Back Forward

Seduta dell'11/5/2010


Pag. 2


...
Audizione del maresciallo dei Carabinieri Nicolò Moschitta.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del maresciallo dei Carabinieri, Nicolò Moschitta, che ringrazio per la sua presenza. Ricordo che il Maresciallo Moschitta è stato sentito da questa Commissione il giorno 11 marzo 2010 presso la prefettura di Crotone, durante una missione. Il resoconto della suddetta audizione è in distribuzione.
L'audizione odierna rientra nell'ambito dell'approfondimento che la Commissione sta svolgendo sul fenomeno delle cosiddette navi a perdere.
Avverto il nostro ospite che della presente audizione sarà redatto un resoconto stenografico e che, se lo riterrà opportuno, i lavori della Commissione proseguiranno in seduta segreta, invitandolo comunque a rinviare eventuali interventi di natura riservata alla parte finale della seduta.
Signor maresciallo, la Commissione è interessata ad approfondire alcuni dati che emergono da una sua relazione dell'ottobre del 1996, redatta a conclusione dell'indagine da lei svolta.
Lei in questo momento è in pensione?

NICOLÒ MOSCHITTA. Sì, sono in pensione.

PRESIDENTE. Quando è andato in pensione?

NICOLÒ MOSCHITTA. Sono andato in pensione proprio il giorno dopo avere presentato quell'informativa all'autorità giudiziaria, il 14 ottobre 1996.

PRESIDENTE. Andò in pensione anticipatamente?

NICOLÒ MOSCHITTA. No, in quel momento la nostra normativa prevedeva venticinque anni di servizio effettivi, più cinque di abbuono, che era il massimo previsto dal nostro ordinamento; tanto è vero che il ministro mi ha collocato in pensione con la dicitura «per massimo periodo previsto» dall'ordinamento di quel momento. Successivamente, sono cambiate le norme per il collocamento in pensione.

PRESIDENTE. Quindi, che età aveva quando andò in pensione?

NICOLÒ MOSCHITTA, Maresciallo dei Carabinieri. Avevo 44 anni. Ero il più giovane maresciallo d'Italia.

PRESIDENTE. Aveva percorso l'intero periodo? Non avrebbe potuto restare ancora e servizio?


Pag. 3


NICOLÒ MOSCHITTA. Sarei potuto rimanere, ma mi sentivo stanco. Dopo la morte di De Grazia, i miei valori sono sballati. Non mi sentivo bene, tanto che, a distanza di un anno, ho avuto un infarto e, a distanza di un altro anno, ho dovuto fare un'operazione per impiantare due bypass al cuore. Questa indagine mi ha effettivamente stressato oltre il consentito.

PRESIDENTE. Vorrei partire proprio da questo aspetto, poi naturalmente gli altri membri della Commissione porranno tutte le domande che riterranno opportune.
Nella sua relazione, lei scrive non solo che l'indagine è stata complessa, ma che - testualmente - «è sembrato che forze occulte, di non facile identificazione, abbiano controllato passo passo gli investigatori nel corso delle varie attività svolte».
A quali forze occulte faceva riferimento? In base a quali elementi vi siete accorti o avete avuto la sensazione di essere controllati? Evidentemente, è anomalo che le attività di polizia giudiziarie siano controllate da altri.
Perché avete avuto questa sensazione e secondo lei, o secondo voi - perché anche altri hanno parlato di questa presenza -, a quali settori erano riconducibili queste forze occulte?

NICOLÒ MOSCHITTA. Ricordo un dato ben preciso. Dopo aver interrogato un funzionario dell'ENEA, che in quel momento avevamo chiamato Bill per evitare la divulgazione del suo nome, siamo andati ad alloggiare presso l'albergo Ivanhoe di Roma. Ebbene, stranamente le nostre schede - la mia, quella del giudice Neri, dell'autista e di altri colleghi, eravamo in cinque - non erano ritornate, come accadeva di solito, dal visto del commissariato.
Io stesso sono stato chiamato dall'allora addetto alla reception che mi chiese ragione di questa circostanza. Risposi che non ne sapevo nulla e chiesi se fosse normale. L'addetto disse che non era normale, ma che poteva esserlo data l'occasione. A quel punto, noi che avevamo svolto quell'attività ci siamo preoccupati, intanto di preservare il magistrato che era con noi...

PRESIDENTE. Chi era il magistrato?

NICOLÒ MOSCHITTA. Il magistrato era il dottor Franco Neri. Come dicevo, ci siamo preoccupati di preservare il magistrato che era con noi, tanto che ad un certo punto lo abbiamo accompagnato di peso, perché lui non voleva andarsene, presso l'aeroporto di Ciampino e lo abbiamo fatto imbarcare alla volta di Reggio Calabria.
Il dottor Neri non ci voleva lasciare. Mi ha fatto promettere che nel viaggio di ritorno - avevamo altre attività da svolgere, ma considerata la situazione abbiamo interrotto le operazioni e ce ne siamo andati - avremmo seguito un itinerario diverso da quello di andata. In altre parole, per andare a Roma, con l'autovettura abbiamo fatto la normale Salerno-Reggio Calabria; mentre al ritorno ho dovuto deviare per Pescara per evitare eventuali intercettazioni.
Non so. In quel momento eravamo molto preoccupati e abbiamo percorso un'altra strada rispetto a quella che avevamo fatto all'andata. In seguito, non abbiamo avuto più notizie di questa vicenda.
A Savona o a Firenze, abbiamo avuto la sensazione che delle persone con degli automezzi ci stessero sempre vicino. Una volta me ne accorgevo io, una volta se ne accorgeva la tutela del dottore Neri, una volta se ne accorgeva l'autista. In pratica, ci sembrava di essere all'attenzione di persone che non conoscevamo. In quei casi, cercavamo di sottrarci alla loro vista, al loro controllo e adottavamo le misure più elementari possibili per sfuggire.
A parte l'episodio di Roma, le altre situazioni sono derivate da nostre impressioni. Tuttavia - attenzione -, parlo di impressioni di investigatori, non di falegnami o baristi. Capivamo che qualcosa attorno a noi non quadrava.
Infatti, appena arrivati a Savona, che è stata la nostra prima meta, il dottore


