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PDL 4205

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 4205



 

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PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE

d'iniziativa dei deputati

CAMBURSANO, DONADI, BORGHESI, CIMADORO, DI GIUSEPPE, DI STANISLAO, MESSINA, MURA, PALADINI, PALAGIANO, PALOMBA, PIFFARI, CAPODICASA, GRASSI, LO MONTE, OLIVERIO

Modifica all'articolo 81 della Costituzione, in materia di debito pubblico

Presentata il 23 marzo 2011


      

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Onorevoli Colleghi! – Il debito pubblico italiano nei giorni scorsi ha superato i 1.879 miliardi di euro, raggiungendo il 119 per cento rispetto al prodotto interno lordo (PIL) e ciò nonostante i tagli lineari alla spesa pubblica praticati dal Governo, che non hanno prodotto grandi risultati sul piano del contenimento del debito complessivo, sia in termini assoluti che in termini percentuali. Nel 2009, l'Italia ha dedicato 88 miliardi di euro al servizio del debito pubblico. Questa cifra è destinata ad aumentare nei prossimi anni, per raggiungere i 100 miliardi di euro nel 2012. Un punto di rialzo dei tassi di interesse si tradurrà in 18 miliardi di euro di servizio del debito pubblico in più ogni anno. L'Italia è il secondo debitore pubblico europeo, per un totale di 393 miliardi di euro nel 2010. In questo stesso anno, il saldo primario del bilancio italiano è stato negativo, per una percentuale pari allo 0,6 per cento. In un tale contesto, la salita dei tassi di interesse sul debito pubblico porterà l'Italia a indebitarsi non soltanto per rimborsare il debito, ma anche per pagare gli interessi sugli interessi. La trappola in cui si troverà il Paese sarà come la corda al collo dell'impiccato. Lo Stato non avrà più i mezzi per assumersi integralmente le spese del funzionamento dei grandi servizi pubblici né quelle delle pensioni. Il finanziamento degli investimenti necessari per le infrastrutture, per le università, per le reti numeriche e per l'energia alternativa sarà introvabile.
      L'Unione europea, la Banca centrale europea e il Fondo monetario internazionale
 

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esigeranno che l'Italia riduca drasticamente le spese pubbliche e le prestazioni sociali e che svenda i suoi attivi.
      Il rischio è quello che inizi una guerra tra le generazioni. Le istituzioni politiche italiane rischieranno di non reggere e con esse la classe politica.
      È indispensabile cominciare subito e la presente proposta di legge costituzionale di modifica all'articolo 81 della Costituzione va in questa direzione.
      È vero che l'andamento del deficit annuale rispetto al PIL è stato più contenuto rispetto ad altri Paesi della stessa Unione europea, ma questo è dovuto essenzialmente al fatto che il sistema bancario e finanziario italiano non ha dovuto ricorrere a operazioni di iniezione massicce di denaro pubblico a seguito di operazioni di finanza derivata.
      In alcuni Paesi, al di là e al di qua dell'Atlantico, nel 2009 e nel 2010, i governi hanno spostato il debito privato delle banche sui contribuenti presenti e futuri; con una decisione esplicita hanno, cioè, accettato di prestare ai banchieri ciò che serviva loro per rimediare agli errori commessi, senza però metterne in discussione né l'indipendenza né le remunerazioni, mentre i debiti pubblici continuano ad aumentare.
      Nel nostro Paese è in corso, dall'estate 2010, una profonda riflessione sul risanamento del bilancio pubblico, sulla correzione degli squilibri macroeconomici e sulla stabilità del settore finanziario.
      Altri Paesi, invece, e soprattutto quelli appartenenti alla moneta unica, è almeno dall'inizio della crisi finanziaria scoppiata nell'estate del 2008, che si stanno interrogando sulle iniziative legislative, anche di natura costituzionale, da adottare, atte a garantire l'equilibrio annuale del bilancio, vietando il ricorso al debito e consentendo solo percentuali predeterminate rispetto al PIL.
      Una correzione in questa direzione si è avuta in Germania nell'estate del 2009, con l'introduzione nella Legge fondamentale di una clausola (articolo 109, comma II) che, richiamandosi al rispetto della disciplina europea, obbliga il Governo federale e i Länder al bilancio in pareggio. Per il Bund, il pareggio dovrà essere raggiunto nel 2016, mentre per i Länder nel 2020. Inoltre è stato stabilito che il pareggio vada conseguito senza il ricorso al debito (articolo 109, comma III), abbandonando la Golden Rule, in base alla quale i disavanzi sono consentiti, limitatamente alle spese per investimento, e che le entrate derivanti dal debito non potranno superare lo 0,35 per cento del PIL. Superata questa percentuale, viene meno l'equilibrio del bilancio. E si consideri che la Germania non è certamente tra i Paesi della zona euro con un debito pubblico fuori dai parametri dell'Unione europea.
      L'Italia, in questi ultimi tempi, sia in sede europea che di G20, ha giustamente fatto rilevare che la necessità di ridurre il debito pubblico di un Paese va valutata tenendo conto anche delle condizioni di equilibrio finanziario del suo settore privato, cioè del risparmio, della ricchezza e del debito delle famiglie e delle imprese, nonché della liquidità e della solvibilità dei suoi intermediari finanziari. È questa un'idea che ha validità generale, ma è specialmente importante per l'Italia che, nonostante l'ingente debito pubblico, ha un grado di stabilità finanziaria che beneficia dell'ampio risparmio e del contenuto indebitamento privati, nonché di una solidità dei suoi intermediari favorita anche da una buona vigilanza. In effetti, nei conti finanziari aggregati, il disavanzo pubblico eguaglia la differenza fra il saldo finanziario del settore privato (cioè il risparmio al netto dell'investimento) e l'avanzo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti (cioè l'aumento del credito netto nei confronti dell'estero).
      Il debito pubblico, che risulta dall'accumulo dei disavanzi, è dunque pari alla differenza fra le posizioni creditorie nette del settore privato e dell'intero Paese nei confronti dell'estero. Ciò significa che a un più elevato credito netto del settore privato può corrispondere un maggiore debito pubblico senza compromettere la posizione finanziaria internazionale del Paese. La salute finanziaria del settore privato aiuta il debito pubblico a non
 

