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PDL 4411

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 4411



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

MARGIOTTA, ESPOSITO, GIANNI, PEDOTO, RUBINATO, ZACCHERA

Disposizioni per la prevenzione e la tutela dei lavoratori contro la violenza e la persecuzione psicologica nell'ambito dell'attività lavorativa

Presentata l'8 giugno 2011


      

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Onorevoli Colleghi! — Negli ultimi anni la giurisdizione del giudice del lavoro, insieme agli studi della sociologia del lavoro e dell'organizzazione, danno sempre più spazio a un fenomeno che, trasversalmente, è presente sia nel settore pubblico che in quello privato. Secondo recenti sondaggi, dall'8 al 9 per cento dei lavoratori dell'Unione europea, dunque dai dodici ai tredici milioni di persone, sarebbero stati vittime di violenze psicologiche sul posto di lavoro.
      Il mobbing non è un fenomeno nuovo; piuttosto sono recenti la sua individuazione e la sua trattazione. Risale al 1984, infatti, la prima pubblicazione nella quale il termine «mobbing» (mutuato dall'etologia e, più esattamente, dagli studi di Konrad Lorenz) veniva usato per indicare una forma di vessazione esercitata nell'ambiente di lavoro al fine di emarginare prima e di estromettere poi da esso la vittima designata.
      L'espressione inglese to mob ovvero «attaccare» o «accerchiare», è stata coniata per indicare un meccanismo di difesa collettivo che si attua nel mondo animale e mediante il quale un branco mantiene la sua omogeneità espellendo «il non simile» attraverso comportamenti di isolamento e lesivi.
      Si deve a Leymann la sua introduzione nel settore lavorativo a partire dagli anni ’80 (Leymann & Gustavsson, 1984; Leymann, 1990, 1993, 1996, 1997).
      Secondo tale autore «il mobbing, o terrore psicologico sul posto di lavoro, consiste in una comunicazione ostile e non etica diretta in modo sistematico da uno o più individui solitamente verso un singolo individuo, il quale, a causa di ciò, si trova in una posizione indifesa e impossibilitato
 

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a ricevere aiuto, essendo costretto in quella posizione da continue azioni mobbizzanti (...). Tali azioni si verificano con un'alta frequenza di base (definizione statistica: almeno una volta a settimana) e perdurano a lungo nel tempo (definizione statistica: almeno sei mesi). L'alta frequenza e la durata dei comportamenti ostili è causa di gravi problemi psicologici, psicosomatici e sociali» (Leymann, 1996, pag. 168).
      Il mobbing è un fenomeno multiforme ma anche delicato ed ambiguo, nello stesso tempo, con pericoli seri che derivano a chi è sottoposto alle forme di mobbing ma anche all'intera struttura organizzativa nella quale si verificano questi episodi. Parimenti occorre richiamare l'attenzione sulla necessità di guardarsi anche dai pericoli derivanti da possibili strumentalizzazioni in nome del mobbing, facendo ricadere ogni situazione di disagio in questa categoria.
      L'attività di prevenzione di tale fenomeno risulta talora difficile per una mancata presa di coscienza delle sue esistenza, diffusione e gravità e per la sua incerta fisionomia (spesso le stesse vittime faticano a riconoscerlo come tale perché «fa parte della routine quotidiana» in certi ambienti di lavoro).
      Inoltre, un altro elemento che emerge dalle ricerche su questo fenomeno nell'ambito dell'Unione europea è che si registra un'ampia variazione nella prevalenza segnalata del mobbing nei vari Stati membri. È possibile che queste differenze non dipendano soltanto da differenze nel verificarsi del fenomeno, bensì anche da differenze culturali nell'attenzione dedicata al mobbing e alla sua conseguente segnalazione.
      A livello internazionale, hanno cominciato a interessarsi al problema le grandi organizzazioni specializzate dell'Organizzazione delle nazioni Unite (ONU) come l'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) e, soprattutto, l'Organizzazione internazionale del lavoro (ILO), che ha promosso azioni contro la violenza sul luogo di lavoro. Quest'ultima, in uno studio (promosso nel corso della «Conferenza internazionale sul trauma sul luogo di lavoro» tenutasi l'8 e 9 novembre 2000 a Johannesburg), intitolato «La violenza sul lavoro: la minaccia globale», da cui è emerso un nuovo approccio alla violenza sul lavoro, attribuisce uguale enfasi sia ai comportamenti lesivi dell'integrità fisica del lavoratore, sia a quelli che mirano a intaccare il suo equilibrio psicologico.
      In ambito europeo, il 16 luglio 2001 la Commissione per l'occupazione e gli affari sociali del Parlamento europeo, ha presentato una relazione sul mobbing sul posto di lavoro (A5-0283/2000: allegato 3) nella quale analizza il fenomeno sotto vari punti di vista: definizione del fenomeno, ricerca delle cause della sua rapida espansione, individuazione degli effetti sulla salute del lavoratore e sull'efficiente ed economica organizzazione delle aziende, ricerca di strumenti efficaci per contrastarlo. Da un punto di vista più strettamente giuridico, la relazione evidenzia la necessità di chiarire se la vigente direttiva quadro per la salute e la sicurezza sul lavoro, la direttiva 89/391/CE del Consiglio, del 12 giugno 1989, possa essere interpretata estensivamente in modo da ricomprendere nel suo ambito applicativo anche i casi di mobbing. La relazione è stata quindi allegata alla risoluzione sul mobbing che nel settembre 2001 il Parlamento europeo ha approvato (2001/2339(INI): allegato 3). Con tale risoluzione si è evidenziata la necessità per gli Stati membri     di approfondire lo studio del fenomeno delle violenze psicologiche in ambito lavorativo, al fine di pervenire a una comune definizione della fattispecie del mobbing e di creare una più solida base statistica sulla sua diffusione. In particolare, il Parlamento europeo ha esortato gli Stati membri, le parti sociali e le istituzioni dell'Unione europea a farsi carico di questa problematica invitando la Commissione a un'analisi dettagliata sulla situazione del mobbing negli ambienti lavorativi con riferimento a ogni Stato membro e a un programma d'azione concernente le misure dell'Unione europea contro il mobbing.
 

