CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 14 febbraio 2012
606.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Commissioni Riunite (I e XI)
COMUNICATO
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ATTI DEL GOVERNO

Martedì 14 febbraio 2012. - Presidenza del presidente della XI Commissione Silvano MOFFA. - Interviene il ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione Filippo Patroni Griffi.

La seduta comincia alle 14.10.

Schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri concernente la definizione del limite massimo riferito al trattamento economico annuo onnicomprensivo per i pubblici dipendenti indicati nell'articolo 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.
Atto n. 439.

(Esame e rinvio).

Donato BRUNO, relatore per la I Commissione, premesso che, secondo quanto convenuto con il presidente Moffa, relatore per la XI Commissione, la sua relazione riguarderà la ricostruzione del quadro normativo in cui si inserisce lo schema di decreto in esame e gli articoli 1 e 2 dello stesso, ricorda che lo schema in esame è stato adottato in attuazione dell'articolo 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, che è espressamente richiamato all'articolo 1. Peraltro la disciplina in materia di limiti alla retribuzione del personale delle pubbliche amministrazioni non si esaurisce nel solo articolo 23-ter citato, in quanto, dal 2007 in poi, su questa materia si sono succeduti, stratificandosi, diversi interventi normativi, ciascuno dei quali si è innestato sul precedente per lo più senza abrogarlo espressamente, il che ha reso molto complesso il quadro normativo di riferimento e impone una ricostruzione preliminare delle diverse discipline succedutesi nel tempo, che sono richiamate nelle premesse dello schema di decreto in esame.
Per prima la legge n. 296 del 2006, all'articolo 1, comma 593, aveva stabilito che la retribuzione dei dirigenti delle pubbliche amministrazioni non potesse superare quella del Primo presidente della Corte di Cassazione. Le disposizioni in questione sono state - e questo è l'unico caso - abrogate espressamente dalla legge n. 244 del 2007, che, con le modificazioni