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minacciare la stabilità finanziaria, né tracimando in debiti netti con l'estero, che possono insidiare la solvibilità del Paese, né scontrandosi con insormontabili difficoltà di collocamento dei titoli pubblici nei portafogli privati nazionali. È indubbio che, in alcuni casi, il debito pubblico è solo il colpevole apparente (e, per così dire, ex post) dello stato di difficoltà finanziaria di un Paese: ciò – come abbiamo ricordato trattando in premessa dell'impennata del disavanzo in alcuni Paesi, come l'Irlanda – succede quando il debito pubblico nasce da operazioni di «salvataggio» di intermediari finanziari o di altri operatori privati che, ex ante, hanno sviluppato debiti netti insostenibili, sia nei confronti di altri operatori nazionali sia nei confronti dell'estero. Quando, invece, un Paese ha una finanza privata solida ed equilibrata, è meno probabile che il suo debito esploda improvvisamente per soccorrere operatori privati. Un grande debito pubblico finisce per far pagare tassi più elevati anche ai debitori privati che, all'estero, trovano meno merito di credito per lo stato delle finanze governative. La «correzione degli squilibri macroeconomici» è un'azione che va oltre, ed è in parte distinta da quella di «attuare un risanamento di bilancio rigoroso». L'aggiustamento delle finanze pubbliche ha una sua individualità, ma rientra anche nella più generale «correzione degli squilibri» che guarda senz'altro anche al settore privato e alla bilancia dei pagamenti.
      La necessità di considerare congiuntamente il debito pubblico e il debito privato non deve però portare a trascurare le differenze nonché la specificità dei problemi che pongono il debito pubblico e la sua dinamica. Il debito privato verso privati si forma in base a calcoli di convenienza privati e in forme contrattuali che prevedono e regolano la possibilità di insolvenza come un fatto «normale». Il debito pubblico ha origine da decisioni politiche che di solito non fanno riferimento alla convenienza di specifici progetti di spesa nel trasferire «alle generazioni future» parte dell'onere complessivo delle spese pubbliche. L'economia politica ha studiato a fondo gli incentivi del debitore pubblico e gli attribuisce una tendenza alle irresponsabilità intertemporali, la più nota delle quali è connessa al funzionamento dei sistemi elettorali, che spesso premiano chi spende in disavanzo senza tenere conto degli oneri rinviati a futuro. A far valere l'attenuante del poco debito privato, di fronte a un grande debito pubblico, sono soprattutto i mercati: in qualche misura l'attenuante può anche influenzare gli accordi politici per il rientro del debito pubblico.
      Ma ci sono molte altre ragioni per disciplinare deficit e debiti pubblici: una di queste – presente fin dall'inizio nelle motivazioni che ispirano il Patto di stabilità e crescita europeo – riguarda il fatto che un Paese con debito pubblico elevato ha meno spazio per attuare politiche di bilancio espansive quando il ciclo economico depresso le richiede. Un'altra ragione è la pressione che i debiti pubblici esercitano sulle banche centrali. È noto come le recenti vicende di alcuni Paesi dell'area euro abbiano diffuso nei mercati, a ragione o a torto, il sospetto che la Banca centrale europea non abbia più il pieno e autonomo controllo della creazione di liquidità perché soggetta al «ricatto» dei debiti pubblici eccessivi.
      Tanto più alto è il debito pubblico rispetto al PIL, tanto maggiore è il rischio che il deficit esploda improvvisamente, in misura non finanziabile sul mercato interno, in seguito, fra l'altro, ad aumenti dei tassi di interesse e, per loro tramite, dell'onere del debito pubblico.
      Il debito pubblico è un debito delle generazioni attuali verso le successive, che finiscono sempre per pagare in un modo o nell'altro.
      Se non verrà fatto nulla in tempi rapidi, il debito pubblico di alcuni Paesi del mondo occidentale, e il nostro è sicuramente tra questi, continuerà a crescere in maniera massiccia, sotto l'effetto combinato del calo delle entrate fiscali, del piano di rilancio e dell'incapacità di questi Paesi di ritrovare una forte crescita.
      In Italia, e non solo, il debito passerà dall'attuale 119 per cento sul PIL, al 128,5
 

