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PDL 22-A

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 22-646-1070-1449-1491-1507-1692-1733-A



RELAZIONE DELLA I COMMISSIONE PERMANENTE
(AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI)

presentata alla Presidenza il 23 ottobre 2008

(Relatore: CALDERISI)

sulle

PROPOSTE DI LEGGE

n. 22, d'iniziativa dei deputati
ZELLER, BRUGGER, NICCO

Modifiche alla legge 24 gennaio 1979, n. 18, concernente l'elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia

Presentata il 29 aprile 2008

n. 646, d'iniziativa dei deputati
CICU, NIZZI, PORCU, MURGIA, OPPI, TESTONI, VELLA, BARBARESCHI

Modifiche alla legge 24 gennaio 1979, n. 18. Istituzione delle circoscrizioni Sardegna e Sicilia per l'elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia

Presentata il 30 aprile 2008


NOTA:  Per il testo delle proposte di legge nn. 22, 646, 1070, 1449, 1491, 1507, 1692 e 1733 si vedano i relativi stampati.


n. 1070, d'iniziativa del deputato PALOMBA

Modifiche alla legge 24 gennaio 1979, n. 18, concernente l'elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia, volte all'individuazione delle circoscrizioni elettorali su base regionale

Presentata il 16 maggio 2008

n. 1449, d'iniziativa dei deputati
GOZI, ZACCARIA

Modifiche alla legge 24 gennaio 1979, n. 18, concernente l'elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia

Presentata l'8 luglio 2008

n. 1491, d'iniziativa dei deputati
BOCCHINO, CALDERISI, BERNINI BOVICELLI, BERTOLINI, BIANCONI, CALABRIA, CRISTALDI, DE GIROLAMO, DISTASO, GREGORIO FONTANA, LA LOGGIA, LAFFRANCO, ORSINI, PECORELLA, SANTELLI, SBAI, STASI, STRACQUADANIO

Modifiche alla legge 24 gennaio 1979, n. 18, concernente l'elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia

Presentata il 16 luglio 2008

n. 1507, d'iniziativa dei deputati
SORO, SERENI, BRESSA, VASSALLO, FRANCESCHINI, AMICI, GOZI, ZACCARIA

Modifiche alla legge 24 gennaio 1979, n. 18, concernente l'elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia

Presentata il 18 luglio 2008

n. 1692, d'iniziativa dei deputati
LO MONTE, COMMERCIO, BELCASTRO, IANNACCONE, LATTERI, LOMBARDO, MILO, SARDELLI

Modifiche alla legge 24 gennaio 1979, n. 18, concernente l'elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia

Presentata il 24 settembre 2008

n. 1733, d'iniziativa dei deputati
ZELLER, BRUGGER, NICCO

Modifiche alla legge 24 gennaio 1979, n. 18, concernente l'elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia

Presentata il 1° ottobre 2008


      