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successivamente intervenute, ha dettato una nuova disciplina della materia (articolo 3, commi 44-52-bis).
In particolare, la legge n. 244 ha escluso dal computo delle somme cui si applica il tetto la retribuzione percepita dal dipendente pubblico presso l'amministrazione di appartenenza e il trattamento di pensione. La legge in questione ha inoltre escluso dall'ambito di applicazione della disciplina sia regioni ed enti locali coi loro consorzi e associazioni, sia la Banca d'Italia e le altre autorità indipendenti.
La legge n. 244 ha inoltre previsto determinate deroghe ed eccezioni al principio della limitazione delle retribuzioni entro il tetto massimo indicato. Ha inoltre previsto che la nuova disciplina si applichi per il futuro, senza effetto sui trattamenti retributivi del personale già in essere.
Successivamente sulla materia è intervenuto il decreto-legge n. 97 del 2008, che, all'articolo 4-quater, comma 52-bis, ha rimesso la disciplina a un regolamento di delegificazione, fissando i principi cui questo deve attenersi. Tra l'altro, la norma in questione, oltre a prevedere o consentire deroghe al principio generale, dispone l'esclusione della retribuzione percepita e del trattamento di pensione dal computo delle somme cui si applica il limite.
Il regolamento di delegificazione è stato adottato con il decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 195, il quale prevede espressamente che la nuova disciplina si applichi solo ai contratti stipulati o rinnovati e agli incarichi conferiti dopo la sua entrata in vigore. In questo la disciplina in questione appare conforme al consolidato principio del divieto di reformatio in peius, elaborato dalla giurisprudenza e riconosciuto dalla stessa Corte costituzionale.
Sulla materia è poi nuovamente intervenuto l'articolo 1, comma 1, del decreto-legge n. 98 del 2011, il quale ha previsto che il trattamento economico dei soggetti individuati come destinatari dell'intervento non possa superare la media ponderata rispetto al PIL dei trattamenti dei titolari di cariche e incarichi omologhi negli altri sei principali Stati dell'Area dell'euro, la cui ricognizione è stata affidata a un'apposita Commissione. I lavori della Commissione sono tuttora in corso, ma essa ha reso noti i risultati dell'istruttoria svolta al 31 dicembre 2011 sottolineando tra l'altro la complessità del quadro normativo di riferimento «il cui enunciato - così scrive la Commissione nella sua relazione - presenta aspetti di ambiguità e talvolta di contraddittorietà».
Venendo ora al contenuto dello schema di decreto in esame, lo schema richiama nelle premesse le diverse fonti normative sulla materia, già ricordate, le quali, come detto, sono tutte ancora in vigore, ferme naturalmente le abrogazioni intervenute tacitamente secondo il principio ordinario della successione delle fonti nel tempo.
L'articolo 1 - come anticipato - individua nella retribuzione del Primo presidente della Corte di Cassazione il livello remunerativo massimo onnicomprensivo annuo degli emolumenti spettanti a coloro che hanno un rapporto di lavoro dipendente o autonomo con pubbliche amministrazioni statali.
Va peraltro detto che l'articolo 23-ter, comma 3, del decreto-legge n. 201 del 2011 indica nel trattamento economico del primo presidente della Corte di Cassazione il «parametro massimo di riferimento», e non il «livello remunerativo massimo». La stessa disposizione ha inoltre previsto la possibilità di stabilire deroghe motivate per le posizioni apicali delle diverse amministrazioni e di fissare un limite massimo per i rimborsi delle spese: queste facoltà non sono state esercitate in occasione della predisposizione dello schema di decreto in esame.
Occorre poi notare che, mentre l'articolo 1 dello schema, nel definire l'oggetto del provvedimento, parla di «livello remunerativo massimo onnicomprensivo annuo», l'articolo 3, con maggiore conformità letterale alla norma base di cui all'articolo 23-ter più volte richiamato, parla invece di «trattamento economico annuo onnicomprensivo». Questa duplicità di formulazione si ritrova anche nelle diverse normative vigenti sulla materia:

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infatti il secondo concetto è riconducibile alla legge n. 244 del 2007, mentre il primo figura nel decreto-legge n. 98 del 2011. Tuttavia nelle due fonti richiamate le due categorie sono soggette a discipline differenti.
Inoltre, va detto che l'articolo 1 dello schema fa riferimento a «ciascuna fascia o categoria di personale che riceva a carico delle finanze pubbliche emolumenti o retribuzioni nell'ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con pubbliche amministrazioni statali». Tuttavia, per quanto riguarda i rapporti di lavoro autonomo, il riferimento a fasce o categorie di personale appare poco chiaro.
Per quanto riguarda invece i rapporti di lavoro dipendente, il provvedimento individua come platea dei destinatari dell'intervento il personale delle «pubbliche amministrazioni statali, di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, ivi incluse le Autorità amministrative indipendenti, nonché quelli in regime di diritto pubblico di cui all'articolo 3 del medesimo decreto legislativo, e successive modificazioni».
A questo proposito va detto che l'articolo 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011 non fa riferimento alle autorità amministrative indipendenti, limitandosi a richiamare l'articolo 3 del decreto legislativo n. 165 del 2001, che riguarda i dipendenti degli enti che svolgono attività nelle materie contemplate dall'articolo 1 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 17 luglio 1947, n. 691, e dalle leggi 4 giugno 1985, n. 281, e successive modificazioni ed integrazioni, e 10 ottobre 1990, n. 287». Tali materie sono, rispettivamente, l'esercizio della funzione creditizia e la materia valutaria; l'ordinamento della Commissione nazionale per le società e la borsa, l'identificazione dei soci delle società con azioni quotate in borsa e delle società per azioni esercenti il credito, l'attuazione delle direttive CEE in materia di mercato dei valori mobiliari e la tutela del risparmio; e la tutela della concorrenza e del mercato.
Pertanto, l'allargamento della platea dei destinatari a tutte le autorità amministrative indipendenti appare non fondato sulle previsioni della norma di base.
L'articolo 1 dello schema mantiene poi ferma la competenza del contratto collettivo nazionale, della contrattazione interna a ciascuna amministrazione e, per i dirigenti pubblici, della contrattazione individuale, ma solo per la definizione dei rispettivi trattamenti economici «al di sotto del suindicato limite», ossia al di sotto del limite massimo stabilito dal provvedimento in esame.
Al riguardo è bene anche ricordare che ai sensi del decreto legislativo n. 165 del 2001, e successive modificazioni, recante le norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, i rapporti individuali di lavoro nel pubblico impiego sono regolati contrattualmente e l'attribuzione di trattamenti economici può avvenire esclusivamente mediante contratti collettivi. Si tratta di un principio che trova riconoscimento anche in pronunce della Corte costituzionale.
Venendo poi all'articolo 2, questo indica come soggetti destinatari delle disposizioni del decreto «le persone fisiche che ricevano retribuzioni o emolumenti a carico delle pubbliche finanze in ragione di un rapporto di lavoro subordinato o autonomo con le pubbliche amministrazioni statali, di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, ivi incluse le Autorità amministrative indipendenti, nonché quelli in regime di diritto pubblico di cui all'articolo 3 del medesimo decreto legislativo, e successive modificazioni».
A parte quanto già detto in ordine all'inclusione di tutte le Autorità indipendenti nella platea dei destinatari della norma, che determina un allargamento di questa platea non fondato sulle previsioni della norma di base, va rilevato che l'individuazione della platea dei destinatari dell'intervento appare particolarmente complessa.
In particolare, l'individuazione delle pubbliche amministrazioni destinatarie

