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PDL 5195

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 5195



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO, ZAMPARUTTI

Modifiche agli articoli 152 e 230 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, concernenti l'introduzione dell'obbligo di redazione del bilancio consolidato e dei conti patrimoniali di inizio e fine mandato degli amministratori nell'ordinamento contabile degli enti locali

Presentata il 14 maggio 2012


      

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Onorevoli Colleghi! — La legge finanziaria 2002 (legge n. 448 del 2001), in un'ottica di esternalizzazione dei servizi pubblici locali, ha sancito la fine delle aziende municipalizzate, la cui gestione dei servizi era stata in precedenza e a più riprese oggetto di censure dell'Unione europea ritenendola incompatibile con i princìpi in materia di concorrenza.
      In una prospettiva di compiuta liberalizzazione dei servizi pubblici locali si è proceduto per gradi e sono così state create le aziende speciali ovvero società formalmente private ma sostanzialmente ancora gestite dagli enti locali.
      Queste società, denominate «in house», presentano, rispetto alle aziende municipalizzate una differenza sostanziale, costituita da una personalità giuridica distinta rispetto al comune o alla provincia per conto della quale gestiscono i servizi. La distinta personalità giuridica, insieme all'assetto solo formalmente privato di questi organismi, ne ha fatto un'autentica «terra di nessuno», soprattutto ponendoli in un'ottica totalmente difforme dalle ragioni che ne avevano dettato la costituzione. La Corte dei conti, nella sua relazione del 2009 nella sezione dedicata agli enti locali, offre un giudizio tranciante
 

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delle aziende speciali e soprattutto dell'utilizzo improprio che di queste viene fatto dalla politica: «fatti salvi i casi di eccellenza qui non direttamente rilevati, l'esternalizzazione di servizi e di attività attraverso la costituzione o la partecipazione a organismi terzi rispetto all'ente spesso non risponde a ponderate esigenze di definizione di nuovi assetti organizzativi e gestionali né di revisione degli indirizzi strategici e degli obiettivi istituzionali. Talvolta essa costituisce solo una risposta spontanea e disorganica ad estemporanee necessità derivanti da criticità di bilancio e, soprattutto, da difficoltà nel rispetto degli obblighi comunitari in tema di finanza pubblica, necessità che niente hanno a che vedere con la creazione di nuovi modelli gestionali ispirati a criteri di efficacia, efficienza ed economicità, presi a riferimento del legislatore che con la finanziaria del 2002 aveva istituzionalizzato le esternalizzazioni dei servizi».
      La stessa Corte dei conti, ben conscia della distinzione solo formale tra ente locale e società affidataria del servizio, auspicava per questi organismi l'estensione dei vincoli del patto di stabilità interno, «poiché la società quale ente strumentale dell'ente locale, assume la veste sostanziale di ufficio interno dell'ente».
      La sentenza n. 325 della Corte costituzionale del 17 novembre 2010 ha provveduto a contraddire le aspirazioni della Corte dei conti. In questa occasione la Consulta ha giudicato su una serie di questioni di legittimità costituzionali che Stato e regioni avevano reciprocamente sollevato proprio in materia di servizi pubblici locali e di aziende speciali, precisamente relativamente ad alcune norme contenute nel decreto legislativo n. 152 del 2006.
      Le questioni che hanno occupato la Corte costituzionale sono state due: la prima scaturita dal tentativo compiuto da alcuni legislatori regionali di sottrarre il servizio idrico integrato alla disciplina del citato decreto legislativo legiferando circa la non rilevanza economica del servizio, la seconda ha avuto quale oggetto proprio l'applicabilità del patto di stabilità interno alle società in house.
      La Corte ha dichiarato incostituzionale la norma che escludeva la rilevanza economica del servizio idrico integrato trattandosi di norma in materia di concorrenza e come tale di competenza esclusiva del legislatore nazionale, ha parimenti ritenuto incostituzionale la norma che estendeva alle società partecipate il vincolo del patto di stabilità interno, materia «in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite» ritenendo che tale potestà regolamentare fosse in capo alle regioni.
      L'aspetto rilevante della sentenza non sta solo nel contenuto delle decisioni assunte dalla Corte, ma è soprattutto la nitida rappresentazione del modello preconizzato dai vari legislatori regionali, consistente nell'autoesclusione dal mercato delle gestioni dei servizi idrici integrati e nelle contestuale possibilità di non essere soggetti a vincoli di bilancio.
      La diversa soggettività delle aziende speciali rispetto agli enti locali di riferimento, contrariamente a quanto accadeva per le vecchie aziende municipalizzate, unita a quella che la Corte dei conti nella citata relazione definisce «mera distinzione formale della società affidataria rispetto all'ente costitutore», legittima un sistema nel quale lo stesso ente locale imbrigliato da vincoli di bilancio può, attraverso le aziende speciali, fare tutto quello che altrimenti non potrebbe sia in termini di indebitamento sia di assunzioni del personale, in sostanza non è avventato ritenere che questa decisione della Consulta sia da considerare, sia pur se rispettosamente, la causa delle tante cosiddette «parentopoli», fenomeni rispetto ai quali anche il miglior giornalismo di inchiesta si è limitato ad affiancare cognomi e rapporti di parentela a incarichi e ad assunzioni senza peraltro minimamente curarsi dei dati di gestione e patrimoniali di queste aziende.
      Il quadro è ulteriormente arricchito da alcune norme del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, di seguito «testo unico», che in materia di contabilità, attraverso l'uso di espressioni
 

