle correnti, quelle nelle quali dite invece di voler intervenire perché sono dichiarate spese superflue; no, complessivamente le spese correnti diminuiscono nel corso del 2009 di appena 194 milioni di euro, a fronte invece di 5 miliardi di euro di tagli alle spese per investimenti. Su questo fronte è stato lapidario il commento daPag. 58parte dell'associazione nazionale dei costruttori, l'ANCE, che ha detto che i tagli che voi prevedete ammontano complessivamente a 20,7 miliardi di risorse disponibili. Ma come potete pensare di far fronte al grande deficit infrastrutturale di questo Paese tagliando le risorse? Contate sulle risorse dei privati quando, lo sappiamo, essi, se non hanno la certezza del diritto e la certezza dei tempi, non investono un centesimo di euro.
Avete poi operato, signor Presidente, tagli davvero senza criterio nei settori dell'istruzione, della giustizia e della sicurezza. Amici della Lega Nord, come fate a decantare gli interventi di questo Governo sul fronte della sicurezza quando poi tagliate risorse alle forze dell'ordine che non hanno più neanche la benzina da mettere nelle loro automobili e quando bisogna procedere alla chiusura dei commissariati?
Intervenite con la mano pesante anche su altri fronti, come quello della sanità, mi riferisco alla sanità pubblica.
Lei, signor Presidente, è stato Ministro della salute di questo Paese e sa bene cosa vuol dire intervenire con mano pesante tagliando le risorse al settore della sanità: vuol dire che si va verso la delega alla sanità privata. Non ho alcuna posizione aprioristicamente contraria sulla sanità privata, ma certo è che se gli esempi che ci arrivano sono quelli della clinica Santa Rita di Milano, allora i cittadini italiani hanno davvero ben poche speranze!
Mi soffermo ancora un istante, signor Presidente, sulla questione del federalismo richiamando, anche su questo aspetto, l'attenzione della Lega Nord. Da una parte, nel Documento di programmazione economico-finanziaria, dite che nei prossimi mesi, con una legge delega, volete attivare finalmente il federalismo fiscale, ossia completare la riforma del Titolo V della Costituzione. Ebbene, i vostri primi provvedimenti sono: il blocco delle compartecipazioni IRPEF e il taglio dell'ICI, riguardo al quale vi abbiamo detto che i 2 miliardi 600 milioni di euro previsti non erano sufficienti e c'è voluto il Servizio studi del Senato per affermare che l'ammontare complessivo è di 3 miliardi e mezzo. Chi paga 1 miliardo 100 milioni di euro che mancano? I comuni, i quali hanno due strade: o aumentare le risorse attraverso l'imposizione fiscale locale - ma di questo fate loro divieto - oppure tagliare i servizi. Bel risultato, amici della Lega Nord! Noi, dell'Italia dei Valori ribadiamo, in conclusione, che gli obiettivi da raggiungere sul fronte del federalismo fiscale sono: maggiore responsabilità, più efficienza e più concretezza, per dare maggiore competitività, anche tra le regioni, al sistema Paese e - se mi è permesso - anche maggior controllo di gestione, che viene comunemente chiamato accountability.
Qualche giorno fa abbiamo assistito all'aumento di venticinque punti base del tasso di interesse praticato dalla Banca centrale europea; ciò significherà, nel corso dei prossimi tre anni, dieci miliardi di euro in più di interessi che mancheranno all'appuntamento per realizzare quelle cose che, invece, avete previsto nel Documento di programmazione, ma soprattutto si ripercuoterà pesantemente e nuovamente sulle categorie più deboli, sui lavoratori dipendenti e sui pensionati.
Ecco perché, signor Presidente, noi, con la nostra risoluzione, abbiamo puntualmente ripercorso, capitolo per capitolo, voce per voce, i nostri intendimenti, per dare davvero rilancio allo sviluppo di questo Paese (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Lo Monte. Ne ha facoltà, per sette minuti.

CARMELO LO MONTE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il DPEF, il primo della XVI legislatura, rappresenta per noi del Movimento per l'Autonomia un'occasione importante, in quanto definisce le scelte di politica economica e finanziaria della nuova maggioranza che governa il Paese. Prendiamo atto del fatto che il Governo si è trovato costretto ad assumere delle decisioni importanti in una situazione internazionale estremamente particolarePag. 59e difficile, con l'aumento crescente del costo delle materie prime, che incide pesantemente sull'aumento dell'inflazione, facendo crescere, soprattutto nel Mezzogiorno, il tasso di povertà e la preoccupazione per il futuro. A ciò si aggiunge, per la nostra economia, il permanere di un divario di crescita con l'area euro pari ad un punto percentuale l'anno. Ciò è sintomo di una bassa produttività, della scarsa competitività delle imprese e di rilevanti problemi strutturali che certamente non favoriscono il risanamento della finanza pubblica né tutte le risorse necessarie per gli investimenti.
In questa situazione, quanto risulta in tutta evidenza è la realtà preoccupante che si vive nel Mezzogiorno. Sul mercato del lavoro, nell'ultimo biennio, si sono manifestate difficoltà a mantenere i livelli occupazionali raggiunti, con gli occupanti a tempo indeterminato scesi di oltre 56 mila unità.
Le imprese del Meridione, soprattutto nei settori del manifatturiero tradizionale, vivono un momento difficile e ulteriormente aggravato dai problemi di natura strutturale, con evidente perdita di competitività.
Permane il divario di sviluppo tra le varie aree del Paese. Nel 2007 la crescita del PIL, pari all'1,6 per cento nel centro nord, è stata dello 0,9 per cento nel Mezzogiorno. Tuttavia, i problemi per il Mezzogiorno sono di carattere più ampio. Ad esempio, è noto a tutti il divario crescente che si sta determinando nel sistema scolastico tra la realtà esistente nelle regioni del nord e del centro d'Italia rispetto a quella del sud, con il rischio per i giovani meridionali di essere ulteriormente emarginati dal mercato del lavoro.
Per questo motivo, pur apprezzando l'accoglimento da parte della maggioranza di alcuni temi da noi sollecitati, ci saremmo aspettati una maggiore attenzione, anche in una congiuntura economica difficile per il Paese, per quanto riguarda il sud e le infrastrutture. L'Italia continua a soffrire un gap infrastrutturale nei confronti degli altri Paesi europei, ma è il gap infrastrutturale del sud che ci preoccupa e che impedisce al Mezzogiorno di sviluppare in pieno le grandi risorse ancora inespresse. Incentivare le politiche per lo sviluppo del Mezzogiorno rappresenta un'opportunità di progresso economico per l'intero Paese, non solo perché il sud possiede le maggiori potenzialità di crescita produttiva, spazi fisici ed economici, risorse materiali e immateriali, ma perché possiede le potenzialità per accrescere il livello di competitività complessiva di tutta l'Italia.
Alcuni dati ci aiutano meglio ad esprimere quanto ora detto: l'Italia negli ultimi dieci anni ha investito 120 miliardi di euro in meno rispetto alla media dei Paesi europei e la quota del reddito nazionale investita nelle opere pubbliche è del 2 per cento, mentre la media europea è quasi del 3 per cento. Si tratta, come appare evidente, di circa un punto in meno sul prodotto interno lordo.
Come se non bastasse il taglio di quasi due miliardi di euro per le opere infrastrutturali per il Mezzogiorno, abbiamo assistito ad un Allegato infrastrutture al DPEF che rinnova un elenco di opere cantierabili in gran parte nel nord, con una citazione per il ponte di Messina che rappresenta uno dei punti programmatici della maggioranza. Tuttavia, restano non indicate le risorse finanziarie ad esso destinate e, comunque, in quell'elenco vi è la mancanza di un progetto di rilancio complessivo delle infrastrutture nel sud.
Noi e le popolazioni del sud non possiamo accettare che non vi sia un incremento di risorse specifiche per il sud, non solo prevedendo la destinazione dei fondi FAS (che sono risorse aggiuntive per le aree sottoutilizzate), ma intervenendo per restituire e incrementare le risorse ordinarie e prevedendo un piano decennale teso a recuperare il gap infrastrutturale attualmente esistente tra il Mezzogiorno e il resto d'Italia.
Le popolazioni del sud ci chiedono ciò e su questo aspetto costatiamo una certa confusione in merito alla destinazione degli interventi pubblici che, se si vuole uscire dall'attuale situazione di crisi diPag. 60investimenti, debbono essere utilizzati soprattutto per sanare i gravi squilibri territoriali e sociali del Paese.
Dell'intera manovra il Movimento per l'Autonomia apprezza alcune scelte come i tagli alla spesa, l'abolizione del divieto di cumulo, la semplificazione legislativa e le misure per la pubblica amministrazione. Tuttavia, particolarmente preoccupante ci appare la scelta (come abbiamo avuto modo di denunciare in più occasioni), avviata con recenti provvedimenti all'esame della Camera, di distrarre circa dieci miliardi di euro dal Mezzogiorno. In questo modo, da una parte, si vanifica il credito di imposta per gli investimenti nel sud del Paese quale leva e strumento di sostegno agli investimenti volto ad una strutturale riorganizzazione dei sistemi di incentivazione e, dall'altro, si tagliano gli investimenti per le infrastrutture in Sicilia e in Calabria, il cui effetto sarà quello di marginalizzare ulteriormente il sud escludendolo dal volano dello sviluppo nazionale.
Svolte queste considerazioni, che riteniamo un contributo importante per tutta la maggioranza, auspichiamo, in vista delle scelte politiche che attueremo nel corso dell'attuale legislatura, che vi sia un tavolo di consultazione permanente tra tutte le forze della maggioranza.
Preso atto con favore dell'accoglimento nella risoluzione della maggioranza di alcune nostre importanti osservazioni, preannunziamo il nostro voto favorevole sul Documento di programmazione economico-finanziaria.
In questa sede, confermando la nostra piena lealtà alla maggioranza, intendiamo ribadire con convinzione che il Movimento per l'Autonomia continuerà, nel suo mandato parlamentare, a spendersi per lo sviluppo del Mezzogiorno, a vigilare sulla concreta attuazione del programma del Governo Berlusconi e ad essere punto di riferimento per le istanze delle popolazioni meridionali (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Movimento per l'Autonomia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Ventura. Ne ha facoltà, per dieci minuti.