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dell'intervento risulta incerta anche quando si faccia riferimento al solo articolo 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011. Questo prevede infatti che la disciplina si applichi alle pubbliche amministrazioni «statali» di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, ossia a una parte delle pubbliche amministrazioni indicate in questo articolo, il quale riconduce espressamente alla categoria delle pubbliche amministrazioni «statali» solo alcune pubbliche amministrazioni, escludendone altre: in particolare, oltre alle regioni e agli enti locali e ai loro consorzi e associazioni, l'articolo esclude dal novero delle pubbliche amministrazioni statali anche le istituzioni universitarie, gli istituti autonomi case popolari, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e le loro associazioni, gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, aziende e enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, compreso il CONI.
In conclusione, ritiene, d'intesa con il Presidente Moffa, che i diversi profili problematici evidenziati debbano essere approfonditi anche attraverso il contributo del Governo, al fine di consentire alle Commissioni riunite di individuare soluzioni adeguate da indicare al Governo nel parere che esse discuteranno e approveranno sullo schema in esame.

Silvano MOFFA, presidente e relatore per la XI Commissione, fa presente che, secondo quanto convenuto con il relatore per la I Commissione, si soffermerà sugli articoli da 3 a 6 dello schema di decreto, svolgendo anche taluni richiami ad aspetti legati alla giurisprudenza consolidatasi sulla materia e ai profili del testo che ritiene siano da valutare nel corso del dibattito.
Partendo, quindi, dall'articolo 3, osserva che il comma 1 di tale articolo rappresenta il «centro nevralgico» dello schema di decreto, in quanto dispone che il trattamento economico annuo omnicomprensivo, incluse le indennità e le voci accessorie, dei soggetti di cui all'articolo 2 - in precedenza richiamati dal relatore per la I Commissione - non possa superare il trattamento economico annuale complessivo spettante per la carica al Primo Presidente della Corte di Cassazione, pari nell'anno 2011 ad euro 304.951,95; la norma prevede che, se superiore, il trattamento si riduce al predetto limite. Al contempo, è previsto che il Ministro della giustizia comunichi annualmente al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione e al Ministro dell'economia e delle finanze eventuali aggiornamenti relativi all'ammontare del predetto trattamento. Al riguardo, senza addentrarsi nel dettaglio delle diverse questioni poste da tali disposizioni, si limita a segnalare solo alcuni degli elementi da verificare nel corso dell'iter, anche al fine di rendere il testo il più possibile coerente con le finalità che esso si prefigge, oltre che con la normativa vigente.
In primo luogo, osserva che il comma 1 andrebbe valutato alla stregua delle previsioni di cui all'articolo 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011, che individua il trattamento del Primo Presidente della Corte di Cassazione come «parametro» massimo di riferimento al quale rapportare i trattamenti economici, mentre la disposizione in esame sembra avere scelto di fissare - piuttosto che un indice di riferimento - un vero e proprio «tetto uniforme» per tutti i suddetti trattamenti. Al contempo, fa notare che la previsione per la quale i trattamenti andrebbero «ridotti» alla somma indicata sembrerebbe voler incidere in via immediata sui trattamenti in essere, sebbene il citato articolo 23-ter - ossia la norma di legge che autorizza l'emanazione del decreto in esame - non contenga alcuna previsione circa la fissazione del parametro ai trattamenti in corso; peraltro, il comma 4 dello stesso articolo 23-ter, nel riferirsi alle risorse annualmente rivenienti dalla fissazione del parametro, sembrerebbe presupporne l'applicazione ai nuovi trattamenti, man mano che cessano quelli precedenti.

