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Seduta del 15/12/2010


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Audizione della dottoressa Cesarina Ferruzzi, quale persona informata dei fatti oggetto dell'inchiesta.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione della dottoressa Cesarina Ferruzzi, che ringrazio per la sua presenza. L'audizione odierna rientra nell'ambito degli approfondimenti che la Commissione sta svolgendo con riferimento alla situazione relativa alle navi a perdere.
Avverto la nostra ospite che della presente audizione sarà redatto un resoconto stenografico e che, se lo riterrà opportuno, i lavori della Commissione proseguiranno in seduta segreta.


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Prima di cedere la parola alla dottoressa Ferruzzi, chiedo se vi siano parlamentari che intendano già porre domande di apertura.
La dottoressa Ferruzzi ci ha fatto avere una relazione, sulla quale evidentemente non siamo in questo momento in condizione di porre domande. Peraltro, siamo interessati a due aspetti, sui quali pensiamo che lei possa fornirci informazioni utili: uno riguarda le bonifiche lombarde, sulle quali, però, mi pare che lei abbia avuto vicende giudiziarie...
Riprendendo, ci sono due aspetti che interessano la Commissione. Ci risulterebbe che la dottoressa abbia avuto occasione di occuparsi di trasferimenti all'estero tramite navi di rifiuti, immaginiamo tossici o pericolosi, e anche di occuparsi delle bonifiche in Lombardia.
La proposta del presidente sarebbe oggi sostanzialmente quella di prestare attenzione soprattutto all'aspetto relativo all'inchiesta sulle navi. Se, però, la dottoressa può o vuole rispondere anche sulle bonifiche in Lombardia, un altro settore di cui la Commissione si sta occupando, ovviamente gliene saremo grati.
Prima ancora di lasciare spazio a un'illustrazione da parte della dottoressa Ferruzzi, do la parola ai colleghi che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

ALESSANDRO BRATTI. Vorrei, se possibile, che oggi fosse svolto un approfondimento sulla questione delle navi. Dovremmo tornare in Lombardia dove si potrà approfondire, anche alla luce della relazione che la dottoressa ci ha presentato, il problema delle bonifiche e degli illeciti collegati.
Da più parti viene citato il ruolo importante dal punto di vista tecnico che la dottoressa Ferruzzi alla fine degli anni Ottanta ha svolto nella società Monteco, una società del gruppo ENI che trattava rifiuti pericolosi. Vorrei capire che cosa è successo in quel periodo, quando questi rifiuti sono tornati, in che modo è stata gestita da parte della società Monteco la situazione di ritorno di questi rifiuti pericolosi in Italia e dove, a sua conoscenza, tali rifiuti sono andati a finire. Poiché, se non sbaglio, in quel periodo eravamo in una fase di transizione legislativa. Mi interessa capire il suo ruolo e le notizie che può darci per approfondire meglio alcune questioni.

CESARINA FERRUZZI. Ringrazio la Commissione di questa audizione. Abbiamo preparato un dossier, che lascio agli atti, che tratta anche altri argomenti. Conoscendo ora le domande e l'interesse, ritengo, se ci sarà il tempo, alla fine, di verificare anche questo dossier e di raccontarvi a brevi linee che cosa contiene. Utilizzerei i prossimi momenti per cercare di dar corso alle vostre richieste.
Premetto che io non ho avuto problemi giudiziari per quanto riguarda le bonifiche, perché i problemi giudiziari sono stati di altro genere e di altra natura, ma non relativi alle bonifiche, devo dire che proprio grazie alle mie dichiarazioni rese in fase di interrogatorio alla PM Laura Pedio si è aperto un filone che riguarda Santa Giulia; si tratta in realtà di scavo e di terreno e non di una bonifica.
La stessa PM mi chiese che cosa ne pensassi e tranquillamente affermai che, a mio avviso, laddove deve nascere un quartiere residenziale, parlare solo e soltanto o di piano scavo - nel passato era stata già eseguita una bonifica da altri soggetti - o di condivisione nell'area di discariche realizzate negli anni Novanta, laddove le condizioni legislative e di possibilità di smaltire questi rifiuti in discarica oggi sono cambiate, probabilmente si doveva osservare il problema in un'altra ottica.
Da qui è scaturito un fenomeno legato all'intervento su Santa Giulia. La PM, che ancora mi ringrazia delle informazioni che le ho dato e con cui l'ho indirizzata, è giunta a compiere alcune verifiche che hanno portato ad accertare il fatto che probabilmente queste discariche, lasciate in quell'area dal 1990 a oggi, non sono in condizioni di sicurezza e che alcuni interventi vanno eseguiti per metterle in sicurezza e per evitare trascinamenti nella


