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PDL 3115

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 3115



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

SCILIPOTI, AMICI, BARBA, BORGHESI, BUCCHINO, CIMADORO, CIRIELLI, DI GIUSEPPE, RENATO FARINA, FAVIA, FERRANTI, FERRARI, FIANO, GIULIETTI, GRAZIANO, JANNONE, LAGANÀ FORTUGNO, PALADINI, PALOMBA, RAZZI, TOUADI, VACCARO, VERNETTI, ZAMPARUTTI

Disposizioni per il recepimento della direttiva 2009/148/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 novembre 2009, sulla protezione dei lavoratori contro i rischi connessi con un'esposizione all'amianto durante il lavoro, nonché modifiche all'articolo 47 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, in materia di benefìci previdenziali per i lavoratori esposti all'amianto, e all'articolo 61 del codice penale, per l'introduzione di una circostanza aggravante relativa alla violazione di norme in materia di protezione contro i rischi dell'amianto

Presentata il 13 gennaio 2010


      

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Onorevoli Colleghi! — La presente proposta di legge ha ad oggetto la tutela dell'integrità psico-fisica del cittadino e dei lavoratori, anche dal rischio amianto, nel territorio e nei luoghi di lavoro dove si svolge la loro attività, una tutela che rappresenta un obiettivo primario degli ordinamenti giuridici moderni.
      Così devono leggersi le disposizioni degli articoli 2 e 4 della Costituzione e soprattutto quelle di cui all'articolo 32, per il quale la salute è fondamentale e irrinunciabile
 

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diritto del singolo e interesse della collettività.
      Anche le esigenze del profitto e del progresso economico devono essere finalizzate all'utilità sociale e rispettare la sicurezza, la libertà e la dignità umana (articolo 41, secondo comma, della Costituzione).
      Questo quadro normativo è stato integrato, nel corso degli anni, da un sistema punitivo, prevalentemente di tipo contravvenzionale, articolato capillarmente in varie normative speciali, tra le quali si citano le più recenti: il decreto legislativo n. 231 del 2001 (articolo 25-septies) e il decreto legislativo n. 81 del 2008 (articoli 61, 262, 263, 264 e 265), tutte ispirate al criterio di concorso formale o materiale di reati con le fattispecie delittuose contemplate nel codice penale, tra le quali quelle del microsistema di cui gli articoli 434, 437 e 451 (alle quali si aggiungono altre fattispecie quali quelle di cui agli articoli 589 e 590 per i casi nei quali la condotta degli imputati ha determinato la concreta lesione all'integrità psico-fisica delle vittime).
      La norma di cui all'articolo 9 della legge n. 300 del 1970 (per altro mai completamente ed effettivamente applicata) ha recepito l'esperienza dei gruppi di lavoratori che nel corso degli anni novanta avevano svolto attività nelle singole realtà industriali per la tutela della salubrità e della sicurezza dei luoghi di lavoro.
      Per impulso della legislazione comunitaria (direttiva 89/391/CEE del Consiglio, del 12 giugno 1989), queste esigenze furono recepite con il decreto legislativo n. 626 del 1994, che tuttavia non costituiva una trasposizione fedele ed era del tutto insufficiente, tanto che la Corte di giustizia delle Comunità europee, nella causa del 15 novembre 2001, C-49/00, Commissione contro Repubblica italiana (condanna della Corte di giustizia delle Comunità europee per non corretta trasposizione degli articoli 6 e 7 della direttiva 89/391/CEE, per difetto dell'articolo 4 del decreto legislativo n. 626 del 1994, in tema di valutazione dei rischi e di aggiornamento in funzione del progressivo sviluppo delle condizioni e delle ricerche scientifiche), condannava la Repubblica italiana, e dopo un lungo travaglio veniva finalmente alla luce il decreto legislativo n. 81 del 2008, che costituisce una risistemazione normativa dell'intera materia, cui si è messo mano nuovamente con l'ultimo intervento, cosiddetto «correttivo», con il decreto legislativo n. 106 del 2009 (oggetto di denuncia alla Commissione europea da parte di alcune associazioni di lavoratori e vittime dell'amianto).
      Tuttavia, i recenti dati statistici, relativi agli infortuni mortali che si sono verificati negli ultimi anni nei luoghi di lavoro, e il continuo aumento delle malattie professionali (è sufficiente pensare che ogni anno, solo per patologie asbesto-correlate, di natura professionale, perdono la vita oltre 4.000 persone) dimostrano, in modo incontrovertibile, l'inefficacia degli strumenti legislativi prevenzionistici, peraltro mai effettivamente applicati, ed il picco è atteso per il 2020.
      In tale apparato normativo è da segnalare l'inasprimento delle pene previste dal decreto legislativo n. 81 del 2008 (articoli 262, 263, 264 e 265), che però, nel corso del 2009, sono state alleggerite.
      Il legislatore, infatti, sotto la spinta delle associazioni di categoria degli industriali, è nuovamente intervenuto con il decreto legislativo n. 106 del 2009, che statuisce una drastica riduzione delle pene e di cui si evidenzia una dubbia legittimità, le quali per effetto delle disposizioni comunitarie (articolo 5, paragrafo 3, direttiva 89/391/CEE – non può essere intaccato il principio della responsabilità del datore di lavoro (peraltro confermato in sede di Corte di giustizia delle Comunità europee, 14 giugno 2007, Commissione contro Regno Unito) –, e tra le altre l'articolo 20 della direttiva 2009/148/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 novembre 2009, sulla protezione dei lavoratori contro i rischi connessi ad un'esposizione all'amianto durante il lavoro che recita testualmente: «Gli Stati membri prevedono l'applicazione di sanzioni adeguate
 