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Segnala, poi, l'esigenza di analizzare la giurisprudenza della Corte costituzionale in materia di «divieto di reformatio in peius» dei trattamenti dei lavoratori, che - nel ritenere che «il divieto di una siffatta reformatio è ormai talmente consolidato che non occorre neppure menzionarlo nelle disposizioni di legge che hanno ad oggetto il trattamento medesimo» - ha sempre precisato, in successive pronunce, che la possibilità di ridurre unilateralmente la retribuzione non corrisponde ad un discrezionale ius variandi, ma è collegata a una oggettiva modificazione della prestazione lavorativa o ad una nuova (non arbitraria) valutazione della qualità di essa o a scelte lavorative operate dallo stesso lavoratore (nella fattispecie, la libera attività professionale) o, ancora, al carattere del tutto temporaneo dei sacrifici richiesti. Evidenzia, infine, una questione legata al «legittimo affidamento» dei soggetti interessati dal provvedimento, principio che la stessa Corte costituzionale tutela in caso di retroattività di nuove discipline che incidano in materia di diritti. Per tutti gli aspetti indicati, invita le Commissioni riunite ad approfondire la documentazione degli uffici, che reca utili elementi di analisi in materia.
Passando, poi, al comma 2 dell'articolo 3 dello schema di decreto, rileva che esso prevede che, ai fini dell'applicazione della disciplina illustrata, sono computate in modo cumulativo le somme comunque erogate all'interessato a carico del medesimo o di più organismi, anche nel caso di pluralità di incarichi conferiti da uno stesso organismo nel corso dell'anno; a tal fine, i soggetti destinatari di cui all'articolo 2 sono tenuti a produrre all'amministrazione di appartenenza, entro 30 giorni dalla pubblicazione del decreto, una dichiarazione ricognitiva di tutti gli incarichi comunque in atto a carico della finanza pubblica con l'indicazione dei relativi importi: a regime, tale dichiarazione è resa entro il 30 novembre di ciascun anno. Osserva, altresì, che il comma 3 dispone che il trattamento economico annuo omnicomprensivo, incluse le indennità e le voci accessorie, spettante al personale che riveste la carica di Presidente o di componente delle autorità amministrative indipendenti non possa superare l'ammontare di cui al comma 1; se superiore, esso si riduce al limite di cui al comma 1. In merito a tale ultima disposizione, fa notare che - poiché l'articolo 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011 riguarda i rapporti di lavoro dipendente o autonomo con pubbliche amministrazioni - il riferimento ai soggetti che rivestono la carica di Presidente o di componente delle autorità amministrative indipendenti appare ultra vires, in quanto non fondato sulle previsioni della norma di base; inoltre, tali soggetti sono indicati nello schema in esame come «personale», denominazione che appare impropria se riferita a soggetti nominati o eletti. Segnala, peraltro, che - qualora con il riferimento al «personale» contenuto in tale comma si intenda aver riguardo solo a coloro che, avendo un rapporto di lavoro con pubbliche amministrazioni statali, sono chiamati a rivestire le cariche in questione - si avrebbe un diverso trattamento per costoro rispetto a soggetti chiamati alle medesime cariche in assenza di rapporto di lavoro con le suddette amministrazioni.
Sottolinea che l'articolo 4 riproduce sostanzialmente la disposizione contenuta nel comma 2 dell'articolo 23-ter, stabilendo che il personale di cui all'articolo 2 dello schema di decreto, che esercita funzioni direttive, dirigenziali o equiparate, anche in posizione di fuori ruolo o di aspettativa, presso Ministeri o enti pubblici nazionali, comprese le autorità amministrative indipendenti, ove conservi il trattamento economico riconosciuto dall'amministrazione di appartenenza, non può ricevere a titolo di retribuzione o di indennità, o anche soltanto a titolo di rimborso delle spese, per l'incarico ricoperto, più del 25 per cento dell'ammontare complessivo del trattamento economico percepito a carico dell'amministrazione di appartenenza, fermo restando il limite massimo retributivo sopra stabilito. Con riferimento a tale articolo, peraltro, giudica evidente che il richiamo alle autorità indipendenti non possa che essere riferito al