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quasi imbarazzanti, rende facoltativa e non obbligatoria l'adozione di strumenti di contabilità consolidata per gli enti locali: «Il regolamento di contabilità assicura, di norma, la conoscenza consolidata dei risultati globali delle gestioni relative ad enti od organismi costituiti per l'esercizio di funzioni e servizi» (comma 2 dell'articolo 152 del testo unico) o come per il comma 6 del successivo articolo 230 «Il regolamento di contabilità può prevedere la compilazione di un conto consolidato patrimoniale per tutte le attività e passività interne ed esterne».
      La contabilità in forma consolidata, è auspicata ancora dalla Corte dei conti «che al riguardo, ha messo in evidenza, prima di tutto, l'insufficienza del bilancio dell'ente locale a fornire informazioni esaustive concernenti l'impatto finanziario che le partecipazioni dell'ente hanno sui propri equilibri di bilancio, attribuibile alla scarsa analiticità del bilanci». La mancanza di analiticità contabile dei bilanci degli enti locali ha di fatto sottratto la politica locale a ogni forma di controllo circa la gestione dei servizi pubblici.
      A fronte di questo scenario appare ineludibile, al di là dei diktat dell'Unione europea, l'avvio di un serio ed effettivo processo di liberalizzazione dei servizi pubblici locali. La strada per le liberalizzazioni in Italia è particolarmente impervia: insieme a quelle che sono state le cattive prassi del sessantennio partitocratico, che nella gestione clientelare dei servizi pubblici ha avuto un'importante strumento di potere, vi è da aggiungere una certa inadeguatezza culturale della pubblica amministrazione italiana che rappresenta un ulteriore ostacolo difficilmente superabile.
      Il modello di servizio pubblico liberalizzato necessita di uno Stato capace di relazionarsi con il gestore privato non solo con strumenti autoritativi ma soprattutto, se non esclusivamente, attraverso l'esercizio di un potere regolatorio di fatto sconosciuto alla nostra pubblica amministrazione.
      Con l'esercizio del potere regolatorio lo Stato non disciplina i conflitti tra i soggetti coinvolti nel mercato imponendo loro una scelta pubblica, preferendo condizionare gli attori del mercato mediante regole con cui conseguire l'interesse pubblico, che è individuato proprio nell'equilibrata sintesi degli interessi dell'operatore economico e dell'utente o consumatore.
      Viceversa l'arretratezza della pubblica amministrazione italiana, senza voler scomodare la concezione dello Stato di diritto, il rapporto tra amministrazione e individuo, trova conferma nella circostanza che l'Italia sia stato l'ultimo Paese in Europa a dotarsi, nel 1990, di una legge organica sul procedimento amministrativo che ha compiutamente regolato il rapporto tra cittadino e pubblica amministrazione. Le liberalizzazioni in Italia, non a caso, si sono spesso rivelate fallimentari, sovente si è trattato di vere e proprie cessioni di sovranità, in cui il pubblico quando si è dovuto confrontare con un soggetto oligopolista ha abdicato alla sua funzione di garante del servizio per gli utenti, senza minimamente occuparsi di fornire un effettivo strumento regolatorio e di controllo della gestione.
      Lo Stato, quando concede in affidamento un servizio pubblico, non sceglie un suo sostituto, come una concezione ottocentesca degli atti concessori riteneva, ma fa soprattutto altro, o almeno dovrebbe, utilizzando l'occasione dell'affidamento proprio per dettare le regole attraverso le quali garantire agli utenti l'universalità e l'efficienza del servizio, non dimenticando gli interessi individuali del gestore a cui dovrà consentire la persistenza del vantaggio economico della gestione pena il venire meno del mercato.
      Tutto questo ha a monte un'idea oggettiva del servizio pubblico secondo cui non è il dato nominalistico di appartenenza allo Stato dell'attività che fa definire un'attività servizio pubblico, ma la rispondenza a un interesse generale rispetto al quale si rende indifferente la natura pubblica o privata del soggetto gestore.
      La vicenda del servizio idrico integrato rappresenta rispetto a questa insensibilità
 

