Frontespizio Relazione Progetto di Legge

Nascondi n. pagina

Stampa

PDL 4525

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 4525



 

Pag. 1

PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE

d'iniziativa dei deputati

MARINELLO, GIOACCHINO ALFANO, PAGANO, BERNARDO, BACCINI, BIANCOFIORE, DE ANGELIS, VINCENZO ANTONIO FONTANA, GARAGNANI, GAROFALO, GERMANÀ, LAINATI, MARSILIO, MAZZUCA, NOLA, PALMIERI, MARIO PEPE (MISTO-R-A), PIZZOLANTE, PORCU, ROMELE, LUCIANO ROSSI, SISTO, SOGLIA, TORRISI, TRAVERSA

Modifica dell'articolo 81 della Costituzione, concernente i bilanci dello Stato e degli enti pubblici e l'equilibrio della finanza pubblica

Presentata il 19 luglio 2011


      

torna su
Onorevoli Colleghi! — La questione della costituzionalizzazione del principio del pareggio di bilancio, oltre che fondamento di una sana gestione della finanza pubblica, ha assunto una rilevanza particolare per quel che riguarda il grado di fiducia assegnato a un «sistema Paese» dai mercati finanziari. I principali partner europei si sono attrezzati o si stanno attrezzando in questo senso. Il Ministro dell'economia e delle finanze Tremonti nel corso di quest'anno ha più volte richiamato la questione.
      Riteniamo necessario e urgente, a fronte delle nubi non passeggere che rischiano di addensarsi sulla finanza pubblica nazionale e più in generale sull'euro, proporre la modifica dell'articolo 81 della Costituzione, che riguarda la copertura delle leggi di spesa e l'approvazione delle leggi di bilancio, riprendendo il testo presentato il 17 giugno 1998 dal senatore Vegas, uno dei più importanti studiosi del bilancio pubblico.
      Quella presentata è una «bozza aperta» che potrà aver bisogno di taluni aggiustamenti in relazione alle politiche di rientro dall'abnorme debito pubblico da cui è afflitto il Paese, ma è certamente un buon inizio di dibattito e un auspicio affinché questo si concluda rapidamente.
 

Pag. 2


      Si riporta di seguito, il testo della relazione del citato disegno di legge del senatore Vegas, atto Senato n. 3365 della XIII legislatura.
      «L'articolo 81 della Costituzione o, meglio, la sua applicazione concreta, ha costituito il cuore normativo delle cause istituzionali che hanno condotto il Paese nelle attuali condizioni di finanza pubblica.
      Il sistema attualmente vigente, infatti, ha consentito la crescita del deficit e del debito derivanti dal finanziamento della spesa pubblica in disavanzo. Da ciò è conseguita la crisi economica e parlamentare cui occorre oggi porre un rimedio di carattere in primo luogo istituzionale.
      È opportuno ricordare che Luigi Einaudi, che aveva proposto e fatto approvare alla Costituente l'articolo 81, paventava la naturale tendenza dei politici a dilatare la spesa, scaricando sul disavanzo la differenza tra le risorse distribuite e quelle disponibili, e a confidare nella successiva quadratura inflazionistica per sottrarsi alla responsabilità delle proprie scelte.
      Il rispetto dell'articolo 81 della Costituzione avrebbe quindi dovuto garantire il tendenziale pareggio di bilancio, tramite l'equilibrio tra entrate e spese.
      Questo elementare principio di responsabilità fiscale e politica, che per secoli aveva rappresentato il più chiaro indice di buon governo di una nazione, sarebbe dovuto diventare parte integrante del nostro sistema politico-istituzionale.
      Non è andata così; il principio del pareggio di bilancio, con i suoi corollari di limpidezza e severità nella gestione della cosa pubblica, costituiva il principale ostacolo alla statalizzazione strisciante dell'economia e all'incipiente assistenzialismo: in un quadro costituzionale caratterizzato dalla oggettiva convergenza tra le maggiori forze politiche, ne fu data un'interpretazione sbiadita e per nulla vincolante, determinandone di fatto la tacita abrogazione.
      Questi atteggiamenti irresponsabili contribuirono grandemente a determinare il tracollo di un'intera classe politica e generarono una irrimediabile perdita di credibilità internazionale del nostro Paese, sfociata nella crisi valutaria del 1992.
      La profonda crisi politica ed il dissesto finanziario dei conti pubblici hanno minato la legittimità del nostro appartenere, come fondatori, al consesso europeo, costringendoci a cercare una legittimazione politica internazionale basata proprio sulle politiche di bilancio. Per una sorta di contrappasso, quindi, si è costretti a centrare i duri criteri fiscali di convergenza europei (vincoli sul disavanzo e limiti del debito) che rappresentano nient'altro che il nucleo del precetto costituzionale di responsabilità fiscale ed equilibrio di bilancio, nell'interpretazione einaudiana presto dimenticata.
      Questa sorta di Costituzione economica europea sembra, quindi, riuscire a raggiungere quei risultati che l'articolo 81 della Costituzione non era stato in grado di garantire.
      I princìpi contenuti nell'articolo 81 vanno oggi adeguati alla necessità di correlare le dimensioni dell'apparato pubblico, per rendere il paese in grado di competere rispetto alla concorrenza europea e mondiale, dopo essere stati risolti i problemi formali di rispetto dei criteri di Maastricht.
      Il problema che oggi si pone è, quindi, quello di vincolare con una norma costituzionale il livello generale dell'imposizione o l'entità massima di alcune imposte in particolare, al fine di impedire che si rigeneri un nuovo processo di espansione della spesa pubblica, tramite il troppo facile ricorso alla leva fiscale.
      Le questioni sollevate non sono nuove; tutt'altro, sono coeve dei Parlamenti che nacquero qualche secolo fa per contenere e regolare la potestà impositiva dei sovrani.
      In un sistema politico-istituzionale a carattere maggioritario, con il Governo che, come un sovrano, controlla saldamente la maggioranza parlamentare, il monopolio della capacità impositiva dell'esecutivo dovrebbe essere limitato e questa limitazione potrebbe a buon diritto far parte del sistema di garanzie costituzionali
 