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solo personale in esse operante e non anche ai componenti o presidenti delle autorità medesime.
Fa presente che l'articolo 5 prevede, per il personale con qualifica dirigenziale il cui trattamento economico non raggiunga il limite massimo sopra indicato, che le pubbliche amministrazioni valutano se provvedere o meno, in occasione del rinnovo del contratto individuale di lavoro, alla ridefinizione del relativo trattamento economico. In proposito, giudica necessario segnalare alle Commissioni riunite che anche tale previsione - al pari di alcune altre indicate in precedenza - appare ultra vires, in quanto non fondata sulle previsioni della norma di base, non prevedendo l'articolo 23-ter del decreto-legge n. 201 alcuna disposizione in materia. Peraltro, ritiene di non poter non rilevare - nella veste di presidente della Commissione competente in materia, che si è più volte soffermata su questo argomento nel corso della legislatura, in particolare con un'indagine conoscitiva che ha affrontato la riforma delle relazioni sindacali - che l'articolo 5 sembrerebbe incidere sulla sfera riservata alla contrattazione, ponendo anche una significativa questione - sulla quale invita le Commissioni riunite a riflettere con attenzione - rispetto ai limiti che la legge incontra nei confronti del contratto (sia esso individuale o, a maggior ragione, collettivo); limiti che appaiono ancor più evidenti, se solo si pensa che lo schema di decreto in esame è un atto di normazione secondaria e non una legge.
Infine, segnala che l'articolo 6 stabilisce le modalità per l'assegnazione delle risorse rivenienti dall'applicazione dei limiti retributivi sopra illustrati al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato; in particolare, si prevede che la Ragioneria generale dello Stato indichi, con proprio provvedimento, le modalità attraverso le quali tali risorse sono annualmente versate al suddetto Fondo.
In conclusione, assicura che i due presidenti si riservano di acquisire ogni utile elemento che dovesse emergere dal dibattito e, conseguentemente, di procedere - in pieno accordo tra loro - alla definizione di una proposta di parere da sottoporre alla deliberazione delle Commissioni riunite al termine dell'esame del provvedimento. Fa presente, inoltre, che - sotto il profilo dell'organizzazione dei lavori - la corrente settimana sarà dedicata al dibattito sul provvedimento e che i presidenti sarebbero intenzionati - se le Commissioni riunite concordano - a richiedere al Presidente della Camera, ai sensi dell'articolo 143, comma 4, del Regolamento, l'ordinaria proroga di dieci giorni del termine per l'espressione del parere (che, allo stato, verrebbe in scadenza il prossimo lunedì 20 febbraio), in modo da consentire di lavorare nella prossima settimana alla stesura della proposta di parere, in vista della sua votazione.

