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PDL N. 1836

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 1836



PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE

d'iniziativa dei deputati

SCANDROGLIO, BARANI, BIANCONI, CALDORO, DE LUCA, DI VIRGILIO, FAENZI, LAFFRANCO, LEHNER, MANCUSO, RAISI, PAOLO RUSSO, TESTONI

Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione, per la razionalizzazione dell'organizzazione territoriale della Repubblica mediante la soppressione delle province

Presentata il 28 ottobre 2008


      

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Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge costituzionale muove da un'esigenza di semplificazione del quadro istituzionale ormai percepita dalla stragrande maggioranza della popolazione. Attualmente ogni cittadino italiano è amministrato da almeno cinque livelli di governo: l'Unione europea, lo Stato, la regione, la provincia e il comune. Ciò senza contare i consigli di circoscrizione (che, propriamente, la dottrina esclude dal novero degli enti locali) e le comunità montane.
      Tutto ciò produce un'ipertrofia di regole e, soprattutto, una generale confusione sulla distribuzione dei compiti tra gli enti locali: oltre a essere soggetti ad una pressione fiscale esorbitante, cittadini e imprese devono anche sostenere il «costo» derivante dal caos istituzionale generato dalla proliferazione dei livelli di governo.
      Nel quadro attuale, le province sono certamente un ente lontano dalla popolazione: se si chiede a qualcuno il nome del presidente della provincia in cui vive, solo raramente si potrà avere una risposta, peraltro spesso scorretta; se poi ci si azzarda a chiedere i nomi degli assessori il «mistero» si fa veramente fitto e una qualche risposta è possibile solo per pochi «iniziati». Ciò deriva dal fatto che le funzioni delle province sono del tutto sconosciute ai cittadini e, molto spesso, anche ai giuristi.
      Effettivamente, la provincia è un ente le cui competenze sono sconosciute ai più perché sono quantitativamente e qualitativamente minime, artificiosamente determinate dalla legge, che ha scomposto e dissezionato funzioni che potrebbero tranquillamente essere svolte da regioni e comuni. Nessuno dubita che esistano esigenze di governo di «area vasta», ma ciò non implica che per sopperire ad esse sia necessario un ente locale ad hoc, come, d'altra parte, l'esperienza di taluni Stati europei ci insegna (si veda, ad esempio, la riorganizzazione degli enti locali effettuata dalla Thatcher in Gran Bretagna e confermata, pressoché integralmente, dal governo Blair).
      Il testo emerso dalla riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione invece di prendere atto dell'inutilità delle province e abolirle (o degradarle perlomeno ad ente costituzionalmente non necessario), è giunto addirittura ad elevarle ad elemento costitutivo della Repubblica, in virtù della riformulazione dell'articolo 114 («La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato»), al pari dello Stato.
      Nella storia dell'Italia repubblicana, più volte si è tentato di abolire le province: se ne è discusso in sede di Assemblea costituente e il dibattito è tornato d'attualità negli anni Settanta, allorquando sono state istituite le regioni ed è emersa in tutta chiarezza l'assurdità di conservare un ente intermedio tra regione e comune. La questione, comunque, riemerge spesso «carsicamente», dimostrando di costituire una problematica di costante attualità: negli anni Novanta, ad esempio, con la previsione delle città metropolitane (ad oggi esistenti solo sulla carta), il legislatore ha cercato, senza successo, di inaugurare un percorso che portasse all'eliminazione almeno di alcune province.
      Nel programma sottoscritto dal Popolo della libertà, dalla Lega Nord e dal Movimento per l'autonomia, e ampiamente approvato dai cittadini nelle ultime elezioni politiche, l'abolizione delle province viene riproposta con forza, nell'ottica di una razionalizzazione del quadro istituzionale che ne rafforzi l'autorevolezza e, contemporaneamente, liberi cittadini e imprese da oneri indiretti e «invisibili»: la presente proposta di legge costituzionale vuole tradurre in fatti anche questa parte del programma, forte dell'ampio mandato elettorale che giustifica completamente un'opera riformatrice particolarmente incisiva.
      Più specificamente, questa riforma costituzionale non si limita a disporre l'abolizione delle province, ma, in attesa di una organica riorganizzazione dell'intero assetto legislativo in materia di autonomie locali che tenga presente il mutato quadro istituzionale, privo di province, detta alcune norme transitorie su cui è il caso di soffermarsi.
      Innanzitutto, si dispone che i beni e i contratti di lavoro con i dipendenti delle abolite province siano trasferiti automaticamente alle regioni: con ciò, però, non si cristallizza il dato con legge costituzionale, poiché si fanno salvi successivi interventi del legislatore.
      Sempre sino all'adeguamento dell'ordinamento legislativo statale (e dunque conferendo al legislatore statale la piena autonomia nell'intervenire in materia, tenendo conto dei risultati della fase di prima applicazione della riforma costituzionale), le regioni hanno la facoltà di delegare ai comuni, con legge, le funzioni «ereditate» dalle province: ciò può accadere anche non per tutte le funzioni, ma la delega ai comuni deve comunque rispettare il principio di unicità, in quanto si richiede che venga evitato il frazionamento dei compiti inerenti alla medesima funzione.
      I comuni, di propria iniziativa, possono stipulare accordi tra loro per l'esercizio delle funzioni delegate: in questo modo i comuni possono sopperire a specifiche esigenze di governo di «area vaste» con strumenti flessibili, che permettono di determinare e disciplinare ciò che va amministrato congiuntamente tra più enti locali. La regione ha il compito di dettare i princìpi fondamentali cui gli accordi devono conformarsi; va però notato che l'eventuale inerzia da parte delle regioni non comporta la paralisi del sistema, in quanto i comuni possono procedere comunque alla stipula di questi accordi «nel rispetto dei princìpi fondamentali desumibili dall'ordinamento giuridico vigente».
      Vale la pena notare che gli accordi tra i comuni devono possedere un carattere di flessibilità e la disciplina regionale non può irrigidirli eccessivamente: ogni comune può stipulare gli accordi che preferisce in relazione a una o più esigenze inerenti alle funzioni delegate dalla regione, scegliendo anche, in ogni accordo, comuni «contraenti» diversi tra loro.