Pag. 3

a tutela della collettività rappresentata dal Parlamento nel suo insieme.
      Si può e si deve discutere dei metodi per attuare a livello costituzionale un vincolo fiscale, stabilendo ad esempio la necessità di maggioranze parlamentari qualificate per decidere un incremento impositivo o definire un rapporto massimo tra gettito fiscale e PIL o ancora vincolare costituzionalmente le aliquote di alcuni tipi di imposte: il principio appare però forte e condivisibile, in grado di mettere al riparo il contribuente da un sistema fiscale che, in certe circostanze, può diventare soffocante e vessatorio.
      Un limite costituzionale alla fiscalità obbliga e consente al Governo di avviare un processo di risanamento più mirato sul versante della spesa, contribuendo a ridurre progressivamente il ruolo e le dimensioni dello Stato nel sistema economico.
      Contemporaneamente, si produrrebbe una tensione verso la semplificazione e l'alleggerimento del sistema fiscale, premessa indispensabile, insieme alla diminuzione dei livelli di spesa, per avviare il processo di sviluppo economico.
      Democrazia significa controllo del potere dei governanti da parte dei governati. In campo fiscale, ciò significa che la tassazione deve riflettere il risultato delle decisioni della maior et sanior pars del Paese. Non deve essere il risultato dell'accordo collusivo tra gruppi di interesse, i quali si trovano d'accordo nel formare una maggioranza parlamentare per levare una nuova imposta (o per far aumentare le vecchie imposte) che sanno bene peserà sugli altri gruppi sociali più di quanto peserà su se stessi.
      Il principio del “primato del diritto” (dello “Stato di diritto” o della Rule of law) è l'eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Oggi questo principio viene completamente svuotato dal fatto che una maggioranza dei parlamentari del 51 per cento può approvare dei provvedimenti fiscali che discriminano tra i cittadini.
      Questo naturalmente non vale soltanto per le leggi fiscali, ma vale in particolare per le leggi fiscali. Inoltre, la possibilità di approvare leggi fiscali discrezionali è condizione necessaria per la discrezionalità di ogni altra politica. Per ottenere che il principio del primato del diritto sia reale bisogna adottare dei meccanismi costituzionali che producano il seguente effetto: tutte le leggi approvate dalla maggioranza devono applicarsi con le stesse modalità e senza discriminazioni tanto alla maggioranza quanto alla minoranza. Ciò assicura che le leggi che verranno prodotte saranno guidate dalla ricerca del “bene comune” e non dagli interessi di parte.
      La regola che impone la maggioranza di due terzi per imporre nuove imposte od aumentare quelle già esistenti avrebbe esattamente come conseguenza quella di impegnare la maggioranza a sopportare le conseguenze delle sue decisioni allo stesso modo in cui le deve sopportare la minoranza. Naturalmente, la regola ideale sarebbe quella dell'unanimità, la quale è impraticabile per gli altissimi “costi di transazione” che impone. Ma la soglia dei due terzi ha già due effetti importantissimi:

          rende molto difficile mettere insieme delle “maggioranze effimere”, cioè quelle maggioranze che si formano sul solo scopo di levare imposte per finanziare benefìci ad hoc per i propri elettori;

          avvicina l'ideale del “primato del diritto”, ovvero l'ideale per cui la politica deve essere la realizzazione dell'interesse generale, non degli interessi di parte. E, come sottolinea anche la dottrina sociale della Chiesa più volte richiamata in questo da Giovanni Paolo II, l'interesse generale non equivale alla somma degli interessi egoistici dei gruppi.

      La norma costituzionale che viene qui proposta non equivale ad una limitazione della politica. Infatti non impedisce al Parlamento di aumentare la tassazione, se esso considera che sia nell'interesse del Paese farlo. Essa permette di riflettere le indicazioni della maior et sanior pars dei cittadini e le necessità che derivano dai tempi.

 

Pag. 4


      La sola cosa che impedisce è che la tassazione cresca in modo automatico per il solo effetto della logica della cattura del consenso elettorale da parte dei singoli deputati e delle maggioranze governative.
      L'introduzione di una norma costituzionale di questo tipo si rende particolarmente necessaria dopo l'introduzione di un sistema elettorale maggioritario. L'intero impianto delle garanzie della nostra Costituzione è stato concepito assumendo il principio proporzionalistico. Questo vale tanto per i quorum richiesti nella legislazione di natura costituzionale, quanto per la composizione degli organi di garanzia (Corte costituzionale, Consiglio superiore della magistratura eccetera): occorre ora adeguare tali norme.
      La materia fiscale è la materia di fondo di ogni democrazia compiuta. Essa non può essere lasciata in balia di decisioni occasionali. Per questo è opportuno definirne le regole in sede costituzionale, procedendo rapidamente con una legge di revisione costituzionale, una volta constatato che il tentativo di revisione costituzionale ad opera di una Commissione bicamerale si è fermato in corso d'opera».
 

Pag. 5


torna su
PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE

Art. 1.

      1. L'articolo 81 della Costituzione è sostituito dal seguente:
      «Art. 81. – Le spese dello Stato e degli altri enti pubblici sono informate al criterio dell'economicità. Esse, in ragione d'anno, non possono comunque essere superiori alle rispettive previsioni di entrata iscritte nel bilancio di previsione.
      Le Camere esaminano ogni anno il bilancio dello Stato, il bilancio consolidato della pubblica amministrazione e i rendiconti consuntivi finanziari e patrimoniali presentati dal Governo.
      L'esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi.
      Il contenuto dei bilanci e dei rendiconti dello Stato e dei soggetti pubblici, nonché i limiti delle leggi ordinarie e di bilancio e dei relativi emendamenti in materia di spesa e di entrata sono disciplinati, secondo criteri di uniformità per i vari settori di spesa, con apposita legge dello Stato. Essa non può essere modificata, abrogata o derogata da leggi che contengono disposizioni in materia di spesa o di entrata. I princìpi contenuti in tale legge si applicano ai Comuni, alle Province e alle Regioni.
      Ogni legge che stabilisce nuovi o maggiori tributi è approvata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera.
      Il Governo, quando ritenga che una legge regionale comporti il peggioramento dell'equilibrio annuale e pluriennale dei conti dello Stato e delle amministrazioni pubbliche definiti dalla legge di bilancio, può promuovere conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte costituzionale entro sessanta

 

Pag. 6

giorni dalla pubblicazione della legge regionale.
      Non possono essere approvati leggi o emendamenti che comportano nuove o maggiori spese quando il Governo si oppone.
      Nel caso in cui dall'attuazione di leggi, regolamenti o decreti, ovvero di sentenze definitive di organi giurisdizionali o della Corte costituzionale derivino spese nel complesso superiori a quelle indicate nella legge di autorizzazione, queste sono proporzionalmente ridotte entro i limiti del preventivo».


Frontespizio Relazione Progetto di Legge
torna su