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PDL 4110-A-quater

XVII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 4110-A-quater



 

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DISEGNO DI LEGGE

presentato dal presidente del consiglio dei ministri
(RENZI)
e dal ministro dell'economia e delle finanze
(PADOAN)

Conversione in legge del decreto-legge 22 ottobre 2016, n. 193, recante disposizioni urgenti in materia fiscale e per il finanziamento di esigenze indifferibili

Presentato il 24 ottobre 2016

(Relatore di minoranza: BUSIN)
 

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Onorevoli Colleghi! Il decreto-legge in esame reca disposizioni, per altro disomogenee nella materia, in tema di fiscalità ed esigenze indifferibili: i primi due Capi, contengono, rispettivamente, misure in materia di riscossione e in materia fiscale, il Capo III reca invece misure per il finanziamento di esigenze indifferibili, che, a sua volta, risulta essere composto, al suo interno, da una somma di disposizioni omnibus che spaziano da misure in tema di occupazione, di difesa e di trasporti, fino a materie in tema di accoglienza e di promozione del settore agroalimentare e del cinema.
      L'articolo 1 del decreto-legge prevede, a partire dal 1o luglio 2017, lo scioglimento di Equitalia e l'istituzione dell'Agenzia delle entrate – Riscossione, un ente pubblico economico sottoposto al Ministero dell'economia e delle finanze a cui sarà trasferito il personale di Equitalia, previo superamento, detta il decreto, di una procedura di selezione «senza soluzione di continuità e con la garanzia della posizione giuridica ed economica». Su questo punto, certo, era importante sciogliere l'ente di riscossione Equitalia, ma, prima di tutto, si sarebbe dovuto rivedere l'assurdo sistema sanzionatorio che comunque resta in piedi e che, se sommato alla pressione fiscale, fa dell'Italia uno dei Paesi europei in cui i contribuenti sono tra i più vessati, a fronte di un riscontro in termini di servizi assolutamente insufficiente. Tra l'altro, non sono assolutamente chiare le modalità di trasferimento del personale, perché, per principio costituzionale, è necessario il superamento di un concorso per accedere al pubblico ufficio, mentre la definizione «procedura di selezione» non assicura affatto la rispondenza al dettato della Costituzione.
      È inoltre previsto che l'amministratore delegato di Equitalia sia nominato commissario straordinario per l'adozione dello statuto e la gestione della fase transitoria, ma non si comprende perché questo compito debba essere affidato a questa figura, quando invece corrisponderebbe ad una logica di buon senso, ma soprattutto di garanzia del contribuente, affidare la supervisione delle procedure di passaggio, e soprattutto di redazione dello statuto, al Ministro dell'economia e delle finanze.
      Per quanto concerne l'articolo 4, esso provvede ad abrogare il cosiddetto «spesometro» e ad introdurre due nuovi adempimenti da effettuare telematicamente con cadenza trimestrale: la comunicazione analitica dei dati delle fatture emesse e ricevute e la comunicazione dei dati delle liquidazioni periodiche IVA. Questi obblighi e adempimenti introdotti permetteranno sicuramente di conoscere la cassa che si genera a livello nazionale, poiché, comunicando la liquidazione IVA ogni tre mesi, nei fatti, il contribuente fornisce tutti i dati della comunicazione annuale IVA che normalmente vengono inviati a fine febbraio, ma porteranno sicuramente un aggravio del carico burocratico che per le aziende italiane è il più pesante d'Europa. La portata di questa introduzione, in realtà, è anche di altra natura: le sanzioni. Queste, infatti, applicabili già dal 2017, potrebbero portare nelle casse dello Stato non soltanto i soldi dei contribuenti che ometteranno volontariamente la comunicazione delle informazioni, ma anche di quelli che, semplicemente, avranno problemi tecnici di natura telematica, considerato il fatto che manca meno di un mese all'entrata in vigore delle nuove disposizioni e le società di software house devono ancora predisporre i pacchetti.
      Si stabilisce, poi, allo stesso articolo, un credito di imposta di 100 euro per l'adeguamento tecnologico a favore degli imprenditori
 