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falda sia del percolato, sia di sostanze che possano entrare nella falda stessa.
Ciò è anche legato al fatto che nel 1990 non erano in vigore le attuali norme in materia. Non esisteva una normativa sulle bonifiche, né sulla costruzione delle discariche. Sappiamo perfettamente quali sono le date di queste normative, sia per le bonifiche, di cui la prima è del 1999, sia sulle discariche, di cui la prima è del 2005. L'ultima che è stata pubblicata oggi con i criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica è del dicembre 2010.
Parlare di un intervento di Piano scavi senza verificare che cosa ci fosse effettivamente in quell'area mi rendeva molto perplessa. Non era affar mio, ma qualcuno l'ha approvato e, quindi, abbiamo eseguito un Piano scavi. Da ciò si è innescata una situazione che ha portato a determinate verifiche.
È anche vero, se vogliamo ribadirlo, che si pone un problema di falda in tutta la regione Lombardia. Non lo possiamo nascondere. Il fatto che questo inquinamento sia comunque in parte dovuto alle discariche degli anni Novanta, costruite con un dato criterio e dove comunque si trovano rifiuti che oggi non sono più ammessi in discarica e che sono stati sottoposti a criteri di trattamento oggi non più validi, indubbiamente può creare problematiche ambientali che si riflettono sicuramente sulle falde. È inevitabile.
Questo episodio è stato una conseguenza di alcune situazioni di cui sono stata vittima, ma non sul piano ambientale. Anzi, il mio contributo - con la dottoressa Pedio ci siamo viste la settimana scorsa - sta andando avanti.
Per quanto riguarda le navi, nel 1988 lavoravo presso la Monteco, ossia la Montedison Ecologia, allora società della Montedison. In quel periodo si era verificato un problema nazionale di invio all'estero di rifiuti su alcune navi, che la popolazione aveva definito le «navi dei veleni».
Queste navi, non solo quelle di cui mi sono occupata direttamente, avevano vagato un po' in tutto il mondo.

ALESSANDRO BRATTI. Ricorda il nome di alcune navi di cui si è occupata direttamente?

CESARINA FERRUZZI. Mi sono occupata direttamente di una nave, che ha poi portato i rifiuti in Italia, con il nome di Jolly Rosso, ma le navi che erano in Libia e che ospitavano questi rifiuti erano tre: la Cunski, la Yvonne A e la Voriais Sporadais.
La Jolly Rosso, partita dall'Italia, aveva navigato per non so quanti oceani. Forse era arrivata anche in America latina e poi era tornata indietro verso l'Africa e alla fine era approdata in Libano. In Libano questi rifiuti erano stati collocati in diversi punti della città, in diverse dimore.

ALESSANDRO BRATTI. Ha parlato di Libia prima, ma forse si è confusa con il Libano.

CESARINA FERRUZZI. Chiedo scusa, è il Libano. La Libia non c'entra.
Questi rifiuti erano stati scaricati nel Libano e portati in diverse aree. Ricordo, per esempio, un pollaio, una cava e le aree più svariate dove noi, come società, siamo intervenuti per un controllo e una verifica ulteriore, per verificare cioè che non ci fossero altri rifiuti in quelle aree e per arrivare a una loro decontaminazione.

ALESSANDRO BRATTI. Chiedo scusa se interagisco. Come società Monteco da chi siete stati mandati?

CESARINA FERRUZZI. Abbiamo avuto un contratto dalla Cooperazione allo sviluppo economico, legata al Ministero degli affari esteri, a trattativa privata. Non c'è stata una gara. Se ricordo bene, non erano i tempi giusti e non c'erano società che avessero voglia di andare in Libano in quel momento.
Vi posso anche riferire che nessuno dei miei colleghi uomini - chiedo scusa se lo preciso - ha voluto andarci, perché all'epoca c'era la guerra in Libano. Era il 1988 e si sparava violentemente. Io sono rimasta quasi due anni perché l'intervento non è stato molto semplice.