MICHELE VENTURA. Signor Presidente, assumerò come riferimento per alcune valutazioni la replica svolta oggi dall'onorevole Vegas in Aula alla chiusura della discussione. L'onorevole Vegas ha difeso, ovviamente, l'impostazione del Governo sul problema dei tempi e del metodo, affermando che il Parlamento doveva obbligatoriamente esaminare, affrontare e, quindi, approvare il DPEF, il decreto-legge e il disegno di legge. Onorevole Vegas, non contesto questo. Noi abbiamo sollevato un'altra questione, dicendo che non ritroviamo le nostre priorità nel DPEF, né nella manovra.
Le nostre priorità, come sapete, riguardano la crescita del Paese e i redditi dei lavoratori e dei pensionati. Colleghi della maggioranza, voi avete stabilito altre priorità e, se mi consentite di dirlo così, lo abbiamo visto plasticamente anche da come stanno andando oggi i lavori, dall'attenzione con la quale si segue la chiusura di una risoluzione quale quella sul Documento di programmazione economico-finanziaria, dal silenzio assoluto che avevamo quando si è affrontata la questione del «lodo Alfano». Infatti, la priorità che voi avete posto di fronte al Paese non riguardava, per l'appunto, le materie del DPEF, ma il «blocca processi» e poi il «lodo Alfano».
Questa è la verità di fronte alla quale ci troviamo. Quali sono le osservazioni che abbiamo avanzato nei confronti del DPEF? Il fatto che voi non abbiate presentato una manovra o una previsione basata sullo sviluppo. Quello che colpisce in questo Documento è la bassa crescita che proponete, che si traduce, nell'ultimo anno, in un incremento del PIL solo dell'1,5 per cento.
È una bassa crescita che, come ha spiegato stamani il sottosegretario Vegas, trova le sue motivazioni, anzi lo sviluppo che dovrebbe esserci, in questa fantastica teoria: «a costo zero».
Il sottosegretario Vegas ha utilizzato questa frase per dire che non è possibile avere risorse aggiuntive per favorire loPag. 61sviluppo. Ho seguito con particolare attenzione i DPEF degli ultimi anni, anche quelli presentati dal centrosinistra, e ho in mente - non so se sia in Aula questa sera - l'onorevole La Malfa e altri, che potremmo mettere nella categoria degli sviluppisti, che negli anni passati, di fronte alle nostre previsioni, chiedevano angosciati: ma la crescita dov'è? Perché non presentate un Documento che preveda la crescita?
L'onorevole La Malfa oggi ha taciuto perché non so cosa avrebbe potuto dichiarare di fronte a una previsione di incremento dello 0,9 per cento per il 2009, dell'1,2 per il 2010 e così via.
L'osservazione che rivolgiamo a questo Documento, onorevoli colleghi, è che non affronta in termini di sviluppo e quindi di risposta, né nel breve, né nel medio periodo, le esigenze di sviluppo della società. Dico nel breve periodo, perché non affrontate il problema dei consumi intervenendo sui redditi dei pensionati e dei lavoratori che sono la vera priorità, come abbiamo indicato nel corso dei lavori e dell'esame del Documento di programmazione economico-finanziaria.
Sono rimasto stupito da un'affermazione del sottosegretario Vegas di questa mattina a proposito dell'inflazione programmata. Il sottosegretario Vegas ha affermato che non possiamo elevare la previsione sul tasso d'inflazione, che come sappiamo tutti è dell'1,7 per cento (e, quindi, al di sotto dell'inflazione reale di due punti percentuali, attestandosi questa tra il 3,6 e il 3,7 per cento), perché coloro che soffrono di più per un'alta inflazione sono i ceti più deboli. È verissimo, sottosegretario Vegas, ma non forniamo soccorso e conforto ai ceti più deboli dicendo sulla carta che manteniamo l'inflazione all'1,7 per cento, se poi la pagano al 3,6! Si tratta di un modo per nascondere effetti reali e presentare una realtà virtuale che noi non possiamo accettare. Ecco perché tra le nostre priorità abbiamo affermato che avreste dovuto portare il tasso di inflazione programmata a livelli vicini alla realtà e non nascondere la verità. Nell'immediato, al contrario, non avremo alcun intervento sui salari, sui pensionati e nessun intervento per una revisione del tasso programmato di inflazione.
Vorrei, onorevoli colleghi, che si riflettesse su un punto ancora più preoccupante per quello che riguarda la prospettiva: la caduta degli investimenti nel medio periodo. Si registra una previsione per gli investimenti, la parte del conto capitale, che torna ai livelli più bassi rispetto al 1996. Vi è una caduta degli investimenti di alcuni miliardi di euro già prevista per il prossimo anno che riguarderà le grandi infrastrutture. Anche per quello che riguarda il medio periodo vi è, quindi, una situazione di sostanziale blocco, di impaccio, di scardinamento di ciò che era stato previsto. Ciò che non è stato spiegato nel corso del dibattito in Commissione è il motivo di questo smantellamento, di queste forme di abbandono di una politica di investimenti che è la sola che, nel medio periodo, può creare le condizioni di una crescita stabile del prodotto interno lordo.
Infine, onorevoli colleghi, ci siamo trovati di fronte ad una situazione francamente inspiegabile e inaccettabile da ogni punto di vista. Mi riferisco ai tagli cui altri colleghi hanno già fatto riferimento, come quello di un miliardo di euro previsto in tema di sicurezza. Ma davvero credete - mi rivolgo a tutti colleghi di quest'Aula - che sia accettabile far ragionare e discutere il Paese sulle impronte ai ragazzini, ai bambini, ai bimbi rom, e, allo stesso tempo, tagliare un miliardo di risorse per le politiche per la sicurezza (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico)?
Davvero pensiamo che con questo modo di agire, che scardina profondamente fatti profondi nella società, possano essere risolti i problemi? Mi avvio alla conclusione, signor Presidente. Vi è un punto che vorrei ulteriormente richiamare e ne ha parlato anche l'onorevole Tabacci: è la paura, l'insicurezza che viene diffusa nella società. Come può esserci crescita in una società che è continuamente soggetta a iniezioni di insicurezza? Se una persona legge quel libro di Tremonti, signor Presidente, viene fuori questa nostalgia per i bei tempi andati, e si fa riferimento aPag. 62come potevamo intervenire dieci anni fa sulla globalizzazione, questo mondo mercatista che viene condannato in questa forma in nome di ideali che non vengono meglio definiti. Così una persona riflette sull'idea dell'Occidente assediato e sente Berlusconi, in un intervento di ieri, che afferma: Questo club dei G8 andrebbe forse rivisto, ma manteniamolo in mano all'Occidente.
Così si propone questa idea di questo Occidente assediato. Per questo non potete avere in mente politiche di sviluppo: perché l'idea che avete è quella dell'arroccamento, mentre tutto dovrebbe spingere verso l'apertura per rapporti nuovi con Paesi che ormai si sono incamminati sulla via dello sviluppo (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cazzola. Ne ha facoltà, per dieci minuti.