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per cento nel 2014 e, secondo le stime della Banca dei regolamenti internazionali, il debito pubblico supererà il 150 per cento nel 2020. Di qui le prime iniziative della Commissione europea, del Consiglio e del Parlamento europeo. Le proposte in discussione si articolano in misure preventive e correttive. Una volta riportato l'attuale deficit eccessivo sotto il 3 per cento del PIL, il deficit – o, meglio, l’«indebitamento netto» o, meglio ancora, il cosiddetto «saldo strutturale» – ricadrebbe sotto la disciplina preventiva che, oltre a fissare un limite alla spesa, nella misura del tasso di crescita di medio periodo dell'economia, richiederebbe un saldo strutturale in diminuzione, ogni anno, di almeno lo 0,5 per cento del PIL fino al raggiungimento del pareggio di bilancio. Il profilo preventivo del nuovo Patto di stabilità e crescita europeo sarebbe centrato sullo stock di debito pubblico rapportato al PIL che, nel caso dell'Italia, è – come abbiamo già ricordato in premessa – circa il doppio del 60 per cento prescritto dai Trattati europei. Sarebbe introdotta una velocità minima che il Paese dovrebbe seguire nel diminuire tale rapporto, fino a raggiungere il 60 per cento. Si tratterebbe di una velocità precisata numericamente, anziché definita, con vaghezza, «sufficiente» come nella regola di Maastricht. Sia la disciplina preventiva del deficit che quella correttiva del debito pubblico implicherebbero sanzioni da applicare con meno indugi e con meno possibilità di condoni che nella versione originaria del Patto.
      L'azione preventiva sul deficit agisce anche in modo correttivo sul debito pubblico. Dovendole rispettare entrambe, quella che conta è quella che ha implicazioni più severe. Se il tasso di crescita del PIL non è troppo basso, l'azzeramento del deficit configura una disciplina abbastanza severa da assicurare una rapida discesa del rapporto fra debito e PIL. Per l'Italia potrebbe risultare meno difficile rispettare le richieste di discesa del debito pubblico che l'azzeramento del deficit. All'Italia conviene che il governo accetti la disciplina diretta sul debito pubblico e ne tratti la confermazione in modo meno timoroso e più propositivo.
      Per realizzare velocemente il rientro del rapporto fra debito pubblico e PIL occorre sviluppare un avanzo primario considerevole e non facile da raggiungere. L'avanzo primario di bilancio necessario è tanto maggiore quanto minore è il tasso di crescita del PIL e quanto maggiore è l'onere di interessi medio sul debito pubblico.
      Poiché è probabile che il tasso di crescita rimanga contenuto ancora per diverso tempo, conviene accelerare il rientro in una fase in cui la politica monetaria contribuisce ancora a tenere bassi i tassi di interesse. Ridurre subito il debito pubblico in misura rilevante diminuisce anche la probabilità che il processo di aggiustamento sia traumatizzato da un notevole rialzo del tasso base di interesse quando ancora il debito pubblico è alto. Non è opportuno appellarsi con troppa insistenza alla contenutezza del debito privato per rallentare la riduzione richiesta del debito pubblico, fino al punto di rendere la regola di rientro, impresa discrezionale. Come prima rilevato, convengono regole più automatiche.
      La proposta attuale definisce sufficiente una riduzione che, nei tre anni precedenti, sia risultata, in media annua, di almeno un ventesimo della distanza fra il livello di partenza del rapporto e il 60 per cento. Per l'Italia ciò significherebbe, inizialmente, una riduzione del rapporto percentuale di circa tre punti all'anno. D'altra parte la proposta è coerente con il criterio – per noi, come sopra detto, conveniente – di un rientro più accelerato nella fase iniziale. Infatti la riduzione corrispondente a un ventesimo della distanza dal 60 per cento si contrae con il diminuire di tale distanza. All'Italia converrebbe addirittura impegnarsi a un rientro ancora più concentrato nelle fasi iniziali e con una velocità minima più rapidamente decrescente.
      Rientrando velocemente sotto il 100 per cento si potrebbe chiedere di scendere poi ancora più piano di quanto ci consentirebbe la formula proposta dalla Commissione.
 