Pag. 4

Landolfi, sostituto procuratore della Procura della Repubblica, ci disse che i telefoni già riferivano che il dottor Neri era in Liguria. In pratica, egli aveva dei telefoni di mafiosi calabresi sotto controllo, dunque sapeva che questi signori parlavano della presenza del dottor Neri a Savona.
Nel corso del tempo, al dottore Neri è stato assegnato un ufficio alla procura circondariale, la cui porta venne forzata, anche se non fu sottratto nulla.
Inoltre, sono successi tanti altri avvenimenti, di cui la sua tutela, l'agente Luigi Bellantone, può riferire.
Vi riporto l'esempio più recente. Ad un certo punto, siamo stati convocati dal GIP di Roma per la querela sporta nei nostri confronti da parte di Ali Mahdi, il signore della guerra ed ex presidente della Somalia. Egli affermava che non era vero quanto da noi riferito alla I Commissione circa i rapporti tra Comerio ed Ali Mahdi. Invece, vi era una gran quantità di documentazioni ufficiali in merito che abbiamo sequestrato a Comerio e prodotto in tutte le sedi.
In occasione di questo viaggio, all'aeroporto di Ciampino, all'uscita del volo per Reggio Calabria, abbiamo notato due persone. Io ero già in pensione, non avevo nulla in mano, solo un portavaligie e ho pensato che all'occorrenza sarei potuto intervenire servendomi di quello.
Come ho detto, abbiamo notato la presenza di due persone che fissavano sia il dottore Neri che il suo legale di fiducia, l'avvocato Gatto Lorenzo. Abbiamo segnalato alla tutela data da Roma al dottor Neri la presenza di questi due soggetti che non ci piacevano in modo particolare e abbiamo fatto intervenire la polizia dell'aeroporto, che li ha identificati. Erano due marocchini che stranamente si trovavano all'uscita per Reggio Calabria; mentre avrebbero dovuto prendere l'aereo per Ancona che era nella parte di fronte, ma distante dalla nostra uscita. Peraltro, era quasi l'ora di partenza dell'aereo per Ancona, tant'è vero che i due soggetti sono partiti qualche minuto prima di noi.
La situazione ci ha insospettito. Successivamente, sono venuto a sapere che le Marche sono un punto di concentramento di persone sospette provenienti dall'est europeo. Non voglio dire altro perché non ho elementi su cui basarmi. Mi sembra, tuttavia, che la questura abbia accertato che la zona di provenienza di questi due soggetti era molto frequentata da personaggi poco raccomandabili, provenienti dall'Europa dell'est.

PRESIDENTE. Si ricorda chi fossero gli altri che erano con lei per l'esame del dipendente dell'ENEA? Ci interessa sapere chi ha soggiornato in albergo.

NICOLÒ MOSCHITTA. La tutela, l'autista della macchina del giudice e il mio autista. Se non ricordo male, eravamo in cinque.

PRESIDENTE. Chi era il soggetto audito?

NICOLÒ MOSCHITTA. Era l'ingegnere Carlo Giglio, il quale ha rilasciato delle dichiarazioni, con riferimento alla situazione delle centrali nucleari in Italia. A detta dell'ingegnere, si trattava di una circostanza molto delicata, critica, per non dire esplosiva. Queste sono state le sue parole. Basta leggere il suo verbale, per capire effettivamente quello che si nascondeva dietro l'affare nucleare. Avevamo un verbale molto importante e nel momento in cui non sono ritornate le schede ci siamo molto preoccupati.

PRESIDENTE. Avete poi accertato - visto che in qualità di polizia giudiziaria potevate farlo - quale fosse il motivo per il quale, eccezionalmente, le schede non erano rientrate?

NICOLÒ MOSCHITTA. Non ho saputo più nulla di questa storia. In tutto eravamo in cinque a svolgere le indagini e abbiamo scardinato tutta questa storia.
Era stata segnalata la questura di Roma. La sera stessa in cui siamo partiti è stato inviato un fax per la questura di Reggio. Quindi, la questura era interessata a questo tipo di discorso.


Pag. 5


Com'è andata a finire non lo so, perché noi, in sostanza, facevamo gli operai. Il materiale era così vasto che non facevamo altro che registrare e depositare. Inoltre, la necessità successiva dell'ulteriore sviluppo di tutte le nostre attività...

PRESIDENTE. Però, lei alla fine, come tutto il gruppo, ha rinunciato a proseguire questa indagine.

NICOLÒ MOSCHITTA. No, solo per il momento, per quella missione, poi abbiamo continuato lo stesso.

PRESIDENTE. Sì, ma data l'importanza della situazione, dato il fatto che partecipavate a qualcosa che capivate essere di grande rilievo, come mai avete lasciato tutti? Ha lasciato lei, ha lasciato la polizia forestale, Martini, tutto il gruppo. Dopo la morte del capitano De Grazia, nessuno si è più occupato di questa grande indagine.

NICOLÒ MOSCHITTA. Per quanto mi riguarda, ho lasciato per i motivi di cui ho parlato in precedenza. Come avete potuto notare, dico quello che penso.
Se avessi avuto problemi di altra natura, sarei andato dal pubblico ministero e avrei fatto un'altra informativa. Quindi, questa può essere una coincidenza.
Per quanto riguarda la forestale di Brescia, ritengo che sarebbe molto utile sentire il dottor Martini, che ha collaborato in maniera attiva e fattiva. Quell'uomo ha un cervello come non ne avevo mai visti. Sotto l'aspetto dei rifiuti, era colui il quale sapeva tutto di tutto. Ogni parola che dicevamo la sapeva e produceva le carte relative. Il dottor Martini era incredibile, ma non perché abbia deciso di andarsene.

VINCENZO DE LUCA. Vorrei porre due domande rispetto a questa vicenda. La prima è se dopo la morte del capitano De Grazia, lei ha ricevuto delle minacce e poi se ha avuto dei contatti con i servizi segreti...

