Frontespizio Relazione Progetto di Legge

Nascondi n. pagina

Stampa

PDL 3460

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 3460



 

Pag. 1

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

PETRENGA, MUSSOLINI, RENATO FARINA, MALGIERI, MAZZUCA, LUCIANO ROSSI

Disposizioni in materia di pagamenti da parte delle aziende sanitarie locali e degli enti locali, di garanzia dei crediti, di versamenti al Fondo per l'erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato dei trattamenti di fine rapporto di cui all'articolo 2120 del codice civile e di esenzione dall'imposta regionale sulle attività produttive in favore delle cooperative sociali e dei loro consorzi

Presentata il 6 maggio 2010


      

torna su
Onorevoli Colleghi! — Abbiamo tutti assistito in quest'ultimo biennio all'apogeo che la crisi dei mercati finanziari ha raggiunto determinando la crisi anche dell'economia reale, il cui ampliamento era stato stimolato in precedenza proprio dall'espansione del credito. Dinanzi al deterioramento delle prospettive di crescita dell'economia nazionale e internazionale, i principali piani d'azione di alcuni Governi europei si sono orientati a sostegno dell'economia reale, con l'obiettivo di accorciare i tempi di uscita dalla crisi e di evitare una lunga recessione.
      Le azioni promosse si sono precipuamente orientate seguendo due direttrici:

          1) indirizzare risorse agli investimenti pubblici;

          2) limitare la pressione fiscale nel breve e medio periodo.

      La Commissione europea, al fine di contrastare i riflessi della crisi sull'economia reale, ha presentato, il 26 novembre 2008, uno specifico «Piano europeo di ripresa economica», recante una serie di proposte per fronteggiare l'attuale congiuntura economica mediante un'azione coordinata tra gli Stati membri e l'Unione europea, capace di combinare gli aspetti monetari e creditizi, la politica di bilancio e gli obiettivi della Strategia di Lisbona.
      Il Piano prevede che l'incentivo finanziano europeo e nazionale sia destinato a dieci azioni relative ai quattro settori prioritari della Strategia di Lisbona (persone,

 

Pag. 2

imprese, infrastrutture ed energia, ricerca e innovazione):

          1) varare un'importante iniziativa europea di sostegno all'occupazione;

          2) creare domanda di manodopera;

          3) favorire l'accesso ai finanziamenti per le imprese;

          4) ridurre gli oneri amministrativi e promuovere l'imprenditorialità;

          5) aumentare gli investimenti per modernizzare l'infrastruttura europea;

          6) migliorare l'efficienza energetica degli edifici;

          7) promuovere la rapida introduzione di «prodotti verdi»;

          8) aumentare gli investimenti in ricerca e sviluppo, innovazione e istruzione;

          9) sviluppare tecnologie pulite per le auto e l'edilizia;

          10) internet ad alta velocità per tutti.

      Il Piano europeo di ripresa economica prevede, tra l'altro, che le autorità pubbliche paghino le fatture per le forniture e per i servizi entro un mese, comprese quelle effettuate dalle piccole e medie imprese, per alleviare i problemi di liquidità; anche tutte le somme arretrate dovute da enti pubblici dovrebbero essere ugualmente liquidate.
      Il Rapporto Censis 2008 vedeva il nostro modello di sviluppo come capace di resistere alla crisi perché basato, tra gli altri:

          sul primato dell'economia reale, invece che sulle ambizioni e sulle ambiguità dell'economia finanziaria;

          sul primato della piccola impresa;

          sul primato del familismo economico e dei processi con cui esso si impegna nell'aggiustamento di consumi, risparmi e investimenti;

          sul primato del localismo, dove la qualità comunitaria permette un valore aggiunto del territorio come fattore competitivo (siamo il Paese dei distretti);

          sul primato delle banche locali e di tutte le strutture bancarie che mantengono «sportelli di osmosi» quotidiana con le famiglie, con le imprese e con il territorio (configurazione non secondaria in una crisi finanziaria dove il problema fondamentale è, da un lato, la provvista e, dall'altro, la fidelizzazione dei clienti).

      Questi dati tendenzialmente positivi non devono però occultare le differenze notevoli tra nord e sud, tali da determinare deprimenti valori medi dei principali indicatori di performance rispetto agli altri grandi Paesi europei.
      Il prodotto interno lordo (PIL) pro-capite, nel 2008, rilevava che l'Italia centro-nord aveva un valore pro-capite più elevato (29.445 euro) del Regno Unito (29.140 euro), della Germania (28.068 euro), della Francia (27.593 euro) e della Spagna (26.519 euro).
      Ma l'Italia considerata nella sua globalità aveva, però, il valore più basso per lo scarso apporto del Mezzogiorno, nel quale il PIL pro-capite scendeva a 17.046 euro.
      Il dato diviene più allarmante esaminando i dati dell'ultimo Rapporto Censis, nel quale il reddito medio dichiarato dagli italiani è di 18.373 euro pro-capite, con un valore che va da un massimo di 20.851 euro nel nord-ovest a un minimo di 14.440 euro nel sud. Nelle prime dieci posizioni della graduatoria non compare nessuna provincia del sud, mentre nelle ultime dieci si trovano solo province meridionali: l'ultima è Vibo Valentia, con un reddito dichiarato per contribuente di 12.199 euro.
      L'impatto della crisi nelle diverse aree territoriali si è sovrapposto a una situazione preesistente di significativo divario tra le zone più sviluppate del Paese e quelle tuttora caratterizzate da arretratezza economica e sociale.
      Tra il 2001 e il 2008 la crescita del PIL delle regioni del Mezzogiorno è risultata inferiore, in media d'anno, a quella del centro-nord di oltre mezzo punto percentuale