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Va detto che una regola che concentri l'aggiustamento all'inizio sarebbe in contrasto con gli incentivi politici di un governo che ha un orizzonte temporale di breve termine. Ma il dividendo politico di un aggiustamento di successo non tarderebbe moltissimo e, inoltre, impegnarsi con accordi internazionali serve proprio a correggere le distorsioni elettoralistiche degli incentivi dei decisori politici. È evidente l'importanza della qualità dell'aggiustamento dei disavanzi e dei debiti pubblici. La migliore qualità ha soprattutto tre aspetti: aggiustamenti basati più sulla riduzione delle spese pubbliche che sugli aumenti delle entrate; aggiustamenti strutturali, anziché una tantum, realizzati con riforme che riflettono i progetti concordati in sede di Unione europea; aggiustamenti che prevedono riduzioni di spese pubbliche correnti piuttosto che di investimento. Il semestre europeo, appena iniziato, è utile per concordare non solo la quantità ma la qualità degli aggiustamenti. È ovvio che una buona qualità dei provvedimenti di rientro del debito pubblico, unita all'effettiva messa in atto del programma di riforme richiesto dalla Commissione, formulato in modo ambizioso e incisivo, migliora le prospettive della crescita del PIL, facilitando così la riduzione del rapporto fra debito pubblico e PIL. È però sconsigliabile contare, nel breve periodo, su un forte contributo della dinamica del denominatore alla riduzione del rapporto. Per contrarre il debito pubblico nella misura in cui deve farlo l'Italia, è impensabile avviare una radicale riforma della finanza pubblica, con tagli della spesa estremamente selettivi, con riorganizzazioni profonde di quasi tutte le amministrazioni pubbliche e con un nuovo dimensionamento di ogni voce del bilancio.
 

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PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE

Art. 1.

      1. All'articolo 81 della Costituzione sono aggiunti, in fine, i seguenti commi:

          «L'equilibrio annuale di bilancio deve essere raggiunto senza ricorso al debito pubblico.
      Le entrate derivanti dal debito pubblico devono essere destinate esclusivamente a spese di investimento.
      La legge ordinaria definisce le procedure per l'attuazione delle disposizioni dei commi quinto e sesto e individua gli investimenti da effettuare nel corso di ogni singolo esercizio finanziario».


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