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PDL 1876

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 1876



PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

ANIELLO FORMISANO, DI GIUSEPPE, EVANGELISTI, MURA, ZAZZERA

Disposizioni in materia di consenso informato e di direttive anticipate nei trattamenti sanitari, nonché di accanimento terapeutico

Presentata il 6 novembre 2008


      

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Onorevoli Colleghi! - Il nostro Paese, pur avendo ratificato ai sensi della legge 28 marzo 2001, n. 145, la Convenzione sui diritti dell'uomo e sulla biomedicina, fatta a Oviedo del 1997, non dispone di norme che disciplinano quello che, usualmente, viene chiamato «testamento biologico».
      Questa carenza, tuttavia, si sposa con una mancanza ancora più grave e datata, che è quella relativa all'attuazione del principio di cui all'articolo 32, secondo comma, della nostra Carta fondamentale, il quale impone il rispetto della dignità della persona, sottomettendo ad esso qualsiasi legge che intenda rendere obbligatorio un trattamento sanitario.
      L'interpretazione sistematica chiarisce che proprio il rispetto della dignità della persona costituisce l'unico limite che non può essere superato neanche in funzione del «fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività» alla tutela della salute.
      L'oggettiva difficoltà di contemperare tali basilari princìpi non può, tuttavia, esimerci dal disciplinare aspetti che coinvolgono drammaticamente la vita delle persone malate e delle loro famiglie.
      In quest'ambito, la proposta di legge in esame si pone l'obiettivo di dare attuazione al ricordato principio di cui all'articolo 32 della Costituzione, in pieno bilanciamento con la tutela della salute e della vita umana quali prioritari interessi della collettività.
      La ratio del provvedimento è, pertanto, quella di tutelare la vita e la salute fino in fondo, affermando però che questa tutela non è invocabile quando non sia più in grado di risanare nulla.
      Né peraltro è compito del medico perseguire la guarigione miracolistica, perché significherebbe solo tenere artificiosamente «in funzione» un corpo che non appare più capace di vivere di per sé.
      Parallelamente si afferma che il medico deve esprimere la sua professionalità per il bene del malato e che questa si esprime anche nella capacità di riconoscere quale è il momento di fermarsi.
      Sbaglia il medico che non sa riconoscere quel momento e la conseguenza di tale errore lede un bene incomprimibile di rango costituzionale (la dignità del malato) e arreca danno a un numero non quantificabile di persone (sub species del dolore psico-fisico del paziente stesso e dei suoi congiunti), oltre a disperdere risorse, non solo economiche, che potrebbero essere più proficuamente destinate alle cure di altri pazienti, con ciò estendendo il danno alla collettività.
      È in funzione di ciò che si formula la nuova fattispecie penale volta a sanzionare l'accanimento terapeutico.
      In linea con la ratio così delineata, il provvedimento non disciplina forme di obiezione di coscienza, perché al medico non si chiede altro che ciò che è intrinsecamente correlato alla sua professione e alla sua scienza.
      Sugli stessi princìpi si fonda la disciplina del consenso informato e delle direttive anticipate nei trattamenti sanitari.
      La vita rimane un bene indisponibile e ciò implica che la volontà del paziente debba essere soggetta a una moderata mediazione. Tale volontà deve essere sempre considerata, ma il medico può disattenderla quando coesistono tre condizioni: che non sono utilmente disponibili trattamenti alternativi, che il trattamento è improcrastinabile dal punto di vista medico e che l'invasività o la pericolosità del trattamento rifiutato sono proporzionate ai conseguenti benefìci per la salute del malato.
      Al solo fine di escludere ogni possibile fraintendimento, la proposta di legge si apre con un breve articolo di definizioni (articolo 1).
      Negli articoli 2 e 3 sono dettati, rispettivamente, i precetti concernenti l'informazione ai pazienti e il consenso informato.
      Il punto di partenza è rappresentato dal diritto del paziente di essere informato in modo esplicito ed esaustivo (articolo 2), un istituto che necessita di adeguata regolamentazione anche in funzione della possibilità di esprimere, quando occorra, il consenso al trattamento.