NICOLÒ MOSCHITTA. Per quanto riguarda la prima domanda, non ho mai ricevuto minacce; altrimenti lo avrei denunciato. Se così non fosse, non mi troverei tranquillamente in questa sede, così come è già avvenuto in altre occasioni, quando sono stato chiamato.
Quanto alla seconda domanda, come ho detto, i servizi segreti, il SISMI, hanno lavorato con noi. Il primo impatto che ho avuto con i servizi segreti è stato a seguito di un decreto di acquisizione di documenti presso il SISMI. Sono andato personalmente ad acquisire un documento a carico di Giorgio Comerio, titolare della ODM, oramai noto nell'inchiesta. In modo particolare, si trattava della fuga di Licio Gelli da Lugano fino al suo rifugio segreto nel principato di Monaco. Ci risulta che la casa in cui era ospitato Licio Gelli era di Giorgio Comerio.
In seguito, i servizi segreti sono entrati ufficialmente con noi nell'indagine perché esaminavano la documentazione, d'accordo con la magistratura. In effetti, è stata una collaborazione corretta, leale e senza problemi.
Abbiamo trovato i servizi in maniera diversa in altre occasioni. Penso, ad esempio, a quando ho interrogato - così trattiamo tutta la vicenda - Nitti Maria Luigia, che era la convivente di Giorgio Comerio. A Milano, ho avuto l'opportunità di interrogarla su quest'uomo «fantastico», perché ne aveva di fantasia Comerio. Secondo il mio parere, la signora ha detto delle cose molto importanti che ho riportato nell'informativa. La signora mi diceva - esiste un verbale scritto e depositato alla Procura della Repubblica di Reggio Calabria - che, tra la fine del 1992 e l'inizio del 1993, il suo convivente aveva avuto rapporti, secondo quanto da lui riferito, con due mafiosi che trattavano armi.
Successivamente, durante l'interrogatorio, mi ha riferito che nella primavera del 1993 Comerio, temendo di essere intercettato perché si era dichiarato agente dei servizi segreti - lo ha detto a lei -, viene convocato per delle indagini sugli attentati di Roma e Firenze. In modo particolare, ricorda che si trattava dell'attentato ai


Pag. 6

Georgofili di Firenze e a Roma, nello stesso periodo, ricordiamo il tentativo effettuato contro il giornalista Maurizio Costanzo.
Io non ho fatto altro che raccogliere queste informazioni e trasmetterle alla magistratura.
Nel frattempo, vedendo che i reati erano di competenza della Procura della Repubblica, che allora era circondariale, il dottor Neri trasmise tutto il materiale alla distrettuale antimafia.
Perché alla distrettuale antimafia? In questo modo rispondo anche a lei, signor presidente, che mi chiedeva come mai nessuno si sia occupato successivamente dell'indagine.
In quell'informativa, tratto poco la questione radioattiva, ma mi occupo molto dei legami con la mafia e con la 'ndrangheta. Seguo tale linea per far radicare la competenza alla procura distrettuale antimafia di Reggio Calabria, in modo che il mio reparto - allora ero ancora in dubbio se andarmene o meno - potesse proseguire le indagini. A questo punto, la procura distrettuale antimafia di Reggio comincia a dare corso...

ALESSANDRO BRATTI. Vorrei porre due domande, che non so se verranno approfondite, perché rischiano di portarci fuori tema, ma mi interessava molto la questione dei rifiuti radioattivi.
È vero che l'argomento non è trattato in maniera così ampia, come tutto il tema della mafia, ma in realtà ci sono alcune indicazioni abbastanza preoccupanti. Addirittura, si parla di documenti, con offerte da parte dell'ex Unione sovietica di plutonio arricchito.
Da quello che lei riporta si evidenzia la presenza di un traffico di questi rifiuti che va ben oltre i confini nazionali, e che riguarda anche l'Italia, di cui ci piacerebbe saperne di più. Fino ad ora ne abbiamo parlato occasionalmente, ma la questione dei rifiuti radioattivi ricorre dappertutto.
Sempre con riferimento ai temi legati ai rifiuti, a noi interessano anche le dichiarazioni di Anghessa, in cui si parla dell'interramento di rifiuti nel sud Italia, in vecchie cave o discariche, o dell'affondamento di navi normalmente in zone extra territoriali.
Ci interesserebbe approfondire alcuni di questi casi, addirittura si è a conoscenza di sette o otto. Tra l'altro, i casi in cui siamo stati coinvolti non sono accaduti in acque extra territoriali, ma in acque territoriali. A ciò si aggiunge anche la vicenda del porto rumeno che è abbastanza nota. Ci piacerebbe avere più informazioni circa tutte queste questioni.
Allo stesso modo, vorremmo sapere che tipo di coinvolgimento aveva l'ENEA in questa vicenda, compreso anche il centro di Rotondella.
Su Comerio non mi soffermerò, perché vi sono ampie trattazioni in merito. L'unica cosa che mi piacerebbe sapere è perché questo personaggio, nonostante tutta una serie d'indicazioni ben precise, sia mai stato rimandato a giudizio. Alla fine, costui rimane in giro per il mondo - oggi sembra che si trovi in Tunisia - e continua a fare la sua attività.
Anche questo è abbastanza curioso. Del resto, il fatto che un personaggio che traffica in armi, in rifiuti radioattivi e in titoli di credito non sia mai stato rinviato a giudizio, mi sembra strano e preoccupante.

NICOLÒ MOSCHITTA. Per quanto riguarda i punti da lei indicati nell'informativa circa i traffici di mercurio rosso e altro, per capire e saperne di più sul fenomeno sono andato a studiare le risultanze di Commissioni parlamentari e di altri processi. Circa gli interramenti, nel Sahara e in altre zone dell'Africa, di rifiuti tossici o nocivi, ho preso spunto da processi e da atti ufficiali. Li ho riportati, proprio per dare una certa definizione al fenomeno che è molto serio, poiché coinvolge la salute di tutta l'umanità. Quindi, ho cercato di andare a spulciare anche tra le inchieste svolte dalle Commissioni parlamentari, che cito nel corso dell'esposizione dei fatti.
Per quanto riguarda Comerio, allora la normativa prevedeva solo una contravvenzione per lo smaltimento illegale dei rifiuti radioattivi. Quindi, il magistrato aveva le mani