GIULIANO CAZZOLA. Signor Presidente, con il voto che l'Assemblea si appresta a pronunciare il Governo e la maggioranza aprono un altro capitolo del progetto di innovazione che hanno promesso al Paese. Un indiscutibile merito del Documento di programmazione economico-finanziaria sta proprio nella sua contestualità con la manovra economica che il Governo non ha voluto solo anticipare, ma ha inteso proiettare in una prospettiva triennale, a conclusione della quale il nostro Paese raggiungerà l'obiettivo storico del pareggio di bilancio dopo aver realizzato l'altro obiettivo storico del federalismo.
Con la scelta della contestualità il Governo fornisce una risposta positiva alle critiche da tempo rivolte alle procedure della manovra di bilancio e segnatamente alla ricorrente dissociazione tra le linee di un DPEF varate in estate e i contenuti della manovra vera e propria che arrivava in Parlamento a settembre e vi restava fino a Natale. Queste considerazioni non sono di chi vi parla, onorevoli colleghi. Col suo permesso, signor Presidente, cito testualmente quanto stava scritto nel Libro verde sulla spesa pubblica predisposto dal Ministro Padoa Schioppa nella passata legislatura. Gli obiettivi macroeconomici di finanza pubblica illustrati nel DPEF - sosteneva allora il «superministro» di Prodi - rimangono spesso scollegati dai processi amministrativi di gestione della spesa pubblica. Il processo di presentazione delle proposte di variazione della legislazione vigente - proseguiva il Libro verde sulla spesa pubblica - non è definito né dalla normativa né dalla prassi e si realizza attraverso un approccio, a volte disorganico, che non garantisce una coerenza con gli obiettivi di finanza pubblica, non solo con riferimento ai saldi, ma anche con riferimento agli obiettivi di contenimento della dinamica della spesa pubblica. Ciò implica - proseguiva il documento citato - una predisposizione convulsa durante le ultime settimane di settembre, con il rischio di errori materiali e formali.
La scelta compiuta dal Governo dunque valorizza il ruolo del DPEF proprio perché ne rende credibili gli obiettivi. Per la prima volta, dopo anni, un Governo della Repubblica non si è limitato a scrivere delle promesse in un Documento di programmazione, ma ha preso con chiarezza e trasparenza degli impegni, predisponendo le norme di legge e agendo d'anticipo e di urgenza in un contesto difficile dell'economia.
Voglio ricordare a chi mi ha preceduto che in quest'Aula non è passato il taglia-processi ma sono stati approvati due decreti-legge, uno dei quali sui rifiuti della Campania, con l'astensione dell'opposizione, l'altro, il decreto-legge riguardante il potere di acquisto delle famiglie che, bene o male, ha affrontato anche i problemi degli italiani.

PRESIDENTE. Onorevole Cazzola, mi scusi. Se, nel prendere posto per l'imminente votazione, i colleghi lo fanno in silenzio, l'onorevole Cazzola può svolgere meglio il proprio intervento.

GIULIANO CAZZOLA. Grazie, signor Presidente. Si è detto che sarà incrementataPag. 63la pressione fiscale: in realtà, non sono affatto pregiudicati gli impegni futuri a ridurre la pressione fiscale al di sotto del 40 per cento entro la fine della legislatura, come promesso in campagna elettorale.
Nel DPEF viene indicato un aumento contingente mirato e circoscritto, dipendente dalle misure fiscali che colpiscono alcune grandi imprese operanti in particolari settori ad alto profitto e talune agevolazioni fiscali ormai ingiustificate. Il Governo, invece, ha mantenuto la promessa di non mettere le mani in tasca agli italiani, ai quali, invece, sono state redistribuite riduzioni fiscali pari a 1,7 miliardi per l'ICI e a 650 milioni per la detassazione dei premi e degli straordinari.
Parte delle maggiori entrate sarà restituito ai cittadini che versano in più gravi condizioni attraverso la cosiddetta social card, che servirà per acquistare prodotti alimentari e pagare le bollette. Tale proposta ha ricevuto solo critiche astiose e superficiali. Ovviamente sulla social card si dovranno attendere le norme di attuazione, senza trionfalismi, prima di esprimere giudizi definitivi.
Per adesso, onorevoli colleghi, è sufficiente dare la parola a Maurizio Ferrera, un autorevolissimo studioso di politica sociale, fino a prova contraria vicino al Partito Democratico. Ferrera, in un articolo su Il Corriere della sera del 3 luglio ha sospeso correttamente il giudizio sulla carta sociale prepagata, rinviandolo a quando il progetto sarà definito ma si è dilungato a spiegare in termini positivi un'esperienza non troppo dissimile già da tempo in corso negli Stati Uniti d'America: il cosiddetto Food stamp program. I beneficiari del programma, circa 26 milioni, ricevono dall'amministrazione una carta elettronica che consente loro di acquistare a prezzi scontati prodotti alimentari presso supermercati convenzionati.
Quanto agli aspetti strutturali, vi è assoluta coerenza tra il DPEF e la manovra. In proposito, mi limito a sottolineare due aspetti: da un lato, i provvedimenti di deregolazione del lavoro, che vengono dopo le misure di detassazione e che possono dare nuovo impulso all'occupazione, dall'altro, il ruolo strategico che assume il piano industriale della pubblica amministrazione.
Nel DPEF è soprattutto quest'ultima riforma ad avere in carico la sfida di dare maggiore competitività al Paese: si calcola, infatti, che una riduzione dei costi dello Stato nell'ordine del 25 per cento da realizzare entro il 2012 produrrebbe un impatto complessivo potenziale stimato in 75 miliardi di euro. Per questo motivo, a quanti sostengono che nel DPEF manca lo sviluppo, rispondiamo che non vi è ricetta migliore per la crescita economica del risanamento in vista del pareggio di bilancio. Il documento punta proprio sulla riduzione della spesa corrente per recuperare margini notevoli di competitività. Anche in questo campo il Governo non si nasconde dietro enunciazioni generali, generiche e buoniste della lotta agli sprechi.
È evidente che un contenimento del peso della pubblica amministrazione richiede anche politiche più rigorose nella gestione del personale pubblico, a partire dagli organici e dalle retribuzioni.
Negli ultimi otto anni, dal 2000 al 2007 compreso, secondo i dati ISTAT le retribuzioni di fatto dei dipendenti pubblici sono aumentate del 35 per cento - il doppio dell'inflazione, che si è fermata al 17 per cento -, molto più delle retribuzioni dei lavoratori privati che hanno conseguito incrementi del 20 per cento.
Se i vari Governi di questi anni fossero riusciti a retribuire i dipendenti pubblici con gli stessi criteri dei privati avrebbero risparmiato una somma pari a 60 miliardi di euro: 7,5 miliardi di euro ogni anno, che rappresentano esattamente l'apertura, l'incipit del programma del Partito Democratico, laddove si indica una riduzione della spesa corrente di mezzo punto, nel primo anno, e di un punto negli anni successivi.
Arriviamo così alla questione del tasso di inflazione programmato: constatiamo una ripresa preoccupante dell'inflazione e riteniamo che non sarebbe una politica saggia consolidarne gli effetti attraverso una rincorsa prezzi-salari, tanto più che si tratta largamente di inflazione importata.Pag. 64
A tale proposito, mi sia consentita, signor Presidente, un'ultima citazione. Un autorevole economista come Mario Deaglio ha scritto su La Stampa del 2 luglio (sia l'autore sia il quotidiano non sono sicuramente amici del Governo) quanto segue: «L'inflazione attuale deriva prevalentemente dall'aumento dei prezzi dei beni importanti e tale aumento non ha ancora scatenato un'ondata di aumenti salariali, tesi a ripristinare il potere d'acquisto perduto». Aggiunge Deaglio: «Se e quando questa ondata si scatenerà, l'inflazione si diffonderà in ogni settore e sarà molto più difficile curarla».
Ecco perché, signor Presidente, consideriamo coerente l'obiettivo dell'inflazione programmata all'1,7 per cento nel 2008 e all'1,5 per cento per gli anni successivi, proprio per evitare, in linea con l'indicazione della BCE, la spirale prezzi-salari e per non perdere competitività, convinti come siamo che il potere d'acquisto delle retribuzioni si difende, contrastando l'inflazione con misure idonee, non inseguendone gli effetti.
Sono queste, signor Presidente, alcune delle principali considerazioni contenute nella risoluzione Cicchitto, Cota e Lo Monte su cui il gruppo Popolo della Libertà esprimerà voto favorevole, nella certezza di assicurare così al Paese crescita, stabilità e coesione sociale (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Sono così concluse le dichiarazioni di voto.

(Votazione - Doc. LVII, n. 1)

PRESIDENTE. Passiamo ai voti. Avverto che è stato chiesta la votazione nominale mediante procedimento elettronico.
Indico la votazione nominale mediante procedimento elettronico sulla risoluzione Cicchitto, Cota e Lo Monte n. 6-00004 (Nuova formulazione), accettata dal Governo.
(Segue la votazione).
L'onorevole Vietti raggiunga la sua postazione.

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione:

Presenti 536
Votanti 532
Astenuti 4
Maggioranza 267
Hanno votato 292
Hanno votato no 240
(La Camera approva - Vedi votazionia ).

Prendo atto che la deputata Rossa ha segnalato che non è riuscita ad esprimere voto contrario.

Sono così precluse le altre risoluzioni presentate.

Seguito della discussione delle mozioni Vico ed altri n. 1-00007, Raisi ed altri n. 1-00020, Polledri ed altri n. 1-00021 e Anna Teresa Formisano ed altri n. 1-00022 concernenti iniziative in materia di marchio d'origine ed etichettatura dei prodotti (ore 19,18).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'esame delle mozioni Vico ed altri n. 1-00007, Raisi ed altri n. 1-00020, Polledri ed altri n. 1-00021 e Anna Teresa Formisano ed altri n. 1-00022 concernenti iniziative in materia di marchio d'origine ed etichettatura dei prodotti (vedi allegato A - Mozioni).
Ricordo che nella seduta di lunedì 7 luglio 2008 si è conclusa la discussione sulle linee generali delle mozioni ed è intervenuto il rappresentante del Governo.