      Trattandosi di un diritto potenzialmente prodromico a una decisione incidente su valori prioritari, il diritto di informazione si concretizza in capo al paziente solo quando esso è maggiorenne e capace di intendere e di volere. Non si è ritenuto di transigere sulla maggiore età ritenendo che, proprio per la delicatezza delle tematiche coinvolte, la decisione debba essere rimessa a chi si presume maggiormente in grado di esercitarla responsabilmente e in piena consapevolezza e maturità; conseguentemente, spettano a chi esercita la potestà genitoriale sia la mediazione informativa sia la potestà decisionale nell'esclusivo e miglior interesse del minore.
      Analogamente si procede per chi è interdetto o inabilitato, ovvero soggetto ad amministrazione di sostegno. In tali casi, tuttavia, si ritiene che l'informazione debba coinvolgere anche il diretto interessato qualora non sussistano specifici motivi ostativi; sarà compito del tutore, del curatore o dell'amministratore di sostegno portare a conoscenza del medico tali motivi, se esistenti, ovvero collaborare con il medico nel rapporto con il paziente.
      Con il richiamo ai motivi ostativi si è inteso tenere conto della possibilità che l'interdizione o l'inabilitazione siano state pronunciate tenendo conto di aspetti quali l'autolesionismo, l'istinto suicida, l'immaturità profonda o l'incapacità di comprendere le conseguenze delle proprie azioni, ma anche tenendo conto di uno stato mentale che, in caso di notizie concernenti il proprio stato di salute, possa indurre il soggetto ad atti contro se stesso.
      Le informazioni devono essere fornite direttamente al paziente anche quando esso abbia in precedenza sottoscritto validamente una direttiva anticipata nei trattamenti sanitari, salvo che sia nel frattempo sopravvenuta l'incapacità dello stesso, nel qual caso devono essere rese al fiduciario; resta evidentemente la possibilità che il paziente, tuttora capace, rifiuti le informazioni, e in tale caso si concretizza l'ipotesi disciplinata dal comma 2 dell'articolo 2.
      Alla disciplina del diritto di informazione così tratteggiata consegue quella che si ipotizza per il consenso al trattamento (articolo 3).
      La stretta correlazione che deve essere mantenuta tra i due profili implica che i soggetti passivi dell'informazione siano gli stessi chiamati ad accordare o a negare il consenso.
      Si sottolinea, tuttavia, che il paziente che ha rifiutato le informazioni non si spoglia, per ciò solo, del diritto-dovere di accordare o di negare il proprio consenso al trattamento, in quanto la materia è tale da sconsigliare la previsione della possibilità che il soggetto maggiorenne e capace deleghi a terzi una scelta che implica conseguenze sul proprio stato di salute.
      L'articolo 4 chiarisce che il rifiuto del consenso al trattamento sanitario, anche se desunto dalle direttive anticipate, non obbliga il medico a condotte contrarie alla sua professione; quando, dunque, il trattamento «rifiutato» è improcrastinabile e proporzionato e non esistono trattamenti alternativi, il medico può disattendere il rifiuto. Si osserva tuttavia che la proporzionalità non deve essere meramente rapportata alla gravità della patologia, ma deve essere intesa in funzione dei conseguenti benefìci per la salute del paziente.
      È probabilmente questa la norma in cui, più chiaramente, si esprime il tentativo di bilanciamento tra il principio di autodeterminazione e le esigenze di sicurezza e di salute pubblica della collettività.
      Per quanto concerne le direttive anticipate nei trattamenti sanitari (articolo 5), denominazione che si ritiene senz'altro da preferire a «testamento biologico», si è optato per una disciplina di massima semplicità: forma scritta, firma autografa dell'interessato e, per accettazione, del fiduciario.
      Si è esclusa la necessità di ricorrere al notaio, eventualità che potrebbe scoraggiare chi invece vorrebbe esprimere le proprie direttive.
      Non si è neanche ritenuto necessario istituire un registro di tali atti, in quanto è sul paziente e su chi gli è vicino che grava l'onere di mettere al corrente i medici dell'esistenza di tali volontà e, d'altra parte, uno specifico supporto in tale senso potrà essere fornito da molti organismi, quali associazioni o fondazioni.
      È inoltre precisato che le direttive sono destinate a esplicare la loro efficacia solo quando il sottoscrittore ha perso la capacità di intendere e di volere e non è quindi più in grado di esprimere la propria volontà in ordine ai trattamenti proposti.