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Nel frattempo, ricostruendo la storia raccontata, perché non ho vissuto questa parte, i rifiuti portati nel Libano sono poi stati raccolti e stivati dentro tre navi battenti bandiera greca.
Queste tre navi si trovavano presso il porto del Libano, il decimo bacino, mi pare, ma questi rifiuti, a forza di caricare e scaricare, erano stati riversati dentro le stive e, quindi, tutti i fusti erano rotti, tutto il contenuto era uscito e perciò c'era una promiscuità fra solido, solventi, rifiuti infiammabili e rifiuti di ogni genere e tipo. Non c'era più un rifiuto collocato in un fusto con determinate modalità di imballo. Erano completamente promiscui.
Queste stive fumavano. Ricordo ancora con terrore il primo sopralluogo - era il luglio del 1988 o del 1989, con un caldo di quaranta gradi - quando andai nelle stive delle navi per vedere che cosa effettivamente ci fosse, perché era veramente una situazione ignobile. Era un misto di tutti i possibili rifiuti, solidi, liquidi, pesticidi, sostanze farmaceutiche, reagenti di laboratorio, di tutto di più.

PRESIDENTE. Forse l'ha detto, ma non lo ricordo: da dove venivano questi rifiuti?

CESARINA FERRUZZI. Venivano dall'Italia, da diverse aziende italiane. C'erano le vernici, i farmaci, un substrato di produzione di rifiuti di aziende italiane. Vado sempre a memoria e probabilmente andando a ricontrollare nell'archivio storico è possibile verificarlo, ma non esisteva una normativa che proibisse un'esportazione di rifiuti tanto selvaggia. In Italia non c'era niente. Il Ministero dell'ambiente non aveva emanato alcun provvedimento.
È vero che ciò non è giustificabile, ma non era né la prima, né l'ultima nave del mondo che allora circolava. L'America ha sempre mandato rifiuti nel Messico o in altri Stati. Evidentemente noi italiani abbiamo caricato tre o quattro navi, penso, e non di più: c'erano la Karin B, la Deep Sea Carrier e un'altra ancora, di cui non ricordo il nome. Erano tre navi più la Jolly Rosso, che hanno rappresentato l'epopea delle navi.

ALESSANDRO BRATTI. Come Monteco avete avuto l'appalto di tutte le navi?

CESARINA FERRUZZI. No, solo di questa del Libano.

ALESSANDRO BRATTI. Che cos'era?

CESARINA FERRUZZI. Quando abbiamo trovato la nave per portare i rifiuti in Italia, ne abbiamo usata una della linea Messina, che si chiamava Jolly Rosso. Al momento della partenza non c'era una nave specifica. Questi rifiuti erano contenuti nelle tre navi che ho citato prima.

ALESSANDRO BRATTI. Le tre navi sono andate là?

CESARINA FERRUZZI. No, in base alla costruzione elaborata storicamente, i rifiuti sono stati trasportati con diverse navi, forse più di una. Non so che bandiera battessero. Quando i libanesi hanno trovato i rifiuti, hanno preso in ostaggio le tre navi greche - evidentemente avevano conoscenze che i rifiuti fossero stati portati da navi greche - e le hanno riempite dei rifiuti che hanno trovato in giro.

ALESSANDRO BRATTI. La Jolly Rosso che cosa c'entra?

CESARINA FERRUZZI. È stata la nave noleggiata per il trasporto dei rifiuti trovati su queste tre navi. Essi sono stati scaricati da queste navi, sono stati riconfezionati e suddivisi, per quanto possibile e compatibile, per classi omogenee e sono stati ripreparati tutti i fusti, in modo che potessero essere ritrasportati verso l'Italia, perché l'Italia se li riprendeva in carico. Questo avveniva per accordo del Ministero degli affari esteri col ministero del Libano. In parte ovviamente l'Italia avrà riconosciuto la provenienza dei propri rifiuti e la propria posizione e, quindi, il lavoro era di riprendere questi rifiuti e di cercare di riportarli in Italia.
Poiché non si potevano riportare in Italia nelle condizioni fisiche in cui erano, perché erano tutti miscelati e non c'era un


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fusto integro, il grosso problema era stato di scaricare i rifiuti dalle navi senza inquinare il mare, separarli e identificarli per classi omogenee, cercare di attuare alcune operazioni minimali e necessarie per riconfezionare i rifiuti, renderli compatibile agli imballaggi necessari per il trasporto via nave di merci pericolose o di rifiuti tossico-nocivi e riportarli in Italia.
Faccio notare che in quel momento, essendo in corso una guerra, la stessa area del porto era praticamente priva di acqua e luce. Non c'era alcuna utility, non c'era niente di niente.
Noi dall'Italia siamo partiti con una nave ex novo pienissima di materiale necessario per questa attività, cioè fusti, palle, trituratore, parti di apparecchiature di laboratorio, generatori, cisterne per l'acqua, tutto il necessario per essere autosufficienti in un'area in cui durante il giorno si sparava.