(Parere del Governo)

PRESIDENTE. Invito il rappresentante del Governo ad esprimere il parere sulle mozioni all'ordine del giorno.

Pag. 65

PAOLO ROMANI, Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico. Signor Presidente, prima di esprimere il parere del Governo, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo del mio intervento.

PRESIDENTE. La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.

PAOLO ROMANI, Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico. Signor Presidente, il Governo accetta le mozioni Vico ed altri n. 1-00007 e Raisi ed altri n. 1-00020.
Per quanto riguarda la mozione Polledri ed altri n. 1-00021 il Governo propone una minima modifica dell'ultimo capoverso del dispositivo: sostituire l'espressione: «per essere delegate ad un Sottosegretario di Stato» con l'espressione: «per essere possibilmente delegate ad un Sottosegretario di Stato».
Il Governo accetta il dispositivo della mozione Anna Teresa Formisano ed altri n. 1-00022, a condizione che sia riformulato nel modo seguente: eliminare il secondo al capoverso, cioè quello che inizia con le parole: «a valutare l'opportunità» ed inserire nel primo capoverso, dopo le parole: «ad adottare le iniziative legislative più opportune», le seguenti parole: «, nel rispetto della normativa comunitaria».

PRESIDENTE. Onorevole Polledri, accetta la riformulazione proposta dal Governo della sua mozione n. 1-00021?

MASSIMO POLLEDRI. Sì, signor Presidente.

PRESIDENTE. Onorevole Formisano, accetta la riformulazione proposta dal Governo della sua mozione n. 1-00022?

ANNA TERESA FORMISANO. Sì, signor Presidente.

(Dichiarazioni di voto)

PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Anna Teresa Formisano. Ne ha facoltà.

ANNA TERESA FORMISANO. Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo della mia dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Onorevole Formisano, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Polledri. Ne ha facoltà.

MASSIMO POLLEDRI. Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo della mia dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Onorevole Polledri, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Vico. Ne ha facoltà.

LUDOVICO VICO. Signor Presidente, mi riservo di consegnare il testo della mia dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Sta bene.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Raisi. Ne ha facoltà.

ENZO RAISI. Signor Presidente, mi riservo eventualmente di consegnare il testo della mia dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Sta bene.
Sono così esaurite le dichiarazioni di voto.

(Votazioni)

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.Pag. 66
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Vico ed altri n. 1-00007, accettata dal Governo.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti 532
Votanti 530
Astenuti 2
Maggioranza 266
Hanno votato
530).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Raisi ed altri n. 1-00020, accettata dal Governo.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti 531
Votanti 527
Astenuti 4
Maggioranza 264
Hanno votato
527).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Polledri ed altri n. 1-00021, nel testo riformulato, accettata dal Governo.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti 536
Votanti 530
Astenuti 6
Maggioranza 266
Hanno votato
530).

Prendo atto che il deputato Misiti ha segnalato che non è riuscito ad esprimere voto favorevole.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Anna Teresa Formisano ed altri n. 1-00022, nel testo riformulato, accettata dal Governo.

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti 532
Votanti 524
Astenuti 8
Maggioranza 263
Hanno votato
523
Hanno votato
no 1).

Nuova convocazione della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi per la sua costituzione (ore 19,20).

PRESIDENTE. Comunico che, nella seduta di mercoledì 25 giugno 2008, la Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi non ha potuto procedere alla propria costituzione.
D'intesa con la Presidenza del Senato, la predetta Commissione è stata pertanto nuovamente convocata per giovedì 10 luglio 2008, alle ore 8,30, nella sede di palazzo del Seminario.

Nuova convocazione della Delegazione presso l'Assemblea parlamentare della NATO per la sua costituzione (ore 19,21).

PRESIDENTE. Comunico che, nella seduta di giovedì 26 giugno 2008, la Delegazione presso l'Assemblea parlamentare della NATO non ha potuto procedere alla propria costituzione.
D'intesa con la Presidenza del Senato, la predetta Delegazione è stata pertantoPag. 67nuovamente convocata per giovedì 10 luglio 2008, alle ore 8,30, presso il Senato della Repubblica.

Sull'ordine dei lavori (ore 19,23).

GIANCARLO LEHNER. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIANCARLO LEHNER. Signor Presidente, volevo dare un'informazione ai colleghi a proposito di un atto vandalico avvenuto al «Giardino della memoria» a Levico Terme. A Levico Terme, ogni primavera, si pianta un albero e accanto ad esso c'è una stele con il nome di un «giusto». I «giusti» sono vittime della barbarie del secolo scorso.
Ebbene, di notte alcuni vandali hanno sporcato alcune stele, scegliendo, in maniera particolare, alberi e stele che portavano i nomi di vittime italiane del comunismo e di infoibati.
Volevo chiedere all'Assemblea un segno di solidarietà verso coloro che a Levico Terme, ogni anno, curano la formazione e l'ampliamento di questo straordinario e bel «Giardino della memoria» (Applausi).

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Lehner. Riferirò al Presidente della Camera in relazione alla sua richiesta.

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, parlo a fine seduta, come prescrive il Regolamento, anche se, ovviamente, sarebbe stato opportuno dire qualcosa dopo che il Presidente della Camera aveva risposto, ma è del tutto evidente che lì si chiudeva l'argomento nel corso della seduta.
Vorrei, però, lasciare questo intervento agli atti, visto che il Presidente, nella sua replica, è sembrato non aver neanche ascoltato quello che, nella fattispecie, avevo detto. Sono intervenuto, infatti, su una materia tecnica, per un richiamo al regolamento, non facendo considerazioni politiche, e cercando, con grande umiltà, di evidenziare un punto che mi sembrava non essere stato trattato, nel momento in cui il Presidente della Camera aveva deciso di confermare, sulla base di un precedente che non era più tale, un'interpretazione regolamentare in funzione della quale non si poteva che ricorrere al contingentamento dei tempi.
Poiché nella sua replica, forse urtato da considerazioni politiche - non certo quelle che ho fatto io - ha sostenuto che nessuno aveva fatto altro che considerazioni politiche e posto, invece, problematicità rispetto agli aspetti procedurali e regolamentari, vorrei semplicemente che rimanesse agli atti, per i posteri, che questo non è accaduto.
Non ha neanche ritenuto di doverlo considerare nella Conferenza dei presidenti di gruppo, in cui, pervicacemente, è andato avanti, secondo la sua errata, a mio avviso, interpretazione. Ma che rimanga agli atti che non è vero che tutti avevano fatto solo considerazioni politiche: qualcuno ha ritenuto di fare considerazioni di merito, alle quali egli ha ritenuto di non rispondere, come, d'altra parte, spesso gli capita di fare quando vengono poste questioni non politiche, ma di merito.

PRESIDENTE. Onorevole Giachetti, richiamerò l'attenzione del Presidente sul suo intervento.
Avverto che lo schema recante l'organizzazione dei tempia relativo al disegno di legge atto Camera n. 1442, Disposizioni in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato, sarà pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta odierna.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Pag. 68

Mercoledì 9 luglio 2008, alle 15:

1. - Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata.

2. - Discussione del disegno di legge (per la discussione sulle linee generali):
Disposizioni in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato (1442).

La seduta termina alle 19,30.

TESTO INTEGRALE DEGLI INTERVENTI DEI DEPUTATI FRANCESCO NUCARA E FRANCO NARDUCCI IN SEDE DI DISCUSSIONE DEL DOC. LVII, N. 1.