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Onorevoli Colleghi - Nei giorni che stiamo vivendo l'Europa, che s'usa dire lontana dal cittadino comune, è entrata nella vita concreta di noi tutti, chiamata a frenare il crollo dei mercati del continente ed a suscitare azioni comuni per la salvezza dell'economia reale: invocata in soccorso dei risparmi e dei salari, guida e forza degli Stati. Un diffuso senso comune chiede a quelle azioni di allontanare la recessione, di restituire speranze e delineare la possibile uscita dal tunnel. È la stessa Europa che il «cittadino comune» conosce sempre più nei fatti concreti della sua vita: come responsabile del tasso di sconto e del costo del suo mutuo, del valore e dell'apprezzamento dell'euro, questo a volte fortemente avversato, delle tante regole che lo favoriscono o talvolta lo frenano e, da ultimo - per dire solo dell'immediata attualità - della complessa e difficile conciliazione fra la salvaguardia del proprio posto di lavoro e la tutela dell'ambiente.
      E tuttavia le istituzioni europee - il Consiglio, la Commissione, la Banca centrale e persino il Parlamento - restano ancora individualmente lontani da questa percezione diffusa. Le domande all'Europa si concentrano ancora e sempre più sulla rappresentanza nazionale: il Governo ed i membri italiani del Parlamento europeo. Una rappresentanza che deve farsi perciò sempre più attenta ed influente, capace di rappresentare la nazione in tutte le sue istanze e, insieme, forte quanto necessario per concorrere alla loro affermazione.
      È questo il contesto in cui la Commissione Affari costituzionali inserisce il testo di riforma della legge per l'elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia, testo che consegna qui all'esame dell'Assemblea.
      D'altro canto, la riforma interviene all'indomani delle elezioni politiche che sono state caratterizzate da una storica riduzione del numero dei partiti che hanno avuto accesso al Parlamento, segnando un'inversione di tendenza che ha privilegiato la nascita, su fronti contrapposti, di due grandi forze nazionali determinate dalla confluenza su basi programmatiche di diverse correnti di pensiero. Rispetto alla logica delle contrapposizioni identitarie che hanno afflitto le legislature seguite alla «legge Mattarella», si tratta di una semplificazione che è stata percepita come un autentica «liberazione» da parte dell'opinione pubblica. Si tratta di un fenomeno che segna la fuoriuscita dall'età delle ideologie forti e denota una modernizzazione in senso europeo del nostro sistema politico.
      Rispetto ad entrambi i versanti - quello europeo e quello del sistema politico nazionale - la legge vigente per l'elezione del Parlamento europeo presenta alcune gravi anomalie, in particolare quella dell'assenza di una qualsiasi soglia di sbarramento, assenza che consente la frammentazione esasperata della rappresentanza. Una frammentazione che non solo incide negativamente sull'efficacia della presenza dei nostri parlamentari nell'Assemblea di Strasburgo, ma ha effetti indiretti fortissimi sul nostro sistema politico, incentivando divisioni e conflittualità artificiose.
      È vero che nelle elezioni per il Parlamento europeo non si pone il problema di garantire la governabilità e la formazione di una maggioranza che sostenga il Governo - ragione per la quale una decisione dell'Unione europea prevede l'adozione di un sistema proporzionale da parte degli Stati membri - ma questo non significa affatto che il principio di rappresentatività proporzionale debba essere portato fino alle sue estreme conseguenze favorendo la frammentazione. Per questa ragione, la stessa decisione dell'Unione europea consente ai Paesi membri di prevedere soglie di sbarramento esplicite fino al 5 per cento.
      Le contingenze politiche italiane consigliano di agire in questa direzione. Nel limite del possibile, è importante che la tendenza alla riduzione della frammentazione e alla modernizzazione del sistema politico affermatasi nelle elezioni nazionali non sia contraddetta dalle prossime elezioni europee. Quantomeno è auspicabile che non vi sia più un sistema elettorale che agevoli il tentativo di chiudere in una parentesi quanto è accaduto il 13 e 14 aprile 2008.
      Per questo è opportuno e necessario che la «deframmentazione» del sistema politico si estenda alla nostra rappresentanza in Europa: per contare lì come nazione e per disinnescare qui il ritorno a pratiche antiche e superate, coltivate all'ombra della rappresentanza dello 0,7 per cento dei voti validi e dello 0,4 per cento degli aventi diritto al voto (le percentuali dell'ultimo seggio residuale assegnato ad una lista nelle elezioni europee 2004).
      Del resto non deve essere un caso se la gran parte delle altre nazioni applicano la misura massima di soglia esplicita consentita dalla direttiva del Consiglio europeo: il 5 per cento. Così Germania, Francia, Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Lettonia, Lituania, Slovacchia. Applicano una soglia del 4 per cento Austria e Svezia, del 3 per cento Grecia e dell'1,8 per cento Cipro. Per altro, nei paesi che eleggono un numero ridotto di parlamentari europei, agisce (anche) una soglia implicita ancora più consistente.
      La determinazione di una soglia di sbarramento è dunque un punto qualificante e determinante delle modifiche da apportare alla legge per l'elezione del Parlamento europeo.
      L'eccessiva diversità dei sistemi elettorali per i diversi tipi di elezioni - diversità giustificata solo in parte dalla specificità delle elezioni medesime - sottopone ogni anno il nostro sistema politico a sollecitazioni in direzioni diverse e a volte opposte. Si tratta di un fattore negativo che è causa non secondaria delle difficoltà di chiudere il processo di transizione del nostro sistema politico.
      Le scelte compiute dalle principali forze politiche con la nascita su fronti contrapposti del Pd e del Pdl e le scelte compiute dagli elettori il 13 e 14 aprile scorso hanno plasmato il sistema politico in direzione di una bipolarizzazione semplificata. Si sono forse create le condizioni per portare finalmente a compimento la transizione. Si tratta di decidere se assecondare o meno questo processo introducendo i correttivi necessari, a partire dalla legge elettorale europea con la quale si voterà il prossimo anno.
      Pertanto, la misura dello sbarramento nella legge elettorale europea ha inevitabilmente un carattere «sistemico» e non va determinata in rapporto ai numeri di cui si possono accreditare le forze politiche in concorso, in particolare quelle che non sono presenti in questo Parlamento, per poter patteggiare inclusioni o aggregazioni possibili.
      Fino alle ultime elezioni politiche, la soglia del 5 per cento è stata ritenuta quella più opportuna, in particolare da parte di forze politiche come l'Udc e Rifondazione comunista attraverso l'indicazione del modello tedesco (che ha la soglia di sbarramento pari al 5 per cento come elemento qualificante). Una soglia la cui adozione non corrisponde affatto alla scelta di un sistema bipartitico - come esponenti dell'Udc hanno sostenuto in Commissione - ma consente l'esistenza autonoma di una pluralità di forze politiche. Una soglia che, in ogni caso, non determinerebbe l'esclusione dall'arena politica di quelle forze che non dovessero conseguire un numero sufficiente di consensi, potendo queste forze ben portare il proprio contributo ai processi aggregativi in atto tanto nel centrodestra che nel centrosinistra.
      Non si comprende pertanto come proprio molti dei sostenitori del sistema tedesco affermino oggi che una soglia del 5 per cento metterebbe in causa la democrazia.
      All'indomani delle elezioni del 13 e 14 aprile, sembrava che tanto il Pdl quanto il Pd volessero muoversi in questa direzione, portando a compimento la riforma del sistema politico avviata dal voto degli elettori. Da allora sembra che siano cambiate molte cose e che in casa del Pd sia in atto un ripensamento in una direzione che non riusciamo a comprendere. Noi ci auguriamo che possa riannodarsi il filo interrotto di quel dialogo. È in gioco non l'interesse di parte di questa o quella forza politica, ma l'interesse generale del paese alla modernizzazione in senso europeo del sistema politico.
      Esaminiamo più da vicino il merito della riforma. Poche ma determinanti le modifiche introdotte dalla Commissione ad un sistema che resta sostanzialmente identico: quello per liste concorrenti nelle circoscrizioni, proporzionale secondo la formula dei quozienti interi e dei maggiori resti, con ripartizione e assegnazione dei seggi alle liste direttamente nel collegio unico nazionale.
      Su questo schema si innestano le modifiche approvate dalla Commissione: il raddoppio del numero delle circoscrizioni elettorali, da cinque a dieci (quelle della proposta del Pd), l'introduzione di una soglia di sbarramento del 5 per cento per l'accesso alla ripartizione dei seggi, la esclusione del voto di preferenza, una nuova disciplina intesa a favorire la parità di accesso alle candidature. Altre modifiche sono in gran parte conseguenze delle prime: un diverso sistema di ri-assegnazione nelle circoscrizioni dei seggi attribuiti a ciascuna lista, la disciplina delle sottoscrizioni, la modalità di espressione del voto nella scheda senza preferenze, le condizioni di maggiore favore per le liste espressioni di minoranze linguistiche e poco altro.
      Altre o diverse modifiche - per queste medesime parti e per altre ancora della legge vigente - sono state avanzate sia nelle proposte iniziali, sia nel corso dell'esame attraverso gli emendamenti al testo che si andava formando.
      Le proposte su altre parti della legge riguardavano la prefigurazione di nuove cause di incandidabilità e, successivamente, di ineleggibilità per i membri del Governo nazionale, per i presidenti di regione, di provincia e dei comuni più popolosi, di incandidabilità per soggetti condannati con sentenza definitiva per delitti non colposi, il divieto di candidature multiple, la regolazione e limitazione delle spese elettorali, l'introduzione dell'onere di prestare una «cauzione» in denaro per la presentazione delle liste e, in una proposta iniziale e nel testo unificato deliberato dalla Commissione, la sostituzione del metodo d'Hondt con la formula dei quozienti interi e dei maggiori resti, proposta - quest'ultima - avanzata da parte di più gruppi e poi accolta dalla Commissione nel testo definitivo.
      Differenze determinate e profonde si sono manifestate sui due punti più qualificanti del testo: il livello della soglia di sbarramento e la esclusione del voto di preferenza. Su queste modifiche il contrasto, argomentato e articolato anche in rapporto alle scelte sulle altre parti della legge in discussione, è stato ritenuto irriducibile e inconciliabile al punto da determinare la decisione dei deputati dei gruppi Udc e Pd di abbandonare i lavori della Commissione nel corso dell'esame degli emendamenti.
      Su tutte, la conservazione del voto di preferenza si è rivelata di fatto la questione pregiudiziale che ha condizionato e reso impossibile ogni altro tentativo di articolare diversamente le altre parti del testo, alla ricerca di un equilibrio che consentisse a tutta la Commissione di convergere su di un testo unitario.
      Se in passato l'esigenza di modificare la legge vigente derivava prevalentemente dalla lunga rivendicazione della Sardegna, alla quale l'attuale assetto delle circoscrizioni ha sempre precluso, di fatto, la possibilità di esprimere anche un solo deputato europeo, pur avendo essa una popolazione pari a due quozienti, oggi si avverte diffusamente che questa legge non risponde più alla evoluzione avuta dal nostro sistema politico e che questo stride fortemente con il proporzionalismo estremo delle piccole e piccolissime quote, con le «rendite» lucrate dalle frange marginali delle coalizioni, con la riedizione - forse in abito tedesco - della teoria «dei due forni» e, soprattutto, si avverte diffusamente che la frammentazione estrema della nostra rappresentanza non consente all'Italia di essere presente negli organismi europei con i numeri e le personalità necessarie a influire sulle decisioni che ci toccano.
      Nelle argomentazioni di quanti si oppongono alla introduzione di una significativa soglia di accesso ed alla esclusione del voto di preferenza è tornata ricorrente una singolare tesi sul rapporto che intercorre fra questa legge elettorale e il ruolo del Parlamento europeo. Ad esempio, secondo l'on. Volontè la «frammentazione della rappresentanza europea» è «un problema che non esiste, atteso che la maggior parte dei deputati italiani al Parlamento europeo di fatto non vanno mai in Parlamento e che, in ogni caso, sono organizzati nei gruppi parlamentari europei che non sono numerosi» (vedi Bollettino delle Giunte e delle Commissioni parlamentari del 17 settembre 2008, pagine 103-104). Più ancora, per l'on. Castagnetti «la frammentazione riguarda pressoché tutte le delegazioni nazionali» e, pertanto, «non si può sperare di correggere un carattere strutturale del Parlamento europeo intervenendo su di una singola delegazione nazionale». Ne emerge la visione di una legge elettorale che deve limitarsi ad assegnare quote di partecipazione ad un organismo di tribuna, giacché «la frammentazione non impedisce il funzionamento del sistema, atteso che il Parlamento europeo non ha responsabilità di governo» (vedi Bollettino delle Giunte e delle Commissioni parlamentari del 30 settembre 2008, pagina 7). Anche per l'on. Pisicchio «il Parlamento europeo non deve esprimere una maggioranza di governo ma solo una rappresentanza delle culture più significative» (vedi Bollettino delle Giunte e delle Commissioni parlamentari del 18 settembre 2008, pagina 22). Una visione riduttiva del Parlamento europeo e, purtroppo, sostanzialmente spartitoria della relativa legge elettorale.
      Gli è che sulla revisione della legge elettorale europea e sul testo che ora la Commissione rassegna all'Assemblea, l'oggetto vero della contesa riguarda - come abbiamo già sottolineato - il sistema politico ed il sistema istituzionale nazionali: la contesa è fra quanti ritengono che la riforma della legge elettorale europea sia l'occasione inevitabile e da non perdere per proseguire e consolidare il riassetto del nostro sistema politico-istituzionale scaturito dal voto del 13 e 14 aprile scorso e quanti invece ritengono che proprio a quel riassetto ci si debba opporre. È il consenso o l'avversione ad una legge elettorale che intende favorire il «raccogliersi» del sistema politico intorno a due grandi opzioni alternative e, ancor più direttamente, il consenso o l'avversione al rapporto diretto che si è instaurato fra il corpo elettorale e l'esecutivo, alla libertà consegnata finalmente all'elettore di votare direttamente per il governo, liberando quest'ultimo dalla variabilità e, talvolta, dalla capricciosità delle alleanze parlamentari.
      Le modifiche che la Commissione propone alla legge per l'elezione europea mirano proprio a favorire quel «riassetto». La Commissione ha fatto prevalere la visione sistemica della soglia, con riguardo alla funzione che le si può assegnare nell'attuale contesto politico. Questa non è intesa principalmente ad escludere, ma ad aggregare; a «deframmentare», come si può dire con il pessimo gergo mutuato dall'invasione linguistica dell'informatica. La soglia del cinque per cento - commisurata ai numeri delle possibili ipotesi sul totale dei voti validi che saranno espressi nella votazione del 2009 - deve convincere alla ragione positiva le forze che il risultato del 2008 ha tenuto fuori del Parlamento, a destra come a sinistra.
      Invece dal dibattito svoltosi in Commissione è emersa forte l'impressione che l'occhio fosse prevalentemente rivolto a ipotizzare i numeri e, dietro di questi, i voti ottenuti da quelle forze politiche nel 2004 e nel 2008. Perché magari una qualche aggregazione elettorale - comunque ottenuta nei numeri - potesse far ripartire il sistema politico da qualche mese prima dell'aprile 2008. È sembrato che l'abbassamento di quella soglia fosse ispirato al più alla conservazione di élites di partito intente, all'ombra della rivendicazione di antiche culture politiche, ad inseguire le «rendite» che il sistema - questo sistema elettorale - ancora può consentire alle posizioni marginali piuttosto che a perseguire disegni, progetti e speranze comuni o, almeno, unificanti.
      È convinzione comune che non basta un qualche numero di modifiche alla legge elettorale per «correggere», o «sanare», un sistema politico radicato nel tempo e fortemente connesso alla società che lo esprime. Questa ovvia percezione è usata però impropriamente quando si intende farne l'argomentazione contro taluni difetti - o soltanto effetti - di un sistema elettorale. Se la «deframmentazione» è l'obiettivo per il nostro sistema politico, soglia di sbarramento ed esclusione del voto di preferenza ne sono - o ne potranno essere - gli strumenti efficienti all'interno della legge elettorale. Le altre modifiche seguono o vi sono connesse. A nessuno deve però sfuggire che la contrapposizione sul voto di preferenza, o sul livello della soglia di sbarramento non può essere condotta in termini di anatemi e di ultimatum. Sarebbe paradossale e persino risibile non sgombrare il campo dalla accusa secondo cui la maggioranza mira ad un sistema dal carattere "semifascista" perché "inteso a favorire un tendenziale bipartitismo", come ha sostenuto l'on. Buttiglione (vedi Bollettino delle Giunte e delle Commissioni parlamentari del 17 settembre 2008, pagina 99), o da quell'argomentare secondo cui se "forse non sarà fascismo", la legge prefigurata dalle modifiche qui proposte «è simile a quella che Mussolini volle per consolidare il suo regime: la "legge Acerbo"», anzi peggiore, perché quella «almeno offriva al popolo la possibilità di cancellare dalla lista bloccata gli indesiderati», come ha affermato l'on. Pisicchio (vedi Bollettino delle Giunte e delle Commissioni parlamentari del 18 settembre 2008, pagina 23). Il favore al voto di preferenza e l'avversione alla soglia di sbarramento meritano sicuramente argomentazioni più eleganti e difese di maggior pregio.
      La decisione sul numero e la dimensione delle nuove circoscrizioni ha avuto come motivo ispiratore la questione della rappresentatività dei territori. Si è detto prima della annosa questione della rappresentanza della Regione Sardegna e si può aggiungere qui che il tentativo fatto di modificare questa legge nella scorsa legislatura ruotava in maniera ancora più determinata intorno alle molte richieste di rappresentanza diretta di ciascuna regione nel Parlamento europeo. In primo luogo i territori in cui sono presenti le minoranze linguistiche riconosciute (Valle d'Aosta e Provincia autonoma di Bolzano) ma, a seguire, le regioni e persino le province che si sentivano «assorbite» dalle città o dai territori più popolosi delle circoscrizioni in cui convivono.
      Anche le proposte presentate in questa legislatura ripetono le medesime istanze: da ventitrè circoscrizioni per accogliere la massima diffusione della rappresentanza, sino ad ipotizzare la divisione della regione Lombardia in due circoscrizioni, alle sei del distacco della sola regione Sardegna. Nel mezzo, quelle che portano le circoscrizioni a coincidere con le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e altre che scelgono dimensioni intermedie, proponendone quindici o dieci.
      Su questo aspetto la decisione della Commissione è stata motivata dall'obiettivo di non disperdere eccessivamente la rappresentanza collegandola a territori troppo piccoli per il numero di deputati europei spettanti all'Italia, territori che inevitabilmente farebbero assumere a quella rappresentanza un carattere troppo localistico. Inoltre la dimensione «ottimale» di territori la cui popolazione varia intorno ai quattro ed ai sei milioni di abitanti consente di ottenere circoscrizioni a cui sono assegnati dai sei agli otto seggi. La tabella delle popolazioni e dei seggi è riportata nella ultima parte della relazione.
      Nel corso della discussione però la questione del numero e della dimensione delle circoscrizioni si è strettamente connessa, nelle proposte avanzate prevalentemente dai gruppi di opposizione, alla abolizione del voto di preferenza. Per questi la riduzione della ampiezza delle circoscrizioni a sei o ad otto seggi - in assenza del voto di preferenza - non sarebbe affatto sufficiente a rendere immediata e diretta la scelta del candidato da parte dell'elettore; la lista, cioè, non sarebbe ancora sufficientemente «breve» perché l'elettore possa trovarvi una alternativa valida al voto di preferenza.
      Nessuna ipotesi è stata invece avanzata sulla possibilità di trasferire in sede circoscrizionale la ripartizione dei seggi giacché, quale che ne sia la formula di assegnazione, questa sola misura farebbe salire la soglia di accesso ai seggi ben oltre il limite qui accolto.
      Temiamo che anche sulla scelta di sopprimere il voto di preferenza le argomentazioni di merito, le ragioni di opportunità, le valutazioni tecniche e quant'altro possa essere suggerito da una sana ermeneutica del dubbio siano state di fatto oscurate dalla impostazione tutta contingentemente politica che «la preferenza» ha assunto in questo contesto. La sua conservazione è stata spesso, esplicitamente rivendicata non nel merito ma - prima di ogni altra ragione - perché nell'attuale contesto politico il voto di preferenza è ritenuto l'unica possibilità che la legge elettorale può offrire per contrastare, e possibilmente scardinare, il partito monolitico del leader, quella situazione di imperio nella quale si sarebbe attribuito con legge il potere di nominare deputati, senatori e, a scendere, ogni altra carica politica. Secondo quelle intenzioni, l'esito del voto di preferenza potrebbe ristabilire una «sana» ed effettiva competizione all'interno di quei partiti - tra i «principi elettori» e tra questi e l'imperatore - e, per questa via, «rimescolare le carte» in vista di nuove e più favorevoli elezioni. Le altre motivazioni, seguono.
      Specularmente, la nostra contrarietà al voto di preferenza non nasce da un pregiudizio sulla sua «irresistibile natura corruttrice». Dove corruzione vi è stata il voto di preferenza era soltanto uno degli strumenti di cui si serviva l'intreccio degli interessi che si raccoglievano intorno all'esito delle elezioni. Torniamo perciò ostinatamente a ripetere che la questione del voto di preferenza non può essere affrontata in chiave ideologica o demagogico-moralistica, ma va valutata laicamente, senza tralasciare la memoria, il vissuto recente e l'esperienza attuale.
      La nostra contrarietà al voto di preferenza si fonda sulla valutazione degli effetti negativi che esso ha in generale nei sistemi di votazione che abbiamo conosciuto sinora.
      Coloro che si oppongono alle liste «bloccate», in particolare a proposito delle ultime elezioni politiche nazionali, sostengono che il ripristino del voto di preferenza rappresenta l'attribuzione di una più ampia libertà di scelta agli elettori. Il che può sembrare vero solo ad un'analisi superficiale. Nelle democrazie moderne, caratterizzate da fenomeni di interconnessione politico-economica sempre più ampi, il meccanismo delle preferenze sfugge infatti ad un utilizzo individuale basato prevalentemente sul convincimento e sull'individuazione della qualità, per divenire lo strumento di lobbies per lo più trasversali e non sempre di natura legale. In questo contesto il voto di preferenza provoca inevitabilmente un ampliamento dei costi delle campagne elettorali e, più in generale, di tutta la politica. E se la riduzione dei costi della politica è uno degli obiettivi sempre più all'ordine del giorno, sembra difficile che esso possa essere raggiunto attraverso la conferma o l'estensione del voto di preferenza. Tenuto conto delle risorse da impegnare in una campagna elettorale «impreziosita» dal voto di preferenza, viene alla mente il candidato come imprenditore politico a proposito del quale Gaetano Mosca diceva che «Non sono gli elettori che eleggono i deputati, ma sono i deputati che si fanno eleggere dagli elettori».
      La legge elettorale vigente concede larga facoltà in proposito: l'elettore può esprimere sino a tre preferenze in circoscrizioni che sino al 2004 eleggevano da nove (Italia insulare) a venti deputati europei (Italia Nord-occidentale). Delle proposte presenti all'avvio dell'esame in commissione alcune prevedevano la soppressione del voto di preferenza (Zeller e Bocchino), talune la facoltà di un solo voto di preferenza (Palomba, Gozi), sia nella sua versione ordinaria in tutte le circoscrizioni (Palomba) o soltanto in Sicilia e Sardegna (Cicu), sia in una forma ponderata rispetto al consenso ottenuto dalla «lista bloccata» (Gozi). Altre (Soro) una sola preferenza, o due se diverse per genere, altre ancora due o tre a seconda della ampiezza della circoscrizione (Lo Monte).
      Negli altri Stati dell'Unione l'articolazione è ampia ma, come è emerso ripetutamente nel dibattito svoltosi in Commissione, il voto di preferenza non è né diffuso né determinante per decidere del grado di libertà lasciato all'elettore. Uno studio curato dal Parlamento Europeo, Direzione generale delle politiche interne dell'Unione, ricorda che:

          il voto di preferenza è escluso in Germania, Francia, Inghilterra, Spagna, Portogallo, Scozia e Galles, Olanda, Grecia, Ungheria, Lettonia (vale a dire tutti i paesi più grandi);

          fa parte del sistema di votazione, secondo tecniche che consentono di ponderare il numero delle preferenze in Austria, Danimarca, Svezia, Slovenia, Lituania, Repubblica Ceca, Belgio, Finlandia e Slovacchia (in Belgio, ad esempio, metà dei voti di lista senza espressione di preferenza sono considerati confermativi dell'ordine di presentazione, essendo devoluti prima al capolista e poi ai candidati che lo seguono, il che rende molto difficile mutare l'ordine di lista, soprattutto se il numero di rappresentanti da eleggere è basso, come per il Parlamento europeo); in Estonia, dove concorrono candidati indipendenti che raccolgono un voto personale in contrapposizione a candidati presenti nelle liste di partito; in Lussemburgo, dove l'elettore sceglie entro liste che contengono candidature in sovrannumero rispetto ai deputati da eleggere; in Polonia, dove l'elettore può formulare una propria graduatoria dei candidati in lista;

          votano con il sistema del Singolo Voto Trasferibile (STV) gli elettori di Malta, dell'Irlanda e, nel Regno unito, quelli dell'Irlanda del Nord.