 

Pag. 3

(0,3 contro 0,9 per cento). Il contributo del sud al PIL nazionale è sceso nel 2008 al 23,5 per cento rispetto al 23,9 nel 1995 e al 24,2 nel 2001.
      Gli effetti della crisi economica e lo sforzo sistematico e diffuso di razionalizzazione della spesa sanitaria pubblica si sono intrecciati, provocando il primo e più significativo impatto proprio sulle famiglie che si collocano al livello socio-economico più basso.
      Per avere una misura quantitativa dell'affievolirsi della capacità di protezione e di sostegno delle reti del Governo statale nazionale basti considerare che i trasferimenti pubblici alle imprese (i sussidi e i contributi alla produzione) si sono progressivamente assottigliati nel tempo, passando da un ammontare pari al 2,6 per cento del PIL nel 1980, all'1,8 per cento nel 1990, all'1,2 per cento nel 2000, per poi ridursi drasticamente fino allo 0,9 per cento nel 2006, a fronte dell'1,2 per cento medio dell'Unione europea.
      Il lavoro non è più sufficiente a garantire di per sé livelli assoluti di sicurezza. Le fasce interessate sono quelle di sempre, giovani, anziani e donne.
      Per quanto attiene il sistema di welfare, invece, abbiamo necessità di contestualizzare le inefficienze e le efficienze generate dallo stesso, lungo un arco temporale di trent'anni che ha determinato importanti cambiamenti in seno al settore.
      L'evolversi delle dinamiche demografiche ed economiche e il continuo avanzare delle tecnologie hanno trainato il trasformarsi delle esigenze di salute dei cittadini insieme agli interventi nella gestione organizzativa e finanziaria, prime fra tutti l'aziendalizzazione e la regionalizzazione.
      All'avvio nel 1978 del Servizio sanitario nazionale, universale e pubblico, ma lento e penalizzato soprattutto dalla mancata adozione dei piani sanitari, è seguita negli anni ottanta la mutazione genetica e culturale della domanda, legata al netto miglioramento della salute degli italiani, alla quale ha risposto però un sistema di offerta nel quale i nodi critici hanno cominciato a essere sempre più evidenti. Nel decennio successivo è proseguito il diffondersi della cultura della salute e si è consolidata nei cittadini la consapevolezza dei nessi tra benessere e stili di vita e comportamenti preventivi, mentre sul versante dell'offerta, negli anni novanta, si è avuto un forte mutamento organizzativo, soprattutto in termini di razionalizzazione e di taglio della spesa.
      Con la devolution si apre un nuovo capitolo, una sfida durissima sulle implicazioni economiche e finanziarie, che dà visibilità a differenziazioni regionali che hanno radici antiche e che, allo stesso tempo, sembra creare i presupposti per un loro ulteriore aggravamento.
      Prima di giungere alla risposta rispetto al quesito di chi abbia risposto alle esigenze di un welfare che di fatto è andato assottigliandosi, basti per ora conoscere, a mero titolo esemplificativo, il seguente dato: sono oltre 11,4 milioni le famiglie con figli in Italia e, dal versante dell'offerta di servizi per la prima infanzia, sia pubblica che convenzionata, sia per gli asili nido che per i servizi integrativi e innovativi di vario tipo, la capacità ricettiva complessiva può essere stimata intorno all'11 per cento (tenuto conto che la ricettività degli asili è pari a oltre il 9 per cento e che quella degli altri servizi è pari al 2 per cento).
      È oltre il 28 per cento la quota di madri lavoratrici che si dichiarano costrette a rinunciare all'idea di mandare i figli all'asilo o per carenza di posti o perché non ci sono asili nel comune di residenza o per l'alto costo di iscrizione eccetera.
      L'impatto della crisi sembra dunque sostanziarsi in un peggioramento delle possibilità di accesso ai servizi socio-sanitari anche pubblici che pesa di più proprio sui meno abbienti.
      Il rischio è che la combinazione della crisi economica, della razionalizzazione complessiva e dello sforzo suppletivo dell'adeguamento dei piani di rientro finisca per penalizzare proprio quei cittadini che già pagano il costo di una sanità meno efficiente.
      Il disagio sociale risulta pertanto fortemente territorializzato.
 