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      La risoluzione ha evidenziato, tra l'altro, che dai dati provenienti da uno degli Stati membri risulta che i casi di mobbing sono di gran lunga più frequenti nelle professioni caratterizzate da un elevato livello di tensione, professioni esercitate più comunemente da donne che da uomini e che hanno conosciuto una grande espansione nel corso degli anni ’90, e ha sottolineato che gli studi e l'esperienza empirica convergono nel rilevare un chiaro nesso tra, da una parte, il fenomeno del mobbing nella vita professionale e, dall'altra, lo stress o il lavoro a elevato grado di tensione, l'aumento della competizione, la riduzione della sicurezza dell'impiego nonché l'incertezza dei compiti professionali.
      Sono degni di specifica menzione, in particolare, due richiami dell'atto, uno volto a evidenziare che tra le cause del mobbing vanno ad esempio annoverate le carenze a livello di organizzazione lavorativa, di informazione interna e di direzione, e che problemi organizzativi irrisolti e di lunga durata si traducono in pesanti pressioni sui gruppi di lavoro e possono condurre all'adozione della logica del «capro espiatorio» e al mobbing; l'altro secondo il quale il continuo aumento dei contratti di lavoro a termine e della precarietà del lavoro, in particolare tra le donne, crea condizioni propizie alla pratica di varie forme di molestia.
      La risoluzione ha quindi esortato gli Stati membri a rivedere e, se del caso, a completare la propria legislazione vigente sotto il profilo della lotta contro il mobbing e le molestie sessuali sul posto di lavoro, nonché a verificare e a uniformare la definizione della fattispecie del mobbing; ha inoltre raccomandato agli Stati membri di imporre alle imprese, ai pubblici poteri nonché alle parti sociali l'attuazione di politiche di prevenzione efficaci, l'introduzione di un sistema di scambio di esperienze e l'individuazione di procedure atte a risolvere il problema per le vittime e ad evitare sue recrudescenze; ha raccomandato, in tale contesto, la messa a punto di un'informazione e di una formazione dei lavoratori dipendenti, del personale di inquadramento, delle parti sociali e dei medici del lavoro, sia nel settore privato che nel settore pubblico, ricordando a tale proposito la possibilità di nominare sul luogo di lavoro una persona di fiducia alla quale i lavoratori possono eventualmente rivolgersi. Infine, ha esortato la Commissione ad esaminare la possibilità di chiarificare o di estendere il campo di applicazione della direttiva quadro per la salute e la sicurezza sul lavoro oppure di elaborare una nuova direttiva quadro, come strumento giuridico per combattere il fenomeno delle molestie, nonché come meccanismo di difesa del rispetto della dignità della persona del lavoratore, della sua intimità e del suo onore, sottolineando sia l'importanza dell'adozione di misure preventive, sia l'importanza dell'ampliamento della responsabilità del datore di lavoro in ordine alla messa in atto di misure sistematiche atte a creare un ambiente di lavoro soddisfacente.
      Inoltre, il Parlamento europeo ha già provveduto all'istituzione, nell'ambito della propria organizzazione interna, di un apposito Comitato consultivo sulle molestie morali che, in base all'articolo 3 del suo regolamento, «ha come compito principale la prevenzione da ogni azione verbale, fisica e professionale costituente molestia morale contro il personale, funzionari ed agenti, del Parlamento europeo. Il comitato sulla base delle denunce, delle segnalazioni ricevute o di propria iniziativa, dispone l'audizione dei denuncianti e di ogni altra persona reputata utile ai fini dell'istruzione della pratica».
      Qualche riferimento indiretto al mobbing emerge da alcuni documenti dell'Unione europea relativi ai settori della tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, delle condizioni di lavoro, del rispetto e della dignità dell'individuo, nonché della parità di trattamento.
      In materia era intervenuta anche la Corte di giustizia delle Comunità europee nella sua sentenza del 12 novembre 1996, C-84/94, Regno Unito/Consiglio, nella quale si era occupata indirettamente di mobbing quando, richiesta di chiarire le nozioni di «ambiente di lavoro», «sicurezza»
 