PRESIDENTE. Godevate di una protezione militare?

CESARINA FERRUZZI. Avevamo la protezione militare dei carabinieri, l'arma locale al Ministero dell'ambiente e all'ambasciata, che ci scortavano tutte le mattine e tutti i pomeriggi con le persone che lavoravano a questa attività.
Avevamo tesserini specifici per il riconoscimento e comunque eravamo sempre sotto scorta dalla sera alla mattina. Qualsiasi passo compissimo, dovevamo essere scortati, perché esisteva il rischio di essere rapiti dalla parte dei musulmani, essendo noi sul posto più in veste di cristiani che di musulmani.
C'era sempre una situazione politicamente molto critica e precaria. Io stessa dovevo sempre girare con due carabinieri per evitare che potessero attentare alla mia persona oppure anche soltanto bloccare l'attività o l'operazione. I cristiani volevano, invece, mostrare che essa stava andando avanti e che avrebbero risolto il problema.
Avevo sempre rapporti con l'ambasciata, con l'ambasciatore e con l'entourage collegato all'ambasciata e con tutto l'apparato dei carabinieri, l'arma che in quel momento rappresentava l'Italia e che comunque garantiva protezione alla stessa ambasciata.
Il lavoro non è stato facilissimo e neanche tanto immediato. Sto andando un po' a memoria, non mi sono proprio preparata in questa materia. Le quantità erano di oltre 10 mila fusti; si parla di migliaia e migliaia di tonnellate. C'era il problema di come scaricarli dalle navi per evitare che potessero cadere nel mare con le gru e con i diversi impianti che avevamo per scaricare i fusti, separarli, individuare le tipologie di rifiuto, creare lotti omogenei che potessero essere trasportati via nave per ritornare in Italia.
Il compito che aveva allora la Monteco con questo contratto...

ALESSANDRO BRATTI. I rifiuti ritornano indietro perché il Governo del Libano chiede al Governo italiano di riprenderli.

CESARINA FERRUZZI. Esatto. Il Governo italiano accetta di riprenderli e invia una rappresentanza per compiere questa operazione.
Il tutto si è svolto per parecchi mesi, fintanto che arriviamo a completare l'impaccamento di tutti questi rifiuti. È arrivata anche una Commissione di collaudo inviata dal Ministro dell'ambiente con diversi personaggi in rappresentanza dello stesso ministero dell'ambiente, di quello degli esteri e di quello dello sviluppo economico.
Questa Commissione di rappresentanza ha verificato l'operato e l'attività svolta e ha espresso il parere positivo per trasportare questi rifiuti dall'Italia al Libano. Essi erano stati riconfezionati, reimpacchettati, avevano le etichette, erano rispettate le norme di sicurezza, figuravano le schede tecniche e tutto il necessario per un trasporto di merci pericolose quali potevano essere questi rifiuti.
Sono stati anche effettuati sopralluoghi nelle aree dove antecedentemente erano stati trovati i rifiuti stessi. Queste aree sono state ritrovate e giudicate idonee,


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perché sono state anche pulite. Abbiamo decorticato la parte del terreno che poteva essere inquinata, sempre compatibilmente con le condizioni locali del momento. Parliamo del 1988, oltre al periodo di guerra in cui era anche piuttosto pericoloso compiere qualsiasi operazione, perché di giorno si sparava ovunque.
Penso che l'operazione sia durata otto o nove mesi, se non di più, fintanto che su quest'area del porto si trovava questa lunghissima schiera di fusti pronti per essere imbarcati. A quel punto il Ministero degli affari esteri, sempre tramite la Cooperazione, ha definito un secondo contratto con la Monteco per il trasporto di questi rifiuti fino al porto di La Spezia. Non chiedetemi perché era stato scelto quel porto; a me l'hanno solo comunicato.
Abbiamo noleggiato una nave della linea Messina, la Jolly Rosso, che compiva già anche una linea dal Libano alla Spezia e che è arrivata in Libano. Tutti i rifiuti sono stati caricati, sempre sotto il controllo dei carabinieri, perché c'era sempre la paura e la preoccupazione che qualcuno potesse intervenire anche all'ultimo momento. La nave, una volta carica di rifiuti, è salpata per il porto di La Spezia.
Il tragitto della nave sarà durato 10-15 giorni al massimo, ma al porto di La Spezia la nave non ha potuto attraccare, perché la città non era d'accordo.