Pag. 7

legate, non poteva fare nulla. Successivamente, a misura che emergevano i reati gravi, il dottor Neri si è dovuto spogliare del procedimento e ha lo ha trasmesso alla procura distrettuale antimafia di Reggio Calabria.
Ritengo che proprio in quella sede avrebbero potuto, dato che i reati erano di competenza della procura distrettuale, adottare provvedimenti nei confronti del Comerio e anche dei suoi soci.
Non dimentichiamo il discorso dell'Oto Melara di La Spezia ed il traffico di congegni di protezione delle nostre autoblindo in Somalia. Quella circostanza è gravissima, perché parliamo di un ulteriore traffico di armi.
Insomma, la questione non era più di nostra competenza. A dire il vero, io non avevo competenze, ero solo un esecutore. Il dottor Neri si è trovato nell'impossibilità di agire, ma ha tempestivamente inviato tutta la documentazione alla procura distrettuale di Reggio.
All'estero si nutrivano forti sospetti circa il fatto che questo signore buttasse a mare le scorie radioattive. Basta pensare al caso Somalia, in cui abbiamo un'indicazione molto importante. Al di là della documentazione che abbiamo sequestrato a Giampiero Pagliariccio, socio di Comerio, sappiamo che egli era in continuo contatto con Ali Mahdi e che discutevano di come stipulare l'affare. Abbiamo sequestrato e acquisito una grande quantità di carte e le abbiamo trasmesse. tant'è vero che le abbiamo dovute utilizzare per poterci difendere dalla querela di Ali Mahdi. Le abbiamo depositate presso il GIP di Roma.
Vi è un dato importante relativo alla Somalia. Un'organizzazione dell'ONU, se non sbaglio, trasmise un messaggio allarmante a Londra, non so a chi di preciso, in cui affermava che al largo della Somalia, in una determinata posizione, una nave stava inabissando dei fusti a mare.
Riscontrammo la stessa posizione nel progetto Somalia che aveva redatto Comerio, da noi sequestrato; i punti coincidevano. Vi erano poi i documenti, le attività, le trattative tra i suoi soci e Ali Mahdi e le indicazioni che Comerio dava - questo è tutto documentato - a Pagliariccio su come comportarsi con Ali Mahdi.
Allora, quando dico che ragionevolmente questo individuo aveva inabissato dei fusti a mare, lo affermo sulla base di una documentazione che avevamo sequestrato a lui e ai suoi soci. Addirittura, a seguito di un interrogatorio, egli ci aveva detto che riconosceva come autentiche tutte le carte sequestrate, che erano moltissime. Dopo l'interrogatorio, gli abbiamo chiesto se le carte fossero sue o meno e lui, a verbale, ha risposto affermativamente.
A questo punto, dobbiamo pensare che egli abbia trattato anche rifiuti radioattivi, perché esiste un'imponente documentazione tra lui e il suo socio e tra questi e Ali Mahdi. È vero che non dobbiamo fare delle considerazioni, ma è concesso procedere con delle deduzioni logiche. Altrimenti come può andare avanti il nostro lavoro?
Tutto quello il nostro lavoro, in qualità di polizia giudiziaria, lo abbiamo trasmesso al magistrato, il quale a sua volta se ne è spogliato per la presenza di gravi reati e ha rinviato la questione alla procura distrettuale di Reggio Calabria.
A quel punto, sono andato in pensione perché stavo male ed ero stanco. Avevo deciso di andare via perché avevo avuto un infarto all'ultimo stadio e sono stato salvato per miracolo.
Gli altri sono rimasti in servizio. Il dottor Neri, al di là delle vicissitudini che gli sono capitate, è stato al suo posto e ha lavorato. Il mio autista ha continuato a lavorare.
È andata via la buon'anima di De Grazia, perché Gesù Cristo se l'è portato via, e chi vi parla che pure se ne stava per andare, ma gli altri sono rimasti. Di Martini non so dire...

PRESIDENTE. Lo abbiamo già sentito. Lei ha avuto contatti con tale Anghessa Aldo. Come lo ha contattato?

NICOLÒ MOSCHITTA. I giornali parlavano di questa inchiesta a livello nazionale,


Pag. 8

quando ad un certo punto arrivò un telegramma alla procura di Reggio, a firma dell'Anghessa che diceva di avere notizie da riferire. Siccome era agli arresti domiciliari, il dottore Neri, per correttezza, prima di muoversi, parlò con il magistrato che lo aveva collocato agli arresti domiciliari. Una volta avuta l'autorizzazione, siamo andati a sentirlo nella sua residenza di Como. Ora non ricordo se lo mise a verbale o lo disse a voce, ma affermò: «Voi siete piccoli. Dottore, a lei la delegittimano e il maresciallo non conta, lo mettono da parte. Vi rendete conto di dove vi siete messi?».
Le parole di Anghessa mi sono rimaste impresse.

PRESIDENTE. Avete fatto delle verifiche sulle dichiarazioni di Anghessa?

NICOLÒ MOSCHITTA. Signor presidente, quelle dichiarazioni avrebbero dovuto essere approfondite da un esercito di persone. Noi eravamo quattro gatti. Continuavamo a portare avanti le nostre attività, ma nel frattempo spuntavano fuori sempre nuovi elementi.
Ricordo che quando abbiamo eseguito le perquisizioni a Brescia, abbiamo dovuto concentrarci in quella città - eravamo sempre i soliti quattro o cinque - proprio per evitare che ci fosse una fuga di notizie. Non lo facevamo per i nostri colleghi, ma cercavamo di essere il più riservati possibile, per cercare di procedere nella nostra tranquillità.
Dalla perquisizione di Comerio sono derivate tante di quelle perquisizioni nel nord Italia che abbiamo dovuto chiedere aiuto. L'attività era molta, intensa. Noi eravamo soltanto quattro o cinque, compresi gli autisti. Nessuno ci ha mai rifiutato nulla, ma d'altra parte noi non abbiamo mai chiesto niente a nessuno.
Credo che trasmettere il tutto alla procura distrettuale antimafia di Reggio sia stato, doveroso per il dottor Neri perché la legge lo imponeva, ma anche pratico e importante.
Per fare un esempio, la NASA ci aveva offerto un impianto satellitare, per 600 milioni di lire, per effettuare il monitoraggio in mare e captare, eventualmente, sbalzi di temperatura e altro. Ricordo che il giudice chiese di poter disporre di quell'attrezzatura, ma gli risposero subito che non era possibile.

PRESIDENTE. Quanto al personale per svolgere tutte queste indagini? Del resto, se eravate in quattro o cinque, naturalmente non avevate gli strumenti per portare avanti tali attività.

NICOLÒ MOSCHITTA. Speravamo che le cose andassero meglio, una volta che il processo fosse arrivato alla distrettuale antimafia, che aveva più possibilità di mezzi e strumenti.

PRESIDENTE. Avete individuato dei collegamenti tra la 'ndrangheta e Comerio e tra Comerio e Gelli?

NICOLÒ MOSCHITTA. In relazione al rapporto tra Comerio e Gelli, abbiamo già parlato della villa.