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e «salute», richiamate dall'articolo 118A del Trattato sull'Unione europea, aveva fornito un'interpretazione molto ampia del concetto di ambiente di lavoro e delle sue implicazioni di natura psicologica, avvicinandosi alla concezione scandinava dell'ambiente di lavoro particolarmente attenta all'integrazione psico-sociale del lavoratore nella comunità di lavoro.
      Venendo ora a esaminare la situazione normativa italiana, va evidenziato che a livello nazionale non vi sono allo stato normative specificamente rivolte a disciplinare il fenomeno del mobbing, ma solo – e da diversi anni – alcuni disegni e proposte di legge.
      Va peraltro ricordato che di molestie sul lavoro si parla nella disciplina, di rango legislativo e dell'Unione europea, antidiscriminatoria.
      Infatti, la nozione di discriminazione dell'Unione europea, recepita dal nostro ordinamento nei decreti legislativi nn. 215 e 216 del 2003, include le molestie e l'ordine di discriminazione (a prescindere dalla sua esecuzione) a causa dei motivi tipizzati: le molestie sono da considerare una discriminazione in caso di comportamento indesiderato adottato e avente «lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo».
      Sotto il profilo pratico, l'equiparazione della molestia alla discriminazione consente l'applicazione del regime probatorio agevolato e dell'apparato sanzionatorio particolarmente incisivo previsto dalla disciplina antidiscriminatoria.
      Peraltro, va ricordato che le fonti normative prevedono espressamente i motivi rilevanti per configurare una discriminazione: nella disciplina dell'Unione europea, e poi nei decreti di recepimento, si tratta della razza, dell'origine etnica, della religione, delle convinzioni personali, della disabilità, dell'età, del sesso e delle tendenze sessuali; nella disciplina nazionale oltre ai predetti motivi, rilevano la lingua, il credo politico, il credo religioso, l'appartenenza sindacale, la partecipazione ad attività sindacali e la sieropositività.
      Si tratta dei motivi tipici di discriminazione, ossia dei motivi a base degli atti o dei comportamenti che l'ordinamento qualifica in senso tecnico come discriminatori approntandovi una tutela specifica.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Finalità e ambito di applicazione).

      1. La presente legge stabilisce misure per la tutela e per la prevenzione in materia di violenza o di persecuzione psicologica, definita ai sensi del comma 1 dell'articolo 2.
      2. Le disposizioni della presente legge si applicano a qualsiasi rapporto di lavoro e in tutti i settori di attività, privati e pubblici, indipendentemente dalla mansione svolta o dalla qualifica ricoperta.

Art. 2.
(Definizioni).

      1. Per violenza o per persecuzione psicologica, di seguito denominata «mobbing», si intendono gli atti posti in essere da parte del datore di lavoro, da superiori ovvero da colleghi di pari grado o di grado inferiore, nei confronti del lavoratore, che ledono e che pongono in pericolo la salute fisica e psichica, la dignità e la personalità morale del lavoratore.
      2. Il mobbing si caratterizza per il contenuto ostile, vessatorio indiretto, tradotto in maltrattamenti verbali e non verbali che danneggiano la personalità del lavoratore, e si sostanzia nei seguenti comportamenti:

          a) licenziamento;

          b) dimissioni forzate;

          c) pregiudizio delle prospettive di carriera;

          d) ingiustificata rimozione da incarichi già affidati;

          e) ingiustificate discriminazioni e penalizzazione del trattamento retributivo;

 

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          f) molestie sessuali;

          g) squalificazione dell'immagine personale e professionale;

          h) grave maltrattamento anche di fronte a terzi;

          i) esclusione dalla comunicazione di informazioni rilevanti per lo svolgimento dell'attività lavorativa;

          l) svalutazione dei risultati ottenuti.