ALESSANDRO BRATTI. La nave durante questi giorni si è fermata da qualche parte?

CESARINA FERRUZZI. Assolutamente no. È andata diritta verso La Spezia, però, una volta arrivata a destinazione, è rimasta in rada per non so quanto tempo, comunque per parecchi mesi, perché la cittadinanza di La Spezia non voleva che attraccasse al porto.
Nello sviluppo di questo iter dei rifiuti era stato previsto da un accordo del ministero con le diverse regioni che la nave sarebbe attraccata a La Spezia e che poi i rifiuti scaricati sarebbero dovuti andare in parte nel Veneto e in parte in Piemonte. Non so spiegare perché nel Veneto, da tutt'altra parte, ma questo era l'input: una parte doveva andare in Veneto e una parte in Piemonte. I siti dove portare questi rifiuti, siti di stoccaggio o di trattamento, non erano stati identificati. Erano disponibili le regioni, ma non i siti.
La nave è rimasta in rada molti mesi prima di poter attraccare, poi è stato nominato un commissario ad acta, che era il presidente della regione Liguria di allora. Dopodiché, la nave, una volta attraccata, ha impiegato quasi due anni per essere scaricata. Nel frattempo stava alla banchina del porto di La Spezia. Sono occorsi due anni perché le regioni non volevano i rifiuti nei siti identificati e nessuno voleva prendersi in carico questi rifiuti. All'armatore venivano pagate giornalmente le cosiddette controstallie, perché, se la nave non scarica, occorre comunque pagarla.
Alla fine è stato identificato un sito nel Veneto per i rifiuti liquidi infiammabili che viaggiavano in coperta, un impianto dell'allora Monteco, a Porto Marghera, che bruciava liquidi. Con un contratto a parte, non più con il Ministero per lo sviluppo economico, ma col commissario ad acta, è stata definita la presa in carico di questi rifiuti, solo quelli liquidi, per essere bruciati nell'impianto di Porto Marghera, costruendo però prima uno stoccaggio ad hoc nella stessa area di Porto Marghera, perché l'impianto non era dotato di un sistema di stoccaggio e di alimentazione dai fusti. L'impianto riceveva solo e soltanto in cisterna. Questi materiali erano anche infiammabili e di contenuto da analizzare.

ALESSANDRO BRATTI. Secondo lei, perché pagava la Cooperazione internazionale per rifiuti industriali di tante imprese?

CESARINA FERRUZZI. Infatti ci sarà stata anche una rivalsa del Ministero dell'ambiente nei confronti delle imprese italiane, per quanto è stato possibile ricostruire.
È intervenuto, quindi, il ministero, che poi si è rivalso sulle singole imprese,


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perché per i rifiuti diventa molto difficile trovare chi ne sia l'artefice o meno, in quanto la promiscuità era totale. Io potevo identificare la famiglia, vernici piuttosto che farmaci, però stabilire se fossero vernici MaxMayer o farmaci Carlo Erba era un po' complicato.

GERARDO D'AMBROSIO. Si sapeva chi li aveva conferiti?

CESARINA FERRUZZI. Chi li aveva conferiti alle navi? Probabilmente sì, però non esistevano i registri di carico e scarico di oggi. Non c'era la stessa normativa.
Questa è stata una nave, perché complessivamente ne sono state fatte quattro, non una.

PRESIDENTE. Questa era la Jolly Rosso. Per quanto riguarda le altre navi?

CESARINA FERRUZZI. Delle altre navi, che avevano a loro volta vagato per il mondo, una era andata a finire a Genova. Non mi ricordo il nome, ma se n'era occupata la società Castalia, una era andata a finire invece a Livorno e se ne era occupato, costruendo stoccaggi ad hoc, il porto di Livorno con le maestranze locali. L'appalto allora fu dato a Castalia, che poi per alcune vicissitudini fu allontanata, e quindi se ne occupò direttamente lo stesso porto, creando infrastrutture solo di stoccaggio.
Un'altra nave, la Karin B, era andata a finire in diversi stoccaggi dell'Emilia-Romagna costruiti ad hoc, uno a Ravenna, uno a Parma, uno a Piacenza e uno a Modena. Sono stati costruiti stoccaggi, che, però, non erano le soluzioni terminali, perché poi gli stoccaggi, una volta portati i rifiuti sul posto, andavano comunque smaltiti all'estero. Ciò significava portare i rifiuti all'incenerimento presso gli impianti in Francia, in Inghilterra o in altri impianti che sono stati via via trovati.