Pag. 4


      In questo quadro solo muovendo verso un contesto di welfare di comunità, radicato territorialmente e in grado di promuovere una filiera di offerta (dal lavoro al sociale) fatta di erogazioni monetarie e di servizi modulati sulla composizione del sistema di bisogni locali e in grado di valorizzare le risorse non pubbliche presenti, l'inclusione sociale potrà accrescere la propria efficacia, garantendo quella sicurezza sociale che sembra destinata a sparire con l'erosione del vecchio welfare.
      Come riconosciuto anche dalla Banca d'Italia nel corso del Convegno «Il Mezzogiorno e la politica economica dell'Italia», tenutosi a Roma 26 novembre 2009, l'offerta integrata di beni e di servizi pubblici e la costruzione di capitale sociale contribuiscono allo sviluppo dei territori in ritardo attraverso l'interazione fra un'azione di policy esogena rispetto al territorio e il ruolo degli agenti locali in quanto depositari delle informazioni e della conoscenza necessarie per il dispiegarsi della politica di sviluppo.
      La prossima attuazione del federalismo fiscale offre rilevanti spazi di opportunità per un forte recupero di efficienza nella gestione delle risorse trasferite agli enti territoriali e per assicurare livelli di prestazione nei servizi improntati ai princìpi di equità e di parità di trattamento su tutto il territorio nazionale.
      Riguardo al futuro, inoltre, è da un'indagine del Censis realizzata nel novembre 2009 che emergono indicazioni su quali siano, nel settore sociale e nel settore economico, i soggetti che più devono essere aiutati per favorire la ripresa:

          le famiglie con figli;

          i giovani;

          la piccola e media impresa, che potrà risollevarsi solo mediante la riduzione di tasse e di oneri come, ad esempio, la progressiva abolizione dell'imposta regionale sulle attività produttive (IRAP).

      Nel mondo dei servizi alle persone, caratterizzati dalle necessarie logiche di controllo della spesa e della sua efficienza da parte degli enti locali e di verifica collettiva della rispondenza degli interventi ai reali bisogni di socializzazione, avremo meccanismi quasi sommersi di selezione e di razionalizzazione, con un consistente numero di «vittime» (è noto quante aziende siano oggi in difficoltà).
      Se, pertanto, è necessario ripensare a progetti strutturali e sistemici, è ancora più opportuno oggi considerarli sulla base di scelte prioritarie che non possono che basarsi su due assi portanti:

          1) inclusione sociale e servizi per la qualità della vita;

          2) competitività dei sistemi produttivi e occupazione.

      I servizi di cura costituiscono una priorità anche per il ruolo che rivestono rispetto all'alleggerimento del carico di lavoro familiare delle donne e quindi per favorire la partecipazione femminile al mercato del lavoro, particolarmente bassa nelle regioni del Mezzogiorno.
      L'inclusione sociale è una delle priorità di intervento, poiché attraverso lo sviluppo di percorsi di integrazione e di (re)inserimento lavorativo dei soggetti svantaggiati si cerca anche di raggiungere l'obiettivo di combattere ogni forma di discriminazione nel mercato del lavoro.
      Questo approccio ha acquistato maggiore enfasi che nel passato perseguendo appunto la finalità di pervenire all'inclusione sociale prioritariamente attraverso l'inclusione lavorativa.
      Le misure attuate sui territori sono ampie e si diversificano in base alle esigenze specifiche dei vari destinatari coinvolti: disabili, immigrati, tossicodipendenti ed ex tossicodipendenti, ristretti ed ex ristretti, fino a coinvolgere sempre più nuove tipologie di povertà e di disagio sociale (alcolisti ed ex alcolisti, famiglie sotto la soglia di povertà, malati di AIDS eccetera).
      Per quanto attiene l'obiettivo del rilancio dell'economia e del rafforzamento del grado di competitività del sistema produttivo, nonostante siano state adottate nel corso dell'ultimo anno diverse misure in

 