      3. Il danno sull'integrità psico-fisica del lavoratore è rilevato ogni volta che comporta una riduzione delle sue capacità lavorative per disturbi psico-fisici di qualunque entità, quali depressione, ipertensione, ulcera, artrite, disturbi allergici e ogni forma di disturbi psico-somatici conseguenti a stress lavorativo.

Art. 3.
(Nullità degli atti discriminatori).

      1. Gli atti derivanti dal mobbing sono nulli.
      2. Il lavoratore è reintegrato nel posto di lavoro se la violenza o la persecuzione psicologica ne ha comportato le dimissioni.

Art. 4.
(Azioni giudiziarie).

      1. Qualora siano denunciati comportamenti di mobbing, su ricorso del lavoratore o, per sua delega, delle organizzazioni sindacali, il tribunale territorialmente competente, in funzione di giudice del lavoro, nei cinque giorni successivi alla data della denuncia, convocate le parti e assunte sommarie informazioni, se ritiene sussistente la violazione oggetto del ricorso, ordina al responsabile del comportamento denunciato, con provvedimento motivato e immediatamente esecutivo, la

 

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cessazione del comportamento illegittimo, ne dispone la rimozione degli effetti, stabilisce le modalità di esecuzione della decisione e determina in via equitativa la riparazione pecuniaria dovuta al lavoratore per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione del provvedimento. Contro la decisione di cui al primo periodo è ammessa, entro quindici giorni dalla data di comunicazione alle parti, opposizione davanti al tribunale, che decide in composizione collegiale, con sentenza immediatamente esecutiva. Si osservano le disposizioni degli articoli 413 e seguenti del codice di procedura civile.
      2. Nel caso in cui il lavoratore agisce giudiziariamente per la tutela dei suoi diritti relativi a comportamenti di mobbing, l'onere della prova è posto a carico del soggetto chiamato in causa.
      3. È posto a carico di colui che è accusato di porre in essere un comportamento di mobbing l'onere di dimostrare l'inesistenza del predetto comportamento o delle vessazioni lamentate, la legittimità dei comportamenti adottati e, nel caso del datore di lavoro, l'adeguatezza delle misure di prevenzione o di repressione impiegate, quando il lavoratore ha presentato indizi sufficienti per lasciare presumere l'esistenza di un comportamento di mobbing ai suoi danni.

Art. 5.
(Pubblicità del provvedimento del giudice).

      1. Su istanza della parte interessata, il giudice può disporre che della sentenza di accoglimento, ovvero di rigetto, di cui all'articolo 4, sia data informazione, a cura del datore di lavoro, mediante lettera ai lavoratori interessati dell'unità produttiva o amministrativa nella quale è stato denunciato il comportamento di mobbing oggetto dell'intervento giudiziario, omettendo il nome della persona che ha subìto tali comportamenti.

 

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Art. 6.
(Responsabilità disciplinare).

      1. Nei confronti di coloro che pongono in essere comportamenti di mobbing, è disposta, da parte del datore di lavoro, pubblico o privato, una sanzione disciplinare stabilita in sede di contrattazione.

Art. 7.
(Informazioni e prevenzione).

      1. I datori di lavoro, pubblici e privati, sono tenuti a pianificare e a organizzare il lavoro in modo da prevenire ogni forma di molestia morale e di violenza psicologica nei luoghi di lavoro e sono obbligati ad adottare tutte le iniziative necessarie, ivi comprese apposite regole di comportamento, intese a prevenire tali forme.
      2. Nell'ambito delle iniziative di formazione previste dalla normativa vigente rientrano anche corsi specifici di gestione delle relazioni interpersonali, della conflittualità o del mobbing affidati a soggetti, anche esterni, accreditati come esperti del settore.
      3. Ogni regione, entro cinque mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, promuove e realizza:

          a) campagne pubblicitarie e informative per favorire la più ampia conoscenza della presente legge, nonché delle azioni e degli interventi attuati in conformità ad essa;

          b) studi e ricerche sul mobbing e sullo stress psico-sociale nei luoghi di lavoro, anche avvalendosi della collaborazione delle aziende sanitarie locali e dell'osservatorio regionale di cui all'articolo 8, sul disagio lavorativo e sullo stress psico-sociale nei luoghi di lavoro;

          c) la realizzazione di strumenti permanenti di documentazione e di informazioni sul mobbing;

          d) l'attivazione, in conformità a quanto disposto dall'ordinamento vigente, di corsi post-laurea nelle discipline specifiche oggetto della presente legge.