PRESIDENTE. No, intendevo attività operative.

NICOLÒ MOSCHITTA. No, al di là dell'indicazione acquisita dai servizi, no.

PRESIDENTE. Invece per quanto riguarda il rapporto tra Comerio e la 'ndrangheta?

NICOLÒ MOSCHITTA. Quanto al rapporto tra Comerio e la 'ndrangheta, alcuni ex soci di Comerio parlavano delle navi affondate al largo della costa calabrese con l'aiuto delle 'ndrine locali.

PRESIDENTE. Chi sono i soci?

NICOLÒ MOSCHITTA. Ripamonte, Pente...

PRESIDENTE. Loro hanno reso dichiarazioni?


Pag. 9


NICOLÒ MOSCHITTA. Sì, hanno reso dichiarazioni in questo senso e sono riportate nell'informativa. Ho estrapolato il discorso mafia in questa informativa, con riferimento alle dichiarazioni riportate. Ora, a distanza di tempo, non ricordo nel dettaglio, però sono ben riportate nella documentazione scritta.
Per quanto concerne i discorsi della sua ex convivente, non penso che la signora avesse motivo di mentire, tanto è vero che si è messa subito a disposizione senza problemi.

PRESIDENTE. Avete fatto accertamenti bancari sulla convivente?

NICOLÒ MOSCHITTA. Sulla convivente no.

PRESIDENTE. Se erano passati soldi sui suoi conti...

NICOLÒ MOSCHITTA. No, signor presidente, le ripeto che l'attività era veramente intensa. Abbiamo riempito una stanza intera della procura distrettuale di Reggio Calabria di documentazioni e accertamenti che arrivavano uno dopo l'altro. L'attività era grossa, forte.

PRESIDENTE. Sono state effettuate intercettazioni telefoniche?

NICOLÒ MOSCHITTA. No, non è stata eseguita nessuna intercettazione, anche perché si trattava ancora di una contravvenzione in quel periodo.

PRESIDENTE. Però sembrava che ci fosse un'organizzazione...

NICOLÒ MOSCHITTA. Gradualmente emergevano tali elementi...

PRESIDENTE. Il 416 esisteva anche all'epoca.

NICOLÒ MOSCHITTA. Ma non dipende più dalla procura circondariale.

PRESIDENTE. Il 416 sì; il 416-bis no, almeno così mi sembrava. Ad ogni modo, ponevo queste domande solo per capire quanto materiale era a disposizione.

ALESSANDRO BRATTI. Lei ha detto che avete riempito delle stanze della procura di Reggio Calabria...

NICOLÒ MOSCHITTA. Le ha portate la forestale con il furgone.

ALESSANDRO BRATTI. Rispetto alla questione della forzatura della porta, mi sembra che in una delle audizioni che abbiamo svolto con il procuratore Neri egli abbia riferito che in alcuni documenti sparirono, compreso il famoso certificato di morte di Ilaria Alpi. In proposito, il dottor Neri ci disse che il capitano De Grazia gli mostrò tale documento e che, dopo la trafugazione del materiale, il certificato sparì e non fu mai più trovato. Lei era a conoscenza della sparizione di alcuni documenti?

NICOLÒ MOSCHITTA. Sì, perché quando siamo stati costretti a difenderci davanti al GIP di Roma, abbiamo chiesto l'autorizzazione alla procura distrettuale per acquisire tutta la documentazione. Mi sembra di aver letto in un verbale, che non era del dottor Neri, ma del pubblico ministero di turno, l'attestazione del fatto che quel plico era stato manomesso. Quindi, si trattava di un altro pubblico ministero.

PRESIDENTE. Non ricorda chi fosse questo pubblico ministero?

NICOLÒ MOSCHITTA. No, io ormai ero in pensione. Apprendevo queste notizie mano a mano che parlavo con il dottor Neri e andavamo a difenderci. Tuttavia, il verbale sottoscritto non solo dal pubblico ministero, ma anche dal cancelliere, è disponibile.

PRESIDENTE. Vorrei passare all'episodio della morte del capitano De Grazia e


Pag. 10

avere qualche precisazione in merito. Su questa prima parte ci sono altre domande?

NICOLÒ MOSCHITTA. Non ho ancora risposto alla sua domanda sul collegamento con l'ENEA...

PRESIDENTE. È vero. Intanto, come arrivate all'ENEA? Lei oggi ha cominciato il suo discorso dicendo che stavate effettuando l'interrogatorio di Giglio e che proprio in quell'occasione avete avuto la sensazione che fosse accaduto qualcosa di strano.
Tra l'altro, avete preso le targhe delle auto che vi accostavano e vi seguivano, quando avete avuto l'impressione di essere seguiti durante il viaggio?

NICOLÒ MOSCHITTA. In quel momento pensavamo solo a salvare il nostro pubblico ministero. Se avessimo avuto la certezza che la macchina ci seguiva, avremmo immediatamente preso il numero di targa.

PRESIDENTE. È sempre opportuno. Del resto, voi siete investigatori e sapete che poi si fanno le verifiche...

NICOLÒ MOSCHITTA. Lei ha ragione signor presidente, ma in quelle situazioni abbiamo cercato quanto meno di proteggere e tutelare la persona che stava con noi, perché eravamo tre o quattro al massimo, compresi i due autisti. Non avevamo un grosso seguito, quindi eravamo attenti e cercavamo di tutelarci tra di noi. A volte ci informavamo a vicenda di avere l'impressione di aver già visto una certa macchina passare e allora ce ne andavamo.

PRESIDENTE. Torniamo all'ENEA...