ALESSANDRO BRATTI. I fusti che furono stoccati in queste piattaforme sono stati in parte anche smaltiti negli impianti stessi della Monteco?

CESARINA FERRUZZI. La parte liquida e infiammabile, quella si trovava sulla coperta e che rappresentava il grosso problema della nave - soprattutto la cittadinanza temeva uno scoppio o un incendio nel trasportare questi infiammabili - fu la prima a essere rimossa, anche perché era in coperta, e fu portata all'impianto di Porto Marghera, che allora era un impianto autorizzato per rifiuti liquidi. Come ricordavo, però, mancava la parte di miscelazione e di manipolazione. L'impianto non poteva ricevere il fusto, ma doveva renderlo in condizione di cisterna da conferire nello stoccaggio idoneo.
Poiché a Porto Marghera lo spazio non mancava, fu creata un'area ad hoc per questa tipologia di intervento per realizzare le giuste miscelazioni. Questi rifiuti sono stati, dunque, bruciati presso l'impianto della Monteco di allora a Porto Marghera.
La parte solida, invece, per l'80-90 per cento è andata tutta a finire negli impianti esteri, dove allora si lavorava in termini generali. C'erano impianti in Inghilterra e in Francia, dove venivano conferiti questi rifiuti, ma con notevolissimi problemi, perché i problemi di oggi erano quelli di allora: nessuno voleva ricevere i rifiuti delle navi dei veleni, perché erano rifiuti italiani ed erano le navi dei veleni. Nessuno Stato voleva accoglierli.
Ricordo che, quando accompagnai una delegazione dell'Emilia-Romagna per andare a vedere un impianto di incenerimento che si chiamava Richem, che oggi ha subìto diversi passaggi di proprietà, siamo andati in sordina per non far sapere che si trattava di una Commissione dell'Emilia-Romagna. Se fosse comparsa una notizia sui giornali, il giorno dopo sarebbe stata già bloccata ancor prima di nascere la possibilità di conferire i rifiuti in questo impianto.
L'isteria sui rifiuti non è di oggi, ma c'è sempre stata, soprattutto in un momento in cui dell'ambiente ancora non si parlava. È scoppiata la bomba delle navi dei veleni quando nel 1988 ancora si parlava ben poco o si aveva una scarsa conoscenza dei rifiuti. La prima legge era del 1982. Si è


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andati avanti con questa normativa e poi se ne sono susseguite altre. La prima legge delle bonifiche è del 1999. I vuoti legislativi erano notevoli.

ALESSANDRO BRATTI. Se non sbaglio, con gli accordi internazionali proprio di quegli anni i rifiuti all'estero non vengono più mandati.

CESARINA FERRUZZI. Infatti, furono bloccati. Allora esisteva una nave, la cosiddetta nave vulcano, che partiva dall'Inghilterra e andava verso l'America e nel tragitto «bruciava» i rifiuti. Anche questa nave è stata abolita, a seguito di questi scandali. Si è tentato in tutto il mondo di razionalizzare la gestione dei rifiuti, cercando anche soluzioni al proprio interno. Era una prassi che - ahimè - si utilizzava.

PRESIDENTE. A noi interessa particolarmente un passaggio, su cui forse lei non possiede molte altre notizie rispetto a quelle che ci ha dato. Le tre navi, Cunski, Yvonne A e Voriais Sporadais, erano partite dall'Italia con questi rifiuti? Immagino di si. Ci interessa tutto ciò che ci può dire, ma in particolare questo tema, perché si collega all'affondamento della Cunski e all'affondamento ipotetico anche delle altre navi, in quanto addette al traffico di rifiuti.
Inoltre, poiché lei all'epoca era interessata in prima persona, ricorda se i giornali italiani ebbero a parlare di questa vicenda, citando anche i nomi delle navi che erano nel porto del Libano? Questo punto ci interessa per verificare una circostanza di un testimone che abbiamo ascoltato.