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che hanno un volume di affari non superiore a 50.000 euro. Certo, poteva essere previsto un credito di imposta più ampio. Poi, si presenterà ancora il problema generazionale dell'adeguamento ai nuovi adempimenti: con la telematizzazione forzata di ogni procedura – al di là della semplificazione che non sempre avviene – si lasciano indietro le micro imprese, soprattutto quelle individuali, in cui si svolgono attività di artigianato legato a mestieri che stanno scomparendo, che, invece di tutelare come patrimonio, il Governo costringe a ricorrere ancora una volta ai professionisti, per la semplice impossibilità nell'utilizzo degli strumenti informatici, aggravando loro gli oneri. Inoltre, i commi 6 e 7 dello stesso articolo ampliano le fattispecie di introduzione nel deposito IVA che possono essere effettuate senza il pagamento dell'imposta e interviene sulle modalità di assolvimento dell'IVA all'atto dell'estrazione dei beni diversi da quelli introdotti in forza di un acquisto intracomunitario, compresi quelli di provenienza extracomunitaria. Il soggetto responsabile dell'imposta dovuta all'atto dell'estrazione del deposito IVA di un bene di provenienza extracomunitaria è individuato nel gestore del deposito – un soggetto che in virtù delle procedure autorizzatorie attualmente previste presenta caratteri di affidabilità – il quale dovrà effettuare il relativo versamento in nome e per conto del soggetto estrattore. Quest'ultimo recupererà l'imposta con le ordinarie modalità legate all'esercizio del diritto alla detrazione. Per effetto di tali modifiche, il Governo punta a contrastare più efficacemente i fenomeni di frode legati ad un utilizzo indebito dei depositi IVA, ma questa disposizione avrà effetti dirompenti sull'attività dei magazzini IVA, perché indurrà ad importare le merci attraverso altri Stati membri che non prevedono il versamento diretto dell'IVA all’import o che comunque hanno aliquote d'imposta inferiori. La misura, dunque, lungi dal produrre un aumento di gettito relativo alle frodi, che si verrebbero invece contrastare, provocherà al contrario una riduzione del gettito, per la perdita della quota parte dei dazi di pertinenza dello Stato e per minori imposte incassate e perdita di posti di lavoro, considerando che la gran parte dei depositi IVA ridurrà drasticamente l'attività e alcuni la cesseranno del tutto, con forte penalizzazione dell'indotto logistico. L'articolo fondamentale del decreto è sicuramente il 6, riguardante la rottamazione delle cartelle Equitalia: si consente la definizione agevolata dei carichi affidati agli agenti della riscossione negli anni compresi tra il 2000 e il 2015. Aderendo alla procedura, non saranno più dovute le sanzioni, gli interessi di mora e le sanzioni e somme aggiuntive gravanti su crediti previdenziali, e il contribuente potrà estinguere il debito pagando le somme iscritte a ruolo a titolo di capitale, di interessi legali e di remunerazione del servizio di riscossione. Rimane dunque l'aggio di Equitalia, che continua ad essere profumatamente remunerata. È impensabile che uno Stato che vessa i propri cittadini durante un periodo di crisi pesantissima, non riconosca l'assurdità di aver prima applicato tassi quasi usurai e poi dichiari che sia necessario il condono per le sanzioni e le more che raddoppiano o addirittura triplicano l'importo di partenza, poiché questo è accaduto esattamente perché stabilito dalla legge fatta dallo stesso Stato. Ma, soprattutto, quest'ultimo avrebbe dovuto innanzitutto scusarsi con i propri cittadini per non aver previsto alcuna depenalizzazione, sospensione o misura di sostegno durante il periodo più nero della crisi, poiché di fatto ha spinto molti imprenditori, già in difficoltà, a suicidarsi perché vessati, oltre dalla crisi, anche da Equitalia. Il condono Equitalia provocherà una netta disparità di trattamento tra due contribuenti in eguale posizione giuridica – ossia entrambi destinatari di cartelle esattoriali Equitalia –, di cui uno ha deciso di pagare le assurde cartelle, magari facendo innumerevoli sacrifici, e un altro che, invece, per furberia o, più spesso, per impossibilità, ha deciso di non pagare o ricorre in giudizio. In base a questa considerazione, potrebbe addirittura ipotizzarsi la violazione del principio di uguaglianza formale
 