      Nel nostro Paese, all'inizio degli anni '90, le iniziative referendarie che produssero la modifica del sistema politico-elettorale presero le mosse proprio dalla battaglia contro il sistema delle preferenze, condotta attraverso una lunga campagna «moralizzatrice» che spesso non esitò ad operare una meccanica ed insensata corrispondenza tra voto di preferenza e corruzione. Da quella esagerazione, sembra si sia oggi passati ad un'esagerazione di tipo opposto che invoca il ritorno al voto di preferenza contro lo «strapotere» dei partiti, dimenticando del tutto ciò che il sistema delle preferenze effettivamente e concretamente ha significato e comportato.
      Se non abbiamo perso del tutto la memoria e vogliamo trarre ammaestramento dalla nostra storia, dobbiamo ricordare che il voto di preferenza è stato lo strumento di quella che allora veniva chiamata la «degenerazione correntizia» dei partiti, il motore dell'esplosione delle spese della campagna elettorale per la «raccolta del consenso», l'occasione di molta corruzione, del controllo del voto attraverso le preferenze multiple e di molto altro ancora.
      I sostenitori incondizionati del voto di preferenza dovrebbero ripercorrere, con leggerezza d'animo, almeno gli ultimi capitoli di un esilarante e amaro pamphlet scritto dall'ambasciatore Roberto Ducci per «trarre qualche considerazione generale» dalla sua esperienza di candidato nelle liste della Democrazia Cristiana alla prima votazione per l'elezione del Parlamento europeo: «Candidato a morte» (editore Li Causi, 1983).
      In primo luogo per il surreale racconto della descrizione del «gentlement's agreement» che, secondo il «Segretario di Sezione», vigeva nei seggi elettorali per lo spoglio ed il conteggio dei voti di preferenza (p. 117). Ne trae conclusioni amarissime: «La mia tesi è che la responsabilità della corruzione politica (...) spetta all'inizio al sistema delle preferenze. Con tale sistema il candidato non ha altra scelta che di essere corrotto per poter corrompere coloro che possono assicurargli il successo. Il candidato ha bisogno di fondi notevoli per finanziare la propria propaganda e i brogli in proprio favore. Che il partito finanzi ciascuno dei suoi candidati con una uguale somma perché si scannino gli uni con gli altri è impensabile (...)» (p. 139) Al termine di quella esperienza lo pervade un profondo, forse eccessivo scetticismo. Così scrive del voto di preferenza ritenuto «da taluni» come una affermazione di democrazia avanzata: «Temo che anche questo preteso progresso democratico si riveli alla fine per quello che è: l'ennesima fuga dell'italiano medio dalle sue responsabilità, l'anelito al compromesso, il rifiuto di impegnarsi in una vera scelta. Se un elettore non è contento di un partito, perché non vota per un altro (in Italia poi, ove non abbiamo l'imbarazzo della scelta)? No, egli vota per il partito al potere al quale è quindi meglio non mettersi contro, .... ma si salva poi l'anima, preferenziando i candidati «buoni» ed evitando di favorire quelli "cattivi"» (p. 151).
      Per il tempo presente dobbiamo ricordare che nella Regione Toscana la maggioranza di centrosinistra ha tratto ammaestramento da alcune infelici vicende giudiziarie che ancora una volta hanno messo in evidenza la lievitazione delle spese elettorali e le connesse degenerazioni prodotte dal voto di preferenza. Ne è uscita la prima legge elettorale regionale che ha abolito «il listino» ed il voto di preferenza.
      Considerazioni sull'oggi, fortemente attuali, sono anche quelle che leggiamo nel Rapporto realizzato dal Gruppo di riflessione strategica insediato nell'ottobre 2007 dal Ministro degli affari esteri pro tempore Massimo D'Alema («Rapporto 2020 - Le scelte di politica estera»), rapporto che a pagina 23, allegato n. 4 in tema di «Riforma della Legge per le elezioni europee», afferma che con «l'attuale meccanismo del voto di preferenza (...) oltre a rendere costosissime le campagne elettorali (...) si limita oggettivamente la possibilità di selezionare una classe dirigente più giovane e consona alle competenze e alle complessità dell'arena comunitaria». E tra i punti indicati per una proposta di riforma il rapporto pone «la "riconsiderazione" del voto di preferenza in circoscrizioni più numerose e più ampie di quelle attuali e la necessità di diminuzione dei costi (l'Italia - ricorda il rapporto - è l'unico tra i paesi grandi e medi ad utilizzare il voto di preferenza)».
      Come tutti sappiamo bene, la decisione sul voto di preferenza incide fortemente sulla scelta della «forma-partito»; e non vi è dubbio che la sua previsione, con la competizione fratricida che scatena all'interno di ciascun partito, proprio in coincidenza temporale con lo svolgimento della campagna elettorale, favorisce il modello di partito basato sui notabili e sulle correnti organizzate che mina l'unità di indirizzo del partito politico.
      Una competizione fratricida che potrebbe risultare esiziale per i processi aggregativi in atto tanto nel centrodestra che nel centrosinistra, processi determinati dalla confluenza su basi programmatiche di diverse correnti di pensiero. Come ha giustamente rilevato l'on. Bianconi nel suo intervento in Commissione, la scelta tra soppressione o meno del voto di preferenza dovrebbe essere compiuta soprattutto con riguardo alla necessità di salvaguardare tali processi, oggi in fase nascente, per consentire finalmente il compimento di quella transizione del nostro sistema politico verso un bipolarismo di tipo europeo, che il paese attende da sin troppo tempo.
      Inevitabilmente, le preferenze finiscono per indebolire i partiti, ben lontani ormai da quelle «macchine» politiche di massa fondate sull'integrazione sociale che hanno segnato il XX secolo. Oggi che i partiti non sono troppo forti bensì troppo deboli, ma sono comunque necessari al funzionamento del sistema politico, garantirne la funzione vuol dire consentire loro di selezionare la classe dirigente attraverso processi che assicurino la trasparenza dei meccanismi decisionali, e che pongano gli elettori nelle condizione di premiare o sanzionare le loro scelte.
      Dovremo essere saggi e attenti. Abbiamo avviato una strada: l'aumento del numero delle circoscrizioni e il ridimensionamento della loro ampiezza, accorcia la lunghezza delle liste ed offre all'elettore una scelta visibile, comprensibile e controllabile. Visibile, perché egli può rendersi più facilmente conto delle candidature, delle poche candidature che gli sono proposte. Non resta disperso e frastornato da 30, 40 o addirittura 44 nomi, come per la elezione della Camera dei deputati, ma tra pochi nomi, in media 7 con la proposta di dieci circoscrizioni. L'elettore, pertanto, può comprendere il senso di quelle candidature perché trova sicuramente più facile conoscere specificamente quei pochi candidati, perché - se quelli non sono usciti da qualche strana combinazione di astri - fanno parte della vita politica, economica, sociale di quella circoscrizione. Dicevamo infine che può controllarli, nel senso che in una circoscrizione in cui il partito elegge due, tre o quattro deputati europei, questi possono essere seguiti e valutati nel corso dei cinque anni. Vi sono dunque le condizioni perché gli elettori e le formazioni sociali in cui essi si riconoscono possano attivare un effettivo rapporto di controllo e indirizzo sugli eletti. Non giova, per inveterato e facile scetticismo, sottovalutarne la portata innovativa.
      Ad adiuvandum, ricordiamo una proposta di legge avanzata, si direbbe, in tempi insospettabili da due esponenti della cultura riformista e cattolico-democratica come gli onn. Barbera e Bodrato (Atto Camera n. 3309 del 1993). Prevedeva circoscrizioni di ampiezza limitata, con liste corte e senza voto di preferenza (oltre che uno sbarramento di fatto del 5 per cento), esattamente come la proposta di legge al nostro esame. Nella relazione i presentatori affermavano: »Se immaginiamo piccole circoscrizioni (...) con un numero complessivo di seggi che non superi le otto unità, dentro di esse ciascuna forza politica non eleggerà ragionevolmente più di due o tre rappresentanti. Si avrà quindi una prevedibilità degli effetti del proprio voto: il voto di lista assumerà la valenza di un voto di preferenza a candidati ben individuabili».
      Il dibattito in Commissione è stato molto ampio, con oltre trenta interventi che, sia pure con ripetitività, hanno affrontato i temi principali, in particolare quello del voto di preferenza. Raramente un tema è stato tanto dibattuto in sede di Commissione.
      Lo ricordavamo iniziando: alcuni colleghi, soprattutto dell'Udc e dell'Idv, hanno fatto ricorso a toni e argomenti che ritengo francamente esagerati, esasperati, addirittura apocalittici.
      Non contestiamo certamente la legittimità di posizioni che rispondono a finalità prettamente politiche, ma non possiamo non evidenziare la strumentalità di certi toni e argomenti esagerati ed esasperati. Essa appare evidente se solo si considera che la soppressione del voto di preferenza era già contenuta nella proposta di testo unificato presentata nella scorsa legislatura nella Commissione Affari costituzionali della Camera dal relatore on. Gozi. L'esame in Commissione andò avanti per quasi sei mesi, dal 1o agosto 2007 all'8 gennaio 2008 e, salvo pochissime eccezioni (in particolare l'on. Boato), la Commissione presieduta dall'on. Violante era sostanzialmente unanime nel compiere quella scelta.
      Ebbene, in quel dibattito tenutosi nella scorsa legislatura non solo il gruppo dell'Ulivo era favorevole alla soppressione del voto di preferenza, ma non intervenne neppure un solo deputato dell'Udc per contrastare quella scelta. Udc che, del resto, aveva votato poco tempo prima a favore della nuova legge per le elezioni delle Camere che si basa su lunghe liste bloccate, senza voto di preferenza. Difficile comprendere come ora, la stessa opzione, metterebbe addirittura in causa la democrazia!
      Per altro è singolare che proprio coloro che si battono tanto apertamente quanto legittimamente per mettere in discussione l'assetto bipolare del nostro sistema politico, e a questo fine propongono una legge elettorale nazionale priva di qualsiasi meccanismo maggioritario per sottrarre agli elettori il diritto di scegliere direttamente chi deve governare il paese - il principale diritto politico in una democrazia - per riconsegnarlo alle alchimie dei partiti, dicevamo che è singolare che proprio costoro pongano una questione di democrazia e di sovranità popolare su una facoltà per l'elettore - quella di scegliere il candidato attraverso il voto di preferenza - che, come abbiamo visto, oltre a comportare gravi conseguenze negative, è molto aleatoria e illusoria.
      Infine, proprio i dati sulla utilizzazione effettiva del voto di preferenza dovrebbero farci riflettere sulla opportunità della sua conservazione.
      Alle elezioni europee del 2004 gli elettori hanno fatto scarso uso del voto di preferenza (in media il 21,5 per cento sul totale delle preferenze esprimibili), con una sensibile differenza tra le circoscrizioni del Nord (15,4 per cento) e quelle delle Sud (29,6 per cento) e delle Isole (33,4 per cento) dove, a causa delle condizioni socio-economiche, è più radicato il sistema clientelare e il voto di scambio. Il voto di preferenza non corrisponde affatto ad una maggiore maturazione politica della cittadinanza e della partecipazione alla vita pubblica, ma semmai è vero il contrario.
      Inoltre il voto di preferenza ha confermato, per lo più, l'ordine dei candidati collocati nella parte alta delle liste, i candidati che sono poi risultati eletti o prossimi alla elezione. La distribuzione del voto di preferenza nella parte bassa delle liste è fondata su un numero relativamente basso di voti, scarsamente significativo rispetto al totale dei voti ottenuti dalla lista nella circoscrizione. Il voto di preferenza ha determinato numerosi «scavalchi» rispetto all'ordine delle candidature nella lista, ma prevalentemente nella parte medio-bassa della lista, senza effetto sulla possibilità di elezione dei candidati. Molti «scavalchi» si sono determinati a carico delle candidature «di genere» quando la lista ha presentato l'alternanza, penalizzando fortemente le donne. Il numero di preferenze ha premiato la notorietà di taluni candidati (come Santoro e Lilli Gruber) o esponenti noti di partito non collocati ai primi posti della lista. Sul complesso delle 1008 candidature solo 7 (relative a Berlusconi, Fini, Lilli Gruber e D'Alema) hanno ottenuti voti di preferenza oltre il valore del quoziente necessario per l'attribuzione di un seggio. Per 111 le preferenze sono state in termini di decimi di quoziente, per 268 in termini di centesimi di quoziente, per i restanti 622 in termini di millesimi di quoziente.
      Il voto di preferenza è la risposta illusoria, e per tanti aspetti controproducente, rispetto ad un problema vero, quello dell'assenza di una disciplina sul riconoscimento giuridico, il finanziamento, i bilanci e le campagne elettorali dei partiti. Certamente una disciplina pubblica per la selezione delle candidature è particolarmente complessa e difficile da introdurre, come dimostrano i tentativi finora posti in essere dai partiti, e non credo possa essere improvvisata e introdotta in questo provvedimento. Ma si affronti il toro per le corna, si ponga finalmente all'ordine del giorno questo problema, valorizzando nel frattempo la positiva novità rappresentata dalle liste «corte», costituite da pochi candidati. Questa è la strada maestra per costruire un serio sistema politico, non quella, ripetiamo, illusoria e controproducente, del voto di preferenza.
Il testo approvato dalla Commissione consta di un solo articolo e di due tabelle; di queste ultime la prima (Tabella «A») contiene l'elenco dei territori (regioni) che compongono le nuove circoscrizioni elettorali, la loro denominazione, l'indicazione del comune capoluogo in cui ha sede l'Ufficio elettorale circoscrizionale; la seconda (Tabella «B») riproduce il fac-simile della parte interna della scheda elettorale, resa coerente con le nuove modalità di espressione del voto.
      Le modifiche alla legge n. 18 del 1979 (legge elettorale europea) sono raggruppate al primo comma dell'articolo 1; il secondo comma adatta alla nuova disciplina della formazione delle liste elettorali la sanzione che l'articolo 56 del codice delle pari opportunità fra uomo e donna (decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198) dispone per i casi in cui quella non sia osservata. Al comma 3, infine, la clausola di entrata in vigore.
      Le modifiche raggruppate nella successione delle lettere poste al comma 1 riguardano:

A. Modifiche alla formula di assegnazione dei seggi.

      Come si è detto, questa rimane sostanzialmente quella vigente: liste concorrenti nelle circoscrizioni e assegnazione dei seggi nel collegio unico nazionale sulla base della cifra elettorale nazionale di ciascuna; ripartizione secondo la cosiddetta formula Hare, quoziente naturale (parte intera) e graduatoria dei maggiori resti (e non secondo il metodo d'Hondt, previsto inizialmente nel testo della Commissione), determinazione dei seggi da assegnare a ciascuna lista in ciascuna circoscrizione, determinazione dei candidati da proclamare eletti. A questo sistema sono state apportate quattro modificazioni:

          1) l'introduzione della soglia di sbarramento del 5 per cento del totale dei voti validi espressi per le liste nel collegio unico nazionale, lettera m) e, per la sua applicazione nel calcolo di assegnazione dei seggi, lettera n); ne consegue che alla determinazione del quoziente nazionale di ripartizione concorrono soltanto i voti validi delle liste ammesse.
      Unica eccezione è quella che resta stabilito dal sistema di apparentamento/collegamento che, in base alla disciplina dell'articolo 12, può stabilirsi fra una lista espressione di partiti e gruppi rappresentativi di minoranze linguistiche riconosciute ed un'altra lista, di carattere nazionale, che abbia presentato proprie candidature in almeno la meta delle circoscrizioni. Alla determinazione della soglia le due liste - giusto quanto dispone l'articolo 21, comma 1, numero 1), nel testo vigente - partecipano con la cifra elettorale determinata dalla somma delle cifre elettorali nazionali delle due liste;

          2) la modificazione del metodo per il calcolo dei seggi spettanti a ciascuna lista nelle circoscrizioni.
      Secondo la legge vigente questo calcolo è effettuato in base al quoziente nazionale di lista (cifra elettorale nazionale/numero dei seggi ad essa assegnati). Il metodo però determina sovente lo «slittamento» di taluni seggi da una circoscrizione all'altra, in ragione del rapporto che si stabilisce tra i voti ottenuti dalla lista in ciascuna circoscrizione. A questo metodo di assegnazione la lettera n) (nuovo testo del n. 3 del comma 1, dell'articolo 21), ne sostituisce un altro mutuato dalla legge n. 276 del 1993, la cosiddetta «legge Mattarella», già utilizzato per l'elezione della Camera dei deputati dal 1994 al 2001. È una formula basata su quozienti circoscrizionali e sulla graduatoria delle parti decimali. La preferenza per questa modalità risiede nel fatto che essa conserva un alto grado di proporzionalità nella assegnazione dei seggi e riduce al minimo lo «slittamento» di seggi tra le circoscrizioni;

          3) la soppressione del voto di preferenza (lettera g) e della relativa graduatoria dei candidati (lettera i e lettera l) come criterio di successione nella proclamazione degli eletti (lettera o); viene abrogato l'articolo 14 della legge vigente, il numero 2) dell'articolo 18, i numeri 3) e 4) del primo comma dell'articolo 20 e modificato di conseguenza il primo comma dell'articolo 22.
      Il testo in vigore consente di manifestare sino a tre preferenze in ciascuna delle cinque circoscrizioni e limita ad una sola preferenza il voto espresso per i candidati presenti nella lista di minoranza linguistica che si collega ai sensi dell'articolo 12;

          4) la modificazione della facciata interna della scheda elettorale, per eliminarvi gli spazi e le righe destinati alla indicazione del voto di preferenza e aumentare di conseguenza la dimensione del contrassegno, al centro di ciascun riquadro, in modo da escludere, per quanto possibile, ogni dubbio sulla modalità di espressione del voto. A questo provvedono, rispettivamente, la lettera r) con il nuovo testo della Tabella «B», allegato n. 2 alla legge, e la lettera h) che indica in tre centimetri la dimensione di ciascun contrassegno.