Pag. 5

favore dell'attività imprenditoriale, soprattutto delle piccole e medie imprese, tra cui quelle orientate a garantire un miglior accesso al credito, i dati inerenti il tasso di mortalità non sono per nulla incoraggianti.
      L'attuazione della riforma in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, rivestirà un ruolo significativo per l'assetto della politica regionale nei prossimi anni. Il nuovo sistema di finanziamento degli enti territoriali si ispira, infatti, ai princìpi di autonomia di entrata e di spesa e di una maggiore responsabilizzazione dei medesimi enti.
      Per le prestazioni per le quali tutte le regioni devono garantire livelli essenziali (sanità, assistenza e funzioni amministrative dell'istruzione), nonché per le funzioni fondamentali degli enti locali, si prevede una copertura finanziaria integrale nei limiti della spesa valutata in base a parametri standard. La copertura è affidata a trasferimenti perequativi, per colmare il divario tra il fabbisogno di spesa standard e le entrate tributarie associate alle predette funzioni, valutate anch'esse in termini standardizzati. Per le altre funzioni, salvo alcune eccezioni, la copertura è lasciata all'autonomia tributaria e la perequazione deve ridurre le differenze nelle basi imponibili senza penalizzare lo sforzo fiscale.
      Com’è ovvio, la garanzia dei livelli essenziali deve essere un comune obiettivo dello Stato e delle autonomie locali.
      La previsione di un fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale per abitante sarà funzionale solo se sarà implementato correttamente un meccanismo di verifica «esterno» ai destinatari-gestori, che sono anche soggetti attivi dell'autonomia impositiva a mezzo di tributi, ovvero regioni ed enti locali, in grado di considerare fattivamente i princìpi di territorialità, sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza alla luce di un legame imprescindibile tra prelievo fiscale e beneficio fornito ai cittadini-utenti: un'equivalenza, quindi, tra «cosa tassata» e «cosa amministrata».
      È di tutta evidenza quanto l'esito delle politiche di sviluppo sia profondamente influenzato da fattori territoriali e settoriali. In altre parole, i vincoli e le risorse che ogni singolo territorio e sub-settore dell'economia nasconde possono condizionarne in maniera decisiva l'evoluzione.
      Per rispondere alla crisi del welfare i Governi delle economie occidentali hanno ampliato gli spazi dell'azione privata profit e no-profit, dando pertanto luogo a processi di parziale o di totale privatizzazione di alcune funzioni del sistema. Le organizzazioni no-profit sono divenute fisiologicamente necessarie, sia perché garantiscono una maggiore tutela del consumatore e sia perché apportano un afflusso di risorse private nel sistema di welfare.
      All'inizio degli anni novanta tale settore occupava 400.000 unità equivalenti a tempo pieno (escludendo i volontari), contribuendo all'1,3 per cento dell'occupazione complessiva, con una crescita nel corso degli anni ottanta del 38,9 per cento contro un aumento dell'occupazione complessiva del 7,4 per cento.
      Uno dei comparti più dinamici del settore no-profit italiano, durante gli anni novanta, è stato quello delle cooperative sociali, che nel 1997 risultavano essere 3.857, con un fatturato consolidato di 2.500 miliardi di lire e con un'occupazione complessiva di 33.410 unità.
      In principio esse sono sorte grazie alle iniziative pionieristiche di alcuni gruppi di volontariato, che per dare un carattere di maggiore sistematicità al proprio intervento a favore di alcune fasce deboli della popolazione (anziani, disabili, minori a rischio eccetera) hanno assunto la forma giuridica di cooperativa, non essendo stata ancora creata la categoria di cooperativa sociale introdotta solo successivamente dalla legge n. 381 del 1991. Con questa legge il legislatore ha dato dignità giuridica a una situazione di fatto già esistente da qualche anno e ha creato ufficialmente il soggetto giuridico cooperativa sociale il quale ha «lo scopo di perseguire l'interesse generale della comunità alla promozione umana e all'integrazione sociale dei
 

Pag. 6

cittadini» (articolo 1, comma 1, delle legge n. 381 del 1991), mediante:

          cooperative di tipo A. Esse svolgono attività finalizzate all'offerta di servizi socio-sanitari ed educativi attraverso la gestione di residenze protette, asili nido, centri diurni, comunità e presìdi sanitari o prestando assistenza domiciliare a una vasta gamma di utenti, la maggior parte dei quali si trova in situazioni di disagio o di fragilità sociale. Nel corso del 2005 le cooperative sociali di tipo A hanno offerto servizi a più di 3,3 milioni di utenti, risultati in crescita del 37,4 per cento rispetto al 2003. L'elevato numero di utenti è dovuto principalmente sia alla capacità di queste «imprese» di rispondere con tempestività alla domanda, spesso complessa e difficilmente interpretabile, di soggetti in situazioni di disagio, sia alla flessibilità dell'offerta, che copre anche la domanda di utenti non necessariamente mossi da specifiche necessità di assistenza;

          cooperative di tipo B. Esse forniscono opportunità di occupazione a persone svantaggiate, sostenendo in tal modo l'integrazione sociale di soggetti che altrimenti rimarrebbero esclusi dal mercato del lavoro. Per raggiungere questo obiettivo possono svolgere qualsiasi attività d'impresa in campo agricolo, industriale, artigianale, commerciale e dei servizi, riservando una parte dei posti di lavoro a soggetti svantaggiati (alcolisti, detenuti ed ex detenuti, disabili fisici, psichici e sensoriali, minori, pazienti psichiatrici, tossicodipendenti e altre persone in condizioni di esclusione sociale). Nel corso del 2005 le persone svantaggiate presenti nelle cooperative sociali di questo tipo sono state 30.141 (il 27,8 per cento in più rispetto al 2003) e la percentuale di soggetti svantaggiati presenti nelle cooperative rispetto al totale del personale retribuito si è attestata, a livello nazionale, al 55,5 per cento, ben al di sopra del limite minimo (30 per cento) stabilito dalla legge n. 381 del 1991;

          cooperative a oggetto misto (A+B), che svolgono entrambe le tipologie di attività citate;

          consorzi sociali, cioè consorzi costituiti come società cooperative aventi la base sociale formata da cooperative sociali in misura non inferiore al 70 per cento. I consorzi sociali rappresentano una delle forme più importanti di integrazione tra cooperative sociali. La loro funzione principale è quella di offrire servizi finalizzati a sostenere le capacità e le attività di gestione delle cooperative aderenti, sia rispetto a funzioni interne (gestione delle risorse umane, assistenza contabile e consulenza fiscale, svolgimento pratiche amministrative, formazione, informazione), sia riguardo ai rapporti con l'esterno (elaborazione di progetti, assistenza nella partecipazione a gare pubbliche, supporto nell'elaborazione di strategie politiche, partecipazione a gare pubbliche per conto delle cooperative aderenti).

