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PDL 2189

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 2189



PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

MURER, BRESSA, LIVIA TURCO, AMICI, GOZI, ARGENTIN, BINETTI, BOSSA, BUCCHINO, D'INCECCO, CALGARO, MIOTTO, MOSELLA, SBROLLINI

Modifica all'articolo 22 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, in materia di durata del permesso di soggiorno per il lavoratore extracomunitario temporaneamente privo di un contratto di lavoro subordinato

Presentata l'11 febbraio 2009


      

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Onorevoli Colleghi! - L'ultimo rapporto della Caritas sull'immigrazione stima che il numero complessivo di stranieri regolari (comunitari e non) residenti in Italia all'inizio del 2008 si aggiri intorno ai 3.800.000-4.000.000, con un aumento di mezzo milione rispetto al dato dell'anno precedente. Questi stranieri producono il 9 per cento del PIL italiano, acquistano abitazioni, pagano le tasse e versano regolarmente i contributi all'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) ma, molto spesso, non sono ripagati in termini di servizi e di protezione sociale come sarebbe loro dovuto.
      Secondo i dati dell'ultimo rapporto della Fondazione Iniziative e studi sulla multietnicità (ISMU), gli immigrati costano meno al sistema dello Stato sociale pubblico italiano di quanto contribuiscono con le tasse che pagano e con i contributi previdenziali che versano. Ciò si spiega con l'età media più giovane dei migranti e con il fatto che molte volte essi non riescono a versare i contributi previdenziali per un numero di anni sufficiente a raggiungere la pensione e tutto quello che hanno versano rimane quindi nelle casse dello Stato. Se poi, entro sei mesi dalla perdita del posto di lavoro, non riescono a trovarne un altro «in regola», essi perdono il diritto al permesso di soggiorno e sono costretti a rientrare nel loro Paese d'origine per non risultare irregolari o clandestini nel nostro territorio.
      È quello che è successo, per citare solo un esempio, al giovane Abdel Hamid El Bekkari che fino al 12 gennaio 2009 era metalmeccanico all'Ape di Refrontolo di Treviso con un contratto di lavoro a tempo indeterminato e aveva il progetto di portare la moglie in Italia ma che si è visto, da un momento all'altro, licenziato insieme ad altri ottantanove operai. La sua prospettiva è ora quella di trovare urgentemente, entro sei mesi, un nuovo lavoro oppure di abbandonare l'Italia per non rientrare nella schiera dei clandestini. Il suo non è un caso isolato. Come Abdel, quasi il 40 per cento degli operai rimasti senza lavoro sono extracomunitari.
      Per chi proviene dai Paesi extracomunitari e risiede in Italia da anni, la decisione di rientrare nel proprio Paese d'origine non è mai semplice. Chi, fino ad oggi, ha investito tutto nel nostro Paese, facendosi raggiungere dalla famiglia, comprandosi una casa, integrandosi nella nostra società, si trova - con la perdita del lavoro e con la necessità di ritrovarlo entro un lasso di tempo troppo breve in una situazione di crisi economica come quella attuale per non perdere il permesso di soggiorno - costretto a fare delle scelte difficili, come quella di rimandare a casa la moglie ed i figli, figli che magari sono nati e cresciuti e si sono integrati nelle nostre realtà locali e che si vedono da un giorno all'altro costretti a rientrare in un Paese che non conoscono.
      Il volto della crisi economica sui migranti è dato da molti segnali, tra i quali: il tasso di disoccupazione sempre crescente; l'aumento esponenziale delle richieste di sostegno economico alle organizzazioni solidaristiche e ai comuni; la crescita delle visite per informazioni presso i sindacati e i centri per l'impiego; l'aumento delle domande di permesso per attesa occupazione; il calo dei ricongiungimenti familiari; i primi rientri volontari in patria (Paesi dell'Europa orientale e Cina); l'aumento delle insolvenze rispetto ai mutui bancari; i casi di divisione delle famiglie con il rimpatrio di parte del nucleo familiare; le richieste di somme più elevate nel ricorso alle istituzioni del microcredito.
      Nelle nostre fabbriche è ormai fondamentale l'apporto degli operai slavi, rumeni o africani (in Veneto la manodopera straniera supera il 10 per cento); molti di loro sono arrivati in Italia da anni e hanno sviluppato conoscenze e competenze tecniche di cui i nostri settori industriali, qualsiasi essi siano, non possono più fare a meno.