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in caso di violazione della normativa nazionale adottata ai termini della presente direttiva. Le sanzioni devono essere effettive, proporzionate e dissuasive») devono essere effettive, proporzionali e dissuasive e non sembra che la legislazione interna sia coerente con quella comunitaria e con la sua primauté.
      Non solo, ma la Repubblica italiana è stata già condannata varie volte per inadempimento alle direttive comunitarie in tema di protezione dei lavoratori, contro i rischi connessi con l'esposizione all'amianto durante il lavoro (sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 13 dicembre 1990, nella causa C. 240/89 per tardivo recepimento della direttiva 477/83/CE cui si è provveduto soltanto con il decreto legislativo n. 277 del 1991).
      Le patologie asbesto correlate sono in continuo aumento e l'emergenza amianto non è soltanto giudiziaria o previdenziale, ma soprattutto sociale e ambientale.
      Molti dei reati contravvenzionali posti in essere dai datori di lavoro possono essere estinti con l'oblazione o con l'esecuzione delle misure prescritte dall'autorità di controllo (che ai sensi dell'articolo 24 del decreto legislativo n. 758 del 1994 determina l'estinzione del reato). L'articolo 24 recita:
      «1. La contravvenzione si estingue se il contravventore adempie alla prescrizione impartita dall'organo di vigilanza nel termine ivi fissato e provvede al pagamento previsto dall'articolo 21, comma 2.
      2. Il pubblico ministero richiede l'archiviazione se la contravvenzione è estinta ai sensi del comma 1.
      3. L'adeguamento in un tempo superiore a quello indicato nella prescrizione, ma che comunque risulta congruo a norma dell'articolo 20, comma 1, ovvero l'eliminazione delle conseguenze dannose e pericolose della contravvenzione con modalità diverse da quelle indicate dall'organo di vigilanza, sono valutate ai fini dell'applicazione dell'articolo 162-bis e del codice penale. In tal caso, la somma da versare è ridotta al quarto del massimo dell'ammenda stabilita per la contravvenzione commessa».

