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PDL 2006

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 2006



PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato PAROLI

Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, e altre disposizioni sulla cittadinanza

Presentata l'11 dicembre 2008


      

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Onorevoli Colleghi! - In termini giuridici la cittadinanza è la condizione della persona fisica alla quale l'ordinamento giuridico di uno Stato riconosce la pienezza dei diritti civili e politici; essa, quindi, può essere vista come uno status del cittadino, ma anche come un rapporto giuridico tra cittadino e Stato. Secondo il nostro ordinamento la cittadinanza si può acquisire per:

          ius sanguinis (diritto di sangue), per la nascita da un genitore in possesso della cittadinanza;

          ius soli (diritto del suolo), per essere nato sul territorio italiano;

          matrimonio con un cittadino italiano;

          naturalizzazione, a seguito di un provvedimento della pubblica autorità, in presenza di determinate condizioni (residenza per un lungo periodo di tempo sul territorio nazionale, assenza di precedenti penali, rinuncia alla cittadinanza d'origine eccetera) o per meriti particolari.

      La scelta fondamentale che si trovano a fare gli ordinamenti è quella tra ius sanguinis e ius soli, avendo gli altri due istituti una funzione puramente integrativa; lo ius sanguinis (sul modello tedesco) presuppone una concezione «oggettiva» della cittadinanza, basata sul sangue, sull'etnia, sulla lingua (Johann Gottlieb Fichte); lo ius soli (sul modello francese) presuppone, invece, una concezione «soggettiva» della cittadinanza, come «plebiscito quotidiano» (Ernest Renan).
      L'adozione dell'una piuttosto che dell'altra opzione ha conseguenze rilevanti negli Stati interessati da forti flussi migratori in entrata o in uscita. Infatti, lo ius soli determina l'allargamento della cittadinanza anche ai figli degli immigrati nati sul territorio dello Stato: ciò spiega perché sia stato adottato da Paesi (quali Stati Uniti, Argentina, Brasile, Canada eccetera) che si sono trovati ad amministrare una forte immigrazione e, al contempo, un territorio nazionale così esteso da poter ospitare una popolazione maggiore di quella residente. Al contrario, lo ius sanguinis tutela i diritti dei discendenti degli emigrati, ed è dunque spesso adottato dai Paesi interessati da una forte emigrazione, anche storica (Armenia, Irlanda, Italia, Israele), o da ridelimitazioni dei confini (Bulgaria, Croazia, Finlandia, Germania, Grecia, Italia, Polonia, Serbia, Turchia, Ucraina, Ungheria).
      Può, quindi, accadere che una persona acquisti la cittadinanza dello Stato di origine dei genitori, dove vige lo ius sanguinis, e nel contempo quello dello Stato sul cui territorio è nata, iure soli.
      Un brevissimo cenno sulle tappe storiche della legislazione italiana sulla cittadinanza: nello Statuto albertino (1948) le donne erano subordinate all'autorità del pater familias, fatto molto rilevante, giacché la soggezione della donna e dei suoi figli al marito comportava che anche ciò che riguardava la cittadinanza del marito (perdita o riacquisto) si «riversasse» su tutta la famiglia. Con la legge n. 555 del 1912 si ribadiva il primato del marito nel matrimonio e la soggezione della moglie e dei figli alle vicissitudini che all'uomo potevano accadere in relazione alla cittadinanza. Essa stabiliva inoltre che: lo ius sanguinis era, come nell'attuale regime, il principio reggente, essendo lo ius soli una ipotesi secondaria; i figli seguivano la cittadinanza del padre e soltanto in forma residua della madre; la donna perdeva l'originaria cittadinanza italiana in caso di matrimonio con uno straniero la cui legge nazionale le trasmettesse la cittadinanza del marito, come effetto diretto e immediato del matrimonio stesso.
      La sentenza 9 aprile 1975, n. 87, della Corte costituzionale dichiarò l'illegittimità costituzionale dell'articolo 10, terzo comma, della legge 13 giugno 1912, n. 555, nella parte che prevedeva la perdita di cittadinanza italiana indipendentemente dalla volontà della donna.
      In seguito, la legge n. 123 del 1983 ha sancito che è cittadino per nascita il figlio minore, anche adottivo, di padre o di madre cittadini. Nel caso di doppia cittadinanza il figlio doveva optare per una sola cittadinanza entro un anno dal raggiungimento della maggiore età (articolo 5).
      Attualmente la legge n. 91 del 1992 stabilisce (articolo 1, comma 1) che è cittadino per nascita:

          a) il figlio di padre o di madre cittadini;

          b) chi è nato nel territorio della Repubblica, se ambo i genitori sono ignoti o apolidi, o se il figlio non segue la cittadinanza dei genitori, secondo la legge dello Stato di questi.

      Inoltre, la legge n. 91 del 1992 ammette in ogni caso il possesso della cittadinanza multipla, già ostacolata dall'articolo 5 della legge n. 123 del 1983. Leggi successive al 1992 hanno poi modificato l'accesso alla cittadinanza estendendolo ad alcune categorie di cittadini che, per ragioni storiche e collegate agli eventi bellici, ne erano rimaste escluse (legge n. 379 del 2000, recante disposizioni per il riconoscimento della cittadinanza italiana alle persone nate e già residenti nei territori appartenuti all'Impero austroungarico e ai loro discendenti; legge n. 124 del 2006, recante modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, concernenti il riconoscimento della cittadinanza italiana ai connazionali dell'Istria, di Fiume e della Dalmazia e ai loro discendenti).
      Allo stato attuale il cittadino straniero che ottiene la cittadinanza italiana può conservare anche quella del proprio Paese di origine. L'ammissione della doppia cittadinanza, riconosciuta con l'entrata in vigore della legge n. 91 del 1992, ha tuttavia provocato confusione e, tra i nostri neoconcittadini, molti sono coloro che hanno voluto acquisire la cittadinanza per una mera convenienza, senza alcun legame con la nostra storia e la nostra cultura, ma soltanto perché maggiormente protetti dallo Stato sociale: si è verificato un vero e proprio «arrembaggio» alla cittadinanza italiana, soprattutto iure sanguinis e per matrimonio, operato principalmente da quelle popolazioni di Paesi poveri che hanno tutto l'interesse ad entrare nel novero dei cittadini europei, e in particolare in quel privilegiato gruppo degli assistiti dallo Stato sociale italiano.
      L'attuale legislazione sulla acquisizione, perdita o riacquisto della cittadinanza italiana presenta alcuni aspetti che comportano un rilevante onere per lo Stato italiano, un aggravio per le pubbliche finanze ed una notevole complicazione nella gestione burocratica degli uffici preposti ad amministrare tali pratiche (soprattutto Ministero degli affari esteri e Ministero dell'interno).
      Va sottolineato, inoltre, che i tempi sono in veloce mutamento e la legislazione in questione, nonostante i suoi aggiornamenti, non è più né funzionale né rispondente ai bisogni della nostra società. Una nuova legge sulla cittadinanza dovrebbe avere ben chiaro come obiettivo il contenimento della spesa pubblica e dell'onere assistenziale e previdenziale, dato che il nostro Paese rappresenta oggi un vero e proprio «paese della cuccagna» per quegli sfortunati individui nati in Paesi molto meno ricchi del nostro: soprattutto in un momento in cui l'Italia è oggetto di forti e difficilmente arginabili flussi migratori da parte di popolazioni in gravi difficoltà.
      La presente proposta di legge è volta ad eliminare le distorsioni più pericolose della legislazione in materia di cittadinanza nel presupposto che, fermi restando i princìpi fondamentali della stessa, in concreto la cittadinanza vada concessa con cautela e soltanto a chi accetta di condividere pienamente e senza condizioni i nostri valori e la nostra cultura, nonché i princìpi del nostro ordinamento democratico.
      Gli articoli della presente proposta di legge sono diretti a sanare le lacune principali della legislazione vigente.
      L'articolo 1 prevede il pagamento di una tassa per l'istruttoria della pratica: allo stato attuale essa è assolutamente gratuita. Ad esempio in Gran Bretagna il prezzo per la sola istruttoria si aggira intorno alle 1.000 sterline. Questo fa sì che molti cittadini stranieri (in maggioranza del Sudamerica) che si rivolgono alle agenzie specializzate per l'ottenimento di una qualsiasi cittadinanza europea si sentono suggerire di chiedere quella italiana perché, appunto, gratuita. Da sottolineare che all'estero pullulano agenzie specializzate nella richiesta di cittadinanze e che queste offrono, tra i vari servizi di sbrigo pratiche presso i consolati, «pacchetti» preconfezionati.
