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PDL 3597

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 3597



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

BELCASTRO, GAGLIONE, IANNACCONE, MILO, SARDELLI

Modifica all'articolo 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575, concernente l'estensione dell'applicabilità delle misure di prevenzione patrimoniali ai soggetti indiziati di taluni delitti contro la pubblica amministrazione

Presentata il 1o luglio 2010


      

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Onorevoli Colleghi! — Il sistema della corruzione ha dimostrato la propria capacità di radicamento nella società civile, innervandosi in profondità nel mondo delle professioni, dell'imprenditoria e della finanza.
      A forme di criminalità che si caratterizzano per una diffusione sistemica, per le tante e oscure connessioni con il potere politico ed economico, nonché per l'elevata pericolosità nei confronti della collettività e, a un livello ancora più ampio, rispetto alla tenuta delle regole democratiche, si oppone, però, un diritto penale che versa da anni in uno stato di crisi di legittimazione senza precedenti, che presenta profili di effettività fortemente differenziati in ragione delle fenomenologie criminose da combattere.
      Un individuo partecipa, infatti, allo scambio corrotto quando i costi legati alla severità delle sanzioni previste non superano i benefìci attesi, confrontati con quelli delle alternative disponibili.
      Mentre nell'ambito della lotta contro il crimine organizzato è ormai acquisita la consapevolezza dell'importanza del ruolo delle sanzioni patrimoniali, anche di natura
 

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preventiva, come strumento volto a impedire l'infiltrazione nell'economia e, conseguentemente, nella politica delle organizzazioni criminali, nel contesto dei delitti contro la pubblica amministrazione, queste stesse esigenze non sono ugualmente avvertite.
      L'articolo 1, comma 220, della legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria 2007), novellando l'articolo 12-sexies del decreto-legge n. 306 del 1992, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 356 del 1992, ha esteso l'applicazione della cosiddetta «confisca allargata» anche ai delitti contro la pubblica amministrazione (articoli 314, 316, 316-bis, 316-ter, 317, 318, 319, 319-ter, 320, 322, 322-bis e 325 del codice penale), prevedendo la possibilità di procedere alla confisca di denaro o di beni dei quali la persona condannata non sia in grado di giustificare il possesso e che siano superiori al suo reddito o alla sua attività. Tale previsione si riferisce unicamente all'applicazione delle misure patrimoniali esecutive, restando pertanto esclusa nei confronti dei delitti di cui al capo I del titolo II del libro secondo del codice penale l'applicazione della confisca di prevenzione, disciplinata dalla legge n. 575 del 1965.
      La necessità di estendere la menzionata legge alle fattispecie delittuose di cui ai citati articoli 314 e seguenti del codice penale, ma soprattutto al reato di corruzione che qui ci occupa, nasce dalla convinzione che tale ultimo fenomeno, specie se posto in essere da un soggetto che ricopre una determinata carica pubblica in ragione di un mandato elettorale, quando si diffonde nelle società democratiche e surroga l'interesse privato a quello pubblico, mina alle radici i princìpi e i valori dello Stato di diritto, mettendo in crisi l'intero sistema della democrazia.
      La corruzione politica ha, infatti, come conseguenza la modificazione dei rapporti di potere e, a livello economico, trucca il mercato, rendendo impossibile il rispetto legale del libero scambio.
      Le risorse sono distratte dalle pubbliche finalità e destinate al soddisfacimento dell'ingordigia privata con effetti distorsivi sul buon funzionamento di un'economia concorrenziale e, in particolare, con effetti deleteri sull'economia italiana.
      Occorre precisare che l'applicazione delle misure patrimoniali di natura preventiva, disciplinate come innanzi rilevato dalla legge. n. 575 del 1965 è subordinata alla sussistenza in capo all'indagato della pericolosità sociale. La pericolosità del funzionario pubblico corrotto, ma soprattutto di chi ricopre una carica elettiva, discende dalla circostanza che questi soggetti, avvalendosi della speciale posizione che occupano e venendo meno peraltro ai doveri inerenti al proprio mandato, determinano la formazione illecita di beni che se sono utilizzati nel sistema relazionale politico ed elettorale alterano la corretta ricerca del consenso basata sulla proposta politica e programmatica e contribuiscono alla disgregazione del patto democratico.
      Pur condividendo la sussistenza di alcuni vantaggi nel ritardare il momento della confisca alla fase esecutiva, tale scelta si scontra con l'esigenza di immediatezza dell'intervento sui patrimoni illeciti, in assenza della quale vi è il concreto rischio, se non la certezza, di rendere totalmente inefficace ogni provvedimento ablativo. Non può essere, infatti, sottovalutata la naturale tendenza dell'indagato a tutelare il proprio patrimonio attraverso simulati trasferimenti o altre operazioni di occultamento della ricchezza illecitamente accumulata.
      La natura polifunzionale delle misure patrimoniali preventive, in special modo della confisca, invece, impedirebbe da un lato, che disponibilità economiche acquisite illecitamente vengano destinate ad alimentare ulteriori attività criminose e, dall'altro, garantirebbe la tutela dei princìpi che devono presiedere al funzionamento del sistema economico.
      Compatibile con tali argomentazioni è la recente evoluzione normativa (articolo 10 del decreto-legge n. 92 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 125 del 2008, che ha novellato la legge n. 575 del 1965) che ha condotto all'erosione del principio cui era ispirato il sistema prevenzionale, per il quale le misure
 

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di prevenzione patrimoniale presupponevano l'applicazione di una misura personale fondata sulla pericolosità sociale dell'indiziato.
      Oggi, invece, il ricorso sempre più incisivo agli strumenti di ablazione patrimoniale li ha resi assimilabili all’actio in rem, ispirata a un concetto di pericolosità in sé del bene, in quanto proveniente dal delitto, piuttosto che di pericolosità della persona, potendosi anche prescindere – alla stregua delle evoluzioni giurisprudenziali poi consacrate in norma di legge – dall'esistenza in vita del soggetto attinto dalla misura prima della conclusione del procedimento prevenzionale, che potrà spiegare i suoi effetti anche in danno degli eredi.
      Per effetto della riforma, il procedimento di prevenzione non è rimasto confinato entro i limiti di una funzione surrogatoria o alternativa rispetto all'intervento penale ed è venuto sempre più a configurarsi come un «processo al patrimonio», condotto parallelamente al processo penale attraverso metodi probatori e criteri di giudizio più «elastici» rispetto alla rigida disciplina valevole per il dibattimento, ma comunque conformi alle esigenze di tutela dei diritti fondamentali.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. Al comma 1 dell'articolo 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «e, limitatamente alle norme concernenti le misure di prevenzione patrimoniali, ai soggetti indiziati dei reati di cui agli articoli 314, 316, 316-bis, 316-ter, 317, 318, 319, 319-ter, 320, 322, 322-bis e 325 del codice penale».


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