NICOLÒ MOSCHITTA. Al tempo, l'ente che gestiva il materiale radioattivo in Italia era l'ENEA. Quindi, l'attenzione cadde sull'ENEA nel momento in cui il dottor Pace di Matera ci telefonò e ci chiese se stavamo indagando sui materiali radioattivi. Alla nostra risposta affermativa, ci propose di lavorare insieme, dal momento che lui aveva una centrale - così disse - che stava esplodendo.
Ci disse che era solo, che non aveva le strutture e che quindi aveva paura a procedere nell'attività. Invece, unendosi a noi e lavorando sullo stesso terreno, avremmo potuto raggiungere qualche risultato.
A seguito di questa collaborazione, il dottor Pace ci disse che Matera viveva una situazione molto pericolosa, perché nella centrale nucleare della città, dentro una piscina, vi erano 64 barre di uranio, acquistate prima della moratoria dalle centrali Helk River degli Stati Uniti. La piscina era stata realizzata nel 1960, quando ancora la normativa antisismica non esisteva. Matera è una zona sismica. Quindi, ci mostrò la gravità della situazione e ci chiese come avremmo potuto prenderla in mano. Ci disse che il personale dell'ENEA gli faceva muro davanti, che avrebbe voluto fare degli accertamenti e proseguire le operazioni, che lo invitavano a fare delle verifiche personalmente, ma che lui non sapeva dove andare a controllare.
La situazione era incresciosa, se pensiamo - queste sono le parole che sono state pronunciate allora - che il problema di Chernobyl è nato da mezza barra di uranio e che a Matera ve ne erano 64. Apprese queste notizie, acquisita da Giglio l'informazione che dalla centrale di Saluggia non erano stati vetrificati i liquidi radioattivi e tante altre notizie che già erano a conoscenza del dottor Pace, si rese necessario fare una relazione al Capo del Governo dell'epoca. Vi si recò il dottor Cordova personalmente.

PRESIDENTE. Che anno era?

NICOLÒ MOSCHITTA. Eravamo tra il 1995 e l'inizio del 1996, nel periodo dell'indagine.

ALESSANDRO BRATTI. Avete fatto una relazione al Governo?


Pag. 11


NICOLÒ MOSCHITTA. Sì, al Presidente del Consiglio. Io, personalmente, ho portato la relazione al Ministro della difesa e al Ministro degli affari esteri...

PRESIDENTE. Chi erano in quel momento?

NICOLÒ MOSCHITTA. Il Ministro degli affari esteri era all'epoca Susanna Agnelli, buon'anima; mentre non ricordo chi fosse il Ministro della difesa. Ricordo però che il suo capo di gabinetto era l'ammiraglio Battelli che ho identificato e al quale consegnato la busta, dicendo che era per il ministro. Gli chiesi i documenti, perché dovevo riferire al magistrato a chi avevo consegnato la documentazione. Si trattava dell'ammiraglio Battelli.
Quindi, come ripeto, abbiamo consegnato tutto questo materiale, ma non abbiamo ricevuto alcun riscontro. Non ci dissero neanche che ci consideravano pazzi. Nel caso avremmo chiuso il discorso.
Il dottor Pace ci disse che la centrale di Rotondella serviva anche come discarica di materiale nucleare. Fece l'esempio delle antenne parafulmine che sono radioattive. I funzionari andavano personalmente a smaltire questo materiale. Lo buttavano nella centrale stessa, lucrando abbondantemente. In un secondo tempo, se non erro e la memoria mi aiuta, queste persone sono state regolarmente condannate a seguito di un processo.
Altro aspetto importante è che quando sono andato a Genova con De Grazia e abbiamo parlato con il comandante della capitaneria di porto. Abbiamo chiesto quale fosse la situazione nei porti, che cosa si trasportasse al loro interno e se venisse trasportato anche materiale nucleare. Il comandante rispose di sì e ci consegnò documenti, atti ufficiali in cui si affermava che dal 1985 al 1992 erano passate dal porto di Genova, in transito o a seguito di operazioni, 131 navi con materiale radioattivo.

PRESIDENTE. Lei ricorda il nome?

NICOLÒ MOSCHITTA. No, non lo ricordo.

PRESIDENTE. E questi documenti?

NICOLÒ MOSCHITTA. Sono tutti depositati.

PRESIDENTE. Dove?

NICOLÒ MOSCHITTA. Alla Procura della Repubblica di Reggio Calabria.

PRESIDENTE. Alla direzione distrettuale antimafia?

NICOLÒ MOSCHITTA. Sì. Cinque anni dopo, nel 1987, c'è stato il referendum sul nucleare. Peraltro, questa è solo la situazione di Genova. Non sappiamo quale fosse la condizione degli altri porti. Inoltre, non sappiamo da dove venivano e dove sono andate queste navi. Una di esse l'abbiamo pedinata a livello cartaceo e anche praticamente. Tuttavia, nel momento in cui abbiamo visto ENEA ci sono cadute le braccia.
Tra i documenti che avevamo acquisito, ce n'era uno riguardante una nave di nome Americana, proveniente da Norfolk negli Stati Uniti, il cui carico era gestito da ENEL nucleare, Snamprogetti e altre due società. Si trasportava uranio impoverito.
Attenzione, noi avevamo la data di partenza e di arrivo a Genova, stando alle quali la nave ufficialmente aveva compiuto 20 giorni di tragitto. Dalla lettura della fattura proforma, tuttavia, emerse che questa nave, carica di uranio impoverito, era andata in Russia, a Riga, era tornata, il carico era andato a Tricastin, nella centrale nucleare francese, e poi era diventato uranio arricchito a Genova.
Onestamente, non ci intendiamo molto di questa materia, tuttavia leggere queste informazioni ci ha insospettito. Allora, con il capitano De Grazia abbiamo deciso di seguire la situazione, quanto meno a livello cartolare. Alla dogana di Genova abbiamo chiesto se avessero aperto i contenitori. Ci hanno risposto di non averlo fatto e che se ne doveva occupare la


Pag. 12

dogana di Alessandria. Così ci siamo recati alla centrale di Alessandria, dove abbiamo appurato che si trattava di un carico che andava alla centrale di Bosco Marengo e che neanche in quel luogo i contenitori erano stati aperti.
Quindi, che cosa c'era lì dentro? Ufficialmente la nave ha compiuto il tragitto da Norfolk a Genova in 20 giorni. Ma se trasporta uranio impoverito, dopo aver compiuto tutto il giro, in Russia e poi a Tricastin in Francia, come fa il materiale a diventare uranio arricchito?
Abbiamo trasmesso gli atti ad Alessandria, ma non so che cosa ne abbiano fatto. Sorgeva spontaneo il dubbio...

PRESIDENTE. Abbiamo compreso. Passerei un momento al tristissimo episodio della morte del capitano De Grazia. Intanto, lei viaggiava insieme a chi?

NICOLÒ MOSCHITTA. Viaggiavo insieme al capitano De Grazia e al carabiniere Francaviglia che era il nostro autista.

PRESIDENTE. Ci risulta che un collaboratore stretto del capitano De Grazia fosse il maresciallo Scimone. Di che cosa si occupava?