      L'articolo 6 riguarda i contenuti delle direttive, stabilendo che, insieme alla nomina del fiduciario, l'interessato può esplicitare preventivamente la sua volontà in materia di assistenza religiosa, sulla disponibilità post-mortem del proprio corpo e in relazione alle cure palliative e, soprattutto, in ordine ai trattamenti e alle metodologie ai quali non vuole essere sottoposto.
      In linea con la ratio sottesa all'intero provvedimento, non si sancisce che il medico deve tassativamente ottemperare alla volontà espressa dal paziente: il limite rimane, infatti, da un lato, quello già esplicitato nell'articolo 4 e, dall'altro, il divieto di accanimento terapeutico, penalmente sanzionato ai sensi di quanto disposto dall'articolo 7, che completa la proposta di legge con una norma che ne costituisce, invero, la chiave di volta.
      L'articolo 7, infatti, novellando il codice penale, introduce, con l'articolo 593-bis, la nuova fattispecie di «accanimento terapeutico»: fatte salve le esigenze di organicità della legislazione vigente in materia, basterebbe forse solo questa norma per fornire la più equilibrata attuazione del principio sotteso all'articolo 32 della Costituzione.
      Il divieto di accanimento terapeutico è esplicitato anche nel codice di deontologia medica, ma si tratta di un precetto che può sopravvivere come mera enunciazione di principio, senza alcuna conseguenza qualora sia violato.
      L'articolo in questione sanziona la condotta del medico che persevera, adottando e mantenendo trattamenti sproporzionati ed ingiustificati, nel prolungare la vita «artificiosamente», cioè senza che il paziente abbia una reale capacità di guarigione o che sia plausibile un miglioramento delle sue condizioni.
      A norma del terzo comma del nuovo articolo 593-bis, rientrano esplicitamente nella stessa fattispecie anche l'adozione e il mantenimento di misure di supporto vitale, a carico di pazienti ormai privi di autonome capacità funzionali quando non è ragionevolmente prospettabile il ripristino di tale autonomia.
      La formulazione della prima ipotesi chiarisce che affinché la stessa si concretizzi non è sufficiente che il medico applichi un trattamento che non dia esiti: è nell'ostinazione irrazionale e ingiustificata, nella perseverante adozione di trattamenti dai quali non è ragionevole attendersi un beneficio per la salute del malato o un miglioramento della qualità della vita che si fonda il disvalore.
      In stretta correlazione con tale ipotesi, la condotta è esplicitamente scriminata (secondo comma) quando il trattamento consiste nella somministrazione di cure palliative o quando il paziente ha acconsentito ad essere sottoposto a protocolli terapeutici sperimentali, intendendo per tali quelli autorizzati a termini di legge.
      La seconda ipotesi tiene particolarmente in considerazione i casi di pazienti con «funzioni vitali autonome» compromesse e da ritenere, allo stato dell'arte, non recuperabili. La fattispecie non si concretizza qualora il supporto vitale occorra per superare una fase critica, per approfondire la situazione clinica o per dare modo alla terapia impostata di produrre gli effetti attesi.
      Lungi dal rappresentare una duplicazione del precetto di cui al primo comma, tale fattispecie sanziona esplicitamente il caso, purtroppo frequente, in cui l'artificioso prolungamento della vita si realizza non attraverso veri e propri trattamenti sanitari, ma per il tramite di metodiche di mero supporto vitale che, secondo la costante opinione specialistica, non rientrano nel concetto di trattamento sanitario.
      Giova, al riguardo, sottolineare che l'ostinazione nel fornire supporto vitale a chi è stabilmente privo delle relative autonome capacità non è un atto eutanasico e, addirittura, non dovrebbe essere definito nemmeno come «lasciar morire»; si tratta, semmai, di lasciare che la vita faccia il suo corso quando nemmeno la scienza medica è in grado di ripristinare ciò che è irrimediabilmente compromesso.
      Le pene proposte tengono conto dell'esigenza di affiancare alla pena detentiva - la cui irrogazione importa un disvalore ma, all'atto pratico, una scarsa deterrenza finale - una significativa pena pecuniaria.
      L'aggravante di cui al quarto comma sottolinea che - se l'accanimento terapeutico ha un disvalore proprio perché, come previsto anche dal richiamato codice deontologico, il medico non deve incorrervi - quando l'attività che tale accanimento concretizza è stata esplicitamente rifiutata, la condotta risulta sensibilmente più grave.
      Le pene accessorie di cui al quinto comma rafforzano la deterrenza dell'impianto sanzionatorio.