B. L'aumento del numero delle circoscrizioni elettorali: da cinque a dieci.

      Restano immutate le disposizioni dell'articolo 2 della legge sul collegio unico nazionale e sulla modalità di assegnazione dei seggi alle circoscrizioni. Numero, estensione e capoluogo delle circoscrizioni vengono modificate con l'approvazione di una nuova Tabella «A», che costituisce l'Allegato n. 1 al testo della legge.
      Le nuove circoscrizioni aggregano più regioni intorno ad una popolazione che oscilla da quattro a sei milioni di abitanti ed alla attribuzione da sei a nove seggi. Le due isole, in particolare la regione Sardegna, costituiscono ciascuna una circoscrizione autonoma per assicurare ad esse un rapporto diretto ed univoco con il Parlamento europeo. In dettaglio, il calcolo basato sulla popolazione del censimento generale del 2001 e sulla ipotesi che restino assegnati all'Italia i settantadue seggi del trattato vigente, senza cioè il settantatreesimo seggio previsto dalla entrata in vigore del trattato di Lisbona, sarebbe il seguente:

Calcolo di assegnazione dei seggi (articolo 2 della legge)

  Circoscrizione Popolazione Seggi
1 Piemonte-Valle d'Aosta-Liguria 5.906.008 8
2 Lombardia 9.032.554 11
3 Veneto-Trentino-A.A.-Friuli-V.G. 6.651.474 8
4 Emilia Romagna-Marche 5.453.927 7
5 Toscana-Umbria 4.323.632 6
6 Lazio-Abruzzo-Molise 6.695.406 9
7 Campania 5.701.931 7
8 Puglia-Basilicata-Calabria 6.629.941 8
9 Sicilia 4.968.991 6
10 Sardegna 1.631.880 2
  Totale     56.995.744 72

      Il settantatreesimo seggio diverrebbe appannaggio della circoscrizione Lombardia.
      Una possibile variante dell'azzonamento, variante non accolta dal testo approvato dalla Commissione, vedeva la regione Molise come parte della circoscrizione n. 7 insieme alla regione Campania. Ne risulterebbe una maggiore uniformità nella distribuzione dei seggi, giacché entrambe le circoscrizioni risultanti, sesta e settima, otterrebbero otto seggi.

C. Modifiche alle disposizioni riguardanti la composizione e la sottoscrizione delle liste.

      Queste disposizioni adattano al nuovo numero e dimensione delle circoscrizioni elettorali la disciplina delle candidature e delle sottoscrizioni alle liste. Più in generale il testo approvato dalla Commissione rende sensibilmente più restrittivi i criteri che esentano dall'obbligo delle sottoscrizioni partiti e gruppi politici presenti nel Parlamento nazionale e nel Parlamento europeo e, per converso, diminuisce il numero delle sottoscrizioni richieste in modo che esso non costituisca un onere troppo grave per le formazioni politiche minori, o per l'ingresso di nuove proposte politiche nella competizione. In particolare:

          1) la lettera c) riformula integralmente i criteri per l'individuazione dei partiti e gruppi politici che possono presentare validamente proprie liste senza che queste siano sottoscritte dal prescritto numero di elettori. L'esenzione è limitata a partiti o gruppi politici:

              costituiti in gruppo parlamentare in entrambe le Camere all'inizio della legislatura in corso al momento della convocazione dei comizi per l'elezione del Parlamento europeo;

              che nell'ultima elezione abbiano presentato candidature con proprio contrassegno e abbiano ottenuto complessivamente almeno dieci seggi nelle due Camere;

              che nell'ultima elezione abbiano presentato candidature con proprio contrassegno ed abbiano ottenuto almeno tre seggi al Parlamento europeo;

              che siano rappresentativi di minoranze linguistiche riconosciute dalla Costituzione ed abbiano conseguito almeno un seggio in occasione delle ultime elezioni per la Camera dei deputati o per il Senato della Repubblica;

          2) la lettera a) determina i nuovi numeri minimi e massimi di sottoscrizioni richieste per la presentazione delle liste in ciascuna circoscrizione. In particolare:

              da 5.000 a 6.000 sottoscrizioni nelle circoscrizioni fino a due milioni di abitanti; nella specie, la circoscrizione Sardegna;

              da 10.000 a 12.000 sottoscrizioni nelle circoscrizioni con oltre due milioni di abitanti e sino a sei milioni; nella specie, le circoscrizioni 1 (Piemonte, Valle d'Aosta, Liguria), 4 (Emilia-Romagna, Marche), 5 (Toscana, Umbria), 7 (Campania), e 9 (Sicilia);

              da 15.000 a 18.000 sottoscrizioni nelle circoscrizioni con una popolazione superiore a sei milioni di abitanti; le circoscrizioni 2 (Lombardia), 3 (Veneto, Trentino - Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia), 6 (Lazio, Abruzzo, Molise), 8 (Puglia, Basilicata, Calabria);

          3) la lettera b) elimina la disposizione (terzo comma dell'articolo 12) che nelle circoscrizioni pluriregionali impone oggi di raccogliere in ciascuna regione della circoscrizione almeno il 10 per cento di quelle sottoscrizioni;

          4) La lettera c) adatta alla nuova dimensione delle circoscrizioni il numero di candidature richieste alle liste da presentare in ciascuna di circoscrizione (nel testo vigente, articolo 12, ottavo comma); in pratica la disposizione resta quella vigente (non meno di tre candidature e non più del numero dei seggi assegnati alla circoscrizione), salvo che per la Circoscrizione Sardegna (popolazione inferiore a due milioni di abitanti), dove i seggi assegnati sono soltanto due.

D. Modifiche alle disposizioni sulle pari opportunità nelle candidature.

      Con la redazione del «Codice delle pari opportunità» (decreto legislativo n. 198 del 2006, in attuazione della delega conferita dalla legge n. 246 del 2005), prescrizione e sanzioni relative alle liste presentate per l'elezione del Parlamento europeo sono state raccolte nell'articolo 56 di quel testo; esso prescrive il limite massimo di due terzi alla presenza di uno dei due sessi nell'insieme delle liste circoscrizionali aventi un medesimo contrassegno. Il computo è effettuato al netto delle candidature plurime. Molto incisiva, ma limitata ad una presenza solo «di bandiera», la sanzione della inammissibilità per quelle liste che non prevedono «la presenza di candidati di entrambi i sessi», senza riferimento al loro numero. Per la violazione della «quota» di riserva è comminata la riduzione proporzionale dell'importo spettante alla lista a titolo di rimborso per le spese elettorali, fino ad un massimo del cinquanta per cento di quella quota.
      La lettera d) del testo approvato dalla Commissione innalza la quota di parità alla metà delle candidature presentate da ciascun partito o gruppo politico (salvo la attribuzione «libera» della candidatura eventualmente dispari), considera nel computo le eventuali candidature plurime e determina in una misura che va dal trenta al cinquanta per cento della quota spettante del rimborso delle spese elettorali, la sanzione per la violazione del criterio di pari opportunità (comma 2 del testo approvato dalla Commissione). Una parte della riduzione del contributo è proporzionale al grado di violazione della parità: trenta per cento comminato per la violazione minima e un ulteriore quota - nell'intervallo tra il trenta ed il cinquanta per cento - proporzionata al numero di candidature che violano il rapporto di parità.
      Il testo approvato dalla Commissione è sicuramente migliorativo della disciplina vigente e della proposta del Pd, attestate rispettivamente sulla soglia di un terzo e di due quinti (la proposta del Pd è abbinata anche ad un'altra misura, cioè la facoltà di esprimere un secondo voto di preferenza soltanto se espresso per un candidato di un genere diverso dall'altro, pena la nullità delle preferenze espresse qualora entrambe riguardino candidati del medesimo genere, una misura che incide direttamente sulla validità del voto espresso dall'elettore e che, pertanto, è difficile considerare costituzionalmente legittima). Il testo approvato dalla Commissione ha innalzato al 50 per cento del complesso delle candidature la soglia di pari opportunità, considerando nel computo anche le candidature multiple. Un considerevole passo avanti che apre la strada ad una presenza significativa delle donne nelle liste. Si tratta, per altro, di una materia fortemente controversa, in cui le possibili prescrizioni che limitano la libertà di elettorato passivo non sono al riparo da rischi di declaratorie di incostituzionalità. È per questo che non sono state accolte le proposte che prevedono sanzioni che inficiano direttamente l'ammissibilità di liste e candidature. Ed è per questo che - consapevoli che la materia è ancora fortemente dibattuta fra i sostenitori delle diverse linee di azione - l'approvazione di questo testo costituisce la linea più avanzata sino ad ora raggiunta da un testo normativo su questa materia.