      Il «favore» legislativo per la cooperazione sociale in particolare è strettamente connesso alla funzione di «mutualità esterna» che tale sistema imprenditoriale garantisce, ovvero la capacità di indirizzare l'attività a beneficio non già dei soli soci, bensì dell'intera compagine di riferimento allargandosi all'intera collettività, ovvero all'utilità pubblica in genere.
      In definitiva, gli interventi del legislatore italiano in materia di cooperazione non sono frutto di iniziative occasionali o asistematiche, ma s'inquadrano in un disegno generale «programmato» dall'articolo 45 della Costituzione, cui il legislatore stesso è, evidentemente, vincolato.
      Dall'ultima rilevazione dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) sul fenomeno, relativo al 2007 su dati riferiti al 2005, il totale di cooperative sociali attive è stato di 7.363 (652 risultavano essere quelle che, alla data di riferimento della rilevazione, non avevano ancora avviato l'attività o l'avevano sospesa temporaneamente).
      Rispetto alla rilevazione precedente, riferita al 2003, le cooperative sociali sono aumentate del 19,5 per cento; rispetto alla rilevazione del 2001 l'incremento è stato del 33,5 per cento.
      A conferma della relativa novità del fenomeno, più del 70 per cento delle

 

Pag. 7

cooperative sociali è nata dopo il 1991. Nel 59 per cento dei casi si tratta di cooperative che erogano servizi socio-sanitari ed educativi (cooperative di tipo A) e nel 32,8 per cento di unità che si occupano di inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati (cooperative di tipo B). Le cooperative a oggetto misto, che svolgono attività sia di tipo A sia di tipo B, e i consorzi sono molto meno numerosi, rispettivamente 4,3 per cento le prime e 3,9 per cento i secondi.
      Sotto il profilo territoriale, si rileva che nel nord-ovest sono relativamente più frequenti le cooperative di tipo B (35 per cento a fronte del 32,8 per cento registrato a livello nazionale), nel nord-est le cooperative a oggetto misto (5,4 per cento rispetto a 4,3 per cento), nel centro le cooperative di tipo B e le miste (43 per cento e 7,4 per cento rispettivamente) e nel Mezzogiorno le cooperative di tipo A (67,8 per cento rispetto a 59 per cento).
      Nelle cooperative sociali sono impiegati circa 244.000 lavoratori retribuiti (di cui 211.000 dipendenti, 32.000 lavoratori con contratto di collaborazione e poco più di 1.000 lavoratori interinali) e 34.000 non retribuiti (30.000 volontari, 3.000 volontari del servizio civile e circa 700 religiosi). Il 71,2 per cento delle risorse umane è costituito da donne.
      Dal punto di vista economico, le cooperative sociali realizzano una produzione di circa 6,4 miliardi di euro. I valori non sono distribuiti in misura omogenea tra le varie tipologie di cooperativa: a fronte di un valore medio della produzione di 867.000 euro, le cooperative di tipo A si attestano a circa 951.000 euro per unità, quelle di tipo B e a oggetto misto dispongono in media di meno di 700.000 euro, mentre i consorzi presentano un valore medio superiore a 2 milioni di euro.
      Tra le cooperative di tipo A il settore di attività relativamente più diffuso è l'assistenza sociale, il servizio più frequentemente offerto è l'assistenza domiciliare e la categoria di utenza più comune è costituita dai minori; tra le cooperative di tipo B l'inserimento lavorativo riguarda soprattutto i disabili (invalidi fisici, psichici e sensoriali).
      Nel 2005, la maggior parte delle cooperative sociali era localizzata nel Mezzogiorno con un valore pari al 33,8 per cento.
      Rispetto alle fonti di finanziamento, la maggioranza assoluta delle cooperative sociali (65,9 per cento) registra entrate di origine prevalentemente pubblica.
      Infatti, in particolar modo quelle di tipo A, si sono sviluppate e hanno consolidato la propria struttura finanziaria grazie alla collaborazione sempre più stretta con gli enti della pubblica amministrazione. Più precisamente, il 77 per cento delle cooperative localizzate nel Mezzogiorno «dipende» da finanziamenti di natura prevalentemente pubblica.
      Questo percorso di consolidamento ad oggi si dimostra essere un freno alla possibilità di tenuta e di crescita di tali imprese, tanto da dover «ripensare» concretamente all'esigenza di mettere a punto opportune misure di sostegno per una delle più effervescenti categorie di enti no-profit affermatesi in Italia e caratterizzanti, nel tempo, un connubio virtuoso tra sistema pubblico, famiglia, privato sociale e reti di supporto del volontariato.
      La presente proposta di legge si prefigge, tra gli altri, l'obiettivo di risolvere i problemi conseguenti alla riduzione di credito nonché le problematiche relative alla oramai cronica sottocapitalizzazione delle cooperative sociali, affinché possa essere garantito l'obiettivo della coesione sociale.
      Crediamo vivamente che, date le condizioni attuali, tagli fiscali o trasferimenti mirati abbiano la probabilità di esercitare gli effetti più significativi sull'economia di un settore così essenziale poiché in grado di incorporare e di garantire servizi propri del welfare.
      Siamo consci dello sforzo attuato fin qui per porre rimedio al protrarsi dei tempi di pagamento da parte della pubblica amministrazione effettuato dal combinato disposto del decreto-legge n. 185 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 2 del 2009 e del decreto-
 