NICOLÒ MOSCHITTA. Il maresciallo Scimone lavorava con noi e si occupava della stessa attività. Non sempre eravamo insieme, perché il dottor Neri dava diversi incarichi a ciascuno di noi. I compiti erano divisi. Eravamo tutti presenti quando è stata effettuata la perquisizione di Comerio, che è durata due giorni. Poi da lì siamo tutti partiti per le perquisizioni e Scimone era uno dei nostri collaboratori, ma oltre a lui nessun altro.

PRESIDENTE. Scimone si occupava particolarmente dei rapporti con i servizi? Era un suo compito specifico che lei sappia?

NICOLÒ MOSCHITTA. No, lui aveva gli stessi compiti che avevo io e che avevano gli altri.

PRESIDENTE. Non aveva rapporti con i sevizi?

NICOLÒ MOSCHITTA. Aveva avuto dei rapporti, perché loro stavano negli uffici della procura; mentre lui era nella Sezione di polizia giudiziaria della procura circondariale....

PRESIDENTE. I servizi stavano negli uffici della procura?

NICOLÒ MOSCHITTA. Sì, nei nostri uffici.

PRESIDENTE. Questo capita spesso che lei sappia?

NICOLÒ MOSCHITTA. Era la prima volta che lavoravo...

PRESIDENTE. Forse anche l'ultima...

NICOLÒ MOSCHITTA. Poi naturalmente è stata l'ultima.

PRESIDENTE. Dico questo perché abbiamo una risultanza che le rendo nota, per capire se anche lei risulta qualcosa del genere. Il cognato del capitano De Grazia ha dichiarato, in data 8 aprile 1997, che il capitano temeva per la sua incolumità e aveva riferito al cognato di un comportamento strano del maresciallo Scimone. «Qualche giorno prima della morte - dice questo testimone -, sicuramente tra il giorno dell'immacolata e il 12 dicembre, mi confessò in modo esplicito di essersi accorto che un suo collaboratore nelle indagini passava informazioni riservate ai servizi segreti deviati. Quando, sulla base di quei sospetti da lui esplicitati in precedenza, gli feci il nome del maresciallo Scimone, lui mi confermò facendo un cenno di assenso».
A lei ha mai detto nulla del genere?

NICOLÒ MOSCHITTA. No, mai. A me De Grazia raccontava tutto; tanto è vero che quella sera, prima di morire, mi disse


Pag. 13

che cosa avremmo dovuto fare una volta rientrati. Disse: «Considerato che ti sei occupato di tangentopoli a Reggio, di mafia politica, di appalti, di associazione per delinquere, mi aiuti a scardinare le mazzette che ci sono nel porto di Gioia Tauro?». Mi ha detto questo, coinvolgendo anche i suoi colleghi. Insomma, mi ha detto una cosa del genere e non mi avrebbe detto altro?

PRESIDENTE. Questa può essere una considerazione sua. Possono essere molti i motivi per cui il capitano potrebbe aver deciso di parlare con il cognato e non con il collega...

NICOLÒ MOSCHITTA. A me non l'ha detto. L'avrei riferito, se mi fosse risultata una circostanza simile.

PRESIDENTE. Chi ha deciso di fermarsi nel ristorante in località Campagna?

NICOLÒ MOSCHITTA. È stato lui. Dopo lo svincolo per Campagna, c'è un autogrill prima di arrivare a Salerno. Proposi di fermarci lì e di consumare un pasto leggero, perché avevamo molta strada da fare. Il capitano mi ha chiesto se andavo in quella località a mangiare quando mi recavo a Roma per le indagini. Risposi di sì, ma che in quel momento era tardi. Aggiunsi poi che al ristorante avremmo mangiato pesante. Rispose che voleva recarsi comunque in quella zona per mangiare. A quel punto, eravamo quasi allo svincolo e ho detto all'autista di deviare per uscire in località Campagna. Quindi, è stata una decisione presa all'ultimo minuto.
Arrivati sul posto c'erano solo due giovani che stavano finendo di mangiare - si vedeva dai residui che c'erano sul tavolo - e che poi se ne sono andati.

CANDIDO DE ANGELIS. Perché siete partiti alle sette di sera? Di solito, quando si deve compiere un lungo viaggio in macchina si parte nelle prime ore del mattino.

NICOLÒ MOSCHITTA. Per essere pronti, disponibili e operativi l'indomani mattina.

CANDIDO DE ANGELIS. Ma non lucidissimi, perché dopo una notte in macchina...

NICOLÒ MOSCHITTA. Lei sta parlando di investigatori che presi dall'entusiasmo sono partiti senza guardare l'ora. Decidemmo di partire quel pomeriggio o perché avevamo già tutta la documentazione pronta da portare - mi riferisco alle autorizzazioni del giudice e via dicendo -, oppure perché avevamo pensato di viaggiare tutta la notte per essere pronti e operativi l'indomani mattina. Quando partivamo, non guardavamo l'orario.

CANDIDO DE ANGELIS. Vorrei porre una domanda che è anche una considerazione da condividere con lei. Mi vorrei complimentare, lei ha circa 60 anni...

NICOLÒ MOSCHITTA. Ho 58 anni.

CANDIDO DE ANGELIS. La vedo lucidissimo...

NICOLÒ MOSCHITTA. Perché io le ho fatte queste cose e me le ricordo.

CANDIDO DE ANGELIS. Lei è andato in pensione, adducendo motivi di salute a 44 anni. Lei era sicuramente una risorsa per lo Stato...

NICOLÒ MOSCHITTA. Ho capito. Tutti hanno cercato di convincermi...

CANDIDO DE ANGELIS. Volevo porle una domanda. Ad un certo punto, si è creato un vuoto intorno a questa vicenda, perché Martini è diventato supercommissario dei rifiuti, lei a 44 anni è andato in pensione e via dicendo.
È stato fatto qualche atto particolare perché potesse andare in pensione a 44 anni?


Pag. 14


NICOLÒ MOSCHITTA. Come ho spiegato prima, il nostro ordinamento prevedeva, all'epoca, il pensionamento a venticinque anni di effettivo servizio più i cinque anni di abbuono, in totale trent'anni. Io avevo ventisette anni di servizio, più i cinque di abbuono e sono arrivato a 32 anni.

CANDIDO DE ANGELIS. Mi scusi se entro in argomenti che forse non mi riguardano, ma andando in pensione ha subito qualche danno dal punto di vista economico?