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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Definizioni).

      1. Ai sensi della presente legge si intende per:

          a) «direttive anticipate di trattamento sanitario»: l'atto scritto con il quale il soggetto esprime preventivamente la propria volontà in relazione a trattamenti sanitari o a tecniche invasive di supporto vitale ai quali potrebbe essere sottoposto in conseguenza di una malattia grave o terminale, nonché in ordine all'uso del proprio corpo o di parte di esso, nei casi consentiti dalla legge, alle modalità di sepoltura e all'assistenza religiosa;

          b) «trattamenti sanitari»: ogni trattamento praticato, con qualsiasi mezzo, per scopi connessi alla tutela della salute, a fini terapeutici, diagnostici, palliativi o estetici.

Art. 2.
(Obbligo di informazioni sui trattamenti sanitari).

      1. Ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere ha il diritto di essere informata su tutti gli aspetti della propria condizione sanitaria e sui dati dell'evoluzione della patologia da cui è affetta. In particolare il medico deve, in modo completo e comprensibile, informare il paziente sulla diagnosi, sulla prognosi, sulla natura dell'intervento medico e chirurgico, sulle sue portata ed estensione, sui rischi delle procedure diagnostiche e terapeutiche, sui risultati conseguibili, sulle possibili conseguenze negative, sulla possibilità di conseguire il medesimo risultato attraverso altri interventi e sui rischi di questi ultimi, nonché sulle conseguenze del rifiuto dei trattamenti sanitari.
      2. È fatto salvo il diritto della persona interessata di rifiutare, esplicitamente e in qualsiasi momento, del tutto o in parte, le informazioni di cui al comma 1. In tale caso le medesime informazioni sono comunicate alla persona allo scopo indicata dall'interessato o, in mancanza, ai prossimi congiunti. Nella cartella clinica è fatta menzione del rifiuto a ricevere le informazioni e dell'eventuale indicazione di un soggetto delegato individuato ai sensi del presente articolo; l'annotazione è controfirmata dal soggetto delegato per accettazione.
      3. Nel caso di paziente minore di età, le informazioni di cui al comma 1 sono fornite a chi esercita la potestà genitoriale o la tutela. Nei casi di cui al titolo XII del libro primo del codice civile, le informazioni sono fornite, a seconda delle ipotesi, al tutore, al curatore o all'amministratore di sostegno, nonché al paziente, salvo che sussistano specifici motivi ostativi che i soggetti indicati sono tenuti a comunicare al medico.
      4. Qualora il paziente abbia validamente sottoscritto la direttiva anticipata di cui all'articolo 5, le informazioni previste dal comma 1 del presente articolo sono rese al fiduciario indicato nella direttiva stessa solo in caso di sopravvenuta incapacità dell'interessato.
      5. Al di fuori dei casi di cui ai commi 2, 3 e 4, il medico, salvo espresso consenso del soggetto legittimato a ricevere le informazioni di cui al comma 1, non può riferirle a terzi.

Art. 3.
(Consenso ai trattamenti sanitari).

      1. Ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere ha il diritto di accordare o di rifiutare il proprio consenso in relazione ai trattamenti sanitari che stanno per essere eseguiti o che sono prevedibili nello sviluppo della patologia in atto.
      2. Il consenso ai trattamenti sanitari del minorenne è accordato o rifiutato dagli esercenti la potestà genitoriale o la tutela. Il consenso ai trattamenti sanitari del soggetto, interdetto o inabilitato, legalmente rappresentato o assistito, è accordato o rifiutato dal tutore o dal curatore, unitamente al paziente stesso ove non sussistano specifici motivi ostativi al coinvolgimento di quest'ultimo.
      3. Qualora il paziente, non interdetto o inabilitato, abbia validamente sottoscritto la direttiva anticipata di cui all'articolo 5, il consenso ai trattamenti sanitari è accordato o rifiutato dal fiduciario ivi indicato qualora il paziente stesso abbia perduto la capacità di intendere e di volere o sia assolutamente impossibilitato a comunicare in maniera intelleggibile la propria volontà.
      4. I soggetti di cui ai commi 2 e 3 agiscono nell'esclusivo e miglior interesse del paziente.
      5. Il consenso ai trattamenti sanitari è richiesto espressamente prima dell'inizio dei trattamenti. Esso può essere sempre revocato, anche parzialmente, dai soggetti legittimati ai sensi della presente legge.
      6. In caso di ricovero ospedaliero, il consenso ai trattamenti sanitari, totale o parziale, ovvero il loro rifiuto, espressi nelle forme previste dalla presente legge, sono annotati nella cartella clinica del paziente.
      7. Non è richiesto il consenso ai trattamenti sanitari quando la vita del paziente è in pericolo o la sua integrità fisica è minacciata e non sussistono le condizioni temporali per acquisire il consenso o il dissenso libero e consapevole dall'interessato o per reperire altri eventuali soggetti legittimati in sua vece.

Art. 4.
(Effetti del rifiuto del consenso ai trattamenti sanitari).