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e sostanziale dei cittadini dell'articolo 3 della Costituzione: si sarebbe quindi dovuto prevedere almeno una detrazione fiscale su interessi e sanzioni per coloro che hanno già pagato. Inoltre, per questa stessa ragione, ossia per contrasto con l'articolo 3 della Costituzione, sarebbe stato quantomeno opportuno che la definizione agevolata si estendesse a tutti i carichi di ruolo affidati all'agente della riscossione, e non soltanto a quelli relativi agli anni dal 2000 al 2015. Questa misura, oltre che ristabilire un minimo livello di equità e di equilibrio, avrebbe poi consentito allo Stato la possibilità di incamerare maggiori risorse. Non è affatto condivisibile la disposizione che prevede che il pagamento deve avvenire in un'unica rata o in un massimo di quattro, perché questo numero risulta essere veramente irrisorio per permettere ai contribuenti di pagare importi che alcune volte sono spropositati. Infatti, in molti casi, il debitore non è più in grado di prendere un affidamento bancario che gli permetta di pagare in tempi così stretti. Per questa ragione, abbiamo presentato un emendamento per consentire, ai contribuenti che hanno carichi pendenti fino a 50.000 euro, di accedere a finanziamenti agevolati con esclusione di tutte le spese e un tasso di interesse corrispondente a quello che la Banca centrale europea applica alle banche.
    È inaccettabile, poi, che si sia lasciato l'aggio di Equitalia poiché, se veramente lo scopo del decreto è quello di dare un segnale ai cittadini, ammettendo che il sistema di riscossione dei carichi pendenti è stato finora fagocitante per i contribuenti, specie per quelli in difficoltà, non si capisce perché il Governo non abbia eliminato la remunerazione di questa società che per anni si è arricchita a discapito di situazioni, anche drammatiche, di imprenditori e famiglie, soprattutto durante la crisi finanziaria. In particolare, non si comprende perché il Presidente del Consiglio non abbia provveduto direttamente in sede di scrittura del decreto, dichiarando pubblicamente che spettava al Parlamento eliminare l'aggio di Equitalia, quando è noto che alcuni provvedimenti, soprattutto in presenza della volontà politica di approvarli in breve tempo, sono praticamente blindati, senza possibilità di apportare modifiche durante l'iter parlamentare, soprattutto per le opposizioni. Infatti, sono stati in blocco respinti i nostri emendamenti, il cui scopo era quello di ristabilire un livello minimo di uguaglianza tra i contribuenti e di stabilire delle regole, nel rapporto con il fisco, il più possibile loro favorevoli, secondo quanto stabilito dallo Statuto del contribuente, che troppo spesso viene dimenticato.
    Passando alle materie trattate dalla seconda parte del decreto-legge, vorrei ricordare, innanzitutto, che, in seguito all'approvazione della legge quadro sulle missioni internazionali delle Forze armate, la cosiddetta legge Garofani, non avremo più i tradizionali decreti-legge che periodicamente prorogavano i nostri interventi militari all'estero. È rimasto però l'obbligo a carico del Governo di consultare il Parlamento, tramite le Commissioni competenti, per l'avvio di ogni nuovo intervento. Ed insieme a quello, anche l'obbligo di utilizzare uno strumento legislativo per autorizzare l'inizio delle operazioni ed il loro finanziamento. Ecco perché il collegato fiscale di quest'anno contiene previsioni che riguardano la Libia, Paese nel quale sono recentemente iniziati due differenti interventi del nostro Paese. Per la medesima ragione, del provvedimento sono chiamate ad occuparsi le Commissioni esteri e difesa della Camera, seppure soltanto in sede consultiva. Le disposizioni richiamate si trovano nell'articolo 9, che autorizza fino al prossimo 31 dicembre lo svolgimento in Libia dell'Operazione Ippocrate, consistente nell'invio a Misurata di un presidio ospedaliero dotato di scorta militare e la partecipazione alla Missione delle Nazioni Unite in Libia denominata UNSMIL. Gli stanziamenti sono significativi, pari a 17,388 milioni di euro.
      I fondi stanziati coprono spese per il personale (in misura pari a 1/4) e di funzionamento (in misura pari a 3/4) relative a 109 giorni. Ciò significa che, proiettato su base annuale, il nuovo intervento
 