E. Adattamento delle disposizioni relative alle liste presentate da partiti o gruppi politici espressione delle minoranze linguistiche riconosciute.

      Anche in presenza della soglia di sbarramento del 5 per cento - soglia assolutamente irraggiungibile per qualunque lista di minoranza linguistica - il sistema conserva la possibilità che queste, a determinate condizioni, possano ottenere un seggio presentandosi con il proprio contrassegno e con la cifra minima di almeno cinquantamila voti validi. Resta la disciplina del collegamento con una lista nazionale nella circoscrizione ove quella di minoranza presenta la propria, ma la lista nazionale non deve necessariamente aver presentato candidature in tutte le circoscrizioni, come è attualmente prescritto ma, come recita la modifica introdotta dalla lettera f), in almeno la metà di quelle.
      Un'ulteriore modifica è apportata al criterio per l'assegnazione del seggio. La cifra elettorale nazionale delle liste collegate è già attualmente pari alla somma dei voti validi ottenuti dalle due liste; è quella la cifra che deve superare la soglia di sbarramento. In caso positivo essa partecipa con le altre liste ammesse alla ripartizione dei seggi in sede nazionale e alla loro ri-assegnazione nelle circoscrizioni. La lettera p) del testo approvato dalla Commissione unifica in una nuova disciplina gli attuali secondo e terzo comma dell'articolo 22; se alla coalizione di liste cui partecipa la lista di minoranza linguistica sono stati assegnati almeno due seggi nella circoscrizione, la ripartizione di quei seggi fra le due liste è effettuata con il metodo del quoziente naturale e dei maggiori resti. Infine, se al termine di questa operazione la lista di minoranza linguistica non ha ottenuto alcun seggio, essa ottiene ugualmente un seggio - sottratto all'altra lista - se ha ottenuto in quella circoscrizione non meno di cinquantamila voti validi.
      Una ulteriore integrazione al testo vigente era costituita dalla disciplina dei limiti di spesa imposti ai candidati ed ai partiti che partecipano alla campagna elettorale per l'elezione del Parlamento europeo. Le disposizioni approvate in un primo tempo dalla Commissione sono state successivamente eliminate con un ulteriore voto della Commissione che ha così aderito all'osservazione avanzata dalla XIV Commissione circa l'opportunità di valutare meglio quei limiti per determinarli con criteri coerenti a quanto è disposto - in via prevalente - negli altri paesi dell'Unione.
      Il testo era stato presentato alla Commissione dal relatore il quale intendeva accogliere il contenuto di un precedente emendamento della opposizione decaduto a seguito della decisione di quest'ultima di non partecipare ulteriormente all'esame di questa proposta di legge. Le disposizioni approvate estendevano ai candidati e ai partiti della campagna per l'elezione del Parlamento europeo i limiti di spesa e gli oneri di documentazione disposti dalla legge n. 515 del 1993 per candidati e partiti che concorrono nella campagna per l'elezione del Parlamento nazionale. La proposta rideterminava, adattandole alle nuove circoscrizioni, le cifre di riferimento per il limite alle spese e la disciplina della loro documentazione.
      Abbiamo già ricordato prima che tra le proposte non accolte dalla Commissione vi sono quelle intese a vietare la presentazione di candidature multiple e quelle dirette ad impedire che possano candidarsi alle prossime elezioni europee il Presidente del Consiglio dei ministri, i membri del Governo, i presidenti di regione, i presidenti delle province ed i sindaci di comuni con popolazione superiore a quindicimila abitanti, cariche che la legge vigente prevede come cause di incompatibilità. Per queste stesse cariche il testo originario della proposta del Pd prevedeva addirittura una causa di incandidabilità che un emendamento successivo trasformava in altrettante cause di ineleggibilità.
      La ratio sottesa a questa ipotesi - tralasciando qui ogni osservazione sulla causa di incandidabilità - dovrebbe essere quella di proteggere l'affidamento che l'elettore pone nelle candidature che gli sono presentate. Il componente del Governo si candida, ottiene il voto per via della propria notorietà, ma poi si dimette immediatamente perché preferisce rimanere componente del Governo. Vi è in questo obiettivo un retropensiero che vede quella candidatura soltanto in negativo, come una sorta di inganno, avanzata (illecitamente) per raccogliere il frutto della propria notorietà. Come se per essere componente del Governo si dovesse cessare dall'essere insieme esponente o leader di partito. Almeno per gli amministratori locali la proposta è intesa anche ad impedire candidature che comportano, in caso di accettazione della carica, le dimissioni della Giunta e del Consiglio dei rispettivi enti. Alla Commissione è sembrata però evidente e incolmabile la sproporzione che si verrebbe a determinare non tanto fra quelle motivazioni e il diritto di elettorato passivo del singolo che si candida, quanto piuttosto quella che si determinerebbe per il diritto di ciascuna forza politica di essere presente nella competizione con la pienezza della sua capacità di schierare in campo proprio le persone in cui gli elettori si identificano. Se il termine non è troppo forte, quella proposta di ineleggibilità suona come una sorta di castrazione degli esponenti di vertice delle forze politiche che sono al governo. Niente affatto utile alla stessa competizione per l'elezione del Parlamento europeo. La presenza nelle liste elettorali dei leaders delle forze politiche al Governo rafforza quella elezione e dà agli elettori il senso esatto della competizione e del loro voto. Magari proprio attraverso la proposizione di alcune candidature multiple che consentono agli elettori di identificare con assoluta chiarezza l'oggetto del proprio voto. Del resto è inimmaginabile - e sarebbe uno strano elettore - quello che votando un esponente del governo in carica, personaggio di vertice della forza politica che egli sceglie, non accogliesse consapevolmente anche la funzione che la candidatura del leader è chiamata a svolgere.


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PARERE DELLA XIV COMMISSIONE PERMANENTE
(Politiche dell'Unione europea)

        La XIV Commissione,

            esaminato il testo base delle proposte di legge n. 22 Zeller e abbinate, recante «Modifiche alla legge 24 gennaio 1979, n. 18, concernente l'elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia»;

            espresso apprezzamento per le finalità dell'articolo 1, comma 3, del testo in esame, che stabilisce un limite per le spese elettorali, sia dei singoli candidati sia dei partiti e movimenti politici, nelle campagne elettorali per l'elezione del Parlamento europeo;

            ritenuto, nondimeno, che potrebbe essere opportuno soprassedere momentaneamente a tale punto, in vista di un approfondimento che permetta di verificare quale sia in materia la disciplina prevista negli altri Stati membri dell'Unione europea,

        esprime

PARERE FAVOREVOLE

        con la seguente osservazione:

        valuti la Commissione di merito l'opportunità di sopprimere il comma 3 dell'articolo 1.


PARERE DELLA COMMISSIONE PARLAMENTARE
PER LE QUESTIONI REGIONALI

        La Commissione parlamentare per le questioni regionali,

            esaminato il testo base delle proposte di legge n. 22 e abbinate, recante modifiche alla legge 24 gennaio 1979, n. 18, concernente l'elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia;

            rilevato il contenuto dell'articolato, che apporta modifiche alla predetta legge 24 gennaio 1979, n. 18, in ordine al numero delle circoscrizioni elettorali ed ai criteri per l'assegnazione dei seggi alle singole circoscrizioni; alla formazione e alla presentazione delle liste di candidati; al meccanismo di riparto dei seggi tra le liste in ambito nazionale; considerate altresì le disposizioni volte a promuovere le pari opportunità di accesso alla carica elettiva per i due generi e i limiti e pubblicità delle spese elettorali dei candidati per le elezioni;

            preso atto che l'oggetto del provvedimento, la disciplina dell'elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia, rientra nella esclusiva competenza legislativa dello Stato ai sensi della lettera f) del comma secondo dell'articolo 117 della Costituzione,

        esprime

PARERE FAVOREVOLE


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TESTO UNIFICATO
della Commissione

Modifiche alla legge 24 gennaio 1979, n. 18, concernente l'elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia.

Art. 1.