      1. Il rifiuto del consenso ai trattamenti sanitari espresso dal paziente o da chi ne ha titolo deve essere sempre considerato dai sanitari.
      2. Il medico può agire in contrasto con il rifiuto al consenso dei trattamenti sanitari qualora rilevi che non siano utilmente disponibili trattamenti alternativi, che i trattamenti siano improcrastinabili dal punto di vista medico e che l'invasività o la pericolosità dei trattamenti dei quali si è rifiutato il consenso siano proporzionate ai conseguenti benefìci per la salute del malato.
      3. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche quando la volontà di negare il consenso ai trattamenti sanitari è espressa nelle direttive anticipate di cui all'articolo 5.

Art. 5.
(Direttive anticipate nei trattamenti sanitari).

      1. Ogni persona maggiorenne capace di intendere e di volere ha la facoltà di redigere una direttiva anticipata di trattamento sanitario, destinata ad affermare la volontà del soggetto in caso di perdita della capacità di intendere e di volere.
      2. Le direttive anticipate di trattamento sanitario sono redatte in forma scritta, firmate dal soggetto dichiarante e controfirmate per accettazione dal fiduciario. Per la loro validità non è richiesto l'intervento del notaio.
      3. Le direttive anticipate di trattamento sanitario sono sempre revocabili o modificabili dall'interessato con le modalità previste dai commi 1 e 2.
      4. L'esistenza di direttive anticipate di trattamento sanitario è comunicata dal paziente, dai prossimi congiunti o dal fiduciario ai medici curanti e, in caso di ricovero, è annotata nella cartella clinica del paziente.

Art. 6.
(Contenuti delle direttive anticipate nei trattamenti sanitari).

      1. Nella direttiva anticipata di trattamento sanitario di cui all'articolo 5 è nominato un fiduciario, maggiorenne, capace di intendere e di volere, al quale è demandato il compito di attuare la volontà del soggetto dichiarante in caso di malattia grave qualora questi abbia perso la capacità di intendere e di volere.
      2. Nella direttiva anticipata di trattamento sanitario il dichiarante può:

          a) esprimere la propria volontà in merito all'attivazione dei trattamenti sanitari ovvero, qualora essi appaiano sproporzionati o ingiustificati, alla loro sospensione;

          b) esprimere la propria volontà in merito alla sottoposizione a metodologie di supporto delle funzioni vitali, quali, a titolo esemplificativo, la respirazione artificiale o l'alimentazione e l'idratazione parenterali, ovvero, quando esse non possano essere ritenute ragionevolmente utili in funzione del ripristino dell'autonomia delle funzioni stesse, alla loro sospensione;

          c) chiedere l'applicazione di cure palliative, e in particolare della terapia del dolore, per rendere più umana la fase terminale della vita per sé e per i suoi familiari;

          d) specificare se desidera affrontare la degenza in strutture sanitarie oppure presso la propria abitazione, ove sussistano le condizioni adeguate;

          e) dare indicazioni sull'eventuale assistenza religiosa che desidera ricevere;

          f) disporre in merito alle donazioni di organi e di tessuti per trapianto e ai fini di attività di ricerca e di didattica.

Art. 7.
(Accanimento terapeutico).

      1. Al libro secondo, titolo XII, capo I, del codice penale, dopo l'articolo 593 è aggiunto il seguente:

      «Art. 593-bis. - (Accanimento terapeutico). - L'esercente una professione sanitaria che persevera, con trattamenti sanitari sproporzionati o ingiustificati, nel prolungare in modo artificioso la vita del paziente è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da 10.000 euro a 100.000 euro.
      La disposizione di cui al primo comma non si applica in caso di:

          1) terapie idonee a risparmiare inutili sofferenze;

          2) sperimentazioni in relazione alle quali il paziente ha prestato valido consenso.

      La stessa pena di cui al primo comma si applica all'esercente una professione sanitaria che si adopera in qualunque modo per prolungare in modo artificioso le funzioni vitali di pazienti stabilmente privi delle ordinarie e autonome capacità di idratazione, alimentazione e respirazione, quando tale intervento è fine a se stesso e non può essere ritenuto ragionevolmente utile al ripristino dell'autonomia delle funzioni stesse.
      Le pene sono raddoppiate quando il trattamento, la terapia o le attività di cui al terzo comma sono state avviate o mantenute contro la volontà del paziente, o della persona a ciò legittimata in sua vece, espressa con le modalità previste dalla legge.
      La condanna per taluno dei delitti di cui al presente articolo importa l'interdizione dalla professione per un periodo doppio rispetto a quello della pena comminata, nonché l'interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese per il medesimo periodo».


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