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regolatoria un'efficace rappresentazione: la normativa di riferimento del settore è il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.
      Il decreto legislativo prevede al suo interno il contenuto necessario del contratto di servizio ovvero lo strumento deputato a regolamentare il rapporto tra l'ente locale e il gestore del servizio; in particolare vi è una norma che prevede l'obbligo da parte del gestore «di assicurare il livello di efficienza e di affidabilità del servizio da assicurare all'utenza, anche con riferimento alla manutenzione degli impianti» (articolo 151). Lo stesso decreto legislativo prevede penali, sanzioni e, addirittura, la risoluzione del contratto in caso di inadempimento.
      È di tutta evidenza che ove vi fosse un'effettiva applicazione di questi contratti la quasi totalità degli affidamenti delle gestioni dei servizi idrici integrati andrebbe revocata alla luce della condizione delle reti idriche italiane che hanno una media di dispersione del 50 per cento con punte prossime all'80 per cento.
      La realtà attuale dei servizi pubblici locali non contempla efficienza ed economicità tra i propri obiettivi, muovendosi verso direzioni totalmente opposte.       L'eliminazione della distanza siderale tra la funzione che, rispetto ai servizi pubblici, lo Stato dovrebbe ricoprire e quella che nella realtà svolge rappresenta la scommessa delle liberalizzazioni italiane, le cui sorti passano per la creazione di un modello che sappia tenere in equilibrio concorrenza, economicità ed universalità del servizio, risultato che sarà reso possibile solo dal riconoscimento del mercato e della concorrenza quali strumenti capaci di attendere ad una funzione sociale e dalla effettiva modernizzazione della pubblica amministrazione a cui le liberalizzazioni imporranno una vera e propria rivoluzione copernicana.
      In attesa di questa rivoluzione, grande beneficio si otterrebbe modificando le norme citate del testo unico.
      «Il regolamento di contabilità assicura, di norma, la conoscenza consolidata dei risultati globali delle gestioni relative ad enti od organismi costituiti per l'esercizio di funzioni e servizi». Si è nuovamente citato il comma 2 dell'articolo 152 del testo unico che, in un semplice inciso, «di norma», racconta molto della storia delle liberalizzazioni italiane.
      Per essere chiari ciò che il regolamento di contabilità dovrebbe «di norma» assicurare è l'adozione del bilancio consolidato da parte delle province e dei comuni.
      Questo strumento contabile consente una lettura globale dei conti dell'ente locale e soprattutto, per quello che ci interessa, rende intellegibile l'incidenza finanziaria degli enti partecipati sui bilanci dei comuni e delle province, le ex aziende municipalizzate ora aziende speciali.
      La leggibilità dei risultati delle società che gestiscono i servizi pubblici rappresenterebbe un incisivo strumento di controllo politico per i cittadini ma, soprattutto porrebbe al centro della responsabilità politica il tema dell'efficienza dei servizi e della loro sostenibilità economica.
      L'argomento in questione non è solo contabile, ovviamente, ma riguarda la partecipazione consapevole del cittadino: provincia e comune sono enti pubblici territoriali di prossimità e la conoscenza effettiva dei risultati gestionali delle ex aziende municipalizzate realizzerebbe in modo compiuto l'einaudiano principio basato sul «conoscere per deliberare» quale strumento di garanzia dei diritti civili e sociali del cittadino attraverso un controllo il più possibile completo dell'operato dei propri amministratori.
      Ecco svelato cosa un semplice inciso in un testo normativo nega ai cittadini, ecco spiegato il perché si sono erette le barricate contro le liberalizzazioni dei servizi pubblici in Italia.
      Ecco, infine, il motivo per il quale, con la presente proposta di legge, ci proponiamo di dotare gli enti locali di un bilancio consolidato.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. Il comma 2 dell'articolo 152 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, è sostituito dal seguente:
      «2. Il regolamento di contabilità assicura la conoscenza consolidata dei risultati globali delle gestioni relative ad enti od organismi costituiti per l'esercizio di funzioni e di servizi».

      2. Il comma 6 dell'articolo 230 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, è sostituito dal seguente:
      «6. Il regolamento di contabilità deve prevedere la compilazione di un conto consolidato patrimoniale per tutte le attività e passività interne ed esterne, nonché la redazione di conti patrimoniali di inizio e di fine mandato degli amministratori».

Art. 2.

      1. Mediante apposito regolamento di contabilità, da adottare entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, le giunte comunali e provinciali stabiliscono le disposizioni per l'attuazione degli articoli 152, comma 2, e 230, comma 6, del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, come sostituiti dall'articolo 1 della presente legge.

 

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Art. 3.

      1. Le disposizioni degli articoli 152, comma 2, e 230, comma 6, del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, come sostituiti dall'articolo 1 della presente legge, si applicano a decorrere dall'esercizio successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della medesima legge.


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