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CAMERA DEI DEPUTATI
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N. 360-1943-2044-2123-2407-A |
Il Comitato permanente per i pareri,
esaminato il testo unificato delle proposte di legge n. 360 Garavini ed abbinate, recante «Disposizioni in materia di attribuzione del cognome ai figli»,
preso atto che il testo unificato in esame modifica la vigente disciplina civilistica in materia di attribuzione del cognome ai figli, anche in relazione alla recente giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, che prevede la possibilità di attribuire a questi ultimi il cognome materno;
ricordato che la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato recentemente l'Italia per la violazione degli articoli 8 e 14 della Convenzione EDU concernenti, rispettivamente, il diritto al rispetto della vita privata e familiare (norma che involge comunque ogni aspetto della identificazione personale) e il divieto di ogni forma di discriminazione. In particolare, la sentenza 7 gennaio 2014 della CEDU (Cusan e Fazio c. Italia) ha definito la preclusione all'assegnazione al figlio del solo cognome materno una forma di discriminazione basata sul sesso che viola il principio di uguaglianza tra uomo e donna;
ricordate, altresì, le raccomandazioni n. 1271 del 1995 e n. 1362 del 1998 del Consiglio d'Europa che hanno affermato che il mantenimento di previsioni discriminatorie tra donne e uomini riguardo alla scelta del nome di famiglia non è compatibile con il principio di eguaglianza sostenuto dal Consiglio stesso, raccomandando agli Stati inadempienti di realizzare la piena eguaglianza tra madre e padre nell'attribuzione del cognome dei loro figli, di assicurare la piena eguaglianza in occasione del matrimonio in relazione alla scelta del cognome comune ai due partners, di eliminare ogni discriminazione nel sistema legale per il conferimento del cognome tra figli nati nel e fuori del matrimonio;
evidenziato che la Corte costituzionale ha avuto modo di pronunciarsi sull'attribuzione ai figli del solo cognome paterno nella sentenza n. 61 del 2006, nella quale ha affermato che «l'attuale sistema di attribuzione del cognome è retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affonda le proprie radici nel diritto di famiglia romanistico, e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell'ordinamento e con il valore costituzionale dell'uguaglianza tra uomo e donna», richiamando, altresì, «il vincolo – al quale i maggiori Stati europei si sono già adeguati – posto dalle fonti convenzionali, e, in particolare, dall'articolo 16, comma 1, lettera g), della Convenzione sulla eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, adottata a New York il 18 dicembre 1979, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 14 marzo 1985,
sottolineato che il testo unificato interviene su una materia – l'ordinamento civile – di competenza legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione;
rilevato, con riferimento alle specifiche disposizioni del provvedimento, che esso prevede una disciplina identica per l'attribuzione del cognome ai figli nati nel matrimonio e ai figli nati fuori del matrimonio riconosciuti da entrambi i genitori, nel rispetto del principio di uguaglianza di cui all'articolo 3 della Costituzione, secondo l'ottica di completa equiparazione tra figli nati nel matrimonio e figli nati fuori del matrimonio che ha ispirato la recente riforma della filiazione;
evidenziato, tuttavia, che il nuovo articolo 262, quinto comma, del codice civile – come sostituito dall'articolo 2 del testo unificato – detta una disciplina sulla trasmissione del cognome in caso di doppio cognome di uno dei genitori valida solo per i figli nati fuori del matrimonio. In particolare, per questi ultimi, in caso di doppio cognome di uno dei genitori, questi trasmette al figlio un solo cognome a sua scelta;
rilevata la mancanza di una disposizione transitoria volta a consentire l'applicazione della nuova disciplina in materia di cognome anche ai genitori di figli minorenni,
esprime
con le seguenti osservazioni:
a) valuti la Commissione di merito l'opportunità di coordinare la disposizione di cui all'articolo 1, capoverso Art. 143-ter, comma quarto, con quella di cui all'articolo 2, capoverso Art. 262, comma quinto, al fine di evitare differenze di disciplina suscettibili di determinare ingiustificate disparità di trattamento tra figli nati nel matrimonio e figli nati fuori del matrimonio;
b) valuti la Commissione di merito l'opportunità di introdurre nel testo una disposizione transitoria volta a consentire l'applicazione della nuova disciplina in materia di cognome anche ai genitori di figli minorenni.
1. Prima dell'articolo 144 del codice civile è inserito il seguente:
«Art. 143-quater. – (Cognome del figlio nato nel matrimonio). – I genitori coniugati, all'atto della dichiarazione di nascita del figlio, possono attribuirgli, secondo la loro volontà, il cognome del padre o quello della madre ovvero quelli di entrambi nell'ordine concordato.
In caso di mancato accordo tra i genitori, al figlio sono attribuiti i cognomi di entrambi i genitori in ordine alfabetico.
I figli degli stessi genitori coniugati, nati successivamente, portano lo stesso cognome attribuito al primo figlio.
Il figlio al quale è stato attribuito il cognome di entrambi i genitori può trasmetterne al proprio figlio soltanto uno, a sua scelta».
1. L'articolo 262 del codice civile è sostituito dal seguente:
«Art. 262. – (Cognome del figlio nato fuori del matrimonio). – Al figlio nato fuori del matrimonio e riconosciuto contemporaneamente da entrambi i genitori si
1. L'articolo 299 del codice civile è sostituito dal seguente:
«Art. 299. – (Cognome dell'adottato). – L'adottato assume il cognome dell'adottante e lo antepone al proprio. Nel caso di adottato con due cognomi, a norma dell'articolo 143-quater, egli indica quale dei due cognomi intende mantenere.
Se l'adozione avviene da parte di coniugi, essi possono decidere concordemente il cognome da attribuire ai sensi dell'articolo 143-quater. In caso di mancato accordo, si segue l'ordine alfabetico».
1. Il figlio maggiorenne, al quale è stato attribuito il solo cognome paterno o il solo cognome materno sulla base della normativa vigente al momento della nascita, può aggiungere al proprio il cognome materno o il cognome paterno con dichiarazione resa, personalmente o con comunicazione scritta recante sottoscrizione autenticata, all'ufficiale dello stato civile, che procede all'annotazione nell'atto di nascita.
2. Il figlio nato fuori del matrimonio non può aggiungere al proprio il cognome del genitore che non abbia effettuato il riconoscimento ovvero la cui paternità o maternità non sia stata dichiarata giudizialmente.
3. Nei casi previsti dal comma 1, non si applicano le disposizioni previste dal titolo X del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, e successive modificazioni.
1. Con regolamento emanato, su proposta del Ministro dell'interno, ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono apportate alla disciplina dettata in materia di ordinamento dello stato civile dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, le modificazioni necessarie per adeguarla alle disposizioni della presente legge.
1. Dall'attuazione delle disposizioni della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le pubbliche amministrazioni interessate provvedono ai compiti previsti dalla presente legge con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
1. Le disposizioni di cui agli articoli 1, 2 e 3 si applicano alle dichiarazioni di nascita rese dopo l'entrata in vigore del regolamento emanato ai sensi dell'articolo 5 e alle adozioni pronunciate con decreto emesso successivamente all'entrata in vigore del regolamento medesimo.
2. Le disposizioni dell'articolo 4 si applicano alle dichiarazioni rese all'ufficiale dello stato civile dopo l'entrata in vigore del regolamento emanato ai sensi dell'articolo 5.
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