FRANCESCO NUCARA. Il Partito repubblicano voterà a favore del Documento di programmazione economico-finanziaria. Lo farà con convinzione, non nascondendosi, tuttavia, perplessità e riserve. La convinzione nasce dalla lunga storia del partito, da sempre attento ai temi della finanza pubblica e del suo equilibrio. Nella passata legislatura, pur dall'opposizione, abbiamo più volte invitato il Ministro pro tempore dell'economia ad andare avanti sulla strada del rigore, manifestandogli appoggio e simpatia. Se siamo rimasti delusi è solo perché alle parole non sono seguiti i fatti, in un continuo cedimento alle richieste massimalistiche di quella variopinta coalizione.
A maggior ragione rinnoviamo l'invito nei confronti di Giulio Tremonti. Vada avanti, signor Ministro. Non abbia paura delle reazioni degli scontenti. Ci sono sempre stati nelle vicende politiche italiane. Ma la storia ha dimostrato quanto deboli fossero quelle preoccupazioni di fronte alle reali necessità del Paese. Per andare avanti, tuttavia, occorre uscire dall'emergenza. Il decreto-legge al nostro esame non può che essere un primo passo nella giusta direzione. L'aver anticipato la manovra triennale è importante, ma non può trasformarsi in una scorciatoia. Sulla sfondo c'è la necessità di riformare profondamente le procedure di bilancio e le regole che ne sorreggono l'approvazione. Non farlo significherebbe alterare profondamente i rapporti costituzionali che regolano il confronto tra Governo e Parlamento.
Accettiamo, quindi, questa procedura sincopata. In base alla quale in meno di 30 giorni occorre approvare un provvedimento che ha la dimensione normativa che tutti conosciamo. In prospettiva non può essere questo lo standard che regola i rapporti tra il potere legislativo e quello esecutivo. Se così fosse non solo verrebbe meno ogni regola democratica, ma paradossalmente lo stesso Governo si troverebbe indebolito di fronte alla reazione di coloro che sono colpiti dai provvedimenti di rigore. Attenti, quindi, agli eccessi di semplificazione. La società italiana resta una società complessa. Richiede pertanto una governance adeguata, specie se si vuole portare avanti un processo di modernizzazione.
La riserve nascono, invece, dalla qualità della manovra che speriamo possa essere corretta, nel corso dei prossimi anni. Oggi scontiamo, infatti, un quadro congiunturale particolarmente preoccupante. Segnato da una doppia crisi: interna, con il crollo dei consumi, ed internazionale, dove si sommano problemi reali - il maggior consumo dei paesi fino a ieri posti ai margini dello sviluppo - e pura speculazione. Speriamo che, a partire dal prossimo anno, il quadro possa rasserenarsi e quindi offrire anche all'economia italiana margini ulteriori. L'obiettivo è quello contenuto nel programma elettorale del Popolo delle libertà: una riduzione della pressione fiscale e maggiori investimenti nelle infrastrutture.
Le tasse vanno abbassate per ridare competitività alle imprese italiane, riducendo il costo del lavoro, e garantendo un maggior potere di acquisto, specie da parte dei meno abbienti. Le infrastrutture vanno create per ridurre quel gap che ci divide - a partire dal Mezzogiorno - dal resto dell'Europa. Per farlo è necessario ridurre ulteriormente la spesa corrente. Obiettivo che il decreto-legge trascura notevolmente.Pag. 69Ma la via maestra per realizzare questo obiettivo non sono i tagli orizzontali sperimentati in passato. Occorrono invece regole nuove che consentano al Parlamento di controllare la qualità della spesa ed i programmi di intervento. Occorre, in altri termini, dare all'esperimento della spending review una torsione di carattere istituzionale che oggi manca. E su questo terreno impegnare il Parlamento che resta comunque l'organo della sovranità popolare.
Operazione tanto più necessaria se alla ripresa autunnale si comincerà a parlare di federalismo. Questa carta può rappresentare un momento importante per la riforma dello Stato. Ma lo sarà solo se i nuovi assetti istituzionali faranno parte di un disegno più complessivo dove sia possibile coniugare libertà di scelta e responsabilità. Ma potremmo farlo se il bilancio centrale dello Stato resta quel documento oscuro ed inconcludente, ai fini di un giudizio sulle policy seguite? Se non riusciamo a controllare la qualità della spesa centrale, dove pure esistono competenze tecniche di gran lunga superiori a quelle locali, come potremo farlo per le Regioni, le Province ed i Comuni? Ecco allora che il federalismo, giusto in sé, assume un aspetto più problematico. Il Partito repubblicano, in passato, è stato sempre molto tiepido con le ipotesi di decentramento istituzionale. Temeva, cosa che si è puntualmente verificata, una forte lievitazione della spesa e controlli inadeguati. Dobbiamo evitare di ripetere quell'esperienza. Il che potrà avvenire solo se affronteremo nella sua interezza il problema dei controlli pubblici sulla spesa. Cambiando sia la struttura dello Stato centrale che le istituzioni locali.
Questa è la via maestra che può consentire alla diverse parti del Paese di contribuire alla realizzazione di un unico disegno: fondato sulla ripresa del tasso di sviluppo. Che costituisce la precondizione per qualsiasi azione futura. E sviluppo significa, soprattutto, rilancio del Mezzogiorno dove esistono le risorse umane e gli spazi fisici necessari. Dobbiamo superare rapidamente la retorica degli anni passati: quando si parlava della centralità del problema. Ma, poi, alle parole non seguiva alcun fatto concreto. Il Mezzogiorno questa lezione l'ha capita. Ha capito, cioè, che lo sviluppo può essere solo figlio di un impegno diretto, in prima persona. Non teme quindi la discussione sul federalismo. Pone solo una condizione: che si abbia contezza della prospettiva. I nuovi assetti istituzionali del Paese non possono essere la risultante dell'afasia congiunturale, all'insegna del «prendi i soldi e scappa». Devono invece misurarsi con i passi lunghi della storia. Se questo sarà lo spirito, non mancherà un contributo originale, nell'interesse di quelle Terre, ma soprattutto dell'intero Paese.

FRANCO NARDUCCI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il Documento di programmazione economico-finanziaria che stiamo discutendo esplicita con concretezza la strategia di politica economia e di finanza pubblica che il Governo intende attuare nel triennio 2009-2011. Io ritengo che si debba discutere sulla semplificazione introdotta dal Governo ai fini della programmazione economica, poiché i problemi del Paese richiedono risposte urgenti e conoscere già oggi molte delle norme che comporranno la legge finanziaria è sicuramente rilevante ma ritengo anche che la potestà e il rispetto del Parlamento debbano essere difesi e preservati. Con altrettanta chiarezza sottolineo l'inadeguatezza della politica economica tratteggiata nel DPEF per far fronte ai problemi del Paese.