Pag. 8

legge n. 78 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 102 del 2009, nonostante le procedure richiamate comportino, da un lato, discrasie informative tra gli enti e le amministrazioni coinvolti per quanto attiene la fase di certificazione del credito e di compensazione del debito e, dall'altro, alti costi per commissioni generate dalla cessione del credito a banche o a intermediari finanziari che non sempre sono riconosciute dalle aziende sanitarie locali e dagli enti locali ai sensi dell'articolo 1218 del codice civile e del decreto legislativo n. 231 del 2002.
      L'obiettivo che si prefigge l'articolo 1 della presente proposta di legge è rendere strutturale, esclusivamente per le cooperative sociali e loro consorzi, la disposizione che il citato decreto-legge n. 185 del 2008 ha previsto all'articolo 9 solo per il 2009 affidando, di fatto, l'eventuale prosecuzione a interventi di proroga.
      Tale necessità è di tutta urgenza poiché alle cooperative sociali e loro consorzi, al pari delle altre imprese, deve essere assicurato il mantenimento dei requisiti riguardanti la competitività in generale, soprattutto commisurandoli al fatto che la loro tenuta nel «Sistema Paese», al di là della qualità del servizio che erogano, quale fattore determinante al fine della propria sopravvivenza nell’«universo impresa», è fortemente condizionata dall'avere quali interlocutori principali gli enti pubblici. Infatti, i servizi socio-assistenziali (assistenza domiciliare, residenziale, ricreativa, asilo nido eccetera) negli anni sono diventati una realtà indispensabile per la collettività, soprattutto per i più bisognosi. Tali servizi sono affidati dagli enti locali e dalle aziende sanitarie locali in gestione a terzi e soprattutto alle cooperative sociali, diventate quindi indispensabili per la gestione dei servizi socio-assistenziali e sanitari.
      Com’è noto, il rapporto tra la cooperativa sociale e l'ente pubblico è regolato da convenzioni che prevedono, per lo più, pagamenti entro novanta giorni dall'emissione della fattura, tempi che, non essendo rispettati, comportano notevoli ritardi nei pagamenti delle spettanze alle cooperative sociali, che possono andare ben oltre i diciotto mesi.
      Per porre rimedio a questa situazione, l'articolo 1 stabilisce, al nuovo comma 3-quinquies del citato articolo 9 del decreto-legge n. 185 del 2008, in ottemperanza al dettato dell'Unione europea, che i pagamenti per fatture emesse dalle cooperative sociali e loro consorzi per prestazioni di servizi erogati nei confronti delle aziende sanitarie locali e degli enti locali siano effettuati entro trenta giorni dalla data di presentazione delle relative fatture.
      Inoltre, tali ritardi determinano una pesante reazione a catena poiché, considerato che le cooperative sociali utilizzano la maggior parte delle proprie risorse per pagare i soci lavoratori e i dipendenti, quando tali ritardi diventano insostenibili, il disagio si ripercuote direttamente sui lavoratori per il pagamento di salari e di stipendi, nonché sugli utenti destinatari del servizio. Infatti, nella gestione dei servizi socio-assistenziali deve essere imputato un costo per la mano d'opera di circa l'85-90 per cento del costo totale. Tali costi ormai sono diventati non più sostenibili dalle cooperative sociali proprio a causa dei predetti ritardi.
      L'articolo 2 si propone di ampliare le garanzie a tutela dei crediti da lavoro dei soci delle cooperative sociali. Infatti, la legge n. 196 del 1997 ha esteso ai crediti dei soci delle cooperative di lavoro le disposizioni della legge n. 297 del 1982 e del decreto legislativo n. 80 del 1992 volte a garantire l'effettivo pagamento del trattamento di fine rapporto (TFR) e le retribuzioni in caso di insolvenza del datore di lavoro.
      In considerazione del fatto che in alcune aree geografiche del Paese la situazione è diventata talmente grave tanto da porre a repentaglio il livello minimo di assistenza agli utenti e la sopravvivenza stessa della cooperativa sociale, il tutto aggravato dalla nota sottocapitalizzazione che determina pesanti criticità nella possibilità di accesso al credito per l'anticipazione di salari e di stipendi, si verifica l'assurdo per il quale, continuando l'ente
 