CESARINA FERRUZZI. Ho trovato queste tre navi al porto di Beirut piene di rifiuti. Da quanto mi è stato riferito localmente anche a livello degli interlocutori dell'ambasciata, non erano proprio le navi che avevano portato i rifiuti. Avevano il sospetto che lo fossero, ma non la certezza. Si pensava che fosse stata un'unica nave, probabilmente con battente greco. Proprio perché era greco - così mi riferirono allora in Libano - avevano richiamato queste tre navi dello stesso armatore e le avevano obbligate a rimanere nel porto di Beirut. Praticamente le avevano prese in ostaggio per imporre di riparare il danno. Sono fatti che mi hanno raccontato. Io ho trovato queste tre navi con i rifiuti al loro interno.
Tali navi, però, sono state poi completamente vuotate e bonificate. Esiste tutta la rassegna fotografica, tutta la storia, tutta la documentazione, ivi compresa quella della Commissione che è stata mandata dal nostro Governo italiano, cioè la Commissione di collaudo che ha controllato e verificato tutti i passaggi: bonifiche delle navi, pulizia delle aree, sospetti di dove potessero essere stati contenuti i rifiuti e verifica che tali rifiuti fossero in condizioni idonee per il trasporto.
Non me ne sono più occupata come Monteco, perché dovevo compiere un determinato lavoro di rimpacchettamento e spedire questi rifiuti in Italia, ma abbiamo pulito e bonificato le navi. Che cosa ne abbia fatto dopo il Governo libanese con il Governo greco o con qualcun altro sinceramente non mi è noto.
È certo, però, che le navi sono state riconsegnate pulite e bonificate. Rifiuti non ce n'erano più. Esistono le testimonianze di persone che sono venute in quella Commissione a verificare il tutto. Erano in tre o in quattro e i nominativi sono nell'archivio. Sono persone che ritengo si possano sentire, se necessario.

PRESIDENTE. Lei possiede ancora la documentazione dell'epoca? Potrebbe farla avere alla Commissione?

CESARINA FERRUZZI. Devo andarla a ricercare nelle cantine, perché era ancora della Monteco di allora, ma ne avevo conservato una parte.
Questa Commissione aveva tre rappresentanti: uno, Suriano, Suriani o un nome del genere, era nel gabinetto dell'allora Ministero dell'ambiente, uno era un ingegnere loro consulente, di nome Fortunati, uno era del Ministero degli affari esteri, ma non mi ricordo il nome. Sono personaggi


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riconoscibili, perché sono venuti, hanno visto e hanno toccato con mano.
Ci sono anche le loro dichiarazioni. Se non fossero stati collaudabili, i rifiuti non sarebbero mai partiti da lì, perché si doveva verificare anche il rispetto di un contratto fra la società ed il Ministero degli affari esteri. Esisteva una condizione economica e contrattuale da verificare e anche da accertare che l'attività fosse stata svolta secondo determinate condizioni, tali per cui l'Italia potesse asserire di essersi ripresa i propri rifiuti e il ministero potesse trattare con il Libano o con i musulmani, in quanto il nostro atto era stato portato avanti fino in fondo.

PRESIDENTE. Mi interesserebbero particolarmente le date di questa operazione, perché sotto il profilo della notorietà del fatto diventano assolutamente rilevanti.

CESARINA FERRUZZI. Stiamo parlando del periodo tra il 1989 e il 1990.

PRESIDENTE. Ci interesserebbe proprio il periodo esatto per verificare le notizie giornalistiche.

CESARINA FERRUZZI. Ricordo che la prima visita che ho fatto in Libano era a luglio, perché c'erano quaranta gradi. Lo ricordo perfettamente come se fosse oggi. Era il luglio del 1989, ma posso verificare.
L'attività è andata avanti dal settembre-ottobre del 1989 fino all'anno successivo, il 1990, però sono tutte date che posso verificare. Si è svolta intorno a questi due anni, 1989-1990. Sono piuttosto sicura perché sono entrata in Monteco nel 1988 e i fatti non sono avvenuti subito, ma dopo un po' di tempo. Nel 1991 sono uscita. Sono comunque notizie verificabili, perché esiste la documentazione. Non la possiedo solo io, ma anche il Ministero degli affari esteri.

PRESIDENTE. La trova sicuramente prima lei del ministero.