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PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE

Art. 1.
(Modifica della rubrica del titolo V della parte seconda della Costituzione).

      1. La rubrica del titolo V della parte seconda della Costituzione è sostituita dalla seguente: «Le Regioni e i Comuni».

Art. 2.
(Modifiche all'articolo 114 della Costituzionale).

      1. Il primo comma dell'articolo 114 della Costituzione è sostituito dal seguente:

      «La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato».

      2. Il secondo comma dell'articolo 114 della Costituzione è sostituito dal seguente:

      «I Comuni, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i princìpi fissati dalla Costituzione».

Art. 3.
(Modifiche all'articolo 117 della Costituzione).

      1. Alla lettera p) del secondo comma dell'articolo 117 della Costituzione, la parola: «, Province» è soppressa.
      2. Al terzo periodo del sesto comma dell'articolo 117 della Costituzione, le parole: «, le Province» sono soppresse.

Art. 4.
(Modifiche all'articolo 118 della Costituzione).

      1. Al primo comma dell'articolo 118 della Costituzione, la parola: «Province,» è soppressa.
      2. Al secondo comma dell'articolo 118 della Costituzione, le parole: «, le Province» sono soppresse.
      3. Al quarto comma dell'articolo 118 della Costituzione, la parola: «, Province» è soppressa.

Art. 5.
(Modifiche all'articolo 119 della Costituzione).

      1. Ai commi primo, secondo e sesto dell'articolo 119 della Costituzione, le parole: «le Province,» sono soppresse.
      2. Al quarto comma dell'articolo 119 della Costituzione, le parole: «alle Province,» sono soppresse.
      3. Al quinto comma dell'articolo 119 della Costituzione, la parola: «Province,» è soppressa.

Art. 6.
(Modifica all'articolo 120 della Costituzione).

      1. Al secondo comma dell'articolo 120 della Costituzione, le parole: «, delle Province».

Art. 7.
(Abrogazione del secondo comma dell'articolo 132 della Costituzione).

      1. Il secondo comma dell'articolo 132 della Costituzione è abrogato.

Art. 8.
(Abrogazione del primo comma dell'articolo 133 della Costituzione).

      1. Il primo comma dell'articolo 133 della Costituzione è abrogato.

Art. 9.
(Norme transitorie).

      1. Le Province sono abolite; sino all'adeguamento dell'ordinamento legislativo statale, le funzioni che, alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale, sono esercitate dalle Province sono trasferite alle Regioni che, con legge, possono delegarle ai Comuni, anche parzialmente, evitando comunque il frazionamento dei compiti inerenti alla medesima funzione.
      2. Fatta salva la possibilità di disciplinare diversamente la materia con legge dello Stato, i beni di proprietà delle Province alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale sono trasferiti alle Regioni, che li trasferiscono ai Comuni in relazione e in proporzione alle funzioni ad essi delegate ai sensi del comma 1.
      3. Fatta salva la possibilità di disciplinare diversamente la materia con legge dello Stato, i contratti di lavoro esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale tra le Province e i rispettivi dipendenti sono trasferiti alle Regioni, che li cedono ai Comuni in relazione e in proporzione alle funzioni ad essi delegate ai sensi del comma 1.
      4. Sino all'adeguamento dell'ordinamento legislativo statale, i Comuni cui siano state delegate funzioni ai sensi del comma 1 possono esercitarle anche congiuntamente con altri Comuni, stipulando appositi accordi.
      5. Le Regioni dettano con legge i princìpi fondamentali che i Comuni devono rispettare nello stipulare gli accordi di cui al comma 4, permettendo che ogni Comune possa stipulare accordi con Comuni diversi. Fino a quando la Regione non ha definito i princìpi fondamentali di cui al periodo precedente, i Comuni possono comunque stipulare gli accordi di cui al comma 4 nel rispetto dei princìpi fondamentali desumibili dall'ordinamento giuridico vigente.


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