      L'articolo 2 limita la discendenza iure sanguinis al nonno o al bisnonno: attualmente la legge non pone limite al numero di antenati cui si può far risalire la propria discendenza italiana. Questo implica che persone (anche stavolta sudamericane) che non hanno nulla a che fare con la nostra cultura, con nomi che non richiamano affatto i nostri, che non conoscono la nostra lingua e che, specialmente, vantano discendenze improbabili, documentate da registri a volte introvabili ed altre illeggibili, ottengano la nostra cittadinanza. Cittadinanza che, guarda caso, essi «usano» immediatamente per accedere a cure mediche pagate dal nostro Servizio sanitario nazionale o a pensioni sociali, in quanto nullatenenti e disoccupati, che vengono erogate sul posto e che, fatto il debito cambio di valuta, rappresentano un mensile di tutto rispetto. Non porre limiti alla discendenza è un principio ideologico obsoleto, che risponde alla esigenza di uno Stato che ha molti emigranti e che, soprattutto, identifica la propria importanza nella equazione popolo numeroso = molta potenza. Non è più così. Gli emigranti non mandano più i soldi «a casa». Quelli che tra loro hanno fatto fortuna non intendono in alcun modo chiedere la nostra cittadinanza, per ovvi motivi fiscali tutti gli altri; per la stragrande maggioranza, sono indigenti ed hanno invece bisogno di una assistenza sociale che allevi in qualche modo le loro ristrettezze economiche.
      L'articolo 3 fa valere per tutti i richiedenti le disposizioni, opportunamente modificate, della citata legge n. 379 del 2000, che prevedono la esibizione di documentazione che attesti l'appartenenza alla comunità italiana ed alla sua cultura, come un'antica frequentazione di istituti e scuole italiane, l'iscrizione da molto tempo a circoli italiani e tutto ciò che in qualche modo dimostri l'interesse per l'appartenenza alla nostra cultura ed ai nostri valori. Richiede la conoscenza parlata e scritta della lingua italiana, dato che si presentano sovente presso i nostri consolati (veri e propri avamposti di frontiera) persone che non parlano una sola parola di italiano. Del nostro Paese sanno una sola cosa: conviene essere italiani.
      L'articolo 4 esclude il possesso contemporaneo, a qualsiasi titolo, della cittadinanza italiana contestualmente ad un'altra cittadinanza non comunitaria, e ribadisce che tutti i cittadini, anche quelli stranieri non comunitari, non possono conservare una cittadinanza multipla e sono tenuti a sceglierne una.
      L'articolo 5 obbliga i figli stranieri adottati da genitori italiani, e viceversa, a scegliere una cittadinanza entro un anno dalla maggiore età o, se già maggiorenni, entro un anno dal provvedimento di adozione, dal riconoscimento eccetera.
      L'articolo 6 non permette la trasmissibilità della cittadinanza acquisita per matrimonio: in molti casi i cittadini stranieri, dopo aver acquisito la cittadinanza italiana, divorziano. Loro conservano la cittadinanza per poi trasmetterla al coniuge successivo che, guarda caso, è molto spesso del proprio Paese d'origine, con un «effetto domino» che in questo modo aggira le leggi sull'immigrazione (un escamotage di cui si servono soprattutto persone nordafricane e mediorientali).
      L'articolo 7 non consente che la cittadinanza sia conservabile sempre e comunque: se un cittadino, che ha la cittadinanza italiana acquisita, non conserva la propria residenza e degli interessi economici, finanziari, immobiliari o quant'altro su cui pagare le imposte allo Stato, per un periodo di almeno due anni, allora perde la cittadinanza italiana.