NICOLÒ MOSCHITTA. No, anzi ora piangono. Onestamente, quello che prendevo è quello che prendo. Gli altri hanno riduzioni notevoli.

CANDIDO DE ANGELIS. Quando è andato in pensione?

NICOLÒ MOSCHITTA. Nel 1996.

CANDIDO DE ANGELIS. La pensione rispetto allo stipendio come era? Era quasi uguale?

NICOLÒ MOSCHITTA. Non mi davano neanche lo straordinario, si figuri! Ero l'unico che non parlava e non protestava mai per i soldi. Anzi, io li comunicavo e poi me li tagliavano. Li davano a chi stava in ufficio.

CANDIDO DE ANGELIS. Però ha deciso di andare in pensione quasi subito, dopo qualche mese...

NICOLÒ MOSCHITTA. Stavo male.

CANDIDO DE ANGELIS. La sensazione è che con l'omicidio di De Grazia...

NICOLÒ MOSCHITTA. Omicidio?

CANDIDO DE ANGELIS. Con la morte di De Grazia...

NICOLÒ MOSCHITTA. Vuole sapere l'ultima sulla questione De Grazia? Il signor Angelo Barillà, allora assessore all'ambiente nel comune di Reggio Calabria disse che se avessimo considerato la morte di De Grazia come un fatto sospetto, avremmo tenuto ancora desta l'attenzione di tutti; se invece la morte del povero De Grazia fosse passata inosservata, tutti si sarebbero dimenticati delle nostre indagini.

CANDIDO DE ANGELIS. Ci racconta come ha vissuto questo episodio? Come una morte per infarto?

NICOLÒ MOSCHITTA. Certo, ci sono gli atti ufficiali...

CANDIDO DE ANGELIS. Però ci deve consentire di sottolineare che dopo la morte di De Grazia c'è stato il disfacimento del pool che stava indagando intorno a un fatto rispetto al quale vari episodi ci danno per scontata la presenza dei servizi, il traffico di rifiuti radioattivi e via dicendo. Pertanto, parliamo di una situazione molto seria rispetto alla quale ci sono delle prove dell'interessamento dei servizi segreti, deviati o meno, degli anni '90.
In ogni caso, c'è stato un traffico di rifiuti radioattivi che si svolgeva nel nostro Paese, c'era un pool di risorse dello Stato, di uomini delle forze dell'ordine, dal corpo forestale, alla marina, ai carabinieri, che indagavano insieme alla magistratura, in maniera efficace ed efficiente, su un argomento scottante. Ad un certo punto, per un incidente, dalla morte di De Grazia, uno degli interessati in ventiquattro ore diventa commissario capo dei rifiuti speciali a Milano, lei a 44 anni va improvvisamente in pensione perché malato, i magistrati chiedono il trasferimento o vengono trasferiti e via dicendo. Insomma, improvvisamente, il pool che aveva lavorato intorno a un argomento così importante si dissolve.
Commenti lei questa circostanza.


Pag. 15


NICOLÒ MOSCHITTA. Secondo me, può essere una coincidenza. È strana, lo ammetto, però è una coincidenza. Peraltro, la procura distrettuale antimafia era in grado di sostituirsi a noi, perché può coinvolgere tutte le forze di polizia, non il singolo maresciallo Moschitta, il maresciallo Scimone o il capitano De Grazia. La nostra presenza era senza dubbio importante, ma le carte erano in procura ed erano depositate. Non è che le abbiamo lette, le abbiamo buttate e ci sono rimaste nel cervello. Le carte erano in procura.

CANDIDO DE ANGELIS. Personalmente, non ho avuto il piacere di venire in Calabria e la ascolto oggi per la prima volta. Tuttavia, lei propone una serie di argomentazioni tutte molto valide: prove del traffico di uranio, dimostrazioni di infiltrazioni tra P2, logge massoniche e via elencando.
Se improvvisamente vengono a mancare gli attori principali di questa storia, perché uno viene spostato, i magistrati vengono trasferiti, uno altro è promosso, è probabile che ci sia dietro qualche interesse. Ci chiediamo se è normale che i servizi segreti si trovino all'interno della procura vicino all'ufficio che sta indagando su fatti cosi importanti.
Insomma, questo pool è stato praticamente dissolto. È chiaro quindi che vi è stato l'interesse a non andare avanti con le indagini. Non può dire oggi che la procura poteva sostituirvi ed iniziare da capo un percorso. Sarebbe stato difficile.

NICOLÒ MOSCHITTA. Le carte erano là. Le considerazioni non devo farle io.

PIETRO FRANZOSO. I magistrati, furono trasferiti o vi risulta che abbiano fatto precedentemente istanza di trasferimento?

NICOLÒ MOSCHITTA. Il dottor Neri è rimasto nello stesso luogo. Poi, nel momento in cui è stata abrogata la procura circondariale, è stato trasferito, per movimento...

PIETRO FRANZOSO. Cessazione di ufficio, allora.

NICOLÒ MOSCHITTA. La procura circondariale non c'era più, era stata abolita per legge. Quindi, il sostituto è andato alla procura generale. Non c'è stato un trasferimento. Hanno abolito la procura circondariale, quindi hanno dovuto dare un altro incarico a questo magistrato.

PRESIDENTE. Avrei un'ultima domanda da porre. Il maresciallo Scimone andò in pensione subito?

NICOLÒ MOSCHITTA. No, è tuttora in servizio a Messina.

PRESIDENTE. Lo chiedo, perché il dottor Neri ci ha riferito che i rapporti con il SISMI erano tenuti appunto dal maresciallo Scimone.

NICOLÒ MOSCHITTA. Era un rapporto fiduciario. Io ero allergico ad alcuni argomenti. Nessuno mi ha contattato, perché hanno capito subito chi fossi. Mi hanno tenuto distante. Se esisteva un rapporto fiduciario, questo era tra il giudice e il maresciallo Scimone.

PRESIDENTE. Come si chiama, o chiamava, l'autista che era in auto quella sera?

NICOLÒ MOSCHITTA. Saro Francaviglia.

PRESIDENTE. Non ho altre domande.

NICOLÒ MOSCHITTA. Spero di essere stato utile alla Commissione.

PRESIDENTE. Nel ringraziare il nostro ospite per la disponibilità manifestata, dichiaro conclusa l'audizione.


Pag. 16


(La seduta, sospesa alle 14.15, riprende alle 14.20).

Back Forward