 

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Art. 8.
(Istituzione dell'osservatorio regionale per la prevenzione e la diagnosi dei disturbi psico-sociali da disadattamento lavorativo).

      1. Presso ogni regione, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, è istituito l'osservatorio regionale per la prevenzione e la diagnosi dei disturbi psico-sociali da disadattamento lavorativo, di seguito denominato «osservatorio», composto da:

          a) il presidente della giunta regionale, o un assessore delegato, che lo presiede;

          b) un membro designato dal comitato regionale di coordinamento per la sicurezza nei luoghi di lavoro;

          c) il dirigente responsabile della struttura regionale competente in materia di prevenzione, o un suo delegato;

          d) il dirigente responsabile della struttura regionale competente in materia di lavoro, o un suo delegato;

          e) un rappresentante designato congiuntamente dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori;

          f) un rappresentante designato congiuntamente dalle organizzazioni dei datori di lavoro;

          g) un medico del lavoro;

          h) un esperto in materia di relazioni interpersonali e di relazioni d'aiuto;

          i) un avvocato con documentata esperienza nella materia oggetto della presente legge.

      2. L'osservatorio svolge i seguenti compiti:

          a) formula proposte alla giunta regionale in ordine alle azioni e agli interventi di cui alla presente legge;

          b) svolge attività di consulenza nei confronti degli organi regionali e si raccorda con gli enti pubblici, con le associazioni, con gli enti privati e con le

 

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aziende sanitarie locali che adottano progetti o che sviluppano iniziative a sostegno delle finalità della presente legge;

          c) si raccorda con i comitati paritetici sul fenomeno del mobbing o con organismi analoghi eventualmente previsti dai contratti collettivi di lavoro;

          d) realizza il monitoraggio e le analisi del fenomeno del mobbing e dello stress psico-sociale nei luoghi di lavoro, anche avvalendosi degli enti strumentali delle regioni, delle aziende sanitarie locali, dei centri di ascolto e delle associazioni, pubbliche e private, competenti in materia;

          e) promuove studi, ricerche e campagne di sensibilizzazione e di informazione in raccordo con i soggetti destinatari della presente legge;

          f) promuove protocolli d'intesa e collaborazioni con gli organismi di vigilanza, al fine di contrastare il fenomeno del mobbing e lo stress psico-sociale nei luoghi di lavoro, anche nell'ambito dello svolgimento delle loro attività istituzionali;

          g) svolge la propria attività avvalendosi del supporto dell'Osservatorio nazionale Mobbing istituito presso l'università La Sapienza di Roma e degli altri osservatori regionali, nonché degli organi istituiti in materia da altri enti e istituzioni.

      3. Presso ogni osservatorio è istituito uno sportello di assistenza e di ascolto sul mobbing nei luoghi di lavoro al fine di fornire informazioni e indicazioni sui diritti dei lavoratori e sui relativi strumenti di tutela, nonché di indirizzare il lavoratore presso le strutture di supporto presenti nella regione.
      4. Ogni azienda sanitaria locale del comune capoluogo di provincia istituisce, nell'ambito della propria organizzazione, un centro di riferimento per il benessere nei luoghi di lavoro con i seguenti compiti:

          a) accertamento dello stato di disagio psico-sociale o di malattia del lavoratore ed eventuale indicazione del percorso terapeutico di sostegno, cura e riabilitazione;

 

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          b) individuazione delle eventuali misure di tutela da adottare da parte dei datori di lavoro nelle ipotesi di casi di disagio lavorativo.

      5. Nei centri di riferimento cui al comma 4 è istituito un collegio multidisciplinare di specialisti, provenienti anche dal dipartimento di salute mentale dell'azienda sanitaria locale composto almeno da:

          a) un medico specialista in medicina del lavoro, con funzioni di coordinamento;

          b) un esperto in test psico-diagnostici;

          c) un esperto in psicologia del lavoro e delle organizzazioni;

          d) un medico specialista in psichiatria;

          e) uno psicoterapeuta.

Art. 9.
(Entrata in vigore).

      1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.


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