Le Commissioni concordano.

Il ministro Filippo PATRONI GRIFFI si riserva di formulare proprie considerazioni sulla base degli interventi che saranno svolti nel corso del dibattito.

Gianclaudio BRESSA (PD), intervenendo sull'ordine dei lavori, esprime l'avviso che, considerata la delicatezza delle questioni sollevate dai presidenti, sarebbe opportuno che il Governo intervenisse fin d'ora per illustrare il ragionamento che ha portato alla formulazione dello schema di decreto in esame.

Linda LANZILLOTTA (Misto-ApI), intervenendo sull'ordine dei lavori, concorda sul fatto che sarebbe importante che il Governo intervenisse in questa fase per chiarire i criteri e la filosofia che stanno alla base dello schema di decreto in esame.

Il ministro Filippo PATRONI GRIFFI chiarisce di essersi riservato di intervenire solo al termine del dibattito in quanto su questo provvedimento - che attua una norma introdotta nell'ordinamento con un emendamento di iniziativa parlamentare - il Governo ritiene della massima importanza acquisire le valutazioni del Parlamento.

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Quanto al ragionamento che ha portato alla formulazione dello schema di decreto in esame, chiarisce che il Governo ha in primo luogo scartato una interpretazione troppo letterale dell'articolo 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011, assumendo quindi che, parlando di «parametro massimo di riferimento», la norma intenda indicare nel trattamento del primo presidente della Cassazione il livello massimo di trattamento economico. Diversamente interpretando, infatti, il Governo avrebbe dovuto procedere alla riparametrazione di tutti i trattamenti economici, il che, oltre ad essere impossibile dal punto di vista della fattibilità pratica, sarebbe stato eversivo del sistema delle fonti, atteso che questa materia è riservata alla legge e, nei limiti di legge, alla contrattazione collettiva.
Sottolinea che il Governo ha pertanto considerato l'articolo 23-ter come norma di legge imperativa e quindi prevalente sulla contrattazione, ma naturalmente soltanto nella misura e nei casi in cui questa preveda trattamenti economici superiori a quello indicato dalla norma stessa, ferma quindi restando la competenza della contrattazione per la definizione dei trattamenti economici inferiori a quello del primo presidente della Cassazione. In quest'ottica è stata concepita anche la disposizione dell'articolo 5 dello schema, che, nelle intenzioni del Governo, non prescrive né incoraggia la revisione delle retribuzioni al di sotto del minimo, ma semplicemente chiarisce che la loro determinazione resta interamente devoluta alla contrattazione, che potrà rivederle alla naturale scadenza contrattuale.
Prende atto, come di un rilievo meritevole di attenzione, della circostanza evidenziata dai presidenti che soltanto alcune autorità amministrative indipendenti sono comprese dall'articolo 23-ter tra le amministrazioni destinatarie della norma, mentre lo schema di decreto in esame le comprende tutte. Si riserva di svolgere su questo punto un adeguato approfondimento.
Quanto infine alla facoltà offerta dall'articolo 23-ter di prevedere deroghe motivate per le posizioni apicali delle amministrazioni, spiega che il Governo non se ne è avvalso in considerazione del fatto che la norma, a differenza di altre precedenti, non prevede limiti quantitativi per queste deroghe né fornisce criteri per la loro individuazione. Il Governo ha preferito pertanto attendere su questo punto le eventuali indicazioni delle Commissioni parlamentari in sede di espressione del parere.