Pag. 9

locale a essere inadempiente nella liquidazione del credito alla cooperativa sociale derivante dal conseguimento dell'appalto, la stessa sia impossibilitata a erogare salari e stipendi ai propri soci diventando insolvente nella qualità di datore di lavoro, oltre a incorrere nelle conseguenze penali e amministrative relative al mancato versamento della relativa contribuzione, cosa dalla quale dipende anche il rilascio del documento unico di regolarità contributiva (DURC) e, di conseguenza, la possibilità di aggiudicazione di un appalto.
      L'articolo 3 mira a risolvere i problemi di liquidità nonché la crescita dimensionale delle cooperative sociali tramite il mantenimento in azienda sia delle quote del TFR cosiddette «inoptate» (decreto legislativo n. 252 del 2005) sia di quelle per le quali sia espressamente manifesto l'assenso a mantenerle in azienda, purché l'azienda stessa abbia almeno cinquanta dipendenti (articolo 1, comma 756, della legge n. 296 del 2006).
      In virtù, infatti, delle disposizioni introdotte dalla citata legge finanziaria 2007 (legge n. 296 del 2006, articolo 1, commi da 755 a 757) dal 1o gennaio 2007 è divenuto operativo il «Fondo per l'erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato dei trattamenti di fine rapporto di cui all'articolo 2120 del codice civile», istituito presso la tesoreria centrale dello Stato e gestito dall'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), cosiddetto «Fondo di tesoreria», cui confluisce il TFR maturato a decorrere dalla predetta data e non destinato alle forme pensionistiche complementari, di cui al citato decreto legislativo n. 252 del 2005, nelle aziende con almeno cinquanta dipendenti.
      Essendo il TFR una sorta di autofinanziamento per le imprese, si vogliono salvaguardare le cooperative sociali e loro consorzi con almeno cinquanta addetti da una repentina mancanza di liquidità.
      Abbiamo argomentato a sufficienza la necessità di liquidità delle cooperative sociali, a prescindere dalla loro dimensione – piccole, medie o grandi, con meno o più di cinquanta dipendenti – per l'espletamento delle proprie attività, quale conditio sine qua non alla loro sopravvivenza. Quest'ultima non va rapportata alle mere caratteristiche del mercato, poiché tali imprese, prescindendo da scopi lucrativi e meramente competitivi, ottemperano prioritariamente al raggiungimento di uno scopo sociale perseguito esclusivamente con finalità solidaristiche.
      È pertanto doveroso sostenere la crescita dimensionale di queste imprese che hanno garantito servizi all'utenza nonostante i pagamenti ritardati, soprattutto nel settore sanitario, e che hanno responsabilmente incorporato i difetti di un welfare praticamente inesistente, permettendo a intere fasce di popolazione «dimenticate» di poter usufruire di servizi dignitosi.
      Se, dunque, a questi ritardi, che hanno spesso generato l'utilizzo di risorse interne per pagare i soci lavoratori e i dipendenti, si somma anche l'eventuale perdita di liquidità derivante dal principio del silenzio-assenso che determina il conferimento obbligatorio del TFR ai fondi pensione ove costituiti o al fondo dell'INPS, è un dato di fatto che si continui a permettere che sia messo a repentaglio il livello minimo di assistenza agli utenti e che sia compromessa la sopravvivenza dell'impresa cooperativa sociale stessa, in termini di sviluppo e di competitività.
      Per questi motivi si ritiene non rinviabile sia l'esonero dal conferimento obbligatorio del TFR «inoptato» al Fondo dell'INPS sia l'esonero dal conferimento del TFR al Fondo tesoreria qualora sia espressamente manifesto l'assenso a tenerlo nelle cooperative sociali e loro consorzi con almeno cinquanta dipendenti.
      L'articolo 4 ha come finalità la considerazione delle cooperative sociali e loro consorzi quali soggetti non passivi dell'IRAP. Tale tributo deve essere versato alla regione in cui l'unità locale svolge la propria attività in ragione della produzione di beni e di servizi.
      Ebbene, i servizi erogati dalle cooperative sociali e loro consorzi sono ben lontani dal poter essere considerati meramente attività d'impresa ovvero produttiva, poiché, diversamente dal concetto di «produzione di un bene o di un servizio», il
 

Pag. 10

loro contributo è misurabile esclusivamente in termini di utilità sociale. Inoltre, corre il caso ricordare che nella gestione dei servizi socio-assistenziali il maggior costo sostenuto dalla cooperativa sociale è quello relativo alla mano d'opera (circa l'85-90 per cento del costo totale) che è indeducibile dalla base imponibile mentre per quanto attiene le cooperative sociali che offrono condizioni di lavoro alle persone svantaggiate, lo è per il solo costo del lavoro di tale categoria che per legge è costituito dal 30 per cento.
      Per altro, l'esenzione generalizzata dal pagamento dell'IRAP per tutte le cooperative sociali e loro consorzi porterebbe ad una omogeneità sia tra cooperative residenti in regioni che hanno già eliminato tale tributo ovvero che hanno apportato riduzioni [come: Friuli Venezia Giulia – organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS), comprese le cooperative sociali di tipo A; Lombardia – ONLUS – tutte; Molise ONLUS; Puglia – ONLUS, comprese le cooperative sociali; Sicilia – specifica per le cooperative sociali; Umbria – solo per le cooperative sociali di tipo B e limitatamente alle attività istituzionali; Valle D'Aosta – ONLUS, comprese le cooperative sociali; Veneto – solo per le cooperative sociali di tipo B; Bolzano – ONLUS; Trento – ONLUS] rispetto a quelle che ad oggi lo mantengono, sia ad una equità in seno alla cooperativa stessa poiché, qualora abbia unità dislocate in regioni diverse, dovrà adottare le differenti aliquote previste dalla regione in cui l'unità risiede. Si premette che tale esenzione dovrà essere concessa esclusivamente alle cooperative sociali e loro consorzi che siano in possesso del certificato di avvenuta revisione (che per questa particolare categoria di imprese è svolta annualmente) affinché possa essere fugato qualsivoglia tentativo di usufruire di tale esenzione da parte di cooperative spurie e pertanto ben lontane dall'agire secondo gli scopi della mutualità interna ed esterna.
      Tale abbattimento sarebbe, inoltre, un'essenziale elemento di sussidiarietà per un'effettiva azione di welfare a livello territoriale nazionale.
      L'articolo 5 reca la copertura finanziaria (che teoricamente potrebbe non essere necessaria in quanto siamo di fronte solo ad un'anticipazione di cassa di spese che in ogni caso le pubbliche amministrazioni dovranno effettuare) prevedendo che le relative risorse siano garantire da inasprimento delle imposte sugli alcolici.
 

