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PDL 2208-C-bis

XVII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 2208-C-bis



 

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DISEGNO DI LEGGE

APPROVATO DALLA CAMERA DEI DEPUTATI
il 24 aprile 2014 (v. stampato Senato n. 1464)

MODIFICATO DAL SENATO DELLA REPUBBLICA
il 7 maggio 2014

presentato dal presidente del consiglio dei ministri
(RENZI)

e dal ministro del lavoro e delle politiche sociali
(POLETTI)

Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 20 marzo 2014, n. 34, recante disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell'occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese

Trasmesso dal Presidente del Senato della Repubblica il 7 maggio 2014

(Relatore di minoranza: FEDRIGA)
 

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Onorevoli Colleghi! – Questo decreto-legge è un insulto alla volontà di rilancio dell'occupazione. Due dovevano essere gli interventi urgenti in materia di occupazione: l'abrogazione della riforma delle pensioni Fornero e una considerevole riduzione del cuneo fiscale. Il testo licenziato dalla maggioranza nella Commissione XI, a seguito delle modifiche apportate sia dalla Camera che dal Senato, soffoca qualunque spirito di apertura verso una flessibilità costruttiva nelle tipologie contrattuali, vanificando, nel concreto, qualunque tentativo di rilancio dell'occupazione.
      Basti pensare all'intervento restrittivo volto a limitare a cinque volte nell'arco dei 36 mesi, in luogo delle otto inizialmente previste nel testo governativo, la possibilità di proroga del contratto a termine acausale o al limite legale del 20 per cento per l'utilizzo dei rapporti a tempo determinato, calcolato sul numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1o gennaio dell'anno di assunzione. O alle disposizioni transitorie, che prevedono per i datori di lavoro che hanno in corso rapporti di lavoro a termine in percentuale superiore al 20 per cento senza alcuna previsione nel contratto collettivo nazionale di riferimento, l'obbligo di rientrare nella percentuale legale del 20 per cento entro il 31 dicembre 2014, pena il divieto di stipulare nuovi contratti a tempo determinato fin tanto che non rientrino nei predetti limiti percentuali.
      Quanto all'apprendistato, l'irrigidimento parlamentare rispetto all'intervento normativo ab origine è nella reintroduzione della quota di apprendisti da «stabilizzare», prevedendo l'obbligo per le aziende con oltre 50 dipendenti di assumere a tempo indeterminato una quota non inferiore al 20 per cento degli apprendisti in carico. Questa previsione si presenta alla fine come una piccola e poco incisiva misura correttiva ai rigidi limiti imposti dalla riforma Fornero, che disponeva per i primi tre anni di vigenza la stabilizzazione da parte delle aziende del 30 per cento degli apprendisti e, successivamente, di almeno il 50 per cento. Un vero rilancio del contratto di apprendistato, invece, avrebbe dovuto contemplare non solo l'eliminazione totale della quota obbligatoria di assunzione di apprendisti, ma anche la previsione di un abbattimento del cuneo fiscale sulla trasformazione, al termine del percorso, dei contratti di apprendistato in contratti a tempo indeterminato e l'aumento dell'età anagrafica dei soggetti che possono beneficiare di contratti di apprendistato, elevando il limite di età per il contratto di apprendistato per la qualifica ed il diploma professionale da 25 a 30 anni e quello per i contratti di apprendistato professionalizzante o di mestiere e di alta formazione e di ricerca da 29 a 35 anni.
      Ma il paradosso più grande di questo decreto è che le sue disposizioni renderanno disoccupati, nella sola provincia di Milano, oltre duemila e quattrocento persone, che oggi lavorano, producono e spendono. Il grido di allarme è stato lanciato dall'Unione artigiani di Milano, che ha calcolato che a Milano e Provincia con questo decreto quasi duemila e cinquecento persone rischiano di non vedersi rinnovato il contratto a tempo determinato o, comunque, di non essere assunti.
      Il senatore Ichino, nella sua relazione di maggioranza al Senato, ha detto che questo decreto-legge «costituisce la prima tappa di un disegno ambizioso di trasformazione del mercato del lavoro italiano. Con la riforma delineata nel disegno di legge delega [...] il Governo si propone di semplificare incisivamente l'impianto della nostra legislazione di fonte nazionale in materia di lavoro e di modificarne il contenuto essenziale secondo il modello della flexicurity». Sfugge, forse, al senatore Ichino e alla maggioranza che sostiene il jobs act Renzi - Poletti che il vero modello di flexicurity è quello danese, che ha praticato con successo la deregolamentazione del mercato del lavoro nella convinzione
 

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che la flessibilità occupazionale migliora la competitività delle aziende e, di conseguenza, il tasso di produzione, che a sua volta spinge il mercato del lavoro: un circolo virtuoso che si innesca con maggiori possibilità per i datori di lavoro di assunzioni temporanee e licenziamenti, in base alle esigenze produttive, in cambio di una sicurezza al lavoratore nella transizione verso nuovi posti di lavoro. Questa è la vera flexicurity, quella raccomandata anche negli anni scorsi dall'Unione europea agli Stati membri. E la riforma del lavoro Renzi - Poletti sembra esser molto lontana da questo modello.
      Il solo giudizio positivo sul contenuto del decreto-legge si esprime sull'articolo 4, con riguardo alla «smaterializzazione» del DURC, la cui semplificazione è la sola ed unica misura contemplata dal provvedimento a vantaggio delle piccole e medie imprese.
      Abbiamo già espresso – e lo ribadiamo con forza – la nostra perplessità rispetto al ricorso alla decretazione d'urgenza solo per le tipologie contrattuali e non anche per quello che oggi rappresenta il principale ostacolo alla ripresa del mercato del lavoro e al rilancio dell'occupazione e cioè il costo del lavoro troppo alto. Non sono i contratti a creare posti di lavoro, bensì le imprese. Ecco perché riteniamo che il Governo avrebbe dovuto varare con urgenza un provvedimento di sostanziale abbattimento del costo del lavoro e solo in seconda battuta intervenire per correggere le storture create nel mercato del lavoro dalla sua stessa maggioranza con la «legge Fornero». Riaffermiamo che il nostro Paese non ha bisogno di ritocchi e correzioni, come questo decreto-legge si appresta a fare, ma di misure forti e interventi strutturali che contemplino l'abrogazione della riforma pensionistica del Ministro Fornero ed un taglio drastico del cuneo fiscale del 10 per cento, non di 10 miliardi, come il Premier Renzi, con un gioco di parole, ha lasciato credere.
      Per le ragioni sopraesposte, rimaniamo critici e perplessi sull'impostazione del decreto-legge all'esame e, per questo motivo, non abbiamo ritenuto necessario presentare un testo alternativo.

Massimiliano FEDRIGA,
Relatore di minoranza.


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