Così com'è, la manovra del Governo anziché infondere coraggio ai cittadini e rilanciare i consumi, indebolisce ulteriormente i ceti medi, o quel che ne rimane, con misure apparentemente popolari ma fortemente demagogiche come la «Socialcard» per gli anziani, la Robin Tax o la banca del Sud. Ma io mi chiedo; e il popolo italiano si dovrebbe chiedere, è possibile che non vi siano modalità meno umilianti per affrontare le difficoltà dei cittadini economicamente più deboli? Possibile che si debba qualificare con questo strumento chi è povero ed ha bisognoPag. 70dell'elemosina? Signor Presidente, professionalmente mi sono occupato ai massimi livelli di sicurezza sociale sia in Svizzera che in Germania e devo rimarcare che in quei paesi i problemi dell'impoverimento che colpisce gli anziani e altre fasce di popolazione vengono affrontati con strumenti più dignitosi, come per altro abbiamo sempre fatto in Italia. Pochi giorni fa i pensionati hanno ricevuto la quattordicesima introdotta dal Governo Prodi, versata anche ai cittadini italiani residenti all'estero che ne hanno diritto. Ed è una bella differenza, onorevoli colleghi; mentre nella passata legislatura molto è stato fatto per dare qualità e intensità alle relazioni tra la Madrepatria e la vasta comunità di cittadini italiani e di origine italiana che vive all'estero, relazioni da cui dipendono aspetti fondamentali per la bilancia commerciale e dei pagamenti, come il turismo di ritorno, le rimesse dirette e gli investimenti, il mercato diretto e indiretto di beni e servizi italiani all'estero, l'emigrazione tecnologica e altri aspetti, con questa manovra di finanza pubblica il Governo Berlusconi procede ad uno smantellamento sistematico di quanto il Governo Prodi aveva fatto per gli italiani residenti all'estero.
Si taglia pesantemente sul bilancio del Ministero degli affari esteri, un settore estremamente sensibile alla luce del drastico ridimensionamento subito nell'ultimo decennio e da cui dipendono i servizi per le nostre comunità all'estero e per le imprese italiane operanti all'estero nel quadro dell'internazionalizzazione. Si taglia sull'assistenza agli indigenti, persone ultra settantenni che a questo paese hanno dato non solo incrollabili prove d'affetto ma tantissimo con le loro rimesse finanziarie. Si taglia sulla promozione della nostra lingua e sulla valorizzazione del nostro patrimonio culturale, esattamente il contrario di quanto fanno i Paesi europei che competono con il nostro sui mercati mondiali. Si abolisce la parte restante dell'ICI sulla prima casa ma si nega, con una evidente violazione dei diritti costituzionali, la detassazione ai cittadini italiani emigrati che hanno avuto forse il torto di investire i loro risparmi in Italia convivendo con il pensiero del rientro. È veramente difficile immaginare come si potranno gestire senza forti contraccolpi i tagli pesantissimi ai bilancio del MAE che comprende anche la maggior parte delle risorse destinate agli italiani residenti all'estero che - non sottovalutiamolo - solamente con il flusso finanziario rappresentato dalle pensioni pagate dall'estero agli ex emigrati convogliano oltre 4 miliardi di euro annui verso l'Italia.
La vera emergenza è la crisi del potere di acquisto delle retribuzioni. E di questo è testimonianza il calo degli acquisti ormai agli occhi di tutti anche in presenza dei saldi di fine stagione. La crescita dell'inflazione e l'aumento vertiginoso dei costi dell'energia impongono provvedimenti urgenti per venire incontro ai salari e far ripartire l'economia del nostro Paese. Certamente ognuno deve fare la sua parte, istituzioni e cittadini, ed è l'aspetto continuamente sostenuto dal Governo Prodi per rilanciare il nostro sistema paese. Ma in questo mese in cui le aziende iniziano ad avvalersi delle misure varate da Prodi, non si parla più della riduzione del cuneo fiscale, del taglio dell'IRES o della revisione degli studi di settore. Di questi temi non si parla più, a ragione veduta: sono spariti!
Certamente la strategia migliore non può essere l'inasprimento fiscale che si intravede e che porterà la pressione fiscale, nel 2009, dal 42,6 per cento al 43 per cento. E questo dopo le lusinghiere promesse elettorali sull'abbattimento della pressione fiscale, che hanno fatto leva sulle aspettative dei contribuenti. E la famosa Robin Tax? Non spingerà i destinatari della stessa a trasferire l'onere della tassa sui prezzi finali facendola ricadere inevitabilmente sul consumatore? Considerando le condizioni di economia ingessata a causa della insufficiente concorrenza che governa i nostri mercati c'è veramente da temere per i consumatori italiani. E i ripensamenti di queste ultime ore sulla Robin Tax, veri o presunti che siano, sembrano confermare il pessimismo sulla suddetta norma.Pag. 71
La manovra colpisce tutto: comprime la spesa corrente, agisce sulle percentuali cancellando ad esempio insegnanti e personale non docente, per poi inevitabilmente rischiare di esplodere nel medio periodo. Si vedono solo tagli che non lasciano spazi a respiri di prospettiva.
Che dire poi del taglio di 170 milioni di euro l'anno alla voce cooperazione che relega il nostro Paese agli ultimi posti della classifica dei paesi donatori e allontana definitivamente l'Italia dagli impegni assunti con la UE di stanziare per il 2010 lo 0,51 per cento del Pil mentre aumentano le spese per le missioni militari di 90 milioni di euro. Mi preme ricordare che le nostre missioni di pace si sostengono a partire dallo sviluppo e dal dialogo che la cooperazione permette avvicinando le società civili dei paesi ricchi e dei paesi poveri. Una prospettiva - quest'ultima - valida non solo sul piano internazionale ma anche su scala interna, e rispetto alla quale non convincono affatto le generiche affermazioni di principio sulle quali si basa la programmazione del federalismo fiscale nel nostro paese, molte delle quali costituiscono delle vere contraddizioni in termini.
Il Governo deve prima di ogni cosa chiarire che tipo di federalismo intende attuare nel nostro paese. I sistemi federali più autentici e performanti hanno il vantaggio di avvicinare le scelte pubbliche alle reali preferenze della gente, privilegiando il punto di vista delle collettività locali piuttosto che quello delle maggioranze nazionali: in tale senso generano un plus di democrazia che sarebbe altamente auspicabile nel nostro paese. Va rammentato però che tali sistemi si basano inevitabilmente su una forte autonomia di entrata e di spesa da parte dei governi locali e regionali e su un limitato intervento perequativo da parte dello stato centrale, finalizzato perlopiù a garantire un plafond «minimo» (sovente scadente ed inadeguato) di servizi pubblici su tutto il territorio.
Quindi parlare a un tempo di federalismo fiscale e di livelli alti di perequazione, come fa il ministro dell'economia, significa semplicemente non attuare alcun programma federale e spargere fumo negli occhi dei cittadini. Non è un caso che i sistemi federali funzionino meglio nelle nazioni ove non esistono grossi divari economici a livello territoriale, ma non è questo il caso dell'Italia!
Ciò che temo è dunque l'esatto contrario! Ossia che dietro le eclatanti promesse di un federalismo «mansueto» si celi una prima forma di destrutturazione dei livelli di solidarietà nel nostro paese che si evolverà, finanziaria dopo finanziaria, in un sempre più ridotto intervento perequativo da parte dello stato centrale e in un sempre più marcato abbandono dei cittadini delle regioni più povere al loro destino di indigenza.
Vorrei anche rammentare che il federalismo è una «scelta costosa» e non uno strumento per inseguire paventati quanto inesistenti risparmi di bilancio: l'economia insegna che i servizi pubblici costano di meno quando vengono prodotti su larga scala (ossia tendenzialmente centralizzati) e non certo quando vengono differenziati regione per regione, comune per comune. Inoltre la moltiplicazione dei centri di potere e degli organi politici e tecnici a livello locale genera spesa pubblica, ossia stipendi, consulenze, gettoni da distribuire ai vari componenti: un bel passo indietro rispetto ai propositi di contenimento della spesa tanto invocati dal Ministro.
Da sempre sono un acceso fautore della riforma federale: ma il federalismo è una scelta di democrazia rispetto alla quale occorre una attenta e condivisa discussione sui benefici attesi ma anche sugli inevitabili costi. Di tutto ciò nel DPEF non ne vedo neanche la premessa.