      Per le residuali ipotesi delittuose, il più delle volte si arriva alla prescrizione, i cui tempi sono stati accorciati con la legge 5 dicembre 2005, n. 251 (cosiddetta «ex Cirielli»), alla quale si è aggiunto l'indulto per effetto della legge 31 luglio 2006, n. 241, quale causa di estinzione della pena (fino a tre anni di reclusione e parzialmente per tre anni nel caso di pene maggiori).
      Gli stessi imputati possono accedere a riti alternativi, quali l'applicazione della pena, che non consente al giudice di decidere sulla domanda risarcitoria presentata dalla parte civile (articolo 444, comma 2, del codice di procedura penale), o il rito abbreviato, e in entrambe le ipotesi è previsto uno sconto di un terzo della pena.
      Anche in caso di condanna è praticamente impossibile finire in carcere, in quanto alle pene edittali abbastanza modeste si aggiunge la possibilità, per gli incensurati, di ottenerne la sospensione condizionale, ed anche nel caso in cui la pena detentiva fosse maggiore è sempre possibile essere ammessi a godere di misure alternative.
      Questo quadro rende evidente l'effetto dell'assenza della funzione dissuasiva e retributiva della sanzione penale, in palese contrasto con la norma del citato articolo 20 della direttiva 2009/148/CE.
      Nel tentativo di arginare il triste fenomeno delle cosiddette «morti bianche» il legislatore è intervenuto con il citato decreto legislativo n. 231 del 2001, il quale prevede, all'articolo 25-septies, comma 1, che «In relazione al delitto di cui all'articolo 589 del codice penale, commesso con violazione dell'articolo 55, comma 2, del decreto legislativo attuativo della delega di cui alla legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di salute e sicurezza sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in misura pari a 1.000 quote. Nel caso di condanna per il delitto di cui al precedente periodo si applicano le sanzioni interdittive di cui all'articolo 9, comma 2,

 

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per una durata non inferiore a tre mesi e non superiore ad un anno», che sancisce la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, ma che non ha avuto un reale effetto dissuasivo.
      Tutto ciò si palesa in contrasto con i valori costituzionali (si vedano, tra gli altri, quelli degli articoli 2, 3 e 4 e quello dell'articolo 32 della Costituzione, che consacra la salute come interesse della collettività), e ora anche con il citato articolo 20 della direttiva 2009/148/CE.
      Lo stesso sistema prevenzionistico, come evidenziato, fondato sulla concezione della valutazione del rischio ai fini della sua limitazione e non sul suo totale annullamento, così come, invece, impone il dettato costituzionale, si pone in palese contrasto proprio con la norma dell'articolo 32 della Costituzione e si dimostra fallimentare.
      Per questi motivi, con la presente proposta di legge s'intende rendere effettivo anche nei luoghi di lavoro il diritto alla salute, come diritto del singolo e interesse della collettività, attraverso l'annullamento del rischio, con la totale rimozione dell'amianto, che è tra i più nefasti cancerogeni dannosi per la salute umana, con totale bonifica e rimozione di esso dai luoghi di lavoro.
      Solo così le disposizioni del legislatore costituente potranno dirsi effettivamente efficaci ed effettive e lo Stato potrà adempiere al dovere fondamentale di tutela della salute, anche del cittadino lavoratore, e preservare il bene comune, inteso tale anche il territorio, per le future generazioni.
      Le disposizioni della proposta di legge mirano anche a rendere le sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive, nonché a rendere giustizia alle vittime, ai loro familiari e ai lavoratori esposti che, qualora dovessero vedere concretizzato il rischio, potrebbero perdere la vita in pochi mesi (le patologie neoplastiche, quali mesotelioma, carcinoma eccetera hanno una media di sopravvivenza della persona colpita di 8-10 mesi e sono rarissimi i casi di sopravvivenza oltre i cinque anni).
      Poiché non esiste una soglia sotto la quale c’è assenza di rischio (direttiva 2009/148/CE, premessa n. 11 «Anche se non è stato ancora possibile determinare il livello di esposizione al di sotto del quale l'amianto non comporta rischi di cancro, è opportuno ridurre al minimo l'esposizione professionale dei lavoratori all'amianto») si ritiene che, ai sensi dell'articolo 32 della Costituzione, l'amianto debba essere definitivamente bandito dai luoghi di lavoro. L'esposizione all'amianto, diretta, indiretta e ambientale nei luoghi di lavoro, nei siti industriali e nel territorio è un fattore di rischio, incompatibile con le già richiamate disposizioni normative e regolamentari: è scientificamente provato, con dati statistici, che i lavoratori esposti hanno un'aspettativa di vita, mediamente, inferiore di sette anni rispetto a chi non è stato esposto e che le successive inalazioni, anche a basse dosi, si cumulano e aumentano il rischio: solo con la totale bonifica è possibile limitare il rischio (sentenza della Corte di cassazione, IV sezione penale, n. 42128 del 2008, il cui principio di diritto afferma il ruolo concausale anche minimo in caso di patologie tumorali, rispetto alle quali aumenta il rischio, diminuiscono i tempi di latenza e si accelera la progressione della patologia neoplastica).
      Questa proposta di legge è finalizzata a codificare il concetto giuridico di rischio zero sui luoghi di lavoro, riferito all'amianto, per adeguare la legislazione specifica ai princìpi costituzionali e per rendere la società conforme ai princìpi di diritto naturale e dell'etica, che costituiscono l'architrave legittimante della stessa aggregazione statale.
      Lo Stato è stato lungamente inadempiente, nei confronti dei lavoratori esposti all'amianto, poiché non ha reso effettivi i precetti costituzionali, e per aver recepito tardivamente la direttiva 477/83/CEE, tanto da essere condannato dalla Corte di giustizia delle Comunità europee.
      Con la legge n. 257 del 1992 è stato riconosciuto ai lavoratori esposti il risarcimento contributivo (Cassazione, sentenza n. 4913 del 2001; Corte costituzionale,
 