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implicherebbe circa 60 milioni di spese. Non pochi, ma andrebbero bene se, le finalità di questo intervento, come più volte richiesto dalla Lega, fossero indirizzate sia in chiave anti-ISIS che di stabilizzazione e contenimento dei flussi migratori che, al contrario, l'attuale Governo alimenta, con scellerate politiche di accoglienza che impegnano risorse tali da dover richiedere uno spazio crescente di flessibilità in Europa, attraverso la clausola degli eventi di natura eccezionale per permettere di fare manovre in deficit e posticipare continuamente l'obiettivo del raggiungimento del pareggio di bilancio.
    Proprio a questo proposito, all'articolo 12 si prevede un incremento di 600 milioni di euro per il sistema accoglienza per stranieri. La dizione «centri di trattenimento e di accoglienza per stranieri» viene specificata nella relazione al provvedimento dove viene puntualizzato che «al fine di garantire la permanenza dei richiedenti protezione internazionale nei centri di accoglienza» per il 2016 verranno appunto aumentate di 600 milioni di euro «le risorse destinate all'attivazione, alla locazione e alla gestione dei centri di accoglienza per stranieri irregolari, iscritte nel capitolo 2351 dello stato di previsione del Ministero dell'interno». Si dispone, per giunta a favore dei comuni che accolgono richiedenti protezione internazionale, un concorso alle spese da parte dello Stato, nel limite massimo di 500 euro a richiedente ospitato e comunque nei limiti della disponibilità del Fondo. È chiaro che, come puntualizzato nella relazione dall'inciso «al fine di garantire la permanenza dei richiedenti protezione internazionale nei centri di accoglienza» tali somme saranno destinate unicamente al finanziamento dei centri di accoglienza, confluendo in quel capitolo di bilancio per cui la stabilità 2016 ha previsto una dotazione di 450,4 milioni di euro, aggiornata a 503 milioni di euro di cui 50 milioni già introdotti in bilancio in dipendenza di atti amministrativi intervenuti nel corso dell'anno e, pare, 3,3 milioni di euro per i servizi di accoglienza in favore di stranieri con la legge di assestamento recentemente approvata al Senato il 5 ottobre 2016, ma il cui testo non è ancora disponibile per una verifica. La previsione di 500 euro a richiedente asilo da erogarsi a favore di quelle amministrazioni comunali che danno la disponibilità all'accoglienza ha, evidentemente, l'obiettivo di incentivare i comuni ad accogliere immigrati ma anche ad aderire e implementare il sistema SPRAR, sebbene non abbia relazione con l'accordo con l'ANCI relativo alla distribuzione degli immigrati. Trattandosi però di una misura propagandistica di alcun sostegno per i comuni nonché priva di qualsiasi programmazione, sarà un contributo a pioggia, considerato che le modalità di riparto non sono definite bensì demandate ad un successivo decreto e l'erogazione avverrà fino ad esaurimento del fondo. Secondo quanto riferito dal delegato ANCI per l'immigrazione e le politiche per l'integrazione, Matteo Biffoni, sindaco di Prato, in audizione alla Commissione di inchiesta sui migranti, sembrerebbe che secondo una circolare ministeriale dell'11 ottobre indirizzata ai prefetti, i comuni che hanno volontariamente accolto immigrati debbano essere esentati da nuovi arrivi non condivisi e dall'accoglienza nei CAS, che verrà disposta dunque dalla prefettura nei confronti di tutte quelle amministrazioni contrarie all'accoglienza, come di fatto sta già avvenendo. Definita «clausola di salvaguardia», in sostanza, è un ricatto.
    Infine, un'ultima considerazione sugli articoli relativi al settore dei trasporti: si stabiliscono due contributi straordinari, di cui 600 milioni per la Campania e 90 milioni per il Molise, per far fronte ai debiti contratti con le società che si sono occupate di gestione e investimenti per il trasporto ferroviario regionale. Il tutto coperto mediante corrispondente utilizzo del Fondo sviluppo e coesione, mentre sarebbe stato invece necessario prevedere un Fondo in cui far confluire i 690 milioni, a cui far accedere tutte le Regioni che senza debiti pregressi, per la valorizzazione del trasporto ferroviario regionale, rimandando a successivo decreto le modalità per l'accesso al fondo. Si tratta della
 

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parte più vergognosa e dequalificante dell'intero dispositivo. È chiaramente un provvedimento di carattere elettoralistico volto ad influenzare il prossimo voto referendario in quelle aree dove i segnali contrari al Governo sono più forti. Ma va soprattutto contro il principio di responsabilità degli amministratori degli enti periferici i quali, non solo vengono condonati della loro errata condotta, ma soprattutto incentivati a ripetere per il futuro scelte volte allo spreco, alle clientele e alla forma più condannabile di assistenzialismo. Non bastasse, le cifre messe in campo sono di considerevolissima entità e potevano molto utilmente essere impiegate in altre emergenze e in investimenti più proficui.
    Per concludere, si tratta di un collegato alla legge di bilancio con l'evidente finalità di orientare nel senso voluto l'opinione pubblica alla vigilia di una scadenza elettorale decisiva per l'attuale Governo, alcune di mera facciata come la soppressione di Equitalia, che di fatto continuerà ad operare sotto diverso nome con le stesse modalità e gli stessi addetti, altre che si possono connotare come vere e proprie marchette elettorali, in totale spregio delle vere emergenze, alcune drammatiche, del Paese.

Filippo BUSIN,
Relatore di minoranza


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