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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Copertura degli oneri burocratici).

      1. Le istanze per l'acquisto o la concessione della cittadinanza italiana, ai sensi degli articoli 5 e 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, devono essere corredate dalla documentazione attestante l'avvenuto versamento di un importo di 1.500 euro a titolo di contributo per le spese d'ufficio per l'avvio dell'istruttoria presso gli uffici preposti in Italia e all'estero.

Art. 2.
(Regolamentazione dell'acquisto della cittadinanza italiana per rapporti di parentela).

      1. La cittadinanza italiana può essere acquisita o concessa, per rapporti di parentela, solo per rapporti fino al secondo grado di parentela ascendente senza soluzione di continuità.

Art. 3.
(Condizioni per l'acquisto della cittadinanza italiana per rapporti di parentela).

      1. L'acquisto e la concessione della cittadinanza italiana per rapporti di parentela, fatte salve le disposizioni di cui all'articolo 2, sono subordinati alle seguenti condizioni:

          a) esibizione della documentazione attestante la frequentazione, da almeno tre anni, di scuole di lingua italiana o l'appartenenza a circoli e associazioni di lingua e cultura italiane presenti nel territorio di appartenenza;

          b) conoscenza della lingua italiana parlata e scritta;

          c) conoscenza dei princìpi fondamentali della Costituzione italiana.

Art. 4.
(Esclusione della doppia cittadinanza).

      1. L'articolo 11 della legge 15 febbraio 1992, n. 91, è sostituito dal seguente:

      «Art. 11. - 1. L'acquisizione della cittadinanza italiana, a qualsiasi titolo, è subordinata alla rinuncia contestuale alla precedente cittadinanza per tutti i cittadini stranieri non comunitari.
      2. Il cittadino straniero non comunitario che, dopo aver acquisito la cittadinanza italiana, acquista o riacquista, a qualsiasi titolo, una cittadinanza straniera perde quella italiana».

Art. 5.
(Elezione della cittadinanza in caso di riconoscimento o dichiarazione giudiziale della filiazione).

      1. Il comma 2 dell'articolo 2 della legge 15 febbraio 1992, n. 91, è sostituito dal seguente:

      «2. Se il figlio riconosciuto o dichiarato è maggiorenne conserva il proprio stato di cittadinanza, ma deve dichiarare, entro un anno dal riconoscimento o dalla dichiarazione giudiziale, ovvero dalla dichiarazione di efficacia del provvedimento straniero di Stato non comunitario, di eleggere la cittadinanza determinata dalla filiazione, con esclusione della doppia cittadinanza».

Art. 6.
(Non trasmissibilità della cittadinanza acquisita per matrionio).

      1. All'articolo 5 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è aggiunto, in fine, il seguente comma:

      «1-bis. Le disposizioni del comma 1 non si applicano in caso di nuovo matrimonio del cittadino straniero non comunitario che ha acquistato la cittadinanza italiana ai sensi del medesimo comma».

Art. 7.
(Perdita della cittadinanza).

      1. All'articolo 12 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, sono aggiunti, in fine, i seguenti commi:

      «2-bis. I cittadini stranieri non comunitari che acquisiscono, a qualsiasi titolo, la cittadinanza italiana la perdono se, entro un anno dall'acquisto, non eleggono residenza stabile nel territorio nazionale.
      2-ter. Il cittadino italiano che non è tale per nascita perde la cittadinanza acquisita a qualsiasi titolo se, per un periodo superiore a due anni consecutivi, risiede all'estero e non può esibire atti di proprietà, o contratti di affitto, o utenze, o conti correnti bancari o dichiarazioni dei redditi che attestino la persistenza di suoi interessi economici nel territorio nazionale».


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