INTERVENTO DEL SOTTOSEGRETARIO DI STATO PER LO SVILUPPO ECONOMICO, PAOLO ROMANI, IN SEDE DI PARERE SULLE MOZIONI VICO ED ALTRI N. 1-00007, RAISI ED ALTRI N. 1-00020, POLLEDRI ED ALTRI N. 1-00021 E ANNA TERESA FORMISANO ED ALTRI N. 1-00022

PAOLO ROMANI, Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico. FacendoPag. 72seguito a quanto già illustrato dall'onorevole Giorgetti a nome del Governo nella seduta pomeridiana di ieri, le quattro mozioni oggi in discussione consentono al Governo di esprimere anche in questa sede i propri intendimenti sulla tematica molto rilevante e molto sentita della tutela dei prodotti italiani nei confronti della «concorrenza sleale» da parte di alcuni Paesi extraeuropei.
Le quattro mozioni concordano tutte sulla necessità di adottare, nel rispetto della normativa comunitaria, opportune iniziative legislative per tutelare i prodotti italiani, dalla loro ideazione, progettazione, sino alla produzione e distribuzione degli stessi, salvaguardandoli dai prodotti contraffatti provenienti prevalentemente dai paesi dell'Est asiatico, che troppo spesso risultano anche pericolosi per la salute dei consumatori.
Il sottosegretario Giorgetti ha già ricordato ieri che il tema della «concorrenza sleale» involge più profili, tra loro connessi: in primo luogo la necessità di un efficace contrasto alla contraffazione; la problematica del cosiddetto «dumping sociale»; le questioni afferenti la tutela ambientale (cosiddetto «dumping ambientale»); le problematiche della sicurezza dei prodotti importati dai Paesi extraeuropei (con particolare riferimento al settore dei giocattoli).
Si ribadisce che il Governo italiano ha sempre considerato prioritario un adeguamento legislativo comunitario a difesa del sistema produttivo nazionale, ritenendo in particolare che occorre una nuova normativa europea sull'etichettatura obbligatoria dell'origine dei prodotti d'importazione.
Si ricorda, inoltre, che la proposta della Commissione europea del dicembre 2005 sulla marcatura di origine obbligatoria dei prodotti importati è ferma in Consiglio UE per mancanza di una maggioranza (qualificata) utile.
Sono, infatti, ancora molti gli Stati membri (tra i quali Germania, Svezia, Danimarca, Regno Unito) che si ritengono contrari alla proposta.
È inoltre già stata ricordata dagli onorevoli firmatari delle mozioni e dagli altri interventi, la risoluzione del Parlamento europeo, sostenuta dalla quasi totalità dei gruppi politici, con la quale è stata evidenziata la necessità di tutelare i produttori europei da fenomeni di «concorrenza sleale», auspicando un intervento diretto della Commissione volto a proibire l'immissione sul mercato europeo di prodotti pericolosi.
Si ribadisce che l'Italia continuerà ad esercitare le dovute pressioni sui citati Paesi al fine di convincerli a rivedere le proprie posizioni, anche facendo presente l'aspetto innovativo della citata proposta della Commissione europea rispetto alla direttiva 29/2005 CE sulle pratiche commerciali sleali che vieta informazioni false o ingannevoli sull'origine geografica, ma non prevede alcun obbligo di marcatura sui prodotti.
Nel dibattito svolto sono emerse alcune tematiche di particolare rilievo, sulle quali è opportuno, sia pure brevemente, soffermarsi, rimandando all'intervento svolto ieri dall'onorevole Giorgetti per le considerazioni generali sulla tematica in esame.
In merito alla questione della sicurezza dei prodotti importati da Paesi extraeuropei, si segnala che il Ministero del Lavoro, della Salute e delle politiche sociali, con l'ausilio dell'Istituto Superiore per la prevenzione e sicurezza sul lavoro, ha recentemente promosso e finanziato l'attivazione di un progetto di ricerca «Tessile e salute» che, attraverso un «sistema di campionamento» ha lo scopo di individuare e ridurre l'incidenza e la prevalenza di effetti sulla salute, causati dalla presenza di sostanze tossiche o nocive, utilizzate per la produzione di tessuti, anche sulla base di segnalazioni specifiche.
Inoltre, già dal 2005 il Ministero della salute aveva avviato un monitoraggio attraverso gli Uffici di sanità marittima, aerea e di frontiera (USMAF), anche sulle calzature extracomunitarie, come suggerito dall'Associazione nazionale calzaturieri italiani, a causa dell'ingentissimo aumento delle importazioni dall'Estremo Oriente.Pag. 73
Peraltro, sempre nell'ambito del controllo sui tessili, è opportuno ricordare che lo scorso 9 ottobre 2007 il Comitato dei tessili ha adottato il regolamento della Commissione per l'attuazione degli accordi raggiunti tra la Commissione europea e le autorità cinesi (a causa della forte incidenza nella pericolosità dei prodotti provenienti dalla Cina) per l'introduzione di un sistema di sorveglianza a duplice controllo su otto categorie tessili per tutto il 2008. Tale proposta è stata votata favorevolmente da ben 20 Stati membri dell'Unione europea.
Inoltre, con l'entrata in vigore del regolamento REACH (Registration, Evalutation, Authorization, Chemical), tutti gli articoli che contengono sostanze potenzialmente pericolose o che possano rilasciare, nel tempo e nell'uso, sostanze pericolose, devono essere registrati presso l'Agenzia europea di Helsinki, ovunque essi siano stati prodotti.
Con specifico riferimento al settore agroalimentare, inoltre, si evidenzia che l'attenzione delle autorità governative è concentrata su due aspetti principali: la trasparenza e la corretta informazione per i consumatori e gli operatori; la lotta ed il contrasto ai fenomeni di contraffazione ed agropirateria.
Per quanto riguarda il primo aspetto sono state definite dal Ministero delle politiche agricole varie iniziative tese a sostenere il principio della corretta e trasparente informazione sull'origine per prodotti agricoli contenuti nei prodotti alimentari. In particolare, è in via di definizione con gli uffici comunitari una modifica ai regolamenti per l'etichettatura obbligatoria dell'origine delle olive nell'olio extravergine di oliva.
Per quanto invece riguarda le carni suine è avviato, in seno al tavolo di filiera istituito presso il Mipaaf, un gruppo di lavoro per definire proposte di intervento sull'origine nella filiera stessa.
Infine, è in via di definizione la conferma del sistema di etichettatura di origine delle carni avicole.
Tali interventi permettono di fornire maggiori tutele per i consumatori ma al tempo stesso assicurano condizioni di concorrenza equa e trasparente tra le imprese della filiera.
Infine, ma non meno importanti, sono gli interventi attuati sul fronte dei controlli da parte dell'Ispettorato controllo qualità e l'attivazione del gruppo interforze antispeculazione (Guardia di finanza, NAS, Carabinieri, dogane, eccetera).
Per quanto invece attiene la lotta ed il contrasto ai fenomeni di contraffazione ed agropirateria il Ministero competente sta seguendo costantemente i lavori in sede WTO per il riconoscimento del registro multilaterale delle identificazioni geografiche.
Contemporaneamente, a seguito della riorganizzazione del Mipaaf, gli uffici competenti hanno definito uno specifico programma per la tutela internazionale che prevede l'assistenza Mipaaf alla registrazione internazionale dei marchi di qualità, il monitoraggio delle azioni di pirateria, imitazione e contraffazione, ed infine opera - attraverso una task force legale internazionale - intervenendo direttamente con azioni legali coordinate con i consorzi di tutela dei prodotti di qualità.
Con riferimento, invece, al settore ceramico, che costituisce un'importante componente del nostro patrimonio culturale, il Ministero dello sviluppo economico, competente per materia, ha da tempo operato al fine di tutelare la produzione della ceramica d'arte e di qualità con un marchio legale, che costituisce una garanzia per i consumatori.
Infatti, già con la legge n. 188 del 1990 e successivi interventi si è provveduto a stabilire una denominazione legale generale (ceramica artistica e tradizionale) indissolubilmente legata ad una denominazione geografica (Faenza, Bassano, Capodimonte, eccetera), da riconoscersi esclusivamente alle produzioni ceramiche conformi a quelle caratteristiche di forma, decoro, stile e tecnica.
Grazie a tale marchio, i consumatori possono orientare con maggiore consapevolezza le decisioni di acquisto e gli imPag. 74prenditori ne traggono un ulteriore motivo di promozione e sviluppo delle loro attività economiche.
Si ricorda, infine, che nel «Pacchetto sviluppo economico», proprio in questi giorni all'esame del Parlamento, sono previsti una serie di provvedimenti diretti al rafforzamento della lotta alla contraffazione. Tali provvedimenti riguardano sinteticamente: nuove disposizioni in materia di tutela penale dei diritti di proprietà industriale, con un innalzamento della pena detentiva da uno ad un massimo di sei anni; l'inasprimento delle sanzioni per la protezione delle indicazioni geografiche o denominazioni d'origine, specialmente nel settore agroalimentare; nuove misure per le indagini sulla contraffazione e disposizioni in materia di distruzione dei beni contraffatti.
In merito agli impegni richiesti al Governo, per quanto riguarda la mozione dell'onorevole Vico ed altri n. 1-00007 e la mozione dell'onorevole Raisi ed altri n. 1-00020, si ritiene di accettare gli impegni richiesti al Governo a sostenere in sede di Unione Europea la posizione italiana sul marchio di origine e sull'etichettatura dei prodotti, quale punto di partenza per una negoziazione ed un confronto che abbia alla base la tutela del consumatore europeo ed il contrasto del fenomeno del dumping sociale ed ambientale (mozione Vico); a sostenere in sede comunitaria sia il diritto dei consumatori alla salute, sia quello dei produttori europei alla tutela delle frodi commerciali, anche mediante l'introduzione dell'etichettatura di origine obbligatoria, e ad adottare, nei limiti delle proprie competenze, disposizioni volte a tutelare le produzioni italiane dalla concorrenza sleale, specialmente per i prodotti contraffatti o contenenti sostanze nocive per la salute, anche attraverso il rafforzamento dei controlli alle frontiere (mozione Raisi).
Per quanto riguarda invece la mozione presentata dall'onorevole Polledri ed altri, si ritiene di poter accettare il dispositivo con la seguente riformulazione: il Governo si impegna ad elaborare, anche nella opportune sedi comunitarie, una concreta proposta che possa garantire una forte tutela rispetto a quanto illustrato; a mantenere l'etichettatura obbligatoria tutelando altresì i marchi non registrati rafforzando in tal modo e con ogni ulteriore strumento utile, ivi compresa la revisione del codice della proprietà industriale, la protezione contro il «parassitismo commerciale»; ad adottare ogni idonea misura per proteggere i nostri prodotti nazionali e implementare il controllo alle frontiere nazionali ed europee all'ingresso di prodotti contraffatti, attivandosi presso gli organi competenti europei per garantire un'omogeneità di controlli; ad assumere, in tale quadro, iniziative idonee a fronteggiare la concorrenza sleale subita dai prodotti italiani da parte dei produttori cinesi e non, che invadono il nostro mercato con una crescente quantità di beni contraffatti in spregio a qualsiasi normativa sui brevetti, ivi compreso un rafforzamento delle attività di indagine (anche sotto copertura), procedendo anche con sequestri preventivi; ad assicurare, nel quadro della tutela dei marchi italiani, che le funzioni dell'Alto commissario per la lotta alla contraffazione, di cui si sta procedendo alla soppressione, siano affidate al Ministro competente, a tal fine istituendo specifici uffici nell'ambito del Ministero per essere possibilmente delegate ad un sottosegretario di Stato (mozione Polledri).
Per quanto riguarda, infine, la mozione presentata dall'onorevole Anna Teresa Formisano ed altri, si ritiene di poter accettare il dispositivo con la seguente riformulazione: ad adottare le iniziative legislative più opportune, nel rispetto della normativa comunitaria, al fine di tutelare il diritto dei consumatori a una corretta informazione in ordine ai prodotti per i quali l'ideazione, il disegno, la progettazione, la lavorazione e il confezionamento sono compiuti interamente sul territorio italiano, utilizzando materie prime anche d'importazione, ma semilavorati grezzi realizzati interamente in Italia e ad adottare nell'ambito dell'Organizzazione mondiale del commercio ogni utile iniziativa che possa assicurare scambi commercialiPag. 75sulla base della reciprocità nel rispetto delle più elementari norme sociali di sicurezza personale ed ambientale.

DICHIARAZIONI DI VOTO DEI DEPUTATI ANNA TERESA FORMISANO E MASSIMO POLLEDRI SULLE MOZIONI VICO ED ALTRI N. 1-00007, RAISI ED ALTRI N. 1-00020, POLLEDRI ED ALTRI N. 1-00021 E ANNA TERESA FORMISANO ED ALTRI N. 1-00022