Pag. 11


torna su
PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Disposizioni in materia di pagamenti da parte delle aziende sanitarie locali e degli enti locali).

      1. All'articolo 9 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, e successive modificazioni, sono aggiunti, in fine, i seguenti commi:
      «3-ter. Al fine di garantire la tempestività dei pagamenti per prestazioni di servizi socio-assistenziali e sanitari erogati nei confronti delle aziende sanitarie locali e degli enti locali dalle cooperative sociali e loro consorzi, di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381, le aziende sanitarie locali e gli enti locali certificano, entro venti giorni dal ricevimento dell'istanza del creditore, se il relativo credito sia certo, liquido ed esigibile, al fine di consentire al creditore la cessione pro soluto in favore di banche o di intermediari finanziari riconosciuti dalla legislazione vigente. Le aziende sanitarie locali e gli enti pubblici locali applicano le disposizioni dell'articolo 1218 del codice civile e del decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, per ottemperare alle responsabilità derivate dall'inosservanza delle clausole contrattuali che hanno determinato costi per il recupero delle somme non tempestivamente corrisposte.
      3-quater. Il credito di cui al comma 3-ter del presente articolo, comprensivo degli interessi maturati ai sensi del decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, è riconosciuto al netto delle eventuali posizioni debitorie contratte dalle cooperative sociali e loro consorzi di natura fiscale, tributaria e contributiva, maturate nell'arco temporale in cui le aziende sanitarie locali e gli enti locali non hanno ottemperato a saldare i corrispettivi nei tempi previsti dalle convenzioni stipulate per

 

Pag. 12

l'erogazione dei servizi socio-assistenziali e sanitari. Entro due mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, provvede a stabilire con proprio decreto le modalità operative per definire le azioni compensative e il riconoscimento presso gli enti creditori dei debiti notificati a mezzo di cartelle di pagamento, al fine di sospendere tempestivamente, al momento dell'avvenuta compensazione, azioni penali ed amministrative attivate dai rispettivi enti per il recupero delle somme dovute.
      3-quinquies. Le fatture emesse dalle cooperative sociali e loro consorzi per prestazioni di servizi erogati nei confronti delle aziende sanitarie locali e degli enti locali devono essere pagate entro trenta giorni dalla data di presentazione delle relative fatture».

Art. 2.
(Disposizioni in materia di garanzia dei crediti da lavoro dei soci).

      1. Al comma 1 dell'articolo 24 della legge 24 giugno 1997, n. 196, dopo le parole: «Per i crediti dei soci delle cooperative di lavoro» sono inserite le seguenti: «e delle cooperative sociali e loro consorzi».

Art. 3.
(Disposizioni in materia di trattamento di fine rapporto).

      1. Al comma 756 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, dopo le parole: «Non sono tenuti al versamento del predetto contributo i datori di lavoro che abbiano alle proprie dipendenze meno di 50 addetti» sono inserite le seguenti: «, nonché le cooperative sociali e loro consorzi, di cui alla legge 8 novembre 1991,

 

Pag. 13

n. 381, indipendentemente dal numero degli addetti».
      2. Al numero 3) della lettera b) del comma 7 dell'articolo 8 del decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, ad esclusione delle cooperative sociali e loro consorzi, di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381, per le quali in tale ipotesi il TFR maturando è mantenuto presso il proprio datore di lavoro».

Art. 4.
(Disposizioni in materia di imposta regionale sulle attività produttive).

      1. Al comma 2 dell'articolo 3 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, è aggiunta, in fine, la seguente lettera:

          «c-bis) le cooperative sociali e loro consorzi di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381, che attestino la certificazione di avvenuta revisione ai sensi del decreto legislativo 2 agosto 2002, n. 220».

Art. 5.
(Copertura finanziaria).

      1. All'onere derivante dall'attuazione della presente legge, valutato in 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2010, 2011 e 2012, si provvede mediante le maggiori entrate derivanti dall'aumento, stabilito con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, delle aliquote previste dall'allegato 1 annesso al testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative, di cui al decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, e successive modificazioni, relative alla birra, ai prodotti alcolici intermedi e all'alcol etilico al fine di assicurare un maggior gettito complessivo pari a 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2010, 2011 e 2012.


Frontespizio Relazione Progetto di Legge
torna su