      1. Alla legge 24 gennaio 1979, n. 18, sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) il secondo comma dell'articolo 12 è sostituito dal seguente:

      «Le liste dei candidati devono essere sottoscritte da almeno 5.000 e da non più di 6.000 elettori iscritti nelle liste elettorali dei comuni compresi nelle circoscrizioni fino a 2 milioni di abitanti; da almeno 10.000 e da non più di 12.000 elettori iscritti nelle liste elettorali dei comuni compresi nelle circoscrizioni con più di 2 milioni di abitanti e fino a 6 milioni di abitanti; da almeno 15.000 e da non più di 18.000 elettori iscritti nelle liste elettorali dei comuni compresi nelle circoscrizioni con più di 6 milioni di abitanti»;

          b) il terzo comma dell'articolo 12 è abrogato;

          c) il quarto comma dell'articolo 12 è sostituito dal seguente:

      «Nessuna sottoscrizione è richiesta per i partiti o gruppi politici costituiti in gruppo parlamentare in entrambe le Camere all'inizio della legislatura in corso al momento della convocazione dei comizi, o che nell'ultima elezione abbiano presentato candidature con proprio contrassegno e abbiano ottenuto complessivamente almeno dieci seggi nelle due Camere, ovvero che nell'ultima elezione abbiano presentato candidature con proprio contrassegno e abbiano ottenuto almeno tre seggi al Parlamento europeo. Nessuna sottoscrizione è altresì richiesta per i partiti o gruppi politici rappresentativi di minoranze linguistiche riconosciute dalla Costituzione che abbiano conseguito almeno un seggio in occasione delle ultime elezioni per la Camera dei deputati o per il Senato della Repubblica»;

          d) dopo il sesto comma dell'articolo 12 è inserito il seguente:

      «Nessuno dei due generi può essere rappresentato in misura superiore alla metà delle candidature presenti nell'insieme delle liste circoscrizionali aventi un medesimo contrassegno. Qualora l'insieme di tali candidature sia in numero dispari, il complesso dei candidati di un genere può superare di una unità quello dei candidati dell'altro genere»;

          e) l'ottavo comma dell'articolo 12 è sostituito dal seguente:

      «Nelle circoscrizioni cui sono assegnati due seggi ciascuna lista deve comprendere due candidati. Nelle altre circoscrizioni ciascuna lista deve comprendere un numero di candidati non minore di tre e non maggiore del numero dei membri da eleggere»;

          f) al nono comma dell'articolo 12, le parole: «presente in tutte le circoscrizioni» sono sostituite dalle seguenti: «presente in almeno la metà delle circoscrizioni»;

          g) l'articolo 14 è abrogato;

          h) il secondo comma dell'articolo 15 è sostituito dal seguente:

      «I contrassegni devono essere riprodotti sulle schede con il diametro di centimetri tre»;

          i) il numero 2) del primo comma dell'articolo 18 è abrogato;

          l) i numeri 3) e 4) dell'articolo 20 sono abrogati;

          m) dopo il numero 1) del primo comma dell'articolo 21 è inserito il seguente:

      «1-bis) individua quindi le liste che abbiano conseguito sul piano nazionale almeno il 5 per cento dei voti validi espressi»;

          n) i numeri 2) e 3) del primo comma dell'articolo 21 sono sostituiti dai seguenti:

      «2) tra le liste di cui al numero 1-bis) procede al riparto dei seggi in base alla cifra elettorale nazionale di ciascuna lista. A tal fine divide il totale delle cifre elettorali nazionali delle liste ammesse alla ripartizione dei seggi per il numero dei seggi da attribuire, ottenendo così il quoziente elettorale nazionale. Nell'effettuare la divisione trascura l'eventuale parte frazionaria del quoziente. Divide, poi, la cifra elettorale nazionale di ciascuna lista per tale quoziente. Attribuisce quindi ad ogni lista tanti seggi quante volte il quoziente elettorale nazionale risulti contenuto nella cifra elettorale nazionale di ciascuna lista. I seggi che rimangono ancora da attribuire sono rispettivamente assegnati alle liste per le quali le ultime divisioni hanno dato maggiori resti e, in caso di parità di resti, a quelle liste che abbiano avuto la maggiore cifra elettorale nazionale; a parità di cifra elettorale nazionale si procede per sorteggio. Si considerano resti anche le cifre elettorali nazionali delle liste che non hanno raggiunto il quoziente elettorale nazionale;

      3) procede quindi alla distribuzione nelle singole circoscrizioni dei seggi assegnati alle liste di cui al numero 2). A tal fine, determina il quoziente circoscrizionale di ciascuna circoscrizione dividendo il totale delle cifre elettorali circoscrizionali delle liste cui sono stati assegnati seggi a seguito delle operazioni di cui al numero 2) per il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione ai sensi dell'articolo 2. Nell'effettuare tale divisione non tiene conto dell'eventuale parte frazionaria del quoziente. Divide quindi la cifra elettorale circoscrizionale di ciascuna lista per tale quoziente circoscrizionale. La parte intera del quoziente così ottenuta rappresenta il numero dei seggi da assegnare a ciascuna lista. Qualora da tale ripartizione una lista ottenga in sede nazionale un numero di seggi pari o maggiore di quanti gliene spettano ai sensi del numero 2), essa è esclusa dalle successive operazioni di assegnazione nelle singole circoscrizioni. Gli eventuali seggi eccedenti le sono sottratti, uno per circoscrizione, sino a concorrenza dei seggi spettanti, secondo l'ordine decrescente delle cifre elettorali circoscrizionali. Gli eventuali seggi residui sono attribuiti alle liste seguendo la graduatoria decrescente delle parti decimali del quoziente ottenuto da ciascuna lista sino all'attribuzione di tutti i seggi spettanti alla circoscrizione. A tal fine le operazioni di calcolo procedono a partire dalla circoscrizione di minore dimensione demografica. Nell'assegnazione dei seggi non si prendono più in considerazione le liste che abbiano già ottenuto tutti i seggi ad esse spettanti in base all'assegnazione di cui al numero 2). Al termine di tali operazioni, i seggi che eventualmente rimangono ancora da assegnare ad una lista sono attribuiti alla lista stessa nelle circoscrizioni ove essa abbia ottenuto i maggiori resti, utilizzando per primi i resti che non abbiano già dato luogo all'attribuzione di seggi. Se alla lista in una circoscrizione spettano più seggi di quanti sono i suoi componenti, restano eletti tutti i candidati della lista e i seggi eccedenti sono assegnati alla medesima lista, uno per circoscrizione, seguendo la medesima graduatoria delle parti decimali, a partire dalle circoscrizioni che non hanno dato luogo ad assegnazione di seggi o, in subordine, seguendo la successione delle precedenti assegnazioni»;

          o) al primo comma dell'articolo 22, le parole: «seguendo la graduatoria prevista al numero 4) dell'articolo 20» sono sostituite dalle seguenti: «seguendo l'ordine di successione dei candidati nella lista»;

          p) il secondo e il terzo comma dell'articolo 22 sono sostituiti dai seguenti:

      «Quando in una circoscrizione sia costituito un gruppo di liste collegate con le modalità indicate nell'articolo 12, ai fini dell'assegnazione dei seggi alle singole liste che compongono il gruppo, l'ufficio elettorale circoscrizionale procede al riparto dei seggi ad esse complessivamente assegnati. A tal fine divide il totale delle cifre elettorali circoscrizionali di tutte le liste collegate per il numero dei seggi da attribuire, ottenendo così il quoziente elettorale dell'assegnazione. Nell'effettuare la divisione trascura l'eventuale parte frazionaria del quoziente. Attribuisce quindi ad ogni lista tanti seggi quante volte il quoziente elettorale dell'assegnazione risulti contenuto nella cifra elettorale circoscrizionale di ciascuna lista. I seggi che rimangono ancora da attribuire sono rispettivamente assegnati alle liste per le quali le ultime divisioni hanno dato maggiori resti e, in caso di parità di resti, a quelle liste che abbiano avuto la maggiore cifra elettorale circoscrizionale. A parità di cifra elettorale circoscrizionale si procede per sorteggio. Si considerano resti anche le cifre elettorali circoscrizionali delle liste che non hanno raggiunto il quoziente elettorale dell'assegnazione.
      Qualora da tali operazioni la lista di minoranza linguistica collegata non abbia ottenuto alcun seggio, ad essa è assegnato il seggio attribuito in corrispondenza dell'ultimo resto utilizzato, purché al complesso delle liste collegate siano stati assegnati nella circoscrizione almeno due seggi e la lista di minoranza linguistica abbia ottenuto nella circoscrizione un numero di voti validi non inferiore a 50.000»;

          q) la tabella A è sostituita dalla tabella A di cui all'allegato 1 annesso alla presente legge;

          r) la tabella B è sostituita dalla tabella B di cui all'allegato 2 annesso alla presente legge.

      2. L'articolo 56 del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, è sostituito dal seguente:

      «Art. 56. - (Pari opportunità nell'accesso alla carica di membro del Parlamento europeo). - 1. Per il movimento o per il partito politico che non abbia rispettato la proporzione delle candidature dei due generi stabilita dall'articolo 12, sesto comma,     
della legge 24 gennaio 1979, n. 18, e successive modificazioni, l'importo del rimborso per le spese elettorali di cui alla legge 3 giugno 1999, n. 157, è ridotto in misura variabile dal 30 al 50 per cento della somma ad esso spettante, in proporzione alla minore presenza di uno dei due generi.
      2. Le somme non assegnate ai sensi del comma 1 costituiscono economia per il bilancio dello Stato nell'esercizio in corso».

      3. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

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Allegato 1
[articolo 1, comma 1, lettera q)]

«Tabella A - Circoscrizioni elettorali

Circoscrizione Regioni Denominazione Capoluogo
1 Piemonte, Valle d'Aosta, Liguria Nord ovest Torino
2 Lombardia Lombardia Milano
3 Trentino-Alto Adige, Veneto, Friuli Venezia Giulia Nord est Venezia
4 Emilia-Romagna, Marche Emilia-Romagna e Marche Bologna
5 Toscana, Umbria Toscana e Umbria Firenze
6 Lazio, Abruzzo, Molise Centro Roma
7 Campania Campania Napoli
8 Puglia, Basilicata, Calabria Sud Bari
9 Sicilia Sicilia Palermo
10 Sardegna Sardegna Cagliari ».


Allegato 2
[articolo 1, comma 1, lettera r)]

«Tabella B


Frontespizio Relazione Pareri Progetto di Legge Allegato
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