ALESSANDRO BRATTI. Dal momento che mi sembra che la dottoressa conosca molto bene la questione possiamo chiedere se gentilmente ci fa avere una relazione scritta sul tema delle navi dei veleni e su dove si è andato a scaricare il materiale, una volta arrivati in Italia? Lei ci ha riferito che in parte andava all'estero.
Credo che abbiamo anche alcuni atti della prima Commissione bicamerale, forse segretati, e della Protezione civile che sarebbe il caso di andare a verificare rispetto a dove quei rifiuti, una volta rientrati in Italia, sono andati a finire.
Allora ci fu una grande discussione, perché dalle piattaforme di stoccaggio questi rifiuti, piano piano, scomparvero. In parte si sosteneva che venissero distrutti in Italia, in parte fuori, in parte è emerso da alcune indagini che questo materiale si trovasse in alcune discariche in giro per l'Italia. Sulla discarica di Pitelli, come lei avrà saputo, c'è stata una fase che forse non è ancora terminata del tutto. Eventualmente può fornirci in seguito tutte le informazioni che è in grado di ricordare, se oggi non si aspettava queste domande.

CESARINA FERRUZZI. Sto andando a memoria oggi, quindi forse non sono perfettamente precisa. Alcuni fatti, però, si ricordano e restano.

ALESSANDRO BRATTI. Le chiediamo se riesce a mettere per scritto questi dati e forse, se veniamo a Milano e lei è di Milano, vediamo di trovare la possibilità di incontrarci di nuovo e di prenderci anche il tempo adeguato per approfondire alcune questioni.

CESARINA FERRUZZI. Vi presterò la massima collaborazione. Signor presidente, non ho risposto alla sua seconda domanda sui giornali. Ricordo che il Corriere della sera ci dedicò alcuni articoli quando eravamo sul posto. La vicenda, però, non aveva avuto tanta enfasi in Italia fintanto che eravamo in Libano, tanto che il Corriere della sera - me lo ricordo, perché mi è rimasto impresso - ci aveva definito «quei nababbi in Libano», come


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se fossimo andati a fare chissà che cosa, per la serie «di giorno lavorano e di sera chissà che cosa fanno». Di sera avevamo adottato la filosofia dei libanesi, per cui oggi eravamo lì, domani magari no, perciò tutto ciò che si poteva fare oggi si faceva perché il giorno dopo non si sapeva se ci saremmo stati ancora, considerata la guerra in corso.

PRESIDENTE. Questo vale per tutti, anche adesso.

CESARINA FERRUZZI. A maggior ragione, bisogna cogliere queste situazioni. Ricordo, quindi alcuni articoli. Poi fu data una maggiore enfasi quando la nave era arrivata in Italia, perché nessuno voleva farla scaricare.

PRESIDENTE. Per caso lei ha raccolto la documentazione della stampa? Per esprimerci molto chiaramente, in modo che ci capiamo, poiché noi abbiamo notizia, come avrà letto anche lei, di un collaboratore che ha citato i nomi di queste tre navi, per noi è rilevante, al fine di verificarne l'attendibilità, accertare se per caso all'epoca apparvero sulla stampa, con tanto o con poco rilievo. Ci consentirebbe, quanto meno, di avere un elemento di valutazione.

CESARINA FERRUZZI. Ho conservato alcuni articoli come curriculum, in relazione alle vicende più inquietanti. Mi riservo, però, di effettuare la verifica nella documentazione che ho a disposizione e che ho mantenuto anche dalla Monteco, perché è sempre stato un argomento piuttosto ricorrente.
Dal 1990 ho avuto altre occasioni di parlarne. Ogni tanto mi viene richiesto e, quindi, i nomi delle tre navi sono ritornati fuori. Io stessa li avevo letti da un giornalista, che parlava di affondamento di navi. Lo sto querelando, peraltro, perché ha scritto fatti inesistenti e, quindi, sto producendo documentazione anche all'avvocato, perché sono state scritte notizie ignobili.

PRESIDENTE. Ci può riferire i dettagli?

CESARINA FERRUZZI. Si tratta di un giornalista del Giorno. Le farò sapere il nome. È un fatto della fine dell'anno scorso, non certamente dell'epoca.

PRESIDENTE. Se non ci sono altre domande, la ringraziamo. Leggeremo la sua relazione e, poiché noi siamo interessati anche alle bonifiche in Lombardia, quando verremo in Lombardia, la risentiremo.

CESARINA FERRUZZI. So che è prevista una vostra presenza in Lombardia.

PRESIDENTE. C'è già stata e ce ne sarà un'altra a febbraio.

CESARINA FERRUZZI. Se c'è la necessità di qualsiasi informazione di mia conoscenza e di mia esperienza locale anche in Lombardia, do la massima disponibilità.

PRESIDENTE. La ringraziamo ancora. Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16,35.

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