ANNA TERESA FORMISANO. Signor Presidente, il gruppo Unione di centro ritiene che i consumatori abbiano il diritto di avere un'informazione completa sulle merci che acquistano. Noi riteniamo che il Governo debba rendersi promotore di iniziative legislative con le quali introdurre il. marchio d'origine e l'etichettatura dei prodotti in parte fabbricati, composti o anche solo ideati all'estero. Secondo noi, questi strumenti rappresentano la risposta migliore alla domanda di certezza che proviene con sempre più insistenza sia dai privati che dalle imprese. Mentre Stati Uniti, Canada e Giappone hanno già introdotto il marchio di origine dei prodotti, sappiamo che, purtroppo, Gran Bretagna, Germania e Paesi scandinavi ne ostacolano l'introduzione, avendo trasferito diverse loro produzioni in aree dove la manodopera è a basso costo, ma ciò va a scapito della sicurezza e della trasparenza del mercato. Noi riteniamo che l'Esecutivo debba dare un segnale forte sia in Italia che in sede europea sul contrasto alla contraffazione e alla concorrenza sleale. Ricordiamo che gli articoli 153 e 95 del Trattato istitutivo della Comunità europea puntano a tutelare gli interessi, la salute e la sicurezza dei consumatori tramite la promozione dell'apertura, dell'equità e della trasparenza del mercato interno. La protezione dei consumatori passa attraverso la trasparenza e la coerenza delle norme relative al commercio, quindi anche su quelle inerenti all'origine dei prodotti, alla loro identificazione, alle norme sociali, ambientali e di sicurezza generalmente associate al paese produttore.
Il vuoto legislativo sia in campo ambientale che sociale viene sfruttato dalla concorrenza sempre più crescente di Paesi dalle economie emergenti, il che riduce il grado di competitività delle imprese italiane, gravate peraltro da oneri aggiuntivi connessi al rispetto di standard elevati in materia di tutela del lavoro e dell'ambiente.
Una concorrenza simile, oltre ad essere del tutto asimmetrica, è tale da creare turbative nei mercati internazionali. Pensiamo per esempio a Paesi come la Cina, la Thailandia e Taiwan dove la contraffazione dei marchi è la regola e non l'eccezione.
Purtroppo, anche il settore agroalimentare non è esente da questo fenomeno, recando pericoli e danni seri alla salute dei consumatori.
Chiediamo inoltre al Governo di valutare l'opportunità di riconsiderare la soppressione dell'Alto Commissario per la lotta alla contraffazione, perché ciò priverebbe il nostro Paese di un valido strumento di contrasto, dando al tempo stesso un segnale di resa nella lotta alla contraffazione, e di adottare ogni utile iniziativa nell'ambito dell'Organizzazione mondiale del commercio che possa assicurare scambi commerciali sulla base della reciprocità, nel rispetto delle più elementari norme sociali di sicurezza personale ed ambientale.
Per queste ragioni, signor Presidente, il voto dell'Unione di centro è favorevole.

MASSIMO POLLEDRI. Signor Presidente, onorevoli colleghe, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, darò lettura di un bollettino di guerra: a Savona, al termine di indagini coordinate sono stati sequestrati settemila elettro-utensili professionali utilizzati in edilizia e in agricoltura, per un valore di due milioni di euro, importati dalla Cina; sessantacinque persone denunciate a Monopoli nel settore della contraffazione dei marchi, ottocentomila articoli contraffatti sequestrati (borse, scarpe), per oltre sessanta milioni di euro; a Genova Sestri la tenenza della Guardia di finanza ha sequestrato ottantaseimilaPag. 76accessori ed etichette; lo scorso anno sono stati sequestrati in dogana cinque milioni e mezzo di giochi, insicuri e pericolosi per i nostri bambini.
E tante altre potremmo leggerne ancora: ho qui decine di fogli, che rappresentano solo le operazioni degli ultimi due mesi.
Tutto questo ha un costo circa ventimila posti di lavoro a rischio in Italia, circa cento miliardi di dollari l'anno in tutto il mondo.
La Cina non è una grande opportunità, come diceva l'ex Presidente del Consiglio, ma è oggi un pericolo per i lavoratori, per la qualità, per la salute. Gli operai che hanno perso il posto di lavoro lo hanno capito molto prima di voi e per questo, alle passate elezioni, non vi hanno più votato.
Da questo pericolo dobbiamo difenderci in modo intelligente seguendo le norme europee, ma senza fughe in avanti che troppo nuocerebbero alle nostre imprese e alla nostra economia.
Sento parlare spesso di norme e di richieste di leggi per definire il «cento per cento made in Italy». Su questo voglio essere chiaro: già oggi la normativa prevede la possibilità per consorzi e gruppi di aziende di darsi autonomamente un proprio disciplinare a cui aderire volontariamente. Mi riferisco, per esempio, ad iniziative quali il sistema di tracciabilità volontario del comparto moda ITF, che ha previsto e progettato un sistema volontario di tracciabilità ed etichettatura. È un tema sempre più all'ordine del giorno quello della trasparenza verso il consumatore, interessato a conoscere più informazioni possibili sul prodotto che sta acquistando. Ma tale sistema di certificati che ne derivano deve essere volontario e non strutturato nell'ennesimo carrozzone statale o parastatale che costano al contribuente e che rischiano di penalizzare gli altri.
Mi riferisco al rischio, per chi non ha il cento per cento di progettazione e produzione in Italia, di vedersi negare, in qualche modo, un riconoscimento all'estero. Il cioccolatino italiano, fatto in casa, tipico, ma che utilizza il cacao indiano non potrà più mettere il marchio?
Basti vedere cosa succede negli Stati Uniti dove l'etichettatura di origine è obbligatoria per tutti i prodotti all'ingresso e facoltativa per quelli in uscita: se qualche prodotto vuole assoggettarsi a certificazioni è libero di farlo in una ottica di trasparenza e di conquista del libero mercato.
Ma, signor Presidente, l'attenzione della Lega Nord e del dibattito che deriva dall'esame dei testi ci porta a denunciare altri fatti.
Il primo ed il più grave è la necessità di adottare norme e comportamenti omogenei in tutta Europa per il controllo delle frontiere nazionali europee. Alcune stime ci dicono che il 70 per cento delle merci contraffatte entrano in Europa dai porti di Rotterdam, Amsterdam, Londra, tutte provenienti dall'Estremo Oriente e abituate a «trattamenti da amici». È evidente che nella competizione tra porti sia favorito chi adotta comportamenti quanto meno permissivi. E allora ben venga una forte azione del nostro Paese in sede europea.
Un altro elemento che differenzia la nostra mozione e la qualifica è la necessità di mantenere la tutela dei marchi non registrati e delle forme distintive dei prodotti, evitando così forme di parassitismo commerciale cosiddette del «look like».
La bottiglia della Coca cola è tutelata da qualsiasi imitazione ovunque; non così prodotti della piccola e media impresa per le quali la forma può essere distintiva. Penso a tanti prodotti agroalimentari o, per esempio, a confezioni e prodotti del nostro artigianato.
L'ultima esigenza, e chiudo, è quella di non perdere il patrimonio e le funzioni dell'Alto commissario per la lotta alla contraffazione, per le quali chiediamo la possibilità che siano delegate ad un sottosegretario di Stato.
Per queste ragioni, signor Presidente, chiediamo il voto per la nostra mozione e, in un'ottica per la difesa comune, con difesa comune di un interesse caro alla nostra economia ma anche alla storia del nostro essere padani e italiani, sosterremo in primis la mozione del PdL, ma anche quelle dei colleghi dell'opposizione, opportunamente modificate.

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ORGANIZZAZIONE DEI TEMPI DI ESAME DEL DISEGNO DI LEGGE N. 1442

Ddl 1442 - Sospensione processi alte cariche dello Stato

Tempo complessivo: 20 ore, di cui:

  • discussione generale: 8 ore;
  • seguito dell'esame: 12 ore.
  Discussione generale Seguito esame
Relatori 30 minuti 30 minuti
Governo 30 minuti 30 minuti
Richiami al regolamento 10 minuti 10 minuti
Tempi tecnici   15 minuti
Interventi a titolo personale 1 ora e 14 minuti (con il limite massimo di 15 minuti per ciascun deputato) 2 ore e 2 minuti (con il limite massimo di 12 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)
Gruppi 5 ore e 36 minuti 8 ore e 33 minuti
Popolo della Libertà 1 ora e 21 minuti 2 ore e 9 minuti
Partito Democratico 1 ora e 42 minuti 2 ore e 42 minuti
Lega Nord Padania 41 minuti 1 ora e 6 minuti
Unione di Centro 42 minuti 1 ora e 7 minuti
Italia dei Valori 40 minuti 1 ora e 4 minuti
Misto: 30 minuti 25 minuti
Movimento per l'Autonomia 22 minuti 18 minuti
Minoranze linguistiche 8 minuti 7 minuti

VOTAZIONI QUALIFICATE
EFFETTUATE MEDIANTE PROCEDIMENTO ELETTRONICO

INDICE ELENCO N. 1 DI 1 (VOTAZIONI DAL N. 1 AL N. 5
Votazione O G G E T T O Risultato Esito
Num Tipo Pres Vot Ast Magg Fav Contr Miss
1 Nom. Doc. LVII, n.1- ris.6-00004 n.f. 536 532 4 267 292 240 34 Appr.
2 Nom. Moz. Vico e a. 1-7 532 530 2 266 530 33 Appr.
3 Nom. Moz. Raisi e a. 1-20 531 527 4 264 527 33 Appr.
4 Nom. Moz. Polledri e a. 1-21 rif. 536 530 6 266 530 33 Appr.
5 Nom. Moz. AnnaT.Formisano e a. 1-22 rif 532 524 8 263 523 1 33 Appr.

F = Voto favorevole (in votazione palese). - C = Voto contrario (in votazione palese). - V = Partecipazione al voto (in votazione segreta). - A = Astensione. - M = Deputato in missione. - T = Presidente di turno. - P = Partecipazione a votazione in cui è mancato il numero legale. - X = Non in carica.
Le votazioni annullate sono riportate senza alcun simbolo. Ogni singolo elenco contiene fino a 13 votazioni. Agli elenchi è premesso un indice che riporta il numero, il tipo, l'oggetto, il risultato e l'esito di ogni singola votazione.