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PDL 5179

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 5179



 

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PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE

d'iniziativa del deputato DE GIROLAMO

Modifica all'articolo 112 della Costituzione

Presentata l'8 maggio 2012


      

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Onorevoli Colleghi! — L'esercizio dell'azione penale nel nostro ordinamento ai sensi dell'articolo 112 della Costituzione, come recepito nell'articolo 50 del codice di procedura penale, è obbligatorio da parte del pubblico ministero che decide, in virtù di tale obbligo, la priorità dei procedimenti per i quali deve avviare l'azione penale.
      Tale principio, condivisibile in linea teorica, non è presente nell'ordinamento di nessun altro Paese europeo e in Germania, l'unico che, oltre il nostro, lo prevedeva è stato abolito a metà degli anni settanta.
      La formula utilizzata dal Costituente è una delle più lapidarie dell'intera Carta e forse anche per questo si è prestata e si presta a molteplici dispute interpretative, divenendo terreno di uno scontro spesso aspro tra le diverse concezioni della giustizia penale.
      Sia in dottrina che in giurisprudenza si concorda nel ritenere il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale una norma di natura strumentale, anziché finale, e la stessa Corte costituzionale ha definito tale principio come «punto di convergenza di un complesso di princìpi basilari del sistema costituzionale».
      Sono tre i valori a cui si ispira e su cui si fonda la norma: il principio di uguaglianza (articolo 3 della Costituzione), il principio di legalità (articolo 25, secondo comma, della Costituzione) e il principio dell'indipendenza esterna del pubblico ministero. Se i primi due valori sono strutture ineliminabili del principio, non altrettanto può dirsi riguardo all'indipendenza esterna. Infatti esistono diversi sistemi nei
 

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quali la larga fiducia tra società, poteri pubblici e magistratura rende possibile una pacifica compresenza e accettazione sia del principio dell'obbligatorietà dell'azione penale sia di quello della dipendenza della magistratura inquirente dall'esecutivo.
      Nel nostro Paese esiste una continua predisposizione a guardare ai modelli altrui, solo però in alcuni casi, a seconda delle contingenze e delle opportunità, senza un approccio di sistema culturale e politico che, invece, dovrebbe sempre sottendere a un esame comparato degli altri sistemi.
      In questo caso, in un'ottica di sistema, la necessaria e sempre utile onestà intellettuale non può farci non vedere che l'articolo 112 della Costituzione oggi è di fatto oggetto di un'ineffettività concreta. Circostanza, questa, che a sua volta non può non portarci a interrogarci sulla possibilità di superarlo o di mantenerlo, attenuandone però la rigidità.
      Mantenere inalterata la situazione attuale significa, infatti, soltanto distogliere lo sguardo di fronte a tre «paradossi» che appaiono incompatibili con la fisionomia di uno Stato a forte tradizione democratica come il nostro.
      Il primo paradosso è l'assoluta irrealizzabilità pratica del principio. Vale la pena, al riguardo, ricordare che in proposito la Commissione per la riforma dell'ordinamento giudiziario, nominata dall'allora Ministro di grazia e giustizia Conso con decreto 8 febbraio 1993 e composta prevalentemente da magistrati di diverse correnti, dichiarò l'oggettiva impossibilità di perseguire tutti i reati, anche attraverso un'ampia opera di depenalizzazione, e affermò la necessità di stabilire un sistema di priorità nell'esercizio dell'azione penale.
      Il secondo paradosso è conseguenza diretta del primo e consiste in un effetto contrario al principio enunciato. Di fronte, cioè, all'oggettiva impossibilità di perseguire tutti i reati, ogni singolo sostituto procuratore della Repubblica è di fatto costretto ad applicare criteri discrezionali per dare priorità a determinati processi anziché ad altri. Paradossalmente, quindi, il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale, concepito come baluardo del principio di uguaglianza, una volta applicato rischia di determinare diseguaglianze di disciplina tra i cittadini.
      Il terzo paradosso consiste nel fatto che secondo l'assetto attuale si rischia di demandare alle singole procure della Repubblica il governo di quelle che sono vere e proprie scelte di politica criminale sia a livello nazionale che a livello internazionale.
      Si tenga presente che in un'ottica di sistema libera da interpretazioni di parte le esperienze comparate dimostrano una sempre maggiore tendenza dei sistemi processuali a convergere verso forme intermedie.
      Purtroppo, ad oggi, nonostante le diverse sollecitazioni del Consiglio europeo ad adottare forme di facoltatività dell'esercizio dell'azione penale, in Italia si continua a essere restii all'idea di rinunciare al principio dell'obbligatorietà dell'esercizio dell'azione penale.
      Di fatto, con la resistenza di questa norma si finisce per affermare l'assoluta discrezionalità con cui ogni singolo pubblico ministero decide quali reati perseguire, con il risultato inevitabile di avere un'altrettanto assoluta non uniformità nell'applicazione della legge sul territorio nazionale.
      Per questi motivi, al di là di una contrapposizione politica fin troppo aspra di cui pagano le conseguenze tutti i cittadini, si propone una modifica dell'articolo 112 della Costituzione.
 

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PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE

Art. 1.

      1. All'articolo 112 della Costituzione è aggiunto, in fine, il seguente comma:
      «Ciascun procuratore generale della Repubblica presso la Corte d'appello stabilisce annualmente, per il distretto di propria competenza, le priorità per l'esercizio dell'azione penale. Ciascun procuratore della Repubblica presso il tribunale ordinario e presso il tribunale per i minorenni stabilisce annualmente, per il circondario di propria competenza, le priorità per l'esercizio dell'azione penale.».


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