David FAVIA (IdV) chiede al Governo di chiarire quale sia l'ambito di applicazione del decreto sotto il profilo temporale, con particolare riferimento ai contratti individuali, e quali i risparmi che si attendono dalla misura. Chiede altresì un approfondimento sul tema del limite massimo per i rimborsi di spese.

Pierluigi MANTINI (UdCpTP) rileva come le relazioni introduttive dei presidenti abbiano chiaramente evidenziato la problematicità delle questioni poste dallo schema in esame e ricorda che altre questioni sono sollevate dalla documentazione predisposta per l'istruttoria della discussione dagli uffici.
Sottolinea che si tratta di questioni della massima rilevanza, a cominciare dalla lesione del fondamentale principio del divieto di reformatio in peius, scolpito dalla giurisprudenza nei decenni e riconosciuto dalla Corte costituzionale. Fa presente, tra l'altro, che ridurre retribuzioni molto elevate può forse non essere grave, ma minare il principio del divieto di reformatio in peius lo è certamente dal momento che crea i presupposti affinché in futuro si possano ridurre unilateralmente retribuzioni anche modeste; e che in uno Stato di diritto le norme non dispongono che per l'avvenire e non possono quindi avere efficacia retroattiva incidendo su aspettative legittimamente formate sulla base della legge vigente.
Osserva che, se, in questa fase di dura crisi economica, che provoca tanta difficoltà al paese, si ritiene di chiedere ai dirigenti della pubblica amministrazione le cui retribuzioni sono più alte un sacrificio

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particolare, esistono molti modi per farlo, per esempio attraverso prelievi speciali a titolo di contribuzione, come si è già fatto in passato, o con lo strumento fiscale.
Evidenzia, ancora, la incongruità della platea dei destinatari individuata dalla norma di legge, che discrimina, in base a criteri nient'affatto chiari, tra le pubbliche amministrazioni, assoggettandone alcune alla disciplina ed esentandone altre.
A suo avviso, su una materia così delicata, non è possibile intervenire sulla base di una norma inadeguata come l'articolo 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011. È meglio allora pensare a una modifica della norma di legge, così da affrontare direttamente sul piano legislativo, e non su quello attuativo, tutti i problemi posti da questa delicata materia. In questa sede si potrebbe anche valutare la possibilità di prevedere alcune deroghe ragionate al principio della fissazione di un limite di legge alle retribuzioni pubbliche, analogamente a quanto previsto da norme precedenti all'articolo 23-ter.

Linda LANZILLOTTA (Misto-ApI) rileva che, all'articolo 3, comma 2, dello schema in esame, dove si prevede l'obbligo per i soggetti destinatari del provvedimento di dare conto all'amministrazione di tutti gli incarichi rivestiti a fronte dei quali percepiscano retribuzioni a carico della finanza pubblica e i relativi importi, sarebbe forse utile richiamare espressamente le sanzioni previste dall'ordinamento per il falso in atto pubblico.
Chiede poi al Governo di valutare la possibile estensione dell'ambito di applicazione del provvedimento a tutto il sistema pubblico senza eccezioni, e quindi anche alle pubbliche amministrazioni non statali, comprese quelle regionali e locali: a suo avviso, infatti, la fissazione di un limite massimo per le retribuzioni pubbliche è un intervento che riguarda il coordinamento della finanza pubblica e il recepimento degli impegni assunti in sede europea, ossia ambiti di azione che la Costituzione riserva alla competenza dello Stato.

Mario TASSONE (UdCpTP) ritiene essenziale un chiarimento, da parte del Governo, in merito al concetto di onnicomprensività, in quanto la retribuzione è composta di numerose voci, su ciascuna delle quali sarebbe forse opportuna una specifica riflessione. Chiede inoltre per quale ragione il provvedimento non intervenga anche sui consulenti delle pubbliche amministrazioni, che non di rado svolgono ruoli di fatto sovraordinati a quelli dei massimi dirigenti.

Silvano MOFFA, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 14.55.