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sentenze, n. 5 del 2000 e n. 127 del 2002), che da diritto ad anticipare il pensionamento o a rivalutare la prestazione.
      La proposta di legge, nel recepire la direttiva 2009/148/CE, intende prorogare i termini per coloro che, alla data del 2 ottobre 2003, non avevano ancora acquisito il diritto ai benefìci di cui all'articolo 13, comma 8, della legge n. 257 del 1992 (dunque al di fuori della deroga di cui all'articolo 47, comma 6-bis, del decreto-legge n. 269 del 2003, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 326 del 2003, e all'articolo 3, comma 132, della legge n. 350 del 2003, rispetto ai quali non c’è decadenza dopo il 15 giugno 2005) ad un anno, a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge.
      Ai fini del recepimento della normativa dell'articolo 20 della direttiva 2009/148/CE, e per rendere effettive, proporzionate e dissuasive le pene, si propone un'aggravante comune del reato, in aggiunta alle tredici ipotesi già contemplate dall'articolo 61 del codice penale, anche come bilanciamento alla possibilità di accedere a riti alternativi e premiali, con relative diminuzioni di pena e misure alternative della sua esecuzione.
      La presente proposta di legge non comporta se non minimamente nuovi oneri a carico dello Stato, in quanto deroga unicamente alla decadenza del 15 giugno 2005, per un anno, e soltanto per quella platea che non è ricompresa nella clausola di salvaguardia di cui alle citate norme del 2003.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Individuazione e censimento dell'amianto).

      1. Nei luoghi di lavoro e comunque nel territorio in cui è presente amianto contenuto in manufatti, macchinari o altri prodotti è fatto obbligo di renderne nota la presenza mediante l'apposizione di un'etichetta chiara e visibile recante il simbolo del teschio raffigurante la morte.

Art. 2.
(Riduzione del rischio di esposizione all'amianto).

      1. È fatto obbligo a chiunque di rimuovere manufatti, macchinari e altri prodotti contenenti amianto presenti nei luoghi di lavoro, provvedendo alla loro sostituzione con prodotti di uso equivalente non contenenti amianto e altre sostanze potenzialmente cancerogene.

Art. 3.
(Modifica all'articolo 47 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, in materia di benefìci previdenziali ai lavoratori esposti all'amianto).

      1. Il comma 5 dell'articolo 47 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, è sostituito dal seguente:
      «5. I lavoratori esposti all'amianto e i lavoratori ex esposti che intendano ottenere il riconoscimento dei benefìci di cui al comma 1 devono presentare domanda agli enti previdenziali presso i quali sono iscritti entro un anno dalla data di entrata

 

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in vigore della presente disposizione. Per gli addetti alle bonifiche o per coloro che lavorano in ambienti nei quali sono presenti fibre di amianto, al fine del riconoscimento dei benefìci di cui al citato comma 1, non è fissato alcun termine per la presentazione della relativa domanda».

Art. 4.
(Modifica all'articolo 61 del codice penale, in materia di circostanze aggravanti comuni).

      1. All'articolo 61 del codice penale è aggiunto, in fine, il seguente numero:
      «11-quater. l'avere commesso il fatto con inadempimento delle norme vigenti in materia di tutela delle condizioni di lavoro e di prevenzione dei rischi e, in particolare, delle norme vigenti in materia di protezione contro i rischi dell'amianto».


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