      La crisi recessiva già in atto e le sue conseguenze in termini di tenuta occupazionale dei mercati rendono indispensabile un approfondimento sulla condizione giuridica dei lavoratori extracomunitari, cercando di evidenziare quei tratti distintivi della normativa attualmente in vigore che incidono profondamente sulla possibilità di queste persone di riuscire a rimanere all'interno di un contesto di inclusione giuridica e sociale.
      Da questa prospettiva, infatti, la perdita del posto di lavoro da parte dell'immigrato extracomunitario non si inserisce soltanto nel rilevante dibattito sulla necessità di estendere il regime degli ammortizzatori sociali, ma riguarda in primo luogo il rischio di far precipitare alcune decine di migliaia di lavoratori in un'inappellabile condizione di clandestinità, non consentendo loro il rinnovo del permesso di soggiorno se non riescono a trovare un'occupazione entro i sei mesi dalla perdita del precedente posto di lavoro.
      L'ultimo rapporto del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL) sulle caratteristiche occupazionali dei lavoratori immigrati rileva che la loro condizione è particolarmente difficile per almeno due ordini di motivi: il primo è che sono prevalentemente occupati nelle piccole imprese e con rapporti di lavoro flessibili, quindi più esposti alla crisi; il secondo è che la loro presenza legale è precaria, in quanto può essere mantenuta per un massimo di soli sei mesi nei casi di disoccupazione, oltre il quale le soluzioni sono il rimpatrio o la caduta nella clandestinità.
      Se in sociologia risulta utile distinguere tre distinti meccanismi d'integrazione, in contrapposizione al rischio di povertà e di esclusione sociale, ovvero il lavoro, il sistema di protezione sociale o welfare state e la famiglia, è ragionevole pensare che, nel caso dei lavoratori extracomunitari, non solo siamo in assenza di una famiglia che sia in grado di sobbarcarsi il peso della precarietà e dell'incertezza, producendo di fatto ammortizzatori sociali, in assenza dei primi due fattori - come nel caso dei moltissimi e più o meno giovani lavoratori precari italiani - ma siamo altresì di fronte a un meccanismo che produce clandestinità, eliminando non solo i regimi di tutela e di protezione sociali ma anche, di fatto, la dignità stessa della persona umana. Questi meccanismi di integrazione non devono essere garantiti solo ed esclusivamente a quella porzione di lavoratori stranieri che è assunta con contratti stagionali (il cui contratto di soggiorno è autoconcludente) o a tempo determinato, ma anche, in considerazione della situazione economica che stiamo vivendo, alla stragrande maggioranza (70 per cento) di coloro i quali sono assunti con contratto di lavoro a tempo indeterminato.
      Ecco perché la necessità di questa proposta di legge, che prevede di rivedere il meccanismo introdotto dalla cosiddetta «legge Bossi-Fini» (legge n. 289 del 2002), che ha modificato il testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, per il rinnovo dei permessi di soggiorno per quei lavoratori immigrati colpiti da situazioni di crisi e per i quali soli sei mesi entro cui trovare un'occupazione regolare dopo la perdita del posto di lavoro precedente rischiano di essere insufficienti, mettendo così a rischio una loro regolare permanenza nel nostro Paese.
      In una fase di recessione economica è necessario portare la validità della durata del permesso di soggiorno per chi ha perso un lavoro regolare dagli attuali sei mesi, introdotti dalla citata «legge Bossi-Fini», ad un anno, al fine di dare a tali persone la possibilità di trovare un'occupazione alternativa regolare e valida.


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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. Il comma 11 dell'articolo 22 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:

      «11. La perdita del posto di lavoro non costituisce motivo di revoca del permesso di soggiorno al lavoratore extracomunitario e ai suoi familiari legalmente soggiornanti. Il lavoratore straniero in possesso del permesso di soggiorno per lavoro subordinato che perde il posto di lavoro, anche per dimissioni, è iscritto nell'elenco anagrafico delle persone in cerca di lavoro per il periodo di residua validità del permesso di soggiorno, e comunque, salvo che si tratti di permesso di soggiorno per lavoro stagionale, per un periodo non inferiore a dodici mesi. Il regolamento di attuazione stabilisce le modalità di comunicazione ai centri per l'impiego, anche ai fini dell'iscrizione del lavoratore straniero nell'elenco anagrafico delle persone in cerca di lavoro con priorità rispetto a nuovi lavoratori extracomunitari».


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